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Quaderni - liceo-orazio.edu.it · loro fondamentale e prezioso apporto alla vita della...

Date post: 26-Jun-2020
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Quaderni del Liceo Orazio N. 8 Anno Scolastico 2017/2018 Liceo ginnasio statale Orazio ROMA
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  • Quaderni del

    Liceo Orazio

    N. 8

    Anno Scolastico 2017/2018

    Liceo ginnasio statale Orazio

    ROMA

  • 2

    Questa pubblicazione

    è stata curata da Mario Carini

  • 3

    INDICE Introduzione …...................................................................................... 5

    SEZIONE DOCENTI

    ANNA PAOLA BOTTONI – MARIO CARINI, Giorgio Perlasca ricordato al Liceo Orazio (evento organizzato

    in collaborazione con l’ANCRI) ………………………………………… 17

    LUCIANO ZANI, I militari italiani prigionieri in Germania nella seconda guerra mondiale …………………………………………. 27

    ANNA PAOLA BOTTONI, Da Biblioteca a Biblioattiva …………...... 35

    MASSIMO CALDERONI – WALTER FIORENTINO, Elementi politico-sociali delle Fenicie euripidee ………………………………… 51

    MARIO CARINI, Introduzione al diario di prigionia di Francesco Arpini (1944-1945)………………………………............. 61

    FRANCESCO ARPINI, Res tua agitur!! Diario di prigionia 1944-1945, a cura di Mario Carini …………………………………..... 101

    ANNA MARIA ROBUSTELLI, Un’Antigone irlandese: Eibhlín Dubh Ní Chonaill / Eileen O’Connell, Il lamento per Art O’Leary …………………………………………..… 229

    AMITO VACCHIANO, Che fine ha fatto Papa Marcellino? ……..… 249

  • 4

    SEZIONE DIDATTICA

    (collaborazioni degli studenti)

    Eleonora Guerra – Luca Argiro’ (III H), Il tribunale di Ἰσότης …….. 277

    Prof.ssa Simona Colini, Il Liceo Orazio alle Romanae

    Disputationes …………………………………………………………..… 283

    Prof.ssa Simona Colini, XXV Olimpiade di Filosofia ……………….. 299

    Miscellanea di matematica, a cura del prof. Maurizio Castellan ………………………………………………………………….. 309

    Prof. Roberto Cetera, Il male innocente ……………………………… 331

    Per Denisse ………………………………………………………………. 335

  • 5

    INTRODUZIONE

    Anche questo ottavo volume dei “Quaderni del Liceo Orazio”, come i

    precedenti, presenta diari e ricordi di vita vissuta, proseguendo una linea

    editoriale che vede il recupero di fonti memorialistiche inedite relative

    alla storia d’Italia nella seconda guerra mondiale. In essa cominciano

    ormai ad acquistare spazio e a motivare interessi tra gli storici le vicende

    degli IMI, ossia degli Internati Militari Italiani, e anche in questo

    numero presentiamo un diario di prigionia, quello del Capitano

    Francesco Arpini, che visse gli ultimi mesi dell’internamento nel campo

    di Wietzendorf in Germania. Il suo diario, finora inedito e qui pubblicato

    per la prima volta, è molto dettagliato nel narrare le vicende di quei

    giorni e costituisce il documento di una straordinaria esperienza umana,

    fatta di privazioni e sofferenze ma anche di una incrollabile fede nella

    Provvidenza e nei valori umani, che i nostri giovani non possono non

    conoscere.

    Sono storie, quelle che abbiamo pubblicato in questo numero, nelle

    quali i protagonisti si sono trovati a fare delle scelte, e queste scelte

    hanno privilegiato fondamentali valori morali: la difesa dell’onore e

    della dignità dell’uomo, la coscienza del proprio dovere fino al

    sacrificio, il rifiuto della guerra, la libertà, il rispetto degli altri, l’onestà,

    la dedizione al lavoro, il merito riconosciuto e premiato. Perché proporre

    queste storie oggi, e soprattutto perché proporle ai nostri giovani

    studenti? La risposta la dànno i tempi in cui viviamo: tempi difficili, ove

    ad una generale insicurezza per le sorti della nostra economia e della

    politica si connette la diffusione nella società di una violenza, fisica e

    anche verbale, tanto feroce quanto gratuita, che si manifesta soprattutto

    tra i giovanissimi (come, ad esempio, mostrano il cyberbullismo o le

    baby-gang di Napoli), mentre, a livello mondiale, il clima è agitato dai

    difficili rapporti tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti. Il timore che

    dagli scontri verbali fra il dittatore nordcoreano, che ama allertare il

    mondo con le sue provocazioni missilistiche, e il presidente Trump, che

    non possiede certo l’amabilità e la diplomazia del suo predecessore

    Obama, si passi ad un confronto armato dagli esiti imprevedibili, è forte.

    Non a caso Papa Francesco, nel corso del suo viaggio in Perù e Cile

  • 6

    (gennaio 2018), ha espresso la sua grave preoccupazione per il rischio di

    una possibile guerra nucleare.

    E allora, leggere queste pagine significa, secondo noi, arricchire la

    propria memoria in senso “proattivo”: non tanto per dimenticare eventi

    recenti e sgradevoli, quanto per andare con la mente al passato e trovarvi

    stimoli e motivi per azioni virtuose, che siano utili agli altri

    nell’interesse generale della società. Esprimiamo perciò l’auspicio che la

    lettura di queste pagine giovi all’intelligenza dei giovani, contribuendo

    in qualche modo alla loro formazione umana, culturale e spirituale nel

    segno dei valori etici più alti, i soli che possano salvaguardare l’avvenire

    dell’uomo.

    In questo ottavo numero compaiono i seguenti lavori. La “Sezione

    docenti” comprende: il contributo del Prof. Luciano Zani, Ordinario di

    Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Roma “La

    Sapienza”, sul tema I militari italiani prigionieri in Germania nella

    seconda guerra mondiale (intervento svolto in un incontro con gli

    studenti del Liceo Orazio, nell’Aula Magna, il giorno 10 febbraio 2017);

    l’articolo della Prof.ssa Anna Paola Bottoni, Da Biblioteca a

    Biblioattiva, che contiene le linee del progetto di una Biblioteca Innovativa Digitale; la ricerca dei Proff. Massimo Calderoni e Walter

    Fiorentino, Elementi politico-sociali delle Fenicie euripidee; Res tua

    agitur!!, il diario di prigionia del Capitano Francesco Arpini, militare italiano internato in Germania dopo l’8 settembre 1943, pubblicato a

    cura e con introduzione dello scrivente; Un’Antigone irlandese: Eibhlín

    Dubh Ní Chonaill / Eileen O’Connell, Il lamento per Art O’Leary, della Prof.ssa Anna Maria Robustelli, poetessa e saggista, già docente di

    lingua e letteratura inglese presso la nostra scuola e apprezzata

    collaboratrice dei “Quaderni”; Che fine ha fatto Papa Marcellino?,

    ricerca del Prof. Amito Vacchiano sull’oscura figura di questo Pontefice

    vissuto al tempo della persecuzione dioclezianea. La “Sezione didattica

    (collaborazioni degli studenti)” comprende: l’elaborato di due nostri ex

    studenti, brillantemente maturatisi lo scorso anno scolastico 2016-2017,

    Eleonora Guerra e Luca Argiro’ (classe III H), Il tribunale di Ἰσότης; la relazione della Prof.ssa Simona Colini, Il Liceo Orazio alle Romanae

    Disputationes, con l’elaborato delle studentesse del Team Junior, Lògos e téchne: alla ricerca dell’umanità; il resoconto sulla XXV Olimpiade di

    Filosofia, a cura della Prof.ssa Simona Colini, con i quattro elaborati

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    risultati primi nella selezione d’Istituto; la consueta Miscellanea di matematica, a cura del Prof. Maurizio Castellan. Chiude la sezione il

    testo Il male innocente del Prof. Roberto Cetera.

    Ci è doveroso ringraziare tutti i collaboratori di questo numero per il

    loro fondamentale e prezioso apporto alla vita della pubblicazione. E

    mentre salutiamo il nuovo Dirigente Scolastico, Prof.ssa Maria Grazia

    Lancellotti, non possiamo non ricordare con affetto e gratitudine il

    Preside uscente, Prof. Massimo Bonciolini, che ha trascorso otto anni

    con noi alla guida del Liceo Orazio.

    Prima di congedarci, vogliamo ora qui ricordare due persone care a

    tutti noi della scuola, che ci hanno lasciato nel trascorso anno 2017: la

    prima all’alba dei suoi progetti di vita, la seconda al tramonto di un

    lungo e prestigioso percorso di intellettuale e studioso. Ci riferiamo alla

    giovanissima studentessa Denisse, che un crudele e prematuro destino ci

    ha sottratto nel novembre scorso, e al grande Maestro degli studi

    linguistici Tullio De Mauro, scomparso il 5 gennaio 2017.

    Alla cara Denisse rendono omaggio il testo Il male innocente, pronunciato dal Prof. Roberto Cetera durante l’ultimo commiato terreno

    alla ragazza, e una poesia a lei dedicata dall’amica e compagna di classe

    Diana Pilloni (classe IV B).

    Del Prof. Tullio De Mauro, un Maestro di Civiltà,1 non abbiamo

    bisogno di ricordare in questa sede gli altissimi meriti nel campo della

    linguistica,2 della didattica3 e della divulgazione culturale,4 e il suo

    1 Così intitola il suo articolo Paolo Di Stefano, Tullio De Mauro Maestro di civiltà,

    in “Corriere della Sera”, 6 gennaio 2017, pp. 42-43. 2 I suoi incisivi interventi negli anni Settanta sull’evoluzione della lingua nazionale e

    sui rapporti tra lingua e dialetti sono raccolti in: Tullio De Mauro, Le parole e i fatti,

    Editori Riuniti, Roma 1978 rist. Dal quale testo, a proposito della sua battaglia per lo

    studio della “lingua d’uso” nella scuola, citiamo questa riflessione sempre attuale

    (da Tullio De Mauro, La scuola nuova, in pratica, in Le parole e i fatti, cit., p. 351):

    “… ciò che va riaffermato è il ruolo delle parole, del momento espressivo e

    simbolico nella pratica scientifica e nella vita individuale e sociale. Sbaglia chi lo

    trascura o dimentica. Ma sbaglia anche chi dimentica che, fuori dell’uso che ne fa

    la pratica scientifica o l’insieme degli individui e dei gruppi sociali, il linguaggio

    non ha senso né scopo.” L’elenco delle pubblicazioni di Tullio De Mauro per la sua

    vastità occuperebbe moltissime pagine. Ci limitiamo a citare testi assai noti come

    l’edizione italiana del Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure e la

    Storia linguistica dell’Italia unita, opere entrambe edite da Laterza e assai diffuse

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    competente operato come Ministro della Pubblica Istruzione: meriti

    accompagnati, sul piano dei rapporti umani, da grande generosità,

    probità e signorilità. Ci piace soffermarci, invece, sui rapporti che

    legarono De Mauro alla nostra scuola. Per quanto ci riguarda, ci

    riterremo sempre onorati e orgogliosi di aver potuto collaborare, sia pur

    indirettamente, con il grande Maestro, grazie alle conferenze organizzate

    dall’indimenticata Prof.ssa Licia Fierro sui temi di approfondimento

    culturale in anni non più recenti. Nell’ambito del ciclo di conferenze sul

    tema Umanesimo e Scienza, svolto nell’anno scolastico 2008-2009, fummo incaricati di trascrivere dal nastro magnetico il discorso tenuto

    agli studenti dal Prof. De Mauro il giorno 14 gennaio 2009.5 Una fatica

    ben ripagata sia perché Tullio De Mauro espresse il suo apprezzamento

    per il risultato sia perché quel volume, con gli interventi del fisico e

    matematico Carlo Bernardini, della giornalista Antonella Rampino, del

    noto giornalista e conduttore televisivo Corrado Augias e le relazioni

    degli studenti,6 è nella biblioteca della scuola, in più copie, a

    nelle scuole e nelle università. Ricordiamo anche il monumentale Grande dizionario

    italiano dell’uso, 8 voll., UTET, Torino 20072, realizzato sotto la sua direzione. Per

    un sintetico ritratto di De Mauro rimandiamo ai contributi di Eugenio Gaudio e di

    Alberto Asor Rosa raccolti in Un eretico di successo, in “Nuova Antologia”, fasc.

    2281, gennaio-marzo 2017, pp. 228-234; vd. anche Giovanni Arledler S.I., La

    saggia precisione di Tullio De Mauro, in “La Civiltà Cattolica”, n. 4001, 2017, pp.

    504-512. 3 Nel dibattito sulla riforma degli studi liceali e sul destino delle lingue classiche si

    veda la sua proposta (del 2008) di istituzione di un liceo unitario con quattro materie

    fondamentali e una ricca scelta di materie opzionali, tra cui il latino e il greco, in:

    Associazione TreeLLLe, Latino perché? Latino per chi? Confronti internazionali

    per un dibattito, Questioni aperte/1, Maggio 2008, pp. 83-95. 4 In questo ambito basti ricordare la sua direzione della collana I Libri di Base, degli

    Editori Riuniti, una serie di agili volumetti che trattavano argomenti anche

    impegnativi esposti in modo semplice e accattivante, per l’intelligenza di tutti i

    lettori. 5 Tullio De Mauro, Il linguaggio e le scienze, nel volume Umanesimo e Scienza.

    Tema di approfondimento culturale per l’a.s. 2008/2009 (a cura della prof.ssa Licia

    Fierro), Liceo Classico Orazio, Roma 2009, pp. 11-33. 6 Questi gli interventi dei relatori citati, compresi nel volume Umanesimo e Scienza:

    Carlo Bernardini, Il linguaggio della realtà; Antonella Rampino, Il linguaggio nella

    formazione della pubblica opinione, Corrado Augias, Il linguaggio della scienza e

    quello della poesia.

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    disposizione di studenti e docenti. Altra occasione di presenza al Liceo

    Orazio il Prof. De Mauro la diede con le conferenze di Agorà Scuola

    Aperta, iniziativa della Casa Editrice Laterza: il pomeriggio di

    mercoledì 7 dicembre 2011, nell’Aula Magna gremita, egli tenne

    un’applauditissima conferenza, assieme al corrispondente del quotidiano

    francese Libération Eric Jozsef, sul tema “Piccolo catalogo dei nostri pregiudizi”. Ma siamo oltremodo riconoscenti verso il Prof. De Mauro

    perché ha saputo esprimerci, con parole semplici ma dense di cordiale

    considerazione, l’incoraggiamento a proseguire sulla non facile strada

    delle pubblicazioni scolastiche. Ci fece pervenire, infatti, due suoi

    messaggi, uno relativo alla “Miscellanea di Saggi e Ricerche” l’altro

    riguardante proprio i “Quaderni del Liceo Orazio”. Il primo era un

    biglietto, il secondo una mail: pubblichiamo con piacere entrambi, a

    conclusione del nostro reverente e affettuoso omaggio al grande Maestro

    scomparso.

    17.01.2009 Caro professor Carini, La ringrazio molto del dono ponderoso della Miscellanea. Il valore culturale e di alta didattica dei contributi e dei volumi è grande e dovrebbe far da modello a una scuola che sappia fondere in una stessa linea di attività insegnamento, ricerca e impegno attivo anche delle e dei giovani. Ho guardato e apprezzato qua e là singoli lavori e spero nella prossima settimana di poter leggere più attentamente il tutto. Intanto accetti le mie congratulazioni per il Suo e vostro lavoro. Un saluto cordiale Tullio De Mauro 6.10.2015 Caro Carini, La ringrazio dei cinque Quaderni. Li ho sfogliati rapidamente e messi da parte per una lettura più tranquilla di alcuni lavori Suoi e di Sue colleghe. Ho scorso anche le spesso impegnative ricerche degli allievi. Ancora una volta devo esprimere la mia ammirazione per l'impegno che, come già Licia Fierro, ora Lei dedica a sollecitare colleghe e colleghi e a portare alla luce riflessioni e ricerche altrimenti nascoste. Ho cercato più volte di indicare l'esempio e modello del Liceo Orazio ai docenti del liceo, il Giulio Cesare, in cui sono stato alunno, al tempo delle Guerre puniche o giù di lì, e negli ultimi anni, fino a un paio d'anni

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    fa, presidente dell'associazione degli ex alunni. Ma il risultato è per ora zero. Questo zero aiuta a capire quanto invece è meritoria la Sua fatica e degli altri collaboratori e altre collaboratrici ai Quaderni. Accetti un saluto grato accompagnato da molta stima, Tullio De Mauro

    Roma, 26 gennaio 2018

    Mario Carini

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    Ricordo di Anna Cannas

    Il giorno 1° febbraio 2018 è venuta

    improvvisamente a mancare la nostra cara

    Collega Anna Cannas, docente di lingua e letteratura francese al Liceo

    Linguistico. In attesa di ricordare più ampiamente e degnamente la

    nostra Collega, che tanti anni di vita ed energie ha profuso nel suo insegnamento all’Orazio, trascriviamo di seguito il discorso che il

    giorno 17 febbraio 2018, durante la solenne commemorazione svoltasi

    nell’Aula Magna del Liceo Orazio, è stato letto dalla Prof.ssa Sylvie Perrin. Il testo è stato composto dalla Prof.ssa Maria Teresa Rossi, che

    ce lo ha cortesemente fornito e che qui ringraziamo.

    Racchiudere in un breve discorso quello che Anna ha rappresentato per il nostro liceo, per i nostri alunni e per noi colleghi non è semplice. Anna era una donna riservata, ma forte e determinata, dotata soprattutto di una capacità di coinvolgere gli altri con il suo entusiasmo nella realizzazione dei suoi progetti, nella sua lotta per la difesa dei diritti civili. Grazie al suo impegno costante, l’Orazio ha collaborato con partner importanti come il Centro Astalli e Amnesty Interna-tional che oggi sono qui insieme a noi per ricordarla. I nostri alunni attraverso il progetto: Finestre, da lei promosso insieme al Centro Astalli, sono venuti a contatto con rifugiati di ogni parte del mondo, hanno ascoltato, partecipi e commossi, i loro racconti, le loro storie di esilio, solitudine, emarginazione ed hanno condiviso le loro speranze per il futuro, conoscendo

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    quindi realtà particolarmente difficili e riflettendo i ragazzi sul tema dell’esilio e su ciò che significa lo status di rifugiati. Questo interesse si è tradotto, poi, in lettura, scrittura e adesione al progetto: La letteratura non va in esilio, consistente nella stesura di un racconto riguar-dante un tema a scelta tra il diritto di asilo, l’immi-grazione, il dialogo interreligioso, la società inter-culturale. Sempre grazie all’impegno, alla determinazione e ad un’intuizione di Anna, l’Orazio è stata la prima scuola del Lazio, e la terza in Italia, a stipulare una conven-zione con Amnesty International come Scuola amica dei diritti umani. Da questa felice collaborazione sono nati i numerosi ed importanti eventi organizzati da Anna con Chiara Pacifici; tra questi ricordiamo: le conferenze sui Muri, con l’obiettivo di abbattere appunto i muri e creare ponti tra culture diverse, nonché sulla Tortura e Pena di Morte, sulle Spose Bambine; le giornate contro l’Omofobia; la realizzazione degli Origami per l’otto marzo, quale gesto simbolico di solidarietà con le donne che si sono battute per la difesa dei diritti umani, poi consegnati alla Presidenza del Consiglio per chiedere azioni concrete a tutela e difesa di tali donne; le maratone per la raccolta firme per la liberazione di prigionieri politici negli Stati dominati da dittature; il flashmob per Giulio Regeni. Tutti momenti importanti che hanno contribuito a sensibilizzare gli alunni, e anche noi docenti, nei confronti di temi e situazioni di scottante attualità ed educarli alla difesa della libertà di coscienza, di espressione e al rifiuto di ogni forma di discriminazione. Tutto ciò non deve farci dimenticare il suo amore per l’insegnamento del francese, attento agli aspetti lingui-

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    stici, ma sempre permeato dalla sua cultura vasta e non convenzionale e dalle sue raffinate letture. In questa ottica ha promosso la partecipazione della scuola all’innovativa sperimentazione del teatro in lingua francese. Anna è stata molto determinata nel portare avanti tutte queste iniziative e questi progetti, nonostante i suoi problemi di salute. Ma Anna ha attraversato e superato tanti momenti bui grazie a quella energia immensa che scaturiva dalla ricchezza dei suoi interessi e dalla forza di quegli ideali per i quali ha lottato fino agli ultimi giorni della sua esistenza e che ora ancora di più sentiamo il dovere di portare avanti, consapevoli di non essere alla sua altezza.

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    Sezione docenti

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    ANNA PAOLA BOTTONI – MARIO CARINI

    Giorgio Perlasca ricordato al Liceo Orazio

    (evento organizzato in collaborazione

    con l’ANCRI)

    “Lei, che cosa avrebbe fatto al mio posto?”. Questa semplice

    domanda, che Giorgio Perlasca pose al giornalista Enrico Deaglio che lo

    intervistava, riassume una storia di straordinario coraggio che fa di

    Perlasca uno degli italiani più rappresentativi nella storia della seconda

    guerra mondiale.

    Il nome di Giorgio Perlasca, dopo oltre quarant’anni di silenzio, è

    divenuto improvvisamente famoso, proprio grazie al libro di Enrico

    Deaglio, La banalità del bene1, uscito nel 1991 per i tipi dell’editore

    Feltrinelli, e soprattutto per il film TV di Alberto Negrin, Perlasca. Un eroe italiano (2002), con Luca Zingaretti.

    Ciò che rende unica la storia di Giorgio Perlasca è stato il coraggio di

    aver sfidato i nazisti e i loro alleati delle Croci Frecciate,2 in piena

    seconda guerra mondiale e nell’Ungheria occupata dalle truppe del

    Terzo Reich, per mettere in salvo gli ebrei, condannati in quel tempo

    tragico alla deportazione e ad una morte sicura nei campi di sterminio

    come Auschwitz e Treblinka.

    Ma veniamo alla storia di Perlasca. Giorgio Perlasca, commerciante

    padovano di 34 anni, si trovava nel 1943 a Budapest per trattare

    1 Titolo che richiamava per antitesi il famoso saggio di Hannah Arendt, La banalità

    del male, resoconto del processo al criminale nazista Adolf Eichmann celebrato a

    Gerusalemme nel 1961. Il libro di Enrico Deaglio fu preceduto nel 1990 da una

    puntata della trasmissione Mixer, curata dallo stesso Deaglio e da Giovanni Minoli,

    interamente dedicata a Giorgio Perlasca. 2 Partito nazionalista e antisemita fondato in Ungheria da Ferenc Szálasi nel 1935.

    Ispirato esplicitamente al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, fu

    alleato della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Nazionalsocialista_Tedesco_dei_Lavoratori

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    l’acquisto di una partita di bestiame per conto della sua ditta, la S.A.I.B.

    (Società Anonima Importazione Bovini) di Trieste. Dopo l’8 settembre,

    giorno dell’armistizio, rifiutò di aderire al nuovo stato fascista fondato

    da Benito Mussolini, dopo essere stato liberato dai tedeschi, la

    Repubblica Sociale Italiana, professandosi fedele al re Vittorio

    Emanuele III, che dopo l’armistizio era fuggito a Brindisi per mettersi

    sotto la protezione degli angloamericani. Perlasca, catturato dai tedeschi,

    riuscì a fuggire e si rifugiò presso l’ambasciata di Spagna, nazione verso

    la quale vantava benemerenze in quanto aveva collaborato con le milizie

    di Francisco Franco durante la guerra civile spagnola del 1936-1939. Il

    15 ottobre 1944 il Capo dello Stato d’Ungheria, l’ammiraglio Horty,

    annunciò l’armistizio con l’Unione Sovietica, le cui truppe erano in

    procinto di assediare Budapest. Hitler rispose imponendo con un colpo

    di stato un governo filonazista, il cui capo era Ferenc Szálasi, il leader

    delle famigerate Croci Frecciate, movimento nazionalista e fortemente

    antisemita, alleato del Terzo Reich. Dopo che l’ambasciatore spagnolo

    Angel Sanz Briz, il cui Paese non riconosceva il governo di Szálasi, fu

    costretto a fuggire dall’Ungheria, Giorgio Perlasca si insediò nella sede

    abbandonata e con l’aiuto di Madame Tourné e dell’avvocato Zoltán

    Farkas, riuscì a farsi accreditare come incaricato d’affari per

    l’ambasciata spagnola (in pratica fungeva da viceconsole) dal ministero

    degli esteri ungherese. All’uopo cambiò il suo nome in Jorge Perlasca e,

    poiché parlava lo spagnolo perfettamente, l’inganno riuscì in pieno.

    Diventato il viceconsole spagnolo Perlasca riuscì a organizzare un

    sistema di protezione degli ebrei di Budapest, alloggiandoli in apposite

    case protette, edifici posti sotto la protezione e il controllo

    dell’ambasciata di Spagna. Egli riuscì a ottenere dal maggiore Tarpataki

    della polizia ungherese che gli ebrei delle case protette rimanessero

    indisturbati e che in esse non entrassero le Croci Frecciate. Dal 2

    dicembre 1944 al 13 gennaio 1945 Giorgio Perlasca, fingendosi il

    viceconsole spagnolo, rilasciò salvacondotti e passaporti a

    numerosissimi ebrei, facendoli espatriare e mettendoli in salvo. Oltre

    cinquemila ebrei dovettero la loro salvezza a Giorgio Perlasca. Durante

    questo periodo (come scrive nelle sue memorie dal titolo L’impostore,

    pubblicate dalla casa editrice Il Mulino nel 1997) egli incontrò numerose volte il ministro dell’interno Erno Vajna, feroce antisemita,

    correndo gravissimi rischi personali, per convincerlo a risparmiare gli

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    ebrei di Budapest. Il 18 gennaio 1945, quando l’Armata Rossa entrò a

    Budapest, Perlasca si consegnò ai sovietici, che lo impiegarono nello

    sgombero delle rovine e nel recupero dei cadaveri sotto le macerie.

    Finalmente nel maggio successivo poté partire per l’Italia. Egli tacque

    della sua attività in favore degli ebrei ungheresi come finto diplomatico

    e per oltre quarant’anni conservò un rigoroso silenzio su quanto aveva

    compiuto a Budapest. Solo nel 1991, grazie al libro di Enrico Deaglio

    che scoprì la storia di Perlasca, gli italiani hanno potuto conoscere le

    avventurose vicende dello Schindler italiano.

    Per il suo eroico coraggio Giorgio Perlasca è stato insignito di varie

    onorificenze, tra cui quella di “Giusto tra le Nazioni” concessa dallo

    Stato d’Israele. Proporre oggi la figura di Giorgio Perlasca agli studenti

    significa non solo permettere loro di conoscere una straordinaria storia

    di generosità e altruismo, ma anche far comprendere meglio gli orrori

    del nazismo e i valori della libertà e della dignità umana, che il nazismo

    aveva conculcato.

    Proprio di Giorgio Perlasca si è parlato il 24 novembre 2017 al Liceo

    ginnasio statale Orazio, in un convegno che ha avuto luogo in Aula

    Magna nella mattinata. Il convegno, patrocinato dall’ANCRI

    (Associazione Nazionale dei Cavalieri al Merito della Repubblica

    Italiana), ha visto la partecipazione del figlio di Giorgio Perlasca, il

    Dott. Franco Perlasca, che di fronte ad una platea gremita di docenti e

    studenti, ha rievocato, con parole semplici ma efficaci e coinvolgenti, la

    figura paterna. In sala, oltre alle massime cariche dell’ANCRI erano

    presenti l’Assessore del III Municipio (delegato alle Politiche Educative

    e Scolastiche, Sport e Cultura e valorizzazione del Patrimonio

    Archeologico) Gilberto Kalenda, il Presidente del Consiglio d’Istituto

    Prof. Giancarlo Solaroli, l’Ing. Altavilla e il Dott. Roberto Mendoza

    dell’Associazione Montesacro, il Comandante della Compagnia dei

    Carabinieri di Città Giardino, Luogotenente Varone, il Comandante

    della Polizia Municipale Maurizio Sozzi. Ha condotto l’incontro il Prof.

    Franco Graziano, Vicepresidente Nazionale dell’ANCRI.

    Ha aperto gli interventi il Dirigente Scolastico del Liceo Orazio,

    Prof.ssa Maria Grazia Lancellotti, portando il saluto della scuola alle

    autorità presenti e invitando gli studenti a partecipare all’incontro,

    ascoltando con attenzione, per riuscire arricchiti da questa esperienza. Il

    Prof. Graziano, dopo aver ringraziato la Preside per la sensibilità con cui

  • 20

    ha accolto la proposta dell’ANCRI di celebrare la figura di Giorgio

    Perlasca al Liceo Orazio, ha esortato, rivolgendosi agli studenti, a

    seguire con attenzione questo evento, “un evento più unico che raro

    nella vostra vita – queste le parole del Prof. Graziano –, un evento che è stato pensato, progettato e realizzato dal Liceo Orazio e dall’ANCRI

    espressamente per voi, per provare a trasmettervi valori alti, nella speranza che attecchiscano in voi e contribuiscano a elevare ancora di

    più la vostra etica e il vostro senso civico.” Quindi ha preso la parola il

    Cav. Dott. Tommaso Bove, Presidente Nazionale dell’ANCRI, che ha

    spiegato le origini e le finalità di questa Associazione, nata con l’intento

    di riunire in un unico sodalizio tutti gli insigniti del Cavalierato al

    Merito della Repubblica, il primo degli ordini onorifici repubblicani. Si

    tratta di persone accomunate dagli stessi valori e gli stessi ideali, ha

    detto il Cav. Bove, persone che si propongono soprattutto di offrire

    attraverso l’impegno nel sociale, volontario e gratuito, la testimonianza

    delle motivazioni che a suo tempo hanno dato luogo alle origini

    dell’ANCRI. L’intento dell’ANCRI, infatti, è l’impegno nel sociale e da

    qui nasce il motto dell’Associazione, Parati sumus iterare, “siamo

    pronti a ripetere, a ripetere ciò che abbiamo fatto in passato”, ha spiegato il Cav. Bove. A giudizio del Presidente dell’ANCRI Giorgio

    Perlasca non è stato propriamente un eroe, perché eroe è chi aiuta gli

    altri, mettendo a repentaglio la propria vita, agendo d’istinto, senza

    riflettere. Perlasca, invece, forte dei suoi valori, sentendo le grida e il

    pianto di dolore di una intera umanità, ha fatto in piena coscienza una

    scelta di vita straordinaria che giustamente è stata tramandata quale

    esempio che deve restare vivo in tutti noi, un esempio di umana

    solidarietà e generoso altruismo. Non è stato propriamente un esempio

    di altruismo, ha ripetuto il Cav. Bove, perché l’eroe agisce d’istinto, ma

    una scelta di vita straordinaria che deve esortare tutti noi a scegliere

    sempre, nella vita, il bene.

    Il Prof. Graziano ha quindi dato la parola al Prefetto Dott. Francesco

    Tagliente, presente al tavolo dei relatori. Il Dott. Tagliente nel suo

    intervento ha ricordato le origini e i valori morali ricevuti dalla sua

    famiglia, valori che gli hanno permesso di percorrere una prestigiosa

    carriera da agente di Pubblica Sicurezza a Questore di Firenze e Roma e,

    infine, Prefetto della Repubblica Italiana. “Siamo qui – ha proseguito il

    Prefetto, rivolgendosi agli studenti in sala – per ascoltare la

  • 21

    testimonianza del figlio di un Giusto tra le Nazioni che ha messo in discussione la propria vita per salvare le vite degli altri. Oggi voi avete

    sentito parlare di persone che per essere state insignite della

    onorificenza al Merito della Repubblica hanno spesso rinunciato ai propri diritti per garantire i diritti degli altri, ponendosi di fronte

    all’esigenza di bilanciare i valori, quei valori richiamati ad ogni passo dalla Costituzione. Al vertice della scala dei valori c’è la Persona, i cui

    diritti fondamentali sono riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della

    Costituzione (…). Da questo valore assoluto, da questo pilastro della democrazia che è il valore dell’Uomo come Persona, discendono gli

    altri valori, che sono i valori della democrazia, della libertà, della

    giustizia, della lealtà, del rispetto, della salute…” Concludendo, il Prefetto ha sottolineato che solo guardando al valore assoluto della

    Persona e agli altri valori della Costituzione, i giovani possono poggiare

    le loro conoscenze e i saperi per conservare quella società che noi

    abbiamo ereditato. E proprio per difendere il valore della Persona, che

    vedeva conculcato negli altri, Giorgio Perlasca mise in gioco la sua vita.

    Succedendo, nell’ordine degli interventi, il Prof. Mario Carini del

    Liceo Orazio ha tratteggiato brevemente le tappe della persecuzione

    antisemita in Europa negli anni Trenta, dall’avvento al potere di Hitler

    in Germania, fino alla seconda guerra mondiale, e si è soffermato a

    narrare le vicende dell’Ungheria, ossia il contesto storico nel quale si

    colloca l’operato di Giorgio Perlasca: l’armistizio con l’Unione

    Sovietica proclamato dal reggente Horthy, il capo dello Stato ungherese

    alleato della Germania, il 15 ottobre 1944; il colpo di stato organizzato

    dai nazisti e l’insediamento a Budapest del governo delle Croci

    Frecciate, il partito filonazista, guidato dal feroce Ferenc Szálasi; la fuga

    dell’ambasciatore spagnolo Angel Sanz Briz, il cui Paese non

    riconosceva il governo di Szálasi; l’insediamento, nell’ambasciata

    abbandonata, di Giorgio Perlasca, il suo accreditamento come finto

    diplomatico spagnolo e l’organizzazione del salvataggio degli ebrei

    ungheresi.

    L’intervento del figlio del Giusto tra le Nazioni, il Dott. Franco

    Perlasca, è stato preceduto dalla proiezione del trailer del film TV

    Perlasca. Un eroe italiano (2002), realizzato da Alberto Negrin: le sequenze belle e coinvolgenti del film di Negrin, che ricostruisce la

    drammatica vicenda di Perlasca con obiettività e realismo, talvolta anche

  • 22

    crudo, senza scadere negli effetti patetici e nella retorica, non hanno

    mancato di emozionare i presenti e tutti hanno seguito il lungo trailer

    con assoluto silenzio. Franco Perlasca ha anzitutto precisato che il film

    rispecchia esattamente la storia di suo padre Giorgio e che il copione

    alla base della sceneggiatura è stato il secondo, perché il primo venne

    rifiutato dalla famiglia in quanto non aderente alla realtà dei fatti. Il

    Dott. Perlasca ha voluto ricordare un aneddoto al riguardo. Quando

    all’anteprima del film di Negrin, in un grande cinema di Padova, l’attore

    Luca Zingaretti, il protagonista, si avvicinò alla madre di Giorgio

    Perlasca e le chiese un giudizio, la signora non più giovanissima (92

    anni) rispose: “Lei è stato molto bravo a interpretare il mio Giorgio

    nella maniera migliore, devo farle i complimenti. Però devo dirle anche un’altra cosa. Non si deve offendere, ma mio marito era molto ma molto

    più bello di lei.” Al di là della battuta, ha chiarito Franco Perlasca, la signora certificò il fatto che Luca Zingaretti e il film erano riusciti a

    interpretare al massimo Giorgio Perlasca e la sua storia. Quindi l’oratore

    ha rappresentato il carattere dell’uomo Perlasca: quando vide quello che

    stava avvenendo, non si voltò dall’altra parte, non fece finta di non

    vedere, ma si caricò le sofferenze altrui sulle sue spalle e in questa

    maniera riuscì a salvare da morte sicura almeno 5.200 ungheresi di

    religione ebraica, “inventandosi un ruolo non suo, quello di diplomatico

    spagnolo, perché lui non era né un diplomatico né uno spagnolo”, ha detto il Dott. Perlasca. Franco Perlasca ha poi parlato della seconda

    parte della storia di suo padre, costituita da quarantacinque lunghi anni

    di silenzio.

    Perché Giorgio Perlasca non ha mai raccontato niente della sua storia?

    Il figlio ha provato a darsi varie risposte. Una parte delle risposte

    riguarda la situazione politica dell’Italia e dell’Europa nel dopoguerra –

    si era in piena Guerra Fredda –, inoltre Perlasca era stato fascista

    (volontario in Africa Orientale e in Spagna, con le truppe del generale

    Francisco Franco) e nazionalista. Franco Perlasca al riguardo ha rivelato

    che il padre, da ragazzo, fu espulso per un anno da tutte le scuole del

    regno per aver difeso l’impresa di d’Annunzio a Fiume contro un

    professore di idea avversa. Proprio aver combattuto dalla parte di

    Francisco Franco risultò insperatamente utile a Perlasca nel settembre

    1943 – ha raccontato il figlio – quand’era in Ungheria per conto della

  • 23

    sua ditta di carni, la S.A.I.B. Rifiutatosi di aderire alla RSI3 per

    mantenere fede al giuramento prestato al re, Perlasca si trovò in

    gravissimo pericolo, ma si ricordò delle benemerenze che vantava verso

    la Spagna e si rifugiò in quella ambasciata, ottenendo senza indugio la

    cittadinanza spagnola col nome di Jorge Perlasca. Iniziò così a

    collaborare con l’ambasciatore Angel Sanz Briz nel programma che

    Svezia, Svizzera e Vaticano stavano portando avanti per salvare gli

    ebrei, che in Ungheria erano tanti, 900.000 su una popolazione di dieci

    milioni, quasi il 10%. Finita la guerra Perlasca tornò in Italia, ma

    nessuno – così ha detto Franco Perlasca – era interessato dal punto di

    vista “politico” a far uscire questa storia. Anche l’Italia aveva avuto le

    leggi razziali e la sua piccola Shoah, ma il Paese non voleva fare i conti

    con il passato. E poi la famosa amnistia Togliatti aveva messo una pietra

    tombale sui crimini dell’una e dell’altra parte. Non era perciò

    politicamente corretto ricordare questa storia, almeno in Italia. Però

    secondo Franco Perlasca, il vero motivo per cui suo padre non ha mai

    voluto raccontare né in famiglia né all’esterno la sua storia è stato un

    altro. È un motivo che si ricollega alla tradizione ebraica dei 36 Giusti.4

    Nessuno sa chi siano, ma quando il Male sembra prevalere si prendono

    il destino del mondo sulle spalle, e quando il Male è cessato ritornano

    alla vita normale e quotidiana di tutti i giorni, dimenticando quello che

    hanno fatto. “Non perché non sappiano raccontare o siano timidi, – ha chiarito Franco Perlasca – ma perché ritengono di aver fatto il proprio

    dovere di uomini, nulla di più e nulla di meno, e chi fa il proprio dovere

    non deve necessariamente avere una ricompensa.” Lo Yad Vashem,5 a Gerusalemme, dà il titolo di Giusto Tra le Nazioni6 con due requisiti:

    3 La Repubblica Sociale Italiana, lo stato neofascista alleato dei nazisti e fondato da

    Mussolini dopo la sua liberazione, ad opera dei tedeschi, dalla prigionia sul Gran

    Sasso, nel settembre 1943. 4 Secondo questa tradizione per ogni generazione umana vi sono 36 Giusti che si

    preoccupano di difendere i valori della Libertà, della Giustizia e della Solidarietà

    quando sembra che il Male prevalga sugli uomini. Ed è per causa di questi 36 Giusti

    che Dio non distrugge l’umanità. 5 L’Ente nazionale per la Memoria della Shoah, istituito nel 1953 dal Parlamento

    Israeliano. 6 Titolo assegnato ai non ebrei che rischiarono la vita per aiutare gli ebrei durante la

    Shoah.

  • 24

    aver salvato la vita almeno di un ebreo e aver trovato dei testimoni, dei

    terzi, che raccontino questo atto (che non può essere riferito dalla

    persona interessata). Proprio qui sta la differenza tra l’eroe e il Giusto,

    ha precisato Franco Perlasca. L’eroe è una persona che fa qualcosa di

    importante, di molto bello, però ci vive sopra, si vanta e la racconta, e

    non c’è niente di male a fare ciò. Il Giusto, invece, è qualcuno che fa

    qualcosa di importante, come l’eroe, ma quando ha finito ritorna alla

    vita di tutti i giorni, dimenticando quello che ha fatto, perché ritiene di

    aver fatto esclusivamente il proprio dovere, e chi fa il proprio dovere

    non deve necessariamente avere una ricompensa. Proprio come fece

    Giorgio Perlasca, che si ritirò nel silenzio e la cui storia uscì

    quarantacinque anni dopo ciò che aveva compiuto7. Quindi Franco

    Perlasca ha rievocato l’origine della notorietà di suo padre, narrando

    della prima, commovente visita che egli ricevette nel 1988, a Padova,

    dai coniugi Évá e Pál Lang, anziani ebrei ungheresi sopravvissuti alla

    Shoah. Era Perlasca, come ricordò la signora, colui che portava il cibo

    tutti i giorni agli ebrei rinchiusi nelle case protette, era lui quello

    straniero alto che la mise in salvo da una retata improvvisa delle Croci

    Frecciate, le milizie che aiutavano i nazisti nella caccia agli ebrei. E la

    signora Lang volle donare a Giorgio Perlasca tre oggetti che le erano

    assai cari e che erano tutto ciò che la sua famiglia aveva potuto salvare

    dalla persecuzione: un cucchiaino da caffè, un piccolo medaglione e una

    tazzina di porcellana. Perlasca non avrebbe voluto prenderli, le disse:

    “Signora, non devo tenerli io, quando sarà il momento li darà ai suoi

    figli.” Ma la signora ribatté, decisa a darglieli: “Signor Perlasca, li deve tenere lei, perché senza di lei noi non avremmo avuto né figli né nipoti.”

    Con questo toccante episodio, e con il ricordo dell’incontro di Franco

    Perlasca con il regista teatrale Giorgio Pressburger (che nel 1944 era un

    piccolo ebreo ungherese e si ricordava anch’egli di Perlasca), avvenuto

    durante la presentazione del memoriale di Giorgio Perlasca dal titolo

    L’impostore, pubblicato dalla Casa Editrice Il Mulino nel 1997,

    l’incontro si è avviato al termine. “La storia di Giorgio Perlasca – ha

    concluso il Dott. Franco Perlasca – è la dimostrazione di una cosa

    7 Nel dopoguerra Giorgio Perlasca si impiegò alla Liquigas, come ispettore, e poi

    diresse il self-service La Mappa, a Padova. Mai, nell’ambiente di lavoro e in

    famiglia, fece riferimento alla sua storia personale.

  • 25

    semplicissima, che ciascuno di noi, se vuole, qualcosa può fare, basta che non si volti dall’altra parte, basta che non faccia finta di non vedere

    cosa sta avvenendo. Lui, con fantasia molto mediterranea anche se era

    uomo del profondo Nord perché era nato a Como, si inventò questo ruolo di diplomatico spagnolo, lui che non era né diplomatico né

    spagnolo e in questo modo riuscì a salvare almeno 5200 ebrei ungheresi delle case protette e probabilmente almeno 60.000 ebrei che erano

    rinchiusi nel ghetto comune di Budapest e aspettavano di essere uccisi.”

    E i prolungati, calorosi applausi dei presenti hanno fatto eco alle sue

    parole.

  • 26

  • 27

    LUCIANO ZANI Ordinario di Storia Contemporanea

    presso la Facoltà di Scienze Politiche – Sociologia – Comunicazione

    dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

    I militari italiani prigionieri in Germania

    nella seconda guerra mondiale

    Il giorno 10 febbraio 2017, nell’Aula Magna del nostro Istituto, il Prof. Luciano

    Zani, Ordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche –

    Sociologia – Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha

    tenuto un incontro con gli studenti sul tema: “I militari italiani prigionieri in

    Germania durante l’ultimo conflitto mondiale”. Riceviamo e volentieri

    pubblichiamo il testo del discorso del nostro prestigioso Ospite.

    Nella seconda guerra mondiale, con i bombardamenti delle città e,

    alla fine, l'utilizzo della bomba atomica, si inverte il rapporto tra vittime

    militari e vittime civili rispetto alla prima guerra mondiale. Inoltre i

    militari in essa impegnati vissero esperienze complesse e diversificate.

    Erano tutti reduci della stessa guerra, ma i mille fronti in cui questa si

    frantumò configurarono dimensioni e narrazioni disomogenee e spesso

    conflittuali, da cui sono scaturite identità multiformi dopo la fine della

    guerra. La molteplicità dei luoghi in cui hanno combattuto, dal Nord

    Africa ai Balcani, dalla Francia alla Grecia, dall’Italia alla Russia, ha

    comportato esperienze di cattura e di prigionia le più disparate; tra il

    crollo del regime fascista e la fine della monarchia, di fronte al collasso

    della classe dirigente e dell’apparato statale, il traumatico spartiacque

    dell’armistizio dell’8 settembre, prima con la totale irresponsabilità con

    cui fu gestito, poi con la creazione di due Italie, due patrie irriducibili

    l’una all’altra perché rivendicanti pari legittimità e analoghi fondamenti

    patriottici, pur con differenti valori di riferimento, e due idee alternative

    di ordine istituzionale e politico, ha frantumato l’identità precedente, aprendo un enorme ventaglio di scelte materiali e ideali. C’è quindi chi,

  • 28

    dopo la Liberazione, torna da partigiano in Italia, chi da partigiano

    all’estero, chi da militare inquadrato nell’esercito del Regno del Sud, chi

    da prigioniero degli Alleati, chi da internato in Germania, chi da reduce

    dell’esercito della Rsi, chi provato ma sano e chi mutilato, figure a volte

    compresenti nella stessa persona, anche per l’estrema differenziazione

    dei tempi e delle modalità del ritorno, per non dire di quanto sfumata

    appaia, nella seconda guerra mondiale, la differenza tra vittima militare

    e vittima civile.

    Una complessità che si acuisce nell’ex esercito regio, che insieme alle

    famiglie di riferimento rappresentava una fetta assai rilevante della

    popolazione della nuova Italia, tra i sette e i dieci milioni di persone. Se

    escludiamo le due minoranze, la componente che combatté subito contro

    i tedeschi, come a Cefalonia, per poi alimentare il movimento

    partigiano, e quella che optò per l’esercito della Rsi, la stragrande

    maggioranza dei militari italiani (circa 650mila su oltre un milione di

    prigionieri), fu catturata e internata nei lager del Reich, finendo col

    costituire un gruppo sociale e culturale certamente disomogeneo,

    certamente diviso tra opposizione, sopportazione e sottomissione, ma

    unito da una sorte analoga e soprattutto da una scelta comune, al di là

    delle diverse motivazioni che ne furono alla base: il no alla guerra, il no

    all’adesione alla Rsi, che pure avrebbe permesso il ritorno in Italia.

    Questa negazione di se stessi e del proprio passato, questa rottura di

    schemi e di abitudini familiari e sentimentali, questa scelta a suo modo

    realistica (se si sfronda la memorialistica dalle forzature retoriche e dagli

    aggiustamenti fatti a posteriori) emersa in un ampio dibattito pieno di

    incertezze ma anche di grandi potenzialità, accomunava prigionieri e

    internati ai giovani uomini come loro che avevano fatto la Resistenza, a

    partire dagli stessi interrogativi e superamenti del passato; ma a un alto e

    difficile processo di riflessione e di confronto si è preferito un più facile

    e meno traumatico processo di rimozione: in Italia, in Germania, in

    Francia, in Austria, in Polonia, la democrazia «è stata costruita sulla

    perdita della memoria», o almeno su una memoria selettiva.

    Il rifiuto di optare per la Repubblica di Salò da parte dei militari

    italiani catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre implicava, consa-

    pevolmente o meno, una presa di distanza dalla Rsi, contribuendo a

    indebolirla e delegittimarla. Basta immaginare quale forza politico-

    militare avrebbe ricavato la Rsi se la maggior parte di quei 700.000

  • 29

    avesse fatto una scelta diversa! Il presidente della Repubblica Sergio

    Mattarella, in occasione del 70° anniversario della Liberazione, ha

    completato un percorso, iniziato dal presidente Ciampi, di

    riconoscimento del ruolo fondamentale delle forze armate italiane nella

    Liberazione, con parole che più e meglio che in passato valorizzano la

    scelta degli Imi: «Cosa sarebbe successo se questi militari italiani

    avessero deciso in massa di arruolarsi nell’esercito della Repubblica

    Sociale? Quanto sarebbe stata più faticosa per gli Alleati l’avanzata sul

    territorio italiano e con quante perdite?». Quasi cinquant’anni prima, in

    un’edizione riveduta e corretta della sua Storia della resistenza italiana,

    Roberto Battaglia si era espresso in modo analogo: «Ben diversa e ben

    più grave sarebbe stata la tragedia dell’Italia se non ci fosse stata questa

    prova collettiva di fermezza, di tenacia, di amor patrio».

    Qui c’è un punto da chiarire, anche rispetto a una certa vulgata della memorialistica, che sostiene che in ogni momento l’internato avrebbe

    potuto firmare e essere rimpatriato. Non è così. Avagliano e Palmieri

    dicono giustamente che “i soldati e i sottufficiali vennero immedia-

    tamente avviati al lavoro coatto”, il che vuol dire che spesso l’opzione

    non venne proposta e certamente mai dopo l’invio al lavoro.

    Aggiungono che dopo l’arrivo nei campi «la richiesta di adesione venne

    rivolta di massima una sola volta ai militari di truppa e ai sottufficiali –

    che subito dopo il primo no vennero avviati al lavoro coatto – e

    ripetutamente, con varie formule, agli ufficiali effettivi e di

    complemento». La questione dell’opzione per Salò, dunque, riguarda

    quasi esclusivamente gli ufficiali e viene reiterata fino alla tarda

    primavera del ’44, quando la finestra del ritorno a casa viene chiusa dai

    tedeschi, che poco gradivano la costituzione di un esercito di Salò.

    Negli ufficiali inizia un percorso di riflessione critica e autocritica,

    alimentato dalle accese discussioni nelle baracche dei campi, nel quale

    coesistono fattori diversi, ma che assume progressivamente il senso di

    una scelta meditata e quindi volontaria. Accanto al fatalismo, accanto

    alla paura e al rischio di dover riprendere a combattere contro altri

    italiani, o addirittura doversi ritrovare per la seconda volta sul fronte

    russo, appare prioritaria la motivazione istituzionale – il giuramento al

    Re prevalente rispetto a quello al Duce, un nuovo stato fascista i cui

    tratti di legittimità sfuggono, a parte la lealtà alla Germania – che ha

    anche un aspetto paradossale, essendo il Re responsabile della tragica

  • 30

    gestione dell’8 settembre, ma va letta come ricostruzione di una

    separazione tra patria e fascismo, tra esercito e fascismo, rispetto

    all’identificazione operata dal regime; e come appiglio giuridico in

    collegamento con altri due elementi, quello patriottico e quello

    antitedesco, entrambi strettamente legati alla dignità del ruolo e della

    divisa, pesantemente insultati e degradati dall’8 settembre in poi.

    Perché per decenni è sceso un cono d’ombra su questo No, questo No

    patriottico? C’è stato un vuoto di memoria, perché la storia di quegli

    anni per un lungo periodo è stata ridotta e semplificata a una

    contrapposizione fascismo – antifascismo in base alla quale tutto quello

    che non rientrava nella prima o nella seconda categoria non si sapeva

    dove collocarlo.

    Per alcuni gli IMI rappresentavano l’imbarazzante conseguenza

    dell’armistizio e del modo in cui era stato gestito, per gli eredi della

    Resistenza erano l’esercito regio, una realtà da ripudiare tout court,

    estendendo indebitamente a tutti i militari, in particolare a tutti gli

    ufficiali, le gravissime responsabilità dei vertici. Un documento

    conservato nell’archivio del Comando generale delle brigate Garibaldi,

    di poco successivo all’8 settembre, recita: «Ci vorrà molto tempo alla

    ufficialità italiana per redimersi dalla fama di incapacità e di

    indifferenza verso la Patria o addirittura tradimento, fattasi nei giorni più

    critici del periodo badogliano». Oppure, per dirla seccamente con le

    parole di un partigiano: «Gli ufficiali effettivi che non fanno il

    partigiano sono dei traditori e un giorno li metteremo al muro».

    “Indifferenza” e “tradimento”, accuse paradossalmente condivise sia

    dagli italiani, fascisti e antifascisti, che dai tedeschi. Di più, il peso di

    una colpa esattamente coincidente con ciò che gli Imi ritenevano di aver

    essi stessi subìto. Comincia qui, osserva Elena Aga Rossi,

    un’artificiosa contrapposizione tra due Italie, quella fascista che muore nel

    periodo 25 luglio-8 settembre e quella nuova che nasce il 9 settembre con il

    CLN e la resistenza. Si dà per scontato che l’8 settembre e nei giorni

    immediatamente seguenti l’esercito si dissolse e con esso il vecchio stato. La

    condanna dell’esercito che si sciolse ignominiosamente ha accomunato per una

    volta sia i fascisti, che come i tedeschi considerarono l’armistizio un

    tradimento, sia gli antifascisti.

  • 31

    Gli optanti della fine del ’43, quando i discorsi degli emissari di Salò

    erano accolti generalmente con sarcasmo e disgusto, raramente

    corrispondono all’appello patriottico del Duce, scelgono piuttosto per

    debolezza psicofisica e per valutazioni di opportunità, nel calcolo costi-

    benefici. Molti internati ricordano sorpresi il voltafaccia opportunistico

    di chi in un primo momento si era detto alfiere del No, per poi diventare

    portavoce di Salò. Per reazione, i non optanti decidono di rinnovare, in

    vari campi, il giuramento di fedeltà al Re. Ma sul tema la memorialistica

    è divisa: in alcuni campi si creano tensioni anche aspre tra optanti e non

    optanti, in altri permane un rapporto di reciproca e fraterna

    comprensione. Federico Ferrari, a Deblin Irena, non ha alcuna

    recriminazione nei confronti di chi opta: «i primi amici partono oggi,

    diretti a lidi migliori» e «accompagno la loro speranza con tutti i miei

    voti»; il tenente Paolo Demetrio Poidomani, nei campi di Przemjsl e di

    Hammerstein:

    La separazione da questi Ufficiali avvenne in tutta cordialità e comprensione.

    Non vollero scuse o sotterfugi alla loro decisione. Ci dissero che avevano

    optato perché non ce la facevano più a tirare avanti con il loro fisico malato o

    debole, che spiritualmente restavano legati a noi.

    Emerge un’area maggioritaria che discute e riflette senza motivazioni

    ideologiche, una zona grigia intermedia, caratterizzata da dubbi,

    incertezze, grande contiguità, considerazioni simili cui fanno seguito

    scelte diverse.

    Al primo No, quello all'opzione per Salò, segue un secondo No,

    quello alla "civilizzazione", cioè alla trasformazione in lavoratori civili,

    proposta nel luglio del '44, imposta in ottobre. Il rifiuto della

    "civilizzazione" e, ad esso connesso, il rifiuto del lavoro nelle sue

    diverse declinazioni - agognato, chiesto, temuto, rifiutato, accettato,

    sopportato, subìto, coatto - è una realtà complessa, come tutta

    l'esperienza dell'internamento, ma fino a oggi, sia nella memorialistica

    che in parte della storiografia, è passato in secondo piano rispetto al

    rifiuto di rientrare in patria optando per l'inserimento nel costituendo

    esercito della repubblica di Salò. È apparso subito evidente il paradosso

    (non l'unico) che costituisce una delle peculiarità della vicenda: rispetto alla frase Arbeit Macht Frei, Il lavoro rende liberi, che sormontava

    l'ingresso di campi di sterminio, come Auschwitz e Dachau, gli ufficiali

  • 32

    italiani che rifiutano di lavorare dimostrano che il rifiuto di lavorare li ha resi liberi!

    Che nel rapporto tra la Germania e gli internati la questione capitale

    fosse proprio il lavoro è testimoniato anche dal carattere particolare che

    negli IMI ha assunto la deumanizzazione, una delle peculiarità

    dell'universo concentrazionario. Il punto di partenza non è razziale, ma

    politico-morale, inciso nella definizione di “traditori badogliani”, nella

    quale i due termini, entrambi spregiativi, si rafforzano a vicenda.

    L’approdo è analogo a quello di ogni altro deportato: anche per gli Imi il

    nome è sostituito da un numero, la spoliazione, la nudità, la

    perquisizione corporale, la disinfestazione di corpi e vestiario segnano il

    passaggio da persone a cose - la “disculturazione” gofmaniana. Che in

    loro però assume una dimensione specifica, che riflette il destino cui il

    Reich li ha destinati: numeri, certamente, ma nella memorialistica

    dell’internamento è più forte e centrale il termine Stücke, “pezzi”, arnesi

    da lavoro, rotelle dell’ingranaggio produttivo, non uomini, ma schiavi

    ridotti a una mera funzione materiale. “Ho contato 200 pezzi”, in genere

    l’appello nel campo si concludeva così, col numero dei “pezzi” presenti.

    Ma se la questione del lavoro è quella centrale, perché investe la loro

    condizione oggettiva e la loro scelta soggettiva, non meno importanti

    sono le motivazioni sottese a quella scelta e il processo di reale e

    potenziale maturazione che rivelano, il viaggio dentro sé stessi

    sovrapposto a quello verso e tra i lager dell'Europa centrale. Zampetti,

    un ufficiale internato, spiega come la "patria" fosse diventata "il

    problema più toccante": "Dopo il 25 settembre 1943, è stata per me una

    parola priva di significato. Tutti i valori terreni dell'ordine sociale si

    sono contratti nell'unica realtà della famiglia, ma ora l'appello del

    tricolore, il richiamo del nome di Italia corrono di nuovo nel sangue e

    dicono che non tutto è distrutto!". Il tenente Desana ci torna a più

    riprese, ma forse l'affermazione più significativa è la seguente:

    rivendicammo "diritti e dignità in nome di un'Italia che non c'era al di

    fuori di noi". Che dunque non era certo l'Italia del loro passato, del

    fascismo e della sua idea di patria, ma un'Italia interiore, nuova e

    diversa, non "morta" nei loro cuori, ma alla ricerca di una definizione:

    non un'esigenza consapevole di democrazia, ma un anelito di libertà e la

    ricerca di un punto di riferimento diverso dal fascismo, individuato

    proprio nell'idea di patria, incarnata nella divisa e nel giuramento

  • 33

    prestato al re. È questo il terreno su cui dopo la Liberazione (e per molti

    versi già prima, almeno per ciò che riguarda il Regno del Sud) la cecità

    morale e la sordità politica dei massimi vertici militari e istituzionali è

    stata più ingiustificabile e più evidente, colpevole di respingere e

    rinserrare quella scelta nel recinto della precedente appartenenza al

    fascismo, attribuendole piuttosto il marchio del collaborazionismo che

    quello di un distacco dal vecchio universo di valori e di una potenziale

    rigenerazione democratica. Una delle ragioni che fanno dell’interna-

    mento dei militari italiani in Germania un nodo storiografico rilevante è

    il fatto di mostrare come una delle risposte alla questione nazionale che

    la morte dello Stato, non della nazione, aveva posto in termini di scelta,

    fu il separare l'idea di patria da quella di fascismo, e farne anzi il

    puntello per il rifiuto dell'adesione alla Rsi e al lavoro preteso dai

    tedeschi.

  • 34

  • 35

    ANNA PAOLA BOTTONI

    Da Biblioteca a Biblioattiva

    È apparsa evidente, in questi ultimi anni, l’esigenza di armonizzare

    l’ambiente della biblioteca scolastica con le innovazioni introdotte dalla

    “Buona Scuola” e l’ingresso sempre più massiccio delle tecnologie

    informatiche nella didattica, nella ricerca e nella educazione

    all’informazione. Al riguardo il Piano Nazionale della Scuola Digitale

    (PNSD) invita le biblioteche delle scuole a un rinnovato impegno per

    creare o migliorare le condizioni per apprendere le competenze

    informative e digitali. Come si legge nell’Azione #24 del PNSD

    (Biblioteche Scolastiche come ambienti di alfabetizzazione all’uso delle

    risorse informative digitali) “un potenziamento e un aggiornamento

    della missione delle biblioteche scolastiche, che in molte realtà faticano a trovare spazio, mentre in altre svolgono un ruolo determinante per

    l’attività di promozione della lettura anche grazie all’uso della rete e di

    strumenti digitali, può rendere la scuola protagonista attiva di nuovi

    modelli di formazione e apprendimento, che – attraverso attività di

    lettura e scrittura su carta e in digitale – combattano il disinteresse verso la lettura e le difficoltà di comprensione.”

    Le biblioteche scolastiche hanno un ruolo di mediazione informativa

    e formativa, sono luoghi in cui prende vita l’incontro fra il libro e il

    lettore, spazi aperti alle realtà del territorio, nella prospettiva di un

    ampliamento della fruibilità come previsto dall’Obiettivo 4 (Istruzione

    di Qualità) dell’Agenda 2030 ONU per lo Sviluppo Sostenibile:

    “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di

    apprendimento per tutti”.

    Negli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, inoltre, viene più volte

    ribadito il ruolo imprescindibile dell’istruzione quale unico strumento in

    grado di consentire ai giovani di costruire una società e un futuro

    migliore. Sarà possibile, tuttavia, parlare di un vero e proprio progresso,

    solo se, eliminata ogni forma di discriminazione, tutti i processi

    educativi, accompagnati da insegnamenti di qualità, diventeranno

  • 36

    accessibili a tutti. È facilmente intuibile, quindi, come sia compito

    soprattutto della biblioteca della scuola, agenzia informativa e formativa

    per eccellenza, impegnarsi nel processo di miglioramento culturale che

    investa, nell’ottica dell’educazione permanente, tutte le fasce d’età della

    popolazione territoriale.

    Una delle finalità, infatti, del rinnovamento delle biblioteche è la

    possibilità di promuovere la democratizzazione del sapere, ovvero la

    creazione di “una società democratica della conoscenza”, per citare

    l’obiettivo peculiare dell’ “Organizzazione Mondo Digitale”, sito

    impegnato nella condivisione della conoscenza inclusiva.

    La biblioteca innovativa si configura, così, come un ambiente

    accogliente e inclusivo, stimolante e motivante, un luogo di lettura,

    ricerca e studio, ma anche di socialità e condivisione il cui obiettivo

    primario consiste proprio nel coniugare innovazione, istruzione e

    partecipazione delle categorie a rischio di esclusione.

    Lo spazio reale e virtuale (nell'utilizzo della rete informatica),

    nell’esperienze individuali di lettore o in quelle condivise e

    condivisibili, è divenuto, così, lo start point per la costruzione del

    progetto.

    Viene indicato, infatti, al primo punto del bando Azione #24 del

    PNSD, relativo ai criteri di selezione progettuale, la necessità di

    valorizzare gli spazi interni.8

    La biblioteca è un “luogo dell’anima”, pregnante dei pensieri di chi

    scrive e di chi legge (per citare una delle espressioni usate dalla dott.ssa

    Vincenza Iossa, responsabile della Biblioteca De Gregori del MIUR, per

    definire il concetto di biblioteca, in occasione del Convegno, promosso

    lo scorso dicembre). La biblioteca è il luogo in cui si incontrano storie

    che rimandano ad altre storie, in cui convivono scenari reali e

    8 È possibile vedere, consultando il sito della Scuola Digitale, il PSDN del MIUR e

    anche l’INDIRE, relativamente ai progetti di scuole innovative digitali, e anche siti

    di alcune biblioteche pubbliche del Trentino, come la biblioteca non sia più un luogo

    dall’architettura rigidamente strutturata in separate sale di consultazione, ma uno

    spazio aperto, dinamico e suscettibile di differenziati utilizzi. L’importanza dello

    spazio troverebbe conferma, secondo quanto rappresentato nel video tutorial del

    progetto, da alcuni esempi delle scuole della Finlandia e della Corea del Sud, che gli

    alunni frequentano molto volentieri perché godono di ambienti scolastici piacevoli e

    confortevoli.

  • 37

    dimensioni utopiche: è uno spazio, quindi, che naviga ed esplora tutti gli

    orizzonti del reale e dell’immaginario.

    La biblioteca, dunque, quale ambiente privilegiato per la conoscenza

    della realtà e del proprio mondo interiore, ambito di ricerca e di

    domande senza fine, non può imprigionare il lettore, soprattutto se

    giovane, in un deposito di contenuti e di conoscenze, organizzate in

    volumi cartacei e disposte su anonimi e freddi scaffali metallici.

    Si è posta, così, l’esigenza di sostituire la tradizionale immagine della

    biblioteca scolastica con la costruzione di uno spazio flessibile,

    dinamico, multifunzionale e aperto non solo agli alunni ma anche al

    territorio.

    Va precisato, tuttavia, che sarebbe impensabile, sia per la condizione

    dei locali preesistenti all’interno della nostra scuola che per i costi,

    riuscire a rinnovare completamente la biblioteca della nostra istituzione

    scolastica (faccio riferimento alla biblioteca della sede centrale del

    nostro Liceo). Il presente progetto intende avviare un’opera di

    riammodernamento graduale che solo negli anni futuri potrà avviarsi a

    compimento. Sono state proposte, pertanto, soluzioni di arredo per

    cercare di superare l’impressione di freddezza, estraneità, e anche

    isolamento dei lettori. Uno spazio accogliente deve essere in grado di

    creare condizioni adatte sia all’incontro personale del lettore con il testo

    sia alla condivisione delle informazioni, conoscenze e giudizi, scaturite

    dalla lettura dei testi. Al riguardo sono state avanzate delle ipotesi di

    alcune modifiche ambientali, come ad esempio la realizzazione di una

    parete modulare attrezzata e colorata, l’introduzione di qualche comoda

    seduta con adeguata illuminazione, l’aggiunta di qualche postazione

    digitale.

    La progettazione dello spazio biblioteca, che prende l’avvio con il

    presente progetto rappresenta, di fatto, un modo diverso di vivere gli

    spazi della conoscenza e una risposta all’esigenza di costruire, a

    cominciare dal senso materiale del termine, veri e propri ambienti

    d’apprendimento, rispondendo alla necessità di creare le condizioni

    ottimali per la formazione e l’informazione.

    Si tratta, dunque, di avviare quella trasformazione che investe

    l’immagine stessa di biblioteca: da luogo-deposito di saperi conservati a

    spazio di saperi che conversano e convergono, in un rapporto dialogico e

  • 38

    dinamico con il fruitore ricercatore, un cercatore di risposte, sia esso

    studente o semplice lettore.

    La continua trasformazione del mondo dell’informazione coinvolge la

    dimensione e il ruolo della biblioteca in un processo dinamico e

    costantemente evolutivo. La biblioteca, sotto questa nuova luce,

    necessita di un ripensamento che non può esaurirsi, però, solo in un

    ammodernamento degli spazi o nell’utilizzo delle più sofisticate

    piattaforme digitali. L’introduzione di novità funzionali (dalla diversa

    concezione architettonica degli spazi all’utilizzo delle tecnologie digitali

    di ultima generazione) è solo un aspetto del ruolo innovativo,

    progettuale e formativo della biblioteca, specie se biblioteca scolastica.

    Come scrive Luisa Marquardt, nel suo articolo La biblioteca scola-stica: un ponte tra scuola e territorio, tra carta e digitale, per formare

    lettori competenti e cittadini attivi, la biblioteca scolastica non può definirsi tale solo per “la sua ubicazione nella scuola o all’appartenenza

    amministrativa, quanto, piuttosto, all’essere legata all’offerta formativa

    dell’istituzione scolastica di appartenenza, in generale, e al curricolo in

    particolare, alle attività educative e alla loro attuazione, al costituire un

    ponte tra la scuola e l’extrascuola, quale intersezione tra il mondo

    educativo e quello dell’informazione e della comunicazione”.

    Questo ruolo era già indicato nel Manifesto IFLA/Unesco del 1994 e

    confermato ancora una volta dalla seconda edizione delle linee guida per

    le biblioteche scolastiche pubblicate dall’IFLA lo scorso anno, le IFLA

    School Library Guidelines, 2nd edition, dell’IFLA School Libraries

    Standing Committee, a cura di Dianne Oberg e Barbara Schultz-Jones.9 La biblioteca scolastica deve essere intesa, dunque, come uno spazio

    versatile, una comunità di apprendimento un “learning commons” quale

    luogo fisico e virtuale (es., piattaforme online, social network, blog,

    tecnologie mobili ecc.) in grado di coordinare attività e proposte cultu-

    rali ed educative, aperte al territorio.

    Requisiti indispensabili per una Biblioteca Scolastica Innovativa

    Digitale non possono non essere le strumentazioni informatiche

    finalizzate all’accesso a piattaforme di archiviazione e prestito digitale

    (Digital lending). Al riguardo si accenna alla scelta della nostra scuola

    9 Barbara Schultz-Jones & Dianne Oberg (Editors), Global Action on School Library

    Guidelines, IFLA Publications Series 167, De Gruyter Saur, Berlin/Munich 2015.

  • 39

    di utilizzare la piattaforma SBN o il software SEBINA, per la

    catalogazione dei materiali librari in quanto usata dalle biblioteche del

    nostro territorio.10

    Fra le indicazioni del bando Azione #24 del PNSD come requisiti per

    la realizzazione di una biblioteca innovativa scolastica figurano anche

    l’apertura al territorio e la collaborazione con altre istituzioni locali e/o

    biblioteche del territorio. In ottemperanza a tale richiesta la nostra

    scuola ha stabilito un Protocollo d’Intesa, che facendo capo alla

    Biblioteca Flaiano e attivando una rete di contatti e scambi con le altre

    biblioteche, promuove eventi e iniziative. L’adesione alla rete delle

    biblioteche scolastiche di Roma offre al nostro Liceo una serie di

    opportunità: dalla bibliocard per gli studenti, alla formazione per i docenti-bibliotecari, all’assistenza per gli alunni coinvolti nell’alter-

    nanza scuola-lavoro. Segnaliamo, inoltre, la possibilità di stabilire

    contatti e scambi con i bibliopoint delle scuole del territorio, come il

    Liceo Nomentano, usufruendo dell’opportunità di condividere in rete

    materiali, iniziative e progetti.

    Obiettivo primario nella realizzazione di una biblioteca proattiva resta

    sempre la promozione della lettura, la possibilità di creare un luogo

    d’incontro virtuale o reale fra l’autore e il lettore, il solo spazio in cui

    possano prendere vita conversazioni capaci di superare i secoli e

    azzerare le distanze. L’apertura della biblioteca pomeridiana, in tal

    senso, non si configura così, solo come l’estensione di un servizio di

    consultazione e prestito attivo la mattina, aperto agli utenti del territorio.

    Essa diventa occasione per vivere liberamente e in modo privilegiato lo

    “spazio librario”, la dimensione in grado di trasformare i nostri alunni

    da studenti in “studiosi”, nel senso etimologico di studium. Le iniziative proposte (dallo storytelling digitale alla graphic novel digitale; dalle

    interviste impossibili a scenari utopici in cui i libri dialogano fra loro,

    10 E’ auspicabile che anche la nostra biblioteca entri a far parte di un polo, come

    quello dell’Università La Sapienza, per poter usufruire di un ricchissimo patrimonio

    bibliografico. Al momento si sta valutando anche l’iscrizione alla piattaforma

    MLOL in grado di offrire un ricchissimo servizio di digital lending (dagli e-book ai

    dvd) e soprattutto di un servizio di emeroteca digitale di tutti i quotidiani in lingua

    originale.

  • 40

    raccontandosi le loro storie in una fitta trama di intrecci e parole) si

    propongono di immergere il giovane lettore nel mondo delle parole,

    appassionandolo, di fare di lui, fruitore distratto e consumatore passivo

    di contenuti, un rielaboratore di idee, un creativo. L’apertura al territorio

    consente di vivere la scuola nella sua dimensione profondamente

    culturale, quella di educazione permanente, intesa come un processo di

    crescita che investe ogni individuo nella ricerca di quel difficile

    equilibrio fra la conservazione e trasformazione, rapporto dialettico con

    la realtà che ci circonda, a cominciare dal mondo dell’informazione.

    L’educazione all’Information Literacy proposta agli studenti come

    strategia didattica diventa condivisione di una modalità di fare ricerca da

    estendere a tutti gli utenti della biblioteca, attraverso la realizzazione di

    indicazioni per orientarsi in una biblioteca digitale. È prevista, la

    realizzazione di una graphic novel digitale per tutti i frequentatori della biblioteca su un utilizzo proficuo della consultazione e della ricerca

    digitale, “Don Chisciotte e la lettura”. L’emblematico hidalgo impegnato

    contro i pericoli dell’infosfera, nella lotta contro gli errori più comuni

    della ricerca nel web, contro le fake news, inseguendo l’autenticità, la

    fondatezza e soprattutto la validità delle informazioni e delle fonti,

    offrirà agli utenti della biblioteca semplici ma utili suggerimenti per non

    perdersi nei meandri dell’informazione digitale o bloccarsi di fronte ad

    una richiesta per il prestito digitale. Il tutto illustrato da colorate vignette

    digitali.11

    La biblioteca, in questa rinnovata dimensione, si propone, dunque, di

    diventare uno spazio versatile al servizio della comunità, luogo

    dell’apprendimento permanente, come si è detto, in grado di offrire

    occasioni sviluppo della persona, come acquisizione di competenze, ma

    anche creativo.12

    11 La graphic novel digitale sarà realizzata da un gruppo di alunni, guidato da un

    docente tutor per l’utilizzo dei programmi digitali (attraverso corsi in presenza e in

    e-learning con Moodle e Telegram) e da un disegnatore per la parte grafica. 12 Riguardo alle principali linee di sviluppo formulate dalle istituzioni nazionali e

    internazionali si fa riferimento anche al Libro Bianco della Commissione Europea

    sul Futuro dell'Europa, secondo il quale "per sfruttare al meglio le nuove opportunità

    attenuandone nel contempo qualsiasi effetto negativo occorrerà investire massic-

    ciamente nelle competenze e ripensare i sistemi di istruzione e di apprendimento

    permanente".

  • 41

    La scelta del titolo del nostro progetto “Da biblioteca a biblioattiva”

    intende rispondere al ruolo innovativo della biblioteca, un ruolo

    fortemente proattivo nella scuola e nel territorio.

    Abbiamo accennato all’importanza dell’Information Literacy nei processi di comunicazione attuali e nell’apprendimento. Una delle

    richieste e delle finalità peculiari e caratterizzanti il progetto e la

    dimensione più spiccatamente proattiva della biblioteca è, infatti, la

    promozione dell’educazione all’informazione digitale. Il bando

    dell’Azione #24 del PNSD invita le biblioteche delle scuole a un

    rinnovato impegno per creare o migliorare le condizioni di

    apprendimento delle competenze informative e digitali, educando

    all’Information Literacy. Prima di elencare le iniziative che al riguardo si intendono realizzare,

    introduciamo una riflessione sulla complessità dell’informazione

    digitale, sulla lettura critica e sulla selezione delle informazioni del

    mondo dell’infosfera.

    Negli ultimi anni l’Information Literacy riscuote nel mondo bibliotecario e nella scuola un’attenzione crescente, testimoniata dalla

    costituzione di gruppi di lavoro e dalle numerose iniziative di studio al

    riguardo.13

    Con Information Literacy intendiamo un insieme di competenze

    necessarie a quanti vogliono fare ricerca correttamente navigando nella

    rete Web, selezionando e valutando le informazioni reperite. Il problema

    della valutazione dell’attendibilità delle informazioni diventa quindi

    un’esigenza prioritaria per non disperdersi in una massa indistinta di

    saperi ubiquitari e spesso inutili o fuorvianti, definiti “secondo diluvio

    universale” secondo una efficace metafora proposta da Pierre Levy.

    L’Information Literacy, dunque, quale strategia per insegnare

    l’accesso alle informazioni e la corretta gestione di esse da parte degli

    utenti, comprende attività focalizzate alla capacità di utilizzare la

    biblioteca, alla ricerca, al recupero e all’uso delle informazioni, quindi

    13 Facciamo qui riferimento al prossimo Convegno delle Stelline, che si terrà i giorni

    15 e 16 marzo 2018 a Milano, il cui tema è “LA BIBLIOTECA (IN)FORMA.

    Digital Reference, Information Literacy, e-learning.”

  • 42

    allo sviluppo delle abilità informative da parte degli utenti.14 Importanti

    diventano le strategie di ricerca come Starting point, Walking around e

    Indexing. Fra queste Indexing permette di razionalizzare in modo più

    efficiente l’archiviazione dei dati di ricerca.15

    La rapidissima diffusione delle tecnologie informatiche in questi

    ultimi decenni e l’uso pervasivo che se ne sta facendo anche nella scuola

    come in qualsiasi campo di attività pubblica e privata, ha comportato il

    sorgere di nuovi problemi per chi voglia cercare un’informazione

    attendibile e corretta nel Web. L’utente, utilizzando i più comuni motori

    di ricerca, è posto davanti a pagine che rimandano a decine di siti

    relativi a un medesimo argomento, ciascuno contenente una enorme

    messe di informazioni: di fronte al diluvio di informazioni che si

    ricavano da ogni sito l’utente è posto nella impossibilità pratica di

    orientarsi e di scegliere le informazioni provenienti da fonti autorevoli.

    Risulta pertanto difficile muoversi nel Web e trasformare i dati ottenuti

    in una salda acquisizione di conoscenze e saperi durevoli, anche perché

    le stesse fonti possono essere continuamente modificate.

    Due gli aspetti che sembrano in netto contrasto e che sono legati alla

    necessità di superare il concetto di biblioteca come luogo deputato alla

    conservazione di un sapere statico con l’idea di biblioteca come luogo

    materiale e virtuale di un sapere dinamico, in continua evoluzione ma al

    tempo stesso capace di garantire stabilità e solidità ai processi di

    apprendimento, attraverso il conseguimento di certezze. Sarebbe

    14 L’Information Literacy è dunque una strategia strettamente legata all’appren-

    dimento permanente (Lifelong Learning), il cui reciproco potenziamento costituisce

    un elemento cruciale per la formazione e la riuscita di ogni individuo nella società

    altamente competitiva del XXI secolo. Entrambe le attività, Information Literacy e

    Lifelong Learning, sono attività autodirette e automotivate, non richiedendo

    necessariamente la presenza di elementi esterni, hanno lo scopo di aiutare

    l’individuo a trovare le risorse per progredire in se stesso, a prescindere dal proprio

    status sociale o economico, sono attività autorinforzanti, in quanto permetteranno di

    acquisire conoscenze e strategie utili per risolvere problemi non solo teorici ma

    concreti, che comportano scelte nella vita quotidiana. 15 Vd. i materiali di studio di Piercesare Rivoltella, Information Literacy, Progetto

    DIDATEC, in “Scuola Valore. Risorse per docenti dai progetti nazionali”, sul sito

    INDIRE, 2012, all’indirizzo:

    http://www.scuolavalore.indire.it/nuove_risorse/information-literacy-concetti-

    chiave/

  • 43

    auspicabile, in questo senso, parlare allora di luogo di conservazione

    inteso nel senso etimologico del cum servare, ossia dell’impegno

    comune, che si assume una comunità, alla tutela e alla salvaguardia di

    un patrimonio culturale comune, a cominciare dalle tradizioni che

    scandiscono la storia locale.

    Un possibile rischio della conoscenza ubiquitaria della rete, della

    immediatezza e della velocità del dato acquisito è la perdita delle

    coordinate spazio-temporali, in una percezione del reale che annulla

    distanze e tempi, con l’evidente perdita della diacronia e dell'importanza

    della memoria storica. Si prospettano, dunque, percorsi, come sarà

    successivamente illustrato, finalizzati al recupero della memoria, intesa

    come testimonianza diretta o indiretta di un passato anche recente,

    partendo da uno spazio vicino, ossia dall'esplorazione di una realtà non

    dematerializzata. Tali ricerche troveranno conferme, completamenti,

    riscontri e verranno divulgate attraverso la rete, nella percezione che il

    passaggio dall’Information Literacy alla Media Literacy è breve e

    consequenziale.

    La riflessione sull’apprendimento non può non vedere disgiunte la

    fase di conoscenza teorica da quella rielaborativa e applicativa.

    Cercare informazione nell’infosfera è un atto che cambia non solo la

    nostra conoscenza del mondo ma anche la percezione che abbiamo di

    noi stessi. Oggetto di dibattito mediatico crescente sono le Fake News: le biblioteche in questo contesto disorientante hanno l’opportunità di

    porsi come mediatori della conoscenza, promuovendo ed educando i

    propri utenti alla gestione consapevole dell’informazione. L'infografica

    IFLA sulle false notizie può costituire un punto di partenza per

    l’Information Literacy. intesa come vera e propria strategia didattica. Il problema, infatti, non si riduce solo all’accertamento della

    veridicità delle informazioni ma anche all’individuazione di una

    modalità per attestare l'autorevolezza e la gerarchia delle fonti reperibili

    sui siti Internet. Gli strumenti di interrogazione e recupero dell'infor-

    mazione sono sempre più diversificati (discovery tool, banche dati,

    archivi aperti) e i motori di ricerca sono una fonte informativa primaria

    in grado di strutturare un quadro epistemologico di riferimento anche se

    l’Information Literacy non va intesa come un modello lineare di conoscenza ma come espressione di una ricerca documentale dinamica e

    iterativa, in grado di accogliere criticamente i flussi formativi.

  • 44

    Se finalità prioritaria dell’Information Literacy è dunque quella in grado di promuovere una learning library, la biblioteca si configura

    come ambiente formativo in grado di predisporre i documenti, creare i

    luoghi del web per poter porre l'informazione al centro dell'attività di

    insegnamento, come occasione di condivisione, ma anche scambio delle

    informazioni e delle conoscenze.

    Non si tratta di un processo semplice: si tratta di accogliere la

    dimensione enciclopedica dei saperi digitali, per renderli facilmente

    fruibili, superando l’idea di biblioteca quale luogo chiuso ed elitario di

    cultura. Risulta evidente, dunque, il rischio della disorientante

    dispersione di notizie, di dati non organizzati, alla portata di tutti ma al

    tempo stesso risultano inaccessibili senza una guida, sia essa

    rappresentata da chiare indicazioni di ricerca sia essa la presenza del

    bibliotecario scolastico, ossia di una figura appositamente formata.

    Il fenomeno del Divide Digital, ossia il “divario digitale”, non credo

    possa più essere ridotto alla distinzione tra chi ha accesso alle tecnologie

    informatiche (computer, tablet, smartphone) e chi non lo ha. Il Divide Digital diventa sempre più evidente fra i fruitori, consapevoli ricer-

    catori, in grado di organizzare le informazioni ottenute dal Web in

    conoscenze corrette, strutturate e orientate all’acquisizione di nuovi

    saperi, e i frequentatori della rete, spesso dispersi e naufraghi nel mare

    dell’infosfera.

    Sono state, pertanto, previste attività finalizzate alla realizzazione di

    veri e propri percorsi di gestione dell’informazione digitale, dalla

    consultazione delle pagine web delle biblioteche nazionali al funzio-

    namento di opac, banche dati e siti web.

    Fra le attività proposte ne richiamiamo solo alcune: l’illustrazione di

    chiare indicazioni in grado di esplicitare i passaggi fondamentali per

    avviare la ricerca bibliografica per nome, categoria e soggetto attraverso

    la tecnica della graphic novel digitale (espediente già in uso in una biblioteca americana), con disegni elaborati dagli stessi alunni; la

    realizzazione di un catalogo on line con tag e parole chiave sugli

    argomenti oggetto di studio da parte degli alunni, la consultazione

    selettiva dei motori di ricerca, delle banche dati e la creazione delle

    indicizzazioni per soggetto e campi semantici, ricercando i concetti

    chiave usando lingue diverse.

  • 45

    Tali processi contribuiscono a rafforzare le competenze della

    cittadinanza attiva, l’ “imparare ad imparare”, attraverso lo sv


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