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QUADERNI ITALIANI DELLE ARTITERAPIE · sa di una magia o di miti collettivi, di avventure già...

Date post: 24-Mar-2020
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arté in questo numero “Arte in ospedale” L’intervento musicoterapico in Hospice Danzamovimentoterapia: l’ecologia del corpo/cuore Dal gemello “sacrificato” alla rinascita della individualità Un intervento di Danza Movimento Terapia Add Up > Barriera senza confini Il corpo ludico della città 09 ISSN 1971-811X _NUM_09_APRILE_2014 QUADERNI ITALIANI DELLE ARTITERAPIE
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Page 1: QUADERNI ITALIANI DELLE ARTITERAPIE · sa di una magia o di miti collettivi, di avventure già consumate e consegnate ad una storia che non sia più cronaca. Solo un corpo, tuttavia,

artéin questo numero “Arte in ospedale”

L’intervento musicoterapico in Hospice

Danzamovimentoterapia:l’ecologia del corpo/cuore

Dal gemello “sacrificato”alla rinascita della individualitàUn intervento di Danza Movimento Terapia

Add Up > Barriera senza confiniIl corpo ludico della città

09

ISSN 1971-811X _NUM_09_APRILE_2014

QUADERNI ITALIANI DELLE ARTITERAPIE

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ditoriaNona uscita per ARTÉ, con i contributi di Giorgio Bedoni (ar-teterapia), Emanuela Anzani (musicoterapia), Tania Cristiani,Alessandra Cocchi (danzaterapia) e Dario La Stella e ValentinaSolinas (teatro-danza). In questo numero emerge l’elementoconduttore dello spazio, come bisogno e luogo di vita, di incon-tro, di relazione, di cura, che si tratti di ambiente ospedaliero,setting terapeutico o ambiente urbano.Giorgio Bedoni presenta il progetto “Arte in Ospedale”, miratoalla umanizzazione e aumento della vivibilità psichica dei luo-ghi di cura attraverso l’attivazione di “esperienze artistiche ri-volte in primo luogo al ‘prendersi cura’ degli operatori e, allostesso tempo, al progettare interventi mirati alla qualità esteticadegli spazi ospedalieri”; il lavoro evidenzia la potenzialità delladimensione artistica ed estetica nel rispondere al rischio di alie-nazione insito nei luoghi di cura odierni, in cui il prevalere delladimensione tecnico-specialistica e l’attenzione all’ottimizzazio-ne dei tempi e riduzione dei costi può far perdere di vista aspet-ti emotivi ed empatici fondamentali nella relazione di cura.L’articolo fornisce inoltre una ampia serie di referenti, della filo-sofia e dell’arte, che hanno fatto parte della costruzione idealedi questo percorso di attivazione di un processo estetico che,parafrasando l’autore, può contribuire ad “abitare spazi” chetrasformano i luoghi da “praticati” in “vissuti”.Emanuela Anzani propone un confronto sulle tecniche mag-giormente utilizzate in musicoterapia nel lavoro con pazientioncologici ricoverati presso strutture hospice. Il lavoro riportale variabili cardine della relazione con il paziente terminale e lepossibili tecniche di cui il musicoterapista può avvalersi, con ri-ferimento alle tecniche, di ascolto e improvvisative, maggior-mente in uso in Italia e all’estero.

La danzaterapeuta Tania Cristiani espone una prospettiva delladanzaterapia come strumento che può ristabilire una ecologiacorpo-cuore ovvero la riacquisizione di una dimensione corpo-rea come premessa indispensabile ad una maggiore vivibilitàdello spazio e del tempo, e quindi ad un processo di attribuzio-ne di significato esistenziale all’esperienza personale. L’otticadella Danza Terapeutica, che integra esperienze di danza edanzaterapia occidentali con elementi olistici orientali, mira aricostituire l’unità dell’essere umano e dell’ambiente di cui faparte, inteso non come res inanimata ma come insieme energe-tico, dinamico, vitale.L’articolo di Alessandra Cocchi, pur rimanendo nell’ambito dellaDanzaterapia, si sposta su un versante clinico esponendo un lun-go percorso danzaterapeutico individuale con un bambino “ge-mello sacrificato”. Inserito in una cornice teorica di matrice psi-codinamica, il lavoro espone i passaggi progressivi del percorso,evidenziando il valore della danzaterapia nella sua funzione diesperienza emotivo-relazionale correttiva rispetto ad una depri-vazione affettiva, e di facilitazione dell’integrazione di parti di sé.Infine, Dario La Stella e Valentina Solinas propongono “ADDUP - Barriera senza Confini” il resoconto di una esperienza“sul campo” realizzata nel quartiere torinese Barriera di Mila-no, zona estremamente complessa a elevata densità abitativa,con forte diffusione di fenomeni di devianza e disagio psicoso-ciale. Gli autori espongono come è stato concepito e realizzatoun progetto di applicazione di arti performative (teatro - danza,musica video) con l’obiettivo di favorire il recupero di una di-mensione sociale e dinamica dello spazio urbano.

Lorenzo Tamagnone

09

COSMOPOLIS SNCCorso Peschiera, 320 - 10139 Torino - tel/fax 011 71 02 09

www.edizionicosmopolis.it - [email protected]

ABBONAMENTOPer 2 numeri / 1 anno: 20,00 euro

Versamento su c.c.p. 47371257 intestato a Cosmopolis s.n.c.causale “abbonamento ar-té” e l’anno di riferimento

A CURA DI APIM

DIREZIONE EDITORIALEGerardo ManaroloLorenzo Tamagnone

COMITATO SCIENTIFICOGiorgio Bedoni - Psichiatra, Psicoterapeuta, Docente scuola di arteterapia di Lecco

Roberto Boccalon - Direttore Istituto di Psicoterapia Espressiva,ATI Bologna; Professore a contratto di Psicologia Clinica e Psicoterapia, Università di Ferrara

Claudio Bonanomi - Psicologo, Musicoterapista,Direttore Centro di Formazione nelle Artiterapie, Lecco

Roberto Caterina - Professore Associato, Cattedra di Psicologia della Musica, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna

Giovanni Del Puente - Dipartimento di Neuroscienze Oftalmologia e Genetica,Scienze di Psichiatria, Università di Genova

Daniela Di Mauro - Psicologa, DMT, Palermo

Giovanna Ferrandes - Psicologa, Psicoterapeuta, Azienda Ospedaliera-UniversitariaSan Martino, Genova

Luigi Ferranini - Professore a contratto all’Università degli Studi,Dipartimento di Neuroscienze Oftalmologia e Genetica,Sezione di Psichiatria, Università di Genova

Pier Maria Furlan - Professore Ordinario di Psichiatria e Direttore del DipartimentoInteraziendale di salute Mentale ASO San Luigi Gonzaga - Asl 5 di Collegno - Università di Torino

Maria Elena Garcia - Danzamovimentoterapeuta, Docente corso di musicoterapia di Assisi

Giovanni Giusto - Direttore Scientifico Gruppo Redancia, Genova

Daniele La Barbera - Direttore Cattedra di Psichiatria e Riabilitazione Psichiatrica,Università di Palermo

Claudio Lugo - Musicista, Compositore, Docente Conservatorio di Alessandria

Andrea Masotti - Musicista, musicoterapista, Casa della Musica, Genova

Donatella Mondino - Arteterapeuta, docente art-therapy, Torino

Deborah Nogaretti - Arteterapeuta, Coordinatrice Coop. Soc. CIMAS

Laura Panza - Psicologa, Danzamovimentoterapeuta DMT, APID, Milano

Maurizio Peciccia - Psichiatra, Psicoterapeuta, Università di Perugia, Presidente Apiart

Fausto Petrella - Psichiatra, psicoanalista, membro ordinario con funzioni di training della Società psicoanalitica italiana

Salvo Pitruzzella - Drammaterapeuta, Psicodrammista,Overseas Member della BADTh (British Association of Dramatherapy)

Rosa Porasso - Psicologa, Arteterapeuta, Docente scuola di arteterapia di Lecco

Pier Luigi Postacchini - Psichiatra, Neuropsichiatra,Coordinatore Corso quadriennale di musicoterapia di Assisi

Vincenzo Puxeddu - Medico fisiatra, Danzamovimentoterapeuta, Presidente Apid, Cagliari

Pio Enrico Ricci Bitti - Professore Ordinario di Psicologia Generale,Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna

Alessandro Tamino - Psichiatra, Psicoterapeuta, Presidente Associazione Scuoladi Artiterapie e Psicoterapie Espressive, Roma

Laura Tonani - Arteterapeuta, Docente Accademia di Brera

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mariosomm somm04 “Arte in ospedale”

GIORGIO BEDONI

14 L’intervento musicoterapico in HospiceEMANUELA ANZANI

22 Danzamovimentoterapia: l’ecologia del corpo/cuoreTANIA CRISTIANI

26 Dal gemello “sacrificato” alla rinascita della individualitàUn intervento di Danza Movimento TerapiaALESSANDRA COCCHI

46 Add Up > Barriera senza confiniIl corpo ludico della cittàDARIO LA STELLA, VALENTINA SOLINAS

54 Recensioni ar-té

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esperienze condivise di progettazione e curateladi mostre internazionali su questi temi (si veda,in particolare, la mostra “Arte. Genio. Follia. Ilgiorno e la notte dell’artista”, allestita a Sienanel 2009 nel complesso museale di Santa Mariadella Scala, sino agli anni Ottanta storico ospe-dale italiano, a rafforzare il binomio tra arte eluoghi della cura).“Tracce di sogno” nasce da questi incontri. Lasua realizzazione non sarebbe stata possibilesenza il coinvolgimento e la partecipazione atti-va di molteplici figure, a loro va il mio ringrazia-mento e, in particolare a Sarah Demagistri, Si-mona Olivieri e Sabrina Travaglini che dannovita all’Atelier arte in ospedale.

Tracce di sogno. L’irregolare dell’arte ■

Come un gioco di bimbola vita si dipana

ma non lentae afferra il suo senso

quando pare ormai perduto.LV

Una mappa nasce in vista di un viaggio: si trac-ciano segni per individuare luoghi, anche soloimmaginati.Una mappa è concezione dello spazio, cono-scenza e memoria, sintesi, insieme di esperienzee di visioni del mondo, come ci ricordano gli an-tichi cartografi arabi che ponevano il sud sulmargine superiore delle carte ed il nord su quel-lo inferiore.Le mappe aiutano a ricostruire storie, talvoltane conservano l’eco, trattenendo ancora qualco-sa di una magia o di miti collettivi, di avventure

già consumate e consegnate ad una storia chenon sia più cronaca.Solo un corpo, tuttavia, disegna le traiettoriereali di un viaggio, linee a prender forma e a de-signare nuovi mondi, come nella preziosa cartaautografa che Cristoforo Colombo traccia a de-lineare i confini dell’isola di Hispaniola.

Nel suo grande saggio dedicato al Mediterra-neo, Predrag Matvejevic osserva che poco sap-piamo dei cartografi, come pure dei viaggiatori:il Novecento, tuttavia, ci ha lasciato una carto-grafia dell’immaginario come genere artistico efigure di viaggiatori entrati ormai di diritto inun dizionario dell’irrequietezza, che vede primadi tutti Arthur Rimbaud e Paul Gauguin.Viaggiatori irregolari, spinti da una necessitàinteriore che diveniva, per forza di cose, esplo-razione e ricerca: anche di sé, del proprio verovolto e, ancora una volta, del proprio corpo.Così, nel solco di questa moderna “via della se-ta”, una vera outsider del Novecento europeocome la scrittrice e fotografa AnnemarieSchwarzenbach, viaggiatrice instancabile nellasua breve vita, poteva confidare di partire pervedere con i suoi stessi occhi quei nomi impres-si sulle carte e per sentire sul suo stesso corpo

“Arte in ospedale”GIORGIO BEDONI Psichiatra, Psicoterapeuta, Docente Centro di Formazione nelle Arteterapie “La linea dell’Arco” di Lecco

“Arte in ospedale” nasce nell’Azienda Ospeda-liera di Melegnano nel 2007 con l’obiettivo diattivare esperienze artistiche rivolte in primoluogo al “prendersi cura” degli operatori e, allostesso tempo, di progettare interventi mirati allaqualità estetica degli spazi ospedalieri.Un progetto guidato dalla convinzione che que-sti interventi dovessero procedere verso quella“umanizzazione” dei luoghi di cura (a ben vede-re un paradosso), ritenuta da molti sempre piùnecessaria. Tutto questo si fondava sull’idea chei percorsi di umanizzazione si dovessero tradur-re in processi reali capa-ci di coinvolgere e dimettere in relazione piùfigure e servizi dellastruttura ospedaliera.L’arte, i suoi linguaggi ele sue pratiche, non veniva, dunque, più letta inquesta esperienza come un plus, sostanzialmen-te deputato a funzioni decorative ma come di-mensione creativa e potenzialmente trasforma-tiva in chiave personale e strutturale.In questa prospettiva nascono l’atelier “Arte inospedale” e le sue iniziative, progettate in strettacollaborazione con gli operatori responsabili del-le attività formative (“Arte in ospedale” è sin dagliinizi un’attività contemplata nel progetto formati-vo aziendale) e con una rete estesa di figure tecni-che ed amministrative dell’azienda ospedaliera.L’atelier, sin dagli inizi, è il luogo privilegiato diquesto progetto: un campo aperto, nelle inten-zioni, alla sperimentazione che individua i pro-pri elementi costitutivi nel delicato equilibrio traprocedure tecniche e libertà espressiva, tra lacornice dello scenario - il setting artistico - e ledinamiche relazionali sollecitate dal processo

creativo. Abbi cura di te è il nome che abbia-mo dato a queste esperienze, a sottolineare lanecessità di dare voce ai bisogni espressivi de-gli operatori attraverso il dialogo con la mate-ria dell’arte, per sua natura in grado di facili-tare il contatto con qualità creative in molticasi messe a dura prova dalla consuetudinecon patologie gravi.In questo senso l’arte, per la medicina nell’età del-la tecnica, è indubbiamente un dispositivo sem-pre più necessario per la qualità delle cure, che èil risultato finale, come ormai dimostrato in lette-

ratura, non solo delle ca-pacità del singolo ma delbuon clima relazionalenei gruppi di lavoro e dal-le correnti empatiche chelo attraversano.

Una consapevolezza questa, maturata nelle ri-cerche sui gruppi istituzionali e già presente ne-gli scritti illuminanti dello psichiatra e filosofoKarl Jaspers che, in una serie di saggi degli anniCinquanta, ricorda come la medicina senzaascolto e capacità di immedesimazione si riduceal biologico, guarda al Korper non compren-dendo il Lieb, l’esperienza del corpo vissuto.Sin dalla sua costituzione “Arte in ospedale” èluogo di ricerca e di sperimentazione interdisci-plinare, grazie all’incontro di sensibilità diffe-renti nel campo dell’arte e della cura: operatoridell’azienda ospedaliera, conduttori di atelier te-rapeutici, docenti e studenti del biennio speciali-stico in “Teoria e pratica della terapeutica arti-stica” dell’Accademia di Belle Arti di Brera efigure di varia competenza disciplinare impe-gnate nell’articolato contesto dell’ “arte e psi-chiatria” e della cosiddetta Outsider Art, con

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NASCONO L’ATELIER “ARTE IN OSPEDALE”E LE SUE INIZIATIVE, PROGETTATE IN STRETTACOLLABORAZIONE CON GLI OPERATORIRESPONSABILI DELLE ATTIVITÀ FORMATIVE [...]E CON UNA RETE ESTESA DI FIGURE TECNICHE EDAMMINISTRATIVE DELL’AZIENDA OSPEDALIERA.

Foto 1, Giorgio Bedoni,

Schizzo autografo di Cristoforo Colombo dell’isola di Hispaniola,1492.

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frontiere mobili dello sguardo visionario, debi-trici di concezioni “primitiviste” 3 fatte propriedalle avanguardie storiche o, piuttosto, realizza-te nell’isolamento dell’outsider, ai margini dun-que, degli scenari riconosciuti dell’arte. O, infi-ne, di una produzione artistica saldamenteintrecciata alla cultura di un popolo e ai suoimiti fondativi: è questo il caso della pittura abo-rigena, delle sue cartografie che propongono iltema centrale dell’identità e dei luoghi antropo-logici ad essa connessa.Il Dreamtime, “il Tempo del Sogno”, concezio-ne aborigena dell’ordine fisico e spirituale dell’u-niverso, rivive nell’opera pittorica, che riprendenelle sue forme miti ed esseri ancestrali.Un’arte ad alto contenuto spirituale e memoriavisiva 4 di un popolo, non riducibile, se nonperdendone il senso, ad una sorta di puntini-smo etnico.

L’arte aborigena, come ha scritto FrancescoPorzio 5 è un fenomeno che per la sua unicità in-terroga a diversi livelli le culture occidentali e,per questa ragione, di straordinario interesse perl’esperienza nata dentro un contesto di cura chevive di identità sottoposte a sempre nuove ridefi-nizioni e dinamiche.“Tracce di sogno” si nutre di queste suggestioni:l’arte pittorica aborigena, gli arazzi afgani diAlighiero Boetti e, prima di lui, “le deambula-zioni surrealiste” compiute da Breton e compa-gni nel 1924, attraversamenti erratici e vaga-bondi di territori scelti dalla pura casualità,sorta di esplorazioni e di percorsi automatici “aiconfini tra la vita cosciente e la vita di sogno” 6.E poi ancora, le mappe: il Surrealismo, che ve-deva nella strada il suo vero elemento, non pote-va che produrne di nuove, dilatando e piegandoalle proprie visioni esperienze culturali altre: co-

GIORGIO BEDONI

“la loro magia”. Il viaggio è, dunque, attraver-samento e possibile deriva che solo le linee im-maginarie della cartografia possono talvoltacontenere: follia ben temperata, come nelleesperienze dell’arte. “Lasciate la preda perl’ombra” 1, scriveva, infatti, nel 1922 AndréBreton, invitando al viaggio come spaesamentoe conoscenza vera tra lerighe della ragione. Oforse il vero viaggio, perironia, se non per costri-zione, è quello compiutoin abiti da camera, den-tro le pieghe talvolta fra-gili dell’identità, in luoghi che ci affannano edalle geografie ben note, come ci raccontano leopere degli irregolari dell’arte: costruttori dimappe visionarie a chilometro zero per necessi-tà, come nel caso delle cosmogonie di AdolfWolfli, nate nell’assenza di stanze manicomiali,oppure figlie di un esotico intravisto e poi im-maginato, quello che Henri Rousseau, “Il Do-ganiere”, trova e dipinge non nell’incanto dei“Mari del Sud” ma al Jardin des Plantes di Pa-rigi, l’orto botanico di una città cosmopolita.Da queste sparse rif lessioni nasce “Tracce disogno”, opere collettive concepite da intuizio-ni cartografiche che conservano nel segno enella trama le traiettorie “di viaggio” di ognisingolo autore. Opere realizzate negli spazidella cura da chi si occupa di cura, convintiche le buone pratiche terapeutiche siano pro-fondamente connesse con la qualità esteticadei luoghi che le ospitano.In questo senso, l’ospedale, è un luogo per l’ar-te, se il processo estetico attivato contribuiscead abitare spazi, se facilita percorsi che trasfor-

mano i luoghi da praticati in vissuti, aperti,quanto possibile, a buone correnti empatiche erelazionali. Non solo: l’arte in ospedale per esse-re realmente un processo trasformativo deveanimare gli spazi, facendo, letteralmente, arte“dentro”, coinvolgendo a vario titolo in modocreativo operatori e fruitori. Un percorso que-

sto, diverso dalla pura ri-cezione di opere realiz-zate altrove, operazioneche pur sollecitata da no-bili intenti, soddisfa inmolti casi funzioni pura-mente decorative.

“Tracce di sogno” è un nucleo di opere natelontane da musei e rif lettori, tuttavia dentrouna storia contemporanea che aggiorna gliscenari collettivi, da non luoghi, titolo fortuna-to di un famoso saggio dell’antropologo MarcAugé, a possibili spazi per l’esperienza creati-va e per l’arte.Come, in fondo, era alle origini, quando già inepoca medioevale ospedali quali Santa MariaNuova a Firenze e Santa Maria della Scala aSiena si erano costituiti come autentici poli cul-turali cittadini, grazie ad una committenza laicae religiosa che ne arricchiva di opere gli spazi in-terni ed esterni 2.

Mappe/Carte ■

La cartografia artistica del Novecento e dell’e-poca contemporanea rende visibile un ricco re-pertorio di mappe, figlie di geografie reali piega-te alle ragioni di una poetica o, al contrario,derivate da bisogni d’espressione radicati in mi-tologie private e in riti condivisi.Si tratta, in molti casi, di opere concepite sulle

“Arte in ospedale”6

IL VIAGGIO È, DUNQUE, ATTRAVERSAMENTOE POSSIBILE DERIVA CHE SOLO LE LINEEIMMAGINARIE DELLA CARTOGRAFIA POSSONOTALVOLTA CONTENERE: FOLLIA BEN TEMPERATA,COME NELLE ESPERIENZE DELL’ARTE.

Foto 3, Giorgio Bedoni, Jack Tjakamarra Ross, Comunità Yuendumu, Kangaroo,

Fire and Rain Dreaming, 2003, collezione privata.

Foto 8, Giorgio Bedoni, Ismael, 6 anni, Comunità Yuendumu,

senza titolo, s.d., collezione privata.

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Un viaggio nel tempo, il suo, sempre avanti ma,infine, a ritroso nella storia d’Occidente, perchéin quelle forme circolari a cui Wolfli affida lapropria rinascita ritorna l’immagine cartografi-ca di cosmogonie medioevali.

Una imago mundi che sopravvive nel tempo,sorta di memoria visiva che attraversa le tramedei processi storici e del senso: Nachleben, so-pravvivenza dell’immagine come suggerito dalleintuizioni di uno storico eterodosso come AbyWarburg, sopravvivenza che permette di scor-gere un cuore tensivo comune in opere lontaneper tempo e tradizione, non già e solo nel conte-nuto, sensibile alle contingenze e alla storia, manelle dinamica stessa delle forme e del gesto.Così è forse possibile intravvedere un cuore ten-sivo comune nelle cosmogonie di sante visiona-rie medioevali come Ildegarda di Bingen quan-to nelle produzioni di Wolf li o, in quelle diautentici outsider contemporanei, come il grecoApostolos Psaromiligos che, nell’isola cicladicadi Folegandros, è autore sul tetto della propriacasa di un’opera assoluta, profondamente anco-rata alla luce e ai colori dell’Egeo, ai suoi stessi

GIORGIO BEDONI

sì nel 1929 la rivista belga “Variétés” pubblicauna carta del mondo, forse disegnata da YvesTanguy 7, nella quale le linee di confine e le stes-se dimensioni dei continenti variano di propor-zione, assecondando la portata ideale del viag-gio che assegna grande valore alle esperienzecreative dei popoli extra-europei. Con una dis-creta dose di ironia anticolonialista e di gustodel paradosso: l’Europa infatti rimpicciolisce,Parigi giganteggia, crescono invece a dismisuraaltri mondi tra i quali spicca il blocco esotico dei“Mari del Sud”, la cui arte, scrive Breton, “è te-stimonianza di una portata intellettuale e mora-le ben altrimenti estesa” 8.

Negli stessi anni delle sperimentazioni surrealistealtre mappe vedranno la luce in contesti del tuttoestranei alla cartografia tradizionale, negli ospe-dali psichiatrici. Opere nate nell’ombra di istitutiasilari, come nel caso esemplare di Adolf Wolfli,narratore, musicista e illustratore, oggi considera-to uno dei maggiori ambasciatori della cultura el-

vetica, che compie la sua traiettoria artistica edumana nei primi anni del Novecento a Waldau,l’ospedale psichiatrico di Berna, sino alla morteavvenuta nel 1930. Se, come scrive Marc Augè, illuogo antropologico è il luogo del senso, tutta l’o-pera labirintica e monumentale di Wolfli ci rac-conta di questa ricerca, nell’assenza di una vitavera e nella perdita di uno spazio esistenziale: co-sì, nell’oblio di una storia manicomiale egli si affi-da alla coda nebulosa di una cometa per riacciuf-fare il suo passato, dando vita ad una cartografiavisionaria che sempre vede al centro l’urgenza diun ritorno al “paradiso perduto” della sua infan-zia, Berna, città idealizzata ed epicentro su quelle

sue tavole di viaggistraordinari nel cuo-re d’Europa e agliestremi del mondo.La cartografia delNovecento è, dun-que, luogo di volon-tario spaesamentocome nel caso delSurrealismo e, al con-tempo, di praticheidentitarie: Wolf li,che era “nessuno” si

affida all’arte per divenire “uno” e molti, come inarratori della tradizione, inventandosi una iden-tità fittizia ed un sistema espressivo totale e sine-stesico fatto di musiche e canti, parole e immagi-ni. Se il Surrealismo cerca nel viaggio l’anima delveggente, Wolfli troverà, invece, nella sua geogra-fia un metodo e, nelle sue note forme a Mandala,un centro ordinatore, costruendo mappe analiti-che della città di Berna, cuore pulsante della suaparabola biografica.

“Arte in ospedale”8

Foto 2, Mappa Surrealista del mondo,

pubblicata dalla rivista belga Variètès nel 1929.

Foto 4, Giorgio Bedoni, Berna vista dall’alto. Foto 5, Giorgio Bedoni, Adolf Wolfli, Pianta di Berna: il campo della

chiesa, 1916, Kunstmuseum (Berna) Fondazione Wolfli, particolare.

Foto 7, Giorgio Bedoni, Ildegarda di Bingen, L’uomo nel piano

della creazione divina, 1230 circa, Lucca, Biblioteca Governativa.

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GIORGIO BEDONI

“Arte in ospedale”10

miti fondativi: un luogo antropologico per eccel-lenza, dunque, dove tra varie installazioni, aconferma del Nachleben warburghiano, cam-peggia sul tetto della casa una croce rovesciataracchiusa in un cerchio ed una scritta senz’om-bra “la croce vince su tutto”. Un insieme a sug-gerire una imago mundi che trova le sue origininelle cartografie medioevali, in quelle mappe aforte valenza simbolica chiamate “T-O”, Terra-rum Orbis, nelle quali Gerusalemme era postaal centro e il Mediterraneo veniva rappresenta-to dal tratto verticale della lettera T tra i tre con-tinenti, Europa, Africa, Asia, a loro volta chiusientro il grande oceano definito dalla O.

Arte in ospedale, l’irregolare dell’arte ■

“Tracce di sogno” nasce come viaggio interno,sostenuto dall’idea che l’esperienza dell’arte, al-dilà di funzioni “consolatorie” che molti, non atorto, le attribuiscono, sia un dispositivo neces-sario per prendersi cura di sé e per affacciarsi almondo, in certi casi la materia stessa per acqui-sire le capacità potenziali di sentire e di pensare,come ben conosceva dal suo osservatorio clinicolo psicoanalista britannico Donald Winnicott. Un viaggio praticato all’interno di spazi identi-

tari ben individuati, contaminati da linguaggialtrettanto forti quali sono quelli dell’arte, chefanno della conoscenza una vicenda sospesa traprogetto e intuizione: l’intuizione del rabdo-mante, sempre in caccia di sorgenti sotterranee,una conoscenza che talvolta illumina, visionariae irregolare, animata dagli scarti dell’imprevistoe del possibile, come nelle migliori tradizioni delNovecento.L’irregolare dell’arte, come possiamo concepirlooggi, è, in fondo, l’eredità di una grande storiatardo-romantica e di quel vasto archivio dell’im-maginario realizzato spontaneamente lungo imargini delle culture occidentali da artisti “per

caso” o per necessità, oscuri visionari, outsidered ospiti degli asili manicomiali, tutti figli di undio minore tuttavia protagonisti di quella rotturadei linguaggi convenzionali che è all’origine dellanostra modernità, come aveva ben compreso inun testo ormai classico Michel Foucault.“Tracce di sogno” è debitrice di queste storie, diquegli “irregolari” che l’artista francese Jean Du-buffet aveva riportato alla luce nel 1945 nel se-gno dell’Art Brut, in aperto antagonismo rispettoall’arte cosiddetta “culturel” e “regolare” 9.

In tutt’altra cornice già nel marzo del 1923,Aby Warburg mostrava la medesima insoffe-renza per una “storia dell’arte estetizzante”,incapace a suo dire di comprendere l’immagi-ne “come un prodotto biologicamente neces-sario” 10. Aldilà delle differenti interpretazioniproposte dalla letteratura su questo scritto,nato dal ricordo del viaggio compiuto pressogli indiani Hopi nel 1895, appare evidente ilbisogno di Warburg di collocare l’immaginedentro i processi, anche mentali, della sua co-struzione e all’interno di culture e tradizioniche ne permettano una sorta di fondazioneantropologica.

Il discorso di Warburg è, per certi versi, di gran-de interesse per le attività artistiche nei luoghi dicura, rafforzando infatti la convinzione che l’e-sperienza estetica sia per sua natura irriducibil-mente polisemica. Oltre, dunque, la sola dimen-sione formale, che per Warburg portava “aduno sterile chiacchiericcio” 11: aldilà anche dellariduzione dell’immagine a pura dimensione psi-cologica sottoposta a congetture interpretativetroppo stringenti che dimenticano quanto l’e-sperienza dell’arte sia, in prima istanza, un dia-logo con la materia, personale e riflessivo primaancora di divenire relazione con l’altro. Dialogo con i linguaggi, con l’informe, con ilcorpo e le dinamiche sensoriali che vengonoattivate. “Dentro” gli ateliers d’ospedale l’arteè un paradosso fecondo, che si svolge in gran

Foto 10, Giorgio Bedoni, Apostolos

Psaromiligos, isola di Folegandros, la casa.

Foto 11, Giorgio Bedoni, Apostolos

Psaromiligos, isola di Folegandros, particolare.

Foto 13, Giorgio Bedoni, T-O carta

cristiana del mondo, 1472.

Foto 6, Carlo Zinelli, cavallo e stella neri

su sfondo biancho e azzurro, 14 maggio 1967, collezione privata.

Foto 9, Giorgio Bedoni,

Tracce di sogno, 2011, particolare.

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GIORGIO BEDONI

“Arte in ospedale”12

parte in quello spazio virtuale situato tra ilnostro mondo interno e la realtà fenomenica:una grande illusione, dunque, tuttavia con-creta e a maggior ragione necessaria quandomaturata tra sguardi sfuggenti di corsie d’o-spedale e appassionata partecipazione. Un’e-sperienza aperta al viaggio e all’avventurache, prendendo a prestito le parole di JeanDubuffet, “dovrebbe sempre farci ridere unpoco, e spaventarci un poco”. ■

NOTE

1) André Breton, 1922, “Piantate tutto”,In: I Surrealisti, a cura di Arturo Schwarz,Mazzotta, Milano, 1989.

2) Su questi temi si veda il saggio di CorradoMarcetti “Un tema antico, una propostamoderna” in: Arte e ospedale. Visual art inhospital, a cura di Mimmo Roselli, FondazioneGiovanni Michelucci, Firenze, 1999.

3) Sulla nozione di “primitivismo”, natain pieno Ottocento e su quella di arte etnicasi vedano i volumi “La Collezione Brignoni.Museo delle Culture città di Lugano”, primovolume, Arte per metamorfosi, a cura diFrancesco Paolo Campione, Mazzotta,Milano, 2007, e “Primitivismo nell’arte delXX secolo. Affinità fra il tribale e ilmoderno”, a cura di William Rubin, trad. it.Mondadori, Milano, 1985.

4) 2006. Non solo memoria ma anchepensiero visivo: in merito a questo tema inuna conversazione del 2005 Gillo Dorfles miricordava che “Il pensiero visivo l’ho sempreconsiderato decisivo non solo per l’estetica ma,anche, per la psicologia. L’ho sempreconsiderato importante poiché è un tipo dipensiero non logocentrico dunque, permettedi sviluppare concetti e pensiero senza bisognodi ricorrere al medium verbale”; in: Arte epsichiatria. Conversazione con Gillo Dorfles,di Giorgio Bedoni (collaborazione di LuciaPerfetti), Ar-té, n. 0, edizioni Cosmopolis,2006.

5) In: DIRRMU. Dipinti aborigeni per unacollezione, a cura di Francesco Porzio, Skira,Milano, 2006.

6. In: Andrè Breton, Entretiens, a cura diA. Parinaud, 1952, trad. it. Erre Emme,Roma, 1991.

7) Come sostenuto nel saggio “L’onore deifunamboli. Risposta a Jean Clair sulsurrealismo”, in: Jean Clair-Regis Debray,Processo al Surrealismo, Fazi, Roma, 2007.

8) In: André Breton (1957), L’arte magica,Adelphi, Milano, 1991.

9) Sulla nascita dell’idea di “arte irregolare”si veda lo storico saggio di Jean Dubuffet in:L’Art Brut préféré aux arts culturels, Paris,René Drouin, 1949.

10) In: Ernst H. Gombrich (1970),Aby Warburg. Una biografia intellettuale,Feltrinelli, Milano, 1983.

11) In: E. Gombrich, op.cit.

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L’intervento musicoterapicoin HospiceEMANUELA ANZANI Musicoterapista, Lecco

“Cos’ha la morte che non va? Di cosa abbiamo cosìmortalmente paura? Perché non trattare la mortecon un po’ di umanità e dignità e decenza e, Dionon voglia, persino di umorismo. Signori, il veronemico non è la morte; vogliamo combattere le ma-lattie? Combattiamo la più terribile di tutte: l’indif-ferenza. (...) La missione di un medico non deve es-sere solo prevenire la morte, ma migliorare la qualitàdella vita. Ecco perché se si cura una malattia o sivince o si perde; se si cura una persona vi garanti-sco che, in quel caso, si vince, qualunque esito ab-bia la terapia”

da Patch Adams, 1998

L’intervento musicoterapico in Hospice: su que-sto tema verte la tesi discussa nel febbraio 2011per la scuola triennale di Musicoterapia del Cen-tro di Formazione nelle Artiterapie di Lecco.Nel corso della ricerca pongo alcune riflessionisu come la musicoterapia possa rientrare tra lecure palliative e su come la musica possa diven-tare un agente terapeutico. Dopo una panora-mica su esperienze este-re di musicoterapia negliHospice e su una seriedi studi svolti in meritocon l’obiettivo di verifi-care se l’intervento mu-sicoterapico possa mi-gliorare la qualità della vita, metto in luce unconfronto tra l’esperienza italiana ed estera, cer-cando di delineare i tratti che permettono diproporre un intervento in Hospice, nella consa-pevolezza che si opera in ambito sperimentale.L’intervento di musicoterapia recettiva rivolto apazienti malati in una situazione cronica e fine

vita, comporta la presa in carico di persone chenecessitano di una relazione nutriente, calorosa,confortante. Infatti, nel caso di una situazionecosì delicata la prima cosa importante è creareuno spazio sonoro/musicale rassicurante, “unbagno sufficientemente cullante con l’ausilio dimusiche familiari al paziente”.1 È necessario co-struire un’alleanza terapeutica, accogliere il pa-ziente e sollecitare un coinvolgimento emotivo,sostenendo una maggiore consapevolezza delproprio mondo interno aprendo nuovi canali dicomunicazione.L’intervento musicoterapico tra le cure palliativedeve tenere in considerazione che la relazionenon si gioca solo tra terapista e paziente, ma c’èun terzo elemento che più di ogni altri detta leregole, ed è la malattia con il suo rapido decorsoe tutte le problematiche che porta con sé.La persona malata ricoverata nella struttura vi-ve uno stato fortemente disarmonizzato, il suomodo di rapportarsi con gli altri è solitamenteproblematico, in quanto la relazione di per sé èproblematica, indipendentemente che senta

dolori o meno, ma per-ché la condizione di ter-minalità è presente psi-cologicamente; è forte ilrischio di non sentirsi in-tegrato, sentirsi personei sentimenti, non sen-

tirsi più se stesso. C’è sempre da tenere presentela persona che rimane se stessa, anche nel letto,qualunque sia la malattia e qualunque sia la suacondizione fisica.Nonostante sia possibile attuare un interventomusicoterapico in Hospice, con tutte le peculia-rità che gli appartengono, emergono problema-

14tiche che non lo impediscono, ma di cui è im-portante parlare e che il musicoterapista devetenere in considerazione nell’attuazione del pro-prio intervento.Innanzitutto si lavora nella dimensione della pre-carietà; un elemento che gioca un ruolo impor-tante è il fattore tempo, determinato dalla situa-zione di terminalità del paziente; l’intervento devetener conto del tempoche non si può determi-nare in anticipo, si sa chequasi sempre è poco (inmedia la degenza in Ho-spice è di 13/14 giorni);non è possibile fare progetti a medio/lungo ter-mine, ma questo non deve creare ansia o rinun-cia di intervento. È bene non lasciare questioniin sospeso tra una seduta e l’altra, ma conclude-re ogni seduta, con la propria ricchezza emoti-va, come se fosse l’ultima.Inoltre il tempo per i pazienti terminali è stretta-mente legato al limite, alla fine ed è importanteche anche il musicoterapista ne abbia consape-volezza. La preoccupazione del poco tempo adisposizione per instaurare una relazione signifi-cativa con il paziente, ricorda l’importanza dicalibrare la musica sulla singola persona e la ne-cessità di farlo in poco tempo: entrare in relazio-ne immediatamente, sin dal primo incontro ri-mane fondamentale per ottenere benefici.Le poche sedute a disposizione per conoscere ilpaziente rendono complesso verificare e colle-gare se le piccole risposte corporee possono es-sere messe in relazione ad una caratteristicaformale dei brani proposti. È essenziale una ri-levazione puntuale del contatto che sta funzio-nando di più e di conseguenza agire sul range

di caratteristiche sonore (attivanti, rilassanti oemotive).Uno dei primi aspetti evidenti e particolari inquesto contesto, riguarda il setting, che non è al-tro che la stanza del paziente non essendo possi-bile una stanza per l’intervento. Le stanze singo-le sono generalmente ben disposte e luminose,viene assicurata una certa privacy, per cui è pos-

sibile non essere distur-bati durante la seduta;ma è importante consi-derare che, per quantoconfortevole, è sempreuna stanza di un Hospi-

ce. Se si pensa, però, che il setting non è solo lospazio fisico, ma una cornice spazio-temporale-comportamentale, è comunque possibile parla-re di setting considerando gli strumenti per iltrattamento, la dimensione temporale ed il tera-peuta con il suo stato mentale e la disposizionead un ascolto empatico.Un’altra dimensione su cui riflettere è l’aspettoverbale: la parola esprime significati, ma puòanche essere usata come difesa per non affron-tare il discorso. Generalmente la parola è in-terpretata, ma nel nostro caso il musicoterapi-sta non interpreta, non chiede e non si chiededel perché delle parole emerse, ma rimane sulversante sonoro/musicale. Il paziente può cen-trare più l’aspetto della parola o quello dellamusica; in qualsiasi caso il musicoterapista de-ve collegare le emozioni alle caratteristiche delbrano e cercare di creare una pista sonora chesviluppi le emozioni emerse. Alla dimensioneverbale si accompagna la gestualità e tutti i se-gnali della comunicazione non verbale (sguar-do, posture, apertura e chiusura degli occhi,

È NECESSARIO COSTRUIRE UN’ALLEANZATERAPEUTICA, ACCOGLIERE IL PAZIENTE ESOLLECITARE UN COINVOLGIMENTO EMOTIVO,SOSTENENDO UNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZADEL PROPRIO MONDO INTERNO APRENDONUOVI CANALI DI COMUNICAZIONE.

È ESSENZIALE UNA RILEVAZIONE PUNTUALEDEL CONTATTO CHE STA FUNZIONANDO DI PIÙE DI CONSEGUENZA AGIRE SUL RANGEDI CARATTERISTICHE SONORE (ATTIVANTI,RILASSANTI O EMOTIVE).

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do interiore. Ogni persona può manifestarsiben oltre la malattia, in uno spazio di ascolto eaccudimento che diventa importante per chisoffre. La musicoterapia offre una dimensionedilatata, in cui il tempo non è scandito dai se-condi, ma dall’intensità dell’incontro con l’al-tro, in cui il malato si sente accolto e compresoanche nelle parti più difficili di sé, dalla rabbiaal rifiuto, dal dolore alla sofferenza, dalla chiu-sura all’incomunicabilità.Operando in un ambito delicato e particolare, èdifficile fare una valutazione del proprio opera-to, nonostante il musicoterapista stenda, dopoogni seduta, protocolli che delineano ciò che av-viene negli incontri, le evoluzioni e gli aspetti si-gnificativi.È difficile definire criteri di valutazione standar-dizzati, se si considera che gli obiettivi delle curepalliative sono centrati sulla qualità della vitadel paziente e sul suo be-nessere psicofisico, lepatologie trattate sonodifferenti e le condizionigenerali del pazientecambiano rapidamente.Per valutare un intervento musicoterapico è ne-cessario osservare i cambiamenti del paziente(progresso, mantenimento o regressione) e le sueverbalizzazioni. Gli indicatori di tipo qualitativoriguardano la riduzione di tensione muscolare(viso disteso, respiro regolare), il miglioramentodel tono dell’umore, la presenza di atteggiamentidi apertura verso l’altro (presenza del sorriso,contatto visivo, disponibilità a comunicare), la ri-duzione del dolore (percezione soggettiva), la di-minuzione delle chiamate agli operatori, la ridu-zione dell’ansia e il contenimento della sofferenza

psicologica (riferiti dal paziente), la soddisfazionepersonale e la disponibilità a proseguire le sedute.Rimane aperta la questione di come quantifica-re la relazione, per dare anche scientificità alproprio operato, anche se si opera in un campopiù umanistico che scientifico. È importanteavere chiari gli obiettivi iniziali e confrontarlicon gli elementi emersi dalla rilettura dei proto-colli alla fine del trattamento: si oscilla tra unadimensione qualitativa, legata alla relazione, e,quindi, percepibile, comunicabile ma non misu-rabile, ed una dimensione quantitativa, esplici-ta, con risultati confrontabili, indispensabile perfar sì che l’intervento non sia solo frutto di unainterpretazione personale.Il tema dell’applicazione della musicoterapia nelcampo delle cure palliative solleva molti interro-gativi per quanto riguarda gli obiettivi e le moda-lità di intervento più idonee a questo ambito. È

certo che la musicotera-pia fa parte di quegli in-terventi terapeutici chepossono rinforzare gliaspetti intrapsichici e in-terpersonali della perso-

na malata e prendere in carico i sintomi correlati(dolore, ansia, depressione, isolamento sociale…).Questo presuppone una presa in carico globaledel malato, sia degli aspetti fisici che psicologicied emotivi correlati alla malattia al fine di garan-tire un livello accettabile di qualità della vita.In Italia l’introduzione della musicoterapia negliHospice è un processo abbastanza recente e noncomune a tutte le strutture; chi vi opera, infatti,opera nell’ambito della sperimentazione, pur se-guendo linee guida comuni ad ogni interventodi musicoterapia. Esistono molte carenze dal

EMANUELA ANZANI

movimenti…) importanti da tenere in consi-derazione durante l’intervento.Una variabile particolare dell’intervento, è lapresenza nella stanza di una terza persona (fami-liare o amico) durante la seduta di musicotera-pia: cambia la strutturazione del setting, le regolesono diverse da un in-contro a due, in quantola persona presente èpartecipante, anche seappare osservatore. Èbene precisare che è im-portante che l’interventosia fatto solo con il pa-ziente, anche per dare maggior libertà di espri-mersi. A volte, però, può essere il parente chechiede di partecipare per supportare il malato, inrealtà spesso sostituendosi ad esso; oppure è ilpaziente stesso che chiede la presenza di un pa-rente per elaborare con lui alcune questioni. In

generale è bene essere flessibili e dare tempo perle risposte che sono diverse da paziente a pazien-te; bisogna sempre tener presente che dietro adogni persona c’è un progetto individuale nel qua-le queste variabili possono prendere significato.Rif lettendo, inoltre, sul senso dell’intervento

musicoterapico con ma-lati terminali, questo èdato dall’incontro e dal-la condivisone della di-mensione emozionale,incontro che consentel’accompagnamento fi-no alla fine attraverso il

suono e la nostra presenza. Nella progressionedella malattia la musica diventa un mezzo peruscire dall’isolamento, dal dolore, distrarsi dapensieri ossessivi e pesanti, scoprire e arricchirsidi nuove espressioni musicali, esprimere, secon-do quanto possibile a ciascuno, il proprio mon-

L’intervento musicoterapicoin Hospice

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PER VALUTARE UN INTERVENTO MUSICOTERAPICOÈ NECESSARIO OSSERVARE I CAMBIAMENTIDEL PAZIENTE (PROGRESSO, MANTENIMENTO OREGRESSIONE) E LE SUE VERBALIZZAZIONI.

NELLA PROGRESSIONE DELLA MALATTIALA MUSICA DIVENTA UN MEZZO PER USCIREDALL’ISOLAMENTO, DAL DOLORE, DISTRARSIDA PENSIERI OSSESSIVI E PESANTI, SCOPRIRE EARRICCHIRSI DI NUOVE ESPRESSIONI MUSICALI,ESPRIMERE, SECONDO QUANTO POSSIBILE ACIASCUNO, IL PROPRIO MONDO INTERIORE.

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che da parte del paziente, musiche che ascoltaanche da solo e che possono essere date ancheai familiari; produzione di musica dal vivo condiverse tecniche che sti-molano la dimensionedel ricordo (life-review;listening to music);composizione di canzo-ni del musicoterapista edel paziente, a volte digetto, come un’improv-visazione (quest’ultima tecnica in Italia non èassente, ma non è ancora stato fatto un lavorodi strutturazione); free improvisation therapy(in Italia poco usata a causa delle gravi condi-zioni dei pazienti).Nell’esperienza tedesca è maggiormente presen-te l’ascolto di musica; suonare uno strumento;l’ascolto di produzioni sonore da parte del musi-coterapista con pianoforte o arpa, produzioni incui prevale meno l’aspetto dell’improvvisazione,a favore di una continua ripetizione musicaleche accompagna alla morte.In ambito americano sono stati riportati deglistudi e non resoconti di esperienze continue dimusicoterapia tra le cure palliative. Si evidenziacomunque una complessità e varietà di tecnicheutilizzate, a volte di difficile interpretazione, inquanto, essendo degli studi, l’attenzione è piùverso le procedure e la verificabilità degli obietti-vi prefissati, non soffermandosi sulla descrizionenel dettaglio delle tecniche utilizzate.Emerge in proposito, così come per ogni tipo diintervento musicoterapico, la questione dellavalutazione, in quanto non esistono scale di va-lutazione prettamente musicoterapiche, ma lapositività o meno dei risultati dell’intervento la si

deduce da altre scale di valore e dai tests sotto-posti ai pazienti che evidenziano un migliora-mento della qualità della vita. Inoltre, essendo

l’intervento individualiz-zato a seconda delle con-dizioni e delle necessitàdel paziente, non è pos-sibile una riproducibilitàsu ampia scala; esistonomolte variabili per cui,per certi aspetti, è come

se ogni esperienza fosse a sé stante.L’insieme di questi fattori che portano una certavarietà, non esclude che vi siano elementi comuniad ogni intervento, punti fissi che accomunano gliinterventi musicoterapici realizzati in Hospice, siain ambito italiano, che estero. Innanzitutto la mu-sicoterapia si inserisce all’interno delle cure pallia-tive e vi è una visione ben chiara e comune a ri-guardo, sia nella considerazione del malato comepersona, sia come modalità di accostarsi a perso-ne che necessitano di non essere sole, ma di essereaccompagnate alla morte; la cornice entro cui ci simuove è veramente comune ad ogni esperienza,così come l’atteggiamento del musicoterapista,che, come tutte le altre figure professionali, deveavere le qualità e accortezze nell’avvicinarsi e nellostare accanto al malato. Entrando più nel meritodel trattamento, elementi comuni riguardano gliobiettivi, alcuni dei quali rientrano nel quadro piùgenerale delle cure palliative; a seconda degli in-terventi ci si concentra più su alcuni aspetti che al-tri, ma riguardano sempre la dimensione fisica (ri-lassamento muscolare, percezione della soglia deldolore, qualità del sonno); la dimensione psicolo-gica (maggior equilibrio, contenimento della fra-gilità e dell’ansia, recupero della propria identità);

EMANUELA ANZANI

punto di vista della ricerca in questo ambito; inambito estero è più possibile trovare sia ricer-che, pur se sporadiche, che testimonianze diquesto tipo di intervento e la quasi totalità deglistudi dimostra un riscontro positivo dell’inter-vento musicoterapico.La letteratura è ricca di studi a carattere qualita-tivo sulla relazione tra interventi musicoterapicie cure palliative, ma il numero di studi a caratte-re quantitativo è ridotto.Le tecniche musicoterapiche presentate varianomolto a seconda dei pazienti cui è rivolto l’inter-vento e non sempre si trova una descrizione det-tagliata delle tecniche utilizzate, a volte di diffi-cile comprensione.Ciò che accomuna ogni tipo di intervento è lastruttura in sedute individuali, in cui il musicotera-pista può più efficacemente agire sull’aspetto rela-zionale, rinforzando l’individualità e le caratteri-stiche specifiche di ogni paziente a favore di unpossibile cambiamento interno secondo una pro-spettiva terapeutica. Il numero di sedute è sempreesiguo e non consente di pensare al trattamento insenso strettamente tera-peutico, ma come inda-gine sugli effetti imme-diati dello stesso.La tipologia di pazientinon consente di porsiobiettivi a lungo termine, ma una maggiorestrutturazione dell’intervento, con sedute a ca-denza trisettimanale, potrebbe essere una risorsaper prolungare gli effetti benefici e accompagna-re il paziente nella fase terminale della vita.Il punto comune tra le esperienze italiane edestere di musicoterapia riguarda la finalità del-l’intervento: le creazione di una relazione tera-

peutica attraverso il parametro sonoro/musicale,o meglio attraverso una vicinanza ed una pre-senza discreta facilitata dall’elemento sono-ro/musicale. La persona malata va accompa-gnata anche solo con la propria presenza, dimo-strando di essere disponibili ad una condivisio-ne, a volte anche stando in silenzio, se neces-sario; il silenzio può essere carico di significati,anche se non è dato sapere quali, ma di certo so-no significativi per il paziente in quel momentodelicato e particolare della sua vita, fanno partedella sua vita ed è importante saperli accettare.Così come la musica, i silenzi sono la colonnasonora della vita e con una presenza di ascolto eproposte musicali si può accompagnare il pa-ziente anche negli ultimi momenti della vita.Nelle esperienze estere, addirittura, il musicote-rapista accompagna fino alla morte con il cantoseguendo il respiro del malato.Una prima nota da sottolineare dopo un con-fronto di diverse esperienze, è che in Italia siusa maggiormente, se non esclusivamente, unintervento di tipo recettivo, mentre all’estero

vengono utilizzate varietecniche, tra cui quellaimprovvisativa e com-positiva. In realtà nelladocumentazione esteranon è sempre chiara la

procedura dell’intervento e le fasi del tratta-mento seguite; vengono maggiormente de-scritte le tecniche, ma non in modo dettaglia-to, per cui può risultare approssimativa anchesolo la traduzione dei termini diversi da un’e-sperienza ad un’altra.In particolare nell’esperienza anglosassone letecniche utilizzate riguardano la scelta di musi-

L’intervento musicoterapicoin Hospice

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COSÌ COME LA MUSICA, I SILENZI SONOLA COLONNA SONORA DELLA VITA E CON UNAPRESENZA DI ASCOLTO E PROPOSTE MUSICALISI PUÒ ACCOMPAGNARE IL PAZIENTE ANCHENEGLI ULTIMI MOMENTI DELLA VITA.

...LA MUSICOTERAPIA SI INSERISCE ALL’INTERNODELLE CURE PALLIATIVE E VI È UNA VISIONEBEN CHIARA E COMUNE A RIGUARDO, SIA NELLACONSIDERAZIONE DEL MALATO COME PERSONA,SIA COME MODALITÀ DI ACCOSTARSI A PERSONECHE NECESSITANO DI NON ESSERE SOLE,MA DI ESSERE ACCOMPAGNATI ALLA MORTE...

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pensiero c’è ancora qualcosa che stride; proba-bilmente per cultura non si riesce a considerarela terapia e la morte insieme. E allora torna lam-pante il concetto di accompagnamento, dove lamusica è solo uno dei tanti elementi che creaquesta culla avvolgente, crea una grande fune al-la quale aggrapparsi e dondolare tra il propriopassato, il presente ed il futuro imminente e sco-nosciuto che nemmeno si riesce ad immaginare,ma al quale ci si affida e ci si adagia accompa-gnati dalla fune.La musica, inserita in una rete di interventi e re-lazioni, aiuta a creare quel “mantello” che pro-tegge e accompagna alla morte, facendo sentireil malato terminale vivo e carico di emozioni fi-no alla fine, degno di vita e amore sempre, qua-lunque sia il tempo rimasto. ■

NOTE

1) Gerardo Manarolo, L’angelo della musica,Omega Edizioni, 2002.

EMANUELA ANZANI

la dimensione sociale (maggior apertura relazio-nale, recupero del ruolo sociale).Un altro aspetto comune riguarda il setting, cheè in ogni caso la stanza del paziente, ma abbia-mo visto come questo non sia da ostacolo allarealizzazione dell’intervento, se non per la pre-senza di familiari che potrebbero rendere piùdifficoltosa la relazione, ma che d’altro canto inalcuni casi è stato l’ele-mento chiave per una ri-appacificazione con sestessi e con l’altro.In questo ambito si con-vive con la dimensionedel tempo legata allaprecarietà, per cui non è possibile fare lunghiprogetti, ma essere presenti nel tempo e per iltempo che ci è dato; da qui l’importanza diuna frequenza ravvicinata di sedute, preferibil-

mente a cadenza bisettimanale e, ove possibile,trisettimanale. In ogni intervento si cerca unamigliore qualità della vita, sia per gli aspetti fi-sici, che psicologici e sociali; si cerca una rela-zione profonda del paziente con se stesso e conchi gli è vicino, se disposto a farlo, al fine di ri-appacificarsi con la vita. Emerge spesso la di-mensione del ricordo: la musica aiuta a recu-

perare ricordi e vissutipositivi per recuperareil proprio passato e lapropria identità.È difficile parlare di tera-pia, termine che alludead una guarigione. Ma

se si pensa alla guarigione dello spirito, non delcorpo, della pace ritrovata, della possibilità di la-sciare serenamente i propri cari, allora la musi-coterapia potrebbe essere una terapia. Ma nel

L’intervento musicoterapicoin Hospice

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È DIFFICILE PARLARE DI TERAPIA, TERMINECHE ALLUDE AD UNA GUARIGIONE. MA SE SIPENSA ALLA GUARIGIONE DELLO SPIRITO, NONDEL CORPO, DELLA PACE RITROVATA,DELLA POSSIBILITÀ DI LASCIARE SERENAMENTEI PROPRI CARI, ALLORA LA MUSICOTERAPIAPOTREBBE ESSERE UNA TERAPIA.

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te le risorse disponibili come se fossero infinite.“La terra è ridiventata l’area chiave dei conflit-ti. È una risorsa limitata, che non è estendibile.I terreni fertili stanno scomparendo a una velo-cità che l’umanità non ha mai conosciuto pri-ma d’ora” Vandana Shiva.Credo che questo accada anche perché in que-sto modo di vivere si è acuito il senso di separa-zione, tra sé e gli altri, tra sé e il proprio ambien-te vitale, e anche nella percezione separata chesi può avere di mente, corpo e cuore.La Danza Terapeutica di Elena Cerruto è unodegli indirizzi della Danzamovimentoterapia incui l’atto creativo diviene possibilità di cambia-mento e di terapia. Questo metodo ha tra le sueradici occidentali sia la Modern Dance che l’e-sperienza di Maria Fux e tra le radici orientalila Medicina Tradizionale Cinese e lo Zen so-

prattutto per quanto riguarda il senso di non se-parazione tra corpo, mente, cuore. “...‘La Danza Terapeutica è la danza nella suaforma più semplice: il linguaggio delle emozioniprofonde’; nell’azione creativa della danza si rea-lizza un percorso di ‘trasformazione nella conti-nuità’, un cammino nella spiritualità del corpo.Lo spazio-tempo della danza in cui si mescolano ilsenso del limite e il sentimento della trascendenza,diviene un inesauribile viaggio di ricerca, con-fronto e crescita.” (R. Pascarella) 3

Grazie alla consapevolezza di una non separa-zione, danneggiare l’ambiente ed inquinarlo di-ventano atti rivolti non verso qualcosa di perce-pibile come esterno ma atti autolesionistici,ancora prima che negativi poco logici perché ri-volti verso sé stessi. L’approccio Zen aiuta a su-perare la visione dualistica della realtà lasciando

Danzamovimentoterapia:l’ecologia del corpo/cuore

TANIA CRISTIANI* Danzaterapeuta APID, animatore musicoterapista, Milano

“Da un punto di vista orientale la sofferenza vie-ne proprio dal credersi separati dal macrocosmo,dagli Elementi, in sintesi dalla triade Cielo/Ter-ra/Uomo. Danzare consapevolmente nel Cielo/Terra riporta l’uomo alla sua Verità. La dimen-sione ciclica nella ritualità del setting della Dan-za Terapia è fondamentale. Potremmo definirlacontinuità temporale ritualizzata. Il tempo inte-riore si ritualizza in una danza che prepara ilcorpo all’accoglienza e che è nello stesso tempo fi-ne e mezzo”.

Elena Cerruto

Potrebbe sembrare strano chiedersi che cosa hache vedere la danza con l’ecologia, eppure nelladimensione della danzamovimentoterapia èpossibile trovare una stretta connessione a parti-re proprio dalla definizione che ne dà l’Apid. 1

“La danzamovimento-terapia è una discipli-na specifica, orientataa promuovere l’inte-grazione fisica, emoti-va, cognitiva e relazio-nale, la maturità affettiva e psicosociale e laqualità della vita della persona.La specificità della danzamovimentotera-pia si riferisce al linguaggio del movimentocorporeo e della danza e al processo creati-vo quali principali modalità di valutazionee di intervento all’interno di processi inter-personali finalizzati alla positiva evoluzio-ne della persona.” 2

La necessità di intervenire nella direzione dipromuovere l’integrazione fisica, emotiva, co-gnitiva e relazionale è senza dubbio derivata da

un’analisi dei bisogni dell’utenza che rivela sem-pre di più un emergere di sofferenze, disagi evissuti affaticati, legati spesso alla difficoltà di vi-vere uno spazio/tempo non più a misura uma-na. Il presente modello di sviluppo a tecnologiainvasiva e non eco-compatibile nell’aggredirecosì pesantemente l’ambiente crea disequilibri esbilanciamenti anche negli esseri umani che, piùo meno consapevolmente, sono intimamentecollegati a questo ambiente.La danzamovimentoterapia favorisce, attra-verso il percorso terapeutico, la possibilità diuna maggiore consapevolezza di se stessi e deipropri limiti.Il lavoro con il limite attraverso la danza del cor-po/cuore è di per sé volto in direzione di un’eco-logia della mente.Il limite è una parola chiave, parola Madre pro-babilmente anche per qualsiasi altra forma di

terapia. Il Limite può es-sere visto come un confi-ne protettivo e comeconsapevolezza di unapresa di coscienza dellarealtà che impedisce di

‘dissiparsi nell’illimitato’, parafrasando l’I King,ma può anche essere visto come difesa, ostacolo,fonte di frustrazione. Ma non è soprattutto laconsapevolezza del senso del limite a favorireun’ottica di non invasione, non aggressione neiconfronti delle risorse spaziotemporali a disposi-zione delle persone? Sviluppare la consapevo-lezza dei propri limiti può andare nella direzio-ne di trasformarli in risorse e possibilità creative;sicuramente è qualcosa che aiuta a tenere a di-stanza il delirio di onnipotenza che porta a di-struggere l’ecosistema sfruttando intensivamen-

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LA DANZAMOVIMENTOTERAPIAFAVORISCE, ATTRAVERSO IL PERCORSOTERAPEUTICO, LA POSSIBILITÀ DIUNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DI SE STESSIE DEI PROPRI LIMITI.

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L’ambiente non è qualcosa di esterno a noi.La natura è dentro di noi.In ogni nostro atto,in ogni nostro movimento.Noi siamo natura.Per questo dobbiamo ritornare a danzarei suoi movimenti così antichima quanto mai così attuali...Valentina Bellinaso (danzaterapeuta Apid)

* Tania Cristiani, Danzaterapeuta Apid ed Animatore

Musicoterapista, si è formata in Danzamovimentotera-

pia presso l’Associazione Sarabanda di Milano di cui

ora fa parte. Assistente di Elena Cerruto è tutor presso la

scuola di formazione.

NOTE

1) L’ Apid è l’Associazione Professionale ItalianaDanzamovimentoterapia istituita nel 1997 al finedi qualificare la pratica della danzamovimentote-rapia, tutelandone la qualità professionale, etica escientifica, attraverso anche la definizione del pro-filo del danzamovimentoterapeuta e la promozionedel riconoscimento legale della professione.

2) Per maggiori informazioni vedere il sito:www.apid.it

3) Elena Cerruto “Metodologia e pratica dellaDanza Terapeutica”, Franco Angeli, Milano,2008.

4) Maestro Zen del Tosho-ji di Tokio.

5) Tetsujyo Deguchi in Elena Cerruto “Metodolo-gia e pratica della Danza Terapeutica”, FrancoAngeli, Milano, 2008.

TANIA CRISTIANI

l’attaccamento ad un’immagine rigida del pro-prio ego ritenuta dal maestro Tetsujyo Deguchi 4

come un blocco. Il Maestro usa spesso l’imma-gine della fotografia come rivelazione dell’unitàdi ciò che esiste. In una foto possono essercimolti soggetti che s’illu-dono di essere separati,ma la foto che rappre-senta oggettivamente larealtà è una sola.“Se per un attimo ci siillumina sul fatto chel’universo è la pienamanifestazione che tutto è una sola cosa equesto è il vero io, allora tutti i problemi sisciolgono come neve al sole... Le varie mani-festazioni di questo mondo che nascono emuoiono sono esse stesse null’altro che l’uni-ca realtà del proprio io... Senza contrapposi-zione tra io e altro, affrontiamo tutte le cosecon l’amore che si ha per se stessi.” 5

Questo approccio si concretizza dunque in unapratica che aiuta ad affinare una percezionedello spazio ‘abitato’, spazio non separato, luogodella relazione empatica.Nel percorso della Danza Terapeutica è previstoanche l’uso di materiali. Il materiale è uno sti-molo, ciò che apre a differenti possibilità. Solita-mente si usano anche i cosiddetti materiali ‘po-veri’: sacchetti per il riciclo dei rifiuti umidi ovecchie pagine di giornale attraverso la propostadi Danza Terapeutica possono acquistare unparticolare valore.Nella stessa modalità di presentazione del mate-riale, che questo sia la stessa musica o una piu-ma o il foglio di giornale, si può sottolinearne lapreziosità. Non è un ‘come se fosse’ ma un foglio

di giornale usato che nessuno più prende in con-siderazione può richiamare ciò che di solito vie-ne usato e gettato immediatamente oppure get-tato via perché vecchio. Poco importa chequesto sia fuori o dentro di noi perché è possibi-

le toccare quanto sia la-bile questo confine.La Danza Terapeuticaviene presentata in am-biti diversi. Nelle scuolesi presentano anche la-boratori dedicati in par-te ai cicli della natura

che permettano ai bambini e agli insegnanti diesplorare e vivere, attraverso la danza, il cicli-co andamento delle stagioni la cui percezioneè alterata spesso dagli sconvolgimenti climaticio più semplicemente da stili di vita non più acontatto con la natura. Altro elemento in gio-co è l’esplorazione di quali siano i rapporti e letrasformazioni che legano tra loro tutti i vi-venti anche per quanto riguarda l’alimenta-zione. Un’altra parte dei laboratori in questio-ne riguarda i cicli di natura artificiale in cuil’uomo opera profonde trasformazioni del-l’ambiente e dei suoi elementi, trasformazioniche comportano la produzione di notevoli ri-fiuti e scarti di lavorazione.La creatività ed il suo potere trasformativo per-mettono di valorizzare anche lo scarto trovandoutilizzi inediti (produzione di strumenti musicalio manufatti artistici). Il riciclo artistico nellaDanza Terapeutica diventa un’occasione perconfrontarsi in modo diverso con parti di sé ocon aspetti degli altri vissuti come ‘rifiutati’ o‘scartati’ nell’ottica di una loro accettazione eintegrazione. ■

Danzamovimentoterapia:l’ecologia del corpo/cuore

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IL MAESTRO USA SPESSO L’IMMAGINEDELLA FOTOGRAFIA COME RIVELAZIONEDELL’UNITÀ DI CIÒ CHE ESISTE.IN UNA FOTO POSSONO ESSERCI MOLTI SOGGETTICHE S’ILLUDONO DI ESSERE SEPARATI, MALA FOTO CHE RAPPRESENTA OGGETTIVAMENTELA REALTÀ È UNA SOLA.

BIBLIOGRAFIA

Elena Cerruto, Metodologia e pratica della Danza Terapeutica, Franco Angeli, Milano, 2008.

Vandana Shiva, Ritorno alla terra. La fine dell’ecoimperialismo, Fazi Editore, Roma, 2009.

Bruno Veneziani e A.G. Ferrara (A cura di), I King, edizioni Astrolabio, Roma, MCML.

SITO INTERNET:

http://www.apid.it

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che si è basato e costruito su ruoli complemen-tari, vi è un blocco della spinta evolutiva, una li-mitazione della volontà esplorativa delle specifi-che possibilità esistenziali di ciascun gemello. Igemelli sono quindi nella condizione unica didover dividere la figura di attaccamento con unaltro, però, hanno nel co-gemello un altro da sésu cui fare affidamento, e quindi la loro separa-zione/individuazione viene rallentata dal cosid-detto effetto coppia (Zazzo, 1987). SecondoSandbank l’effetto coppia favorirebbe nei ge-melli lo svilupparsi di competenze specifiche,ma complementari, che rafforzano e manten-gono il bisogno di unione e dipendenza, poichéognuno ha bisogno dell’altro per completarsi(Sandbank, 1988).Lo psicologo francese René Zazzo (Zazzo, 1987)sottolinea poi come nel periodo perinatale si defi-nisca il triangolo rela-zionale tra la madre ed igemelli, che fortifica il le-game tra i figli a scapitodi quello tra mamma ebambini. I gemelli speri-mentano da subito comeil rapporto con la madresia meno intenso di quello fra di loro: essi vivonomomenti di frustrazione, poiché la madre devedividere le sue attenzioni e le sue cure, ed entranoallora in competizione per ottenere un rapportoprivilegiato con la madre (Agnev, Klein, Ganon,2006). La madre, se fatica a fare fronte alla diffi-coltà della situazione triadica, può tentare di rico-struire la diade madre-bambino comportandosicon i gemelli come se fossero un’unità (Barbieri,Fischetti, 1997), oppure può incoraggiare il pas-saggio da una situazione di triade ad una a quat-

tro, in cui viene stabilito un rapporto privilegiatotra la madre ed uno dei gemelli e il padre e l’altrogemello (Sandbank, 1988).È proprio ciò che era accaduto nella famiglia diL., gemello “sacrificato” da me seguito per dueanni e mezzo (dall’età di 10 anni ai 12) presso laNPIA di un comune emiliano.Il bambino aveva una diagnosi di inibizione in-tellettiva causata da depressione. Tuttavia pre-sentava anche fortissime tematiche narcisistiche,che si esprimevano in fantasie di leadership e digrandezza, dal momento che L. cercava di cor-rispondere alle aspettative della madre. InveceL., fin da piccolissimo, era risultato ben diversodalle fantasie che la madre si era fatta durante lagravidanza, rivelandosi, sin dai primi mesi, piùlento, passivo e debole fisicamente rispetto allagemella. L. aveva deluso le aspettative della ma-

dre: ella non si sentiva ingrado di accudire unbambino che ritenevapoco reattivo alle sue sol-lecitazioni e viveva co-me un fallimento il tem-peramento timido e asuo avviso poco vitale

del figlio. Così, i genitori si erano “spartiti” lecure dei bambini: alla madre la gemellina solaree vitale, corrispondente alla sua idea di “figliabuona”, al padre il timido, passivo, silenzioso L..Il bambino aveva, quindi, sperimentato un ri-fiuto da parte della madre, una netta divisionedella coppia gemellare e un posto più in ombranelle relazioni familiari, rispetto alla gemella.L’originaria diff icoltà della coppia “madre-bambino” ad adattarsi alle caratteristiche porta-te reciprocamente nella relazione, aveva nel

Dal gemello “sacrificato”alla riuscita della individualitàUn intervento di Danza Movimento Terapia

ALESSANDRA COCCHI Danza Movimento Terapeuta, Bologna

In questo scritto analizzerò la specificità dellaDMT nel processo crescita e consapevolezza diun bambino che viveva in famiglia il ruolo di ge-mello “sacrificato”.Il ruolo di gemello “debole”, “in ombra”, “sacri-ficato” all’interno della famiglia con figli gemelli,è da sempre presente in molte culture, ed è statoanalizzato dal punto di vista sociologico, antro-pologico, psicologico: esso ha alluso ad uno statodi possibile, probabile conflitto (Girard, 1972),dovuto alla presenzacontemporanea di dueesseri molto somiglianti,che hanno bisogni e de-sideri simili e spesso con-temporanei. La competitività per lo spazio esi-stenziale è un fattore presente nelle coppiegemellari già dalla vita uterina. Tale concorren-za perdura dopo la nascita, poiché è difficile chei gemelli trovino possibilità per soddisfare bisogni

che a volte sono identici e che spesso insorgononello stesso momento; la competizione fra ge-melli, così, può essere favorita dai genitori. Leoriginarie asimmetrie fisiche e comportamentalisfociano nell’assunzione di ruoli complementari:un individuo tende ad essere più attivo, l’altropiù passivo, uno dominante, l’altro dominato.Ed è così che, da una differenza reale, i genitoripossono indurre una “specializzazione” dellapersonalità dei gemelli e una cristallizzazione

dei ruoli (Valente Torre,2001). Più si sviluppanoruoli complementari,più la separazione/indi-viduazione sarà difficile,

perché questa comporta la perdita di una parteesistenzialmente indispensabile. Allora le poten-zialità psichiche si sviluppano nei due in modocomplementare, ma riduttivo: per non perdereil senso di appartenenza alla coppia gemellare,

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LA COMPETITIVITÀ PER LO SPAZIO ESISTENZIALE ÈUN FATTORE PRESENTE NELLE COPPIE GEMELLARIGIÀ DALLA VITA UTERINA.

I GEMELLI SPERIMENTANO DA SUBITOCOME IL RAPPORTO CON LA MADRESIA MENO INTENSO DI QUELLO FRA DI LORO:ESSI VIVONO MOMENTI DI FRUSTRAZIONE,POICHÉ LA MADRE DEVE DIVIDERE LE SUEATTENZIONI E LE SUE CURE, ED ENTRANOALLORA IN COMPETIZIONE PER OTTENEREUN RAPPORTO PRIVILEGIATO CON LA MADRE...

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Per inquadrare il caso di L., prenderò spuntidalla teoria dello sviluppo di Stern, Winnicott, edalla psicopatologia del Sé secondo Kohut.Questi autori si soffermano sulla sofferenza psi-chica dovuta alla inadeguata costituzione distrutture mentali, di un non corretto sviluppodella coesione del Sé, a causa di trauma cumu-lativo dovuto all’insufficienza prolungata dellefigure di accudimento. Secondo questi autori,l’origine della psicopatologia risiede nella rigidi-tà di adattamento reciproco della diade madre-bambino alla relazione, o in una sintonizzazio-ne selettiva della madre (Stern, 1975), cheaccetta e rinforza solo alcune esperienze delbambino, oppure nella mancata o imperfettaempatia genitoriale (Kohut, 1971) verso l’ori-ginaria unità psicosomatica del bambino. In talievenienze le azioni del bambino non vengonocolte e valorizzate: il piccolo deve sottomettersialle sollecitazioni e alle aspettative altrui, a sca-pito della presa di contatto coi propri bisogni egesti spontanei (Stern, 1985). Avviene dunqueuna atrofizzazione del vero Sé, che coincide colgesto spontaneo, col sentimento di essere reali ecreativi, e lo sviluppo del Falso Sé, difesa com-piacente di fronte a un ambiente che non siadatta in maniera appropriata ai suoi bisogni(Winnicott, 1960), non permettendogli di intera-gire genuinamente con la realtà.Winnicott e Kohut teorizzano analogamenteche il procedere dello sviluppo è legato alla capa-cità della madre di disilludere il bambino gra-dualmente circa la sua originaria dimensionenarcisistica di onnipotenza. Il bambino che sof-fre un trauma narcisistico (rifiuto, abbandono,prolungata disconferma o carenza della funzio-ne empatica genitoriale), è costretto a subire

esperienze eccessivamente frustranti; dunqueegli non può sviluppare una struttura del Sé con-solidata e rimane ancorato alla primitiva espe-rienza dell’onnipotente Sé grandioso (Kohut,1971). Così il bambino si trincera in un senti-mento di sé grandioso e onnipotente, essendo di-pendente da un riconoscimento della propriaimmagine grandiosa e corre il rischio di fram-mentazione quando ciò non accada. Di conse-guenza si creerà una scissione verticale del Sé(Kohut, 1971), in cui coesistono grandiosità esi-bita e totale insicurezza e vulnerabilità all’inter-no dell’individuo.Il duro lavoro che L. ed io abbiamo svolto perdue anni e mezzo si è svolto attraverso i principie gli strumenti della Danza Movimento Tera-pia1. La DMT si è rivelata un intervento utile especifico, un paio di occhiali diversi per guardareL., nell’esplorare le fasi precoci dello sviluppo delSé e della sua relazione primaria. Utilizzandol’attenzione corporea, strumento basilare del set-ting di DMT, si accede a sentimenti e vissuti ap-partenenti al periodo pre-verbale dello sviluppo,ai quali non è mai stato permesso di esprimersi.

Gli strumenti metodologicidella DMT2 ■

Nel caso specifico di L. è stato importantissimoil setting di terapia individuale, per potere la-vorare accuratamente in un rapporto esclusivo,sulle aree di carenza originaria del paziente,agendo sulle parti deprivate, permettendogliuna “seconda nascita”, e procedendo in un rap-porto evolutivo e di riconoscimento dei signifi-cati esistenziali delle sue azioni.Grazie dunque al sostegno di uno spazio dedi-cato e di un contenitore stabile (l’holding envi-

ALESSANDRA COCCHI

tempo causato un irrigidimento del ruolo di “ge-mello in ombra” che L. aveva in famiglia: la cop-pia gemellare era stata divisa precocemente indue, i ruoli nella coppia gemellare si erano pola-rizzati e cristallizzati. L. aveva subito un rifiutodalla mamma e una separazione precoce dallagemella; a causa di ciò, si era poi trovato in unruolo che negli anni gli è stato riconfermato infamiglia, a scuola, nel gruppo dei pari. Ora, vici-no all’età puberale, avvertiva l’incompletezza, ladivisione, la mancanza della sua altra parte:avrebbe voluto stare alla pari con la gemella, manon aveva strumenti per farlo, cercava disperata-mente un aggancio col suo lato vitale e assertivo.Pensando a L. e la sua famiglia, mi è tornato al-la mente il mito greco di Apollo e Artemide, dèigemelli che incarnano il concetto della necessa-ria e auspicabile coesi-stenza di qualità diverseo opposte. Apollo e Ar-temide riassumono, cia-scuno nella propria fi-gura, ruoli e compititradizionalmente siamaschili che femminili,sia attivi che contemplativi. Apollo e Artemiderappresentano, sia come coppia, che come sin-goli, la ricomposizione dell’intero, ma anche illato scisso, in ombra, che viene alla luce e dàcompletezza all’essere umano: l’androgino, l’at-tivo, il guerriero nella donna, il femmineo, ilmeditativo, lo spirituale nell’uomo.L., invece, non aveva potuto sperimentare la pie-nezza e completezza impersonata da Apollo eArtemide: il suo farsi carico, rivestendo il ruolodel gemello “sacrificato”, delle sofferenze narci-sistiche della mamma non gli aveva permesso di

interiorizzare la parte maschile, solare, attiva,guerriera, né di integrarla con le sue parti piùdelicate, sensibili ombrose. I genitori, rinforzan-do il sistema relazionale della coppia, avevanoostacolato un adeguato processo di separazione,necessario affinché ciascun gemello potesse or-ganizzare una propria identità ed una propriaautonomia, slegata dal ruolo gemellare.Il bambino provava a dedicarsi alle arti marzia-li, alla batteria, nel tentativo di rendere noto edi integrare in sé il suo lato forte, vitale, asserti-vo, e di mettersi alla pari, nella considerazionegenitoriale, con la solare e energica gemellina,ritrovando al contempo, il legame perduto conlei. Ma L. era incapace di trovare in sé le risor-se, non riusciva a trovare la giusta via per ri-emergere, riaffiorare dall’ombra né in famiglia,

né a scuola, né nel grup-po dei pari. In tali con-dizioni è arrivato a me:chiuso nel suo mondo,fantasticando di imper-sonare ruoli forti e atti-vi. Nel corpo manifesta-va una grande rigidità e

una scarsa coordinazione: ciò non gli permette-va di muoversi, di pensare, di relazionarsi inmodo efficace, espressivo, comunicativo, inten-zionale, causandogli grande frustrazione. Ilbambino era infatti ritirato in un mondo di fan-tasie grandiose e irrealistiche, che lo proteggevadalle continue frustrazioni, impedendogli di an-corarsi alla sua realtà: in questo mondo fanta-stico immaginava di ricoprire ruoli di leader,cosa impossibile per lui nella realtà, compiendoimprese pericolose e spettacolari, a capo dellabanda di amici.

Dal gemello “sacrificato”alla riuscita della individualitàUn intervento di Danza Movimento Terapia

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I GENITORI, RINFORZANDO IL SISTEMARELAZIONALE DELLA COPPIA,AVEVANO OSTACOLATO UN ADEGUATO PROCESSODI SEPARAZIONE, NECESSARIO AFFINCHÉCIASCUN GEMELLO POTESSE ORGANIZZAREUNA PROPRIA IDENTITÀ ED UNA PROPRIAAUTONOMIA, SLEGATA DAL RUOLO GEMELLARE.

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riconoscere nelle forme, nei ritmi e nelle varia-zioni del tono muscolare una biografia degli af-fetti, e agevola a individuare le difese insediatesinella muscolatura per stabilire la modalità e il li-vello di relazione ogget-tuale del paziente. Sipossono così formulareinterventi clinici con-gruenti e riconoscere imessaggi nascosti pre-senti nel movimento delpaziente e del terapeuta che vi interagisce: sipossono così presentare al paziente esperienze(object presenting) nella forma di azioni e movi-menti intenzionali di movimento (handling).L’ascolto profondo delle tematiche somatichecontrotransferali, aiuta il terapeuta a leggere nelproprio corpo e successivamente nei propri pen-sieri quello che accade nel contatto col paziente.Grazie alla disciplina del Movimento Autenti-co7, la quale “aiuta a sviluppare il ruolo del te-rapeuta come testimone non giudicante, nonproiettante e non interpretante, a incrementarela conoscenza e la consapevolezza dei proprimovimenti e degli stati psicocorporei a essi asso-ciati, del funzionamento dei meccanismi asso-ciativi, proiettivi, interpretativi relativi al movi-mento, e a comprendere i modi in cui siamopropensi a fare proiezioni e i modelli inconsciche adottiamo in relazione a incontri e relazionispecifiche con l’altro e con eventi specifici” (Go-voni, 2012). Ciò è funzionale al mantenere atti-ve le capacità di pensare e aperta la ricezione ela comunicazione empatica con pazienti chenon sono in contatto con il nucleo originario delSé, e tendono a mostrare una immagine di sécristallizzata nella grandiosità, sottraendosi alle

esperienze frustranti e spaventose in cui il sé de-privato diviene visibile.In DMT il terapeuta si serve di modalità di rispec-chiamento empatico analoghe a quelle descritte

da Winnicott e Kohut: inquesti momenti il tera-peuta, come la madre,funziona come uno spec-chio, che fornisce al pa-ziente un riflesso dei suoigesti e della sua esperien-

za, in cui egli si riconosce. In queste interazioni ilterapeuta mette in atto una capacità di sintonizza-zione affettiva (Stern), simile a quella della madreche dà senso all’esperienza soggettiva preverbaledel bambino, interpretandone accuratamente isuoi stati affettivi interni a partire dalla loro inten-sità, ritmo e forma (Pieraccini, 2012). Dopo que-sta iniziale esperienza, si può poi attivare una spe-rimentazione individuale di modalità nuove dimovimento, sostenute, modulate e accolte dal te-rapeuta, abbandonando il rispecchiamento: qui ilruolo del terapeuta diviene più “paterno”, e per-mette al paziente l’esplorazione di sé nella realtà.Nel lavoro col corpo, l’uso di specifici materialifacilitatori si rivela utilissimo nel riattivare leconnessioni corporee (Hackney), favorendo lascoperta e l’evoluzione di qualità di movimentoe affettive che richiedono una sperimentazione,uno sviluppo e un consolidamento. In questomodo si può raggiungere un personale stile dimovimento in una forma intenzionale, giungen-do a una interazione efficace col mondo reale.È poi necessaria una lettura della dimensionesimbolica del movimento, e l’attribuzione di for-ma e significato all’esperienza somatica dell’in-dividuo; questa permette di tradurre l’esperien-

ALESSANDRA COCCHI

ronment di Winnicott), dato dal setting e dallapresenza empatica e sintonizzata del terapeuta,si può dare sostegno al Sé grandioso scisso delpaziente, ricreando in prima battuta inizial-mente lo spazio protetto dove questi possa viverel’illusione di un rapporto avvolgente e esclusivo;allo stesso tempo, si creano i presupposti di uncontenitore che accolga e moduli le esperienzedella parte deprivata e debole nel successivomomento del distacco, della differenziazione,della disillusione, dando così asilo sia alla partegrandiosa, sia alla parte deprivata dell’indivi-duo. Vi sono così le condizioni per agire in unambiente protetto e sicuro che permette al pa-ziente di relazionarsi col terapeuta come a unoggetto d’uso (Winnicott) e come a un Oggetto-Sé materno (Kohut) nei termini riparativi di unaregressione al servizio dell’Io.Il mio lavoro con L. è stato pensato e condottosecondo i principi e gli strumenti metodologici

della Danzamovimento Terapia come è inse-gnata nella Scuola di Art Therapy Italiana(ATI)3. Il lavoro dei Danzamovimento Terapeu-ti formati da ATI si propone di utilizzare il lin-guaggio primitivo preverbale come fonte di co-noscenza per intraprendere un processo di cura:grazie a tale processo si potranno tradurre inparole o in linguaggio simbolico le esperienzepsicofisiche primitive che fondano l’essere dellapersona e che possono essere fonte di disagio opsicopatologia.La DMT si è rivelata efficace per accedere ai vis-suti primitivi annidati nella memoria somaticapreverbale di L., gemello rifiutato e “sacrificato”.L’attenzione alla sfera non verbale della relazio-ne, l’osservazione del corpo e del movimento at-traverso gli strumenti del sistema di analisi delmovimento Laban4 (LMA), del Kestenberg Mo-vement Profile5 (KMP) e dei patterns di connes-sione corporea di Peggy Hackney6, permette di

Dal gemello “sacrificato”alla riuscita della individualitàUn intervento di Danza Movimento Terapia

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L’ASCOLTO PROFONDO DELLE TEMATICHESOMATICHE CONTROTRANSFERALI, AIUTAIL TERAPEUTA A LEGGERE NEL PROPRIO CORPOE SUCCESSIVAMENTE PROPRI PENSIERIQUELLO CHE ACCADE NEL CONTATTO COL PAZIENTE.

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Gli manca quindi una vera e propria gestualitàdirezionale18 che parta dal centro del corpo evada verso l’esterno; non è in grado di attivareefficacemente la connessione nucleo-distale19.Nei suoi gesti e movimenti non riesce a esprime-re l’intenzionalità di andare verso lo spazio, glioggetti e le persone per prendere o raggiungereciò che desidera. Judith Kestenberg (Kestenberg1975) descrive il neona-to come impegnato, neiprimi mesi, a formareun suo guscio di tensio-ne muscolare esternaper sentire nel corpo ladifferenziazione dallamadre; in questa condi-zione, il piccolo, intento ad acquisire il controllosul restringersi e l’espandersi, sul mantenere unatensione corporea costante e sul riadattarla neisuoi spostamenti, crea una prima relazione dire-zionale quando comincia ad afferrare gli ogget-ti. Il desiderio di prendere oggetti distanti lospinge fuori dal centro del corpo, verso lo spa-zio, per raggiungerli.Sebbene abbia constatato l’incompleta attivazio-ne dell’effort del peso, scorgo in questa sua posi-zione eretta, stazionaria, rigida, un tentativo dimantenimento dell’atteggiamento corporeo tipi-co del bambino nella fase anale dello sviluppopsicosessuale (Kestenberg 1975). In questa fasel’attenzione del bambino è molto concentratasulla parte inferiore del corpo, perché deve im-parare a stare in piedi; l’esplorazione e il mante-nimento della posizione eretta dà al piccolo lasensazione di essere “tutto di un pezzo”, un soli-do muro verticale che si oppone alla gravità. Ineffetti L. raramente cammina per la stanza, più

che altro sta fermo o al massimo passa il peso daun piede all’altro, o fa pochi passi avanti e indie-tro o lateralmente, esibendo ritmi ora anali lot-tanti, ora genitali interni20; in tutto ciò le bracciasono sempre piegate strette vicine al busto, o, piùspesso, lungo il corpo, ciondoloni.Nell’intento di accogliere il bambino e di farlosentire visto e sostenuto, in un primo momento

sono ricorsa, nel mododi stare in piedi o seduta,di muovermi, di parlare,di ascoltarlo, soprattuttoal rispecchiamento e allasintonizzazione sui rit-mi, le intensità e le for-me del corpo di L.21. Ad

esempio: durante i suoi racconti fantastici mimettevo di fianco a lui e ne imitavo il ritmo concui passava il peso da un piede all’altro; oppurestavo seduta di fronte a lui raggomitolata, ancheio in un flusso di forma chiuso, dondolandomial ritmo dei suoi spostamenti di peso. A volte gliproponevo attività ispirate alle arti marziali,modulando il movimento e suggerendo la speri-mentazione di una maggiore pienezza dei movi-menti del calcio e del pugno da lui ricercati.Tutte le volte che lo rispecchiavo con troppaprecisione, o quando gli proponevo di muoverciinsieme, cioè di “negoziare” i suoi movimenticoi miei, cadeva nel flusso neutro22, deaniman-dosi come una bambola di pezza, con lo sguar-do perso nello spazio remoto23. Nei bruschicambiamenti degli attributi del flusso di tensio-ne24 ora descritti, ho potuto vedere come, nelcorpo, L. esprimesse uno scollegamento fral’immagine irrealistica e fantastica di sé e il realevissuto corporeo. L., infatti, sentiva l’impulso di

ALESSANDRA COCCHI

za del corpo in linguaggio metaforico, divenen-do consapevoli delle connessioni fra le propriecomponenti emotive, affettive, cognitive.Dai movimenti e dalle azioni del corpo si puòpassare a nominare i vissuti e i sentimenti che vierano sotto i gesti, sotto il movimento; si attuauno scarto da un’attività legata al fantasticare(Winnicott) a un racconto narrativo legato allabiografia del paziente, in cui si possono affron-tare - nominandoli e significandoli - elementisimbolici e reali relativi a vissuti di rabbia, gelo-sia, esclusione, abbandono, timore di “non far-cela”, “non essere capace”, non piacere, non es-sere amato, non essere “normale”... e rendereconcreto il desiderio del paziente di essere presosul serio, di agire sul reale, grazie a una maggio-re consapevolezza delle sue rappresentazionimentali che egli ora può riconoscere e collegaresignificativamente coi propri pensieri, emozionie proprie azioni, in un vissuto di maggiore ge-nuinità esistenziale, anche proiettata nel futuro.

Prime interazioni e analisidel movimento ■Quando lo vedo arrivare nel corridoio accom-pagnato dal papà e quando in palestra mi sta difronte rigido e chiuso nella sua giacca a vento,noto che l’effort8 del peso9 non è mai interamen-te attivato, e prevale in sua sostituzione il flussodi tensione muscolare10 tenuto a alta intensità11.Mentre sta in piedi, con le braccia lungo il cor-po, studiandomi e raccontandomi le sue fanta-sie, L. congela il movimento e il respiro, e man-tiene un f lusso di forma12 chiuso e ristretto.Secondo Judith Kestenberg il f lusso di formachiuso ha che fare con un disagio nei confrontidell’ambiente circostante, il quale non favorisce

la motivazione a gettare un ponte fra sé e ilmondo. Osservo che, qualunque cosa faccia,manca in L. la connessione col centro del corpo,e, ancor prima, col respiro13, che non può soste-nere le altre azioni. Il flusso di tensione muscola-re tenuto non gli permette di allargare la formadel corpo, come se creasse una vera e propriaseconda pelle (Bick, 1968). Ciò suggerisce lamancanza di un oggetto interno contenitivo e l’ansia per non potersi lasciare andare all’aiuto ealla disponibilità emotiva degli altri.Un obiettivo di lavoro nella prima fase della tera-pia riguarda la costruzione di una relazione chediventi una pelle mentale per L., che gli permettadi interiorizzare il nostro appuntamento comeuno spazio-tempo in cui poter stare in presenza diun adulto interessato e partecipe, che riconosca econtenga la sua parte deprivata, facendogli senti-re accolta la totalità del suo essere. Questo tipo direlazione permette una regressione terapeutica(Winnicott, Kohut), che favorisce la sperimenta-zione di oggetti Sé empatici, riducendo nel pa-ziente la scissione verticale che lo divide fra aspet-ti di grandiosità e sensazioni di vuoto e inibizione,in modo da integrarli nella totalità del Sé.Inoltre, salta subito all’occhio uno scarso utilizzodella cinesfera14: L. è spesso confinato nel suospazio intimo15, da cui a volte esce improvvisa-mente per mimare calci e pugni allo specchioindirizzati a “rivali”, o per ripropormi le coreo-grafie dei suoi eroi del wrestling. Quando si de-dica a tali movimenti di apertura, predomina ilpre-effort16 della repentinità17: in quella situazio-ne il corpo “si scompone”, per cui, invece chesferrare calci e pugni come vorrebbe, gli arti“esplodono” fuori dalla cinesfera intima, per-dendo ogni coordinazione.

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TUTTE LE VOLTE CHE LO RISPECCHIAVOCON TROPPA PRECISIONE, O QUANDOGLI PROPONEVO DI MUOVERCI INSIEME, CIOÈDI “NEGOZIARE” I SUOI MOVIMENTI COI MIEI,CADEVA NEL FLUSSO NEUTRO, DEANIMANDOSICOME UNA BAMBOLA DI PEZZA, CON LOSGUARDO PERSO NELLO SPAZIO REMOTO.

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ve, da cui doveva difendersi, e si deanimava.Oppure non accettava i miei tentativi di prova-re a rendere efficaci i suoi movimenti “esplosi-vi”, per mettere nel corpo la “forza grandio-sa”; e così i suoi calci e pugni erano sferrati inaria, nella fantasia di abbattere l’immaginarionemico o avversario, da cui in realtà era abbat-tuto. Non mi sentivo mai sicura di stare facen-do la cosa giusta per lui, e mi sentivo come unamadre che non riesce a capire cosa stia succe-dendo al proprio bimbo, come doveva essersisentita sua madre, dunque. Ero dunque inglo-bata e paralizzata in una riattualizzazione del-la relazione precoce fra L. e la sua mamma.In una attività di MA svolta in quel periodo, en-trai in contatto con le qualità di movimento concui L. esprimeva da unaparte la deprivazione re-lazionale ed emotiva,dall’altra il conseguentecristallizzarsi del ruolodi “sacrificato”. Eranole stesse qualità che L. tentava di esprimere im-maginando di essere un eroe del wrestling: iodovevo portare L. a produrre gesti compiuti,con un inizio e una fine, e non lasciarlo solo acercare un pallido e frustrante riflesso di questigesti, perduto e irretito nel suo mondo immagi-nario, irreale. Al crocevia della pubertà, L. stavasemplicemente cercando di emergere dal “mon-do dell’ombra” in cui era stato relegato.Considerando gli elementi di movimento sucui potevo sintonizzarmi per agire come Og-getto-Sé empatico, ho deciso di lavorare suglielementi mancanti, in ombra, non integrati,ma fortemente desiderati da L., e impossibilida raggiungere da solo.

L’uso dei materiali e il cambiamento ■Ho cercato quindi materiali facilitatori per aiu-tare lui e me a rimanere in contatto con le quali-tà di movimento che stavamo cercando: i mate-riali avrebbero facilitato l’indirizzarsi e lostrutturarsi dell’azione corporea, favorito l’in-tenzionalità del movimento, creato sia un “pre-testo” per esplorare nuovi movimenti, che unapossibilità di raccontare se stessi col movimento.Il pallone mi era sembrato un materiale perfettoper sperimentare sia col calcio che col lancio amano l’effort del peso nella verticalità, che assol-ve al compito di raggiungere ciò che il bambino,secondo la Kestenberg, sperimenta nella FaseAnale, e cioè una forma di base per la presenta-zione e rappresentazione di Sé e degli oggetti,

favorendo l’intenzionali-tà e l’ autoaffermazione.Questi movimenti favo-riscono altrettanto l’effi-cacia per muoversi versola dimensione sagittale,

movimento descritto nel KMP come specificodella fase uretrale. In questa fase, il bambinosperimenta la mobilità nel camminare e nel cor-rere nello spazio, nel fermarsi e nel ripartire enell’alternanza fra flusso libero e flusso tenuto,sente che il suo corpo è mobile ed elastico. Lapalla è un oggetto che può riportare alle caratte-ristiche dello sviluppo e della funzione maternadi questo periodo: quella “mobilizzante”, chespinge il bambino a esplorare lo spazio, e quella“contenente” che ritorna a lui e da cui lui ritor-na quando l’esplorazione è terminata.Gli ho proposto di centrare un grande foglio cheavevo attaccato al muro come bersaglio (attiva-zione dello spazio diretto), dove poter tirare suc-

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passare bruscamente dallo stato di ritiro e chiusu-ra descritto, ad azioni che avrebbero richiestol’attivazione della connessione corporea omolate-rale e controlaterale25, necessaria per sferrare unpugno o un calcio effica-ci e credibili. Lo scom-porsi del suo movimentoquando tentava un ag-gancio “reale” agli speri-colati atti che mi descri-veva, non davano la sensazione di un movimentoespressivo e compiuto, diretto a un fine, come av-viene quando gli effort descritti da Laban si espli-cano nella loro pienezza. L’uso frequente del pre-effort della repentinità, legato ad azioni che sisvolgono prevalentemente su un piano sagittale26,indica, secondo Kestenberg, uno stato di all’ertapermanente, un essere pronti all’attacco e alla fu-ga come difesa controfobica27.Il non avere raggiunto la capacità di usare effortpieni denotava una scarsa padronanza degli sche-mi di movimento che permettono di affrontare lavita quotidiana; il wrestler alle prese con le suemicidiali coreografie lottanti, il karateka che ese-gue (termine) i suoi kata con efficacia e convin-zione di combattente, erano solo ideali per L.,che sferrava calci e pugni davvero poco realistici.

Il difficile contatto: Controtransfertsomatico e Movimento Autentico ■Dopo i primi incontri di osservazione e di ten-tativi di interazione, ho avuto difficoltà a rima-nere in contatto con L.. Nell’ascoltare i raccon-ti del bambino, nel tentare una reciprocità direlazione verbale e di movimento non mi senti-vo realmente vista da lui, sebbene mi tenessesott’occhio in continuazione. Ero irretita in un

vissuto di noia, sonnolenza, mi distraevo du-rante i suoi racconti; non riuscivo a trovare unmodo di interagire con lui quando gli stavo difianco mentre, improvvisamente, si dedicava a

qualche minuto di mo-vimenti “esplosivi” allospecchio. Niente sem-brava fare presa su dilui, il suo presentarsi co-me il “bambino non

reattivo” descritto dalla mamma e dalla psico-loga mi aveva catturata in un generale senso diimpotenza, disattivazione e demotivazione, incui anche i miei movimenti rispecchianti eranototalmente svuotati e inefficaci. Ho potuto di-ventare cosciente dei fenomeni controtransfe-rali in corso, distinguendo ed esaminando lemie reazioni oggettive nei confronti del pazien-te. I segnali controtransferali somatici mi av-vertivano che ero entrata nell’area di collusio-ne con le difese del bambino, paralizzandomi,poichè avvertivo come fra noi non ci fosse unvero confronto, non mi vedesse come persona:io ero per L. un oggetto cui aderire adesiva-mente con lo sguardo per dare rifugio e prote-zione al suo Sé grandioso/deprivato. HeinzKohut descrive come nella forma di transfertfusionale arcaico (“Tu ed io siamo una sola co-sa, quest’unità è dotata di ogni perfezione”) siriattivi il Sé grandioso del paziente, ed era ciòche gratificava L. durante i nostri incontri. Matutto ciò poteva avvenire a patto che L. ed ionon stessimo troppo vicini fisicamente, o che ionon prendessi iniziative. Se mi avvicinavo o segli facevo proposte interattive, il bambino mivedeva come il genitore imprevedibile e distan-te, portatore di esperienze frustranti e intrusi-

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NELL’ASCOLTARE I RACCONTI DEL BAMBINO,NEL TENTARE UNA RECIPROCITÀ DI RELAZIONEVERBALE E DI MOVIMENTO NON MI SENTIVOREALMENTE VISTA DA LUI, SEBBENE MI TENESSESOTT’OCCHIO IN CONTINUAZIONE.

NON MI SENTIVO MAI SICURA DI STARE FACENDOLA COSA GIUSTA PER LUI, E MI SENTIVO COMEUNA MADRE CHE NON RIESCE A CAPIRE COSASTIA SUCCEDENDO AL PROPRIO BIMBO, COMEDOVEVA ESSERSI SENTITA SUA MADRE, DUNQUE.

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ficava nelle sue fragilità. Infatti la qualità di mo-vimento è cambiata, L. decisamente sta metten-do in scena azioni che finalmente sono franca-mente e totalmente lottanti. Quando salta sulbambolotto il peso è attivo e i salti sono intensied efficaci nella loro in-tenzionalità, il corpo siraccoglie per prenderelo slancio e si spinge ver-so l’alto, chiudendosi nelsalto, e poi si riallungaverso il basso, tornandoa terra, atterrando sul bambolotto, per poi rico-minciare, in una attivazione piena della connes-sione corporea parte superiore-parte inferiore28.È tutto preso a tenere la verticalità, mentre staaffermando qualcosa di sé che non riesce adesprimere a parole: la dimensione verticale, incui la forma del corpo si allunga verso l’alto e siaccorcia verso il basso, è propria del bambinonella Fase Anale (Kestenberg), in cui è l’effortdel peso a dare una forma di base per la presen-tazione e la rappresentazione di Sé e degli og-getti, ed è attinente all’intenzione e all’afferma-zione di sé. Accolgo questa grande distruttivitàdi L., e, quando vedo che è molto in affanno eche il movimento inizia a perdere efficacia, lofermo con un abbraccio.Possiamo vedere questa aggressività come unaespressione della volontà di autoaffermazione diL.. Secondo Winnicott il comportamento ag-gressivo spinge ad un movimento esplorativo,che conduce al rapporto con gli oggetti; esso è le-gato all’acquisizione del senso di permanenzadell’oggetto, e al servizio positivo della costituzio-ne dell’oggetto reale come altro-da-Sé. Grazie aqueste esperienze, il bambino evolve il suo rap-

portarsi al mondo, dal relazionarsi all’Oggetto(esperienza soggettiva, in cui l’oggetto è sotto ilcontrollo onnipotente del bambino), all’usarel’Oggetto (l’oggetto fa parte di una realtà ester-na). Così gli oggetti possono essere aggrediti e di-

strutti senza pericolo perla loro sopravvivenza(realmente o in fantasia:odiati, ripudiati, attacca-ti) perché reali, e diven-tare reali perché distrut-ti/distruggibili (Winnicott

1969). Come accade al bambino che impara atenersi in piedi, presentandosi al mondo nella di-mensione verticale, L. ha avuto un comporta-mento oppositivo e imperioso, è uscito dalla di-mensione soggettiva, ed ha espresso rabbia eaggressività, attraverso le quali ha tentato di defi-nirsi e affermare il suo essere attraverso gesti epensieri autonomi.

Integrazione ■Negli incontri successivi, L. mi chiede di esegui-re insieme a lui alcuni origami che aveva trovatoin un libro, mentre lui mi leggeva le istruzioni,poichè teme di non capire le indicazioni. È inrealtà una composizione abbastanza semplice,ma lui fatica a capire come la carta vada ripie-gata. È la prima volta che L. mi descrive e mimostra in maniera aperta e diretta una sua fra-gilità, servendosi finalmente e consapevolmentedi me per le mie caratteristiche reali di adultache può guidarlo, indirizzarlo, rassicurarlo. Perqualche incontro, L. è intento a sperimentareattraverso la realizzazione degli origami, il sensodi esitazione che è il pre-effort integrativo dellarepentinità precedentemente espressa, legato al

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cessioni di cinque pallonate forti (attivazione delpeso forte attivo), dopo di che respirare profonda-mente per ricaricarsi (connessione col flusso diforma). L. si è interessato subito a questo gioco, ein esso ha sperimentato il piacere di calciare unpallone pesante e resistente, che richiede ai mu-scoli una forte attivazione e alla forma del corpoun grande adattamento. Sono emersi fin da subi-to i gesti direzionali di allungarsi verso lo spazio epoi tornare a chiudersi, allontanarsi e avvicinarsi,separarsi dall’oggetto e poi ritrovarlo, mantenen-do un focus direzionale nello spazio e stabilitàcorporea. Così L. si è allenato a sentire il peso, al-ternando flusso libero e tenuto: gradualmente si èconcentrato sul bersaglio da colpire e sul peso at-tivo da utilizzare nel calcio al pallone, per poterecalciare da distanze sempre maggiori. Il bambi-no ha anche sperimentato l’allargamento e il re-stringimento della propria forma corporea, ed èemersa dapprima la connessione omolateralenella dimensione sagittale che gli permetteva disperimentare la stabilità di una parte del corpo,mentre l’altra si muoveva in avanti, in una colla-borazione degli opposti, e in una organizzazionechiara dei compiti diciascuna parte del cor-po, che dava efficacia algesto; successivamentesi è espressa in pienezza,nei calci più forti e an-golati, in cui sfruttava tutto lo spazio della pale-stra, anche la connessione controlaterale (Hack-ney 1999), grazie alla quale ho potuto vedere L.compiere movimenti tridimensionali, in gradodi “scolpire” lo spazio.Finalmente eravamo riusciti a interagire uscen-do dal mondo della frustrazione e della fantasia

e ad avviare una relazione portando una cosamolto semplice: un calcio a un pallone! Le fan-tasie di movimenti che esprimessero forza e po-tenza, finalmente si sono potute riversare nellarealtà, e L. ha potuto avere al suo fianco unadulto che lo aiutava e lo incoraggiava in questaricerca di autoaffermazione e di efficacia.Ma, man mano che il gioco proseguiva nelle set-timane, avvertivo sempre più chiaro in quei cal-ci il “rumore di fondo” dell’aggressività. Atten-devo dunque, fiduciosa, ma anche timorosa, inuovi sviluppi del processo terapeutico.

La rabbia e il cambiamento ■Un giorno, L. incontra in corridoio un bambinodisabile, da me seguito nell’ora prima della sua.Si rispecchia in quel bambino che ha evidentidifficoltà e mi chiede molte informazioni su dilui, che cosa faccia insieme a me, se siano le stes-se cose che fa lui: mi esprime a parole il suo ti-more di “non essere normale” come quel bam-bino e contemporaneamente se ne distaccaprendendolo in giro. Esprime rabbia e rifiutoper il timore di essere assimilato a quel bambi-

no, in cui vede rispec-chiate alcune delle suefragilità e probabilmentela sua parte “difettosa” edi conseguenza rifiutata.In questo incontro L., di-

sperato, attacca direttamente l’ambiente, calciagli oggetti nella stanza, ma in particolare espri-me la sua rabbia saltando a pie’ pari sulla facciadi un bambolotto.Questa rabbia distruttiva, da me attesa, è fun-zionale all’affermazione di sé (Winnicott), allaseparazione da un vissuto materno che lo identi-

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FINALMENTE ERAVAMO RIUSCITI A INTERAGIREUSCENDO DAL MONDO DELLA FRUSTRAZIONEE DELLA FANTASIA E AD AVVIARE UNA RELAZIONEPORTANDO UNA COSA MOLTO SEMPLICE:UN CALCIO A UN PALLONE!

È LA PRIMA VOLTA CHE L. MI DESCRIVE E MIMOSTRA IN MANIERA APERTA E DIRETTAUNA SUA FRAGILITÀ, SERVENDOSI FINALMENTEE CONSAPEVOLMENTE DI ME PER LE MIECARATTERISTICHE REALI DI ADULTA CHE PUÒGUIDARLO, INDIRIZZARLO, RASSICURARLO.

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con le concrete caratteristiche che essi presenta-no. L. ora può usare il suo corpo nella pienezzae metterlo in gioco interamente: grazie a unamigliore gestione del peso e delle connessionicorporee, la parte inferiore del corpo è più sta-bile e consente che le braccia e le mani venganovia via sempre più utilizzate, nell’esplorazionedella verticalità, fino ad arrivare alla verticale ealla camminata sulle mani.Quando vuole riposarsi dai grandi salti, dopoalcuni minuti di respiro profondo, propone unavariante di gioco col cilindro: prova a cammi-narvi e a gattonarvi sopra standovi in equilibriomentre lo fa rotolare per tutta la stanza. Quiprevale la ricerca di unmovimento piccolo, diequilibrio, mi sembrache si approfondisca co-sì il ritmo uretrale, conuna attivazione delleconnessioni omolateralie una forte impronta nelcercare di tenersi in equilibrio nei piccoli sposta-menti sagittali in avanti e aggiustamenti indie-tro, ma anche una ricerca di tempo sempre piùprolungato, sia nello stare in equilibrio che nellospostarsi in avanti col cilindro.In questo gioco io lo seguo e lo assisto, gli porgola mia mano, dove poggia la sua, sto attenta chenon cada, e gli do consigli su come giocare in si-curezza a questa “prova da circo”. Ammiro poisinceramente - e glielo faccio presente - la suaabilità di “saltimbanco”, poiché rivela doti atleti-che e acrobatiche non comuni, in cui sembra ingrado di coordinarsi e anche di sapere come ca-dere. Noto che sa anche raccogliere le mie rac-comandazioni e limitarsi, quando intravede ri-

schi nella gestione del cilindro. L. accetta dibuon grado consigli e suggerimenti, in un’otticadialettica, per cui se non è d’accordo con qualco-sa che gli dico mi argomenta il perché.

Un piccolo uomo in azione ■Giunto all’età puberale, L. cerca un aggancioanche fuori dalla stanza della terapia col suo latolottante, vitale e maschile: ha in suo nonno e insuo zio un riferimento con le figure maschili del-le sue stirpi familiari e desidera calcarne le orme.Infatti ora si prende sul serio come karateka, eha l’obiettivo di diventare cintura nera con dancome lo zio, forse di diventare insegnante, e ha

richiesto di iniziare a stu-diare batteria, come ave-va fatto il nonno. Con lapsicologa abbiamo forte-mente sostenuto questoaggancio al maschile,sollecitando il papà a co-involgere L. in attività di

tempo libero che entrambi apprezzano.Parallelamente L. ha iniziato le scuole medie:con la psicologa abbiamo lavorato col gruppooperativo degli insegnanti di L., per fortunamolto sensibili e attenti, invitandoli a sostenere ilragazzo. L. ha iniziato sotto i migliori auspici,impegnandosi, non scoraggiandosi più se noncapiva. Gli insegnanti raccontano che in piùmomenti è anche stato in grado di controllarel’ansia che lo coglieva durante i compiti in clas-se, grazie al loro atteggiamento rassicurante chelo sosteneva a portare a termine il compito inquestione. L. accetta la sfida di impegnarsi finoin fondo e riesce a ottenere discreti risultati sco-lastici, ma soprattutto una maggiore serenità.

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processo cognitivo della gradualità di apprendi-mento. Non è chiaramente abituato a questo ge-nere di movimento, e per la prima volta mi chie-de aiuto, gli mostro come si fa ad attivare il pesodelle dita e delle mani per piegare la carta, comedare un focus, come usare il tempo continuo, nel-lo spazio sagittale, attivando il pre-effort del chan-neling, e il corrispondente processo cognitivo dellaconcentrazione29. L. sta dunque sperimentandonuove modalità di apprendimento e di approccioalla realtà. Probabilmente questo lavoro gli è ser-vito anche per unire nella sua esperienza ciò cheaccadeva nella stanza della terapia con ciò che av-veniva a casa e a scuola. Mi racconta, infatti, chein quel periodo le maestre hanno deciso di fargliusare la calcolatrice nei compiti di matematica,per permettergli di concentrarsi sul ragionamentoe sul processo logico, e non sull’esecuzione del cal-colo, che lo mandava in ansia e in blocco. Il mo-strarmi e il nominarmi la sua fragilità, l’ho lettocome segno dello sforzo che L. stava compiendoper integrare i vissuti della sua difficile e proble-matica quotidianità, e la ricerca di autoafferma-zione, pienezza e individuazione espressa nellastanza della terapia.

Verticalità e sagittalità: una lungaesplorazione ■Cambia anche il gioco dei calci al pallone: L. haancora voglia di approfondire l’attivazione delpeso e della sagittalità, e mi chiede di aiutarlo acostruire un’alta torre di elementi della psicomo-tricità e la butta giù calciandole la palla contro.Ora L. è preciso e forte nei tiri, capace di movi-menti tridimensionali, ed esprime una aperta erivelata intenzionalità degli effort, che rende ilsuo movimento efficace. La grande novità è che

insieme studiamo modi, angolazioni, punti de-boli nella torre che ci permettano di buttarla giù.Compare parallelamente anche il tema del “sal-to all’ostacolo”: mi chiede come può allenarsi neisalti e gli propongo di scavalcare saltando ilgrande cilindro nero della psicomotricità. Accet-ta di buon grado, e noto che, nella soddisfazionedi saltare a piè pari il cilindro, L. esprime il biso-gno di sperimentarsi ancora un po’ nella dimen-sione verticale, che si attiva pienamente nellaconnessione sopra-sotto, e nella connessionecontrolaterale, che gli fa raggiungere una tridi-mensionalità di movimento che gli dà un sensodi efficacia atletica. È finalmente pronto per unritmo di flusso di tensione muscolare che da ure-trale (rincorsa a piccoli passi), diventa genitaleesterno (grande balzo per superare il cilindrone).Questa fase si riferisce alla avvenuta separazio-ne-individuazione da un femminile non nutriti-vo e fonte di disperazione e frustrazione. L’alter-nare l’esperienza del calcio e del salto glipermette di sperimentare e consolidare la verti-calità autoaffermativa, la sagittalità esplorativadell’ambiente, la tridimensionalità del gesto at-letico completo ed efficace. Il sostegno ricevutoinizialmente, l’esperienza di distruttività-soprav-vivenza dell’Oggetto Sé, fatta nella “seduta deci-siva”, l’accompagnamento e lo sviluppo simbo-lico e cinetico delle sue possibilità di agire sullarealtà, lo avevano proiettato in una nuova fase.In questi salti intravedo l’espressione di una se-conda nascita di un “venire alla luce” di L., incui la scissione fra corpo e mente, fra Sé gran-dioso e Sé deprivato è ricomposta e L. si ricono-sce in quello che fa, e si propone per quel che è.L. ha stabilito un contatto col mondo reale, del-la relazione con oggetti oggettuali (Winnicott) e

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GLI INSEGNANTI RACCONTANO CHE IN PIÙMOMENTI È ANCHE STATO IN GRADO DICONTROLLARE L’ANSIA CHE LO COGLIEVADURANTE I COMPITI IN CLASSE, GRAZIE ALLORO ATTEGGIAMENTO RASSICURANTE CHELO SOSTENEVA A PORTARE A TERMINE ILCOMPITO IN QUESTIONE.

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l’individuo a diventare consapevole di alcune espe-rienze primarie, ad essere guidato da queste versouna più chiara sensazione del proprio essere in re-lazione e ad integrare i sentimenti corporei conquelli emozionali ed esprimerli. Consentono all’in-dividuo di percepire insiem il respiro, il flusso mu-scolare e le sensazioni prodotte dal movimento.

5) Judith Kestenberg, psicoanalista americana cheha studiato la natura e il significato del compor-tamento non-verbale, applicò il lavoro di Labansull’eucinetica, rivolgendolo alla psicoanalisi.Diede così un contributo che aggiunse il concettodi ritmi di flusso di tensione al sistema di Laban,e creò così il Kestenberg Movement Profile (KMP),col quale si propone di cogliere in senso evolutivodistinzioni tra tendenze innate, carattere, modali-tà acquisite con lo sviluppo. Kestenberg riconosce-va il bisogno di un sistema di descrizione del mo-vimento e per questo applicò l’analisi delmovimento Laban alle fasi evolutive del bambino,secondo gli schemi di A. Freud e M. Mahler. Lecaratteristiche del movimento sono aumenti eraffinamenti delle qualità di movimento me-diante le interazioni con l’ambiente e con gli al-tri. Kestenberg seguì e ampliò la teoria degli sta-di dello sviluppo psicosessuale di Freud, maprecisò che i ritmi non erano corrispondenti allepulsioni freudiane, bensì rappresentano i ritmidell’attività muscolare; la pulsione quindi è unfatto meramente corporeo e si manifesta comecomportamento fisico, e modella sia le interazio-ni che il pensiero. Il flusso di forma, invece, ha ache fare con i parametri di ampliamento, restrin-gimento, crescita, riduzione, avanzamento, riti-rata,e riflettono gli stati soggettivi di benesseredisagio e contempo- raneamente un atteggiamen-

to di attrazione o rifiuto nei confronti dell’ester-no. Questi aspetti della teoria della Kestenberg laavvicinano ai concetti di affetti vitali, sintoniz-zazione e danza interattiva descritti da Stern, de-finendo in termini di movimento ciò che Sterndescriveva narrativamente in base alle sue osser-vazioni. Rosa Maria Govoni osserva come nelKestenberg Movement Profile (KMP) “...gli sche-mi motori sono visti sia come segnali di comuni-cazione corrispondenti allo schema evolutivo re-lativo al bambino, ma sono anche visti evolverelungo una propria linea di sviluppo che influen-za, e a sua volta è influenzata, dalle strutturepsichiche e di interazione.” (Govoni, 1998, p.126); quindi il KMP “fornisce uno schema di ri-ferimento attraverso cui si delineano le preferenzedi movimento, il livello di funzionamento evolu-tivo, le aree di armonia psichica e quelle conflit-tuali” (Govoni, 1998a, p. 68.).6) I Patterns of Total Body Connectivity sono seimodelli di connessione corporea di base che rivisi-tano le tappe evolutive rispetto alla crescita psico-fisica, ma anche espressiva, dell’uomo. Studiatida Peggy Hackney, coniugano principi di anato-mia e fisiologia, i contenuti della Laban Move-ment Analysis, e i Bartenieff Fundamentals. IPatterns of Total Body Connectivity sono: Breath,Core-Distal Connectivity, Head-Tail Connectivity,Upper-Lower Connectivity, Body-Half Connecti-vity, Cross-Lateral Connectivity.

7) Il Movimento Autentico è un metodo di esplora-zione dell’inconscio attraverso il movimento, nascenegli Stati Uniti nell’ambito delle emergenti psico-terapie espressive, intorno al 1950; è stato in granparte definito dall’opera di Mary Starks Whitehou-se, Janet Adler e Joan Chodorow. Queste autrici

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La madre è commossa e rinfrancata da questicambiamenti di L., e non manca di esprimere lasua gratitudine, i suoi sensi di colpa sono un po’rientrati, e la sua ferita narcisistica non è più co-sì profonda.Nel lavoro con me, svoltosi per altri sei mesi, L.cercherà forme sempre più tridimensionali ecomplete di movimento. È felice di mostrarmi isuoi enormi progressi nelle forme del karate,eseguendo per me kata, salti, calci e pugni mol-to efficaci, invitandomi a assistere alle gare. Or-mai può modulare consapevolmente e genuina-mente l’espressività del movimento, agireaffettivamente e cognitivamente in relazioni diattaccamento più maturo e consono alla sua età.L’ampliamento e l’integrazione delle capacitàmotorie ha coinciso con la trasformazione dellapropria immagine e ha modificato la relazionecon la realtà: L. aveva preso contatto con le sueparti maschili e contemporaneamente aveva ri-conosciuto e integrato nella sua storia le proprieparti più deboli e passive: aveva dismesso la ma-schera di grandiose fantasie, e ammesso le suedifficoltà, chiedendo aiuto e affidandosi alla te-rapeuta e alle altre figure di riferimento. ■

NOTE

1) Da questo punto, abbrevierò Danza MovimentoTerapia in DMT.

2) Nell’elencare gli strumenti metodologici dellaDMT faccio riferimento allo scritto di R.M. Govo-ni, Corpi in movimento, luoghi generativi di tra-sformazione, in Atti del Convegno APID 2010, “Ilcorpo contemporaneo”, Ed. Psychomedia, 2012.

3) Questo modello di Danzamovimento Terapia haun approccio psicodinamico e fa riferimento allateoria delle relazioni oggettuali, così come è statasviluppata dagli psicoanalisti britannici (MelanieKlein, Wilfred Bion, Donald Winnicott, MarionMilner, ecc.), con particolare attenzione all’espe-rienza preverbale e ai processi psicologici fonda-mentali; si serve di strumenti specifici di analisicorporea e del movimento come quelli forniti dallaScuola dell’analisi pratica, vale a dire il lavoro diRudolf Von Laban, Judith Kestenberg, IrmgardBartenieff, Peggy Hackney, e dei loro allievi e con-tinuatori della loro opera (si veda La Barre, 2001).

4) Il Laban Movement Analysis (LMA), è un si-stema di analisi del movimento ideato da RudolfVon Laban Laban, danzatore, coreografo e teoricodella danza e del movimento, partendo dal presup-posto che ogni movimento nasce da un impulso in-terno, ma può essere osservato dall’esterno in ma-niera obiettiva, senza interpretazione. IrmgardBartenieff, allieva di Laban, diede il suo originalecontributo alla analisi del movimento. In partico-lare, ispirandosi all’uso del movimento per pro-muovere la salute mentale mise a punto i Barte-nieff Fundamentals, esercizi di base che aiutano

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spazio che lo accoglie, facendo una prima esperien-za dei propri confini. Il neonato sostenuto dall’ab-braccio della mamma, cede il suo peso e si aggiustanella forma. La madre cerca di sintonizzarsi con ilrespiro e con il peso del bambino dando origine cosìad un legame e ad un rapporto di fiducia.

13) Bartenieff/Hackney descrivono il respiro comeil fattore-base del movimento, il primo atto con cuinasciamo alla vita: il respiro è cellulare e polmona-re fa sì che sperimentiamo il senso di pieno e vuoto,e una forma primaria di tridimensionalità; è lapercezione di base per la fiducia nell’esserci.

14) Nella LMA la cinesfera è lo spazio che circon-da il corpo, direttamente raggiungibile dal sogget-to, in cui vengono descritti i tracciati di movimen-to in dimensioni, piani, diagonali, in relazione alcentro di gravità del corpo.15) Nella LMA è l’area della cinesfera più conti-gua al centro del corpo.

16) Secondo Judith Kestenberg gli effort di Labanhanno nello sviluppo una funzione adattativa,vengono usati per cooperare col mondo esterno; iprecursori degli effort, o pre-effort sono invece col-legati al flusso di tensione e sono i principali mez-zi motori dei meccanismi di apprendimento e dife-sa; mediano fra l’Es e l’Io. Si veda R.M. Govoni,“Danza: linguaggio poetico del corpo e strumentodi cura”, pagg. 71, 72.

17) Nel KMP il pre-effort della repentinità corri-sponde a uno stato di all’erta, ha a che fare con di-fese di tipo attacco-fuga, del “buttarsi” a fare qual-cosa, degli acting-out, e si esplica principalmentenel piano sagittale (salto, corsa, pugno, calcio,

strisciare...); a questo pre-effort è collegato il proces-so cognitivo dell’apprendimento tramite intuizione.

18) Nel KMP la gestualità direzionale è quella chesi dirige dal centro del corpo al suo esterno, dire-zionata verso qualcosa, per entrarvi in relazione.I movimenti direzionali possono essere spoke-like(a una dimensione, dritti), ark-like (a due dimen-sioni, curvi, ad arco) e carving (scolpire lo spazio,tridimensionali).

19) Nello studio sulle connessioni corporee Barte-nieff/Hackney, la connessione nucleo-distale (o ir-radiazione ombelicale) comprende lo sviluppo delsostegno del nucleo interno del respiro e dei musco-li/ossa interne del corpo in relazione con il movi-mento di ciascun arto verso l’ambiente.

20) Nel KMP i ritmi del flusso di tensione musco-lare denotano il flusso continuo fra tensione e ri-lassamento dei muscoli. Essi si organizzano il mo-do in cui l’essere umano organizza i suoi impulsienergetici, che si manifestano attraverso variazio-ni toniche. “Questi ritmi si definiscono comecombinazioni di ritmi più semplici essenziali, siaper certi tipi di compiti sia per funzioni fisicheelementari. Ritmi specifici si associano alle se-guenti azioni: 1) succhiare, mordere; 2) tendere,torcere; 3) correre, fermarsi; 4) ondeggiare, oscil-lare; 5) saltare, balzare. (...) Ciascuno di questiritmi può essere classificato anche secondo le cor-rispondenti fasi e zone libidiche. Così: 1) succhia-re e mordere sono attività della fase orale; 2) ten-dere e torcere appartengono alla fase anale; 3)correre e fermarsi alla fase uretrale; 4) ondeggia-re, oscillare alla fase genitale interna; 5) saltare ebalzare alla fase genitale esterna. Va distinta an-

ALESSANDRA COCCHI

“enfatizzano l’importanza del movimento come for-ma di comunicazione, in particolare quel movi-mento inconscio, o autentico, che emerge da unostato di profonda consapevolezza sensoriale, daun’attitudine di ascolto interno. Un tale movimen-to può svelare immagini potenti, sentimenti, sensa-zioni cinestesiche che provengono dalle profonditàdei ricordi infantili, e che possono collegare il Sé in-teriore con una dimensione trascendentale” (Palla-ro, 1999), note di copertina. Da ora in poi Movi-mento Autentico sarà abbreviato in MA.

8) Nella LMA il termine effort indica la manife-stazione dinamica nel movimento, originata daun impulso interno e visibile all’esterno in rappor-to alla forza di gravità (peso) e alla gestione atti-va dello spazio e del tempo.

9) Riporto la chiara spiegazione di Katya Bloom:“L’effort del peso, designato come forte o leggero,riguarda la sensazione fisica del corpo stesso e lasensibilità tattile. Rendendo conscio questo aspettodell’esperienza, secondo Laban, sviluppiamo unaintenzione con cui operare, fare qualcosa col corpo.(...) L’elemento del peso, quindi, è legato al sensodi efficacia e di attività, alla capacità di esercitareun impatto, oltre che di essere informati. Un sensodi presenza tridimensionale ci mette a disposizioneun luogo a partire dal quale provare sensazioni,vedere o pensare”(Bloom, 2006, p. 37).

10) “L’elemento del flusso (libero o tenuto/legato)riguarda il controllo o la libertà dei sentimenti chesi esprimono nel movimento. Quando ci sono ca-renze nell’ambiente primario, o quando il bebé èestremamente sensibile ai fattori di disturbo affetti-vo, le sue reazioni possono essere caratterizzate da

un flusso legato. Intendo con questo le strategie perla regolazione e il controllo degli affetti di fronte asentimenti arcaici che chiamano in causa il terroredell’estinzione. (...) Naturalmente questi sentimen-ti primitivi che ho ricondotto all’elemento del flussonon sono circoscritti alla prima infanzia. Le ca-renze dell’ambiente originario lasciano in qualchemisura l’impronta sull’esperienza successiva ditutti noi, ma se son state gravi e durature avrannoprobabilità molto maggiori di essere riattivate inmomenti di stress e di trauma durante tutto il corsodella vita” (Bloom, 2006, pp. 91, 92).

11) Il flusso tenuto di tensione muscolare è legato se-condo la LMA e il KMP alla relativa libertà o restri-zione del flusso del respiro e dell’energia, della forzavitale del corpo; ha a che fare col controllo muscolaredei confini del corpo, dei sentimenti, del vissuto cor-poreo e delle emozioni. In questa modalità non siesprime né si riceve un messaggio affettivo, ma si co-munica all’altro di non avvicinarsi, rinunciandocosì a entrare in contatto (Govoni, 2012).

12) Nel KMP il flusso di forma è il fattore di basedel movimento, è “la forma del corpo che cambia esi muove adattandosi, sia rispetto a se stessi, cheall’ambiente esterno”. La respirazione polmonare èanche il primo movimento verso la relazione conl’ambiente esterno, e plasma uno spazio internotridimensionale. Il neonato dapprima apre e chiu-de la propria forma corporea per respirare e per as-secondare le sensazioni interne e raggiungere unostato di comfort. L’esperienza del flusso della formanutrita dal respiro, crea una prima connessionecon la differenziazione del sé dalla madre: così ilbambino sperimenta l’allargamento e il restringi-mento della forma corporea anche in relazione allo

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scapola/braccio/mano, fino alla testa. Hackneydescrive come nel bambino, l’imparare a usarequesta connessione sia successiva al saper padro-neggiare la connessione omolaterale, che organiz-za il corpo in una parte che mantiene la stabilità,mentre l’altra si muove e lavora, è legata alla fun-zioni laterali del cervello e alla chiarezza di pensie-ro (Hackney, 1998, pp. 177 et segg.).

26) Il piano sagittale nella LMA indica i movi-menti che spostano il corpo avanti e indietro in re-lazione al suo centro.

27) Si veda anche nota 8.

28) Questa connessione corporea costruisce messaa terra, forza, intenzione attraverso la spinta ver-so il suolo. Sviluppa la capacità di risalire dallaspinta a terra per dirigersi verso lo spazio e di ti-

rarsi su senza perdere la connessione col nucleodel corpo. È in relazione con la costruzione di unsenso personale di potere.

29) Il channeling è il precursore dello spazio diret-to. Su questo pre-effort si basa la difesa dell’isola-mento, di ritirarsi e chiudersi agli stimoli esterni,ma anche la capacità di isolarsi per potersi con-centrare. Si serve della continuità come attributodel flusso del flusso di tensione.

ALESSANDRA COCCHI

che una versione libidica o sadica nei modelli dimovimento di ciascuna fase, che connota unamaggiore o minore quantità di sforzo, oppure, intermini più soggettivi, una qualità più indulgen-te (indulging) o combattiva (fighting) del movi-mento” (La Barre, 2001, p. 39).

21) Stern sottolinea il vincolo fra la sintonizzazio-ne affettiva e la percezione dell’altrui movimentoattraverso gli affetti vitali; ciò corrisponde allequalità che i Danzamovimento Terapeuti osserva-no attraverso il flusso di forma, ritmi di del flussodi tensione muscolare e gli attributi del flusso ditensione del KMP e tramite gli Effort nella LMA:“Nel lavoro di Danza Movimento Terapia si perfe-ziona la tecnica del rispecchiamento attraverso lapossibilità di sintonizzarsi al flusso di tensione eal flusso di forma del movimento del paziente”(Govoni, 2010; Kestenberg, 1990).

22) Il flusso neutro o deanimato è un flusso cheimpiega livelli minimi di tensione muscolare (Go-voni, 2012).

23) Nella LMA è lo spazio al di fuori della cinesfe-ra, cioè non direttamente raggiungibile dal corpo.

24) Nel KMP gli attributi del flusso di tensionesono la parte “affettiva” del flusso di tensione, de-rivano da bisogni biologici e psichici e organizza-no la loro regolazione affettiva, cioè l’espressionedei sentimenti e le reazioni emotive alla sicurezza eal pericolo.

25) La Hackney descrive la cross-lateral connecti-vity come il movimento controlaterale del corpoconnesso al centro del corpo stesso, che impegna lecatene muscolari che vanno dai piedi al pavimen-to pelvico e dalla spina dorsale alla connessione

Dal gemello “sacrificato”alla riuscita della individualitàUn intervento di Danza Movimento Terapia

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conflittuali. Ogni città è un ambiente semioticoglobale, una “semiosfera” dotata di una propriaidentità [...] ma è al tempo stesso la somma dimolte semiosfere differenti, che per la maggiorparte del tempo convivono, spesso ignorandosi re-ciprocamente ma potenzialmente sono fra loro inconflitto. Del resto, nella teoria della modernità,la città è esattamente quel luogo che rende possi-bile la coesistenza della diversità, concetto espres-so dalla stessa semantica dell’”urbanità”.4

All’interno di questo complesso sistema cultura-le che sono gli agglomerati urbani, i comporta-menti degli individui giocano un ruolo fonda-mentale nella negoziazione del significato traspazi e socialità, in quanto sono gli stessi corpi aessere dispositivi semiotici, nonché eterotopiecosì come Foucault5 le intende (se per lui le ete-rotopie sono spazi che parlano altro da sé, inquesto caso sono i corpi a parlare altro da sé). Lapossibilità, contenuta in un luogo, di portare lamente al di là di quelloche la vista gli propone,di vivificare significati al-tri da quelli attribuitigli,è propria anche del cor-po umano che, con ungesto, una parola, parladi altro da quello che è. A seconda quindi del ti-po di comportamento che adotto in un dato spa-zio, il suo significato entra in dialettica con gli al-tri significati circolanti e facenti parte di abitiinterpretativi6 consolidati.Questa dialettica viene descritta da RaffaeleRauty7, ponendo l’accento sulla componente re-lazionale che le pratiche comportamentali han-no sugli spazi pubblici: “Con l’andare del tempoogni zona, ogni quartiere della città assume alcu-

ne caratteristiche proprie dei suoi abitanti. Ciascu-na delle sue aree si colora inevitabilmente, del mo-do di essere delle persone che lo vivono. Di conse-guenza, ciò che era prima solo un’espressionegeografica si trasforma in un luogo che ha proprisentimenti, tradizioni e storia.”L’arte performativa urbana, con essa il teatro-danza urbano, gioca, come altre pratiche, unruolo importante, arrivando a risignificare8 lospazio pubblico, operando quell’atto traduttivoche permette la rinegoziazione del senso attra-verso nuovi abiti interpretativi.Il progetto Add Up lavora in questo senso sullamessa a nudo degli abiti interpretativi, quelleche Goffman9 chiama maschere sociali, crean-do nuove possibilità per giocare con la socialitàe gli spazi urbani.Il focus è sulla connessione che i corpi creanoaderendo all’oggetto “strada”, su come affronta-no il processo di adesione e come lo trasforma-

no, sulla dialettica tra ilcondizionamento che ilcorpo subisce e le modi-ficazioni che esso inducenei luoghi con il proprioadattamento. Nello spe-rimentare l’adesione al-

l’arredo urbano, assumiamo posture, i corpiaderiscono, si sommano in un costante dialogoin cui la strada modifica i codici del corpo e ilcorpo scalfisce le certezze dei luoghi. Il propriomovimento si fonde con l’ambiente, stimolatodalle architetture, dalle geometrie, dalle superfi-ci, dai colori: la città diventa sostegno e spintaper nuove forme, un organismo denso di signifi-cati con il quale il corpo entra in relazione osmo-tica. In questo costante dialogo tra l’architettura

Add Up > Barriera senza confiniIl corpo ludico della città

DARIO LA STELLA*, VALENTINA SOLINAS**In questo articolo si espone il progetto Add Up >Barriera Senza Confini come esempio di ap-plicazione dell’arte performativa nei program-mi di rigenerazione urbana.Add Up > Barriera Senza Confini è una artico-lazione di Add Up, più ampio progetto di ricer-ca e creazione coreografica sulla relazione traurbanizzazione e socializzazione, tra identità eambiente urbano, che Senza Confini Di Pelle1,porta avanti dal 2011 mediante tappe e collabo-razioni nazionali e internazionali2.La pratica artistica che Senza Confini Di Pelleintende con arte performativa vede l’utilizzo delcorpo come strumento espressivo globale, lavo-rando sulla commistione dei molteplici linguaggiartistici (danza, video, musica, teatro, poesia) perparlare della contemporaneità. Il corpo diventaun dispositivo semiotico complesso capace di in-teragire direttamente con la città e i suoi abitanti,ponendosi nel tessuto urbano come catalizzatoredi processi di cambiamento e integrazione e faci-litandone la modificazione positiva.Add Up, sviluppando risorse artistiche propriedel teatrodanza, della danza urbana, della per-formance, dell’happening e risorse teoricheproprie dell’antropologia, della sociologia, del-la semiotica e dell’architettura, si pone comestrumento di indagine sociologica di una dataarea urbana.Il progetto indaga come la danza possa esprime-re l’identità di un luogo, intercettando la relazio-ne tra urbanizzazione e socialità ed evidenziacome il rapporto tra identità sociale e luogo ur-bano sia una relazione dinamica, una connes-sione dialettica e come i luoghi preposti ad unospecifico utilizzo dall’urbanistica vengano sov-vertiti da un loro diverso “uso”, sperimentando

nuovi modelli per “abitare” gli spazi pubblici.Dopo la trattazione teorica e metodologica diAdd Up, si espone Add Up > Barriera SenzaConfini, progetto che ha coinvolto attivamentegli abitanti del quartiere Barriera di Milano, aTorino, in veste di autori, attori e testimoni diun processo artistico.

Concept ■Il progetto Add Up - Adesioni Urbane (dal ver-bo inglese to add (up) > aggiungere, sommare,sommarsi, aderendo, adattandosi, come il filod’erba che cresce nelle pieghe del cemento), sideclina nelle due forme: creazione coreograficae workshop di teatrodanza urbano. In ambo icasi l’ambiente urbano si pone come oggetto eteatro delle azioni che il progetto sviluppa.Torino, Napoli e Meina in Italia, Kuhlungsbornin Germania, San Paolo e Rio De Janeiro inBrasile e in futuro Rosarno, Bruxelles, Parigi ePoznan sono luoghi di indagine e azioni perfor-mative del progetto3.Da un punto di vista semiotico, il tessuto urbano,la città, si presenta come organismo, come siste-ma semiotico complesso, come sistema culturale,formato da molteplici nodi e percorrenze possi-bili, in cui lo spazio pubblico assume diverseidentità. “La città è uno spazio in cui si strutturaa vari livelli - da quello fisico a quello immagina-rio - il vivere quotidiano, secondo memoria, abi-tudine, straniamento. Uno spazio quindi che vie-ne sentito come “proprio” dai suoi cittadini, e alquale, benché sia un luogo di consumo e che siconsuma, è istintivamente affidato il senso dipermanenza delle cose. Ogni suo cambiamento,tanto più se esplicito e dichiarato,pubblico, è de-stinato ad essere percepito e vissuto in termini

48 Dario La Stella - Artista performativo, coreografo, danzatore, autore, regista; Valentina Solinas - Artista performativo, danzatrice, autrice, regista

NELLO SPERIMENTARE L’ADESIONEALL’ARREDO URBANO, ASSUMIAMO POSTURE,I CORPI ADERISCONO, SI SOMMANO IN UNCOSTANTE DIALOGO IN CUI LA STRADAMODIFICA I CODICI DEL CORPO E IL CORPOSCALFISCE LE CERTEZZE DEI LUOGHI

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RicercaNella fase di ricerca urbana si esplora la possibi-lità di sommare, di aggiungere il corpo umanoall’oggetto “strada”, al “corpo urbano”, me-diante l’adesione ad elementi architettonici e diarredamento (muri, pali, alberi, scale, cestinietc). Questa pratica di indagine, che si presentacome performativa, viene utilizzata per cattura-re i “materiali” che, nella successiva fase di ela-borazione e creazione artistica, vengono trasfor-mati in partiture fisiche, azioni coreografatedell’abitare l’urbano. Distinguiamo tre modalitàdi adesione (Fisica, Emotiva, Intellettiva) se-guendo le quali il corpo aderisce assorbendo leforme, sfruttando l’impulso emotivo e la cono-scenza del luogo. Ogni modalità viene esploratain maniera statica e dinamica. Differenti ap-procci conducono a differenti “materiali” e adifferenti possibilità coreografiche.Nel momento della ricerca non c’è tensione per-formativa ma attenzione all’ascolto della posi-zione assunta, alla qualità dell’adesione con l’og-getto: l’identità del performer è completamenteimmersa nello spazio, fusa con gli oggetti circo-stanti; il luogo viene addomesticato, intimamen-te abitato dal corpo. Questo “laboratorio pub-blico” produce l’effetto di un happening, unaccadimento inaspettato in cui i passanti, ignaridel processo in corso, assistono a veri e propriepisodi di danza site-specific.La ricerca avviene in luoghi delle città scelti perla loro centralità nello sviluppo urbanistico, so-ciale e culturale, prediligendo i luoghi carichi divalenza emotiva per i suoi abitanti, sia in rela-zione al passato, sia alla contemporaneità: luo-ghi della memoria, del cambiamento, da mo-strare e da celare.

ElaborazioneSi lavora sulla memoria del corpo per recupera-re gli stimoli provenienti dall’esperienza urbanae si elaborano i materiali e le suggestioni fisiche,emotive, intellettive colte con le adesioni.Individuate ed analizzate le dinamiche di movi-mento e le forme che le hanno stimolate si pro-cede a comporre le partiture fisiche, alla basedella performance conclusiva.

PerformanceLa rielaborazione dei “materiali” trovati duran-te la fase di ricerca confluisce nella creazione erappresentazione di un evento performativo. Leposture e le suggestioni catturate e incorporateattraverso il processo di adesione sono il puntodi partenza di una esplorazione fisico/emotivaper approdare a disegnare partiture coreografi-che atte a restituire l’anima del luogo, il suo vi-vere la strada, la sua comunità, mettendo in sce-na l’identità e l’intimità dello spazio sociale. Laperformance può essere rappresentata sia site-specific nello spazio urbano in cui si è svolta lafase di ricerca, sia in uno spazio teatrale.

Add Up > Barriera senza confini ■Senza Confini Di Pelle, con il progetto Add Up> Barriera Senza Confini12, ha realizzato aTorino, nel quartiere di Barriera di Milano, unworkshop di teatrodanza urbano di 6 settima-ne sfociato nella creazione dell’evento urbanoitinerante Add Up Streetscapes > Barriera Sen-za Confini, rappresentato l’8 giugno 2013 al-l’interno del festival Internazionale di DanzaContemporanea Interplay/13. In conclusioneal progetto il 16 luglio ha presentato, presso iBagni pubblici di via Agliè, la mostra “Sezioni

DARIO LA STELLA, VALENTINA SOLINAS

dei corpi, dei pensieri, delle emozioni e l’archi-tettura degli spazi, creati dall’uomo per l’uomo,le forme architettoniche si animano e i corpi sifondono in esse plasmandosi. È la compenetra-zione di due aspetti della stessa realtà che si in-trecciano nel substrato del vissuto quotidiano.Il corpo del performer in relazione diretta con lospazio pubblico ne trasforma la realtà oggettivain una sua nuova immagine. Nell’incorporarnele forme e le suggestioni, esso diventa il “me-dium” tramite cui si realizza, nella rielaborazio-ne artistica, l’espressione di quel luogo, la con-nessione tra passato e futuro, tra la consolidatavisione di uno spazio urbano e la sua nuova rap-presentazione, carica di vecchi simboli ma arric-chita di nuove potenzialità e immaginari.Nascono nuove possibilità di relazione con lospazio urbano, tramite la scoperta di una bellez-za e di un significato propri dei luoghi.il germe, il meme10 che vogliamo attivare con ilnostro lavoro è di generare nuove visioni di uno

stesso spazio, trasformando idee preesistenti,sovvertendo l’abitudine, innescando processivirtuosi e autonomi di azione e progettazione.

Metodologia ■Add Up, sia in forma di workshop sia di creazio-ne performativa, prevede 4 fasi:Analisi - Ricerca - Elaborazione - Performance

AnalisiL’analisi del territorio (metropoli o piccolo bor-go) prevede lo studio della sua storia e sviluppourbanistico e momenti di conoscenza diretta at-traverso camminate esplorative che attingonoalle derive situazioniste11. Seguendo le cono-scenze acquisite, l’emotività derivata dall’attra-versare i luoghi e l’impatto visivo, ci si inoltra neltessuto urbano con particolare attenzione aisuoi spazi di aggregazione. L’analisi è accompa-gnata da documentazione video fotografica einterviste ai suoi abitanti.

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lavoro artistico nel processo dello sviluppo urba-nistico di Barriera.Il workshop, mediante le pratiche di “adesione”urbana e mediante improvvisazioni danzate, haguidato i suoi partecipanti in un viaggio esplora-tivo del quartiere che, attraverso la rielaborazio-ne artistica, è stato restituito con l’evento dell’8giugno al pubblico degli abitanti di Barriera edel Festival Interplay/13.Add Up Streetscapes > Barriera Senza Confininasce come espressione del quartiere che l’haispirato e ospitato, mettendone in luce gli aspettiarchitettonici in sintonia con l’immaginario deisuoi abitanti, per condurre il pubblico attraver-so l’atto poetico della danza e la contemplazionedella camminata alla scoperta emotiva dei luo-ghi più significativi di Barriera di Milano.L’evento si è svolto tra le ore 17 e le 23 ed haproposto al pubblico un percorso in 8 tappe15,da ovest a est, con un costante accompagna-mento musicale, momenti di danza, musica,momenti conviviali e incontri con personaggidel quartiere che si sono raccontati al pubbli-co (i commercianti del mercato di piazza Fo-roni, gli Alpini gruppo Torino Nord, i rapperdi via Agliè); si è dato spazio e voce alle realtàdelquartiere, inserendole in maniera omoge-nea nel percorso spettacolare, senza snaturar-le, per evidenziare la vita e le contraddizioniche lo animano.L’evento si è dipanato seguendo un percorsodiacronico: dal passato al futuro, intersecandole principali direttrici sulle quali si è urbanisti-camente sviluppato il quartiere (corrispettivealle porte per accedere alla città) e sofferman-dosi nei luoghi centrali nella sua vita sociale,economica ed artistica.

Consci del fatto che portare azioni artistichein luoghi della città abitualmente non deputa-ti a questo tipo di funzione, aggiunga valore estatus di importanza ai luoghi stessi, si è volu-to stimolare l’interesse verso le arti performa-tive in quanto strumento privilegiato di co-municazione che, mediante il linguaggio delcorpo, stimola la partecipazione superando iconfini dettati da età, sesso, cultura e apparte-nenza sociale,integrando il mondo dell’artenel quotidiano e viceversa. ■

*Dario La Stella

Dal 1997 conduce una ricerca personale sulla perfor-

matività del corpo, sviluppando la sua idea di azione

performativa.

Nel 2002 ha fondato il progetto di ricerca sul linguaggio

delle arti performative Senza Confini Di Pelle dove la-

vora come autore, regista, coreografo e performer.

Dal 2008 ha condotto seminari presso il CRUD (Centro

Regionale Universitario per la Danza) - Facoltà di

Scienze dell’Educazione, Università di Torino.

Laureato in Comunicazione Interculturale presso l’Uni-

versità di Torino.

** Valentina Solinas

Dal 2004 fa parte di Senza Confini Di Pelle dove lavora

come autrice, regista e interprete.

Psicologa, laureata presso l’Università di Torino.

DARIO LA STELLA, VALENTINA SOLINAS

Di Barriera” composta dalla documentazionefotografica del progetto, dall’opera del foto-grafo Christian Fusco13, e dal testo poetico diMaria Teresa Dattilo.Lavorando sulla consapevolezza urbano-archi-tettonica tramite interviste, workshop, eventiperformativi e installativi, il progetto ha miratoa stimolare la conoscen-za reciproca, l’integra-zione e la coesione socia-le tra le comunità delquartiere che, pur moltodistinte tra loro, hannolavorato alla sua realizzazione. Inoltre ha valo-rizzato l’uso sociale dello spazio pubblico comeambito privilegiato di interazione tra i cittadi-ni,stimolando un sentimento di appropriazionedegli spazi urbani.Barriera di Milano, ex quartiere industriale edoperaio nella periferia nord della città di Tori-no adiacente al centro, è un’area in continuosviluppo e mutazione ora al centro di profondetrasformazioni anche urbanistiche che mettonoin crisi l’appartenenza identitaria dei suoi abi-tanti. Caratterizzata da una forte componenteimmigratoria multietnica (in valore assoluto icittadini stranieri sono il 27% dei residenti, con-tro una media cittadina del 16%) e da notevolicriticità a livello fisico-ambientale e socio-eco-nomico (densità abitativa tripla rispetto al valo-re medio cittadino, indici di disoccupazione, difamiglie in carico dei servizi sociali, di bassaistruzione e di reati, superiori al resto della cit-tà)14, Barriera di Milano, sulla quale il comunesta investendo in termini di riqualificazione ter-ritoriale, si presenta come area urbana degra-data e viene percepita come una delle “meno

sicure” della Città. Al fine di costruire e diffon-dere una nuova immagine di Barriera sia in chilo abita sia in chi vive altrove, i suoi abitanti,tramite il workshop, sono stati coinvolti insiemea 10 danzatori nella sperimentazione di unnuovo abitare comune dello spazio pubblico, enella realizzazione di una performance urbana,

espressione diretta dellavita del quartiere.Antecedentemente alworkshop, sia per rac-cogliere informazioniutili alla conoscenza

del quartiere, della sua storia, delle sue dina-miche, sia per individuare i luoghi dove am-bientare la ricerca e la performance, si sonosvolti incontri con artisti, commercianti, scuo-le, associazioni e abitanti.Successivamente, si è monitorata la ricadutadel progetto, intervistando i suoi partecipanti eil pubblico, chiedendogli quale fosse la loro co-noscenza pregressa del quartiere, se l’immagi-ne che ne avevano fosse cambiata, quale aspet-to urbanistico li avesse maggiormente colpiti equale utilità attribuivano all’arte performativanei processi di riqualificazione urbana.Il workshop è stato condotto da Dario La Stella,Valentina Solinas (Senza Confini Di Pelle) e Ve-ronica Forioso, con l’affiancamento di 6 coreo-grafi consulenti (Aldo Rendina, Federica Tardi-to, Ambra Senatore, Silvia Alfei, Aline Nari eDavide Frangioni), che hanno fornito ai parteci-panti le proprie visioni coreografiche, stimolan-do le possibilità espressive e creative del corponello spazio urbano con la consulenza dell’ar-chitetto Valentina Drocco che ha analizzato larelazione uomo/ambiente, contestualizzando il

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IL WORKSHOP, MEDIANTE LE PRATICHE DI“ADESIONE” URBANA E MEDIANTEIMPROVVISAZIONI DANZATE, HA GUIDATO I SUOIPARTECIPANTI IN UN VIAGGIO ESPLORATIVODEL QUARTIERE

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11) Movimento artistico sviluppatosi a Parigi dal1957 a opera del suo fondatore Guy Debord.

12) Svolto a Torino tra aprile e luglio 2013, con ilfinanziamento del Comitato Urban Barriera di Mi-lano, nell’ambito del progetto “Cosa succede in Bar-riera?”, II edizione e del “Festival Interplay/13”.http://www.mosaicodanza.it/interplay13sen-zaconfinidipelle.htmhttp://www.comune.torino.it/urbanbarriera/vi-ve/progetto-cosa-succede-in-barriera.shtml#.Uh9z53-DdLM

13) Il progetto fotografico nasce “in progress” du-rante il laboratorio. Seguendo fotograficamente gliesercizi di “adesione urbana” sono stati interpreta-ti i gesti e le posture in relazione all’architettura. Leproposte performative dei partecipanti sono state lospunto per modificare l’immagine facendo muovere

e fondere l’architettura con essi in una prospettivadecostruttivista, riflettendo lo spirito di un quartie-re in perpetuo movimento e mutazione.

14) Fonte: http://www.comune.torino.it/geopor-tale/prg/cms/media/files/ALBO_PRETORIO/VARIANTI/200_preliminare/51_dossier_pisu.pdf

15) Indichiamo l’itinerario di 3,5 km: DOCKSDORA Via Valprato 68, CLESSIDRA Corso GiulioCesare 100, MERCATO PIAZZA FORONI piazzaCerignola, SEDE ALPINI GRUPPO TORINONORD piazza Bottesini, GIARDINI EX CEAT viaLeoncavallo, POSTEGGIO via Ponchielli, COR-TILE SCUOLA S. D’ACQUISTO via Tollegno 83,BUNKER via Niccolò Paganini 0/200.

DARIO LA STELLA, VALENTINA SOLINAS

NOTE

1) Progetto di sperimentazione sul linguaggio del-le arti performative, in particolare del teatrodan-za, nato nel 2002 a Torino e condotto da DarioLa Stella e Valentina Solinas.Sito: www.senzaconfinidipelle.com

2) Collaborazioni nazionali: Interplay FestivalInternazionale Danza Contemporanea, La Piat-taforma Festival, Adicittà, Istituto Italiano diCultura di San Paolo, Urban Barriera di Mila-no. Collaborazioni internazionali: Sala Crisan-tempo, compagnia Nucleo De Garagem, SESC SPSanto Amaro (Brasile), Mecklenburg Inspiriert(Germania).

3) Add Up Space and Power > progetto coreograficoselezionato per Metamorphoses, da ottobre 2013 agiugno 2014 con il supporto del Programma Cultu-rale dell’Unione Europea presso: La Briqueterie/Cen-tro di Sviluppo Coreografico (Francia), Les Brigitti-nes/Centro Arte Contemporanea per il Movimento(Belgio) e Zamek/Centro Culturale (Polonia).http://metamorphoses2014.wordpress.com/2013/04/15/the-selected-are/Add Up Connecting Rosarno > workshop di tea-trodanza urbano, Festival di rigenerazione urbanadi Rosarno, 2013 sezione Movimentihttp://adicitta.wordpress.com/il-workshop/

4) Leone Massimo, a cura di, 2009, La città cometesto, Scritture e riscritture urbane, numero 1-2 diLexia (nuova serie), pp. 64.

5) Foucault Michel, 2001, Spazi altri, I luoghidelle eterotopie, Milano, Mimesis.

6) Per approfondimenti si veda Proni, Giampaolo,1990, Introduzione a Peirce, Milano, Bompiani.

7) 1995. Società e metropoli, La scuola sociologi-ca di Chicago, Roma, Donzelli.

8) [...] risemantizzazioni profonde che, modifi-cando le abitudini, i percorsi, i valori stessi dell’e-sperienza di un luogo, ne trasformano il sensocomplessivo senza alterarne tuttavia la forma.[…] Ciò significa che non c’è un significato spa-ziale separato o separabile da uno culturale; ilmodo stesso di percepire gli spazi e di costituirlicome significanti dipende dai valori e dai signifi-cati culturali che vi attribuiamo. Il rapporto fraspazi e comportamenti pare così sempre da inten-dere a doppio senso: da un lato gli spazi prefigu-rano dei comportamenti e dei percorsi possibili,ma allo stesso tempo i percorsi e i comportamenticontribuiscono a ridefinire gli spazi, risemantiz-zandoli attraverso processi che ne alterano i sensioriginari e determinano nuovi valori. LeoneMassimo, a cura di, 2009, La città come testo,Scritture e riscritture urbane, numero 1-2 di Le-xia (nuova serie), pp. 122, 124.

9) Goffman Erving, 1969, La vita quotidianacome rappresentazione, Collana Biblioteca, trad.Margherita Ciacci, Bologna, Il Mulino.

10) “Unità auto-propagantesi” di evoluzione cul-turale analoga a ciò che il gene è per la genetica,quindi un elemento di una cultura o civiltà tra-smesso da mezzi non genetici, soprattutto per imi-tazione. Il concetto ha origine, nell’ambito di unavisione biologico-evoluzionista umana, all’internodel libro di R. Dawkins “Il gene egoista”, 1976.

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57sciplinare speriamo diventi sempre più inte-grata e concreta.Espressivo si occuperà dunque di Musicotera-pia e delle sua applicazioni nei più svariatisettori dell’ambito socio-sanitario e scolastico,si occuperà anche delle altre Arti Terapie edei loro presupposti teorici e applicativi se-condo una concezione di salute definita comestato generale di benessere psico-fisico e nonsolo come assenza di malattia. Espressivo saràrivolto quindi al concetto di Arte in senso am-pio e comprensivo di tutte le forme di comu-nicazione ed espressione potenzialmente utilialla promozione della salute della persona at-traverso l’interazione creativo-espressiva.In un’ottica più generale e forse più filosofi-co-antropologica ritengo che il contributodella nostra rivista debba mettere in primopiano tutti quegli elementi di trasversalitàche caratterizzano il mondo delle Artiterpiee che confinano inevitabilmente anche conalcuni paradigmi contemporanei della Peda-gogia e delle Scienze dell’Educazione e questisi possono riassumere nel seguente modorappresentando così una sorta di scaletta diintenti per i prossimi numeri:- L’uso dei linguaggi della corporeità, con

particolare riferimento all’uso dell’interocorpo del terapista implicato nella relazio-ne e alla prevalenza degli aspetti non ver-bali della comunicazione.

- La inevitabile tendenza a “mettere in sce-na” e a “rappresentare” attraverso il lin-guaggio sonoro musicale aspetti interniinerenti il soggetto, il suo contesto relazio-nale e quello stratificatosi nelle varie for-me di memoria.

- L’organizzazione ritmica come elementobasilare di qualunque esperienza umana,per la quale e grazie alla quale può esserepotenzialmente riconducibile ad una com-ponente sonoro/musicale qualunque for-ma espressiva.

- La spontanea tendenza di ogni nostraespressione ad organizzarsi ad un livelloespressivo-creativo per effetto di capacitàmitopoietica intrinseca alla nostra specie.

- L’elemento di transculturalità del datoespressivo, in qualità di prodotto vivente einterattivo e dunque portatore di nuoveinterazioni tra le varie culture stratificatesia vari livelli della coscienza dei soggetti,dei gruppi, delle comunità e delle societàin generale.

Stefano Navone

Nella realizzazione di questo progetto sonoaiutato da Lucia Lovato, Evi Giesler, GiuliaFabrello e Giorgio De Battistini, giovani col-leghi del Centro Studi che con entusiasmo eintelligenza condividono con me questi pre-supposti.

RECENSIONI AR-TÉ

Nasce “ESPRESSIVO”, la nuova rivistadel Centro Studi Musicoterapia Alto Vicentino

a cura di Stefano NavoneMusicoterapista, coordinatore Centro Studi MusicoterapiaAlto Vicentino

A sette anni dalla creazione del Centro StudiMusicoterapia Alto Vicentino, nasce la RivistaEspressivo come logica prosecuzione di un la-voro di divulgazione e sensibilizzazione almondo della Musicoterapia iniziato nell’ormailontano 2006 all’interno dell’Istituto MusicaleVeneto città di Thiene in provincia di Vicenza.Il presidente dell’Istituto, Bruno Grotto, inve-stendo nelle mie competenze e nella mia pro-fessione di musicoterapista, mi chiese in quel-l’occasione di fare nostra una generale curiositàculturale che il mondo delle Terapie Espressiveprovocava; sempre più frequenti erano le ri-chieste di informazioni sulla formazione delsettore, le richieste di luoghi nei quali operati-vamente si concretizzassero tali attività, sem-pre più stimolanti le connessioni con il mondodella Psicologia evolutiva e con le più recentiacquisizioni delle Neuroscienze che tendono aconfermare giorno per giorno un ruolo semprepiù centrale della Musica e dell’Arte nei pro-cessi cognitivi, nello sviluppo psicologico, nel-l’attribuzione di significato relazionale e socialedel nostro vivere quotidiano.Si trattava quindi di provare ad andare oltread una visione della Musica semplicementelegata alla prassi esecutiva e alla didattica, ol-tre quindi ad uno stereotipo forse un po’ limi-tante che vede il senso del sapere musicale le-gato solo al fattore estetico-artistico o allapeggio storiografico.

Credo di poter affermare, alla luce di setteanni di lavoro, che come Centro Studi siamoriusciti orgogliosamente a superare questoscoglio culturale, allargando, in sinergia conl’Istituto Musicale, il nostro raggio d’azionealla sfera educativa, riabilitativa, terapeuticae sociale dell’approccio musicale e del mondodell’arte in genere.Su questi presupposti sono nati allora non so-lo il Corso triennale di formazione in Musico-terapia, realtà formativa consolidata e ap-prezzata a livello nazionale, ma anche decinedi seminari specifici, pubblicazioni editoriali,convegni e ed eventi congressuali, collabora-zioni con le personalità più autorevoli dellacultura del settore, e non ultime, più di qua-ranta convenzioni con Enti e Strutture di na-tura socio-sanitaria della regione Veneto cheospitano i nostri tirocinanti e accolgono i no-stri progetti e che rappresentano dunque laprova più concreta e visibile del nostro opera-to e della nostra premessa iniziale.A questo punto non poteva non esserci unaRivista come Espressivo, quanto mai volutada tutti noi e sotto la guida esperta di Riccar-do Brazzale, nota firma del mondo musicale enostro Direttore responsabile.Espressivo nasce allora non solo con l’intentodi dare un senso narrativo a tutto il lavoro delCentro Studi, ma anche con la speranza didocumentare e segnare un percorso verso ilfuturo delle Terapie Espressive in genere,puntando all’aggiornamento clinico e teori-co, con l’idea di continuare a rinforzare que-sto ponte che unisce in modo ormai irrevoca-bile il nostro campo d’azione con altri settoridella Cultura, in una visione che da multidi-

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59oltre a chiarire le connessioni tra arte e inter-vento terapeutico, a svelare le competenze ri-chieste ad una figura emergente come quelladell’arteterapeuta, è un invito ad “ascoltare”quello che la sofferenza ha da dire. L’originali-tà di questo approccio, da come si può evinceredalla parte dedicata alle esperienze, è che l’ar-teterapia non ha intenti esclusivamente riabili-tativi o terapeutici nel senso medicale. Tutte lepersone in qualche modo “soffrono” di non po-ter esprimere interamente se stesse. Non posso-no, perché non sanno di avere qualcosa da dire.Per integrarsi nella collettività e raggiungeredegli scopi l’uomo deve esprimersi. Dunque,l’espressione riveste un’importanza capitale nel-la vita. Per farlo, l’essere umano mette in operaun insieme di mezzi e azioni congrui alla natu-ra della sua espressione. C’è una strettissima re-lazione tra ciò che l’uomo vuole esprimere, ciòche egli può esprimere e ciò che si attende daquesta espressione. Questo libro è rivolto nonsoltanto a psicologi, psicoterapeuti, psichiatri,educatori , ma anche ad artisti e insegnanti, achiunque sia curioso di interrogarsi su cosaspinge la coscienza ad immaginarsi un mondoaltro, a chi dai retroscena della produzione arti-stica vuole individuarne il potere trasformativoe rigenerativo. (Dalla quarta di copertina)

DanzaMovimentoTerapia

a cura di Antonella Adorisio e María Elena GarcíaApid - Ass. Prof. Italiana Danzamovimentoterapia Magi Edizioni Scientifiche, Roma, 2008

La DanzaMovimentoTerapia è una disciplinaspecifica orientata a promuovere l’integrazio-

ne fisica, emotiva, relazionale, affettiva e psico-sociale dell’individuo, per migliorarne la quali-tà della vita. La specificità della DanzaMovi-mentoTerapia si riferisce al linguaggio delmovimento corporeo e della danza che, unitial processo creativo, diventano le principalimodalità di valutazione e di intervento all’in-terno di processi interpersonali finalizzati allapositiva evoluzione dell’essere umano.L’Apid, Associazione Professionale Italiana diDanzaMovimentoTerapia, si propone di qualifi-care nel nostro paese la pratica della DanzaMo-vimentoTerapia, promuoverne e tutelarne laqualità professionale, etica e scientifica, pro-muovere il riconoscimento legale della profes-sione e curarne la corretta informazione. L’Apidriunisce oggi danzamovimentoterapeuti prove-nienti da tutto il territorio nazionale, apparte-nenti a diverse scuole di formazione.

“Questo libro, che nasce per iniziativa dell’Apid,è una raccolta non esaustiva di contributi dialcuni tra i più autorevoli dei suoi membri. Illibro presenta in maniera approfondita alcu-ne delle questioni centrali intorno alle quali sidefinisce ogni scuola di formazione, ciascunacon la sua specifica cornice teorica. Il filo co-mune a tutti i lavori è la fiducia nella possibi-lità di recuperare una migliore integrazionedi corpo e psiche, quale fonte primaria di co-noscenza. È comune anche la centralità asse-gnata al corpo e al suo movimento espressivo-creativo come veicolo per la costruzione dellarelazione e del processo terapeutico. Infine lepotenzialità del processo creativo in quantoelemento di cura e di trasformazione sono, inun modo o nell’altro, riconosciute da tutti”.

RECENSIONI AR-TÉ

ARTETERAPIA. L’ARTE CHE CURA

Malchiodi Cathy A.Giunti Editore (collana Saggi Giunti), 2009

Lo scopo dell’arteterapia è quello di ridurregli effetti degli stress emotivi e dei traumi psi-chici, ma serve anche per aiutare a scoprire ilproprio io e per promuovere la crescita perso-nale. I primi capitoli spiegano in cosa consistal’arteterapia, che cosa comporti l’espressioneartistica a livello psicologico, quali le tecniche ei materiali necessari. I capitoli successivi tratta-no di come usare l’arte per esprimere i senti-menti o per affrontare la malattia e come lavo-rare con l’arterapia in gruppo ricco di figure edi indicazioni pratiche e semplici.È un volume di taglio orientativo e pratico,scritto con linguaggio semplice.Si rivolge ad arteterapeuti ma anche a inse-gnanti, educatori e, più in generale, ai geni-tori. (Dalla quarta di copertina)

ARTETERAPIA CON PAZIENTI DIFFICILI.Comunicazione e interpretazione in psicoterapia

Moschini Lisa B.Centro Studi Erickson (collana Psicologia), 2008

L’arte ha il potere di arrivare alla parte na-scosta della psiche umana, aprendo linee dicomunicazione non verbale tra l’artista e lospettatore, o tra il paziente e il terapeuta. Inalcuni casi, quando il linguaggio è un ele-mento limitante, l’utilizzo dell’arte ha ungrande potenziale per il progresso terapeuti-

co poiché fornisce al paziente un altro mezzodi comunicazione. Questo volume presentain modo approfondito e completo numerosetecniche di arteterapia da utilizzare con i pa-zienti difficili, con i quali la psicoterapia tra-dizionale può non riuscire a raggiungere isuoi obiettivi.Chi è il paziente difficile? Ogni terapeuta po-trebbe dare una risposta diversa: il bambinoche si rifiuta di parlare, l’adulto che non ac-cetta la responsabilità delle sue azioni, lo psi-cotico vittima di allucinazioni. Il testo offreinformazioni teoriche e pratiche per la valu-tazione e il trattamento, aff iancate da unarassegna di numerosi casi di terapia indivi-duale, di gruppo e familiare e completate dauna vasta raccolta di illustrazioni utilizzatedall’autrice con i suoi pazienti in quattordicianni di lavoro. Questa guida spiega come im-postare un percorso di arteterapia, come in-terpretare i disegni e come interagire con ipazienti difficili, e si propone come strumen-to operativo per tutti i professionisti della sa-lute mentale nella loro pratica clinica. (Dalla quar-

ta di copertina)

PERCORSI TRASFORMATIVI IN ARTETERAPIA.Fondamenti concettuali e metodologici,esperienze clinichee applicazioni in contesti istituzionali

Grignoli LauraFranco Angeli (collana Psicoterapie), 2008

L’arteterapia va riscontrando un favore semprecrescente nell’ambito della cura. Quest’opera,

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(Dall’introduzione delle curatrici Antonella Adorisio e María Elena García)

Danzaterapia e movimento creativo

Helen PayneErickson, Trento, 1997

“Tra le forme di arteterapia, l’esperienzadella danza può essere preziosa per le per-sone che devono migliorare il proprio auto-controllo e imparare a rilassarsi e a rappor-tarsi con gli altri o che, più semplicemente,hanno bisogno di acquisire maggiore f idu-cia in se stesse, di esprimere creativamentele proprie emozioni positive e negative o dimigliorare le proprie condizioni f isiche.Questo manuale risponde all’esigenza dimateriale specifico, altamente professionale,ma nel contempo accessibile e di immediatafruizione operativa, da utilizzare in ambitoeducativo e riabilitativo, soprattutto per chiopera con persone con ritardo mentale odisagio psichico. Il volume si presenta comeuna proposta utile e originale sia per chi giàopera nel settore della danzaterapia, per lanovità della sua impostazione, sia per chi siaccosta per la prima volta a questa discipli-na”. (Dalla quarta di copertina)

Il Corpo CoscienteLa disciplina del Movimento autentico

Janet AdlerAstrolabio, Roma, 2006

La disciplina del Movimento autentico affon-da le sue radici nella danza intesa come stru-mento terapeutico, e in particolare nella

Danza-Movimento Terapia, nata negli StatiUniti intorno al 1940, e negli studi di MaryWithehouse, un’analista di formazione jun-ghiana che vedeva nel movimento spontaneodell’individuo una chiave di accesso agli stratipiù profondi della psiche. Il lavoro della Adlernasce dalla sfida di mettere insieme il saperecorporeo della danza con l’esperienza dellapsicoanalisi. È una pratica caratterizzata daun rigoroso setting contenitivo nel quale sirende possibile la regressione a stati di co-scienza alterati, che riportano in superficiememorie corporee non direttamente accessi-bili al verbale. (Dalla quarta di copertina)

60 RECENSIONI AR-TÉ in libreriaTrasformazione e formaAlla scoperta dell’utilizzo dell’argilla in arteterapiaa cura di Pamela Palomba e Axel Rüttenpp. 112 a colori, euro 18.00, ed. Cosmopolis, Torino, 2012 - www.edizionicosmopolis.it

Con questo libro gli Autori, Pamela Palomba e Axel Rüt-ten, arteterapeuti, intendono condividere un plurienna-le percorso svolto in ateliers e in progetti all'interno del-la scuola, proprio per sottolineare le peculiaritàterapeutiche dell’argilla: un materiale “vivo” che ricordae fa ricordare, che aiuta a progettare, a dare forma, acreare pelle e confini, a mettersi in ascolto di se stessi.Manipolando l’argilla si impara qualcosa sui cicli dellavita, sulla trasformazione. Di forma in forma la massacambia fino ad assumere la sua “forma” definitiva. Lacottura diverrà il simbolo di un percorso finalmentecompiuto.

Ritratto dell’artista da giovaneArte terapia e danza movimento terapia con gli adolescentia cura di Danièle Lefebvre e Anna Piccioli Weatherhoggpp. 224 a colori, euro 24.00, ed. Cosmopolis, Torino, 2013 - www.edizionicosmopolis.it

Questo testo riunisce scritti di vari autori, formatisipresso l’A.T.I. - Art Therapy Italiana, e nasce dal proposi-to di offrire una testimonianza del lavoro svolto conadolescenti, in diversi contesti, utilizzando gli stru-menti dell’arte e della danza terapia ad indirizzo psico-dinamico, cercando di rispondere, almeno in parte, alledomande che gli adulti (genitori, insegnanti, educatorie professionisti) si pongono: come avvicinarsi all’ado-lescente, come contenere e utilizzare la sua formidabi-le energia, come navigare tra distruttività e creatività?Come aiutarlo, infine, accogliendo le sue sfide, a cre-scere e a crearsi come soggetto.

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62 NUMERI ARRETRATI AR-TÉnumero 00 - giugno 2006■ Arti-terapie e musicoterapia tra impegno sociale e verifica scientifica(R. Caterina) ■ Stati di grazia. Eventi trasformativi in Drammaterapia(S. Pitruzzella) ■ Il Grembo della Creazione. Creazione artistica eautocreazione della mente (R. Porasso) ■ Dieci anni di martedì mattinacon l’arteterapia. Il processo creativo come strumento per contrastare ilburn out (Centro Diurno Riabilitativo Arcipelago - coop. S.A.B.A.) ■ Versola relazione terapeutica nella Danza Movimento Terapia (A. Lagomaggiore)■ L’approccio storico-relazionale in musicoterapia: analisi di un frame (G.Artale, F. Albano, C. Grassilli) ■ Arte e Psichiatria. Conversazione con GilloDorfles (G. Bedoni, L. Perfetti) ■

numero 01 - aprile 2007■ Riparazione del processo primario nella psicoterapia verbale e nonverbale delle psicosi (M. Peciccia, G. Benedetti) ■ Creatività e potere nellospirito siciliano: le storie di Giufà, il Saggio e lo Stolto (S. Pitruzzella) ■ Labellezza che sana, riflessioni sul ruolo dell’estetica in musicoterapia (G.Antoniotti) ■ Un’esperienza di musicoterapia presso l’U.O. di Psichiatria diCremona: la musicoterapia nel trattamento dei disturbi d’ansia,somatoformi e nei quadri misti ansioso-depressivi (L. Gamba, A. Mainardi,R. Poli, E. Agrimi) ■ L’arte di accompagnare: l’osservazione in DanzaMovimento Terapia Integrata (V. Puxeddu) ■ Variazioni del linguaggiosimbolico in un gruppo di musicoterapia (G. Del Puente, G. Manarolo, E. Zanelli, G. Fornaro) ■

numero 02 - dicembre 2007■ Dall’Agire al Pensare: esperienze creative e percorsi psicoterapeutici(R.M. Boccalon) ■ Corpo, Movimento, Linguaggio: specificità della Danza-Movimento Terapia (F. Russillo) ■ Atelier ideale - Atelier reale. Arteterapiain un servizio pubblico: contratto terapeutico, setting e prima accoglienza(M. Levo Rosenberg) ■ Riabilitazione in Danzamovimento Terapia (E.Rovagnati) ■ La forma e lo sguardo: Polisemia dell’immagine in arteterapia. Carlo Zinelli e i mondi visionari (G. Bedoni) ■

numero 03 - aprile 2008■ Da Bowlby a Budda. Un’iniziale esplorazione del significato di‘attaccamento’ e ‘non attaccamento’ e delle loro implicazioni per laDrammaterapia (Gammage) ■ L’albero dei desideri: l’arte terapia con ibambini ricoverati in Ematoncologia pediatrica ed i loro genitori (C.Favara Scacco, G. Baggione) ■ Applicazione della musicoterapia neidisturbi d’ansia (R. Poli, L. Gamba, A. Mainardi, E. Agrimi) ■ Le artiterapiee la scientificità. Esiste un ponte che le unisce? Ovvero Arteterapia,

teatro di esperienze e di mutamenti profondi (W. Cipriani, A. Cossio) ■ Ilpiccolo seme... conversazioni al confine. Laboratorio di Danza e ArteTerapia dedicato ai bambini in situazione di grave disabilità psicofisica inuna ludoteca comunale (E. Degli Esposti, A. Monteleone, Francesca Stolfi)■ Il suono dello stress: come percepire la sintomatologia del “Burn Out”( B. Foti) ■

numero 04 - dicembre 2008■ Il corpo abi(ta)to. L’esperienza di danzamovimentoterapeuta nellasezione femminile della casa Circondariale S. Anna di Modena (C. Lugli,U.S. Benatti) ■ Il disegno speculare progressivo nella cura di un pazientecon sordità secondaria (P. Catanzaro) ■ Il ruolo dell’improvvisazione nelprogresso creativo: laboratorio interattivo di arte e danza movimentoterapia e orientamento psicodinamico (E. Colace, M. Menzani) ■

Artiterapia nelle cure palliative. Un approccio umanistico esistenziale“centrato sulla persona” (M. Daghero) ■ Tra corpo e cultura: ladanzamovimentoterapia come mediazione simbolica. Per una pedagogiae una didattica dell’attività motoria (A.G.A. Naccari) ■ Esserci, Esprimersi,Interagire tra adolescenti attraverso la musica e gli altri linguaggi (F.Prestia) ■ Musica del corpo, musica della mente: un violino nelle mani delmalato di Alzheimer (S. Ragni) ■ Danzamovimentoterapia e minoriabusati: dal danno alla riparazione (M.R. Cirrincione) ■

numero 05 - aprile 2009■ Arti terapie integrate in oncologia (G. Nataloni) ■ ‘Objet Trouve’ and Markmaking in Movement and Art. Una prospettiva Winnicottiana sugli atti discoperta nel movimento e nell’arte visuale (E. Goldhahn) ■ Danza e cantodei neuroni specchio (E. Cerruto, G. Ansaldi) ■ Specularità e identità inmusicoterapia (G. Manarolo) ■ DanzaMovimentoTerapia: Arte delMovimento e poetica del... cambiamento (V. Puxeddu) ■ Il pas de deux inDanzaMovimento Terapia: riflessioni sulle coreografie del rapporto primarioe alcuni risvolti applicativi (E. Rovagnati) ■ Kind of blue (R. Porasso) ■

Setting musicoterapeutico: cornice e palcoscenico (G. Vizzano) ■

numero 06 - dicembre 2009■ Creatività, follia e oggetto artistico; consanguinei o parenti percaso? (M. Levo Rosenberg) ■ Setting / Azione: Trattamenti di Pace (D.Bruna) ■ La prospettiva delle artiterapie in ambito psicopedagogico(M.R. Cirrincione) ■ Cantare in armonie (G. Guiot, C. Meini) ■

Arteterapia con la disabilità psicofisica grave. Un approccio centratosulla persona (M. Daghero) ■

numero 07 - aprile 2010■ Curare a regola d’arte: processi biologici, processi creativi, processiterapeutici (R. Boccalon) ■ Betweenness: il teatro e l’arte della cura(S. Pitruzzella) ■ Musicoterapia in Rosa. Laboratorio di Musicoterapiaindirizzato ad un gruppo di donne (F. Prestia) ■ Tra arte e Terapia.Riflessioni sull’utilizzo terapeutico dell’autoritratto fotografico (F. Piccini) ■L’ospite inatteso. Incantesimi e trasformazioni nella relazione terapeuticain un contesto di danzaterapia (M. Tamino) ■ La Danza Terapeutica al CDDArchimede di Inzago. Il limite come risorsa e possibilità: il caso di Margherita (T. Cristiana) ■ La musicoterapia in una esperienza diformazione per operatori di una comunità alloggio (A. Alchieri) ■ Il valoredella musica: esperienze e riflessioni sull’applicazione della musicoterapianella demenza (S. Ragni) ■ Aiutare chi aiuta: musicoterapia e prevenzionedel burnout (R. Quinzi, G. D’Erba) ■

numero 08 - dicembre 2010■ Il modello delle 6 chiavi come strumento d’intervento in drammaterapia (S. Pendizk) ■ Uomini e DanzaMovimentoTerapia (V. Puxeddu) ■Arteterapia per il ritardo mentale e formazione alla facilitazione delleattività artistico-espressive per le assistenti di un centro d’incontro(M. Daghero) ■ La seduzione della danzamovimentoterapia (M. Tamino)■ Le signore Rosetta ed Emilia: un incontro sorprendente (C. Salza) ■ Ilcoro come esperienza di socializzazione (A.I. Girelli) ■ Il suono dentro:un percorso di musicoterapia di gruppo in un Centro diurnopsichiatrico (M. Santonocito) ■ CRA e Danzamovimentoterapia: 10 annidi follia (E. Cerutti) ■

63NUMERI ARRETRATI AR-TÉ

Page 33: QUADERNI ITALIANI DELLE ARTITERAPIE · sa di una magia o di miti collettivi, di avventure già consumate e consegnate ad una storia che non sia più cronaca. Solo un corpo, tuttavia,

NORME REDAZIONALI1) I colleghi interessati a pubblicare articoli ori-ginali sulla presente pubblicazione sono pregatidi inviarne una copia redatta secondo il pro-gramma Word per Windows (tipo RTF) al se-guente indirizzo email: [email protected]) L’accettazione dei lavori è subordinata allarevisione critica del comitato di redazione.3) La comunicazione di accettazione verrà in-viata non appena il comitato di redazione avràespresso parere favorevole alla pubblicazione.4) Il testo degli articoli dovrà essere redatto inlingua italiana e accompagnato dal nome e co-gnome dell’autore (o degli autori) completo diqualifica professionale, ente di appartenenza,recapito postale e telefonico.5) Per la stesura della bibliografia ci si dovrà at-tenere ai seguenti esempi:

a) LIBRO: Cordero G.F., Etologia della co-municazione, Omega edizioni, Torino,1986.

b) ARTICOLO DI RIVISTA: Cima E., Psi-cosi secondarie e psicosi reattive nel ritar-do mentale, Abilitazione e Riabilitazione,II (1), 1993.

c) CAPITOLO DI UN LIBRO: MorettiG., Cannao M., Stati psicotici nell’infan-zia. In M. Groppo, E. Confalonieri (a cu-ra di), L’Autismo in età scolare, MariettiScuola, Casale M. (Al), 1990.

d) ATTI DI CONVEGNI: Neumayr A.,Musica ed humanitas. In A. Willeit (a cu-ra di), Atti del Convegno: Puer, Musica etMedicina, Merano, 1991.

6) Gli articoli pubblicati impegnano esclusi-vamente la responsabilità degli Autori. Laproprietà letteraria spetta all’Editore, chepuò autorizzare la riproduzione parzialeo totale dei lavori pubblicati.

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