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Quale Futuro Perl'Educazione Ambientale

Date post: 12-Aug-2015
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6 Editoriale ILVA: governare tutto il ciclo produttivo gIorgIo NebbIA

Quale futuro per l’educazione ambientale?

10 Fare educazione ambientale in tempi di decrescita infelice MArIo SALoMoNe

12 I destini del mondo, in quattro punti MArIo SALoMoNe

14 L’educazione ambientale come filosofia dell’educazione JuLIo Neto

16 Dopo Rio, green economy ai blocchi di partenza bIANcA LA PLAcA

17 Semaforo verde all’economia verde

19 Educazione ambientale e politiche locali, una relazione necessaria ALeSSIA MASo

38 Montagna e uomo: trame di un rapporto Elisabetta Gatto

Redazione Via Bligny, 15 10122 Torino

Tel. e Fax (+39) 0114366522

Internet [email protected] www.educazionesostenibile.it

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Direttore responsabile Mario Salomone

Direttore editoriale Bianca La Placa

Caporedattore Marika Frontino

Caporedattore Internet Claudia Gaggiottino

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ISSN 1972-9995

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4 Editoriale | Educazione ambientale a una svolta Mario Salomone

5 Editoriale | La scienza, la ricerca e la sostenibilità Aurelio Angelini

FOCUS alimentazione

21 Sano come un pesce, anche in classe Stefania Tron

22 Frutta nella scuola Lorenza Passerone

23 A tavola col WWF Mariano Piccolo

FOCUS energia

24 Vegetali a tavola o nella rete elettrica? Chiara Agresta

26 Sciare Sostenibile Elisabetta Cimnaghi

INSERTO Insegnare Verde

27 Anno scolastico 2012-2013. Al via due nuovi programmi del WWF

28 Nei limiti di un solo Pianeta

30 Giovani in campo, protagonisti per il futuro del loro ambiente

SNODI

31 Fotografie di un mare che cambia Massimo Boyer e Stefano Moretto

33 Il paradosso dell’acqua Marco Dettori e Gian Andrea Blengini

36 Slow down and green up Sara Francesca Lisot

41 Per un’ecologia della mente | Italia sconvolta Tiziana Carena e Francesco Ingravalle

STRUMENTI

42 Favorisca i documenti PePPe Dini

44 Libri

46 Bacheca a cura di Vanessa Vidano

TEMA

SNODI

s o m m a r i o

La redazione di .eco utilizza 100% energia pulita

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«Cultura», così la definisce il Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, è «il com-plesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici, tipi di comportamento e sim.» caratteri-stico in un gruppo, di un popolo o dell’intera umanità, nonché «il complesso delle tradizioni scientifiche, storiche, filosofiche, artistiche, letterarie» di un popolo o gruppo di popoli. Un sociologo, Luciano Gallino (nel suo Dizionario di Sociologia), ne dettaglia gli elementi costi-tutivi: valori, norme, definizioni, linguaggi, simboli, segni, modelli di comportamento, tecni-che mentali e corporee; le oggettivazioni, i supporti, i veicoli materiali o corporei degli stessi; i mezzi materiali per la produzione e la riproduzione sociale dell’uomo.Ebbene, l’educazione ambientale ha a che fare con tutte queste definizioni e altre possibili (Gallino avverte che l’enorme «massa di definizioni di Cultura non è riconducibile ad un numero limitato di significati»). Avvertiamo un senso di inadeguatezza nel livello di dibat-tito e di riflessione su perimetrazione, fini, principi, metodi, dell’educazione ambientale e allo stesso tempo l’urgenza e l’importanza della sfida: a chi, se non alla comunità dell’edu-cazione ambientale, spetta di essere stimolo e fermento di un cambiamento culturale che deve essere epocale, perché è di un cambiamento di paradigma che oggi c’è bisogno? Di una svolta profonda della società, che è una svolta onnicomprensiva di “cultura”, come le definizioni citate ci dicono. Il “Tema” di questo numero di .eco (che a sua volta è un numero di cambiamento) apre appunto la discussione e offre qualche spunto soprattutto su due nodi fondamentali: la necessità, per chi fa educazione ambientale (e/o “alla soste-nibilità”) di stringersi “a coorte”, di stare più in rete e in contatto, per essere più incisivi, e la necessità di ripensare e intrecciare i vari percorsi educativi e formativi che riguardano l’ambiente, la natura, il nostro modo di produrre e di vivere.

e d i t o r i a l e Mario SaloMone

Educazione ambientale a una svolta

Avevamo aperto il 2012 con un’ampia revisione dell’organizzazione dei contenuti e della grafica, passata l’estate ci ripresentiamo ai lettori con qualche altra novità:1. una nuova direzione collegiale della

rivista, di cui entrano a far parte Aurelio Angelini, Antonella Bachiorri, Fabrizio Bertolino, Ugo Leone, tutte persone impegnate autorevolmente e appassionatamente in campo ambientale; i lettori ne troveranno un breve profilo a pag. 47.

2. nuovo formato più grande (che sale da quello usato finora, leggermente “ribassato”, al “classico” 21x29,7 dell’A4);

3. una grafica resa ancora più leggibile;4. soprattutto, la scelta di puntare tutto

sull’online; la rivista “senza carta” sarà, speriamo, più facilmente accessibile da ogni parte del mondo, scaricabile e stampabile da chi lo vorrà e/o consultabile su vari supporti, dal pc al tablet;

5. una profonda revisione del sito Internet, che richiederà un certo tempo per essere completata.

Sono molte, in Italia all’estero, le riviste e addirittura i quotidiani che scelgono una formula “paperless”. Sta per passare al tutto digitale, ad esempio, l’americano Newsweek, fondato nel 1933, con 14 milioni di lettori negli Usa e milioni nel mondo. Il nostro mensile ne ha un po’ meno: meglio dirottare le risorse ora immobilizzate da carta, tipografie, spedizioni postali, gestione

dei resi, magazzino ecc. verso una politica editoriale che vorremmo rendere più incisiva e rafforzata da una gestione più collegiale. Un .eco, insomma, “dematerializzato” nei suoi consumi, ma sempre attivo e vitale nella dimensione “immateriale”.Intanto, siamo impegnati nell’organizzazione del settimo Congresso mondiale dell’educazione ambientale che si terrà l’anno prossimo a Marrakech, stiamo lavorando a sviluppare reti europee, saremo a settembre a Tbilisi, la capitale della Georgia dove si torna a parlare di politiche internazionali per l’educazione ambientale a 35 anni dall’importante conferenza intergovernativa del 1977 che sancì ufficialmente lo statuto dell’educazione ambientale moderna.

.eco “paperless” e ancora rinnovato

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e d i t o r i a l e aurelio angelini

La scienza, la ricerca e la sostenibilità

L’uso durevole e sostenibile delle risorse rappresenta una visione globale del concetto di equità dello sviluppo, che si articola sui diversi livelli delle relazioni sociali e costituisce un nuovo paradigma: la crescita economica avviene entro i limiti delle possibilità ecologiche degli ecosistemi e della loro capacità. La chiave della sostenibilità è dunque rappresentata dalla possibilità di riprodurre le ri-sorse naturali necessarie per la vita di ogni essere vivente sulla Terra. Tale riproducibilità può essere mantenuta solo attraverso un uso razionale delle risorse che tenga conto dei meccanismi di funzionamento degli ecosistemi, della loro struttura e in generale delle ca-pacità di carico ambientale. Uno sviluppo durevole e sostenibile è un sistema di obiettivi che può essere aggregato in due grandi contenitori:1) l’integrità e la stabilità ambientale, in cui la sostenibilità è intesa come la realizzazione del principio etico ed utilitaristico della salvaguardia della complessità degli ecosistemi e dei beni comuni accessibili a tutti i popoli che abitano la Terra;2) l’efficienza economica, di un’economia intesa come il topos dei beni comuni, in cui la crescita è una prospettiva impraticabile e che è necessario promuovere le sole attività economiche che utilizzino risorse rinnovabili e reperibili a livello locale, potenziando il capitale naturale e basando lo scambio economico ai criteri di equità sociale.

Una cultura adeguata alla società sostenibileLa complessità e la drammaticità delle problematiche alle quali bisogna dare una rispo-sta, ci pongono di fronte ad una realtà che richiede scelte difficili, che si riassumono nel cambiamento di stili di vita e di riconsiderare il nostro impianto produttivo, in modo da procedere ad una sua trasformazione per arrestare la prospettiva minacciosa che abbiamo di fronte. Questa trasformazione richiede conoscenza scientifica, politiche economiche appropriate, ma soprattutto richiede una cultura adeguata a costruire una società soste-nibile, in cui tramonta l’ambizione delle rivoluzioni industriali del diciannovesimo secolo “spetta alla scienza soggiogare la natura”, e invece, si apre la sfida di una scienza che aiuti gli uomini ad inserirsi nei grandi cicli del Pianeta, per trarne le risorse necessarie, ma senza perturbarne la stabilità. Ecco la centralità della scienza, della ricerca e delle modalità delle loro applicazioni. E mentre la Commissione europea esorta i paesi membri a realizzare lo Spazio europeo della ricerca (Ser), che deve diventare il luogo della ricerca e dell’innovazione al fine di rafforzare la collaborazione scientifica transfrontaliera fra ricercatori, i centri di ricerca, le imprese e le università, in Italia si continuano a ridurre i finanziamenti alla ricerca, al settore che più di ogni altro, rappresenta l’ambito cruciale per la crescita culturale e per l’innovazione di tecnologie e di prodotti. La Commissione europea fissando per il 2014 il termine per realizzare Ser, indica cinque ambiti di lavoro comune: 1) maggiore efficacia dei sistemi nazionali di ricerca; 2) raffor-zamento della collaborazione e della concorrenza transnazionali; 3) un mercato del lavoro più aperto per i ricercatori; 4) uguaglianza e integrazione di genere nelle organizzazioni che svolgono e selezionano i progetti di ricerca; 5) circolazione e trasferimento ottimali

La diminuzione del peso della ricerca scientifica è una minaccia per l’Italia e un grave errore strategico

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e d i t o r i a l e giorgio nebbia

ILVA: governare tutto il ciclo produttivo

Il “caso ILVA”, che ha caratterizzato l’estate italiana del 2012, riassume in sé tutti gli aspetti e le contraddizioni della società industriale moderna basata sulla produzione e sul commercio di cose, di beni materiali. L’ILVA è l’unica acciaieria a ciclo integrale rimasta in Italia dopo la chiusura di quelle di Genova e Napoli. Lo stabilimento, entrato in funzione nel 1961 come Italsider, una delle grandi industrie di Stato, è stato localizzato a Taranto per la presenza di un grande porto commerciale e soprattutto per creare occupazione in una delle zone povere del paese. Al suo arrivo il “siderurgico” fu salutato con la speranza che intorno sarebbero sorte altre industrie e imprese produttive e commerciali. Lavorare nell’acciaieria è stato il sogno di varie generazioni pugliesi: all’Italsider si è formata una classe operaia, il salario ha consen-tito a molte migliaia di persone di mandare i figli all’Università, di comprare l’automobile e la casa. L’acciaio era allora, come del resto oggi, una merce utile, anzi indispensabile in tutti i settori dell’economia.

Un ciclo dannosoPurtroppo un’acciaieria non è un salotto da parrucchiere per signora. I danni ambientali sono associati all’intero ciclo produttivo che comincia quando il carbone e il minerale di ferro, le materie prime pulverulente, sono scaricate dalle grandi navi e, mediante nastri trasportatori, sono depositate nei rispettivi “parchi” a cielo aperto, esposti al vento. Nelle cokerie il carbone viene trasformato, per riscaldamento ad alta temperatura, in coke, la forma adatta per il trattamento dei minerali di ferro, con formazione di sottoprodotti gas-sosi, liquidi e solidi, nocivi e in parte cancerogeni; sottoprodotti in parte riutilizzati nella stessa acciaieria, in parte recuperati, in parte dispersi nell’aria dentro e fuori la fabbrica.Il minerale, costituito da ossidi di ferro, viene modificato nell’impianto di agglomerazione in modo da essere meglio trasformato nell’altoforno. L’altoforno, un lungo tubo verticale, viene caricato di agglomerato, di calcare estratto dalle cave vicino lo stabilimento e di coke che, ad alta temperatura porta via l’ossigeno dal minerale di ferro e produce un ferro greggio, la ghisa, insieme a scorie e a una corrente di gas ricchi di sostanze nocive, polveri, eccetera, anche questi in parte filtrati, in parte recuperati, in parte dispersi nell’aria.

Mostro d’acciaioLa ghisa viene trasportata mediante speciali carri, allo stato fuso, ai convertitori in cui l’ossigeno la trasforma, insieme a rottame, nell’acciaio vero e proprio; anche qui con formazioni di gas e polveri e scorie. L’acciaio fuso viene poi trasformato in pezzi di varie dimensioni che, a loro volta, sono trattati nei laminatori a caldo e nei laminatoi a freddo, fornendo lamiere, fili, tubi. In tutto questo processo fuoco, e fumi e polveri oscurano il cielo e sporcano i polmoni e le terrazze delle case.“Grazie” al siderurgico, Taranto è diventato un grosso centro industriale; è sorta una

L’inquinamento è l’inevitabile conseguenza della trasformazione delle risorse della natura in merci. Ci vogliono una diminuzione dei consumi di merci e degli sprechi e il controllo pubblico della qualità delle merci e dei processi produttivi

p Giorgio Nebbia

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cementeria che utilizza le scorie degli altiforni, sono nate una centrale termoelettrica e una raffineria di petrolio, è aumentato il traffico mercantile, il tutto con conseguenze ambientali; le cave di calcare hanno sventrato le colline intorno allo stabilimento si-derurgico; per ampliare le banchine del porto, sono state scaricate nel mare milioni di tonnellate di scorie.La produzione mondiale di acciaio è andata aumentando con successo fino agli anni Ot-tanta; ha poi subito un lungo rallentamento, fermandosi per anni intorno a circa 800 milioni di tonnellate all’anno; la crescita è poi ripresa fino all’attuale valore di circa 1.400 milioni di tonnellate all’anno; nuovi giganti, come l’India e la Cina, sono diventati i grandi produttori mondiali di acciaio. Le acciaierie mondiali assorbono ogni anno oltre 2.500 milioni di tonnellate di minerali di ferro estratti sventrando pianure e foreste in Cina, Australia, Brasile, India.Nel periodo della crisi dell’acciaio, nel 1995, l’industria statale Italsider decise di vendere il siderurgico di Taranto, divenuto ILVA, a imprenditori privati, con lo stesso processo, la stessa produzione di una diecina di milioni di tonnellate di acciaio all’anno, più o meno lo stesso numero di addetti, una diecina di migliaia, e gli stessi inquinamenti.

Agenti cangerogeni nei polmoni e nel ciboA partire dagli anni Ottanta è intanto cresciuta l’attenzione per l’ambiente; la popolazione di Taranto ha cominciato ad interrogarsi sulla natura chimica dei fumi e delle polveri che il siderurgico scaricava nel cielo e che ricadevano a terra. Nuovi nomi sono entrati del linguaggio; nei fumi delle cokerie sono stati riconosciuti gli idrocarburi policiclici aroma-tici, fra cui il benzopirene, noti agenti cancerogeni: addirittura sono stati, nell’Ottocento, i primi agenti cancerogeni riconosciuti come tali. Le operazioni di agglomerazione liberano altri agenti nocivi fra cui le “diossine”, alcune delle quali cancerogene, che il mondo aveva imparato a conoscere negli anni Settanta nelle fabbriche di pesticidi. Le polveri metalliche sono state e sono fonti di sporcizia e finiscono nei polmoni. Molte sostanze inquinanti vengono assorbite dagli animali dei campi circostanti e finiscono nel latte e nella carne; altre vengono assorbite dai mitili, i popolari molluschi alimentari che sono “coltivati” nel mare vicino allo stabilimento.

Una metafora della società La legge impone che le attività produttive non siano dannose per la salute. Per rispettare la legge il siderurgico dovrebbe smettere di inquinare; potrebbe smettere di inquinare soltan-to se smettesse di produrre acciaio; se cessasse la produzione dell’acciaio perderebbero il posto migliaia di lavoratori che sono poi quelli che sono inquinati dentro la fabbrica e che sono parenti delle persone che sono inquinate perché abitano accanto allo stabilimento. Davanti al pericolo della perdita del posto di lavoro si forma, qui, come in tantissimi altri casi di industrie inquinanti, una innaturale alleanza fra lavoratori inquinati, popolo inquinato e imprenditori inquinatori. Il “caso ILVA” è la metafora della nostra società. Purtroppo la produzione di qualsiasi merce, è accompagnata, inevitabilmente, da scorie, rifiuti e nocività.

La natura non fa scontiTutti amano (o dicono di amare) l’ecologia, l’ambiente pulito, i cieli e il mare trasparente. Purtroppo la conoscenza dei cicli produttivi mostra quanto sia ipocrita questo amore. Quarant’anni fa il biologo americano Barry Commoner nel libro Il cerchio da chiudere, spiegò, sulla base delle leggi ineluttabili della chimica e dell’ecologia, che l’inquinamento è l’inevitabile conseguenza della trasformazione delle risorse della natura in merci e che l’inquinamento può essere attenuato con una diminuzione dei consumi di merci e degli sprechi, ma soprattutto attraverso il controllo pubblico della qualità delle merci e dei processi produttivi. Controllo a cui gli imprenditori capitalistici si oppongono con ogni forza perché fa aumentare i costi di produzione e fa diminuire i loro profitti, spingendoli a chiudere le fabbriche, a trasferirle in paesi meno schifiltosi.Un governo che operasse pro bono publico sarebbe in grado di “governare”, appunto, quello che è bene e utile produrre, i cicli produttivi, gli insediamenti delle fabbriche nel territorio. È possibile, infatti, avere merci e servizi, in quantità e di qualità diversi da quelli attuali, prodotti, mediante il lavoro umano, per trasformazione delle risorse della natura a condizione di non illudersi che la natura dia qualcosa gratis.

e d i t o r i a l e

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Anche se a “Rio+20” l’educazione non era al centro del programma dei lavori, la parola è comparsa collegata a molti aspetti della green economy e dei crescenti problemi sociali e ambientali. Mentre Unesco, Unep e governo della Georgia convocano a Tbilisi una conferenza a 35 anni da quella “storica” del 1977 e si comincia a parlare di cosa fare dopo la fine (nel 2014) del Decennio Onu dell’educazione allo sviluppo sostenibile, è sempre più evidente che l’educazione ambientale deve porsi con più forza e maggiore capacità di intervento il compito di contribuire a un cambiamento di paradigma culturale e socio-economico. E diventa sempre più importante l’appuntamento mondiale del giugno 2013 a Marrakech, per il Settimo WEEC.

L’educazione ambientale dopo Rio

tema

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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Fare educazione ambientale in tempi di decrescita infeliceNonostante la crisi, e anzi proprio perché c’è la crisi, c’è bisogno di una cultura ambientale più forte e incisiva. Lavorando insieme e saldando ricerca, educazione, formazione, comunicazione

Mario SaloMone

L’educazione ambientale non sta troppo bene, vittima com’è di colpi diretti (i tagli ai contributi e dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, a loro volta stremate dal susseguirsi di manovre e spending review) e indiretti. Soffrono, infatti, la scuola (teatro privilegiato dell’educazione formale), l’univer-sità, la ricerca scientifica, dove si mettono le basi del futuro, e tutti i soggetti che

mettono a disposizione strutture, personale, iniziative, come i parchi naturali, i musei, gli ecomusei (ovvero, gli attori dell’educazione non formale). Del resto, non stanno troppo bene, in una crisi grave, diffusa e strutturale come non mai, nemmeno i precari, le famiglie, i disoccupati, gli esodati, i pensionati, i cassaintegrati.In questo caso, però, mal comune non è mezzo gaudio e le terapie recessive dettate dal dogma neoliberista non saziano la voracità della speculazione finanziaria e non portano i correttivi messi in atto in occasione di crisi passate (spesa pubblica, nazionalizzazioni, stato sociale).«Dunque – potremmo sentirci dire –, di che vi lamentate? Ci sono ben altri problemi di cui preoccuparsi».

Decrescita infelice e devastazione ambientalePeccato che la macelleria sociale neoliberista offra solo precarietà, perdita di diritti, au-mento di ingiustizie e disuguaglianze. I ricchi approfittano della crisi per fare shopping (di prodotti di lusso, ovvio, ma soprattutto di titoli, di beni immobili, di beni rifugio ecc.),

pp Una manifestazione a favore della decrescita

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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gli altri si arrangino. Le tasche al verde costringono, sì, a ridurre i consumi, ma ne fanno aumentare la desiderabilità. Per qualcuno che, anche grazie alla crisi, ritrova il piacere della sobrietà, dei cibi sfusi, del chilometro zero, della filiera corta, delle ricette a base di avanzi, del riuso, della manutenzione, del mezzo di trasporto pubblico, insomma della riduzione dello spreco e dell’usa e getta, quanti sognano di tornare al consumismo sfre-nato, all’acquisto compulsivo, alla corsa all’ultimo gadget, all’auto nuova fiammante? O, almeno, a un posto di lavoro sicuro, a un salario decoroso, a una pensione decente (anche se ciò comporta, inquinamento, malattie del lavoro, distruzione degli habitat naturali, sconvolgimento del clima)?La crisi, insomma, diventa il grimaldello per dare l’ultimo assalto alle ultime risorse dispo-nibili (all’ultimo spazio rimasto, agli ultimi giacimenti da sfruttare). Si guardi, ad esempio, alle misure per la crescita annunciate ad agosto: petrolio, infrastrutture, rigassificatori, privatizzazioni battono di gran lunga rinnovabili e green economy. Cementificazione, grandi opere, trivellazioni, deforestazione servono, non solo in Italia, a placare le sete di business o il bisogno di far cassa, illudendoci di un possibile ritorno al bengodi degli anni dello sviluppo, miraggio che anche i paesi emergenti stanno inseguen-do, ripercorrendo gli stessi modelli di produzione e consumo dei paesi sviluppati.La decrescita, insomma, c’è nei fatti (lo dice il calo del Pil), ma se per certi versi attenua emissioni e utilizzo di materiali, spiana la strada al proseguimento della devastazione ambientale usando il ricatto occupazionale. La cattiva economia dell’andare avanti a ogni costo prevale sulla buona economia del bene comune e della sostenibilità.Rimediare al cambiamento climatico? Salvare la biodiversità e gli ecosistemi? Cambiare strada all’economia? «Non se ne parla, c’è da pensare al Pil e allo spread». La debolezza della Conferenza Onu di Rio de Janeiro viene anche da questo.

La speranza di una società verdeAllo scenario di una decrescita infelice si può contrapporre solo la speranza di una società più equa e solidale, grazie a un’economia ecologica e a un mondo di pace. Una “società verde”, dunque, con nuovi modelli di produzione e consumo, con nuovi valori e con più partecipazione e democrazia. I segnali ci sono, in tutto il mondo, con una vivace società civile che fa emergere esperienze e soluzioni innovative e perfino una parte degli ambienti imprenditoriali che sottoscrive l’idea della sostenibilità. Soluzioni che ci sono, ribadiamo, e che hanno bisogno, per diventare prevalenti sul paradigma del saccheggio, di menti nuo-ve, di visioni aperte, di schemi e paradigmi diversi da quelli che hanno causato i problemi che stiamo vivendo.La conclusione è che l’educazione all’ambiente e alla sostenibilità è più che mai necessaria: deve raggiungere capillarmente tutti i cittadini, ma deve anche “attrezzare” governanti e gruppi dirigenti a dialogare meglio tra loro e con la società civile.

Un compito arduo ma appassionanteAllo “zoccolo duro” di chi crede nella costruzione di una cultura ecologica avanzata e coerente spetta un compito arduo ma fondamentale e appassionante: 1. mettere insieme tutti gli attori del settore (oggi troppo frammentati e troppo poco

impegnati nel “fare rete”);2. fare mettere l’educazione all’ambiente e alla sostenibilità più al centro dell’agenda

politica, dei mass media e anche dei soggetti finanziatori (ad esempio, i progetti che contribuiscono a una cultura della sostenibilità sono quasi completamente ignorati dalle fondazioni di origine bancaria, con qualche lodevolissima eccezione);

3. saldare la sensibilizzazione, propria dell’educazione ambientale fin dalle sue origini, con la formazione iniziale e continua, in tutte le età e gli ambiti della vita, perché co-noscenze e competenze adeguate sono necessarie al cambiamento di paradigma socio-economico;

4. saldare la ricerca (ad esempio quella della “scienza della sostenibilità”) con l’educazio-ne e saldare l’innovazione tecno-scientifica con l’innovazione sociale. s

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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I destini del mondo, in quattro puntiA bene vedere, il documento finale di Rio+20 traccia per l’educazione un programma di lavoro che può essere molto vasto e ambizioso

Mario SaloMone

Le parole “education” e “educational” ricorrono trentadue volte nel documento finale di Rio+20, intitolato, così come la conferenza stessa, The future we want.In particolare, sono dedicati all’educazione i punti 229-235, un intero paragrafo (che riportiamo integralmente a parte).Nel documento scaturito dalle lunghe e faticose negoziazioni che hanno preceduto

la conferenza, l’educazione riveste dunque un ruolo di una certa importanza. Ruolo che si declina in diversi aspetti:1. nell’importanza di una educazione “per tutti” e di qualità, con attenzione per le per-

sone svantaggiate e le minoranze e come strumento per promuovere la parità di genere per donne e ragazze.

2. in una informazione, educazione e formazione sulla sostenibilità destinata a lavoratori e sindacati a tutti i livelli, anche sul posto di lavoro. Educazione e “capacity building” sono visti come essenziali per lo sviluppo della green economy e la creazione di posti di lavoro (o per la transizione da lavori obsoleti a nuovi lavori e modi di lavorare), specie per le donne, i giovani e le fasce più povere della popolazione.

3. in una educazione e formazione per le comunità rurali.4. nel riconoscimento del valore anche educativo della biodiversità.

Sistemi educativi e educazione ambientaleI punti che più ci interessano, ai fini di un discorso sulle prospettive dell’educazione am-bientale dopo Rio+20, sono i punti 230-235.I rappresentanti dei governi di tutto il mondo riuniti nella metropoli brasiliana hanno sottolineato in particolare i seguenti punti:

1. La necessità di una generale riforma dei sistemi educativi, basata su:- una migliore formazione degli insegnanti (noi toglieremmo il “migliore”, perché diffi-

cilmente ora gli insegnanti sono formati sui temi della sostenibilità);- lo sviluppo di programmi di formazione che preparano gli studenti a carriere nei set-

tori legati alla sostenibilità (NB. se su questo ultimo punto c’è un certo sviluppo di offerta formativa ‒ corsi a livello di scuola secondaria di secondo grado, corsi profes-sionali, lauree, master, certamente da migliorare e potenziare ‒ sono ben pochi i paesi del mondo che hanno delle strategie nazionali per i propri sistemi educativi; in Italia, ambiente e sostenibilità sono appannaggio di una minoranza di buona volontà, tra cui i lettori di .eco);

- l’inserimento della sostenibilità nei programmi di studio, anche oltre il Decennio delle Nazioni Unite (punto 233); non si tratta di istituire una materia in più, ma (afferma fortunatamente il documento) di inserire «l’insegnamento dello sviluppo sostenibile come componente integrato in tutte le discipline» (punto 234).

2. Lo sviluppo di programmi di sensibilizzazione rivolti ai giovani anche nel dominio dell’e-ducazione non formale, cioè di quella che passa attraverso aree protette, musei, centri di espe-rienza e altre occasioni per fare laboratorio, uscite sul campo, visite di istruzione. Progetti comuni tra scuola e società civile, conoscenza del territorio, incontro con le realtà sociali e produttive sono tutti modi per sviluppare consapevolezza e competenze. Ma questo è possibile se si tagliano risorse alle scuole e si soffocano enti e strutture che nel territorio possono rendere concreta la possibilità di fare educazione ambientale a livello non formale?

pp Una formazione degli insegnanti ai temi della sostenibilità, lo sviluppo di programmi di formazione che preparino gli studenti a carriere nei settori legati alla sostenibilità e l’inserimento di quest’ultima nei programmi di studio. E’ l’ambizioso futuro dell’educazione tracciato nel documento finale di Rio+20

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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3. La cooperazione internazionale anche in campo educativo (punti 232 e 235): vengono suggeriti «scambi educativi internazionali e partnership, compresa la creazione di borse di studio». Nel caso dei paesi in via di sviluppo, questo richiede, a nostro parere:- un maggiore impegno della cooperazione nazionale italiana;- maggiori sinergie e coordinamento tra mondo della cooperazione (le organizzazioni

che in Italia sono chiamate ONG) e mondo dell’educazione ambientale;- una apertura della cooperazione internazionale (neo-ministero della cooperazione in-

ternazionale, ministero degli affari esteri, cooperazione decentrata degli enti locali, contributi delle fondazioni, etc.) ai temi e agli attori dell’educazione ambientale;

- scambi educativi, partnership, borse di studio chiamano in causa poi anche il livello europeo: i molti programmi europei in generale, che potrebbero dare più trasversal-mente (e sottolineiamo “trasversalmente”) alla sostenibilità e agli attori sociali che se ne occupano e in particolare strumenti di scambio e partenariato educativo, come Erasmus, Comenius, Leonardo etc., che potrebbero vedere un apposito “asse sostenibilità”.

4. La coerenza e l’impegno concreto delle istituzioni educative perché siano esse stesse “sostenibili”: un punto che ci fa molto piacere è il forte invito («strongly», nel testo inglese) a curare «buone pratiche di gestione della sostenibilità» nelle loro sedi e fuori, nelle loro comunità di riferimento, come partecipazione attiva di studenti, insegnati e loro partone locali al cambiamento della società locale. s

Riportiamo integralmente il paragrafo del documento finale di Rio+20 dedicato all’educazione. La traduzione italiana, non ufficiale, è a cura di Laura Catalani, Claudio Falasca e Toni Federico, da cui sono tratte anche le altre citazioni utilizzate in questo numero.

229. Riaffermiamo i nostri impegni per il diritto all’istruzione e in questo senso, ci impegniamo a rafforzare la cooperazione internazionale per raggiungere l’accesso universale all’istruzione primaria, in particolare per i paesi in via di sviluppo. Ribadiamo inoltre che il pieno accesso ad un’istruzione di qualità a tutti i livelli è una condizione essenziale per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile, l’eliminazione della povertà, la parità di genere e l’empowerment delle donne, così come lo sviluppo umano, per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale, inclusi gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, e per la piena partecipazione delle donne e degli uomini, in particolare i giovani. A questo riguardo, sottolineiamo l’esigenza di garantire parità di accesso all’istruzione per le persone con disabilità, per le popolazioni indigene, le comunità locali, le minoranze etniche e le persone che vivono nelle zone rurali.

230. Riconosciamo che le generazioni più giovani sono le custodi del futuro e la necessità di migliorare la qualità e

l’accesso all’istruzione al di là del livello primario. Ci adoperiamo quindi per migliorare la capacità dei nostri sistemi di istruzione per preparare le persone a perseguire lo sviluppo sostenibile, anche attraverso una migliore formazione degli insegnanti, lo sviluppo di programmi di studio sulla sostenibilità, lo sviluppo di programmi di formazione che preparano gli studenti a carriere nei settori legati alla sostenibilità, e usi più efficaci delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per migliorare i risultati dell’apprendimento. Chiediamo una maggiore cooperazione tra le scuole, le comunità e le autorità negli sforzi per promuovere l’accesso ad un’istruzione di qualità a tutti i livelli.

231. Incoraggiamo gli Stati membri a promuovere la sensibilizzazione dei giovani allo sviluppo sostenibile, promuovendo fra l’altro programmi di educazione non formale in conformità con gli obiettivi del Decennio delle Nazioni Unite per l’Educazione dello Sviluppo Sostenibile, 2005-2014.

232. Sottolineiamo l’importanza di una maggiore cooperazione internazionale per migliorare l’accesso all’istruzione, anche attraverso la costruzione e il rafforzamento di infrastrutture, l’aumento degli investimenti per l’istruzione, in particolare investimenti per migliorare la qualità

dell’istruzione per tutti nei paesi in via di sviluppo. Incoraggiamo, scambi educativi internazionali e partnership, compresa la creazione di borse di studio per contribuire a raggiungere gli obiettivi educativi globali.

233. Decidiamo di promuovere l’educazione per lo sviluppo sostenibile e di integrare lo sviluppo sostenibile più attivamente nella formazione al di là del Decennio delle Nazioni Unite dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile.

234. Incoraggiamo fortemente le istituzioni educative a valutare l’adozione di buone pratiche di gestione della sostenibilità nei loro campus e nelle loro comunità con la partecipazione attiva, tra l’altro, di studenti, docenti e partner locali, e l’insegnamento dello sviluppo sostenibile come componente integrato in tutte le discipline.

235. Sottolineiamo l’importanza di sostenere le istituzioni educative, specialmente gli istituti di istruzione superiore nei paesi in via di sviluppo, di effettuare ricerca e innovazione per lo sviluppo sostenibile, anche nel campo dell’educazione, di sviluppare programmi innovativi e di qualità, inclusi la formazione imprenditoriale e commerciale, tecnica e professionale e l’apprendimento permanente, volto a colmare le lacune di capacità per l’avanzamento degli obiettivi nazionali dello sviluppo sostenibile.

L’educazione

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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L’educazione ambientale come filosofia dell’educazione«Nessun nuovo modello di sviluppo senza educazione». L’educazione ambientale nel Brasile di Rio+20. Intervista a Marcos Reigota

Julio neto

Le questioni che riguardano l’educazione ambientale non sono mai state tanto discusse in Brasile come in questo momento. Grandi imprese, piani di governo, progetti scolastici: tutti vogliono salire sul carro della sostenibilità. Ma fino a che punto questi dibattiti si sono trasformati in azioni? Risponde a queste domande Marcos Reigota (v. profilo a pag. 47), uno di più apprezzati ricercatori brasiliani sul tema1.

Professor Reigota, nel suo libro Ecologia, elites e intelligentsia na América Latina lei suggerisce che la formazione del cittadino pieno è la via per la nascita di un nuovo modello di sviluppo. Quale ruolo ha la scuola in questo processo?

«In questo libro, uno dei meno conosciuti, risultato della mia ricerca di post-dottorato realizzato nel 1993 all’Università di Ginevra, analizzo come l’élite universitaria latino-americana affronta la tematica ambientale dopo la conferenza di Rio del 1992. Nei due decenni seguenti molte cose sono cambiate, in modo positivo, per quel che riguarda la formazione dei professori nelle università dell’America Latina. Allo stesso tempo, c’è ancora molto da fare. Nessun paese si è sviluppato (per sviluppo intendo soprattutto sviluppo umano e sociale più che economico) senza istruzione, pubblica, di qualità, adeguata, con senso e significato».

Purtroppo in Brasile, la scuola pubblica è un “servizio” rivolto alle fasce più povere della popolazione e quindi di poco o nessun interesse per il governo. Quanti deputati, governatori, ministri, intellettuali di sinistra immatricolano i propri figli nelle scuole pubbliche?

«Quando parliamo di scuola, penso che non esista “un” modello, ma diversi. Se penso alle scuole che ho visitato, per esempio nell’interno dell’Amapá‒ (nelle comunità Carvão e Pacuí), in Amazzonia, posso dire con certezza che hanno dato un grosso contributo. Se penso ancora agli insegnanti e alle insegnanti che incontro all’estero, posso dire che stanno succedendo cose positive. Generalmente gli insegnanti e le insegnanti che entrano in contatto con me sono coinvolti nei mutamenti sociali e hanno ben chiara la dimensione politica della propria attività pedagogica. Se penso invece alle scuole private delle grandi città che costano una fortuna e che preparano i loro alunni per entrare nelle principali università pubbliche del Paese, direi che non vedo segnali positivi».

Un modello fatto per pochi ricchi In una società come quella brasiliana dove esistono persone affamate (di cibo, salute, lavoro, casa) si può credere nella promozione di una coscienza ambientale e nella formazione di un cittadino cosciente? In queste condizioni, quale sarebbe il ruolo dello Stato?

«La problematica ambientale ed ecologica è un tema politico, culturale, economico e sociale. Troviamo però ancora professionisti e leader politici (anche di sinistra) che considerano tutto ciò superfluo, secondario. Nel caso del Brasile, basta vedere la realizzazione della Centrale Elettrica di Belo Monte, la riforma del Codice Forestale3, la trasposizione del Rio São Francisco, il transgenico, la costruzione di centrali nucleari, la deforestazione in Amazzonia, ecc., per capire che tutto ciò ha a che vedere con un modello politico economico ed educativo che in Brasile domina da decenni. Un modello che beneficia una minuscola fetta della popolazione, stimola l’altra fetta (la cosiddetta Classe C) a consumare chincaglierie “Made in China” e lascia le persone senza alcuna o scarsa scolarità nella fossa comune del “Si salvi chi può”.

pp Marcos Reigota (foto: Júlio Bastos)

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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Nella prospettiva ecologista con cui lavoro, il ruolo dello Stato è quello di garantire, soprattutto alle fasce più deboli della popolazione, i diritti costituzionali, di educazione, salute, acqua, trasporti, cultura, ecc. Dall’altro lato, lo Stato dovrebbe infrangere i monopoli, le oligarchie, tassare le transazioni finanziarie senza scrupoli e confiscare le fortune illecite. In una società come la nostra, in cui le banche lucrano come mai prima d’ora, e una di loro si fa pubblicità presentandosi come banca “sostenibile’, c’è qualcosa che non va: esemplifica gli usi e gli abusi che potenti gruppi economici e politici fanno di un ideale come quello della sostenibilità che ha impiegato decenni per conquistare legittimità pubblica, minando la sua dimensione politica e trasformatrice».

La trasversalità fatta davvero A che punto è la scuola brasiliana rispetto all’educazione ambientale e alla costruzione di società auto-sostenibili?

«Non si può generalizzare su un processo multiplo e differenziato. Ci sono progetti di educazione ambientale eccellenti e poco conosciuti e altri, molto conosciuti e ricevono patrocini di ogni di tipo (anche governativi), molto negativi. Certamente il movimento dell’educazione ambientale in Brasile è molto importante e in esso si trova un po’ di tutto. L’impatto di questo movimento è grande, sebbene resti al di sotto delle aspettative che la complessità ambientale implica, in Brasile e nel mondo. Potremmo pensare ad una società giusta e sostenibile se l’educazione, come diritto della popolazione, fosse una priorità, ma siamo lontani da questo obiettivo».

I Parametri Curriculari Nazionali (PCN) concepiscono l’educazione ambientale come tema trasversale, ossia, non compone la base curriculare come disciplina basica/obbligatoria...

«Io faccio parte dei critici dei PCN per vari motivi. I PCN hanno una componente politica che in linea generale consiste in un dispositivo per controllare la diversità. Questo dispositivo viene ammantato con discorsi seducenti ripetuti insistentemente, come è il caso, per esempio, della trasversalità. Ora, se la trasversalità (come è stata pensata da Felix Guattari) fosse effettivamente applicata, il sistema scolastico crollerebbe. Rispetto alle ragioni pedagogiche specifiche, la tematica ambientale, per la sua complessità e presenza nel nostro quotidiano, è intesa in molti modi e rende possibili interventi pedagogici diversi. L’educazione ambientale è una filosofia dell’educazione, ossia un pensiero sull’educazione che si vuole politica. La tematica ambientale, qualunque essa sia all’interno di un processo pedagogico, deve aver pertinenza, senso e significato sociale e culturale per le persone, compresi i professori. Non è possibile parlare di ambiente senza prima discutere cosa intendiamo per esso, quali sono le relazioni dell’ambiente con la nostra vita quotidiana e quali sono le possibilità politiche, sociali e personali che abbiamo per interferire in questo processo. Qualsiasi disciplina, compresa l’arte e l’educazione fisica, può farlo».

Pratiche pedagogiche e spazio pubblico Torniamo alla domanda iniziale: il dibattito sull’educazione ambientale si è trasformato in azioni?

«Sì, e generalmente obbediscono e seguono i discorsi in voga del momento e, in questo senso, durano il loro stesso tempo (di solito molto poco). Quello che è più interessante è osservare come le preoccupazioni, gli interessi e le conversazioni quotidiane tra professori, alunni, genitori e funzionari della scuola si trasformano effettivamente in azioni pedagogiche e politiche. A tal fine è fondamentale che le pratiche pedagogiche conquistino lo spazio pubblico oltre i limiti della stessa scuola o della comunità in cui la scuola è inserita: un professore dell’Amapá può dialogare con un collega nel Rio Grande do Sul, un professore del sertão4 di Bahia può confrontarsi con il suo collega di São Paulo, etc. Come possiamo farlo senza l’interferenza dello Stato (e delle sue “conferenze nazionali”) o senza il sensazionalismo dei media? Credo che le reti sociali potranno avere una grande valenza, permettendo che ognuno possa conoscere ciò che l’altro, il nostro collega, fa in spazi e condizioni sociali, culturali ed ecologiche completamente diverse, ma con la stessa preoccupazione di intervenire e partecipare nella società in cui si vive». s

1 Si ringraziano Julio Neto e il gior-nale on-line Historianews.org (HN) per la gentile concessione a tradurre e pubblicare l’intervista.2 N.d.T. Stato all’estremo nord del Brasile, confinante con la Guyana Francese. 3 Questo disegno di leggei prevede una riduzione delle fasce minime di preservazione ambientale previste per le APPs (aree di preservazione permanente) e le Riserve Legali e concede l’amnistia a coloro che ab-biano disboscamento illegalmente prima del 2008 (N.d.T).4 Zone interne del nord-est del Brasile.

Note

(Traduzione dal portoghese di Silvia Zaccaria)

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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Dopo Rio, green economy ai blocchi di partenzaSostenibilità a Rio, crescita al G20. Un risultato non da poco, che riafferma e rilancia principi fondamentali. Rio+20 vista dall’Italia

Bianca la Placa

Al ritorno da Rio de Janeiro, a luglio il Ministero dell’Ambiente ha riferito sui risultati della conferenza internazionale delle Nazioni Unite in un incontro pub-blico. Presenti i rappresentanti del Ministero che hanno seguito in questi anni il processo di preparazione e i lavori della conferenza e i membri della società civile e delle associazioni che in varia misura vi hanno preso parte.

«Il processo di preparazione è stato denso e difficile – ha spiegato Paolo Soprano, diret-tore per lo sviluppo sostenibile e i rapporti con l’associazionismo – ristretto nel tempo e con poche riunioni tra i negoziatori, lento nel suo avanzare. Ma il documento con-clusivo non può dirsi mediocre. E si possono riscontrare vari risultati: il rinnovamento dell›impegno dei governi per lo sviluppo sostenibile e la lotta contro la povertà; l›enfasi sull›uguaglianza di genere e lo sviluppo del ruolo della donna; il rilancio della partner-ship con la società civile, la definizione comune di che cosa significhi il passaggio alla green economy...».

Conferenze a confrontoRio+20 si può leggere così come un’ulteriore tappa per rilanciare numerosi principi: «è importante inoltre confrontare ciò che è successo a Rio con ciò che è accaduto contem-poraneamente al G20 a Los Cabos – ha spiegato Alessandro Busacca, direttore centrale DGMO, sotto-sherpa G8/G20, del Ministero degli Affari Esteri – dove è emerso il concet-to di green growth».Anche per quanto riguarda il ruolo delle imprese, riunitesi a Rio nel Global Compact Forum, è emerso come la sostenibilità aziendale sia un elemento essenziale dello sviluppo sostenibile. «Il rispetto dei diritti umani – ha spiegato Marco Frey, Chairman del Global Compact Network Italia – l’innovazione tecnologica e sociale, sono solo alcuni dei nume-rosi impregni presi».

“Fallimento o miracolo?”Ma, a un mese dalla conferenza di Rio, resta la domanda che anche il ministro Clini si è posto: si è trattato di un fallimento o di un miracolo? La società civile e le associazioni si aspettavano certamente di più, come ha ricordato Gianfranco Bologna, direttore scienti-fico del WWF. Si tratta ora di vedere come mettere in pratica le linee programmatiche e le indicazioni emerse da Rio. Come far sì che non si disperda il patrimonio di impegno e aspettative, le proposte e le idee raccolte in questi anni di lavoro. Come la Carta dei principi per la sostenibilità ambientale realizzata da Confindustria con i valori di riferimento da concretizzare nelle attività quotidiane. O il coinvolgimento dei giovani e il ruolo dell’educazione, citato dalla Presidente del Volontariato Internazionale per lo sviluppo Carola Carazzone. Qualcuno è già al lavoro, come le tante esperienze sulla green economy già censite. Le richieste? Investimenti, accesso al lavoro qualificato, innovazione e partecipazione. Dopo Rio+20, insomma, per la green economy siamo ai blocchi di partenza. Ora deve fare lo scatto, e vincere la gara con la brown economy. s

pp Paolo Soprano, direttore per lo sviluppo sostenibile e i rapporti con l’associazionismo del Ministero dell’Ambiente

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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Semaforo verde all’economia verdeI controversi risultati della conferenza di Rio de Janeiro sulla “green economy”. Ma nella società civile i cambiamenti comunque vanno avanti. Ora le indicazioni di Rio+20 per intensificare gli sforzi per la sostenibilità devono tradursi in atti concreti e coerenti, paese per paese, senza alibi per nessuno

Alla fine, la conferenza delle Nazioni Unite, che si è svolta a Rio de Janeiro dal 13 al 22 giugno scorso, ha prodotto più di settecento “impegni volontari”, che nel corso dei prossimi anni mobiliteranno più di 500 miliardi di dollari, un impegno degli Usa a finanziare con due miliardi di dollari le energie rinnova-bili nei paesi in via di sviluppo e un documento di cinquantatre pagine (“The

future we want”, “Il futuro che vogliamo”) frutto di mesi e mesi di faticosi negoziati e che fa appello alla buona volontà di governi e società civile per intensificare gli sforzi per la sostenibilità.Imponenti i “numeri” della conferenza: più di 45.000 partecipanti da 188 paesi, tra cui cento capi di stato e di governo (ma tra i “grandi” paesi occidentali solo il presidente fran-cese Hollande è andato a Rio) e circa 10.000 rappresentanti della società civile.Scontenti, invece, quasi tutti i “major groups”, cioè le nove categorie in cui le Nazioni Unite dividono la società civile, che hanno uno status di osservatori e possono presentare ufficialmente le proprie osservazioni.«Nel documento non c’è nulla di quanto chiedevamo», hanno lamentato ad esempio i rappresentanti di bambini e giovani.Le associazioni, da parte loro, hanno dichiarato di non riconoscersi nel documento finale della conferenza e hanno lanciato un appello (“The Future We Don’t Want”, il futuro che “non” vogliamo) che ha subito raccolto mille firme (la petizione si può firmare online). Le organizzazioni delle donne hanno definito il documento finale della conferenza «una vergogna».Tra gli italiani, Legambiente ha parlato di «flop» e Gianfranco Bologna, direttore scienti-fico del WWF Italia, ha proposto di ribattezzare “insipiens” il genere umano (nome scien-tifico: Homo sapiens), così come anni fa il politologo Giovanni Sartori aveva proposto di chiamarlo “Homo stupidus stupidus”.Le critiche sono espressione di una società civile che comunque in tutto il mondo è attiva e “inventa” il futuro giorno per giorno, anche se le politiche tardano ad accorgersene.

La comunità scientifica: «i prossimi 5-10 anni saranno decisivi»La ragione dell’insoddisfazione di molti partecipanti sta nell’asserita vaghezza del docu-mento finale: mancano – dicono – priorità, impegni vincolanti, obiettivi quantificabili, date certe. Le organizzazioni rappresentative dei giovani chiedevano un “garante” mondiale delle future generazioni (che non essendo ancora nate non hanno nessuno che le rappresenti): non lo hanno avuto. E tutti i critici hanno rilevato come sia troppo debole il richiamo alla necessità di “agire ora”, perché i prossimi cinque-dieci anni saranno decisivi, il senso della gravità della situazione, la scelta di indicatori misurabili e il riconoscimento che i confini del pianeta sono stati superati e che entro tali confini dobbiamo rientrare. Anche se, a onore del vero, la necessità di un’«azione urgente» compare una ventina di volte nelle cinquantatre pagine del documento.Si tratta soprattuto, ha avvertito ad esempio la comunità scientifica e tecnologica mon-diale, di riconoscere che viviamo nell’Antropocene, cioè in un’era in cui l’attività umana domina il pianeta provocando cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquina-mento con il rischio di crisi irreversibili se i leader politici non agiranno subito, entro i prossimi cinque o dieci anni.

pp Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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Attenti ai “banksters”In qualche modo, infatti, a Rio+20 si è avuta la controprova dell’inadeguatezza cultura-le ed etica della comunità internazionale e di gran parte della classe politica mondiale. Mancano figure coraggiose di grandi statisti e di leader generosi e lungimiranti, mentre gli interessi particolari (quelli dell’1 per cento dell’umanità, direbbero gli “Occupy Wall Street”: chi si arricchisce anche in tempi di crisi, la grande finanza, certe multinazionali, i “banksters” (ovvero, come li ha chiamati lo stesso Economist, i banchieri-gangsters) sacrificano le speranze del 99 per cento degli esseri umani, alle prese con conflitti, disa-gio sociale, mancanza di acqua, problemi di lavoro e di salute, guerre civili, odi religiosi e etnici.Quell’1 per cento vede l’ambiente solo come una nuova occasione di “business” e il ca-pitale naturale residuo sul pianeta qualcosa da trasformare in merce, in capitale “vero”. E anche questo, purtroppo, si è visto a Rio, per opera di lobby ben organizzate e con il portafoglio ovviamente ben pieno. Né si può pretendere troppo dall’Onu, visto che gli Stati non rinunciano alla loro sovranità per creare una vera confederazione mondiale.

Il documento finale della conferenza di RioLa “Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile” è stata chiamata Rio+20 perché si è tenuta venti anni dopo lo storico summit di Rio de Janeiro del 1992. A diffe-renza di allora, però, se da un lato la situazione è molto peggiorata e richiederebbe una svolta netta del modello di produzione e consumo, visto il fallimento di quello attuale, dall’altro lato la visione dei governanti si è fatta più ristretta.La conferenza era stata convocata per discutere il rapporto tra ambiente ed economia in nome di un approccio “olistico, equo e lungimirante” sottolineando la centralità dell’e-quità “intragenerazionale e intergenerazionale”.Il documento richiama e rinnova tutte le analisi e le linee guida emerse nelle precedenti conferenza, da quella del 1972 a Stoccolma in poi, invoca pace, libertà, sicurezza, rispetto dei diritti umani, parità di genere, attenzione per i più poveri, indica in una ampia alleanza di popoli, governi, società civile e settore privata il mezzo per garantire un futuro.Riconosce la Terra (anzi, la “Madre Terra”) e i suoi ecosistemi come la nostra casa e af-ferma che approcci olistici e integrati allo sviluppo sostenibile dovranno promuovere una vita in armonia con la natura.L’invito ai governi è a sviluppare politiche a favore della green economy, creando posti di lavoro in particolare per donne, giovani e poveri, e a combattere gli insostenibili schemi di produzione e consumo. Produzione e consumo vedranno l’attuazione di un programma quadro decennale, preparato negli scorsi anni dalla CSD (e cui anche l’Italia ha contribu-ito con un’apposita task force internazionale) e approvato dalla conferenza.Il documento affronta anche il secondo tema all’ordine del giorno di Rio+20: la gover-nance del sistema Onu. Dovrebbe essere rafforzato il ruolo del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, mentre un “forum” politico di alto livello dovrebbe sostituire la Commissione sullo Sviluppo sostenibile. L’Unep, organismo Onu istituito nel 1972 e incaricato di presidiare il pilastro ambientale del sistema, mantiene lo status di “program-ma” invece di trasformarsi in una più autorevole “organizzazione”, ma sarà rafforzato, dotandolo di maggiori risorse per adempiere meglio il suo ruolo di autorità mondiale di riferimento in campo ambientale.

Raccomandazioni da tradurre in realtàConclude il documento una lunga lista di raccomandazioni (in tutto “Il futuro che vo-gliamo” ha ben 283 commi) che toccano un po’ tutti i temi sociali e ambientali, come l’agricoltura sostenibile, l’acqua, l’energia, il turismo, i trasporti, le città, la salute, la dignità del lavoro, i mari e gli oceani, il cambiamento climatico, le foreste, la biodiversità, la desertificazione, le montagne, i prodotti chimici, i rifiuti,…Come tradurre in realtà tante raccomandazioni? Gli strumenti indicati sono principal-mente (in numero decrescente di commi dedicati) finanziari (in un mondo sempre più dominato dalla finanza), tecnologici, di “capacity building”, commerciali e volontari.Indicazioni forse vaghe, ma che se servissero da base per discutere seriamente, paese per paese, come passare ad atti concreti e conseguenti, sarebbero un enorme passo avanti. s

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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Educazione ambientale e politiche locali, una relazione necessariaA Vienna da sedici paesi europei e asiatici. In un mondo in bilico, un gruppo di educatori si interroga sul valore politico dell’educazione, grazie a CODES, un progetto Comenius

aleSSia MaSo

Alla conferenza su “Collaborazione tra scuole e comunità per lo svi-luppo sostenibile” di Vienna (1-3 maggio 2012) si sono incontrati sessantacinque esponenti di diverse organizzazioni provenienti da sedici paesi

diversi: Austria, Belgio, Catalogna, Cipro, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Malesia, Olanda, Norvegia, Corea, Romania, Svizzera, Inghilterra. Direttori di scuole, rappresentanti di organizzazioni non governative, giovani ricercatori e professori universitari, amministratori locali rappresentanti di enti diversi, insieme, di-scutono realtà, prospettive e visioni rispetto all’impatto dell’educazione ambientale sulle politiche di sviluppo portate avanti dalle comunità locali. La Kardinal Konig Haus della capitale austriaca diventa un luogo di condivisione dei saperi, di messa in comune delle esperienze, di crescita collettiva.

Dalla Grecia alla CoreaUn progetto di educazione ambientale che prevede la trasformazione di prodotti agro-alimentari fa sì che una scuola greca, situata in una piccola isola, possa contribuire in maniera significativa all’economia locale. Dei percorsi di apprendimento cooperativo in montagna, attraverso escursioni, pernottamenti all’aperto e spedizioni accompagna-

te dagli insegnanti, permettono di rafforzare la relazione con la montagna in un piccola valle austriaca, a rischio di spopolamento, favoriscono il senso di comunità e apparte-nenza, rafforzano le capacità di condivisione dei ragazzi. Vari progetti di orti didattici nelle scuole della catalogna mirano a rafforzare il rapporto uomo-natura, e a riscoprire il valore della cura e della crescita. Un progetto in Corea di riforestazione, porta-to avanti da una scuola insieme ad un movi-mento sociale locale, mira a sensibilizzare su tematiche ambientali ma soprattutto a rom-

pere il muro del pregiudizio nei confronti di persone disabili. Legambiente, unico partner italiano del progetto, porta la propria esperienza: da anni lavora con le scuole e le amministrazioni locali, facendo sì che le istanze proposte dai giovani diventino parte dell’agenda degli enti pubblici, cercando di stimolare le ammini-strazioni ad agire in modo più sostenibile e i ragazzi a partecipare ai processi decisionali e ad assumere comportamenti ecologici. In particolare si presentano le campagne classiche: “Puliamo il mondo” per quanto riguarda i rifiuti, “Non ti scordar di me” che porta l’at-tenzione sull’edilizia scolastica, “La scuola adotta un Comune” per favorire lo scambio e promuovere le scuole dei piccoli comuni italiani. L’esperienza dell’associazione in mate-ria è grande e tocca numerosi temi: progetti sulle energie alternative, sulla creazione dei “consigli dei ragazzi” per la partecipazione attiva dei giovani, sul rispetto delle culture a

pp Il logo del progetto

pp A sinistra: presentazione del poster. A destra: la presentazione di Arjen Wals

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tema L’educazione ambientale dopo Rio

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partire dall’insegnamento delle lingue locali tradizionali (l’occitano in Piemonte ad esem-pio) insieme alle lingue dei migranti presenti nelle comunità. I partecipanti guardano con interesse a questa prospettiva che si muove dalla necessaria compenetrazione tra azione politica e azione educativa: la maggior parte delle presentazioni realizzate durante i wor-kshop non parte da questo presupposto.

Spirito cooperativoL’aria che si respira nella tre giorni ha profumo di “accoglienza”, che ha a che fare con il prendere con sé, ma anche con la cura dell’altro: un prendere e dare che è trasformazio-ne. Quest’idea permea tutti gli interventi, attenti a far sì che chi partecipa possa cogliere elementi utili per il suo agire quotidiano, e al contempo impegnati a dare una visione d’insieme in grado di stimolare domande e riflessioni, che consentano a chi presenta di porsi nuove domande su temi che già conosce bene, ma che osservati da un punto di vista diverso, appaiono diversi. Il progetto in cui si inserisce quest’esperienza è il progetto CoDeS – Scuole e Comunità, lavorano assieme per lo Sviluppo Sostenibile – un progetto Comenius Network finanziato dal programma Long Life Learning, della Direzione “Educazione e Cultura” dell’Unione Europea. Ha come obiettivo quello di costruire schemi di riferimento per la collabora-zione tra scuole e comunità, prendendo le mosse da esperienze già praticate e studiando strumenti e modelli replicabili, che possano diventare un punto di riferimento nell’agire per uno sviluppo sostenibile, sia per gli enti locali, sia per le amministrazioni scolastiche, sia per gli insegnanti e gli altri attori coinvolti.

I tre approcciCome sottolineato dalla presentazione di Arjen Wals, della Wageningen University , l’ap-proccio all’educazione alla sostenibilità non può che essere:>> Integrato: non solo ecologico e ambientalista, ma anche… non solo rivolto al presen-

te, ma anche…, non solo locale, ma anche…, non solo focalizzato sugli uomini, ma anche…

>> Critico: pone questioni sulla crescita economica, sul consumismo, sugli stili di vita, sulle fonti di informazioni, ecc.

>> Trasformativo: esplora alternative negli stili di vita, propone valori e sistemi diversi in grado di rompere l’attuale tendenza verso la non-sostenibilità.

E con tale visione viene immediato recuperare l’idea del valore politico dell’educazione, che ha un senso e una direzione, che restituisce significato a gesti individuali, che hanno una valenza collettiva e politica.Nella situazione economica in cui versano alcuni dei paesi presenti al meeting, è naturale interrogarsi sulla valenza anche politica del proporre una visione ecologica. I partecipanti che vengono da Grecia, Cipro, Spagna e Italia, insieme ad un consigliere comunale dei Verdi della città di Vienna, iniziano una lunga discussione in cui si scambiano visioni, in-terpretazioni, esperienze. Emerge la necessità di introdurre nel vocabolario comune un’i-dea di crescita qualitativa, non più quantitativa, in grado di cambiare i modelli culturali prevalenti che vedono gettare 426.000 cellulari al giorno, 2.000.000 bottiglie di plastica ogni 5 minuti, 60.000 sacchetti di plastica ogni 5 secondi.

Quanto conta una zanzaraCi si interroga su quel che accadrà alle imminenti elezioni in Grecia. Ci si sente in un mondo in bilico, in cui per quanto piccolo ognuno dovrebbe fare qualcosa per ritrovare equilibrio.I momenti non strutturati della tre giorni viennese diventano situazioni inaspettate in cui la mente dei partecipanti, stimolata dai lavori della conferenza, gioca e diverte (nel senso di divergere, cambia posizione). E allora emergono idee di ulteriori progetti, si intrecciano possibilità e visioni, e ogni tanto la voce di qualcuno, come un lampo, ti illumina: «Se pensi di essere troppo piccolo per fare la differenza, prova a dormire una notte con una zanzara nella stanza!». Lasciando Vienna, si riparte con più energia, più idee nella mente, più conoscenze e nuovi strumenti, che saranno elaborati e messi a disposizione di tutti grazie al sito. s

webwww.comenius-codes.eu/Get_togethers/Vienna_conference/

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Sano come un pesce, anche in classe

Stefania tron

Il pesce è importante per una corretta alimentazione a tutte le età, ma soprattutto per i più piccoli. Per questo motivo è previsto nei menù delle mense sco-lastiche una-due volte alla settimana.La presenza di questo prodotto sulle tavole della re-

fezione scolastica non implica necessariamente che sia un piatto gradito. Lo sanno bene nutrizionisti, dietologi e cuochi, alla continua ricerca della ricetta magica per sensibilizzare i bambini che, però, continuano a storcere il naso di fronte a merluzzi o platesse, generando una notevole quantità di scarti alimentari. Un problema di grande rilevanza, quello degli scarti, che pone dubbi sull’efficacia del pesce a scuola dal punto di vista nutrizionale e sulla sua sostenibilità ambientale ed economica. In relazione a queste problematiche, il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), nel 2011, ha avviato il progetto di ricerca “SANPEI - SANo come un PEsce biologico Italia-no”, finanziato dal Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali.«I motivi per cui i bambini non mangiano pesce a scuola sono molteplici - spiega Elena Pagliarino del CNR, responsabile del progetto -. Con SANPEI ci stiamo focalizzando su due aspetti. Innanzitutto il pesce consumato a scuola spesso risulta poco appetibile, sapo-re e consistenza non sono graditi e la materia prima, in genere, è surgelata e con poca va-rietà (platessa, merluzzo, halibut). Inoltre, i bambini non sono abituati a mangiare pesce a casa: c’è una scarsa abitudine a un suo consumo diversificato e manca la conoscenza sulle problematiche ambientali connesse alla pesca e all’acquacoltura intensive».

Il pasto come momento formativoIl progetto del CNR interviene su questi temi (qualità, sostenibilità e familiarità al pro-dotto) proponendo alcune soluzioni: offrire nelle scuole pesce fresco, sano e sostenibile, proveniente da acquacoltura biologica italiana, ed educare i giovani a un corretto consu-mo di pesce.Sul primo punto SANPEI sta studiando e sperimentando tutte le fasi della filiera alleva-mento ittico–mensa scolastica: la definizione di modelli di allevamento biologico adatti alla consumo nella refezione scolastica; la caratterizzazione della produzione dal punto di vista nutrizionale; l’analisi degli aspetti economici, normativi, logistici, tecnici e organiz-zativi della filiera; lo studio del gradimento da parte dei bambini. Le specie proposte come oggetto di studio sono la spigola, l’orata e il cefalo, particolarmente adatte per il consumo nelle scuole per le loro qualità nutrizionali, per le carni dal sapore delicato e facilmente trasformabili in filetti o altre preparazioni adatte al target, come l’hamburger.

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Pesce fresco da allevamento biologico sulle tavole della refezione scolastica, la sfida del progetto “SANPEI - SANo come un Pesce biologico Italiano”

Nell’ambito di SANPEI, nel corso dell’anno scolastico 2011-12, sono state organizzate sei somministrazioni di pesce fresco da allevamento bio su 400 bambini di due scuole elementari del Comune di Roma

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Nell’ambito di SANPEI, nel corso dell’anno scolastico 2011-12, sono state organizzate sei somministrazioni di pesce fresco da allevamento bio su 400 bambini di due scuole ele-mentari del Comune di Roma. Durante ognuna di esse il gruppo di ricerca ha effettuato la misurazione degli scarti per valutare il gradimento da parte dei bambini.Sull’altro fronte, quello formativo, è stata avviata una campagna di educazione alimen-tare su tre classi campione dei due istituti romani. L’obiettivo: accrescere le conoscenze e modificare la percezione nei confronti del pesce nell’infanzia attraverso un ampio pro-gramma didattico con incontri in classe, attività di drammatizzazione, la partecipazione a uno spettacolo teatrale creato ad hoc sul tema, la visita presso un allevamento ittico biologico, questionari rivolti a bambini e famiglie e la sensibilizzazione delle maestre.

Dati e appuntamenti in programma«Le attività nelle scuole di Roma sono terminate a maggio 2012 - conclude Elena Paglie-rino -. I dati raccolti devono ancora essere analizzati, ma dalle osservazioni preliminari sembra che la sperimentazione e il percorso educativo abbiano avuto un effetto positivo dal punto di vista della fattibilità della filiera e del gradimento».A ottobre 2012 il CNR organizzerà un convegno per la presentazione dei risultati ad am-ministrazioni pubbliche, società di ristorazione collettiva, famiglie e operatori scolastici. Potrà essere uno dei primi contributi in vista del 2013, anno europeo per la lotta allo spreco alimentare. s

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webhttp://sanpei.ceris.cnr.it (progetto SANPEI)www.ibaf.cnr.it (Istituto di Biologia Agro-Ambientale e Forestale)www.politicheagricole.it (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali)

Frutta nella scuolaUn progetto per educare a una corretta alimentazione

Lorenza PaSSerone

A pochi mesi dalla sua conclusione è il momento di raccogliere i frutti, è proprio il caso di dirlo, del progetto “Frutta nelle scuole”, programma di educazione ali-mentare promosso dall’Unione Europea e cofinanziato dal Ministero delle Politi-che agricole alimentari e forestali. La terza edizione ha coinvolto nell’anno didattico 2011-2012 14 regioni ita-

liane (3 in più rispetto all’anno precedente), 3.500 scuole e oltre 587 mila bambini. Tutte le mattine gli alunni interessati hanno consumato merende e spuntini a base di frutta stagionale e legata al territorio per sottolinearne la valenza didattica. La fruizione

pp I bimbi di Frutta nelle scuole

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«La mission del WWF è realizzare un futuro in cui le persone e la natura possano vivere in armonia: questo non può prescindere dal riconsiderare la qualità e quantità di cibo che mangiamo e dove e come questo venga prodotto» spiega Eva Alessi, responsabile sostenibilità del WWF Italia. È sulla base di queste premesse che l’organizzazione in difesa della biodiversità ha ideato One Planet Food, piattaforma web che vuole porsi come punto di riferimento per tutte le tematiche che legano il cibo e l’acqua all’ambiente.Lanciando l’iniziativa sotto lo slogan “Non mangiamoci il pianeta, aggiungi un link a tavola”, il WWF si propone di avviare un processo di cambiamento che conduca a modelli alimentari a basso impatto ambientale.Alimentazione umana e conservazione della biodiversità sono strettamente correlate.OGM, prodotti chimici, deforestazione, uso sconsiderato delle risorse idriche, sovrasfruttamento delle popolazioni e altri effetti collaterali dell’agricoltura sono

responsabili del 50% delle specie animali selvatiche minacciate o in declino. Allo stesso modo il 20% delle razze zootecniche è a rischio estinzione per via delle logiche economiche che vogliono il massimo rendimento con il minimo costo.Per quanto riguarda invece le specie vegetali, le monocolture e le coltivazioni intensive fanno in modo che il 60% di tutte le calorie e proteine vegetali consumate dall’uomo provengano da 3 sole colture, riso, mais e grano, spesso preferiti a cultivar autoctoni e antichi meno produttivi e ora a rischio estinzione.Negli ultimi cento anni sono andate perse circa tre quarti delle colture alimentari, sei razze di animali domestici si estinguono ogni mese e più dell’80% degli stock ittici del Mediterraneo è prossimo al collasso.Se come sostiene l’agricoltore-filosofo Wendel Berry «Mangiare è un atto agricolo ed ecologico», nella società contemporanea l’atto del cibarsi inizia nei negozi, nei supermercati, nei mercati. La priorità è quindi ridurre l’insostenibilità della filiera alimentare a partire da un’azione di

sensibilizzazione delle persone, cioè dando loro gli strumenti e le conoscenze per poter mettere in atto un consumo critico e consapevole.One Planet Food fornisce questi strumenti in modo chiaro, comprensibile e divertente. È possibile calcolare l’impronta di carbonio delle proprie abitudini di consumo, scoprire quanti litri d’acqua vengono utilizzati per portare una bistecca sulla nostra tavola, informarsi sul problema del packaging e della migrazione nel cibo delle sostanze di cui è fatto. C’è infine una rubrica dedicata a ricette rispettose dell’ambiente e la sezione “cosa puoi fare tu” con il decalogo delle mosse salva-pianeta a tavola: acquistare prodotti locali e di stagione, diminuire il consumo di carne, fare attenzione alla provenienza del pesce, privilegiare il biologico, bere acqua del rubinetto, evitare i troppi imballaggi, i cibi processati o industriali, gli sprechi.È possibile visitare il sito all’indirizzo www.oneplanetfood.info

Mariano Piccolo

A tavola col WWFImparare a proteggere la biodiversità a partire dall’alimentazione

è stata accompagnata da specifici momenti educativi in aula, con animazioni condotte da attori professionisti e la creazione di alcuni orti scolastici. Ma è anche stata supportata da nuovi strumenti quali il “Gioco di Lan-do” (gioco da tavola sulle culture dell’orto) e “L’Italia ortofrutticola” (gioco interattivo on-line per imparare, anche da casa con mamma e papà, le diversità dei pro-dotti della penisola). Massimo Brusaporci, direttore della cooperativa Alimos, che ne ha curato l’organizzazione, sottolinea come «tutte le attività sono pensate per accompagnare la distribuzio-ne di frutta e verdura stimolando nei bambini un insieme di esperienze legate ai cinque sensi che inducano imitazio-ne e abitudine ad un consumo di cibi più salutari». L’im-pegno è stato ingente anche dal punto di vista distributivo: i molteplici partner coinvolti (Apofruit Italia, Naturitalia, Orogel Fresco, solo per citare i capofila) hanno garantito

la capillarità e gli aggiornamenti necessari per garantire la stagionalità dell’iniziativa. In occasione dell’ultima edizione di Fruit Logistica, salone internazionale per il com-mercio di frutta e verdura fresca, tenutosi in Germania lo scorso febbraio, l’Italia è stata segnalata come un esempio da seguire sia per la qualità dei prodotti, sia per le ca-pacità organizzative dimostrate. Il risulta-to? La Commissione Europea ha proposto un aumento del budget complessivo dagli attuali 90 a 150 milioni di euro. s

webwww.alimos.it/www.alimentalasalute.net/www.fruitlogistica.de/en/www.freshplaza.it

pp Massimo Brusaporci e Marie Theres Knapper durante la tavola rotonda promossa da Alimos a Fruit Logistica

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Vegetali a tavola o nella rete elettrica?

Chiara agresta

È opinione comune considera-re le biomasse - scarti dell’a-gricoltura e dell’allevamento, nonché vegetali coltivati ap-positamente per l’uso – come

fonti pulite di energia perché prove-nienti da resti biologici.Ma bio vuol sempre dire pulito e pri-vo di impatto? E quanto può essere “eticamente conveniente” toglie-re spazio all’agricoltura per creare piantagioni che andranno ad alimen-tare centrali a biomasse? Ne parlia-mo con Federico Valerio, responsa-bile del servizio di chimica ambien-tale dell’Istituto tumori di Genova, specializzato nella gestione dei materiali post utilizzo e dei loro effetti sulla qualità dell’ambiente e sulla salute.

Da anni lei si interessa della qualità ambientale, in particolare della presenza e immis-sione di sostanze cancerogene nell’ambiente. Come colloca i biocombustibili all’interno di questo contesto?

«Nel pubblico è diffusa la percezione che un prodotto “naturale” sia innocuo. Ma questo non è sempre vero, basti pensare alle piante velenose. Alla giusta e crescente richiesta dei consumatori di prodotti sani e sicuri, la pubblicità risponde offrendo prodotti marcati “bio” e questo non è affatto garanzia di salubrità. I bio combustibili appartengono a quest’ultima categoria».

Si parla di biocombustibili come fonte di energia pulita a tutti gli effetti. Lei quindi non è d’accordo con questa affermazione?

«È un dato di fatto che la combustione di legna, oli vegetali e gas prodotto con la fermen-tazione anaerobica di materiali di origine vegetale e animale generi inevitabilmente fumi contenenti inquinanti tossici come ossido di azoto e di carbonio, benzene, formaldeide, cancerogeni e mutageni, polveri sottili e ultrasottili. Questo a causa delle complesse rea-zioni chimiche che avvengono durante la combustione. Numerosi studi dimostrano che, a parità di energia prodotta, un bio-combustibile produce un inquinamento molto simile a quello prodotto dall’olio combustibile di origine fossile. Anzi, se si tratta di legna la quan-tità di polveri ultrasottili che si forma è nettamente maggiore di ogni altro combustibile fossile, in particolare il metano».

Gli incentivi statali, i tanto discussi certificati verdi, allora non dovrebbero riguardare fonti di energia da biomasse?

«Le biomasse rientrano tra le fonti energetiche che l’Unione Europea (UE) classifica come rinnovabili, il cui uso potrebbe sostituire fonti non rinnovabili quali il petrolio e il car-bone. Tuttavia, nel caso delle biomasse di origine vegetale e animale, la UE raccomanda prudenza per evitare che il loro uso nel campo energetico entri in concorrenza con la pro-

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Bioenergie e biocombustibili sono una fonte pulita di energia? Intervista a Federico Valerio, responsabile del servizio di chimica ambientale dell’Istituto tumori di Genova

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duzione di cibo e con la necessità che il carbonio organico sia costantemente restituito ai campi coltivati, al fine di mantenere la loro fertilità».

Secondo lei gli effetti ambientali provocati da una centrale a biomasse possono in qual-che modo essere paragonati agli effetti provocati da un inceneritore?

«La centrale a biomasse è un inceneritore a tutti gli effetti, nei cui fumi è possibile trovare gran parte degli inquinanti presenti negli inceneritori di rifiuti, comprese diossine e metalli pesanti. Questo risultato non è per niente sorprendente se si pensa che oltre il 60% dei rifiuti urbani è fatto di materiali biodegradabili, ossia biomasse di origine vegetale e animale».

All’interno di una classifica sulle fonti alternative al petrolio e meno impattanti, a che posto metterebbe le biomasse?

«Le fonti rinnovabili meno impattanti dal punto di vista ambientale sono il solare attivo e passivo per produrre calore per usi civili. La produzione di elettricità a impatto chimico nullo è garantita da impianti fotovoltaici, eolici e idroelettrici. Dopo queste fonti per la produzione di elettricità con biomasse l’unica soluzione ragionevole è quella di effettuare preventivi trattamenti biologici delle biomasse, come la fermentazione anaerobica, per de-gradare in metano le grandi molecole organiche (cellulosa, carboidrati, proteine, zuccheri ecc.). Questo metano di recente produzione biologica, una volta depurato e immesso nella rete di distribuzione del gas naturale, è indistinguibile dal punto di vista chimico da quello di origine fossile estratto in Libia e in Siberia e pertanto può essere usato per il riscal-damento, l’autotrazione e come combustibile per centrali di cogenerazione (produzione combinata di elettricità e calore). E il bio-metano, come il metano fossile, è il combustibile meno inquinante di cui possiamo disporre. Tra gli altri vantaggi non produce ceneri, al contrario di quanto avviene con i biocombustibili solidi e liquidi».

Che ne pensa del modello finlandese, definito un esempio perfetto di utilizzo di biomasse derivanti da scarti di lavorazione della carta e del legno per produrre energia elettrica?

«La scelta finlandese e svedese si distingue nettamente da quella italiana, poichè vengono uti-lizzati a scopi energetici solamente gli ingenti scarti della lavorazione del legno. Non mi risulta che in Finlandia e in Svezia l’uso energetico di questi scarti sia incentivato con denaro pubblico.Oltre al cippato di legno, per produrre energia elettrica in Italia si usano oli di mais, di girasole, di soia, di palma, prodotti agricoli sottratti al loro naturale uso alimentare.Senza gli incentivi pubblici, presi dalle bollette della luce di tutti gli italiani, questa grave anomalia, compresa quella di incenerire i boschi per produrre elettricità, cesserebbe im-mediatamente per la sua palese anti-economicità».

Nella letteratura scientifica esistono evidenze che colleghino le emissioni di gas da bio-masse a seri problemi sulla salute umana?

«Nel 2010 l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro, alla luce di numerosi studi epidemiologici condotti anche in Europa, ha classificato il fumo di legna prodotto da stufe e caminetti, come un possibile cancerogeno per l’uomo».

E in che modo possiamo trovare fonti alternative al petrolio, se anche quelle definite pulite hanno effetti negativi?

«La prima fonte alternativa al petrolio è l’efficienza energetica, a cominciare da quella delle nostre abitazioni. Chimici di tutto il mondo stanno lavorando per realizzare le bio-raffinerie, impianti alimentati da scarti agricoli e vegetali non commestibili che potrebbe-ro mettere a disposizione nuove materie plastiche, lubrificanti, carburanti gassosi e liquidi in quantità sufficiente per coprire i fabbisogni presenti e futuri di tutta l’umanità, a patto che essa sia più equa e più sobria».

Problema rifiuti. No all’inceneritore per il residuo secco. No alle biomasse. Ma se le discariche sono ormai al collasso e si rischia un’emergenza, oltre a una buona raccolta differenziata quale potrebbe essere la risposta?

«La scelta prioritaria per gli scarti organici deve essere il compostaggio e la fermentazione anerobica con la produzione di bio-metano da immettere in rete. Il riuso e il riciclo è la rispo-sta intelligente per quanto riguarda i materiali recuperabili. La quota non differenziata, dopo trattamenti di stabilizzazione biologica e separazione delle principali frazioni merceologiche, potrebbe ulteriormente essere recuperata grazie alla nascente “chimica verde”.Ma prima di tutto è fondamentale ridurre di almeno il 10% la produzione di rifiuti pro-capite, dicendo addio a tutti gli inutili oggetti “usa e getta».

Alla fine dei conti l’energia da biomasse potrebbe comunque essere considerata una valida alternativa ai combustibili fossili?

«Come già detto, confronti tra l’inquinamento da combustibili fossili e l’inquinamento da biomasse non evidenziano particolari vantaggi a favore di queste ultime.

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webhttp://federico-valerio.blogspot.comhttp://web.me.com/federico.valerio

pp Federico Valerio, responsabile del servizio di chimica ambientale dell’Istituto tumori di Genova

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Sciare sostenibileÈ tempo di bilanci per Skilift Tenna, l’impianto che funziona a energia solare

elisabetta Cimnaghi

Per gli amanti dello sci che, pur non vo-lendo rinunciare alle divertenti discese, vogliono contribuire alla salvaguardia dell’ambiente, c’è una bella notizia: in Svizzera, in una stazione sciistica nella

Safiental, sopra la località Walser di Tenna, è sta-to inaugurato il primo skilift a energia solare. Si tratta di un progetto assolutamente innovativo e di estremo interesse, in quanto permette di mi-tigare, almeno in parte, gli impatti sul territorio legati agli sport invernali.L’impianto si chiama Skilift Tenna e presenta una lunghezza di circa 450 metri. Le sue ca-ratteristiche di sostenibilità sono riconducibili a una serie di installazioni definite in gergo tecnico “ali solari”, che percorrono l’intera struttura e sono ricoperte da moduli solari per la produzione di energia pulita. Si tratta di elementi che richiedono specifiche proce-dure di gestione e manutenzione, in quanto pesano più di un quintale ciascuno. Inoltre, a differenza di moduli simili applicati in altri contesti, possono essere definite “intelligenti”, perché sono dotate di particolari sensori che permettono loro di orientarsi in maniera automatica verso il fascio di luce nelle giornate di sole e, durante le nevicate, di assumere una posizione verticale per far scivolare via eventuali accumuli di ghiaccio o di altri agenti atmosferici potenzialmente dannosi.Secondo le prime stime, la tecnologia installata è in grado di produrre nel suo complesso un’elevata quantità di energia, al punto che, una volta entrato a regime, non solo sarà pos-sibile rendere autonomo l’impianto di risalita, ma anche utilizzare la restante elettricità per le infrastrutture pubbliche locali. Si è calcolata infatti un’erogazione annuale di circa 90 mila kW/h di energia, di cui 25 mila destinati all’azionamento dell’impianto di risalita.L’inaugurazione è avvenuta lo scorso dicembre, e ora è tempo di bilanci, per comprendere se il progetto sia stato in grado di rispondere alle aspettative che si erano create.Quello che è certo è che si tratta di un interessante filone di ricerca e di applicazione per le ener-gie rinnovabili, in grado di coniugare divertimento e risparmio energetico. Ma non sono man-cate le proteste da parte di gruppi ambientalisti che ne contestano l’impatto paesaggistico. s

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webhttp://wwwcipra.org/it/alpmedia/notizie-it/4539

http://www.solarskilift.ch/

1) Raggiungerelalocalitàsciisticaintreno,organizzarsicongliamiciinmododaridurreilnumerodimacchineintransitonellelocalitàsciistiche

2) Portareavalleirestidelpic-nic,sesidecidedipranzaresullaneve

3) Rispettarelafaunaelavegetazionedelluogo.Seèpresenteun’areadelimitataperproteggerepianteeanimalinonviolarlapernessunaragione

4) Evitareifuoripista.Sonopericolosiperchiliaffrontae,complicitemperature

sempremenorigide,rischianodifavorirel’insorgenzadivalanghe

5) Considerarelapossibilitàdipraticareloscidifondo,chenonrichiedelacostruzionediimpiantidirisalitaepermettedivivereunagiornataimmersinellanatura

Cinque regole d’oro per essere uno sciatore ecosostenibile

Un grande equivoco, alimentato ad arte, è quello di parlare solo dell’anidride carbonica come l’unico problema ambientale da affrontare, a causa degli effetti clima-alteranti di questo gas chimicamente inerte e senza effetti tossici.L’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera del Pianeta a causa dell’uso di combustibili fossili è un problema reale. Ma la soluzione non è quella di limi-tarsi a immettere in atmosfera, con la combustione di biomasse vegetali, la stessa quantità di anidride carbonica che le piante hanno assorbito durante la loro crescita.L’umanità, per garantire la propria sopravvivenza, è chiamata a ridurre drasticamente le attuali emissioni di anidride carbonica, riducendo i consumi energetici pro-capite dei popoli più energivori (USA, Giappone e Europa), interrompendo la deforestazione dell’A-mazzonia, dell’Africa, dell’Indonesia, spesso motivata proprio dalla produzione di bio-combustibili, e sostituendo i combustibili fossili con l’energia solare diretta (fotovoltaico) o indiretta (energia idraulica, energia eolica, correnti marine, moto ondoso, biometano)».

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Archivio Canon - WWF

PROGETTI

Nei limiti di un solo PianetaLABORATORI

PandaLab / Imparare facendo

Anno scolastico 2012-2013. Al via due nuovi programmi del WWF

Mangiare sostenibileIl cibo, come ogni prodotto dell’attività dell’uomo, influisce sulle risorse naturali e sulle nostre condizioni di vita, soprattutto oggi che il nostro pianeta sta subendo cambiamenti molto rapidi e si trova a dovere sfamare oltre sette miliardi di persone. Per poter garan-tire che nei prossimi decenni il cibo sia una risorsa disponibile per tutti bisogna tutelare l’ambiente da cui l’uomo trae le materie prime e l’energia e per farlo occorre prestare attenzione a cosa c’è dietro al cibo che mangiamo.Il modo di pensare al cibo come al risultato di una serie di eventi concatenati tra loro, che hanno effetti sull’ambiente, sulla società e sull’economia, rende il tema della sostenibilità ambientale dell’alimentazione un tema complesso perché può essere affrontato in molti modi diversi a seconda dei fattori di cui si tiene conto: emissione di anidride carbonica e di altri gas serra, emissione d’inquinanti nel suolo, nelle acque, nell’atmosfera, nella pira-mide alimentare, depauperamento delle risorse, quantità di rifiuti prodotti, riduzione della biodiversità e degli equilibri eco sistemici, consumi di energia.Le variabili in gioco sono tante e apparentemente slegate tra loro ma purtroppo tutte quante possono incidere negativamente sulla sostenibilità dell’alimentazione. La sfida con-siste nell’individuare nuovi modelli di consumo alimentare, capaci di migliorare la qualità della vita delle persone nel rispetto dell’ambiente.

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Come affrontare con i ragazzi questi grandi temi solo apparentemente lontani ma legati ai comportamenti di ognuno di noi? Con il programma Nei limiti di un solo Pianeta, educazione alla sostenibilità a tavola il WWF propone alle classi che nell’anno scolastico 2012-2013 s’i-scriveranno all’associazione come Panda Club un kit di materiali didattici e un percorso di lavoro sul legame tra gli impatti ambientali e l’alimentazione. I contenuti del programma completano il percorso iniziato lo scorso anno con la prima tappa del progetto sull’alimen-tazione sostenibile, e vertono principalmente sul tema dei consumi energetici, dei trasporti e della filiera produttiva legata al cibo. Il percorso permette di affrontare in modo chiaro i complessi legami fra energia e alimentazione e alimentazione e agricoltura, oltre ad offrire suggerimenti pratici per una “cucina sostenibile”: dagli arredi ai materiali, dalla scelta dei prodotti alla riduzione degli sprechi. Uno degli elementi centrali del percorso è la relazione tra l’alimentazione e i consumi e gli sprechi di energia, con uno sguardo rivolto anche ad altri paesi del mondo, portando l’attenzione sui temi che legano la filiera ai trasporti, all’u-so di risorse, agli approvvigionamenti energetici, ecc.. Il tutto proponendo una maggiore attenzione ai problemi ambientali e alla riduzione degli sprechi.

Perché l’energia Ogni tipo di sfruttamento delle fonti energetiche ha conseguenze sull’ambiente, in quanto rappresenta sempre un consumo di risorse naturali. Questo si verifica soprattutto nell’uso delle fonti non rinnovabili. I danni ambientali possono essere ulteriormente aggravati dalla liberazione di sostanze gassose (ogni combustione libera anidride carbonica), di scorie ra-dioattive (provenienti dall’uranio) o dall’impatto ambientale di alcune strutture.Attualmente il consumo di energia nel mondo aumenta velocemente, a causa dello svilup-po economico e del crescente tenore di vita “tecnologico” delle persone. Contemporane-amente all’aumento della richiesta di energia da parte della società aumentano anche gli sprechi, che accelerano l’esaurimento delle fonti non rinnovabili.Oltre alla necessità di un intelligente uso delle risorse è quindi fondamentale ricorrere maggiormente alle fonti rinnovabili di energia e diviene indispensabile ridurre gli sprechi.

Alimentazione ed energiaL’alimentazione è l’attività umana che consuma più energia, in termini di risorse e di lavo-ro, e uno tra i principali fattori che generano gas a effetto serra.La produzione alimentare industriale comporta alti consumi energetici in ogni sua fase: dalla coltivazione alla lavorazione, dal commercio al processo di imballaggio, da quello di stoccaggio alla distribuzione. Tra i fattori indiretti che incidono fortemente sul consumo energetico durante il lungo processo che porta il cibo sulla nostra tavola, l’uso di fertiliz-zanti o di pesticidi chimici è quello prevalente.La produzione industriale di un chilo di pane fresco, ad esempio, è il frutto di una serie di processi che richiedono un grande utilizzo di energia: concimi e pesticidi, fertilizzanti, carburante per la trazione e per il trasporto dei prodotti, il mulino per l’ottenimento di farina dal grano, il gas necessario per la cottura, la distribuzione del prodotto finito nei centri di consumo. Nel ciclo di vita del pane tutti questi elementi contribuiscono a un alto consumo energetico.Anche la produzione di carne bovina ha dei costi energetici molto elevati, derivanti prin-cipalmente dalla produzione dei mangimi. È anche quella che contribuisce maggiormente alla produzione di gas serra a causa delle alte emissioni di questi animali.La produzione industriale di un chilo di carne di manzo è il frutto di una serie di processi che richiedono un grande utilizzo di energia: concimi e pesticidi, fertilizzanti per la produ-zione di foraggio necessario all’allevamento dei capi di bestiame, carburante per la trazione e per il trasporto dei prodotti, la distribuzione del prodotto finito nei centri di consumo mediante trasporto su gomma.La disponibilità di energia gioca dunque un ruolo essenziale per il singolo individuo ed è una risorsa essenziale per disporre dei servizi di base e per poter compiere banali azioni quotidiane quali, ad esempio, cuocere i cibi.L’energia, inoltre, sostiene direttamente molti dei processi legati alla catena del cibo: per-mette una migliore e più efficiente gestione dell’acqua, e di ridurre i costi della catena di distribuzione, stoccaggio e trasporto dei cibi.

Archivio Canon - WWF

Nei limiti di un solo Pianeta

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Il programma per le scuoleRivolto alle ultime classi della scuola primaria e a tutto il ciclo della secondaria di primo grado (ma sicuramente adatto anche ai primi anni della scuola secondaria di secondo grado), Nei limiti di un solo Pianeta permette all’insegnante di scegliere fra i temi e le atti-vità proposte per costruire, a seconda dell’area disciplinare e del programma annuale, il percorso più utile per il proprio lavoro. Alle classi che s’iscriveranno sarà inviato un kit di materiali didattici realizzato grazie alla collaborazione con Electrolux:- Un manuale destinato ai docenti che affronta il tema dell’educazione alla sostenibilità a

tavola, proponendo approfondimenti sui contenuti ma anche tante attività concrete- 4 poster, di cui uno in inglese, che coniugano informazione, attivazione e gioco- un DVD multimediale che contiene approfondimenti, numerosi spunti per attività e ri-

cerche, nonché filmati da proiettare in classe, realizzati in collaborazione con Gambero Rosso, ed esperienze interattive come il ”carrello della spesa” che permette di calcolare divertendosi, l’impronta degli alimenti. Nel DVD sono contenute anche le versioni in pdf dei materiali realizzati per le classi nei due anni di realizzazione del progetto

- un glossario in lingua inglese sui principali temi legati all’alimentazione redatto grazie alla collaborazione con Oxford University Press. Uno strumento in più per estendere all’area linguistica il programma e i suoi contenuti

- il kit PANDA CLUB per la classe: le tessere WWF, il cartello classe ufficiale del Panda Club, gli adesivi WWF, l’abbonamento annuale alla rivista Panda Junior

Al programma Panda Club è inoltre associato il tradizionale appuntamento con il concorso WWF – Electrolux, che ogni anno vede l’adesione di centinaia di scuole. Quest’anno il concor-so, in vista della pubblicazione di una Raccolta delle ricette sostenibili dei Panda Club, chiede nuovamente alle classi di ideare alcune ricette sostenibili, amiche dell’ambiente. Maggiori informazioni sul concorso sono scaricabili da www.wwf.it/educazione e www.greenspirit.it.A disposizione delle classi ci sono, infine, due strumenti elaborati dal WWF sul tema dell’a-limentazione:- il sito Internet One Planet Food, la piattaforma WWF dedicata all’alimentazione, con

notizie, consigli pratici, menu sostenibili per l’ambiente e per il portafogli www.onepla-netfood.info (leggi box p. 23)

- le lezioni sull’alimentazione realizzate dal WWF per le Lavagne Interattive Multime-diali (LIM), presenti ormai in molte scuole. Grazie alle LIM il WWF ha infatti inizia-to a rendere disponibile per le scuole il proprio patrimonio di laboratori e progetti (http:// www1.prometheanplanet.com/it/server.php?show=nav.29219)

Una delle novità di quest’anno sono i due laboratori “Panda Lab - Imparare facendo” collegati al tema dell’alimentazione. Inte-ressanti, divertenti e di facile svolgimento in classe. I laboratori sono realizzati dalla rete di educatori ambientali WWF, strut-ture professionali che operano su tutto il territorio nazionale, supportate al meglio da spazi attrezzati e programmi ricchi di spunti e strumenti preziosi pensati per gli insegnanti.

IL TEMPO DELLE MELELaboratorio sul gusto e sulle sensazioni legate al cibo: partendo dalla mela e dai primi laboratori che abbiamo a disposizio-ne, i nostri sensi, si intraprende un percor-so educativo che accompagnerà i ragazzi nello sviluppo di competenze e nell’acqui-sizione di un’attenzione critica e una con-sapevolezza che li porti, naturalmente, a

saper scegliere per il benessere del pianeta e per la propria salute a partire da ciò che si mangia.

LA SPESA AMICA DELL’AMBIENTEIl settore alimentare è considerato uno dei settori di consumo a maggiore impatto ambientale. A volte vale la pena perdere qualche minuto in più al momento degli acquisti e scegliere prodotti il cui ciclo di vita fino al punto vendita abbia seguito una logica di sostenibilità ambientale. “La spesa amica del’ambiente” è un laborato-rio per imparare a riconoscere le caratteri-stiche degli alimenti, tenendo conto della loro provenienza, la stagionalità dei pro-dotti, gli imballaggi, e molto altro ancora.

I laboratori sono offerti alle classi iscritte al Panda Club a un costo ridotto (sconto del 10%).

COME ISCRIVERE LA CLASSE• c/c n° 323006 intestato a WWF Italia –

Onlus via Po 25/c – 00198 Roma, speci-ficando nella causale: “Iscrizione Pan-da Club” e indica chiaramente il nome dell’insegnante referente, l’indirizzo della scuola, la classe che aderisce.

• Iscrivendo la classe online su www.wwf.it/scuole

Per gli insegnanti sono a disposizione una segreteria telefonica dedicata, le pagine di approfondimento su www.wwf.it/scuole e www.wwf.it/educazione , la possibilità di avere un filo diretto con il WWF grazie alla newsletter.

Per saperne di più:www.wwf.it/scuole Segreteria dedicata Tel. 06 84497350e-mail: [email protected]

I Panda Lab Imparare facendo

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Il futuro che inizia oggiRendere individui e comunità coscienti del proprio ruolo nella società e capaci di affrontare i problemi dell’am-biente in modo adeguato, considerando non il qui e oggi ma un futuro a lungo termine e una dimensione territoriale su vasta scala, passa attraverso il senso di appartenenza, a un contesto e a un gruppo, implica la consapevolezza dell’interconnessio-ne tra gli elementi del contesto stesso e delle conseguenze delle proprie azioni.Impegnarsi per un presente e un futuro sostenibili è una responsabilità di tutti e i più giovani sono senz’altro tra coloro che accettano con entusiasmo la sfida di dare il loro contributo per la “natura” e l’“ambiente” in cui desiderano vivere.

Giovani protagonisti per la naturaIl progetto del WWF Giovani protagonisti per la natura (finanziato dal Dipartimento della Gioventù – Presidenza del Consiglio dei Ministri) sottolinea la centralità e l’importanza della dimensione locale nella gestione di un problema globale come la conservazione della natura e mira a far emergere il legame dei giovani con il proprio territorio che è all’origine della responsabilizzazione del singolo e delle comunità nei confronti della natura. Per rag-giungere questo obiettivo non c’è nulla di più efficace del contatto diretto con la natura e il coinvolgimento personale in azioni concrete.A oltre 3 mila giovani tra i 18 e i 35 anni il progetto offre l’opportunità unica di prendere parte alle esperienze di campo in ben 32 Oasi, sotto la guida degli esperti, con escursioni, incontri formativi e attività pratiche sul campo.L’iniziativa è aperta anche ai ragazzi dai 14 ai 17 anni e li invita a uscire, osservare la natura, fotografarla, filmarla, raccontarla e condividere il proprio messaggio e impegno, piccolo o grande che sia, per la sua tutela.

Da un click al campo!Per partecipare alle attività e agli incontri formativi tematici che si tengono presso le Oasi WWF basta iniziare dal web. Il primo passo è navigare sul sito www.giovaniprotagoni-stiwwf.it per scoprire le Oasi, i programmi che propongono e aderire al progetto. L’offerta è ricchissima e rappresenta un’occasione unica per entrare nella natura accompagnati dagli esperti, con un’esperienza di conoscenza diretta e coinvolgente. Ci si cimenterà in osser-vazioni notturne dei pipistrelli, da riconoscere e censire; si apprendereanno e sperimen-teranno tecniche di monitoraggio della biodiversità (es. uccelli migratori) o di fotografia naturalistica; si osserverà e leggerà il paesaggio naturale in contesti parcolari come quello della Reggia di Caserta; si scoprirà come cultura e ambiente si fondano in un luogo straor-dinario come Le Saline di Trapani; si prenderà parte a progetti e interventi per il restauro degli ambienti naturali e alla sfida dei fumettisti per la natura, della cultura dei luoghi nei prodotti locali, della natura nella poesia e della musica nella natura.

Metti l’oasi nei social!I giovani saranno protagonisti in Oasi e sulla rete. Con il progetto si entra a far parte di una comunità che si muove sul proprio territorio ma anche nella “realtà virtuale” dei social network, da Facebook a Twitter, per condividere esperienze, aspettative, sfide.I social e il sito del progetto, arricchiti dalle testimonzianze dei partecipanti (foto, video, racconti, risultati delle attività ecc.) daranno vita a una sorta di “mosaico virtuale” compo-sto dalle voci di chi ha vissuto quest’esperienza nella natura e per la natura ma ha anche idee e proposte per il proprio territorio e intende impegnarsi per promuoverle. Il WWF, infatti, inviterà i Giovani Protagonisti a portare fuori, nel loro territorio di vita, la loro voce in favore del cambiamento: producendo reportage, scrivendo articoli, presentando iniziati-ve o progetti sul loro territorio, evidenziando situazioni di particolare degrado ambientale e opportunità per recuperare luoghi e ambienti di valore.

Inserto redazionale eco n. 6/2012

Testi: Barbara Albonico, Antonio Bossi

In collaborazione con: WWF Italia ONG - ONLUS Ufficio Educazione

Giovani protagonisti per la natura

© Michael Gunter - WWF-Canon

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Fotografie di un mare che cambia“Un Mare di Fotografie”: un evento itinerante lungo le coste italiane, tra specie a rischio di estinzione e cambiamenti dovuti al clima

MassiMo Boyer in collaBorazione con stefano Moretto

L’amore per il mare e per i suoi abitanti è secondo noi un momento irrinunciabile negli sforzi verso la protezione dell’ambiente marino. In quest’ottica nascono i nostri sforzi di raccontare alla gente cosa c’è là sotto, sotto quella superficie blu ondulata che rinfresca la nostra estate, di appassionare e stimolare a un contatto più approfondito, che il più delle volte ha bisogno solo di maschera, tubo per respi-

rare e voglia di muoversi. In quest’ottica è nato “un mare di fotografie”, evento itinerante (.eco e Pianeta azzurro media partner, N.d.R.) che ha avuto come protagonisti due biologi fotografi subacquei e divulgatori, Steven Weinberg (Olandese di nascita, Lussemburghese di adozione) e il sottoscritto.

Snodi

L’evento è nato con il pretesto della raccolta di immagini di organismi mediterranei da parte di Steven, per una nuova edizione del suo libro Decouvrir le Mediterranée la cui uscita è attesa per il prossimo ottobre (edizioni Gap). In giro lungo le coste Italiane alla ricerca di strani animali, abbiamo pensato di non per-dere l’occasione per mostrare alla gente, ai fruitori ultimi del mare, le storie segrete dei suoi abitanti, e lo abbiamo fatto nel nostro consueto stile, attraverso serate nelle quali abbiamo raccontato le nostre immagini a un pubblico sempre attento e interessato.

Ambienti marini straordinari e poco notiIl tour, durato dal 25 giugno al 15 luglio, si è snodato attraverso queste tappe: > Numana, Promontorio del Conero. I più immaginano l’Adriatico come un mare diver-tente, per i locali sulla riviera, ma le acque del Conero sono ricchissime di animali che amano fondali sabbiosi, inconsueti per il fotografo, interessantissimi.

> Siracusa, Area Marina Protetta del Plemmirio. Il profondo sud ci ha offerto incontri emozionanti e immagini spettacolari, il mediterraneo sotto uno dei suoi aspetti migliori.

> Calabria, costa Ionica e stretto di Messina. Un ambiente straordinario per il sub, dove le correnti di marea (che bisogna conoscere bene) trasportano verso la superficie specie viventi in profondità, mettendole a disposizione dei nostri obiettivi. Un sito unico.

> Capo Palinuro. Una storia geologica fatta di movimenti bradisismici, variazioni del livello marino, fenomeni carsici e vulcanesimo secondario (tuttora attivo) offre tutto il

pp Da sinistra a destra: - subacqueo in immersione con attrezzatura Tribord - Palinuro: nella grotta azzurra, in una sala laterale, acque sulfuree formano una bolla contro il soffitto. Batteri solfossidanti filamentosi popolano le acque contaminate, mentre le acque sottostanti, ossigenate, ospitano enormi colonie della madrepora Astroides calycularis - dalla sabbia di Capo Noli emerge il ghigno del pesce lucertola, Synodus saurus

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pp Numana: Il gamberetto Periclimenes amethysteus

pp Subacqueo in immersione con attrezzatura Tribord

campionario delle grotte marine: animali rari e inconsueti, sorgenti sulfuree che alimen-tano bianchi filamenti di batteri solfossidanti, la magia di sale sommerse dove l’acqua ricca di solfuri stratifica al di sopra della normale acqua di mare, formando bolle dove solo i batteri sopravvivono e grazie alla chemiosintesi producono sostanza organica che alimenta giganteschi invertebrati.

> Porto Azzurro, Elba. Il passaggio tra i due mari, Tirreno e Ligure, ci ha regalato acque limpidissime, belle occasioni fotografiche, e una chicca di cui riferiamo a parte.

> Portofino. Il Parco Marino qui ha portato allo sviluppo di una comunità ittica straor-dinaria, ci immergiamo lungo le pareti ornate dal mitico corallo rosso e siamo avvolti da banchi di saraghi, barracuda, enormi dentici predatori. E cernie ovunque, di tutte le taglie.

> E concludiamo in bellezza tra l’isola di Bergeggi, piccola ma magnifica riserva marina, e i fondali sabbiosi di Capo Noli, dove ritroviamo un paesaggio simile a quello dell’inizio, dove fondali di solito non considerati si rivelano come casa di molteplici animali strani e bizzarri.

> Ricordiamo doverosamente i diving center che ci hanno ospitato e accordato il loro aiu-to, prezioso e unico: rigorosamente in ordine di apparizione, Centro Sub Monte Cone-ro, Numana; Ognina Diving Center, Siracusa, Megale Hellas Diving Center, Marina di Gioiosa Jonica; Palinuro Sub, Palinuro; Biodivers, Porto Azzurro; B&B Diving Center, Camogli; Divenjoy, Noli. Ringraziamo Tribord, sponsor tecnico della manifestazione, e Kudalaut viaggi per gli aspetti organizzativi.

Alla ricerca del cavalluccio perdutoIl cavalluccio marino o ippocampo è un pesce, dalla forma stranissima e destinato ad ave-re vita difficile. La scarsa mobilità, la monogamia, il sistema riproduttivo molto particola-re (il maschio incuba le uova in un marsupio ventrale), la fortuna che esemplari dissecati incontrano come macabro souvenir di una vacanza balneare, il consumo in aumento sui mercati orientali dove, essiccato e sciolto in una tisana, viene considerato un afrodisiaco (in modo del tutto infondato), l’uso sconsiderato degli ambianti costieri che ama frequen-tare, hanno portato a una riduzione delle popolazioni fino all’inclusione di tutto il genere Hippocampus nell’elenco delle specie minacciate di estinzione. Ebbene, il tour di Un Mare di Fotografie ci ha portato all’incontro con le due specie viventi in Mediterraneo (Hippo-campus guttulatus e Hippocampus hippocampus) in ben 5 delle nostre 7 sedi di tappa: Numana, Plemmirio, Marina di Gioiosa Jonica (e lo Stretto), Palinuro, Capo Noli. Non possiamo considerarlo il risultato di un campionamento fatto con metodi scientifici, ma per noi è una buona notizia.

Cronaca di un cambiamento annunciatoIl Mediterraneo sta cambiando. Il clima mondiale cambia, e ne promuove la tropicaliz-zazione, cioè un aumento delle temperature e l’accentuazione di fenomeni stagionali. Tre elementi biologici sono assieme indicatori e effetti di questo cambiamento in corso.Specie ad affinità calda, un tempo limitate al bacino meridionale (coste Africane, Sicilia) migrano verso nord espandendo il loro areale di distribuzione. In seguito all’apertura del canale di Suez, specie del Mar Rosso (i cosiddetti migranti Les-sepsiani) si espandono in Mediterraneo.Specie dell’Atlantico tropicale penetrano attraverso Gibilterra e si ambientano con una frequenza sempre maggiore.Fa parte di quest’ultima categoria il pesce chirurgo Acanthurus chirurgus che abbiamo avvistato all’Isola d’Elba. Specie Atlantica, diffusa lungo le coste africane, evidentemente una larva è stata portata dalle correnti fino all’isola toscana, dove si è sviluppata. Quando lo abbiamo visto per la prima volta, cercava di passare inosservato nuotando tra i saraghi, simili almeno per forma e taglia.Ma questo avvistamento, primo e unico per questa specie, non è la base più solida per parlare del cambiamento in corso: piuttosto dovunque nel nostro giro abbiamo osservato una presenza costante e massiccia di un’alga, Caulerpa racemosa. Specie diffusa in tutti i mari caldi, è considerata un migrante lessepsiano ma gli esemplari presenti in Mediter-raneo potrebbero anche aver formato ibridi con le popolazioni dell’Atlantico. Da non confondere con Caulerpa taxifolia, l’alga assassina di cui tanto si parlò negli anni ’90, le tipiche formazioni a acino di Caulerpa racemosa e la fitta trama basale di preudorizomi stanno modificando dovunque il nostro paesaggio sommerso. s

Eventi

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Il paradosso dell’acquaÈ abbondantissima eppure manca. Il significato del water footprint (WF) dei prodotti. Un metodo ancora aperto, ma di grande utilità e interesse

Marco Dettori e Gian anDrea BlenGini

L’acqua è una risorsa fondamentale per il pianeta, tuttavia spesso è disponibile in modo limitato. Oggi nel pianeta vivono circa 7 miliardi di persone dei quali 1,3 mi-liardi non ha accesso all’acqua potabile, mentre per 2,6 miliardi mancano i servizi sanitari di base. Infatti, nonostante la superficie della Terra sia coperta per il 70% da acqua, solo il 2,5% è acqua dolce, e di quest’ultima solo una parte è facilmente

disponibile per gli usi umani.Secondo uno studio pubblicato nel 2009 dal “2030 Water Resources Group1”, nei prossi-mi anni la domanda di acqua aumenterà ogni anno del 2%, principalmente a causa della crescita della popolazione e della crescita economica che si riflette in un aumento della produzione agricola e industriale. Se supponiamo che questo tasso di crescita continuerà, la domanda globale dell’acqua nel 2030 sarà quasi il doppio di quella del 2005 e il 40% superiore alla disponibilità di acqua dolce per l’uomo, stimata in funzione di vincoli di accessibilità, affidabilità, sostenibilità.È quindi di estrema importanza disporre di strumenti di misura di tipo quantitativo che permettano di gestire propriamente le risorse idriche. Dal punto di vista generale esistono almeno due “difficoltà intrinseche” alle quali bisogna far fronte nella valutazione della risorsa idrica: >> l’acqua non è propriamente “consumata”: per essere più precisi essa entra in circolo nel cosiddetto “ciclo dell’acqua”, che è globale

>> la disponibilità di acqua varia largamente secondo il periodo dell’anno considerato e della collocazione geografica

Il water footprint (WF) o “impronta idrica”, introdotto nel 2002 dal Prof. Arjen Y. Hoekstra dell’Università di Twente (Olanda), fornisce una metodologia per la valutazione della quantità di acqua che viene utilizzata dall’uomo nelle sue attività. Hoekstra è il diret-tore scientifico del Water Footprint Network (www.waterfootprint.org), un’organizzazio-

Impronta idrica

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ne no-profit nata nel 2008 dalla volontà delle principali organizzazioni coinvolte sul tema “risorse idriche” al fine di coordinare le attività realizzate in questo ambito, diffondere conoscenza sui concetti riguardanti il Water Footprint, le relative metodologie di calcolo e gli strumenti utilizzati, nonché promuovere un uso sostenibile, equo ed efficiente delle risorse idriche mondiali di acqua dolce.

A caccia di impronteIl WF fa parte di una più ampia famiglia di concetti “impronta” (ricordiamo il carbon footprint e l’ecological footprint) che mirano a esprimere le pressioni sull’ambiente cau-sate dall’uomo. Il suo calcolo può avere differenti scopi e può essere applicato a contesti differenti: per un processo, un prodotto, un consumatore o un gruppo di consumatori, all’interno di un’area geografica, per un’azienda, per un particolare settore, per l’intera

umanità intesa in senso globale. Il water footprint di un prodotto è il volume di acqua dolce utilizzata in tutta la filiera produttiva. È dato dalla somma di tre contributi: il blue, il gre-en e il grey water footprint.Il blue water footprint si riferisce al consumo di acque superficiali e sotter-ranee.Il green water footprint si riferisce al consumo di acque meteoriche. La va-lutazione della green water è partico-larmente importante per i prodotti agricoli, nei quali ha un peso rilevante. Inoltre permette di capire la quantità di acqua proveniente dall’irrigazione (blue water) e la quantità di acqua pro-veniente dalle acque meteoriche.È importante precisare il significa-to di “consumo di acqua” su cui si basa l’intera metodologia proposta da Hoekstra: si intende la perdita di ac-qua per evaporazione, incorporazione in un prodotto, migrazione in un altro bacino idrografico (l’acqua viene pre-levata da un bacino e rilasciata in un

altro bacino idrografico o nel mare). Attraverso questo concetto di consumo la teoria di Hoekstra “supera” quindi la prima “difficoltà intrinseca”.Oltre al green e al blue water footprint, Hoekstra ha introdotto il concetto di grey water footprint, con lo scopo di esprimere l’inquinamento idrico in termini di volume inquinato. È definito come il volume d’acqua necessario per riportare il carico di inquinanti entro gli standard di qualità ambientale.Il grafico in Fig. 1 sintetizza il WF di alcuni prodotti. Come è stato detto il WF di un prodotto si ottiene sommando tutte le quantità di acqua consumate durante i processi che portano alla sua produzione.

Quanta acqua in un bovinoAd esempio si prenda in considerazione il WF della carne di bovino: ben 15.500 litri di acqua/kg di carne. Tale valore è ottenuto dividendo il WF di un bovino nell’arco della sua vita (di 3.100.000 litri) per il peso della carne dell’animale (circa 200 kg). In realtà dei 3.100.000 litri solo l’1% è dovuto all’effettivo consumo di acqua dell’animale (ab-beveraggio e manutenzione dell’animale) mentre il 99% proviene dal WF degli alimenti che l’animale assume nell’arco della sua vita, costituiti da prodotti agricoli (questo spiega anche l’elevata percentuale del green WF sul totale).Considerando gli altri contesti, il calcolo del WF si esegue secondo un approccio “a scato-le cinesi”: il WF di un consumatore sarà uguale alla somma dei WF dei prodotti consuma-ti dal consumatore. Il WF di una comunità è uguale alla somma dei WF dei suoi membri e così via dicendo.

pp Fig. 1. Il water Footprint dei prodotti. Dati estratti da: http://www.waterfootprint.org

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I valori forniti dal gruppo del Water Footprint Network hanno un significato fisico (volu-me di acqua) e rappresentano una misura dell’”appropriazione di acqua dolce” da parte dell’uomo. Il WF fornisce una buona base per studiare l’utilizzo equo e sostenibile dell’ac-qua ma, come precisano anche Hoekstra e colleghi, non rappresenta una misura della severità dell’impatto ambientale locale.

I danni indottiQuando si parla di impatti dovuti all’utilizzo di acqua non ci si riferisce solo all’inquina-mento dell’acqua (ad esempio eutrofizzazione, ecotossicità). In realtà esistono anche degli impatti dovuti al solo consumo di acqua, il quale porta a una ridotta disponibilità idrica e quindi ad impatti che possono essere ambientali, sociali ed economici. Pensiamo ad esem-pio alla perdita di habitat naturali, alla nascita di veri e propri conflitti per il controllo dell’acqua, a epidemie legate alla mancanza di servizi igienici sanitari di base, alla crisi di settori economici che utilizzano le risorse idriche per le loro attività ecc..Proprio in questo contesto si inseriscono i numerosi studi dei gruppi di ricerca del settore LCA (Life Cycle Assessment), sul WF. La metodologia LCA è uno strumento ambientale ormai riconosciuto che si propone di valutare gli impatti ambientali durante tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto “dalla culla alla tomba”. A oggi, la metodologia LCA considera l’acqua solo negli impatti dovuti allo scarico di acque reflue (si valutano gli effetti dannosi delle sostanze chimiche nel ciclo dell’acqua) ma non vengono considerati gli impatti relativi al consumo di acqua. Negli ultimi anni sono stati fatti molti sforzi in questa direzione e sono stati pubblicati diversi articoli in merito all’introduzione di una metodologia che permetta di valutare il consumo di acqua nel ciclo di vita dei prodotti. Le metodologie sviluppate sono svariate, alcune più complesse, altre più semplici e intuitive. Alcune si basano sui concetti introdotti da Hoekstra che poi vengono adattati alla meto-dologia LCA. Tuttavia ancora non esiste una metodologia standardizzata.

Differenti contestiSostanzialmente le metodologie LCA relative al WF si propongono di rappresentare l’im-patto ambientale locale dovuto al consumo di acqua inserendo il volume di acqua consu-mata nel contesto di disponibilità della risorsa idrica locale, il quale varia a seconda del periodo dell’anno e della località considerata (seconda difficoltà intrinseca). Facendo un esempio questo significa che 1 m3 di acqua prelevato in Egitto non avrà lo stesso peso in termini di impatti ambientali di 1 m3 prelevato in Brasile. Se poi immaginiamo di voler rappresentare l’impatto di prodotti composti da varie componenti (pensiamo ad esempio a un’automobile), realizzate in località e periodi dell’anno differenti si può comprendere come la questione sia tutt’altro che banale. Alcuni ricercatori del settore LCA sostengono che un approccio che considera i soli valori vo-lumetrici non permette di confrontare due prodotti dal punto di vista degli impatti ambientali. In altre parole questo significa che un prodotto con un minore WF può essere “peggiore” dal punto di vista degli impatti ambientali di un prodotto con un WF più alto e in un’ottica di sensibilizzazione del problema idrico, tali valori potrebbero risultare fuorvianti. Ad esempio prendiamo in considerazione i pomodori, che hanno un WF piuttosto basso (214 l/kg). Ven-gono coltivati tipicamente in regioni con un clima secco, e per questo contribuiscono notevol-mente alla scarsità idrica locale, limitando la disponibilità di acqua per l’uomo e per l’ambien-te. La loro produzione può determinare quindi impatti ambientali maggiori di prodotti che invece presentano un WF più elevato inserito in un contesto idrico differente.Secondo Hoekstra e colleghi invece, che hanno un approccio legato alla gestione globale delle risorse idriche, la valutazione degli impatti ambientali locali dovuti all’utilizzo di ac-qua è solo una parte della questione idrica, che ignora la più grande questione della scarsi-tà idrica globale: considerando l’appropriazione di acqua da una prospettiva globale non è importante sapere se l’acqua è stata prelevata in una zona con scarsità idrica o meno, in quanto il prelievo viene riferito alle risorse idriche globali che comunque sono limitate.Il WF risulta quindi un argomento ancora in fase di studio e discussione ma di grande attualità e importanza. s

Hoekstra A., Chapagain A. & Aldaya M., The water footprint assessment manual, 2011

Dettori M., Water Footprint e LCA, analisi metodologica e applicazione alle filiere agroalimentari (tesi di laurea), Politecnico di Torino, 2012

LIBRI

1 “2030 Water Resources Group”: è un organizzazione costituita nel 2008 per fronteggiare il problema sempre più critico della scarsità delle risorse idriche. Ne fanno parte organizzazioni di settori privati e sociali, che forniscono una collaborazione istituzionale e di consulenza (tra cui The International Finance Corporation - IFC; McKinsey & Company, The Barilla group e The Coca-Cola Company).

pp Per produrre un chilo di carne bovina sono necessari 15.500 litri di acqua

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Slow down and green upIntervista a Diane Coyle, autrice del libro Economia dell’abbastanza

sara francesca lisot

“Gestire l’economia come se del futuro ci importasse qualcosa” è il sottotitolo che racchiude in nuce il senso della ricerca di Diane Coyle, esposta nel suo li-bro Economia dell’Abbastanza, presentato in occasione dello scorso Festival dell’Economia di Trento. È un’espressione che fa sorridere se pensiamo alla (non) considerazione del futuro che hanno l’istruzione e la politica, per non

parlare degli istituti finanziari. Eppure questa generazione vive il momento storico in cui è necessario fare una scelta: raccogliere dal passato solo il buono e modificare invece tutti i metodi e i processi che hanno fatto la gioia di pochi e il danno di molti. Il XX secolo è stato come una grande festa, in cui abbiamo “preso in prestito” in maniera massiccia le risorse naturali e umane, ora dobbiamo recuperare le redini e pensare all’avvenire, che si prospetta di assoluta incertezza di fronte all’enorme debito finanziario e ai cambiamenti climatici sempre meno prevedibili.

L’atteggiamento della Coyle non è da ambientalista radicale, né da sostenitrice incantata della decrescita. Di formazione economista, l’autrice rinnova la fiducia nella teoria eco-nomica tradizionale, ponendo l’accento sulla diretta connessione tra crescita economica e lavoro e, dall’altra parte, tra aumento della disoccupazione e relativa diffusione della povertà e di attriti sociali. Un modo per limitare i danni ambientali senza rinunciare alla crescita è, ribadisce, quello di concentrare lo sviluppo sulle professioni creative, legate al mondo della comunicazio-ne, dell’arte e – non per ultimo – dell’istruzione. «I benefici delle economie avanzate non si misurano più in termini di ulteriori oggetti materiali, ma piuttosto di una varietà di esperienze possibili e opportunità di realizzazione personale. L’economia “senza peso” sta diventando più interessante e soddisfacente rispetto a quella materiale». A Trento le abbiamo chiesto se dal suo punto di vista ora bisogna crescere o decrescere? «Crescita e PIL sono importanti, dal momento che in assenza di questi le persone iniziano a perdere il lavoro – è stata la sua risposta –. Non c’è più creazione di posti di lavoro e la disoccupazione sale: sappiamo che ciò non ci piace e non ci rende felici. Il fatto che la crescita non renda felici è un falso mito, al contrario la crescita produce lavoro e quindi felicità. È altrettanto vero che è il momento di trovare nuove strade per continuare ad andare avanti senza sfruttare indiscriminatamente le risorse come abbiamo fatto finora. Questa è la grande sfida, ma credo che saremo in grado di affrontarla a testa alta».Il catalogo delle sfide elencate nel libro prevede cinque ambiti: felicità, natura, futuro, giu-stizia e fiducia. Niente di nuovo è aggiunto al dibattito sulla felicità: riconosciuta come il fine dell’esistenza di ogni uomo, è dato per scontato che essa sia definita da canoni dettati da implicazioni personali e culturali. Il rispetto della natura è imprescindibile. In inglese

Intervista

pp L’autrice all’incontro di presentazione del libro

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si usa dire “Slow down and green up”, che in italiano si può rendere con la traduzione (meno d’effetto rispetto all’originale) “Vai più piano e diventa più verde”, nel senso di rallentare i ritmi di produzione e di consumo e renderli più sostenibili. La visione del futuro è strettamente correlata al presente, tutto ciò che usiamo lo prendiamo in prestito dai nostri figli: per questo è necessaria una visione di lungo termine per le organizzazioni politiche, le istituzioni e gli organi di istruzione, che ora manca totalmente. La giustizia è alla base della moralità (riprendiamo il concetto più avanti). Il nostro mondo sempre più complesso richiede una dose di fiducia nelle istituzioni sempre maggiore per poter andare avanti. Tuttavia la realtà ci restituisce un’immagine inversa, in cui, in particolare a partire dal fallimento di Lehman Brothers, nel 2008, consideriamo “normale” non avere più fiducia nelle banche né nell’organizzazione politica, e stiamo iniziando a perdere anche quella nelle istituzioni sociali. Ma questo rende impossibile “salvaguardare il futuro”. «Dappertutto si può avvertire il senso della crisi, si riflette nel pubblico cinismo verso la politica ed è rafforzato da un sentimento di urgenza – sottolinea Coyle –. È urgente fare qualcosa per l’ambiente, è urgente fare qualcosa per lo stato dell’economia».Proseguendo nella lettura del libro, il quadro di depredazione del capitale sociale, finan-ziario ed ecologico dipinto dall’autrice è sconcertante. Le economie occidentali si sosten-gono solo grazie a imponenti “iniezioni di credito”, provenienti da paesi come la Cina, e allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali che prendono in prestito dal futuro. Nella visione dell’economista, il capitalismo è un ingegnoso strumento, molto flessibile, per generare ricchezza e dare una parvenza di ordine alla complessità della vita moderna. Ma col recente abbattimento del mito del mercato libero sono state tagliate le radici che tenevano legato il capitalismo a una legittimazione sociale, causando sostanzialmente un’unica grande crisi: la mancata fiducia nel governo.Riprendendo il principio dell’importanza della legge morale, sottolineato a più riprese, l’autrice auspica il ritorno a un senso di giustizia che guidi le azioni economiche, a una moralità insita nell’economia e non tenuta separata e nascosta. È importante che ciascu-no si renda responsabile delle proprie azioni e soprattutto delle conseguenze delle stesse, ricordandosi di appartenere a un sistema polifunzionale in cui le ambizioni individuali vanno a scapito dell’organicità generale. «In quasi tutte le attività e le organizzazioni è praticamente impossibile isolare il contributo apportato da ogni singolo alle performance e al profitto dell’azienda, perché le complesse organizzazioni moderne dipendono tutte dal lavoro di squadra e dai contributi collettivi. Se alcuni individui si distinguono. Posso-no essere ricompensati nel modo tradizionale, attraverso periodici aumenti di stipendio e promozioni». Coyle punta il dito contro l’iniquità delle retribuzioni e l’immoralità della distribuzione del reddito. Ma come si fa a parlare di “economia morale”? «Per intere generazioni abbiamo pensato che fosse possibile separare il piano morale da quello propriamente economico – spiega –. Fondamentalmente è stato questo l’errore che ci ha portato dove siamo oggi. La so-stenibilità e il successo di un’azienda, una banca o un’intera economia sono direttamente legate a un sistema valoriale che ne guidi le finalità e ne affermi il ruolo all’interno della comunità. Ora la crisi ci obbliga a riscoprire tali valori, a domandarci quale sia il senso di ogni azione economica e a definire chiaramente quali siano i vantaggi apportati alla società nel suo complesso».Siamo abituati a mettere l’economia e la morale in due categorie diverse. L’economia dell’abbastanza invita, al contrario, a pensare più seriamente alle conseguenze delle no-stre azioni e a mettere in discussione il ruolo sociale di ciascuno di noi all’interno di una comunità più equa e sostenibile. s

Diane coyleEconomia dell’Abbastanza Gestire l’economia come se del futuro ci importasse qualcosaEdizioni Ambiente, 2012

Diane Coyle è un’economista inglese, attualmente a capo dell’agenzia di consulenza Enlightenment Economics, da lei fondata. Laureata prima a Oxford poi ad Harvard, con una tesi di dottorato sull’andamento delle parabole di stipendio e lavoro nell’industria manifatturiera, ha ricoperto per diversi anni la carica di consigliere economico strategico per il BBC Trust (l’ente governativo della BBC – British Broadcasting Corporation). Dal 1993 al 2001 si è occupata della rubrica economica della testata The Independent, periodo durante il quale ha iniziato ad appassionarsi alla scrittura divulgativa e ha alimentato il suo desiderio di comunicare i concetti economici in modo da renderli accessibili a tutti, dal momento che essi hanno un impatto notevole sulla vita delle persone. Economia dell’Abbastanza, edito in Italia da Edizioni Ambiente, è il suo quarto libro.

L’autrice

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Montagna e uomo: trame di un rapportoA Trento il Forum sulla montagna organizzato da Greenaccord. Tra antropologia, spiritualità, architettura e ambiente

elisaBetta Gatto

Uno sguardo alle Dolomiti sullo sfondo e senza indugio si è capito che non poteva esserci luogo più adatto per parlare di montagna: questo il fil rouge del forum organizzato da Greenaccord a Trento dal 14 al 17 giugno. Sorprendenti sono state le diverse letture dei relatori intervenuti, un variegato pa-nel di esperti, che ne hanno messo in luce gli aspetti antropologici, spirituali, archi-

tettonici, ambientali, con un’attenzione particolare per il futuro sostenibile della montagna.

Prospettive spirituali e paesaggio culturaleImmediato è stato il richiamo all’ascesa, anche metaforica, dell’uomo di fronte alla vetta. «In montagna il riferimento al trascendente è più facile – osserva Piero Rattin, biblista –. Il monte è l’emblema del dono di sé, del sacrificio. Gli uomini lassù si sentono fratelli. Eppure la ricerca di Dio in queste solitudini assimila la fede all’evasione: occorre calare l’incontro nel quotidiano, perché Dio ama abitare nell’ordinaria quotidianità di tutti e di ciascuno. Sulla vetta, dove l’aria racchiude profumi antichi, l’orizzonte si fa più ampio e lo sguardo può correre lontano. La montagna offre un punto di vista diverso». Una nuo-va prospettiva più che una fuga dal mondo: occorre superare la contrapposizione tra la montagna come spazio dell’evasione e la montagna come luogo di residenza, considerato da molti un ambiente troppo difficile da vivere.

pp Il raggiungimento della vetta è da sempre legato al cammino spirituale che l’essere umano compie nel corso della sua esistenza

Greenaccord

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Annibale Salsa, antropologo, ricorda come sia stato idealizzato il mondo delle vette e pa-rallelamente trascurata la montagna vissuta, quella dei montanari. Ma la montagna non è un ambiente naturale, è un paesaggio abitato: non esiste un paesaggio naturale sulle Alpi, è tutto culturale e frutto di millenni di storia. «Senza la sua gente, la montagna è morta» afferma Mauro Gilmozzi, assessore all’urbanistica della Provincia Autonoma di Trento. «È importante, dunque, rilanciarne l’abitabilità. Non è pensabile al giorno d’oggi che un ragazzo da Trento debba impiegare due ore per raggiungere in automobile Canazei: è quello che ci si mette per raggiungere Londra con un volo a basso costo!».Per Ugo Morelli, docente di Psicologia del lavoro e dell’organizzazione, il paesaggio non è un contorno, né uno sfondo, ma è la forma della vivibilità dove muoverci e immaginare: «il paesaggio è una “lingua madre”, che esige da noi che ne acquisiamo consapevolez-za. Da quando siamo diventati esseri simbolici, l’equilibrio tra le diverse componenti del sistema vivente sul pianeta è stato sfavorevole alla natura. La storia della presenza dell’uomo sulla Terra è quella del tentativo di difendersi da essa, da cataclismi e da altre specie. Stiamo passano dalla vivibilità contro la natura all’alleanza con la natura come condizione della vivibilità. Occorre sviluppare una “cultura della finitudine” contro la crescita indiscriminata. Pensare al vincolo non come a un ostacolo, ma come a un requi-sito indispensabile». L’aspirazione di uno sviluppo senza limiti è controproducente, così come la nostalgia di un passato che non è mai esistito: rivisitare le buone pratiche di ieri, senza passatismo, invece, può essere una buona soluzione, come dimostrano i fenomeni neo-rurali e i nuovi modi di vivere la montagna, grazie alle nuove tecnologie, alla banda larga e al terziario avanzato.A partire dal ’96 in Italia si è arrestato l’esodo dalle montagne ma, benché non sempre sia riconosciuta la loro funzione economica e sociale, pastori e agricoltori non hanno più un ruolo marginale: nella nuova economia della montagna, talvolta a fare i pastori sono giovani laureati addestrati a questo mestiere. Il recupero e la valorizzazione della tradizio-ne, infatti, non devono essere interpretati come un invito all’immobilismo: al contrario, la memoria, intesa come “presente ricordato” per citare Gerard Edelman, è un processo dinamico. La montagna non deve diventare una riserva indiana, occorre proteggerla senza congelarla: non si deve separare nettamente lo spazio sacro, dove ricaricarsi, dallo spazio quotidiano, fatto di degrado. Milioni di persone, come afferma Paolo Castelnovi, archi-tetto e docente al Politecnico di Torino, hanno come loro paesaggio luoghi privi di identi-tà, mentre è nostra responsabilità sacralizzare il legame uomo-natura perché siamo parte del Tutto. L’architetto Enrico Ferrari invita a compiere interventi per aumentare lo spazio del sacro per ridare dignità a un luogo: perché davanti a una chiesa, che nelle comunità montane è il fulcro del nucleo abitato, si sono costruiti parcheggi, si sono posizionati cas-sonetti dell’immondizia? È un’invasione dello spazio del sacro.C’è anche, però, chi ricorda le buone pratiche nel rapporto uomo-natura: Francesco Pe-tretti, biologo, noto per la sua collaborazione a Geo&Geo, ha raccontato che grazie all’intervento dell’uomo nel 1922 è stato reintrodotto lo stambecco sulle Alpi e oggi ce ne sono circa 100 mila esemplari; una comunità di ornitologi si è preoccupata di reinserire il gibeto, estinto nel 1913, e negli anni ’80 nei giardini zoologici di tutto il mondo sono state allevate in cattività numerose coppie perché si riproducessero.

Contro il mito della facile conquistaLa montagna ha tanto da insegnare all’uomo, se questi ha la volontà di ascoltarla. Annibale Salsa, antropologo, ha individuato tre sindromi dell’uomo di fronte alla montagna: quella di Anchise, che rimanda alle popolazioni che hanno dovuto lasciare le terre alte e “portare sulle spalle” gli anziani e il peso dell’abbandono; quella di Serse, che sconfina nella maledi-zione della natura, matrigna, terra della malora; e quella di Icaro, che ricorda la voglia di salire sulle più alte vette senza tenere conto del limite ontologico dell’uomo.Con profonda umiltà, gli alpinisti non parlano di conquistare la vetta, bensì di raggiun-gerla: la conquista odora di presunzione e non si adatta allo spirito della gente di mon-tagna. Sergio Martini, che ha scalato tutte le quattordici vette superiori agli 8000 metri, suggerisce che la scalata può essere una conquista di conoscenze. «Si è perso il senso dell’ascesa – lamenta Martini –. Oggi il turismo d’alta quota è proposto dalle agenzie di viaggio: con 50 mila euro è possibile raggiungere gli 8 mila metri dell’Everest, grazie all’aiuto degli sherpa e agevolati da scale e funi lungo il percorso. Ma è l’incertezza che stimola l’alpinista: non si sa mai se si raggiungerà la meta. Dunque la promessa di una conquista facile è fuorviante».

pp Annibale Salsa, antropologo, ricorda l’importanza culturale dell’antropizzazione alpina

pp Un momento del convegno, in cui si è discusso anche degli impatti ambientali del turismo montano

Greenaccord

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È d’accordo Gianluigi Bozza, vicepresidente del Trento Film Festival: «la presunzione di superiorità occidentale, di matrice coloniale, si è tradotta nell’idea che la meta sia la vetta e che tutto ciò che c’è in mezzo siano ostacoli. Mentre in montagna spesso uno va a cercare ciò che c’è dentro di sé e magari scopre che non gli piace affatto». L’e-scursionismo e l’ascesi hanno lo stesso vocabolario: si parla di meta, di scorciatoie, di salita. Sono accomunati dalla stessa essenzialità di equipaggiamento e di stile. Franco De Battaglia, storico e giornalista, racconta che in montagna si è in un tempo e in uno spazio diversi, dove la fatica non è qualcosa da esorcizzare, bensì una componente fon-damentale, il passaggio obbligato per guadagnarsi da vivere, che nulla ha a che vedere con lo sforzo ludico dello sport in alta vetta. «Il mito della facile conquista è la nega-zione del mito» ribadisce Nadio Delai, sociologo. «Ho letto di un ingorgo sull’Everest: 410 esploratori che sgomitavano per salire. È questo l’effetto prodotto dalle offerte low cost delle scalate, che hanno spesso conseguenze tragiche. C’è un’ansia consumista del superamento del limite. E prevale la montagna dell’offerta indistinta, perché c’è un’incapacità di godere delle differenze: è rassicurante per il turista trovare ovunque il wellness e il fitness dello stessa matrice. La cultura della montagna oggi passa attraverso la virtualità: vince la montagna ‘parlata’ attraverso le riviste, i documentari, i cataloghi, rispetto a quella “giocata”. E poi non smetto mai di sorridere quando vedo il turista con le infradito sulle Dolomiti!».Sarebbe più prudente avvicinarsi alla vetta con il rispetto che si ha per un divieto. Lasciar-si scuotere dallo sgomento dell’infinito, come suggerisce Vittorio Brunello, ex direttore de L’Alpino, piuttosto che farsi conquistare dal fascino dell’inabitabile, riconoscendo che la montagna è di chi la abita, non è come la vorremmo noi. E dovremmo andarci con l’at-teggiamento di chi la vive. Per intenderci, non con un suv. s

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Italia sconvolta

tiziana carena, francesco inGravalle

Per un’ecologia della mente

Il sisma dell’Emilia-Romagna ha portato alla luce un nodo di problemi che lo Stato ita-liano si trascina dietro da molto più tempo di quanto si penserebbe: dal terremoto della Calabria del 1905 ai terremoti del Belice del 1968; dal terremoto del Friuli del 1976 a quelli dell’Irpinia del 1981 e dell’Aquila, recentissimo. Il problema, ovviamente, non è prevedere i terremoti, bensì gestire le emergenze e la prevenzione in materia di costruzioni anti-sismiche. L’esempio del Giappone è particolarmente istruttivo, ma potrebbe essere inefficace a causa delle differenze culturali e istituzionali con il nostro paese.In mancanza di una cultura ecologica di ampio respiro, ancora da affermare fattivamente e compiutamente nelle pratiche istituzionali, l’Italia disponeva di un centralismo di cui abbiamo imparato a parlare molto male nell’ultimo ventennio, ma che, per quello che riguarda i vincoli ambientali per le costruzioni, è stato sufficientemente “occhiuto” fino alla metà degli anni sessanta dello scorso secolo. Il suo progressivo declino ha facilitato la speculazione edilizia, la costruzione facile, le licenze edilizie “contrattate”. Certo, il decli-no del centralismo non ha creato le premesse per la speculazione edilizia; anche quando esso era vigoroso e forte la speculazione avanzava. Ma è chiaro che il progredire delle autonomie locali senza contrappesi di una cultura ecologica ha rimosso un certo numero di ostacoli. Abbiamo visto fiorire caseggiati in riva ai fiumi ben più vicino alle loro rive di quanto consigliassero i detti dei “vecchi”. Ora constatiamo che una parte del nostro patrimonio edilizio di importanza storica non è stato messo in sicurezza (beninteso: nei limiti del possibile che soltanto gli esperti possono configurare) o è stato lasciato andare in rovina (come la “Casa del gladiatore” di Pompei).Peraltro, la speculazione edilizia non ha risolto il problema della casa, attualmente as-sillante; né abbiamo edifici scolastici “messi in sicurezza”, come testimoniano numerosi episodi che popolano le cronache quotidiane. Il problema è di cultura istituzionale. Vi sono due modi di gestire il bene pubblico: o il controllo quanto più efficace possibile da parte dell’autorità centrale, oppure il controllo esercitato dalle autorità locali (il modello “francese” o il modello “tedesco” o “nord-americano”, per semplificare). Troppo spesso il centralismo italiano è stato complice di potentati locali e troppo spesso si è presentato il localismo come soluzione dei problemi amministrativi. Il sisma dell’Emilia-Romagna evidenzia un problema di cultura istituzionale e ambientale. Un terremoto non si può propriamente prevedere ma se ne possono limitare le conseguenze affrontando una buona volta il censimento dei beni immobiliari a rischio e l’affermazione delle regole di costru-zione antisismica degli edifici industriali. Un’opinione pubblica ecologicamente informata può far progredire il decentramento amministrativo nel senso di un maggiore rispetto delle regole che l’evento-terremoto riporta all’ordine del giorno.

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StrumentiFavorisca i documenti

n progetto del WWF Marche avviato nel 2008, unico in Italia realizzato da associazioni ambientali, definite dalle norme, portatori di interessi collettivi, prevede la richiesta di dati, documenti, progetti relazioni, alle varie amministrazioni coinvolte. Si tratta più o meno di quello che un’associazione di tutela ecologica normalmente fa, quando c’è un progetto energetico, un’industria insalubre, interventi legislativi. Con questa proposta si vuole proprio dimostrare quanto un’amministrazione è di fatto trasparente, nelle normali richieste che può fare un qualsiasi cittadino. È bene ricordare che «l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finali-tà di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza» (art. 22 L. 241/90).

Acqua top secret e...Alle amministrazioni pubbliche sono equiparati, da ben due norme diverse, i gestori pri-vati dei servizi pubblici. Vediamo quindi qui come si è comportato il gestore del servi-zio idrico integrato della provincia di Pesaro Urbino, MMS-Marche Multi Servizi (49% Hera), alla semplice richiesta di accesso alle analisi prodotte dai suoi laboratori, sulle acque potabili.Nel 2009 è stata inviata la prima richiesta di accesso, che salta a motivo della soppressio-ne nel marzo dello stesso anno, dei difensori civici locali; la Commissione sulla L. 241/90, presso la Presidenza del Consiglio, si dichiara incompetente, dato che la domanda, riguar-da una problematica locale, non statale. La UE alla quale nel frattempo ci si era rivolti, archivia il tutto, perché il procedimento non ha svolto tutto l’iter nazionale (manca l’in-tervento del difensore civico).Si rinnova la richiesta nel 2011 (le richieste di accesso e trasparenza non hanno scadenza). Tra le risposte di MMS si trova: sono troppe le analisi richieste oltre 100.000, chi ha fatto la richiesta non ha dimostrato il proprio interesse, è un accesso ai dati, preordinato ad un controllo generalizzato dell’operato della società.Tutto questo avviene, quando l’altro gestore provinciale interessato, ASET di Fano, con-cede tranquillamente il cd delle analisi, col difensore civico regionale che sostiene, riguar-

ANCHE I GESTORI PRIVATI DEI SERVIZI PUBBLICI DEVONO MOSTRAREI LORO DOCUMENTI. MA COME È DIFFICILE OTTENERLI! TRASPARENZA E PARTECIPAZIONE: ESERCIZI DI CITTADINANZA

UPePPe Dini

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do alla nostra richiesta, il perfetto allineamento con le normative sulla trasparenza, che la delega di rappresentanza, ricevuta dal Presidente del WWF Italia è del tutto efficace, che “il controllo generalizzato della società” si appalesa destituito di ogni fondamento giuridico.

… SalataA gennaio si invia la denuncia alla UE. Essa avvia un procedimento di infrazione a carico dell’Italia, ma assegnato al gestore, conferma che la richiesta è giusta e che un cittadino non deve dimostrare alcun interesse nella richiesta di dati ambientali. Cadono così altri due ostacoli messi da MMS e da loro sostenuti nelle varie risposte: l’acqua da loro ero-gata essendo potabilizzata è ritenuta industriale, quindi, per loro, non rientra nel decreto sull’accesso alle informazioni ambientali, applicativo della direttiva CE, che viene invece preso direttamente in considerazione dalla Commissione Ambiente Europea.Ultimo colpo di coda di MMS è nella loro lettera di risposta: 6.200 euro circa di diritti per avere i documenti in formato elettronico e 1.665 euro in formato cartaceo. Bella rispon-denza al Codice dell’amministrazione digitale, che vale anche per i gestori, il quale chiede per abbassare i costi amministrativi e l’uso della telematica dal 2005; gran bell’esempio di collaborazione tra il gestore e i portatori di interessi collettivi quale il WWF.Però, in sole due righe interne su tre pagine inviate, viene riportato ai sensi del D.L.vo 195/2005 sull’informazione ambientale, che l’accesso e la mera consultazione dei dati pressi i loro uffici sono gratuiti. Un segno di chiara vittoria sul loro comportamento ostru-zionista.Ecco quindi che tutti i cittadini, possono ripresentare le loro richieste sulle analisi delle ac-que potabili della propria cittadina, così come ogni altra persona, senza dimostrare alcun interesse e perché no, andiamo tutti nei loro uffici...A livello nazionale è questa una decisione unica e la prima che attribuisce ai gestori privati dei servizi pubblici i compiti di trasparenza tipici delle amministrazioni. Alla luce di quan-to sta avvenendo oggi sulla privatizzazione dei servizi non è cosa di poco conto.

webhttp://www.educambiente.it/Diritti_Cittadini/VittoriasuMMS.htm per accedere a tutta la documentazione.

www.altrometauro.net/?area=apriPost&IdPost=10020120623102713

www.altrometauro.net/?area=apriPost&IdPost=10020120328071118

www.altrometauro.net/blog.asp?area=apriPost&IdPost=10020120409111912

www.altrometauro.net/?area=apriPost&IdPost=10020110529164317

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La vera tutela dell’ambiente

aradossalmente, mentre si moltiplicano le denunce circa la gravità dell’assalto al territorio da parte di una speculazione edilizia che solo in poche aree dell’Italia conosce qualche freno, il settore appare comunque in crisi, con una crescente disoccupazione degli addetti.È la prova che il modello di sviluppo italiano, in cui la distruzione delle bellezze paesag-gistiche, del patrimonio storico e ambientale e dell’agricoltura gioca un ruolo chiave, non serve neppure agli scopi dichiarati: uno sviluppo ba-sato su cemento e mattone non è né sostenibile né “durevole”. Ben venga dunque la ricerca sul governo del territorio in cinque regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Umbria, Sicilia e Sardegna) di cui è uscito il primo volume a cura di Antonietta Mazzette (un secondo seguirà, sulle “regole per il buon governo del territorio). Si tratta di Espe-rienze di governo del territorio. Tra effetti per-versi e prove di democrazia, Bari, Laterza (pp. 324, Euro 20).Il tema è di grande interesse, perché – come spie-ga Antonietta mazzette nell’ampia introduzione – ci troviamo di fronte a un «governo privato» del territorio che ha come cultura il cemento ed è del tutto indifferente alle questioni ambientali. Le “bolle” immobiliari e la frenesia costruttrice non sono solo italiane, ma nel nostro martoria-to paese assumono caratteristiche di particolare gravità per il peso della rendita immobiliare accompagnata da corruzione, abusivismo, lunga mano della criminalità organizzata, evasione fiscale, consenso diffuso verso prati-che illegali, incultura politica.

Cattivo governo del territorio uguale frammentazione socialeAntonietta Mazzette spiega bene il nesso tra consumo di territorio, dispersione urbana e frammentazione sociale, frutto di un’idea di sviluppo che mostra le corde ma che con-tinua a produrre degrado ambientale e sociale. Malgoverno e saccheggio del territorio significano, infatti, anche peggiori condizioni di vita, diffusione di solipsismo e di prati-che intimistiche, deresponsabilizzazione sociale, un mondo rurale fagocitato dall’urbano. L’appropriazione privata del territorio significa che lo “spazio pubblico” diventa uno “spazio pubblico privato” (i centri commerciali), che peggiorano anche la gestione an-che dei rifiuti o delle acqua reflue e l’igiene pubblica. I sistemi di mobilità si inchinano al mezzo privato (l’Italia è il paese con più automobili in Europa), così che il consumo di suolo diventa l’espressione degli interessi finanziari ed economici dominanti, considerato che «la circolazione (mobilità fisica e comunicazione in assenza di compresenza fisica) costituisce attualmente l’elemento trainante dell’accumulazione del capitale e quindi del mercato».Non si può quindi che condividere le conclusioni di Antonietta Mazzette, che «governare il territorio all’insegna della tutela è il presupposto per costruire un altro modello di svi-luppo e per una più forte coesione sociale». Ma economia, politica e società devono condividere gli stessi obiettivi.

LA PROTEZIONE AMBIENTALE COMINCIA DAL TERRITORIO, CHE IN ITALIAÈ VITTIMA DI UN DEGRADO DIFFUSO PRODOTTO DA CATTIVA POLITICA E SPECULAZIONE EDILIZIA

PMario SaloMone

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Ambiente, tra natura e cultura

enza cultura non si va da nessuna parte (questo è un “memo” anche per i nostri governan-ti…), ben venga dunque il denso volume di Aurelio Angelini e Anna Re, Parole, simboli e miti della natura, con prefazione di Giovanni Puglisi (Palermo, Qanat, pp. 343 – edizione fuori commercio nell’ambito del progetto di educazione permanente “Ambiente, uomo e cultura”). Si tratta di un dizionario dalla A di Acqua alla W di Wilderness, ma il titolo non tragga in inganno, perché (a ricordarci che non siamo così lontani né esenti dalla natura, né ovviamente innocenti verso di essa) non mancano voci come Principio di precauzione, Sviluppo sostenibile, Nucleare, OGM, Energia, Sindrome NIMBY,….Come promette il titolo, comunque, troviamo una ricca messe di voci dedicate ad animali di terra, d’acqua e dell’aria, piante, fiori, figure mitologiche, ambienti naturali, letteratura. «Un lessico, ma anche un vademecum», commenta Giovanni Puglisi nella prefazione, per orientarsi in un mondo sempre più monadico, senza porte e senza finestre. Che questo libro cerca di riaprire, conducendoci per mano, gradevolmente, nell’infinita complessità della Terra e nella reinterpretazione che le culture umane ne hanno dato.

Studiare da dove veniamoIl filtro culturale attraverso il quale noi vediamo la natura (e la manipoliamo) nasce ov-viamente da un sapere e da una esperienza formatisi a poco a poco durante l’evoluzione umana, tramandati oralmente e con la pratica e l’esempio, generazione dopo generazione, e a un certo punto divenuti anche “storia”, qualcosa di documentabile e studiabile, che ha avuto una esponenziale accelerazione di eventi, su per giù, a partire dalla rivoluzione industriale. Di «accélération de l’histoire» parlava, nel 1948, Daniél Halévy (1872-1962), intellettuale francese che attraversa seconda rivoluzione industriale, Belle époque, guerre mondiali e boom del dopoguerra. «Credo che il male sia attivo nella storia»: visto che cosa è successo nell’arco della sua vita, non c’è da dargli torto.Ora, poiché il cambiamento è caratterizzato dall’evenire, dal “venire fuori”, Tiziana Ca-rena e Francesco Ingravalle, in Per una morfogenesi dell’evento (Roma, Aracne, pp. 138, Euro 10) si interrogano sul senso della storia e sull’eventuale prevedibilità/modificabilità degli eventi storici, presentando, tra l’altro, per la prima volta in Italia la cospicua rifles-sione storica di Halévy e attingendo anche alla tradizione cristiana, ebraico e islamica e a quella laica del pensiero filosofico occidentale.Lo studio della storia, insomma, chiama in causa le categorie di libertà e di responsabilità. Da quando c’è la filosofia, sappiamo di non sapere, ma da quando c’è la storia, non pos-siamo dire di non sapere…

Città “intelligenti”?C’è una “via italiana” alle città intelligenti (o “ingegnose”)? Secondo Andrea Granelli (manager con interessi che vanno dall’informatica alla psichiatria), sì. Con il viatico di una prefazione del ministro dell’Istruzione e dell’Università Francesco Profumo e di una postazione del sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, presidente nazionale dell’Anci, egli propone una ricetta che unisce molta informatica (sia pure da “maneggiare con cura”, perché con luci ma anche tante ombre, ben evidenziate da Granelli) a una lunga lista di proposte organizzate in tre sezioni: aree prioritarie, strumenti e metodologie, ruolo del pubblico.Il mix punta su un’alleanza tra digitale (ad esempio per rendere più accessibili e “dema-terializzati” i servizi urbani) e realtà concreta (soprattutto mobilità sostenibile, cibi a chilometri zero, lotta al riscaldamento globale, energia, riqualificazione dei centri storici e delle periferie, sviluppo del verde urbano e degli spazi pubblici).

POLITICHE, MA ANCHE VISIONI: I TEMI AMBIENTALI SPAZIANOTRA INNOVAZIONE TECNOLOGICA E RISCOPERTA DI SIMBOLI E MITI E AFFERMAZIONE DEI DIRITTI DELLA NATURA. SENZA DIMENTICARE LA STORIA

SM. S.

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aa cura Di VaneSSa ViDano

Apre la stagione della progettazione verdeDOPO PISA, I PROSSIMI APPUNTAMENTI DI GREEN CITY ENERGY A TORINO, BARI E GENOVA

Il 6 luglio si è conclusa la terza edizione di Green City Energy Pisa 2012, Forum Internazionale sulle nuove energie per lo sviluppo della smart city, che ha visto la presenza di 100 relato-ri e 500 uditori. Due giorni di forum, workshop specialistici e convegni hanno confermato Pisa come centro all’avanguardia per la diffusione di nuove pratiche urbane che convertano i modelli di sviluppo nella direzione della sostenibilità ambientale sul lungo periodo. «Anche quest’anno Green City Energy si è dimostrato un positivo luogo di confronto su esperienze concrete e su nuove tecnologie. La partecipazione è stata alta e lavoreremo fin da subito per porre le basi dell’edizione 2013», ha evidenziato in proposito il sindaco Marco Filippeschi.E in effetti la varietà degli appuntamenti ha dimostrato un gran fermento di collaborazio-ni. Sono stati discussi sia i progetti in previsione, come l’e-mobility prevista per i centri storici della Regione Toscana e i nuovi sistemi di audit energetico degli edifici, che quelli presentati durante le scorse edizioni di Green City Energy e successivamente portati a termine: è il caso di “Case Minime”, 25 appartamenti di edilizia popolare per anziani realizzati nel comune di Cascina da Alpes, che si basano su un sistema di integrazione di impianti per il risparmio energetico e la sicurezza domestica.Il convegno dedicato al progetto H2 Filiera Idrogeno, invece, ha illustrato i risultati rag-giunti dalla Regione Toscana nella sperimentazione di una filiera locale di mobilità basata sull’idrogeno attraverso l’utilizzo di diverse tecnologie. I mezzi ideati sono stati esposti in anteprima durante l’evento, fra i più significativi la bicicletta alimentata da batterie al litio presentata dall’Unversità di Pisa e il veicolo ad ammoniaca di Pont-Tech, destinato alla raccolta porta a porta dei rifiuti urbani.La due giorni pisana è stata la prima tappa della serie di eventi che compongono il cir-cuito Green City Energy. Il prossimo appuntamento? A Torino, dal 27 al 28 settembre, con Telemobility Forum, manifestazione europea che da sempre richiama una business community internazionale legata ai temi della “mobilità intelligente” sia nell’ambito dei trasporti pubblici che di quelli privati. Gli incontri si terranno presso il Centro Congressi Lingotto, insieme a un’altra importante manifestazione, ITN 2012.

Smart Mobility: le frontiere della mobilità intelligenteIl programma delle conferenze porrà in evidenza le tematiche legate allo sviluppo della smart city e delle smart communities, esempi virtuosi di quei territori che applicano so-luzioni innovative per dare servizi sempre migliori alle comunità che vi abitano, secondo parametri di efficienza e sostenibilità. Aree digitalizzate, dove la riconversione dei servizi e delle infrastrutture a favore del territorio e della società civile avviene sia grazie a in-frastrutture tecnologiche e di telecomunicazioni avanzate, sia grazie a iniziative volte alla sostenibilità ambientale e al risparmio energetico.Gli incontri si concentreranno soprattutto sulle potenzialità dello sviluppo del settore tecnolo-gico, che come dimostra il complesso Programma dell’Unione Europea sulle smart cities, che finanzia la riduzione intelligente del 40% delle emissioni entro il 2020, è al centro dell’effi-cienza energetica applicata agli edifici, dei sistemi di mobilità eco-sostenibili, della navigazione satellitare applicata all’infomobilità e delle infrastrutture digitali dei contesti urbani.Il format di quest’anno sarà quello di una mostra-convegno, orientata a soddisfare le esi-genze informative dei partecipanti, che potranno usufruire di due giornate di interventi, con presenze sia italiane che internazionali, one-2-one business meeting, approfondimenti di carattere tecnico e commerciale, incontri con gli operatori del settore e con i rappresen-tanti delle istituzioni. Ma la stagione Green City Energy non finisce qui: il 18 e 19 ottobre si terrà a Bari il “Gre-en City MED” e il 29 e 30 novembre, a Genova, l’incontro “ONtheSEA”. Per un autunno all’insegna della progettazione verde.

webhttp://greencityenergy.it/

www.telemobilityforum.com

www.itnexpo.it

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i collaboratori

Hanno collaboratoal tema:

Bianca La Placa. Giornalista e diret-tore editoriale di .eco, ha curato la pubblicazione di dossier e libri di carattere ambientale e sociale. È corrispondente dell’agenzia Redat-tore sociale per il Piemonte e Valle d’Aosta. Socio-fondatore dell’asso-ciazione Il caffè dei giornalisti.

Alessia Maso. Legambiente Scuola e Formazione.

Julio Neto. Redattore del giornale on line Historia News.

Marcos Reigota. Nato a Promissão (San Paolo, Brasile), dal 1998 è pro-fessore del programma post-laurea in Educazione dell’Università di Sorocaba. Tra le sue pubblicazio-ni: Ecologia, Elites e Intelligentsia na América Latina; A Floresta e a Escola: Por uma Educação Am-biental Pós-Moderna; O Que é Edu-cação Ambiental; Meio Ambiente e Representação Social; Trajetórias e narrativas através da educação ambiental; Verde Cotidiano: O meio ambiente em discussão; Educação ambiental: Utopia e práxis (con Bar-bara Heliodora Soares do Prado); Ecologistas; Iugoslávia: registros de uma barbaria anunciada.

Mario Salomone. Sociologo dell’Am-biente e del Territorio all’Università di Bergamo, dirige dalla loro fonda-zione .eco, l’educazione sostenibile e il semestrale scientifico Culture della sostenibilità. È inoltre mem-bro, tra l’altro, del Comitato scien-tifico nazionale italiano UNESCO del Decennio delle Nazioni Unite per l’educazione allo sviluppo soste-nibile (2005-2014) e del CdA della Fondazione Aurelio Peccei..

Silvia Zaccaria. Responsabile delle relazioni internazionali di Scholé Futuro. Laureata in Lettere presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi sui Caboclos dell’A-mazzonia brasiliana, ha condotto ricerche di campo nell’area del basso-medio Rio Negro e Solimões, stato dell’Amazzonia, Brasile. Ha partecipato, in qualità di esperta-antropologa, alla missione etno-archeologica promossa dall’Uni-versità “La Sapienza” nell’arcipe-lago delle isole Anavilhanas, Bra-sile, finanziata dal Ministero Affari Esteri. Collabora con riviste e quo-tidiani italiani e segue progetti in difesa delle popolazioni indigene del Brasile.

Hanno collaboratoa questo numero:

Chiara Agresta. Laureata in Scienze naturali con indirizzo “Conservazio-ne della natura e delle sue risorse”, ha approfondito successivamente i suoi interessi con un Master in co-municazione ambientale presso lo Ied di Torino. Attualmente si occupa di divulgazione scientifica.

Aurelio Angelini. Professore asso-ciato di Sociologia dell’Ambiente ed Ecologia nell’Università di Palermo, e professore di Ambiente e Svilup-po Sostenibile allo IULM di Milano. Coordina il Master in Comunicazio-ne, Educazione e Interpretazione ambientale ed è presidente del Comitato Scientifico del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo So-stenibile UNESCO, componente del comitato scientifico della Fondazio-ne RES e direttore della Fondazione Patrimonio Unesco Sicilia. Scrive per la rubrica Patrimoni dell’umanità sul portale www.educazionesoste-niobile.it.

Gian Andrea Blengini. Laureato in Ingegneria mineraria presso il Po-litecnico di Torino, ha conseguito il dottorato di ricerca in Earth Re-sources presso l’Instituto Superior Técnico di Lisbona. E’ attualmen-te ricercatore confermato pres-so il Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI) del Politecni-co di Torino dov’è incaricato degli insegnamenti Resources and En-vironmental Sustainability e Life Cycle Assessment (LCA).

Massimo Boyer. Fotografo subac-queo e autore di testi per riviste e libri, collabora con l’Università Po-litecnica delle Marche. Libero pro-fessionista nel campo della ricerca biologica e della divulgazione.

Tiziana Carena. Giornalista, inizia l’attività saggistica per la rivista Filosofia. Vincitrice del Premio Gra-vina 2001 con l’opera Critica della Ragion Poetica di Gianvincenzo Gravina (Mimesis, 2001). Tra i suoi scritti: Percorsi di storia della filo-sofia contemporanea (Hastaedizio-ni, 2005) e uno studio su Vincen-zo Gioberti (Accademia dei Lincei, 2005-2007), La pneumatologia teo-logico-estetica di Vincenzo Gioberti (Mimesis, 2009).

Elisabetta Cimnaghi. Ingegnere Ambientale. Dottore di ricerca in Estimo e Valutazioni economiche al

Politecnico di Torino. Collabora con l’Istituto superiore sui sistemi terri-toriali per l’innovazione (SITI).

Marco Dettori. Ingegnere Ambien-tale. Laureatosi con una tesi su “Water Footprint e LCA. Analisi me-todologica e applicazione alle filiere agroalimentari”. Attualmente svol-ge la sua attività di ricerca presso il DIATI del Politecnico di Torino. I suoi principali campi di interesse sono: LCA (Life Cycle Assessment); pro-duzione di biocarburanti da alghe, Water Footprint.

Peppe Dini. Insegnante di Educa-zione tecnica, coordinatore provin-ciale delle guardie volontarie WWF e collaboratore editoriale di Scuo-la e Didattica di Brescia e di Gaia dell’Ecoistituto di Mestre. Ha scritto articoli e pubblicazioni di denuncia ecologica e di didattica.

Marika Frontino. Giornalista e capo redattrice di .eco. È laureata in Co-municazione di massa con una tesi in Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico, dal titolo “Professio-ne: inviata di guerra. Donne e war reporting in Italia (1191-2005).

Elisabetta Gatto. Laureata in Scien-ze internazionali e diplomatiche, ha seguito corsi di perfezionamento in Antropologia applicata. Si occu-pa di antropologia museale e dello sviluppo.

Francesco Ingravalle. Laureato in Filosofia. Dottorato di ricerca in Storia del pensiero politico e delle istituzioni politiche. È ricercatore all’Università del Piemonte Orienta-le Facoltà di Scienze Politiche.

Sara Francesca Lisot. Si è laureata in giapponese tra Venezia e Tokyo. Lavora come webmaster e copywri-ter. Ha deciso di rendere la sosteni-bilità ambientale la chiave della sua comunicazione e dei suoi progetti.

Stefano Moretto. Si occupa di di-vulgazione scientifica e coordina progetti di educazione ambientale marina. Fondatore di associazioni sportivo-culturali. Responsabile de il Pianeta azzurro.

Giorgio Nebbia. Professore emerito; dottore honoris causa in Scienze economiche e sociali all’Università del Molise e in Economia e Com-mercio presso le Università di Bari e Foggia. È stato parlamentare della Sinistra indipendente alla Camera (1983-1987) e al Senato (1987-1992). Ha orientato i suoi studi nel cam-

po della Merceologia verso l’analisi del ciclo delle merci e a ricerche sull’energia solare, sulla dissala-zione delle acque e sul problema dell’acqua.

Lorenza Passerone. Laureata in Scienze della Comunicazione con una tesi sulla comuncazione delle associazioni ambientaliste. dopo numerose esperienze di ufficio stampa, lavora per un’associazione culturale locale.

Mariano Piccolo. Laureato in Comu-nicazione per le Istituzioni e le Im-prese presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi di economia politica sulle critiche allo sviluppo e alla crescita. Partecipa al proget-to “River Eyes: adotta il tuo fiume” presso l’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholé Futuro Onlus.

Stefania Tron. Laureata in Scienze della Comunicazione. Si occupa di sviluppo locale e comunicazione ambientale.

Vanessa Vidano. Laureata in An-tropologia Culturale e in Sviluppo e Cooperazione Internazionale, ha svolto nel 2010 un anno di ricerca a Cuba sul cambiamento dei consumi dopo Periodo Especial. Attualmen-te sta svolgendo il Servizio Civile presso Scholè Futuro con il progetto “River Eyes: adotta il tuo fiume!”.

COLLABORATORI E INTERVISTATI NEL 2012 Chiara Agresta (n.1, 2); Romina Anardo (n.3, 4); Maria Luisa Angiero (n.1); Cate-rina Arcangelo (n.2); Antonella Bachiorri (n.2); Cristina Bertazzoni (n.2); Fabri-zio Bertolino (n.2); Gianfranco Bologna (n.4); Patrizia Bonelli (n.2); Chiara Capo-ne (n.1, 2); Tiziana Carena (n. 1, 2, 3, 4); Elisabetta Cimnaghi (n.2, 3, 4); Laura Coppo (n.4); Daniela Di Bartolo (n.4); La-vinia Di Francesco (n.3, 4); Peppe Dini (n.3); Gabriella Falcicchio (n.3, 4); Marco Ferro (n.4); Roberto Forte (n.4); Marika Frontino (n.1, 2, 3, 4); Claudia Gaggiot-tino (n.1, 2, 3, 4); Silvia Gelmini (n.2); Elena Giardina (n.1); Francesco Ingraval-le (n.1, 2, 3, 4); Bianca La Placa (n.1, 2, 3, 4); Filippo Laurenti (n.1); Ugo Leone (n.1); Sara Francesca Lisot (n.1, 2, 3, 4); Elena Maselli (n.2); Giulia Maringoni (n.1, 3, 4); Angelo Mojetta (n.4); Stefano Moretto (n.2, 4); Giorgio Nebbia (n.1, 2); Lorenza Passerone (n.1); Anna Peraz-zone (n.2); Annamaria Piccinelli(n.2); Mariano Piccolo (n.3, 4); Maria Grazia Pizzoni (n.4); Piergiorgio Pizzuto (n.3, 4); Anna Re (n.1); Nanni Salio (n.3); Mario Salomone (n.1, 2, 3, 4); Marta Taibi (n.1); Laura Travierso (n.3, 4); Gianmaria Ver-netti (n.2); Vanessa Vidano (n.3, 4); Mas-simo Zucchetti (n.3); Catia Zurru (n.4).

Page 48: Quale Futuro Perl'Educazione Ambientale

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