Quaderni del
Liceo Orazio
N. 8
Anno Scolastico 2017/2018
Liceo ginnasio statale Orazio
ROMA
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Questa pubblicazione
è stata curata da Mario Carini
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INDICE Introduzione …...................................................................................... 5
SEZIONE DOCENTI
ANNA PAOLA BOTTONI – MARIO CARINI, Giorgio Perlasca ricordato al Liceo Orazio (evento organizzato
in collaborazione con l’ANCRI) ………………………………………… 17
LUCIANO ZANI, I militari italiani prigionieri in Germania nella seconda guerra mondiale …………………………………………. 27
ANNA PAOLA BOTTONI, Da Biblioteca a Biblioattiva …………...... 35
MASSIMO CALDERONI – WALTER FIORENTINO, Elementi politico-sociali delle Fenicie euripidee ………………………………… 51
MARIO CARINI, Introduzione al diario di prigionia di Francesco Arpini (1944-1945)………………………………............. 61
FRANCESCO ARPINI, Res tua agitur!! Diario di prigionia 1944-1945, a cura di Mario Carini …………………………………..... 101
ANNA MARIA ROBUSTELLI, Un’Antigone irlandese: Eibhlín Dubh Ní Chonaill / Eileen O’Connell, Il lamento per Art O’Leary …………………………………………..… 229
AMITO VACCHIANO, Che fine ha fatto Papa Marcellino? ……..… 249
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SEZIONE DIDATTICA
(collaborazioni degli studenti)
Eleonora Guerra – Luca Argiro’ (III H), Il tribunale di Ἰσότης …….. 277
Prof.ssa Simona Colini, Il Liceo Orazio alle Romanae
Disputationes …………………………………………………………..… 283
Prof.ssa Simona Colini, XXV Olimpiade di Filosofia ……………….. 299
Miscellanea di matematica, a cura del prof. Maurizio Castellan ………………………………………………………………….. 309
Prof. Roberto Cetera, Il male innocente ……………………………… 331
Per Denisse ………………………………………………………………. 335
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INTRODUZIONE
Anche questo ottavo volume dei “Quaderni del Liceo Orazio”, come i
precedenti, presenta diari e ricordi di vita vissuta, proseguendo una linea
editoriale che vede il recupero di fonti memorialistiche inedite relative
alla storia d’Italia nella seconda guerra mondiale. In essa cominciano
ormai ad acquistare spazio e a motivare interessi tra gli storici le vicende
degli IMI, ossia degli Internati Militari Italiani, e anche in questo
numero presentiamo un diario di prigionia, quello del Capitano
Francesco Arpini, che visse gli ultimi mesi dell’internamento nel campo
di Wietzendorf in Germania. Il suo diario, finora inedito e qui pubblicato
per la prima volta, è molto dettagliato nel narrare le vicende di quei
giorni e costituisce il documento di una straordinaria esperienza umana,
fatta di privazioni e sofferenze ma anche di una incrollabile fede nella
Provvidenza e nei valori umani, che i nostri giovani non possono non
conoscere.
Sono storie, quelle che abbiamo pubblicato in questo numero, nelle
quali i protagonisti si sono trovati a fare delle scelte, e queste scelte
hanno privilegiato fondamentali valori morali: la difesa dell’onore e
della dignità dell’uomo, la coscienza del proprio dovere fino al
sacrificio, il rifiuto della guerra, la libertà, il rispetto degli altri, l’onestà,
la dedizione al lavoro, il merito riconosciuto e premiato. Perché proporre
queste storie oggi, e soprattutto perché proporle ai nostri giovani
studenti? La risposta la dànno i tempi in cui viviamo: tempi difficili, ove
ad una generale insicurezza per le sorti della nostra economia e della
politica si connette la diffusione nella società di una violenza, fisica e
anche verbale, tanto feroce quanto gratuita, che si manifesta soprattutto
tra i giovanissimi (come, ad esempio, mostrano il cyberbullismo o le
baby-gang di Napoli), mentre, a livello mondiale, il clima è agitato dai
difficili rapporti tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti. Il timore che
dagli scontri verbali fra il dittatore nordcoreano, che ama allertare il
mondo con le sue provocazioni missilistiche, e il presidente Trump, che
non possiede certo l’amabilità e la diplomazia del suo predecessore
Obama, si passi ad un confronto armato dagli esiti imprevedibili, è forte.
Non a caso Papa Francesco, nel corso del suo viaggio in Perù e Cile
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(gennaio 2018), ha espresso la sua grave preoccupazione per il rischio di
una possibile guerra nucleare.
E allora, leggere queste pagine significa, secondo noi, arricchire la
propria memoria in senso “proattivo”: non tanto per dimenticare eventi
recenti e sgradevoli, quanto per andare con la mente al passato e trovarvi
stimoli e motivi per azioni virtuose, che siano utili agli altri
nell’interesse generale della società. Esprimiamo perciò l’auspicio che la
lettura di queste pagine giovi all’intelligenza dei giovani, contribuendo
in qualche modo alla loro formazione umana, culturale e spirituale nel
segno dei valori etici più alti, i soli che possano salvaguardare l’avvenire
dell’uomo.
In questo ottavo numero compaiono i seguenti lavori. La “Sezione
docenti” comprende: il contributo del Prof. Luciano Zani, Ordinario di
Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Roma “La
Sapienza”, sul tema I militari italiani prigionieri in Germania nella
seconda guerra mondiale (intervento svolto in un incontro con gli
studenti del Liceo Orazio, nell’Aula Magna, il giorno 10 febbraio 2017);
l’articolo della Prof.ssa Anna Paola Bottoni, Da Biblioteca a
Biblioattiva, che contiene le linee del progetto di una Biblioteca Innovativa Digitale; la ricerca dei Proff. Massimo Calderoni e Walter
Fiorentino, Elementi politico-sociali delle Fenicie euripidee; Res tua
agitur!!, il diario di prigionia del Capitano Francesco Arpini, militare italiano internato in Germania dopo l’8 settembre 1943, pubblicato a
cura e con introduzione dello scrivente; Un’Antigone irlandese: Eibhlín
Dubh Ní Chonaill / Eileen O’Connell, Il lamento per Art O’Leary, della Prof.ssa Anna Maria Robustelli, poetessa e saggista, già docente di
lingua e letteratura inglese presso la nostra scuola e apprezzata
collaboratrice dei “Quaderni”; Che fine ha fatto Papa Marcellino?,
ricerca del Prof. Amito Vacchiano sull’oscura figura di questo Pontefice
vissuto al tempo della persecuzione dioclezianea. La “Sezione didattica
(collaborazioni degli studenti)” comprende: l’elaborato di due nostri ex
studenti, brillantemente maturatisi lo scorso anno scolastico 2016-2017,
Eleonora Guerra e Luca Argiro’ (classe III H), Il tribunale di Ἰσότης; la relazione della Prof.ssa Simona Colini, Il Liceo Orazio alle Romanae
Disputationes, con l’elaborato delle studentesse del Team Junior, Lògos e téchne: alla ricerca dell’umanità; il resoconto sulla XXV Olimpiade di
Filosofia, a cura della Prof.ssa Simona Colini, con i quattro elaborati
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risultati primi nella selezione d’Istituto; la consueta Miscellanea di matematica, a cura del Prof. Maurizio Castellan. Chiude la sezione il
testo Il male innocente del Prof. Roberto Cetera.
Ci è doveroso ringraziare tutti i collaboratori di questo numero per il
loro fondamentale e prezioso apporto alla vita della pubblicazione. E
mentre salutiamo il nuovo Dirigente Scolastico, Prof.ssa Maria Grazia
Lancellotti, non possiamo non ricordare con affetto e gratitudine il
Preside uscente, Prof. Massimo Bonciolini, che ha trascorso otto anni
con noi alla guida del Liceo Orazio.
Prima di congedarci, vogliamo ora qui ricordare due persone care a
tutti noi della scuola, che ci hanno lasciato nel trascorso anno 2017: la
prima all’alba dei suoi progetti di vita, la seconda al tramonto di un
lungo e prestigioso percorso di intellettuale e studioso. Ci riferiamo alla
giovanissima studentessa Denisse, che un crudele e prematuro destino ci
ha sottratto nel novembre scorso, e al grande Maestro degli studi
linguistici Tullio De Mauro, scomparso il 5 gennaio 2017.
Alla cara Denisse rendono omaggio il testo Il male innocente, pronunciato dal Prof. Roberto Cetera durante l’ultimo commiato terreno
alla ragazza, e una poesia a lei dedicata dall’amica e compagna di classe
Diana Pilloni (classe IV B).
Del Prof. Tullio De Mauro, un Maestro di Civiltà,1 non abbiamo
bisogno di ricordare in questa sede gli altissimi meriti nel campo della
linguistica,2 della didattica3 e della divulgazione culturale,4 e il suo
1 Così intitola il suo articolo Paolo Di Stefano, Tullio De Mauro Maestro di civiltà,
in “Corriere della Sera”, 6 gennaio 2017, pp. 42-43. 2 I suoi incisivi interventi negli anni Settanta sull’evoluzione della lingua nazionale e
sui rapporti tra lingua e dialetti sono raccolti in: Tullio De Mauro, Le parole e i fatti,
Editori Riuniti, Roma 1978 rist. Dal quale testo, a proposito della sua battaglia per lo
studio della “lingua d’uso” nella scuola, citiamo questa riflessione sempre attuale
(da Tullio De Mauro, La scuola nuova, in pratica, in Le parole e i fatti, cit., p. 351):
“… ciò che va riaffermato è il ruolo delle parole, del momento espressivo e
simbolico nella pratica scientifica e nella vita individuale e sociale. Sbaglia chi lo
trascura o dimentica. Ma sbaglia anche chi dimentica che, fuori dell’uso che ne fa
la pratica scientifica o l’insieme degli individui e dei gruppi sociali, il linguaggio
non ha senso né scopo.” L’elenco delle pubblicazioni di Tullio De Mauro per la sua
vastità occuperebbe moltissime pagine. Ci limitiamo a citare testi assai noti come
l’edizione italiana del Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure e la
Storia linguistica dell’Italia unita, opere entrambe edite da Laterza e assai diffuse
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competente operato come Ministro della Pubblica Istruzione: meriti
accompagnati, sul piano dei rapporti umani, da grande generosità,
probità e signorilità. Ci piace soffermarci, invece, sui rapporti che
legarono De Mauro alla nostra scuola. Per quanto ci riguarda, ci
riterremo sempre onorati e orgogliosi di aver potuto collaborare, sia pur
indirettamente, con il grande Maestro, grazie alle conferenze organizzate
dall’indimenticata Prof.ssa Licia Fierro sui temi di approfondimento
culturale in anni non più recenti. Nell’ambito del ciclo di conferenze sul
tema Umanesimo e Scienza, svolto nell’anno scolastico 2008-2009, fummo incaricati di trascrivere dal nastro magnetico il discorso tenuto
agli studenti dal Prof. De Mauro il giorno 14 gennaio 2009.5 Una fatica
ben ripagata sia perché Tullio De Mauro espresse il suo apprezzamento
per il risultato sia perché quel volume, con gli interventi del fisico e
matematico Carlo Bernardini, della giornalista Antonella Rampino, del
noto giornalista e conduttore televisivo Corrado Augias e le relazioni
degli studenti,6 è nella biblioteca della scuola, in più copie, a
nelle scuole e nelle università. Ricordiamo anche il monumentale Grande dizionario
italiano dell’uso, 8 voll., UTET, Torino 20072, realizzato sotto la sua direzione. Per
un sintetico ritratto di De Mauro rimandiamo ai contributi di Eugenio Gaudio e di
Alberto Asor Rosa raccolti in Un eretico di successo, in “Nuova Antologia”, fasc.
2281, gennaio-marzo 2017, pp. 228-234; vd. anche Giovanni Arledler S.I., La
saggia precisione di Tullio De Mauro, in “La Civiltà Cattolica”, n. 4001, 2017, pp.
504-512. 3 Nel dibattito sulla riforma degli studi liceali e sul destino delle lingue classiche si
veda la sua proposta (del 2008) di istituzione di un liceo unitario con quattro materie
fondamentali e una ricca scelta di materie opzionali, tra cui il latino e il greco, in:
Associazione TreeLLLe, Latino perché? Latino per chi? Confronti internazionali
per un dibattito, Questioni aperte/1, Maggio 2008, pp. 83-95. 4 In questo ambito basti ricordare la sua direzione della collana I Libri di Base, degli
Editori Riuniti, una serie di agili volumetti che trattavano argomenti anche
impegnativi esposti in modo semplice e accattivante, per l’intelligenza di tutti i
lettori. 5 Tullio De Mauro, Il linguaggio e le scienze, nel volume Umanesimo e Scienza.
Tema di approfondimento culturale per l’a.s. 2008/2009 (a cura della prof.ssa Licia
Fierro), Liceo Classico Orazio, Roma 2009, pp. 11-33. 6 Questi gli interventi dei relatori citati, compresi nel volume Umanesimo e Scienza:
Carlo Bernardini, Il linguaggio della realtà; Antonella Rampino, Il linguaggio nella
formazione della pubblica opinione, Corrado Augias, Il linguaggio della scienza e
quello della poesia.
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disposizione di studenti e docenti. Altra occasione di presenza al Liceo
Orazio il Prof. De Mauro la diede con le conferenze di Agorà Scuola
Aperta, iniziativa della Casa Editrice Laterza: il pomeriggio di
mercoledì 7 dicembre 2011, nell’Aula Magna gremita, egli tenne
un’applauditissima conferenza, assieme al corrispondente del quotidiano
francese Libération Eric Jozsef, sul tema “Piccolo catalogo dei nostri pregiudizi”. Ma siamo oltremodo riconoscenti verso il Prof. De Mauro
perché ha saputo esprimerci, con parole semplici ma dense di cordiale
considerazione, l’incoraggiamento a proseguire sulla non facile strada
delle pubblicazioni scolastiche. Ci fece pervenire, infatti, due suoi
messaggi, uno relativo alla “Miscellanea di Saggi e Ricerche” l’altro
riguardante proprio i “Quaderni del Liceo Orazio”. Il primo era un
biglietto, il secondo una mail: pubblichiamo con piacere entrambi, a
conclusione del nostro reverente e affettuoso omaggio al grande Maestro
scomparso.
17.01.2009 Caro professor Carini, La ringrazio molto del dono ponderoso della Miscellanea. Il valore culturale e di alta didattica dei contributi e dei volumi è grande e dovrebbe far da modello a una scuola che sappia fondere in una stessa linea di attività insegnamento, ricerca e impegno attivo anche delle e dei giovani. Ho guardato e apprezzato qua e là singoli lavori e spero nella prossima settimana di poter leggere più attentamente il tutto. Intanto accetti le mie congratulazioni per il Suo e vostro lavoro. Un saluto cordiale Tullio De Mauro 6.10.2015 Caro Carini, La ringrazio dei cinque Quaderni. Li ho sfogliati rapidamente e messi da parte per una lettura più tranquilla di alcuni lavori Suoi e di Sue colleghe. Ho scorso anche le spesso impegnative ricerche degli allievi. Ancora una volta devo esprimere la mia ammirazione per l'impegno che, come già Licia Fierro, ora Lei dedica a sollecitare colleghe e colleghi e a portare alla luce riflessioni e ricerche altrimenti nascoste. Ho cercato più volte di indicare l'esempio e modello del Liceo Orazio ai docenti del liceo, il Giulio Cesare, in cui sono stato alunno, al tempo delle Guerre puniche o giù di lì, e negli ultimi anni, fino a un paio d'anni
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fa, presidente dell'associazione degli ex alunni. Ma il risultato è per ora zero. Questo zero aiuta a capire quanto invece è meritoria la Sua fatica e degli altri collaboratori e altre collaboratrici ai Quaderni. Accetti un saluto grato accompagnato da molta stima, Tullio De Mauro
Roma, 26 gennaio 2018
Mario Carini
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Ricordo di Anna Cannas
Il giorno 1° febbraio 2018 è venuta
improvvisamente a mancare la nostra cara
Collega Anna Cannas, docente di lingua e letteratura francese al Liceo
Linguistico. In attesa di ricordare più ampiamente e degnamente la
nostra Collega, che tanti anni di vita ed energie ha profuso nel suo insegnamento all’Orazio, trascriviamo di seguito il discorso che il
giorno 17 febbraio 2018, durante la solenne commemorazione svoltasi
nell’Aula Magna del Liceo Orazio, è stato letto dalla Prof.ssa Sylvie Perrin. Il testo è stato composto dalla Prof.ssa Maria Teresa Rossi, che
ce lo ha cortesemente fornito e che qui ringraziamo.
Racchiudere in un breve discorso quello che Anna ha rappresentato per il nostro liceo, per i nostri alunni e per noi colleghi non è semplice. Anna era una donna riservata, ma forte e determinata, dotata soprattutto di una capacità di coinvolgere gli altri con il suo entusiasmo nella realizzazione dei suoi progetti, nella sua lotta per la difesa dei diritti civili. Grazie al suo impegno costante, l’Orazio ha collaborato con partner importanti come il Centro Astalli e Amnesty Interna-tional che oggi sono qui insieme a noi per ricordarla. I nostri alunni attraverso il progetto: Finestre, da lei promosso insieme al Centro Astalli, sono venuti a contatto con rifugiati di ogni parte del mondo, hanno ascoltato, partecipi e commossi, i loro racconti, le loro storie di esilio, solitudine, emarginazione ed hanno condiviso le loro speranze per il futuro, conoscendo
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quindi realtà particolarmente difficili e riflettendo i ragazzi sul tema dell’esilio e su ciò che significa lo status di rifugiati. Questo interesse si è tradotto, poi, in lettura, scrittura e adesione al progetto: La letteratura non va in esilio, consistente nella stesura di un racconto riguar-dante un tema a scelta tra il diritto di asilo, l’immi-grazione, il dialogo interreligioso, la società inter-culturale. Sempre grazie all’impegno, alla determinazione e ad un’intuizione di Anna, l’Orazio è stata la prima scuola del Lazio, e la terza in Italia, a stipulare una conven-zione con Amnesty International come Scuola amica dei diritti umani. Da questa felice collaborazione sono nati i numerosi ed importanti eventi organizzati da Anna con Chiara Pacifici; tra questi ricordiamo: le conferenze sui Muri, con l’obiettivo di abbattere appunto i muri e creare ponti tra culture diverse, nonché sulla Tortura e Pena di Morte, sulle Spose Bambine; le giornate contro l’Omofobia; la realizzazione degli Origami per l’otto marzo, quale gesto simbolico di solidarietà con le donne che si sono battute per la difesa dei diritti umani, poi consegnati alla Presidenza del Consiglio per chiedere azioni concrete a tutela e difesa di tali donne; le maratone per la raccolta firme per la liberazione di prigionieri politici negli Stati dominati da dittature; il flashmob per Giulio Regeni. Tutti momenti importanti che hanno contribuito a sensibilizzare gli alunni, e anche noi docenti, nei confronti di temi e situazioni di scottante attualità ed educarli alla difesa della libertà di coscienza, di espressione e al rifiuto di ogni forma di discriminazione. Tutto ciò non deve farci dimenticare il suo amore per l’insegnamento del francese, attento agli aspetti lingui-
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stici, ma sempre permeato dalla sua cultura vasta e non convenzionale e dalle sue raffinate letture. In questa ottica ha promosso la partecipazione della scuola all’innovativa sperimentazione del teatro in lingua francese. Anna è stata molto determinata nel portare avanti tutte queste iniziative e questi progetti, nonostante i suoi problemi di salute. Ma Anna ha attraversato e superato tanti momenti bui grazie a quella energia immensa che scaturiva dalla ricchezza dei suoi interessi e dalla forza di quegli ideali per i quali ha lottato fino agli ultimi giorni della sua esistenza e che ora ancora di più sentiamo il dovere di portare avanti, consapevoli di non essere alla sua altezza.
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Sezione docenti
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ANNA PAOLA BOTTONI – MARIO CARINI
Giorgio Perlasca ricordato al Liceo Orazio
(evento organizzato in collaborazione
con l’ANCRI)
“Lei, che cosa avrebbe fatto al mio posto?”. Questa semplice
domanda, che Giorgio Perlasca pose al giornalista Enrico Deaglio che lo
intervistava, riassume una storia di straordinario coraggio che fa di
Perlasca uno degli italiani più rappresentativi nella storia della seconda
guerra mondiale.
Il nome di Giorgio Perlasca, dopo oltre quarant’anni di silenzio, è
divenuto improvvisamente famoso, proprio grazie al libro di Enrico
Deaglio, La banalità del bene1, uscito nel 1991 per i tipi dell’editore
Feltrinelli, e soprattutto per il film TV di Alberto Negrin, Perlasca. Un eroe italiano (2002), con Luca Zingaretti.
Ciò che rende unica la storia di Giorgio Perlasca è stato il coraggio di
aver sfidato i nazisti e i loro alleati delle Croci Frecciate,2 in piena
seconda guerra mondiale e nell’Ungheria occupata dalle truppe del
Terzo Reich, per mettere in salvo gli ebrei, condannati in quel tempo
tragico alla deportazione e ad una morte sicura nei campi di sterminio
come Auschwitz e Treblinka.
Ma veniamo alla storia di Perlasca. Giorgio Perlasca, commerciante
padovano di 34 anni, si trovava nel 1943 a Budapest per trattare
1 Titolo che richiamava per antitesi il famoso saggio di Hannah Arendt, La banalità
del male, resoconto del processo al criminale nazista Adolf Eichmann celebrato a
Gerusalemme nel 1961. Il libro di Enrico Deaglio fu preceduto nel 1990 da una
puntata della trasmissione Mixer, curata dallo stesso Deaglio e da Giovanni Minoli,
interamente dedicata a Giorgio Perlasca. 2 Partito nazionalista e antisemita fondato in Ungheria da Ferenc Szálasi nel 1935.
Ispirato esplicitamente al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, fu
alleato della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.
https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalsocialista_Tedesco_dei_Lavoratori
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l’acquisto di una partita di bestiame per conto della sua ditta, la S.A.I.B.
(Società Anonima Importazione Bovini) di Trieste. Dopo l’8 settembre,
giorno dell’armistizio, rifiutò di aderire al nuovo stato fascista fondato
da Benito Mussolini, dopo essere stato liberato dai tedeschi, la
Repubblica Sociale Italiana, professandosi fedele al re Vittorio
Emanuele III, che dopo l’armistizio era fuggito a Brindisi per mettersi
sotto la protezione degli angloamericani. Perlasca, catturato dai tedeschi,
riuscì a fuggire e si rifugiò presso l’ambasciata di Spagna, nazione verso
la quale vantava benemerenze in quanto aveva collaborato con le milizie
di Francisco Franco durante la guerra civile spagnola del 1936-1939. Il
15 ottobre 1944 il Capo dello Stato d’Ungheria, l’ammiraglio Horty,
annunciò l’armistizio con l’Unione Sovietica, le cui truppe erano in
procinto di assediare Budapest. Hitler rispose imponendo con un colpo
di stato un governo filonazista, il cui capo era Ferenc Szálasi, il leader
delle famigerate Croci Frecciate, movimento nazionalista e fortemente
antisemita, alleato del Terzo Reich. Dopo che l’ambasciatore spagnolo
Angel Sanz Briz, il cui Paese non riconosceva il governo di Szálasi, fu
costretto a fuggire dall’Ungheria, Giorgio Perlasca si insediò nella sede
abbandonata e con l’aiuto di Madame Tourné e dell’avvocato Zoltán
Farkas, riuscì a farsi accreditare come incaricato d’affari per
l’ambasciata spagnola (in pratica fungeva da viceconsole) dal ministero
degli esteri ungherese. All’uopo cambiò il suo nome in Jorge Perlasca e,
poiché parlava lo spagnolo perfettamente, l’inganno riuscì in pieno.
Diventato il viceconsole spagnolo Perlasca riuscì a organizzare un
sistema di protezione degli ebrei di Budapest, alloggiandoli in apposite
case protette, edifici posti sotto la protezione e il controllo
dell’ambasciata di Spagna. Egli riuscì a ottenere dal maggiore Tarpataki
della polizia ungherese che gli ebrei delle case protette rimanessero
indisturbati e che in esse non entrassero le Croci Frecciate. Dal 2
dicembre 1944 al 13 gennaio 1945 Giorgio Perlasca, fingendosi il
viceconsole spagnolo, rilasciò salvacondotti e passaporti a
numerosissimi ebrei, facendoli espatriare e mettendoli in salvo. Oltre
cinquemila ebrei dovettero la loro salvezza a Giorgio Perlasca. Durante
questo periodo (come scrive nelle sue memorie dal titolo L’impostore,
pubblicate dalla casa editrice Il Mulino nel 1997) egli incontrò numerose volte il ministro dell’interno Erno Vajna, feroce antisemita,
correndo gravissimi rischi personali, per convincerlo a risparmiare gli
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ebrei di Budapest. Il 18 gennaio 1945, quando l’Armata Rossa entrò a
Budapest, Perlasca si consegnò ai sovietici, che lo impiegarono nello
sgombero delle rovine e nel recupero dei cadaveri sotto le macerie.
Finalmente nel maggio successivo poté partire per l’Italia. Egli tacque
della sua attività in favore degli ebrei ungheresi come finto diplomatico
e per oltre quarant’anni conservò un rigoroso silenzio su quanto aveva
compiuto a Budapest. Solo nel 1991, grazie al libro di Enrico Deaglio
che scoprì la storia di Perlasca, gli italiani hanno potuto conoscere le
avventurose vicende dello Schindler italiano.
Per il suo eroico coraggio Giorgio Perlasca è stato insignito di varie
onorificenze, tra cui quella di “Giusto tra le Nazioni” concessa dallo
Stato d’Israele. Proporre oggi la figura di Giorgio Perlasca agli studenti
significa non solo permettere loro di conoscere una straordinaria storia
di generosità e altruismo, ma anche far comprendere meglio gli orrori
del nazismo e i valori della libertà e della dignità umana, che il nazismo
aveva conculcato.
Proprio di Giorgio Perlasca si è parlato il 24 novembre 2017 al Liceo
ginnasio statale Orazio, in un convegno che ha avuto luogo in Aula
Magna nella mattinata. Il convegno, patrocinato dall’ANCRI
(Associazione Nazionale dei Cavalieri al Merito della Repubblica
Italiana), ha visto la partecipazione del figlio di Giorgio Perlasca, il
Dott. Franco Perlasca, che di fronte ad una platea gremita di docenti e
studenti, ha rievocato, con parole semplici ma efficaci e coinvolgenti, la
figura paterna. In sala, oltre alle massime cariche dell’ANCRI erano
presenti l’Assessore del III Municipio (delegato alle Politiche Educative
e Scolastiche, Sport e Cultura e valorizzazione del Patrimonio
Archeologico) Gilberto Kalenda, il Presidente del Consiglio d’Istituto
Prof. Giancarlo Solaroli, l’Ing. Altavilla e il Dott. Roberto Mendoza
dell’Associazione Montesacro, il Comandante della Compagnia dei
Carabinieri di Città Giardino, Luogotenente Varone, il Comandante
della Polizia Municipale Maurizio Sozzi. Ha condotto l’incontro il Prof.
Franco Graziano, Vicepresidente Nazionale dell’ANCRI.
Ha aperto gli interventi il Dirigente Scolastico del Liceo Orazio,
Prof.ssa Maria Grazia Lancellotti, portando il saluto della scuola alle
autorità presenti e invitando gli studenti a partecipare all’incontro,
ascoltando con attenzione, per riuscire arricchiti da questa esperienza. Il
Prof. Graziano, dopo aver ringraziato la Preside per la sensibilità con cui
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ha accolto la proposta dell’ANCRI di celebrare la figura di Giorgio
Perlasca al Liceo Orazio, ha esortato, rivolgendosi agli studenti, a
seguire con attenzione questo evento, “un evento più unico che raro
nella vostra vita – queste le parole del Prof. Graziano –, un evento che è stato pensato, progettato e realizzato dal Liceo Orazio e dall’ANCRI
espressamente per voi, per provare a trasmettervi valori alti, nella speranza che attecchiscano in voi e contribuiscano a elevare ancora di
più la vostra etica e il vostro senso civico.” Quindi ha preso la parola il
Cav. Dott. Tommaso Bove, Presidente Nazionale dell’ANCRI, che ha
spiegato le origini e le finalità di questa Associazione, nata con l’intento
di riunire in un unico sodalizio tutti gli insigniti del Cavalierato al
Merito della Repubblica, il primo degli ordini onorifici repubblicani. Si
tratta di persone accomunate dagli stessi valori e gli stessi ideali, ha
detto il Cav. Bove, persone che si propongono soprattutto di offrire
attraverso l’impegno nel sociale, volontario e gratuito, la testimonianza
delle motivazioni che a suo tempo hanno dato luogo alle origini
dell’ANCRI. L’intento dell’ANCRI, infatti, è l’impegno nel sociale e da
qui nasce il motto dell’Associazione, Parati sumus iterare, “siamo
pronti a ripetere, a ripetere ciò che abbiamo fatto in passato”, ha spiegato il Cav. Bove. A giudizio del Presidente dell’ANCRI Giorgio
Perlasca non è stato propriamente un eroe, perché eroe è chi aiuta gli
altri, mettendo a repentaglio la propria vita, agendo d’istinto, senza
riflettere. Perlasca, invece, forte dei suoi valori, sentendo le grida e il
pianto di dolore di una intera umanità, ha fatto in piena coscienza una
scelta di vita straordinaria che giustamente è stata tramandata quale
esempio che deve restare vivo in tutti noi, un esempio di umana
solidarietà e generoso altruismo. Non è stato propriamente un esempio
di altruismo, ha ripetuto il Cav. Bove, perché l’eroe agisce d’istinto, ma
una scelta di vita straordinaria che deve esortare tutti noi a scegliere
sempre, nella vita, il bene.
Il Prof. Graziano ha quindi dato la parola al Prefetto Dott. Francesco
Tagliente, presente al tavolo dei relatori. Il Dott. Tagliente nel suo
intervento ha ricordato le origini e i valori morali ricevuti dalla sua
famiglia, valori che gli hanno permesso di percorrere una prestigiosa
carriera da agente di Pubblica Sicurezza a Questore di Firenze e Roma e,
infine, Prefetto della Repubblica Italiana. “Siamo qui – ha proseguito il
Prefetto, rivolgendosi agli studenti in sala – per ascoltare la
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testimonianza del figlio di un Giusto tra le Nazioni che ha messo in discussione la propria vita per salvare le vite degli altri. Oggi voi avete
sentito parlare di persone che per essere state insignite della
onorificenza al Merito della Repubblica hanno spesso rinunciato ai propri diritti per garantire i diritti degli altri, ponendosi di fronte
all’esigenza di bilanciare i valori, quei valori richiamati ad ogni passo dalla Costituzione. Al vertice della scala dei valori c’è la Persona, i cui
diritti fondamentali sono riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della
Costituzione (…). Da questo valore assoluto, da questo pilastro della democrazia che è il valore dell’Uomo come Persona, discendono gli
altri valori, che sono i valori della democrazia, della libertà, della
giustizia, della lealtà, del rispetto, della salute…” Concludendo, il Prefetto ha sottolineato che solo guardando al valore assoluto della
Persona e agli altri valori della Costituzione, i giovani possono poggiare
le loro conoscenze e i saperi per conservare quella società che noi
abbiamo ereditato. E proprio per difendere il valore della Persona, che
vedeva conculcato negli altri, Giorgio Perlasca mise in gioco la sua vita.
Succedendo, nell’ordine degli interventi, il Prof. Mario Carini del
Liceo Orazio ha tratteggiato brevemente le tappe della persecuzione
antisemita in Europa negli anni Trenta, dall’avvento al potere di Hitler
in Germania, fino alla seconda guerra mondiale, e si è soffermato a
narrare le vicende dell’Ungheria, ossia il contesto storico nel quale si
colloca l’operato di Giorgio Perlasca: l’armistizio con l’Unione
Sovietica proclamato dal reggente Horthy, il capo dello Stato ungherese
alleato della Germania, il 15 ottobre 1944; il colpo di stato organizzato
dai nazisti e l’insediamento a Budapest del governo delle Croci
Frecciate, il partito filonazista, guidato dal feroce Ferenc Szálasi; la fuga
dell’ambasciatore spagnolo Angel Sanz Briz, il cui Paese non
riconosceva il governo di Szálasi; l’insediamento, nell’ambasciata
abbandonata, di Giorgio Perlasca, il suo accreditamento come finto
diplomatico spagnolo e l’organizzazione del salvataggio degli ebrei
ungheresi.
L’intervento del figlio del Giusto tra le Nazioni, il Dott. Franco
Perlasca, è stato preceduto dalla proiezione del trailer del film TV
Perlasca. Un eroe italiano (2002), realizzato da Alberto Negrin: le sequenze belle e coinvolgenti del film di Negrin, che ricostruisce la
drammatica vicenda di Perlasca con obiettività e realismo, talvolta anche
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crudo, senza scadere negli effetti patetici e nella retorica, non hanno
mancato di emozionare i presenti e tutti hanno seguito il lungo trailer
con assoluto silenzio. Franco Perlasca ha anzitutto precisato che il film
rispecchia esattamente la storia di suo padre Giorgio e che il copione
alla base della sceneggiatura è stato il secondo, perché il primo venne
rifiutato dalla famiglia in quanto non aderente alla realtà dei fatti. Il
Dott. Perlasca ha voluto ricordare un aneddoto al riguardo. Quando
all’anteprima del film di Negrin, in un grande cinema di Padova, l’attore
Luca Zingaretti, il protagonista, si avvicinò alla madre di Giorgio
Perlasca e le chiese un giudizio, la signora non più giovanissima (92
anni) rispose: “Lei è stato molto bravo a interpretare il mio Giorgio
nella maniera migliore, devo farle i complimenti. Però devo dirle anche un’altra cosa. Non si deve offendere, ma mio marito era molto ma molto
più bello di lei.” Al di là della battuta, ha chiarito Franco Perlasca, la signora certificò il fatto che Luca Zingaretti e il film erano riusciti a
interpretare al massimo Giorgio Perlasca e la sua storia. Quindi l’oratore
ha rappresentato il carattere dell’uomo Perlasca: quando vide quello che
stava avvenendo, non si voltò dall’altra parte, non fece finta di non
vedere, ma si caricò le sofferenze altrui sulle sue spalle e in questa
maniera riuscì a salvare da morte sicura almeno 5.200 ungheresi di
religione ebraica, “inventandosi un ruolo non suo, quello di diplomatico
spagnolo, perché lui non era né un diplomatico né uno spagnolo”, ha detto il Dott. Perlasca. Franco Perlasca ha poi parlato della seconda
parte della storia di suo padre, costituita da quarantacinque lunghi anni
di silenzio.
Perché Giorgio Perlasca non ha mai raccontato niente della sua storia?
Il figlio ha provato a darsi varie risposte. Una parte delle risposte
riguarda la situazione politica dell’Italia e dell’Europa nel dopoguerra –
si era in piena Guerra Fredda –, inoltre Perlasca era stato fascista
(volontario in Africa Orientale e in Spagna, con le truppe del generale
Francisco Franco) e nazionalista. Franco Perlasca al riguardo ha rivelato
che il padre, da ragazzo, fu espulso per un anno da tutte le scuole del
regno per aver difeso l’impresa di d’Annunzio a Fiume contro un
professore di idea avversa. Proprio aver combattuto dalla parte di
Francisco Franco risultò insperatamente utile a Perlasca nel settembre
1943 – ha raccontato il figlio – quand’era in Ungheria per conto della
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sua ditta di carni, la S.A.I.B. Rifiutatosi di aderire alla RSI3 per
mantenere fede al giuramento prestato al re, Perlasca si trovò in
gravissimo pericolo, ma si ricordò delle benemerenze che vantava verso
la Spagna e si rifugiò in quella ambasciata, ottenendo senza indugio la
cittadinanza spagnola col nome di Jorge Perlasca. Iniziò così a
collaborare con l’ambasciatore Angel Sanz Briz nel programma che
Svezia, Svizzera e Vaticano stavano portando avanti per salvare gli
ebrei, che in Ungheria erano tanti, 900.000 su una popolazione di dieci
milioni, quasi il 10%. Finita la guerra Perlasca tornò in Italia, ma
nessuno – così ha detto Franco Perlasca – era interessato dal punto di
vista “politico” a far uscire questa storia. Anche l’Italia aveva avuto le
leggi razziali e la sua piccola Shoah, ma il Paese non voleva fare i conti
con il passato. E poi la famosa amnistia Togliatti aveva messo una pietra
tombale sui crimini dell’una e dell’altra parte. Non era perciò
politicamente corretto ricordare questa storia, almeno in Italia. Però
secondo Franco Perlasca, il vero motivo per cui suo padre non ha mai
voluto raccontare né in famiglia né all’esterno la sua storia è stato un
altro. È un motivo che si ricollega alla tradizione ebraica dei 36 Giusti.4
Nessuno sa chi siano, ma quando il Male sembra prevalere si prendono
il destino del mondo sulle spalle, e quando il Male è cessato ritornano
alla vita normale e quotidiana di tutti i giorni, dimenticando quello che
hanno fatto. “Non perché non sappiano raccontare o siano timidi, – ha chiarito Franco Perlasca – ma perché ritengono di aver fatto il proprio
dovere di uomini, nulla di più e nulla di meno, e chi fa il proprio dovere
non deve necessariamente avere una ricompensa.” Lo Yad Vashem,5 a Gerusalemme, dà il titolo di Giusto Tra le Nazioni6 con due requisiti:
3 La Repubblica Sociale Italiana, lo stato neofascista alleato dei nazisti e fondato da
Mussolini dopo la sua liberazione, ad opera dei tedeschi, dalla prigionia sul Gran
Sasso, nel settembre 1943. 4 Secondo questa tradizione per ogni generazione umana vi sono 36 Giusti che si
preoccupano di difendere i valori della Libertà, della Giustizia e della Solidarietà
quando sembra che il Male prevalga sugli uomini. Ed è per causa di questi 36 Giusti
che Dio non distrugge l’umanità. 5 L’Ente nazionale per la Memoria della Shoah, istituito nel 1953 dal Parlamento
Israeliano. 6 Titolo assegnato ai non ebrei che rischiarono la vita per aiutare gli ebrei durante la
Shoah.
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aver salvato la vita almeno di un ebreo e aver trovato dei testimoni, dei
terzi, che raccontino questo atto (che non può essere riferito dalla
persona interessata). Proprio qui sta la differenza tra l’eroe e il Giusto,
ha precisato Franco Perlasca. L’eroe è una persona che fa qualcosa di
importante, di molto bello, però ci vive sopra, si vanta e la racconta, e
non c’è niente di male a fare ciò. Il Giusto, invece, è qualcuno che fa
qualcosa di importante, come l’eroe, ma quando ha finito ritorna alla
vita di tutti i giorni, dimenticando quello che ha fatto, perché ritiene di
aver fatto esclusivamente il proprio dovere, e chi fa il proprio dovere
non deve necessariamente avere una ricompensa. Proprio come fece
Giorgio Perlasca, che si ritirò nel silenzio e la cui storia uscì
quarantacinque anni dopo ciò che aveva compiuto7. Quindi Franco
Perlasca ha rievocato l’origine della notorietà di suo padre, narrando
della prima, commovente visita che egli ricevette nel 1988, a Padova,
dai coniugi Évá e Pál Lang, anziani ebrei ungheresi sopravvissuti alla
Shoah. Era Perlasca, come ricordò la signora, colui che portava il cibo
tutti i giorni agli ebrei rinchiusi nelle case protette, era lui quello
straniero alto che la mise in salvo da una retata improvvisa delle Croci
Frecciate, le milizie che aiutavano i nazisti nella caccia agli ebrei. E la
signora Lang volle donare a Giorgio Perlasca tre oggetti che le erano
assai cari e che erano tutto ciò che la sua famiglia aveva potuto salvare
dalla persecuzione: un cucchiaino da caffè, un piccolo medaglione e una
tazzina di porcellana. Perlasca non avrebbe voluto prenderli, le disse:
“Signora, non devo tenerli io, quando sarà il momento li darà ai suoi
figli.” Ma la signora ribatté, decisa a darglieli: “Signor Perlasca, li deve tenere lei, perché senza di lei noi non avremmo avuto né figli né nipoti.”
Con questo toccante episodio, e con il ricordo dell’incontro di Franco
Perlasca con il regista teatrale Giorgio Pressburger (che nel 1944 era un
piccolo ebreo ungherese e si ricordava anch’egli di Perlasca), avvenuto
durante la presentazione del memoriale di Giorgio Perlasca dal titolo
L’impostore, pubblicato dalla Casa Editrice Il Mulino nel 1997,
l’incontro si è avviato al termine. “La storia di Giorgio Perlasca – ha
concluso il Dott. Franco Perlasca – è la dimostrazione di una cosa
7 Nel dopoguerra Giorgio Perlasca si impiegò alla Liquigas, come ispettore, e poi
diresse il self-service La Mappa, a Padova. Mai, nell’ambiente di lavoro e in
famiglia, fece riferimento alla sua storia personale.
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semplicissima, che ciascuno di noi, se vuole, qualcosa può fare, basta che non si volti dall’altra parte, basta che non faccia finta di non vedere
cosa sta avvenendo. Lui, con fantasia molto mediterranea anche se era
uomo del profondo Nord perché era nato a Como, si inventò questo ruolo di diplomatico spagnolo, lui che non era né diplomatico né
spagnolo e in questo modo riuscì a salvare almeno 5200 ebrei ungheresi delle case protette e probabilmente almeno 60.000 ebrei che erano
rinchiusi nel ghetto comune di Budapest e aspettavano di essere uccisi.”
E i prolungati, calorosi applausi dei presenti hanno fatto eco alle sue
parole.
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LUCIANO ZANI Ordinario di Storia Contemporanea
presso la Facoltà di Scienze Politiche – Sociologia – Comunicazione
dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
I militari italiani prigionieri in Germania
nella seconda guerra mondiale
Il giorno 10 febbraio 2017, nell’Aula Magna del nostro Istituto, il Prof. Luciano
Zani, Ordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche –
Sociologia – Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha
tenuto un incontro con gli studenti sul tema: “I militari italiani prigionieri in
Germania durante l’ultimo conflitto mondiale”. Riceviamo e volentieri
pubblichiamo il testo del discorso del nostro prestigioso Ospite.
Nella seconda guerra mondiale, con i bombardamenti delle città e,
alla fine, l'utilizzo della bomba atomica, si inverte il rapporto tra vittime
militari e vittime civili rispetto alla prima guerra mondiale. Inoltre i
militari in essa impegnati vissero esperienze complesse e diversificate.
Erano tutti reduci della stessa guerra, ma i mille fronti in cui questa si
frantumò configurarono dimensioni e narrazioni disomogenee e spesso
conflittuali, da cui sono scaturite identità multiformi dopo la fine della
guerra. La molteplicità dei luoghi in cui hanno combattuto, dal Nord
Africa ai Balcani, dalla Francia alla Grecia, dall’Italia alla Russia, ha
comportato esperienze di cattura e di prigionia le più disparate; tra il
crollo del regime fascista e la fine della monarchia, di fronte al collasso
della classe dirigente e dell’apparato statale, il traumatico spartiacque
dell’armistizio dell’8 settembre, prima con la totale irresponsabilità con
cui fu gestito, poi con la creazione di due Italie, due patrie irriducibili
l’una all’altra perché rivendicanti pari legittimità e analoghi fondamenti
patriottici, pur con differenti valori di riferimento, e due idee alternative
di ordine istituzionale e politico, ha frantumato l’identità precedente, aprendo un enorme ventaglio di scelte materiali e ideali. C’è quindi chi,
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dopo la Liberazione, torna da partigiano in Italia, chi da partigiano
all’estero, chi da militare inquadrato nell’esercito del Regno del Sud, chi
da prigioniero degli Alleati, chi da internato in Germania, chi da reduce
dell’esercito della Rsi, chi provato ma sano e chi mutilato, figure a volte
compresenti nella stessa persona, anche per l’estrema differenziazione
dei tempi e delle modalità del ritorno, per non dire di quanto sfumata
appaia, nella seconda guerra mondiale, la differenza tra vittima militare
e vittima civile.
Una complessità che si acuisce nell’ex esercito regio, che insieme alle
famiglie di riferimento rappresentava una fetta assai rilevante della
popolazione della nuova Italia, tra i sette e i dieci milioni di persone. Se
escludiamo le due minoranze, la componente che combatté subito contro
i tedeschi, come a Cefalonia, per poi alimentare il movimento
partigiano, e quella che optò per l’esercito della Rsi, la stragrande
maggioranza dei militari italiani (circa 650mila su oltre un milione di
prigionieri), fu catturata e internata nei lager del Reich, finendo col
costituire un gruppo sociale e culturale certamente disomogeneo,
certamente diviso tra opposizione, sopportazione e sottomissione, ma
unito da una sorte analoga e soprattutto da una scelta comune, al di là
delle diverse motivazioni che ne furono alla base: il no alla guerra, il no
all’adesione alla Rsi, che pure avrebbe permesso il ritorno in Italia.
Questa negazione di se stessi e del proprio passato, questa rottura di
schemi e di abitudini familiari e sentimentali, questa scelta a suo modo
realistica (se si sfronda la memorialistica dalle forzature retoriche e dagli
aggiustamenti fatti a posteriori) emersa in un ampio dibattito pieno di
incertezze ma anche di grandi potenzialità, accomunava prigionieri e
internati ai giovani uomini come loro che avevano fatto la Resistenza, a
partire dagli stessi interrogativi e superamenti del passato; ma a un alto e
difficile processo di riflessione e di confronto si è preferito un più facile
e meno traumatico processo di rimozione: in Italia, in Germania, in
Francia, in Austria, in Polonia, la democrazia «è stata costruita sulla
perdita della memoria», o almeno su una memoria selettiva.
Il rifiuto di optare per la Repubblica di Salò da parte dei militari
italiani catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre implicava, consa-
pevolmente o meno, una presa di distanza dalla Rsi, contribuendo a
indebolirla e delegittimarla. Basta immaginare quale forza politico-
militare avrebbe ricavato la Rsi se la maggior parte di quei 700.000
29
avesse fatto una scelta diversa! Il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella, in occasione del 70° anniversario della Liberazione, ha
completato un percorso, iniziato dal presidente Ciampi, di
riconoscimento del ruolo fondamentale delle forze armate italiane nella
Liberazione, con parole che più e meglio che in passato valorizzano la
scelta degli Imi: «Cosa sarebbe successo se questi militari italiani
avessero deciso in massa di arruolarsi nell’esercito della Repubblica
Sociale? Quanto sarebbe stata più faticosa per gli Alleati l’avanzata sul
territorio italiano e con quante perdite?». Quasi cinquant’anni prima, in
un’edizione riveduta e corretta della sua Storia della resistenza italiana,
Roberto Battaglia si era espresso in modo analogo: «Ben diversa e ben
più grave sarebbe stata la tragedia dell’Italia se non ci fosse stata questa
prova collettiva di fermezza, di tenacia, di amor patrio».
Qui c’è un punto da chiarire, anche rispetto a una certa vulgata della memorialistica, che sostiene che in ogni momento l’internato avrebbe
potuto firmare e essere rimpatriato. Non è così. Avagliano e Palmieri
dicono giustamente che “i soldati e i sottufficiali vennero immedia-
tamente avviati al lavoro coatto”, il che vuol dire che spesso l’opzione
non venne proposta e certamente mai dopo l’invio al lavoro.
Aggiungono che dopo l’arrivo nei campi «la richiesta di adesione venne
rivolta di massima una sola volta ai militari di truppa e ai sottufficiali –
che subito dopo il primo no vennero avviati al lavoro coatto – e
ripetutamente, con varie formule, agli ufficiali effettivi e di
complemento». La questione dell’opzione per Salò, dunque, riguarda
quasi esclusivamente gli ufficiali e viene reiterata fino alla tarda
primavera del ’44, quando la finestra del ritorno a casa viene chiusa dai
tedeschi, che poco gradivano la costituzione di un esercito di Salò.
Negli ufficiali inizia un percorso di riflessione critica e autocritica,
alimentato dalle accese discussioni nelle baracche dei campi, nel quale
coesistono fattori diversi, ma che assume progressivamente il senso di
una scelta meditata e quindi volontaria. Accanto al fatalismo, accanto
alla paura e al rischio di dover riprendere a combattere contro altri
italiani, o addirittura doversi ritrovare per la seconda volta sul fronte
russo, appare prioritaria la motivazione istituzionale – il giuramento al
Re prevalente rispetto a quello al Duce, un nuovo stato fascista i cui
tratti di legittimità sfuggono, a parte la lealtà alla Germania – che ha
anche un aspetto paradossale, essendo il Re responsabile della tragica
30
gestione dell’8 settembre, ma va letta come ricostruzione di una
separazione tra patria e fascismo, tra esercito e fascismo, rispetto
all’identificazione operata dal regime; e come appiglio giuridico in
collegamento con altri due elementi, quello patriottico e quello
antitedesco, entrambi strettamente legati alla dignità del ruolo e della
divisa, pesantemente insultati e degradati dall’8 settembre in poi.
Perché per decenni è sceso un cono d’ombra su questo No, questo No
patriottico? C’è stato un vuoto di memoria, perché la storia di quegli
anni per un lungo periodo è stata ridotta e semplificata a una
contrapposizione fascismo – antifascismo in base alla quale tutto quello
che non rientrava nella prima o nella seconda categoria non si sapeva
dove collocarlo.
Per alcuni gli IMI rappresentavano l’imbarazzante conseguenza
dell’armistizio e del modo in cui era stato gestito, per gli eredi della
Resistenza erano l’esercito regio, una realtà da ripudiare tout court,
estendendo indebitamente a tutti i militari, in particolare a tutti gli
ufficiali, le gravissime responsabilità dei vertici. Un documento
conservato nell’archivio del Comando generale delle brigate Garibaldi,
di poco successivo all’8 settembre, recita: «Ci vorrà molto tempo alla
ufficialità italiana per redimersi dalla fama di incapacità e di
indifferenza verso la Patria o addirittura tradimento, fattasi nei giorni più
critici del periodo badogliano». Oppure, per dirla seccamente con le
parole di un partigiano: «Gli ufficiali effettivi che non fanno il
partigiano sono dei traditori e un giorno li metteremo al muro».
“Indifferenza” e “tradimento”, accuse paradossalmente condivise sia
dagli italiani, fascisti e antifascisti, che dai tedeschi. Di più, il peso di
una colpa esattamente coincidente con ciò che gli Imi ritenevano di aver
essi stessi subìto. Comincia qui, osserva Elena Aga Rossi,
un’artificiosa contrapposizione tra due Italie, quella fascista che muore nel
periodo 25 luglio-8 settembre e quella nuova che nasce il 9 settembre con il
CLN e la resistenza. Si dà per scontato che l’8 settembre e nei giorni
immediatamente seguenti l’esercito si dissolse e con esso il vecchio stato. La
condanna dell’esercito che si sciolse ignominiosamente ha accomunato per una
volta sia i fascisti, che come i tedeschi considerarono l’armistizio un
tradimento, sia gli antifascisti.
31
Gli optanti della fine del ’43, quando i discorsi degli emissari di Salò
erano accolti generalmente con sarcasmo e disgusto, raramente
corrispondono all’appello patriottico del Duce, scelgono piuttosto per
debolezza psicofisica e per valutazioni di opportunità, nel calcolo costi-
benefici. Molti internati ricordano sorpresi il voltafaccia opportunistico
di chi in un primo momento si era detto alfiere del No, per poi diventare
portavoce di Salò. Per reazione, i non optanti decidono di rinnovare, in
vari campi, il giuramento di fedeltà al Re. Ma sul tema la memorialistica
è divisa: in alcuni campi si creano tensioni anche aspre tra optanti e non
optanti, in altri permane un rapporto di reciproca e fraterna
comprensione. Federico Ferrari, a Deblin Irena, non ha alcuna
recriminazione nei confronti di chi opta: «i primi amici partono oggi,
diretti a lidi migliori» e «accompagno la loro speranza con tutti i miei
voti»; il tenente Paolo Demetrio Poidomani, nei campi di Przemjsl e di
Hammerstein:
La separazione da questi Ufficiali avvenne in tutta cordialità e comprensione.
Non vollero scuse o sotterfugi alla loro decisione. Ci dissero che avevano
optato perché non ce la facevano più a tirare avanti con il loro fisico malato o
debole, che spiritualmente restavano legati a noi.
Emerge un’area maggioritaria che discute e riflette senza motivazioni
ideologiche, una zona grigia intermedia, caratterizzata da dubbi,
incertezze, grande contiguità, considerazioni simili cui fanno seguito
scelte diverse.
Al primo No, quello all'opzione per Salò, segue un secondo No,
quello alla "civilizzazione", cioè alla trasformazione in lavoratori civili,
proposta nel luglio del '44, imposta in ottobre. Il rifiuto della
"civilizzazione" e, ad esso connesso, il rifiuto del lavoro nelle sue
diverse declinazioni - agognato, chiesto, temuto, rifiutato, accettato,
sopportato, subìto, coatto - è una realtà complessa, come tutta
l'esperienza dell'internamento, ma fino a oggi, sia nella memorialistica
che in parte della storiografia, è passato in secondo piano rispetto al
rifiuto di rientrare in patria optando per l'inserimento nel costituendo
esercito della repubblica di Salò. È apparso subito evidente il paradosso
(non l'unico) che costituisce una delle peculiarità della vicenda: rispetto alla frase Arbeit Macht Frei, Il lavoro rende liberi, che sormontava
l'ingresso di campi di sterminio, come Auschwitz e Dachau, gli ufficiali
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italiani che rifiutano di lavorare dimostrano che il rifiuto di lavorare li ha resi liberi!
Che nel rapporto tra la Germania e gli internati la questione capitale
fosse proprio il lavoro è testimoniato anche dal carattere particolare che
negli IMI ha assunto la deumanizzazione, una delle peculiarità
dell'universo concentrazionario. Il punto di partenza non è razziale, ma
politico-morale, inciso nella definizione di “traditori badogliani”, nella
quale i due termini, entrambi spregiativi, si rafforzano a vicenda.
L’approdo è analogo a quello di ogni altro deportato: anche per gli Imi il
nome è sostituito da un numero, la spoliazione, la nudità, la
perquisizione corporale, la disinfestazione di corpi e vestiario segnano il
passaggio da persone a cose - la “disculturazione” gofmaniana. Che in
loro però assume una dimensione specifica, che riflette il destino cui il
Reich li ha destinati: numeri, certamente, ma nella memorialistica
dell’internamento è più forte e centrale il termine Stücke, “pezzi”, arnesi
da lavoro, rotelle dell’ingranaggio produttivo, non uomini, ma schiavi
ridotti a una mera funzione materiale. “Ho contato 200 pezzi”, in genere
l’appello nel campo si concludeva così, col numero dei “pezzi” presenti.
Ma se la questione del lavoro è quella centrale, perché investe la loro
condizione oggettiva e la loro scelta soggettiva, non meno importanti
sono le motivazioni sottese a quella scelta e il processo di reale e
potenziale maturazione che rivelano, il viaggio dentro sé stessi
sovrapposto a quello verso e tra i lager dell'Europa centrale. Zampetti,
un ufficiale internato, spiega come la "patria" fosse diventata "il
problema più toccante": "Dopo il 25 settembre 1943, è stata per me una
parola priva di significato. Tutti i valori terreni dell'ordine sociale si
sono contratti nell'unica realtà della famiglia, ma ora l'appello del
tricolore, il richiamo del nome di Italia corrono di nuovo nel sangue e
dicono che non tutto è distrutto!". Il tenente Desana ci torna a più
riprese, ma forse l'affermazione più significativa è la seguente:
rivendicammo "diritti e dignità in nome di un'Italia che non c'era al di
fuori di noi". Che dunque non era certo l'Italia del loro passato, del
fascismo e della sua idea di patria, ma un'Italia interiore, nuova e
diversa, non "morta" nei loro cuori, ma alla ricerca di una definizione:
non un'esigenza consapevole di democrazia, ma un anelito di libertà e la
ricerca di un punto di riferimento diverso dal fascismo, individuato
proprio nell'idea di patria, incarnata nella divisa e nel giuramento
33
prestato al re. È questo il terreno su cui dopo la Liberazione (e per molti
versi già prima, almeno per ciò che riguarda il Regno del Sud) la cecità
morale e la sordità politica dei massimi vertici militari e istituzionali è
stata più ingiustificabile e più evidente, colpevole di respingere e
rinserrare quella scelta nel recinto della precedente appartenenza al
fascismo, attribuendole piuttosto il marchio del collaborazionismo che
quello di un distacco dal vecchio universo di valori e di una potenziale
rigenerazione democratica. Una delle ragioni che fanno dell’interna-
mento dei militari italiani in Germania un nodo storiografico rilevante è
il fatto di mostrare come una delle risposte alla questione nazionale che
la morte dello Stato, non della nazione, aveva posto in termini di scelta,
fu il separare l'idea di patria da quella di fascismo, e farne anzi il
puntello per il rifiuto dell'adesione alla Rsi e al lavoro preteso dai
tedeschi.
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ANNA PAOLA BOTTONI
Da Biblioteca a Biblioattiva
È apparsa evidente, in questi ultimi anni, l’esigenza di armonizzare
l’ambiente della biblioteca scolastica con le innovazioni introdotte dalla
“Buona Scuola” e l’ingresso sempre più massiccio delle tecnologie
informatiche nella didattica, nella ricerca e nella educazione
all’informazione. Al riguardo il Piano Nazionale della Scuola Digitale
(PNSD) invita le biblioteche delle scuole a un rinnovato impegno per
creare o migliorare le condizioni per apprendere le competenze
informative e digitali. Come si legge nell’Azione #24 del PNSD
(Biblioteche Scolastiche come ambienti di alfabetizzazione all’uso delle
risorse informative digitali) “un potenziamento e un aggiornamento
della missione delle biblioteche scolastiche, che in molte realtà faticano a trovare spazio, mentre in altre svolgono un ruolo determinante per
l’attività di promozione della lettura anche grazie all’uso della rete e di
strumenti digitali, può rendere la scuola protagonista attiva di nuovi
modelli di formazione e apprendimento, che – attraverso attività di
lettura e scrittura su carta e in digitale – combattano il disinteresse verso la lettura e le difficoltà di comprensione.”
Le biblioteche scolastiche hanno un ruolo di mediazione informativa
e formativa, sono luoghi in cui prende vita l’incontro fra il libro e il
lettore, spazi aperti alle realtà del territorio, nella prospettiva di un
ampliamento della fruibilità come previsto dall’Obiettivo 4 (Istruzione
di Qualità) dell’Agenda 2030 ONU per lo Sviluppo Sostenibile:
“Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di
apprendimento per tutti”.
Negli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, inoltre, viene più volte
ribadito il ruolo imprescindibile dell’istruzione quale unico strumento in
grado di consentire ai giovani di costruire una società e un futuro
migliore. Sarà possibile, tuttavia, parlare di un vero e proprio progresso,
solo se, eliminata ogni forma di discriminazione, tutti i processi
educativi, accompagnati da insegnamenti di qualità, diventeranno
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accessibili a tutti. È facilmente intuibile, quindi, come sia compito
soprattutto della biblioteca della scuola, agenzia informativa e formativa
per eccellenza, impegnarsi nel processo di miglioramento culturale che
investa, nell’ottica dell’educazione permanente, tutte le fasce d’età della
popolazione territoriale.
Una delle finalità, infatti, del rinnovamento delle biblioteche è la
possibilità di promuovere la democratizzazione del sapere, ovvero la
creazione di “una società democratica della conoscenza”, per citare
l’obiettivo peculiare dell’ “Organizzazione Mondo Digitale”, sito
impegnato nella condivisione della conoscenza inclusiva.
La biblioteca innovativa si configura, così, come un ambiente
accogliente e inclusivo, stimolante e motivante, un luogo di lettura,
ricerca e studio, ma anche di socialità e condivisione il cui obiettivo
primario consiste proprio nel coniugare innovazione, istruzione e
partecipazione delle categorie a rischio di esclusione.
Lo spazio reale e virtuale (nell'utilizzo della rete informatica),
nell’esperienze individuali di lettore o in quelle condivise e
condivisibili, è divenuto, così, lo start point per la costruzione del
progetto.
Viene indicato, infatti, al primo punto del bando Azione #24 del
PNSD, relativo ai criteri di selezione progettuale, la necessità di
valorizzare gli spazi interni.8
La biblioteca è un “luogo dell’anima”, pregnante dei pensieri di chi
scrive e di chi legge (per citare una delle espressioni usate dalla dott.ssa
Vincenza Iossa, responsabile della Biblioteca De Gregori del MIUR, per
definire il concetto di biblioteca, in occasione del Convegno, promosso
lo scorso dicembre). La biblioteca è il luogo in cui si incontrano storie
che rimandano ad altre storie, in cui convivono scenari reali e
8 È possibile vedere, consultando il sito della Scuola Digitale, il PSDN del MIUR e
anche l’INDIRE, relativamente ai progetti di scuole innovative digitali, e anche siti
di alcune biblioteche pubbliche del Trentino, come la biblioteca non sia più un luogo
dall’architettura rigidamente strutturata in separate sale di consultazione, ma uno
spazio aperto, dinamico e suscettibile di differenziati utilizzi. L’importanza dello
spazio troverebbe conferma, secondo quanto rappresentato nel video tutorial del
progetto, da alcuni esempi delle scuole della Finlandia e della Corea del Sud, che gli
alunni frequentano molto volentieri perché godono di ambienti scolastici piacevoli e
confortevoli.
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dimensioni utopiche: è uno spazio, quindi, che naviga ed esplora tutti gli
orizzonti del reale e dell’immaginario.
La biblioteca, dunque, quale ambiente privilegiato per la conoscenza
della realtà e del proprio mondo interiore, ambito di ricerca e di
domande senza fine, non può imprigionare il lettore, soprattutto se
giovane, in un deposito di contenuti e di conoscenze, organizzate in
volumi cartacei e disposte su anonimi e freddi scaffali metallici.
Si è posta, così, l’esigenza di sostituire la tradizionale immagine della
biblioteca scolastica con la costruzione di uno spazio flessibile,
dinamico, multifunzionale e aperto non solo agli alunni ma anche al
territorio.
Va precisato, tuttavia, che sarebbe impensabile, sia per la condizione
dei locali preesistenti all’interno della nostra scuola che per i costi,
riuscire a rinnovare completamente la biblioteca della nostra istituzione
scolastica (faccio riferimento alla biblioteca della sede centrale del
nostro Liceo). Il presente progetto intende avviare un’opera di
riammodernamento graduale che solo negli anni futuri potrà avviarsi a
compimento. Sono state proposte, pertanto, soluzioni di arredo per
cercare di superare l’impressione di freddezza, estraneità, e anche
isolamento dei lettori. Uno spazio accogliente deve essere in grado di
creare condizioni adatte sia all’incontro personale del lettore con il testo
sia alla condivisione delle informazioni, conoscenze e giudizi, scaturite
dalla lettura dei testi. Al riguardo sono state avanzate delle ipotesi di
alcune modifiche ambientali, come ad esempio la realizzazione di una
parete modulare attrezzata e colorata, l’introduzione di qualche comoda
seduta con adeguata illuminazione, l’aggiunta di qualche postazione
digitale.
La progettazione dello spazio biblioteca, che prende l’avvio con il
presente progetto rappresenta, di fatto, un modo diverso di vivere gli
spazi della conoscenza e una risposta all’esigenza di costruire, a
cominciare dal senso materiale del termine, veri e propri ambienti
d’apprendimento, rispondendo alla necessità di creare le condizioni
ottimali per la formazione e l’informazione.
Si tratta, dunque, di avviare quella trasformazione che investe
l’immagine stessa di biblioteca: da luogo-deposito di saperi conservati a
spazio di saperi che conversano e convergono, in un rapporto dialogico e
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dinamico con il fruitore ricercatore, un cercatore di risposte, sia esso
studente o semplice lettore.
La continua trasformazione del mondo dell’informazione coinvolge la
dimensione e il ruolo della biblioteca in un processo dinamico e
costantemente evolutivo. La biblioteca, sotto questa nuova luce,
necessita di un ripensamento che non può esaurirsi, però, solo in un
ammodernamento degli spazi o nell’utilizzo delle più sofisticate
piattaforme digitali. L’introduzione di novità funzionali (dalla diversa
concezione architettonica degli spazi all’utilizzo delle tecnologie digitali
di ultima generazione) è solo un aspetto del ruolo innovativo,
progettuale e formativo della biblioteca, specie se biblioteca scolastica.
Come scrive Luisa Marquardt, nel suo articolo La biblioteca scola-stica: un ponte tra scuola e territorio, tra carta e digitale, per formare
lettori competenti e cittadini attivi, la biblioteca scolastica non può definirsi tale solo per “la sua ubicazione nella scuola o all’appartenenza
amministrativa, quanto, piuttosto, all’essere legata all’offerta formativa
dell’istituzione scolastica di appartenenza, in generale, e al curricolo in
particolare, alle attività educative e alla loro attuazione, al costituire un
ponte tra la scuola e l’extrascuola, quale intersezione tra il mondo
educativo e quello dell’informazione e della comunicazione”.
Questo ruolo era già indicato nel Manifesto IFLA/Unesco del 1994 e
confermato ancora una volta dalla seconda edizione delle linee guida per
le biblioteche scolastiche pubblicate dall’IFLA lo scorso anno, le IFLA
School Library Guidelines, 2nd edition, dell’IFLA School Libraries
Standing Committee, a cura di Dianne Oberg e Barbara Schultz-Jones.9 La biblioteca scolastica deve essere intesa, dunque, come uno spazio
versatile, una comunità di apprendimento un “learning commons” quale
luogo fisico e virtuale (es., piattaforme online, social network, blog,
tecnologie mobili ecc.) in grado di coordinare attività e proposte cultu-
rali ed educative, aperte al territorio.
Requisiti indispensabili per una Biblioteca Scolastica Innovativa
Digitale non possono non essere le strumentazioni informatiche
finalizzate all’accesso a piattaforme di archiviazione e prestito digitale
(Digital lending). Al riguardo si accenna alla scelta della nostra scuola
9 Barbara Schultz-Jones & Dianne Oberg (Editors), Global Action on School Library
Guidelines, IFLA Publications Series 167, De Gruyter Saur, Berlin/Munich 2015.
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di utilizzare la piattaforma SBN o il software SEBINA, per la
catalogazione dei materiali librari in quanto usata dalle biblioteche del
nostro territorio.10
Fra le indicazioni del bando Azione #24 del PNSD come requisiti per
la realizzazione di una biblioteca innovativa scolastica figurano anche
l’apertura al territorio e la collaborazione con altre istituzioni locali e/o
biblioteche del territorio. In ottemperanza a tale richiesta la nostra
scuola ha stabilito un Protocollo d’Intesa, che facendo capo alla
Biblioteca Flaiano e attivando una rete di contatti e scambi con le altre
biblioteche, promuove eventi e iniziative. L’adesione alla rete delle
biblioteche scolastiche di Roma offre al nostro Liceo una serie di
opportunità: dalla bibliocard per gli studenti, alla formazione per i docenti-bibliotecari, all’assistenza per gli alunni coinvolti nell’alter-
nanza scuola-lavoro. Segnaliamo, inoltre, la possibilità di stabilire
contatti e scambi con i bibliopoint delle scuole del territorio, come il
Liceo Nomentano, usufruendo dell’opportunità di condividere in rete
materiali, iniziative e progetti.
Obiettivo primario nella realizzazione di una biblioteca proattiva resta
sempre la promozione della lettura, la possibilità di creare un luogo
d’incontro virtuale o reale fra l’autore e il lettore, il solo spazio in cui
possano prendere vita conversazioni capaci di superare i secoli e
azzerare le distanze. L’apertura della biblioteca pomeridiana, in tal
senso, non si configura così, solo come l’estensione di un servizio di
consultazione e prestito attivo la mattina, aperto agli utenti del territorio.
Essa diventa occasione per vivere liberamente e in modo privilegiato lo
“spazio librario”, la dimensione in grado di trasformare i nostri alunni
da studenti in “studiosi”, nel senso etimologico di studium. Le iniziative proposte (dallo storytelling digitale alla graphic novel digitale; dalle
interviste impossibili a scenari utopici in cui i libri dialogano fra loro,
10 E’ auspicabile che anche la nostra biblioteca entri a far parte di un polo, come
quello dell’Università La Sapienza, per poter usufruire di un ricchissimo patrimonio
bibliografico. Al momento si sta valutando anche l’iscrizione alla piattaforma
MLOL in grado di offrire un ricchissimo servizio di digital lending (dagli e-book ai
dvd) e soprattutto di un servizio di emeroteca digitale di tutti i quotidiani in lingua
originale.
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raccontandosi le loro storie in una fitta trama di intrecci e parole) si
propongono di immergere il giovane lettore nel mondo delle parole,
appassionandolo, di fare di lui, fruitore distratto e consumatore passivo
di contenuti, un rielaboratore di idee, un creativo. L’apertura al territorio
consente di vivere la scuola nella sua dimensione profondamente
culturale, quella di educazione permanente, intesa come un processo di
crescita che investe ogni individuo nella ricerca di quel difficile
equilibrio fra la conservazione e trasformazione, rapporto dialettico con
la realtà che ci circonda, a cominciare dal mondo dell’informazione.
L’educazione all’Information Literacy proposta agli studenti come
strategia didattica diventa condivisione di una modalità di fare ricerca da
estendere a tutti gli utenti della biblioteca, attraverso la realizzazione di
indicazioni per orientarsi in una biblioteca digitale. È prevista, la
realizzazione di una graphic novel digitale per tutti i frequentatori della biblioteca su un utilizzo proficuo della consultazione e della ricerca
digitale, “Don Chisciotte e la lettura”. L’emblematico hidalgo impegnato
contro i pericoli dell’infosfera, nella lotta contro gli errori più comuni
della ricerca nel web, contro le fake news, inseguendo l’autenticità, la
fondatezza e soprattutto la validità delle informazioni e delle fonti,
offrirà agli utenti della biblioteca semplici ma utili suggerimenti per non
perdersi nei meandri dell’informazione digitale o bloccarsi di fronte ad
una richiesta per il prestito digitale. Il tutto illustrato da colorate vignette
digitali.11
La biblioteca, in questa rinnovata dimensione, si propone, dunque, di
diventare uno spazio versatile al servizio della comunità, luogo
dell’apprendimento permanente, come si è detto, in grado di offrire
occasioni sviluppo della persona, come acquisizione di competenze, ma
anche creativo.12
11 La graphic novel digitale sarà realizzata da un gruppo di alunni, guidato da un
docente tutor per l’utilizzo dei programmi digitali (attraverso corsi in presenza e in
e-learning con Moodle e Telegram) e da un disegnatore per la parte grafica. 12 Riguardo alle principali linee di sviluppo formulate dalle istituzioni nazionali e
internazionali si fa riferimento anche al Libro Bianco della Commissione Europea
sul Futuro dell'Europa, secondo il quale "per sfruttare al meglio le nuove opportunità
attenuandone nel contempo qualsiasi effetto negativo occorrerà investire massic-
ciamente nelle competenze e ripensare i sistemi di istruzione e di apprendimento
permanente".
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La scelta del titolo del nostro progetto “Da biblioteca a biblioattiva”
intende rispondere al ruolo innovativo della biblioteca, un ruolo
fortemente proattivo nella scuola e nel territorio.
Abbiamo accennato all’importanza dell’Information Literacy nei processi di comunicazione attuali e nell’apprendimento. Una delle
richieste e delle finalità peculiari e caratterizzanti il progetto e la
dimensione più spiccatamente proattiva della biblioteca è, infatti, la
promozione dell’educazione all’informazione digitale. Il bando
dell’Azione #24 del PNSD invita le biblioteche delle scuole a un
rinnovato impegno per creare o migliorare le condizioni di
apprendimento delle competenze informative e digitali, educando
all’Information Literacy. Prima di elencare le iniziative che al riguardo si intendono realizzare,
introduciamo una riflessione sulla complessità dell’informazione
digitale, sulla lettura critica e sulla selezione delle informazioni del
mondo dell’infosfera.
Negli ultimi anni l’Information Literacy riscuote nel mondo bibliotecario e nella scuola un’attenzione crescente, testimoniata dalla
costituzione di gruppi di lavoro e dalle numerose iniziative di studio al
riguardo.13
Con Information Literacy intendiamo un insieme di competenze
necessarie a quanti vogliono fare ricerca correttamente navigando nella
rete Web, selezionando e valutando le informazioni reperite. Il problema
della valutazione dell’attendibilità delle informazioni diventa quindi
un’esigenza prioritaria per non disperdersi in una massa indistinta di
saperi ubiquitari e spesso inutili o fuorvianti, definiti “secondo diluvio
universale” secondo una efficace metafora proposta da Pierre Levy.
L’Information Literacy, dunque, quale strategia per insegnare
l’accesso alle informazioni e la corretta gestione di esse da parte degli
utenti, comprende attività focalizzate alla capacità di utilizzare la
biblioteca, alla ricerca, al recupero e all’uso delle informazioni, quindi
13 Facciamo qui riferimento al prossimo Convegno delle Stelline, che si terrà i giorni
15 e 16 marzo 2018 a Milano, il cui tema è “LA BIBLIOTECA (IN)FORMA.
Digital Reference, Information Literacy, e-learning.”
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allo sviluppo delle abilità informative da parte degli utenti.14 Importanti
diventano le strategie di ricerca come Starting point, Walking around e
Indexing. Fra queste Indexing permette di razionalizzare in modo più
efficiente l’archiviazione dei dati di ricerca.15
La rapidissima diffusione delle tecnologie informatiche in questi
ultimi decenni e l’uso pervasivo che se ne sta facendo anche nella scuola
come in qualsiasi campo di attività pubblica e privata, ha comportato il
sorgere di nuovi problemi per chi voglia cercare un’informazione
attendibile e corretta nel Web. L’utente, utilizzando i più comuni motori
di ricerca, è posto davanti a pagine che rimandano a decine di siti
relativi a un medesimo argomento, ciascuno contenente una enorme
messe di informazioni: di fronte al diluvio di informazioni che si
ricavano da ogni sito l’utente è posto nella impossibilità pratica di
orientarsi e di scegliere le informazioni provenienti da fonti autorevoli.
Risulta pertanto difficile muoversi nel Web e trasformare i dati ottenuti
in una salda acquisizione di conoscenze e saperi durevoli, anche perché
le stesse fonti possono essere continuamente modificate.
Due gli aspetti che sembrano in netto contrasto e che sono legati alla
necessità di superare il concetto di biblioteca come luogo deputato alla
conservazione di un sapere statico con l’idea di biblioteca come luogo
materiale e virtuale di un sapere dinamico, in continua evoluzione ma al
tempo stesso capace di garantire stabilità e solidità ai processi di
apprendimento, attraverso il conseguimento di certezze. Sarebbe
14 L’Information Literacy è dunque una strategia strettamente legata all’appren-
dimento permanente (Lifelong Learning), il cui reciproco potenziamento costituisce
un elemento cruciale per la formazione e la riuscita di ogni individuo nella società
altamente competitiva del XXI secolo. Entrambe le attività, Information Literacy e
Lifelong Learning, sono attività autodirette e automotivate, non richiedendo
necessariamente la presenza di elementi esterni, hanno lo scopo di aiutare
l’individuo a trovare le risorse per progredire in se stesso, a prescindere dal proprio
status sociale o economico, sono attività autorinforzanti, in quanto permetteranno di
acquisire conoscenze e strategie utili per risolvere problemi non solo teorici ma
concreti, che comportano scelte nella vita quotidiana. 15 Vd. i materiali di studio di Piercesare Rivoltella, Information Literacy, Progetto
DIDATEC, in “Scuola Valore. Risorse per docenti dai progetti nazionali”, sul sito
INDIRE, 2012, all’indirizzo:
http://www.scuolavalore.indire.it/nuove_risorse/information-literacy-concetti-
chiave/
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auspicabile, in questo senso, parlare allora di luogo di conservazione
inteso nel senso etimologico del cum servare, ossia dell’impegno
comune, che si assume una comunità, alla tutela e alla salvaguardia di
un patrimonio culturale comune, a cominciare dalle tradizioni che
scandiscono la storia locale.
Un possibile rischio della conoscenza ubiquitaria della rete, della
immediatezza e della velocità del dato acquisito è la perdita delle
coordinate spazio-temporali, in una percezione del reale che annulla
distanze e tempi, con l’evidente perdita della diacronia e dell'importanza
della memoria storica. Si prospettano, dunque, percorsi, come sarà
successivamente illustrato, finalizzati al recupero della memoria, intesa
come testimonianza diretta o indiretta di un passato anche recente,
partendo da uno spazio vicino, ossia dall'esplorazione di una realtà non
dematerializzata. Tali ricerche troveranno conferme, completamenti,
riscontri e verranno divulgate attraverso la rete, nella percezione che il
passaggio dall’Information Literacy alla Media Literacy è breve e
consequenziale.
La riflessione sull’apprendimento non può non vedere disgiunte la
fase di conoscenza teorica da quella rielaborativa e applicativa.
Cercare informazione nell’infosfera è un atto che cambia non solo la
nostra conoscenza del mondo ma anche la percezione che abbiamo di
noi stessi. Oggetto di dibattito mediatico crescente sono le Fake News: le biblioteche in questo contesto disorientante hanno l’opportunità di
porsi come mediatori della conoscenza, promuovendo ed educando i
propri utenti alla gestione consapevole dell’informazione. L'infografica
IFLA sulle false notizie può costituire un punto di partenza per
l’Information Literacy. intesa come vera e propria strategia didattica. Il problema, infatti, non si riduce solo all’accertamento della
veridicità delle informazioni ma anche all’individuazione di una
modalità per attestare l'autorevolezza e la gerarchia delle fonti reperibili
sui siti Internet. Gli strumenti di interrogazione e recupero dell'infor-
mazione sono sempre più diversificati (discovery tool, banche dati,
archivi aperti) e i motori di ricerca sono una fonte informativa primaria
in grado di strutturare un quadro epistemologico di riferimento anche se
l’Information Literacy non va intesa come un modello lineare di conoscenza ma come espressione di una ricerca documentale dinamica e
iterativa, in grado di accogliere criticamente i flussi formativi.
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Se finalità prioritaria dell’Information Literacy è dunque quella in grado di promuovere una learning library, la biblioteca si configura
come ambiente formativo in grado di predisporre i documenti, creare i
luoghi del web per poter porre l'informazione al centro dell'attività di
insegnamento, come occasione di condivisione, ma anche scambio delle
informazioni e delle conoscenze.
Non si tratta di un processo semplice: si tratta di accogliere la
dimensione enciclopedica dei saperi digitali, per renderli facilmente
fruibili, superando l’idea di biblioteca quale luogo chiuso ed elitario di
cultura. Risulta evidente, dunque, il rischio della disorientante
dispersione di notizie, di dati non organizzati, alla portata di tutti ma al
tempo stesso risultano inaccessibili senza una guida, sia essa
rappresentata da chiare indicazioni di ricerca sia essa la presenza del
bibliotecario scolastico, ossia di una figura appositamente formata.
Il fenomeno del Divide Digital, ossia il “divario digitale”, non credo
possa più essere ridotto alla distinzione tra chi ha accesso alle tecnologie
informatiche (computer, tablet, smartphone) e chi non lo ha. Il Divide Digital diventa sempre più evidente fra i fruitori, consapevoli ricer-
catori, in grado di organizzare le informazioni ottenute dal Web in
conoscenze corrette, strutturate e orientate all’acquisizione di nuovi
saperi, e i frequentatori della rete, spesso dispersi e naufraghi nel mare
dell’infosfera.
Sono state, pertanto, previste attività finalizzate alla realizzazione di
veri e propri percorsi di gestione dell’informazione digitale, dalla
consultazione delle pagine web delle biblioteche nazionali al funzio-
namento di opac, banche dati e siti web.
Fra le attività proposte ne richiamiamo solo alcune: l’illustrazione di
chiare indicazioni in grado di esplicitare i passaggi fondamentali per
avviare la ricerca bibliografica per nome, categoria e soggetto attraverso
la tecnica della graphic novel digitale (espediente già in uso in una biblioteca americana), con disegni elaborati dagli stessi alunni; la
realizzazione di un catalogo on line con tag e parole chiave sugli
argomenti oggetto di studio da parte degli alunni, la consultazione
selettiva dei motori di ricerca, delle banche dati e la creazione delle
indicizzazioni per soggetto e campi semantici, ricercando i concetti
chiave usando lingue diverse.
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Tali processi contribuiscono a rafforzare le competenze della
cittadinanza attiva, l’ “imparare ad imparare”, attraverso lo sv