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Quelli del Vodù… - Sodalitium · Mentre K. Wojtyla avalla la magia nera ri-cevendo i sacerdoti...

Date post: 18-Jan-2019
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Periodico - Organo Ufficiale dell’Istituto Mater Boni Consilii - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) - Telef.: 0161/849335; Fax: 0161/849334 - C/CP 24681108 - Dir. Resp.: don Francesco Ricossa - Spedizione abb. post. Gr. IV (70) - Aut. Trib. di Ivrea n. 116 del 24-2-84 - Stampa: TECA - Torino Anno X - Semestre I n. 1 - Aprile 1993 N. 33 “Il serpente era il più astuto fra tutti gli animali” (Gen. III, 1) Quelli del Vodù…
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Periodico - Organo Ufficiale dell’Istituto Mater Boni Consilii - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUASAVOIA (TO) - Telef.: 0161/849335; Fax: 0161/849334 - C/CP 24681108 - Dir. Resp.: don FrancescoRicossa - Spedizione abb. post. Gr. IV (70) - Aut. Trib. di Ivrea n. 116 del 24-2-84 - Stampa: TECA - Torino

Anno X - Semestre I n. 1 - Aprile 1993 N. 33

“Il serpente era il più astuto fra tutti gli animali” (Gen. III, 1)

Quelli del Vodù…

EditorialeIL NUOVO CATECHISMO: Ma non hannocustodito il deposito....

“Catechismo Romano ad uso dei parroci,pubblicato dal Papa San Pio V per decreto delConcilio di Trento”: dal 1566, il catechismo uf-ficiale della Chiesa Cattolica che, ridotto a do-mande e risposte da S. Pio X, costituiva, fino apochi anni fa, l’approccio alla conoscenza del-la Fede rivelata. Finito, sostituito, archiviato.

Già dal 1966, il Nuovo Catechismo Olan-dese segnava l’epoca dei nuovi catechismi con-ciliari. Da allora, i catechismi sono cresciuti co-me i funghi: anche quelli, “autorevoli”, delleconferenze episcopali, spesso palesemente ere-tici. Ma non c’era, ancora, un nuovo catechismoper tutta la Chiesa a sostituire quello di San PioV. Ora, è cosa fatta. Espressamente e ripetuta-mente, si sono scelte le date commemorativedel Vaticano II, affinché non ci fosse nessundubbio sull’indirizzo “conciliare” del testo.

7 dicembre 1985: XX° anniversario dellachiusura del Vaticano II. L’assemblea straor-dinaria del Sinodo dei vescovi invoca la re-dazione di un catechismo universale.

11 ottobre 1992: XXX° anniversariodell’apertura del Concilio. Giovanni Paolo II“promulga” la «Costituzione Apostolica“Fidei depositum” per la pubblicazione delCatechismo della Chiesa Cattolica redattodopo il Concilio Ecumenico Vaticano II».

7-8 dicembre 1992: XXVII° anniversariodella chiusura del Vaticano II: presentazioneufficiale del Nuovo Catechismo in Vaticano.

Lo spazio limitato dell’editoriale nonpermette certo un’analisi dettagliata dei

2865 numeri che compongono il nuovo cate-chismo, analisi che rinviamo eventualmenteal futuro, ma ci permette una prima valuta-zione orientativa. Il nuovo catechismo:

1) È il catechismo del Vaticano II. “Perme (...) il Vaticano II è sempre stato (...) il co-stante punto di riferimento di ogni mia azionepastorale, nell’impegno consapevole di tra-durre le direttive in applicazione concreta efedele, a livello di ogni Chiesa e di tutta laChiesa. Occorre incessantemente rifarsi aquesta sorgente”. Giovanni Paolo II lo disse il25/1/1985. Lo ripete nella “Fidei depositum”.Gli errori contro la Fede nati dal Vaticano IIsi ritrovano pertanto nel nuovo catechismo.

2) Porta a termine la sua opera innovati-va. “Dopo il rinnovamento della Liturgia ela nuova codificazione del Diritto Canonicodella Chiesa latina e dei canoni delle Chieseorientali cattoliche, questo Catechismo ap-porterà un contributo molto importante aquell’opera di rinnovamento dell’intera vitaecclesiale, voluta e iniziata dal ConcilioVaticano II” (Fidei depositum 1).

La Chiesa può mutare la sua disciplina,ma mai si è vista nella sua storia una muta-zione così radicale, sconvolgente, universale,al punto che un cattolico morto prima delConcilio non riconoscerebbe certamente piùla sua Chiesa in quella del Vaticano II.

Nulla è rimasto intatto: dalla concezioneche la Chiesa ha di se stessa e delle sue rela-zioni con lo Stato e le altre religioni, fino allecuffie delle monache. Il nuovo catechismo èsolo l’ultima tappa di questo uragano.

È dottrina dei teologi che “un Papa potreb-be essere scismatico (...) se volesse rovesciaretutte le cerimonie ecclesiastiche fondate sullatradizione apostolica, come osserva Gaetano

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Sommario

Editoriale pag. 2Ratzinger protestante? Al 99% pag. 3“Lasciate che i bambini vengano a me… perché di questi è il regno di Dio” (Mc. X, 14) pag. 10Il B'nai B'rith e la scuola: giudaizzare la gioventù pag. 19“Il Papa del Concilio” pag. 21Riflessioni sulla posizione dottrinale della Fraternità S. Pio X e dei “tradizionalisti”… pag. 26Wojtyla “una cum”… il Vodù, gli Ebrei, l'Islam… pag. 30“Quel che esce dalla bocca contamina l'uomo” (Mt. XV, 11) pag. 33La Via Regale pag. 46Vita dell'Istituto pag. 48

In copertina: Giovanni Paolo II incontra gli stregoni del Vodù durante l'incontro di giovedì4 febbraio 1993 a Cotonou (Africa). Vedi articolo a pag. 30.

(ad II-II q. 39) e, in modo più ampio, Torque-mada (l.4, c. 11)” (Suarez, De Caritate, dis. XIIsez. 1 n°2). Si è realizzato ben di più di quantorichiesto dai teologi per attuare uno scisma.

3) Tenta invano di nascondere la rottura.Il Catechismo pretende realizzare la missionedella Chiesa, “custodire il deposito dellaFede”. Questa pretesa è menzognera. Appareevidente però, più che per il passato, la preoc-cupazione di conciliare l’insegnamento dellaChiesa e le novità che lo contraddicono.

Mai fino ad ora un documento post-conci-liare conteneva tali e tante citazioni delConcilio di Trento, del Vaticano I, e persino unrinvio a “Quanta Cura” (Pio IX) e “Quas Pri-mas” (Pio XI)! Ma acqua ed olio non si posso-no mischiare. Messi a confronto, pagina dopopagina, con quelli tradizionali, i testi “concilia-ri” mostrano ancor meglio la loro diversità, o laloro ambiguità. E se spesso l’amalgama può in-gannare il lettore frettoloso, in altri il contrastoè troppo stridente, o addirittura l’impossibilecamuffamento non è neppur quasi tentato. Siveda l’accusa di deicidio... rivolta ai cristiani (!)o la riaffermazione della libertà religiosa cheimpedisce, per pudore, di citare quella “Quan-ta Cura” che pur viene segnalata e falsificata.

Questa preoccupazione di dimostrareche il Vaticano II è perfettamente conformealla dottrina della Chiesa indica però come,malgrado il numero irrisorio di “tradizionali-sti”, i problemi che essi sollevano sono gravi,poiché costringono le “autorità” ad un seriotentativo di risposta.

4) Mentre Ratzinger rilancia l’ecumenismo.Mentre K. Wojtyla avalla la magia nera ri-

cevendo i sacerdoti del Vodù in Africa, J.Ratzinger, presidente della Commissione cheha composto il catechismo, ha rilasciato allaFacoltà teologica valdese un intervento sull’e-cumenismo così aberrante che i valdesi si sonodichiarati “d’accordo al 99% per non dire al100%” poiché la sua proposta-base, “il con-cetto di diversità riconciliata, come sapete, èdi matrice luterana”. Ecco chi, nel nuovo cate-chismo, si nasconde dietro al Concilio diTrento. Il suo ispiratore non è a Trento manella Strasburgo del teologo protestanteOscar Cullmann (“Il figlio di Lutero” cf. IlSabato n. 8 p. 60, 20/ 11/1992). A chi, abbaglia-to da qualche citazione, si aggrappa alla Fedecol nuovo catechismo di Ratzinger, Cullmannricorda che Ratzinger era (ed è) “progressistaspinto” e che sbaglia chi lo giudica avversariodell’ecumenismo. In questo, ma solo in questo,siamo d’accordo con Oscar Cullmann.

RATZINGER PROTESTANTE? AL 99 %!

di don Francesco Ricossa

Sarebbe passato inosservato, tranne cheper gli addetti ai lavori, se il mensile “30Giorni” ed il settimanale “Il Sabato”, legatia Comunione e Liberazione, non gli avesse-ro dato risalto. Un risalto meritato.

Intendo parlare dell'intervento che il“Cardinale prefetto della Congregazione perla dottrina della Fede” Joseph Ratzinger hatenuto a Roma il 29 gennaio 1993 presso ilCentro evangelico di cultura della locale co-munità valdese.

Il testo integrale dell'intervento diRatzinger e quello del prof. Paolo Ricca, val-dese, si può leggere nella rivista “30 Giorni”n. 2 Febbraio 1993, pagg. 66-73, pubblicatosotto il titolo redazionale (ma significativo)di “Ratzinger, il prefetto ecumenico”. Questalettura dev’essere completata con l'intervistaaccordata dal teologo luterano OscarCullmann a “Il Sabato” n. 8, 20 febbraio1993 pagg. 61-63, pubblicata sotto il titolo re-dazionale (ed altrettanto significativo) di:“Il figlio di Lutero e sua eminenza”.

Per i lettori di “Sodalitium” presento unriassunto delle idee del “Card.” Ratzinger(che ha fatto a Mons. Guérard des Lauriersl'onore di “scomunicarlo”) sulla Chiesa e l'e-cumenismo. Chiunque può verificare le fontisulle riviste citate. E constatare se Ratzingerè ancora cattolico oppure, come palesemen-te appare, non lo è più.

Cullmann parla per bocca di Ratzinger

Quando Papa S. Leone Magno, tramite isuoi legati, intervenne al concilio diCalcedonia, i Padri del Concilio dissero:“Pietro parla per bocca di Leone”.

Leggendo l’intervento di Ratzinger pres-so i Valdesi e l’intervista di Cullmann si puòdire che questi parla per bocca di Ratzinger.Le parole sono di Ratzinger, le idee diCullmann. Per cui non c’è da stupirsi che iValdesi “siano d’accordo al 99%, per non di-re al 100%” (RICCA, “30 Giorni”, pag. 69).

Ma chi è Cullmann?

Cullmann nacque nel 1902 a Strasburgo,patria del riformatore protestante Bucer al

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quale egli volentieri si richiama (“Il Sabato”,pag. 61). Alsaziano, egli vede in questo un“fatto provvidenziale” in quanto la sua po-polazione è, in quel luogo, metà cattolica emetà protestante.

Studiò teologia “sotto la guida di Loisy aParigi” (ARDUSSO. FERRETTI. PASTORE.PERONE. La Teologia contemporanea. Mariet-ti 1980, pag. 108). L’esegeta modernista e sco-municato non fu certo buon maestro. Ancormeno lo fu il Bultmann, “il grande demitizza-tore dei Vangeli” (“Il Sabato”, pag. 63), colquale presentò la tesi di laurea sulla “Form-geschichte”. “Bultmann disse che era la mi-glior presentazione della sua Formgeschichte”(Pag. 63). In seguito si separò “radicalmente”da Bultmann, poiché costui mediava la letturadella Bibbia tramite la filosofia (esistenziali-sta) mentre Cullmann non accettava nessunamediazione. Con ciò Cullmann non abbando-na affatto l’approccio protestante allaScrittura, e neppure “il metodo della storiadelle forme” (Formgeschichte methode) diBultmann, secondo il quale “compito dell’ese-geta è scoprire il nucleo essenziale dellaBibbia: Cullmann lo trova nella storia dellasalvezza” (ARDUSSO, op. cit. pag. 110).

Insegnò tra l’altro alla libera facoltà diteologia protestante di Parigi (1948-72) edalla facoltà Teologica Valdese a Roma.Partecipò al Concilio Vaticano II come os-servatore e Paolo VI lo definì “uno dei mieimigliori amici” (“Il Sabato”, pag. 62).“Durante il Vaticano II Cullmann, ospitepersonale del Segretariato per l’unità dei cri-stiani, contribuiva a determinare l’orienta-mento biblico, cristocentrico e storico dellateologia conciliare (...) più recentementeCullmann ha proposto un modello di ‘comu-nità di Chiese’ nel suo libro ‘Unità attraver-so la diversità’ (Brescia 1988), modello ap-prezzato pure dal cardinale Ratzinger nelsuo intervento alla chiesa valdese di Roma il29 gennaio scorso” (pag. 62).

Conobbe Ratzinger durante il Concilio,stimandolo “il miglior teologo tra i cosiddettiperiti, gli esperti... Con una reputazione diprogressista spinto” (pag. 63). Da allora i duesono in corrispondenza, dapprima su proble-mi esegetici; in seguito - dichiara Cullmann -« il carteggio si è ingrandito, specialmente inrelazione alla proposta del mio modello di“unità mediante la diversità”, una propostache, come abbiamo già detto, il Cardinale haapprezzato in privato e in pubblico » (pag.63). Cullmann si rallegra particolarmente di

una lettera nella quale Ratzinger gli scrive “diaver sempre imparato” dai suoi studi, “anchequando non era d’accordo”. E Cullmanncommenta: “Uniti nella diversità” (pag. 63).

“L’opera di Cullmann (…) è da annove-rarsi tra quelle che maggiormente hannocontribuito al dialogo tra cattolici e prote-stanti” (ARDUSSO, op. cit., pag.112) pur re-stando egli fermamente attaccato all’eresia,negando esplicitamente l’infallibilità dellaChiesa Cattolica, e il primato di giurisdizio-ne di Pietro e dei suoi successori (cf. AR-DUSSO, op. cit., pag. 112; “Il Sabato”, pag.62). Un ponte quindi tra cattolici e prote-stanti. Per far diventare protestanti i cattolici(facendo loro credere, per di più, di restarecattolici: “uniti” sì, ma… “nella diversità”!).

La Conferenza ai valdesi

Già docente a Roma nella facoltà valde-se di teologia, Oscar Cullmann conosce benei valdesi insediati a Roma. È forse lui che liha proposti al suo “discepolo” Ratzinger co-me un buon uditorio per esporre e lanciarele loro idee comuni.

Il tema dell’incontro del 29 gennaio traRatzinger ed il prof. Ricca (protestante valde-se) era duplice. Innanzitutto quello dell’ecu-menismo in generale e del Papato, in seguito,quello della testimonianza. Più precisamente:che soluzione ecumenica dare alla questionedel Papato; come rilanciare l’ecumenismo incrisi; come dare una testimonianza comune.

Mi sembra di non tradire il pensiero diRatzinger riassumendolo nei punti seguenti,salvo commentarli più diffusamente in seguito;

1) L’ecumenismo è necessario, fonda-mentale, indiscutibile.

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Il “Card.” Ratzinger (Foto “30 Giorni”)

2) Il Papato ne è il problema.3) L’ecumenismo ha un fine ultimo: “L’u-

nità delle chiese nella Chiesa”.4) Questo fine ultimo si realizzerà in for-

me a noi ancora sconosciute.5) L’ecumenismo ha anche un fine pros-

simo, “una tappa intermedia” il cui modelloè “l’unità nella diversità” di Cullmann.

6) Questa tappa intermedia si realizza me-diante un continuo “ritorno all’essenziale”…

7) … favorito da una reciproca purifica-zione tra le chiese.

L’Ecumenismo

“L’ecumenismo è irreversibile”, ama ri-petere Karol Wojtyla. Joseph Ratzinger vaoltre: “Dio è il primo agente della causa ecu-menica” e “l’ecumenismo è innanzitutto unatteggiamento fondamentale, un modo di vi-vere il cristianesimo. Non è un settore parti-colare, accanto ad altri settori. Il desideriodell’unità, l’impegno per l’unità appartienealla struttura dello stesso atto di fede perchéCristo è venuto per riunire insieme i figli diDio che erano dispersi” (“30 Giorni”, pag.68). “L’ecumenismo” (o “riunione dei cri-stiani”. Pio XI) non è concepito come “ritor-no dei dissidenti all’unica vera Chiesa diCristo, dalla quale, precisamente, un giornoebbero l’infelice idea di staccarsi” (Pio XI,Lett. Enc. Mortalium Animos, del 6/1/1928),non è neppure un metodo, o una iniziativa,tra le altre, dell’attività della Chiesa. Esso èfondamento della vita cristiana ed elementocostitutivo dell’atto di fede. Non si può esse-re fedele senza essere ecumenista (perRatzinger); non si può essere fedele se si è e-cumenisti (per Pio XI): “Chi dunque tienmano a cotesti tentativi ed ha di queste idee,con ciò stesso, per conseguenza manifesta, siallontana dalla religione rivelata da Dio”(Pio XI, Mortalium Animos).

Lucidamente, il valdese Ricca espone ilproblema (senza che Ratzinger lo contraddi-ca): “La crisi dell’ecumenismo sostanzial-mente è dovuta al fatto che le chiese non so-no cambiate abbastanza a motivo dell’ecu-menismo. (…) Perché l’ecumenismo certo e-sige, con la pazienza di cui parlava il cardina-le Ratzinger, dei cambiamenti profondi. Aun certo punto, o cambia la chiesa o l’ecu-menismo entra in crisi. (…) Si capisce chequesto discorso vale per tutte le chiese” (“30Giorni”, pag. 71). Insomma: o perisce laChiesa, e vive l’ecumenismo; o vive la

Chiesa e perisce l’ecumenismo (poiché mu-tare sostanzialmente, per la Chiesa, è peri-re). Ora l’ecumenismo è irreversibile: quindila “Chiesa” (com’è ora, com’era soprattuttoprima del Concilio) deve perire. Di qui laquestione del Papato, che deve cambiare conla Chiesa, o perire.

Il Papato: “l’ostacolo maggiore per l’ecume-nismo”

Paolo VI dixit. Lo ricorda con compiaci-mento, l’eretico Ricca: “Il Papato, si sa, è unnodo cruciale della questione ecumenica,perché da un lato fonda l’unità cattolica edall’altro, per esprimermi un po’ brutalmen-te impedisce l’unità cristiana [leggi: l’ecume-nismo n.d.a.]. Questo lo ha riconosciutomolto coraggiosamente, devo dire, il papaPaolo VI in un discorso del 1967, in cui, ap-punto, ha detto (credo che sia l’unico Papache l’abbia detto) che il Papato è l’ostacolomaggiore per l’ecumenismo. Un nobilissimodiscorso [lo dice un eretico! n.d.a.] fra l’al-tro non soltanto per questa affermazione,ma per tutto l’insieme. Qui ci troviamo dun-que, con il Papato, davanti a una vera e pro-pria empasse” (“30 Giorni”, pag. 70).Dunque, se un dogma di Fede (solo il Riccaricorda che si tratta di un dogma) che, pergiunta, “è il fondamento dell’unità cattoli-ca” è un’ostacolo, anzi è l’ostacolo per l’ecu-menismo, Paolo VI, Ratzinger e tutti noidovremmo concludere che l’ecumenismodeve perire. Perché è impossibile che unaverità rivelata da Cristo per fondare l’unitàvoluta da Cristo possa essere l’ostacolo…all’unità! [Infatti il Papato, non è ostacolo,ma è l’unico mezzo per aver parte all’unitàdell’unica Chiesa: “Nessuno sta in questasola Chiesa di Cristo, nessuno ci perseverase non riconosca ed accetti l’autorità e lapotestà di Pietro e dei suoi legittimi succes-sori” (Pio XI, Mortalium Animos)].

Ratzinger lo sa e non può parlare libera-mente come il suo “collega” (come egli chia-ma il Ricca).

All’inizio, pertanto, scantona: «Io pensoche il Papato sia senza dubbio il sintomo piùpalpabile dei nostri problemi, ma è ben inter-pretato solo se viene inquadrato in un conte-sto più ampio. Perciò penso che, affrontatoimmediatamente [com’era anche nella “sca-letta” dell’incontro n.d.a.] non conceda facil-mente una via d’uscita (“30 Giorni”, pag.66)». Insomma: se si parla del Vaticano I,

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l’utopia ecumenica muore sul nascere, gli e-quivoci si dissipano, Cullmann stesso non sa-rebbe più d’accordo, i veri cattolici mange-rebbero la foglia. Quindi, si mena il can perl’aia e si lancia la formula di Cullmann:“Unità nella diversità” (ci ritorneremo).

Alla fine però deve pur arrivare al pro-blema del Papato. E cosa propone? Non cer-to il primato di giurisdizione che la Fede at-tribuisce al Papa.

“Secondo la nostra Fede” spiega Rat-zinger “il ministero dell’unità è affidato aPietro e ai suoi successori” (“30 Giorni”,pag. 68). Ma in cosa consiste questo “mini-stero dell’unità?” Ratzinger non lo dice. Perla Chiesa consiste nel primato di giurisdizio-ne (autorità) del Papa su tutti i singoli fedeli.

Per Cullmann consisterebbe al massimo(bontà sua!) in un primato di onore (il che èun’eresia: DS 2593): “Considero il serviziopetrino un carisma della Chiesa cattolica, dalquale anche noi protestanti dovremmo im-parare” - dichiara a “Il Sabato” - ma poi pro-segue: «Il Papa è vescovo di Roma e inquanto tale gli si potrebbe concedere unapresidenza in quella “comunità delle chiese”da me prospettata. Personalmente vedrei unsuo ruolo come garante dell’unità. Lo si po-trebbe accettare se non avesse la giurisdizio-ne su tutta la cristianità ma un primato di o-nore» (“30 Giorni”, pag. 62).

Per Ricca, ci sono tre possibilità: “O ilPapato resta e resterà (...) più o meno quelloche è oggi (...) e allora dobbiamo pensareche, appunto, l’unità sarà un dono finale checi sarà dato quando Cristo tornerà [cioè:“Noi sotto il Papa? Mai e poi mai!” n.d.a.].Seconda possibilità è che il Papato cambi.Cambi in una sorta di riconversione ecume-nica del Papato. (...) Finora sono stato al ser-vizio dell’unità cattolica; da ora in avanti mimetto al servizio dell’unità cristiana (...)[Papa = presidente di una nuova chiesa ecu-menista n.d.a.].

La terza ipotesi invece è che il Papa restiquello che è, ma non si proponga come cen-tro e fulcro dell’unità cristiana, ma semplice-mente come centro dell’unità cattolica. (...)Le chiese potrebbero (...) riconoscersi reci-procamente come chiese di Gesù Cristo,realmente unite tra loro e realmente diversetra loro, dandosi un appuntamento periodicoin un Concilio veramente universale (...)[Papa = capo di una chiesa cristiana tra le al-tre unite in un consiglio ecumenico n.d.a.](“30 Giorni”, pagg. 70-71).

Per Ratzinger in cosa consiste il ruolo delPapa? L’ho detto: egli tace, o meglio non riba-disce la fede cattolica (prima ipotesi di Ricca)e lascia intravvedere la terza ipotesi come tap-pa intermedia e la seconda come meta finale.Per l’intanto, ricorda come “le chiese ortodos-se” (eretiche e scismatiche n.d.a.) “non do-vrebbero cambiare nel loro interno molto,quasi niente, nel caso di una unità con Roma”(“30 Giorni”, pag. 68) “e che nella sostanza”,questo “vale non solo per le chiese ortodosse,ma anche per quelle nate nella Riforma” (“30Giorni”, pag. 69) al punto che egli studiò, conamici luterani, vari modelli possibili di una“Ecclesia catholica confessionis augustanæ”(“Chiesa Cattolica di confessione augustana”,che segue cioè le eresie protestanti della“Confessione augustana”, sorta di “credo”protestante presentato dall’eresiarca Melan-tone a Carlo V) (cf. “30 Giorni”, pag. 68).

Tutto ciò non assomiglia alle proposte (e-retiche) di Cullmann e di Ricca (versione se-conda)? Avremmo una Chiesa presiedutadal “Papa”, con un ramo “ortodosso” che re-sta “ortodosso” ed un ramo protestante cheresta protestante. D’altra parte, perRatzinger, gli “ortodossi” (e, mutatis mutan-dis, i protestanti) “hanno un modo diverso digarantire l’unità e la stabilità nella comunefede, diverso da come lo abbiamo noi nellaChiesa cattolica dell’Occidente” (cioè, pergli “ortodossi”, liturgia e monachesimo)(“30 Giorni”, pag. 68).

Ora, chi non vede che liturgia e monache-simo presso gli ”Ortodossi” (come la Bibbiapresso i protestanti) non sono affatto suffi-cienti a garantire l’unità e la Fede? Difatti,malgrado la liturgia, il monachesimo e laBibbia essi sono scismatici (senza unità) ed e-retici (senza fede)! Voler ridurre i dogmi di fe-de e l’azione per preservarli con la condannadell’errore (da noi istituzionalizzata nel S.Uffizio di cui è Prefetto il Papa) a delle carat-teristiche peculiari non della Chiesa Cattolica= universale, ma di un suo ramo occidentale (eromano), è aberrante! E non sono certo le ci-tazioni del teologo “ortodosso” Meyendorff(che critica l’universalismo nella sua forma ro-mana, ma critica anche, come dice, il regionali-smo come si è formato nella storia delle chieseortodosse”. Ratzinger in “30 Giorni” pag. 68)che danno al “prefetto ecumenico” una paten-te di cattolicità. Meyendorff, in fondo, ripro-pone l’aberrazione di Ricca: le chiese, tutte lechiese, anche la Cattolica, devono cambiareprofondamente per assicurare l’ecumenismo.

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Insomma, Pio XI aveva messo il dito nellapiaga quando scrisse (si direbbe che parlavadi Cullmann): “Alcuni ammettono e concedo-no che il Protestantesimo, per esempio, trop-po precipitosamente si disfece di certi capi difede e di alcuni riti del culto esterno che, alcontrario, la Chiesa Romana ritiene ancora.Ma subito aggiungono che questa pure peròha fatto cose che sono venute a corromperela religione antica, aggiungendo e proponen-do a credere dottrine non solo aliene dalVangelo ma contrarie ad esse, come, si affret-tano a dire, il Primato di giurisdizione attri-buito a San Pietro ed ai suoi successori nellafede di Roma. C’è pure chi si lascerebbe an-dare a concedere al Pontefice Romano unprimato d’onore, o fin una certa giurisdizioneo certo potere: non son molti però; soltantoesigono si dica che ciò avviene per consensodei fedeli e non per diritto divino. Non mancachi addirittura ha il pio desiderio di vedere acapo di questi congressi, diciamo così, vario-pinti, lo stesso Papa! D’altronde, di acattoliciche si riempiono la bocca con queste predi-che di unione fraterna, ne trovi molti; a nes-suno però passa per il capo di sottomettersied obbedire all’insegnamento, al comandodel Vicario di Cristo” (Pio XI, Mortalium a-nimos). Come si vede, dal 1928 ad oggi, iProtestanti non hanno fatto un solo passo a-vanti, mentre abbiamo dovuto vedere ben al-tro che la presenza del “Papa” ai “variopinticongressi” degli acattolici.

Fine ultimo: l'unità della Chiesa

Ma torniamo a Ratzinger. Per non ab-bordare il problema del Papato, inizia il di-scorso dall'ecumenismo. In esso “la finalitàultima è, ovviamente, l’unità delle chiesenella Chiesa unica” (“30 Giorni”, pag. 66). È“l’unità della Chiesa di Dio alla quale ten-diamo” (“30 Giorni”, pag. 67). Il fine versocui Ratzinger ci vuole indirizzare, è falso inpartenza. Se la “Chiesa è unica”, che ci stan-no a fare “le chiese”? Questa “unica Chiesa”è, o non è, la Chiesa Cattolica? O la ChiesaCattolica è una delle “chiese” che devono, inun futuro, unirsi (sempre più) nella “Chiesaunica”? Nel primo caso (Chiesa unica =Chiesa Cattolica): il fine è già raggiunto, laChiesa è già “una”, l’ecumenismo non hascopo se non quello dell’abiura, da parte de-gli eretici e scismatici, dai loro errori, e le“chiese” sono solo sette e conventicole chenon devono unirsi ma sparire.

Nel secondo caso (Chiesa unica = unionepiù o meno stretta di “chiese” più o meno di-verse) Ratzinger ci propina l’errore condanna-to da Pio XI in “Mortalium Animos”: “A que-sto punto val la pena d’individuare e toglier dimezzo l’errore, in cui si fonda la questione e dacui partono le idee e le iniziative molteplici de-gli acattolici, relative all’unione delle Chiesecristiane. I fautori di essa hanno per vezzo di ti-rar fuori ogni tanto Gesù che dice: “Tutti sìanouna cosa sola… si farà un ovile ed un pastore”(Giov. XVII, 21; X, 16); quasi che in queste pa-role il desiderio e la preghiera di Gesù sian re-stati senza effetto. Pensano che l’unità di fede edi regime - note distintive della Chiesa - non siain fondo mai esistita prima di ora, e non esistaoggi; la si può ben desiderare e forse pure rag-giungere con un poco di buon volere comune,ma intanto, così come stanno le cose, è un’ideae non altro. Aggiungono: la Chiesa per sè, cioèdi natura sua, è divisa in parti, vale a dire con-sta di più chiese o comunità particolari, le quali,disgiunte come sono, son d’accordo soltanto inqualche capo di dottrina, ma nel resto divaria-no e ciascuna ha i suoi diritti” (cf. Enciclicheproibite, Marini ed. Roma 1972, pag. 81-82).

Il “prefetto ecumenico” può spiegarsi?Per lui l'unica Chiesa di Cristo esiste già, edè la Chiesa Cattolica, o no?

Come sarà la Chiesa del futuro?

Purtroppo, temo che si sia già spiegato. Il fi-ne ultimo (l’unione nella Chiesa delle chiese) ènel futuro, un futuro lontano e… sconosciuto.

Oscar Cullmann con Giovanni Paolo II (da “Il Sabato”)

“Questo quindi lo scopo, la finalità di o-gni lavoro ecumenico: arrivare alla unità rea-le della Chiesa [che ora non esiste? Che èsolo apparente? Irreale? N.d.a.], la quale im-plica pluriformità in forme che non possia-mo ancora definire” (“30 Giorni”, pag. 66).E altrove: “Io non oserei per il momentosuggerire per il futuro realizzazioni concrete,possibili e pensabili” (“30 Giorni”, pag. 68).

Ricca ha, protestanticamente, molto ap-prezzato queste espressioni di Ratzinger.Perché coincidono col suo pensiero. Dopo a-ver ricordato gli otto secoli di lotte tra valde-si e cattolici, Ricca aggiunge: allora, “perchésiamo insieme? Siamo insieme perché, se èvero che sappiamo bene chi siamo, e abba-stanza bene chi siamo stati, non sappiamoinvece ancora chi saremo. E la stessa riserva-tezza del cardinale nel non proporre model-li, cioè, appunto, nel non sapere, è proprioquell’atteggiamento che, in fondo, ci lega”(“30 Giorni”, pag. 69). Uniti, valdesi e se-guaci del Vaticano II, nel non sapere comesarà la Chiesa! (Perché, come spiega Ricca,o le chiese cambiano o l’ecumenismo muo-re). Che un protestante si riconosca nell’ideadi una futura Chiesa sconosciuta, passi. Maun cattolico? Come si concilia tutto ciò conl’indefettibilità della Chiesa? Quale altromodello di Chiesa si può proporre ai prote-stanti se non quello voluto da Cristo e fon-dato su Pietro? Come può un “cardinale”non sapere come deve essere la Chiesa,quando Cristo l’ha fondata da duemila anni?

Si direbbe che Ratzinger ha della Chiesala concezione che Teilhard ha di Dio: laChiesa non esiste… ancora; è in evoluzio-ne… verso il suo punto Omega, la meta fina-le dell’ecumenismo.

L’unità nella diversità

La Chiesa quindi sarà una (nella plurifor-mità). Nel futuro. Dio solo sa quando. E nelfrattempo? Nel frattempo c’è “un tempo in-termedio” (“30 Giorni”, pag. 66): “unità nel-la diversità”. «Questo modello - spiegaRatzinger - si potrebbe secondo me esprime-re con la formula ben conosciuta della “di-versità riconciliata”, e su questo punto misento molto vicino alle idee formulate dalcaro collega Oscar Cullmann» (“30 Giorni”,pag. 67). Quale sia il modello-Cullmann loabbiamo già visto. Come lo propongaRatzinger lo vedremo qui di seguito. Bastidire che Ricca ha capito al volo: “Desidero

anzitutto dichiarare - ha replicato - che, ri-spetto a quello che ha detto ora il CardinaleRatzinger, sono d’accordo al 99% per nondire al 100%. Anzi, mi rallegro e mi com-piaccio. Su questa base si può costruire: lostesso concetto di diversità riconciliata, co-me sapete, è di matrice luterana” (“30Giorni”, pag. 69). Ratzinger pertanto ci vuolcondurre ad una sconosciuta chiesa pluri-morfa partendo da un fondamento di matri-ce luterana.

Ritorno all’essenziale.

Ma come si realizza, concretamente, que-sta “diversità riconciliata”? Non si tratta,ammonisce Ratzinger, di “essere contentidella situazione che abbiamo”, di rassegnarsistatisticamente ad essere diversi (pag. 68).

Occorre invece, dinamicamente, perseve-rare “nell’andare insieme, nell’umiltà che ri-spetta l’altro, anche dove la compatibilità indottrina o prassi della chiesa non è ancoraottenuta; consiste nella disponibilità ad im-parare dall’altro e a lasciarsi correggeredall’altro, nella gioia e gratitudine per le ric-chezze spirituali dell’altro, in una permanen-te essenzializzazione della propria fede, dot-trina e prassi, sempre di nuovo da purificaree da nutrire alla Scrittura, tenendo lo sguar-do fisso al Signore...” (“30 Giorni”, pag. 68).

Quanti controsensi in poche righe!Come si può “andare assieme” se si pen-

sa e si agisce in modo diverso?Come può la “Cattedra della Verità”, la

Chiesa di Cristo, imparare (qualche cosa chegià non conoscerebbe) e addirittura farsicorreggere dagli eretici? Come si può “ri-spettare” l’eresia e lo scisma, cioè il peccato?poiché è in quanto eretiche e scismaticheche le sètte protestanti o “ortodosse” si di-stinguono da noi.

Ed infine, cosa significa “essenzializzare”(permanentemente!) la fede? L’idea è al centrodel pensiero di Ratzinger (e non solo): “la ri-cerca del wesen, dell’essenza del cristianesimo,è una ricerca tipica della teologia tedesca da ol-tre un secolo a questa parte. Basti pensare alleopere di L. Feuberbach (1841), di A. Harnack(1900), di K. Adam (1924), di R. Guardini(1939), di M. Schmans (1947), e alla recenteproposta di K. Rahner circa una formulazionesintetica del messaggio cristiano. Analogam-ente ai tentativi sopra ricordati, la ricerca diRatzinger sull’essenza del cristianesimo portachiaramente l’impronta del tempo nel quale è

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nata, quel tempo che è ormai da più parti desi-gnato come “l’età post-cristiana della fede”, ca-ratterizzata non tanto dalla negazione di questao di quell’altra verità di fede, quanto piuttostodal fatto che la fede nel suo complesso sembraaver perduto il suo mordente, la sua capacità diinterpretare il mondo, di fronte ad altre visioniche paiono dotate se non altro di maggior effi-cacia operativa” (ARDUSSO, op. cit., pag. 457).

In realtà, ogni tentativo di “essenzializza-re” la fede rischia di distruggere la Fede stes-sa. Contro gli ecumenisti, già scriveva Pio XI:“Inoltre, per ciò che spetta alle verità da cre-dere, non è lecito affatto introdurre quella di-stinzione che dicono tra punti fondamentali enon fondamentali; gli uni da credersi assoluta-mente, gli altri liberi e che si possono permet-tere all’assenso dei fedeli. La virtù sopranna-turale della fede ha per causa formale l’auto-rità del rivelatore, Iddio; e questa causa nonammette distinzioni di quella sorta. Tutti i vericristiani, quindi con la stessa fede con cui cre-dono il dogma della SS. Trinità, credono ildogma dell’Immacolata Concezione; e comeall’Incarnazione del Signore, così pure all’in-fallibile magistero del Romano Pontefice, inquel senso, s’intende, in cui è stato definito dalConcilio Ecumenico Vaticano. Per il fatto chequeste verità sono state dalla Chiesa sancite edefinite solennemente in età diverse, ed alcu-ne in epoca recente, non possono perciò stessodirsi men certe e meno da credersi: non le hatutte rivelate Iddio?” (Mortalium animos).

Ratzinger non spiega chiaramente qualesarebbe l’essenziale della fede, e cosa inveceè “sovrastruttura” (in ARDUSSO op. cit. pag.458, sarebbe essenziale “presentarsi come lachiesa della fede al totale servizio degli uo-mini liberandosi da sovrastrutture che ne of-fuscano la genuinità del volto”).

Nella sua replica conclusiva precisa peròche il suo “pensiero coincide con quello delProfessor Ricca” (“30 Giorni”, pag. 72) sulla«parola “essenzializzazione”. Dobbiamo real-mente ritornare al centro, all’essenziale, o,con altre parole: il problema del nostro tem-po è l’assenza di Dio e perciò il dovere priori-tario dei Cristiani [assieme: cattolici e acatto-lici, n.d.a.] è testimoniare il Dio vivente» (“30Giorni”, pag. 73). Certo, così i cristiani di tuttii generi (o quasi!) saranno d’accordo su quelminimo che è l’esistenza di Dio, “la realtà delgiudizio e della vita eterna” (pag. 73); e que-sto “imperativo”, per forza, “unisce”, perché“tutti i cristiani sono uniti nella fede di questoDio che si è rivelato, incarnato in Gesù

Cristo” (“30 Giorni”, pag. 73). (Per la con-danna di questa idea di una comune testimo-nianza si veda sempre Mortalium Animos).

Reciproca purificazione.

Ma come avviene, praticamente, la conti-nua “essenzializzazione” (che Congar - ri-corda Ricca - chiamava “ressourcement”)?

Per Ratzinger questo processo, positivo,viene dalle altre “chiese”. La Chiesa Cat-tolica sarebbe così continuamente purifica-ta... dalle sètte eretiche. Per cui, in attesadell’unità (pluriforme), è bene che ci sia ladiversità (riconciliata).

«“Oportet et haereses esse” dice San Paolo.Forse non siamo ancora tutti maturi per l’u-nità ed abbiamo bisogno della spina nella car-ne, che è l’altro nella sua alterità, per risve-gliarci da un cristianesimo dimezzato, ridutti-vo. Forse è il nostro dovere l’essere spinal’uno per l’altro. Ed esiste un dovere di lasciar-si purificare ed arricchire dall’altro. (...) Anchenel momento storico nel quale Dio non ci dàl’unità perfetta, riconosciamo l’altro, il fratellocristiano, riconosciamo le chiese sorelle, amia-mo la comunità dell’altro, ci vediamo insiemein un processo di educazione divina nella qua-le il Signore usa le diverse comunità una perl’altra, per farci capaci e degni dell’unità defi-nitiva” (“30 Giorni”, pag. 68).

Quindi, secondo Ratzinger Dio vorrebbele “eresie” (mentre solo le permette, comepermette il male); anzi, Dio vuole, provviso-riamente, le divisioni, le diverse comunità,perché una perfezioni l’altra. La ChiesaCattolica sarebbe quindi “risvegliata” “purifi-cata”, “arricchita” e non più “dimezzata” gra-zie alle sètte eretiche di cui si serve il Signore.E viceversa, la Chiesa Cattolica svolgerebbelo stesso ruolo nei confronti delle altre chiese.Tutte, dialetticamente, in marcia verso l’indefi-nita unità futura di una Chiesa sconosciutache risulterà da questo processo.

Modello, ma solo modello, di questaChiesa futura è la Chiesa primitiva, la qualeera unita “nei tre elementi fondamentali:Sacra Scrittura, regula fidei, struttura sacra-mentale della Chiesa” (“30 Giorni”, pag. 66)e, per il resto, era diversissima. Non era uni-ta anche sotto il magistero ed il governo delPapa? E, pur nelle diversità locali, non ave-va la stessa fede, cosa che non avviene con iprotestanti e gli ortodossi?

Ratzinger ci chiede di aderire ad una chie-sa futura sconosciuta modellata su di una chie-

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sa antica falsata per abbandonare, in realtà, laChiesa eterna ed immutabile di Cristo.

Conclusione: Pio XI giudica Ratzinger.

Se Ratzinger non sa verso quale modellofuturo vadano queste chiese “spina-nella-car-ne” che si “essenzializzano” le une con le altre,glielo dirà Pio XI. Il Papa si pronunciò inquell’enciclica che Ratzinger stesso osò dichia-rare conforme al Vaticano II (!), “Mortaliumanimos”.

La teoria ecumenista, o pancristiana co-me si diceva allora, “spiana la via al naturali-smo e all’ateismo” (pag. 79) prepara “unapretesa religione cristiana che è lontana lemille miglia dalla sola Chiesa di Cristo” “è lavia alla negligenza della religione o indiffe-rentismo, e al modernismo” “è una scioc-chezza e una bestialità”. Ma non gettiamo suRatzinger tutta la colpa. Egli non è che il fe-dele interprete del Vaticano II, come d’altraparte Karol Wojtyla. È quello il corpo estra-neo che bisogna espellere e che le forze sanedella Chiesa, sposa di Cristo, indubitabil-mente rigetteranno. Quanto a noi, vogliamoappartenere alla Chiesa Cattolica e non alleelucubrazioni eterodosse di Oscar Cullmanne del suo discepolo (diversamente unito e u-nitamente diverso) Joseph Ratzinger.

“LASCIATE CHE I BAMBI-NI VENGANO A ME… PER-CHÉ DI QUESTI È IL RE-GNO DI DIO” (Mc. X, 14).

Gesù nell’Eucarestia e l’educazione dei fanciulli

di don Ugolino Giugni

Premessa

Si parla spesso (ed a sproposito) ai nostrigiorni di educazione dei bambini e della gio-ventù. Lo Stato (laico-massone e anticristia-no! n.d.a.) tende ormai sempre più ad appro-priarsi di quel ruolo dell’educazione dei figli,che è per diritto naturale proprio dei genitorie degli educatori cristiani da essi prescelti. Èovvio che questa “educazione” [le virgolettesono d’obbligo poiché sarebbe meglio parlaredi diseducazione, se non addirittura di perver-sione della gioventù] che procede da un'orga-nizzazione (lo stato) non più cristiana e nonpiù informata nelle sue istituzioni dai princìpidella Religione Cattolica, tende a formare dei“cittadini” destinati a vivere nel “nuovo ordi-ne mondiale”. Questi figli del ventesimo seco-lo dovranno essere aperti a tutte le idee e tol-leranti verso tutte le religioni (soprattuttoquelle false… o mortifere…) [vedi articolo se-guente]. L’unico loro nemico sarà l’intolleran-za e l’esclusivismo. Per compiere ciò questibambini dovranno essere scristianizzati, per-vertiti fin dalla loro giovinezza, tramite ap-punto una diseducazione statale perversa.

Papa Leone XIII osservava già nel 1884che « se come fanno i Naturalisti ed altresì iFramassoni, si tolgono via [i principi di unDio creatore e provvido reggitore del mon-do; una legge eterna, che comanda il rispettoe proibisce la violazione dell’ordine natura-le; un fine ultimo… sorgenti e principi dellagiustizia e della moralità], l’etica naturalenon ha più né dove appoggiarsi, né come so-stenersi. In quanto la sola morale che am-mettono i Frammassoni, e che vorrebberoeducatrice unica della gioventù, è quella chechiamano civile o indipendente, ossia cheprescinde affatto da ogni idea religiosa.

Ma quanto sia povera, incerta, ed a ognisoffio di passione variabile cotesta morale, lo

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Ratzinger assieme a Rahner ai tempi del Concilio

Educazione

dimostrano i dolorosi frutti, che già in parteappariscono. Infatti dove essa ha cominciato adominare liberamente, dato lo sfratto del-l’educazione cristiana, la probità e integritàdei costumi scade rapidamente; orrende e mo-struose opinioni levan la testa, e l’audacia deidelitti va crescendo in modo spaventoso » (1).

Vorrei qui suggerire ai genitori e aglieducatori qualche pensiero sull’educazione,conformemente alla morale e dottrina catto-lica, ispirandomi particolarmente al metodoeucaristico spiegato da Don Edoardo Poppe.

Origine e storia della Crociata Eucaristica: ildecreto di S. Pio X

Nel corso del secolo XIX ci furono già al-cuni sacerdoti educatori della gioventù, comeS. Giovanni Bosco, che compresero l’impor-tanza dei sacramenti, e dei sacramenti ricevutibene, nell’educazione dei fanciulli. Così espri-meva il suo pensiero Don Bosco: “Si tengalontano, come la peste, l’opinione di talunoche vorrebbe differire la prima Comunione inetà troppo inoltrata, quando per lo più il de-monio ha preso possesso del cuore di un giovi-netto a danno incalcolabile per la sua innocen-za. (…) Quando un giovinetto sa distingueretra pane e pane, e palesa sufficiente istruzione,non si badi più all’età e venga il Sovrano Ce-leste a regnare in quell’anima benedetta” (2).

Ben presto si formò una corrente di pen-siero favorevole alla comunione precoce deibambini. Di questa corrente faceva parte an-che Mons. Giuseppe Sarto, il futuro PapaSan Pio X, il quale una volta elevato allaCattedra di S. Pietro, codificò e rese leggequesta idea della Comunione precoce, cheera ormai opinione quasi comune e aspira-zione di molte anime pie. L’ 8 agosto 1910uscì il decreto “Quam singolari” con il qualeS. Pio X cambiava gli usi ecclesiastici riguar-do alla prima Comunione.

Ecco il pensiero del Santo Pontefice:“Questa consuetudine che, sotto il pretestodi salvaguardare il rispetto dell’augusto

Sacramento ne tiene lontano i fedeli, fu cau-sa di numerosi mali. Ne veniva che l’innocen-za del fanciullo, divelto dall’amplesso diCristo, non era nutrita con nessun alimentodi vita interiore; da ciò ne conseguiva ancorache la gioventù, privata di un presidio così ef-ficace, rimasta in balìa di tutte le insidie, per-se il candore, precipitava nei vizi prima anco-ra di gustare i santi misteri. Anche se si pre-mette una più diligente preparazione alla pri-ma Comunione ed una più accurata prepara-zione alla Confessione sacramentale, - ciòche non viene fatto ovunque, - rimane peròsempre da rimpiangersi la perdita della pri-ma innocenza, perdita che si poteva forse evi-tare ricevendo l’Eucaristia in più tenera età.

Siccome nell’antichità si distribuivano aibambini anche lattanti, i resti delle sacrespecie, non sembra esservi una giusta causaper esigere oggi una preparazione straordi-naria dei fanciulli, che sono nella felicissimacondizione del primitivo candore ed inno-cenza, e che hanno massimamente bisognodi quel mistico nutrimento a causa delle nu-merose insidie e pericoli di questo tempo.

Gli abusi che noi abbiamo riprovati, deri-vano dalla distinzione fatta di due età delladiscrezione; una per la Penitenza, e l’altraper l’Eucarestia; e dal non aver né chiara-mente né esattamente definito che cosa si in-tenda per età della discrezione. Il concilioLateranense, che comanda l’obbligo con-giunto della Confessione e della Comunione,richiede per ricevere i due sacramenti unasola ed identica età.

Dunque, come per la Confessione si ritie-ne età della discrezione quella in cui si puòdistinguere ciò che è onesto da ciò che è di-sonesto, ossia quell’età in cui si è raggiuntol’uso di ragione; così età della discrezione perla Comunione è da ritenersi quella in cui sipossa distinguere il pane eucaristico dal panecomune; che nuovamente è la stessa età incui il fanciullo ha raggiunto l’uso di ragione.

La conoscenza della religione richiestanel fanciullo, affinché egli convenientementesi prepari alla prima Comunione, è quellache gli fa comprendere, secondo le sue capa-cità, quali sono i misteri della fede (…) chegli fa distinguere il pane eucaristico dal panecomune e corporale, affinché si accosti allaSS. Eucarestia con quella devozione checomporta la sua età” (3).

Con questo decreto S. Pio X fissava or-mai l’età per la prima Comunione, all’etàdella ragione, cioè intorno ai sette anni.

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Il logo della Crociata Eucaristica

In seguito a questa storica decisione papaledi anticipare l’età della Comunione dei fan-ciulli nacque, ispirandosi al decreto di S. Pio X,la Crociata Eucaristica. La Crociata Euca-ristica è un’associazione religiosa, facente par-te della più vasta opera dell’Apostolato dellapreghiera, di cui essa è una sezione. Essa fufondata nel 1915 a Tolosa dal P. A. Bessières, eprese a diffondersi rapidamente in tutto ilmondo. In Italia cominciò a propagarsi nel1921. In Belgio, a partire dal 1920 essa si valsedella collaborazione del Padre Poppe chescrisse il suo famoso libro: “La MethodeEucharistique” considerato un capolavoro del-la formazione dei piccoli crociati (4).

Che cos’è la Crociata Eucaristica

“La Crociata Eucaristica è l’armata gio-vanile dell’Apostolato della preghiera, chein tutte le nazioni va raccogliendo migliaia difanciulli e giovanetti intorno all’altare, dovevive nella sua realtà il Cuore di Gesù” (5).Viene chiamata Crociata in analogia alleCrociate del medio Evo, che avevano per fi-ne di liberare il sepolcro di Gesù Cristo dalladominazione dei Turchi. A loro somiglianza,i piccoli Crociati dell’Eucarestia cercano diliberare le anime, che per disgrazia fosseroschiave del peccato, per farle ritornare tem-pli vivi dello Spirito Santo.

I Crociatini secondo il loro motto “Adve-niat regnum Tuum” desiderano diffondere ilregno del S. Cuore, cioè portare nuove animea Lui, le quali vinte dalla sua grazia, o venga-no per la prima volta alla luce della verità, ovi ritornino, se si erano allontanate. Come iregni terreni diventano più grandi portandola loro bandiera oltre i confini, così il regnodi Gesù Cristo si diffonde innalzando la suaCroce in altre regioni e conquistando nuovisudditi alla sua legge. Essi si adoperano pureper consolidare questo regno di Gesù, pre-gando e facendo sacrifici affinché non si ab-biano a deplorare delle defezioni; ma anzicresca il numero di coloro che s’interessanodella diffusione del medesimo regno.

Il fine di questa crociata è quello di susci-tare nei cuori giovanili la fiamma dello zelo,formando dei piccoli apostoli, e di aumenta-re in essi l’amore per Gesù sacramentato. Èdetta “Eucaristica” perché, come si vedrà, laComunione frequente è una delle armi po-tenti, di cui si servono i piccoli Crociatidell’Eucarestia per attingere da Gesù lo zeloe per trionfare delle anime.

I Crociati essendo come dei soldati, avran-no a disposizione delle armi (spirituali) e sa-ranno al servizio di un Re. Le loro armi sono:

a) La preghiera apostolica (6), ossia l’of-ferta giornaliera al Cuore di Gesù (Cuore di-vino…) con la quale ogni sofferenza si tra-sforma in preghiera per la salute delle anime.

b) La Comunione apostolica frequente,offerta al Signore per la diffusione del suoregno d’amore.

c) I sacrifici apostolici, che formano il Teso-ro del S. Cuore (Tesoro della Crociata) e sonofioretti spirituali offerti per il medesimo fine,che temprano il carattere dei Piccoli Crociati.

d) L’azione apostolica a favore dei propricompagni, specialmente nel propagare tra diloro la devozione al S. Cuore.

L'Eucarestia è l'anima della preghieradei Crociati. Tramite la Comunione e l'offer-ta della giornata essi trasformeranno ogni lo-ro azione in preghiera. Prega!

L'Eucarestia li unirà a Dio nella SantaComunione. Il Tabernacolo è il luogo doveGesù da udienza ai suoi amici. Egli dice infat-ti: “Colui che mangia la mia carne, rimane inme ed io in lui” (Giov. VI, 58). Comunicati!

L'Eucarestia sarà l'anima dei loro sacrifi-ci. La S. Messa è il rinnovamento del Sa-crificio del Calvario. Di fronte alla croce, alledifficoltà, alle prove, la prima reazione delCrociato è dire: “Gesù, ve lo offro”, conamore e con gioia, senza rassegnazione e tri-stezza. Sacrificati!

L'Eucarestia è l'anima del loro Aposto-lato. In essa i Crociati trovano la forza el'entusiasmo necessari per fare del bene alprossimo, per portare gli uomini a Gesù. Siiapostolo!

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Il servo di Dio Don Edoardo Poppe

Questi quattro punti fondamentali, che sirifanno tutti all’Eucarestia, sono espressi dalmotto dei Crociati: Prega, Comunicati, Sa-crificati, Sii apostolo!

Loro Re è il Cuore Santissimo di Gesù,che vive e palpita in cielo e nella SS. Euca-restia. A servizio di questo divino Re d’Amo-re i piccoli Crociati pongono le loro armi, perestendere sempre più il Suo regno negli indi-vidui, nelle famiglie, nella società. E perciò sichiamano anche i crociati del S. Cuore.

Il campo d’azione dei piccoli Crociati sonole anime redente dal Sangue di Gesù Cristo,specialmente quelle: dei loro carissimi genito-ri, per ricompensarli dell’amore di cui li cir-condano e dei sacrifici che affrontano per essi;dei loro maestri ed educatori e di quanti coo-perano alla loro formazione intellettuale e re-ligiosa; dei loro compagni di scuola, di colle-gio ecc.; di tutta la gioventù del mondo e spe-cialmente di quella della loro patria.

I bambini iscritti nella C. E. sono divisi indiversi gradi (come in ogni esercito). Vi en-trano come paggi, dopo un primo periodo diprova passano Crociati per diventare infineCavalieri. Questi tre gradi impegnano i fan-ciulli a mantenere delle Promesse diverse:

Il Paggio si impegna a:- Dire le preghiere del mattino con l’atto

di offerta.- Dire le preghiere della sera con il tesoro.Il Crociato si impegna a:- Dire le preghiere del mattino con l’atto

di offerta.- Dire tutti i giorni almeno due decine

del Rosario, o una corona intera se possibile.- Ricevere la santa Comunione tutte le

Domeniche, e più sovente, se è possibile.- Fare un sacrificio tutti i giorni.- Lottare contro il proprio difetto parti-

colare.- Confessarsi una volta al mese.Il Cavaliere, oltre alle promesse del cro-

ciato, si impegna a:- Recitare la corona del Rosario ogni

giorno.- Fare la comunione spirituale, o fare la

visita al SS,. se è possibile.- Confessarsi ogni quindici giorni, se pos-

sibile.- Fare un quarto d’ora di meditazione o-

gni giorno.Che cosa hanno pensato i Papi a proposi-

to della Crociata Eucaristica? “Tenendo ilposto del buon Gesù, Noi non possiamo noncircondare di un amore di predilezione i pic-

coli, i prediletti del suo Cuore divino. Chedire quando si tratta di Piccoli Crociati e dipiccoli apostoli?… Dal più profondo del no-stro cuore paterno, dunque, Noi invochiamola più tenera delle benedizioni su loro, sulleloro famiglie e su tutti quelli che li amano efanno loro del bene”. Così si esprimeva PioXI, in occasione di una delle numeroseudienze che accordò ai piccoli Crociati.

Benedetto XV, il 30 luglio 1916, supplicòi cari ed onnipotenti fanciulli a stendergli lamano dall’altare; e per sei volte benedissequesta Crociata Eucaristica.

Il Congresso Eucaristico internazionaledi Lourdes nel 1914, aveva emesso un votoper una Crociata Eucaristica internazionaledi fanciulli.

Più di duecento tra Cardinali e Vescovidi tutto il mondo hanno incoraggiato e bene-detto la medesima.

Cosa vuol dire educare

“Educare un bambino cristianamentevuol dire aiutarlo a rendersi conforme aCristo” (7) (Rom. VIII, 29). Per sfuggire alpericolo del naturalismo e del semi-pelagia-nesimo (8) dobbiamo qui ricordare l’econo-mia nella quale questa educazione deve avve-nire. L’uomo dopo il peccato originale si tro-va in uno stato di “natura decaduta” che èstata però “riparata” dalla redenzione opera-ta da Nostro Signore Gesù Cristo. Se il nostrofine, educando i bambini, è quello di “confor-marli a Cristo” dobbiamo tenere conto cheessi, come i loro genitori… e tutti gli uominiche nascono in questa “valle di lacrime”, sonomacchiati dal peccato originale; quindi dovre-mo anche fare un lavoro di “riformazione”.

Fatta questa premessa, l’educazione avràcome punto di partenza il bambino in statodi “natura decaduta” a seguito del peccatooriginale; come processo educativo, la rifor-ma metodica del bimbo dal vecchio Adamoper conformarlo al nuovo Adamo che èGesù Cristo; infine il termine finale sarà pro-prio questa conformità perfetta del fanciullocon Gesù, conformità che si attuerà in duetempi: tramite la grazia, in terra, e tramite lagloria della visione beatifica, in cielo.

Il metodo eucaristico

Dio ci ha “predestinati a divenire confor-mi all’immagine del suo figliuolo” [quos…prædestinavit conformes fieri imaginis Filii

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sui” (Rom. VIII, 29)]; questo comandamento,o predestinazione, vale per tutti gli uomini,quindi anche per i bambini. Essi dovranno es-sere aiutati dall’educatore a conformarsi intutta la loro vita e le loro azioni a Gesù No-stro Signore, a pensare, ad agire come avreb-be pensato ed agito Gesù. Se questo è il fine acui si tende è chiaro come questa educazionesia un’opera prettamente soprannaturale.

L’educazione ha quindi un fine e deimezzi soprannaturali; essa è necessariamen-te opera della grazia. Senza questa grazia diCristo tutti i nostri sforzi e i mezzi naturaliresteranno inefficaci [“senza di me non pote-te fare nulla” (Giov. XV, 5)]. L’educatore do-vrà contare, prima di tutto, sulla grazia, siaper se stesso che per i suoi allievi.

È a questo punto che l’educazione diventa“eucaristica” poiché essa ricorre come mez-zo-fine all’Eucarestia, l’augusto sacramentoche contiene l’autore stesso della grazia(Gesù Cristo). Così argomenta don Poppe:

« 1) Tutte le grazie hanno la loro primaorigine nella misericordia della SS. Trinità.

2) Esse hanno la loro sorgente meritorianel Sacrificio cruento sulla Croce dell’Uo-mo-Dio, unico-Prete, sommo-Sacerdote,Gesù Cristo, nato da Maria Santissima » (9).

Come il sacrificio del Calvario è il centrodella storia universale, allo stesso modo laSanta Messa è il centro e la sorgente di ener-gia di tutta la nostra vita personale e di ognisistema di educazione. Tutta la vita dell’edu-catore, come quella dei suoi allievi, deve es-sere ordinata intorno al santo Sacrificio. Oranon vi è partecipazione più intima, più effi-cace, più ordinata, al Sacrificio rinnovatodella Croce, che la santa Comunione. Diven-ta necessario quindi mettere l’educazione inrelazione stretta con la S. Messa, e ciò trami-te la pratica della Comunione: Comunionefrequente, Comunione fervente, Comunionefruttuosa. Le grazie ricevute in essa dovran-no essere impiegate alla correzione dei difet-ti del bambino e per fargli acquisire lo spiri-to e le virtù di Gesù Cristo (conformarlo aCristo vuol dire educarlo).

Mezzi pratici per far partecipare i bambinialla S. Messa e per far loro fare delle Co-munioni frequenti-ferventi-fruttuose, sarannoquelli di farli spesso pensare a queste cosecon continue invocazioni e ammonimenti deltipo: “Bambini, Gesù vi aspetta domani…”;far loro notare come il Santo Sacrificio siacontinuamente offerto in tutte le parti delglobo (quadrante eucaristico), ricordando-

glielo durante la giornata per mettere le loroazioni attuali in relazione con la S. Messa ce-lebrata in quell’istante. Molti altri sono i mez-zi pedagogici, che ci suggerisce don Poppe:

a) Il punto particolare: poiché ricevere lagrazia (nella Comunione) non vuol dire an-cora avere né la santità né la perfezione, masoltanto avere il principio di quella santità eperfezione, è necessario che queste grazie ri-cevute siano sviluppate nella vita del bambi-no, secondo le sue capacità e temperamento.La Comunione fruttuosa deve indirizzare lagrazia divina alla correzione dei difetti delbimbo, per acquisire lo spirito di GesùCristo, tramite la pratica del punto particola-re. Poiché è impossibile applicare l’attenzio-ne e lo sforzo del bambino (lo stesso vale an-che per l’adulto… che è un bambino un po’cresciuto…) ad acquistare tutte le virtù, e acorreggere tutti i difetti, bisogna concentrareil suo sforzo e la sua attenzione su un puntodeterminato della sua vita come: un difettodominante, o una virtù che si oppone a que-sto difetto. Bisogna insegnare al bambino, acontrollare, a graduare questo punto parti-colare per potersi correggere, secondo il suotemperamento e la sua capacità. Si deve an-che tenere conto, nell’applicazione del puntoparticolare, dell’idea direttrice, che è comeuna risoluzione generale o un proposito, chesi determina e si attua nel particolare. Peresempio se si avrà come regola generale:“voglio convertirmi… voglio farmi santo…”essa sarà applicata da un punto particolare“mi andrò a confessare… non andrò più inquel luogo… domani faro la Comunione…”.

b) Il biglietto di condotta: il sacerdote ol’educatore ne confeziona diversi e vi scriveun punto particolare, differente per ciascunbambino, sotto forma di un augurio di Gesù,come per es.: “Caro bambino, Gesù ti chiedeper questa settimana una piccola mortifica-zione ad ogni pasto”. Ogni bambino pren-derà un biglietto nella “scatola di Gesù”.

c) Il biglietto della settimana: il bambinoriceverà un bigliettino, sotto forma di que-stionario, sul quale scriverà in dettaglio ilmodo in cui avrà osservato il punto partico-lare. Questi biglietti, senza firma, sarannomessi in una scatola posta ai piedi di una sta-tua del Sacro Cuore, della Madonna o di S.Giuseppe (secondo il mese), ed i migliori po-tranno anche essere letti come esempio.

d) L'offerta della giornata da fare ognimattina appena alzati, con la seguente pre-ghiera: « Cuore divino di Gesù, vi offro, per

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intercessione del Cuore Immacolato di Maria,le preghiere, le azioni, e le sofferenze di que-sta giornata, in riparazione delle nostre offese,e per tutte quelle intenzioni per le quali Vi im-molate continuamente sull’Altare. Ve le offroin particolare per la Chiesa, per avere dei san-ti sacerdoti, per le intenzioni della C. E. ».

e) Il Tesoro del S. Cuore: si tratta di unfoglio sul quale ogni sera il bambino annotale buone opere fatte (sacrifici, atti d’amore,atti d’apostolato, preghiere, Comunioni ecc.)e le vittorie riportate sul suo difetto partico-lare o contro il demonio. Questo Tesoro vie-ne poi offerto, assieme a quello degli altripiccoli Crociati, a Gesù Cristo durante laSanta Messa (10).

Da questa esposizione si può vedere co-me nel metodo eucaristico tutto sia concate-nato e strettamente legato per conseguire ilfine che ci si era proposti: conformare ilbambino a Gesù Cristo; e come tutti i mezzisiano rigorosamente soprannaturali.

I frutti della Crociata Eucaristica

Ci si potrà lecitamente chiedere che frut-ti abbia prodotto questo metodo eucaristico,apparentemente così complesso nella suaspiegazione. Esso ha prodotto frutti mirabilidi santità e abnegazione tra i fanciulli. Si di-ce che S. Pio X promulgando il decreto“Quam singulari” avesse detto: “Ci sarannodei santi tra i bambini…”; questa predizionedel santo Papa si è avverata.

La Crociata Eucaristica ha avutoanch’essa i suoi santi. Ci furono quei fanciul-li che della Crociata furono precursori. Allascuola di Don Bosco, si santificarono tantis-simi bambini tramite la pratica della Comu-nione frequente, anima poi della C. E., di es-si possiamo citare S. Domenico Savio,Michele Magone e tanti altri ancora.

Altri fanciulli si sono santificati, realiz-zando in se stessi il fine della C. E. (rendersiconformi a Cristo), con i mezzi che essa ave-va messo a loro disposizione. Citerò breve-mente quelli più conosciuti, invitando i geni-tori a farli conoscere ai loro figlioli, additan-doli loro come esempio.

Anne de Guigné: nata il 25 aprile 1911,manifestò subito una natura molto difficile;ella era orgogliosa, gelosa, volitiva, disobbe-diente, golosa, collerica. Quando il padremuore in guerra, le lacrime della madre sonoluce per lei, che si “converte a quattro anni” esi prepara alla prima Comunione, che segnerà

in lei l’inizio dell’ascensione regolare verso ilDio d’Amore, tramite la sofferenza, l’offertaper la conversione dei peccatori, e soprattuttotramite la ferma e risoluta mortificazione dellavolontà e della curiosità (così naturale neibambini!). Anne morirà all’età di dieci anni enove mesi. A sua madre che le diceva che “erauna brava bambina” aveva risposto: “Mamma,se sono brava, è perché voi mi avete educatabene!” È una terribile lezione anche per noi.

Ecco alcune frasi di Anne de Guigné, checi danno la prova del grado d’amore e disantità raggiunto da questa bambina: “Vi so-no tante gioie, quaggiù, ma sono effimere.La gioia durevole consiste nel sacrificio com-piuto”; “Bisogna amare molto Gesù e fartutto per amor suo”; “Basta che sia contentoGesù”; “Offro tutti i miei sacrifici a Maria,affinché li presenti a Gesù in Paradiso”.

Luigi Olivares: nato nel 1913, da una buo-na famiglia, a Bogotà in Colombia. Dotato diuna intelligenza al di sopra della norma, a treanni desidera solo fare la prima Comunione.Poiché, pur conoscendo il decreto di S. Pio X,gli si risponde che non sa leggere e non cono-sce il catechismo, per imparare a leggere spiale lezioni impartite a suo fratello maggioreEdoardo, finché un bel giorno dice alla madre:“Mamma, so leggere, faccio la prima Comu-nione…!”. Dopo accurata indagine (leggevameglio del fratello!), e diverse discussioni, aquattro anni Luigi fa la prima Comunione.

Malgrado i talenti di cui è dotato fa ditutto per non brillare grazie ad essi. È capa-ce di comporre musica, disegna con arte,possiede il dono della recitazione teatrale,scrive poesie, ma soprattutto detesta metter-si in mostra.

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Anne de Guigné

Foto 5dim. reale

Dopo la morte prematura del fratelloEdoardo, manifesta a 16 anni il desiderio di“lasciare questa terra” e sembra conoscerela sua prossima morte. Ben presto si amma-la, comunicandosi tutti i giorni si preparacon gioia alla morte, vista come un martirio;colto da atroci dolori di stomaco, può riceve-re la S. Comunione una volta ancora, e muo-re in dieci giorni, desiderando unicamentel’“ostia”, come conviene ad un crociatodell’Eucarestia.

Herman Wijns: fu un vero crociato, ado-ratore di Nostro Signore Gesù Cristo immo-lato durante la S. Messa. Nato in una famigliadi ferventi cristiani, figlio di un macellaio chepossiede un negozio molto ben avviato. Il pa-dre, uomo straordinario, condurrà il figliosulla strada dell’eroismo, con grande fermez-za, come un ottimo direttore spirituale. Dallaprosperità la famiglia Wijns passa alla mise-ria più spaventosa poiché il padre si era fattogarante di un collega che era fallito, e per fa-re ciò, aveva dovuto vendere il suo stesso ne-gozio, cambiare casa e si era trovato senza la-voro. È in mezzo a queste tribolazioni che ilcarattere del piccolo Herman si forma: all’etàdi due anni, la sera egli sorprende il padre apregare il rosario in camera e si mette a reci-tarlo con lui, ben presto ne conosce tutti i mi-steri. Il padre si reca alla Messa ogni mattina,Herman volontariamente lo accompagna;cammin facendo il buon genitore gli insegnail catechismo che è recepito in manierastraordinaria dal bambino. A sei anni è am-

messo alla prima Comunione, diventa crocia-to, conosce bene il catechismo e la S. Messa,manifesta il desiderio di diventare sacerdotedicendo: “O sacerdote, o nulla!”.

Chierichetto perfetto, fino all’eroismo, ilsuo amore per Gesù si manifestava nell’esat-to compimento della liturgia, tanto che ilparroco decise di far intendere ai suoi semi-naristi in vacanza, dalla bocca di un fanciullodi nove anni, come si debba “pronunciare lalingua viva della Chiesa”.

Ai sacrifici che gli impone la povertà fa-migliare (deve soffrire la fame), Herman neaggiunge altri, come quando restò fino a serasenza bere una goccia d’acqua durante unagiornata caldissima; spesso restava sveglio lanotte, al freddo, a pregare e a fare penitenzaper la madre che, scoraggiata, non volevapiù andare in Chiesa.

« Signore, Voi lo sapete: del lavoro perpapà, della forza e rassegnazione per mamma,e per me potere restare alla scuola dei Fratellidelle scuole cristiane (11) ». Con questa inten-zione Herman fa venticinque novene che segnadiligentemente sul suo quadernetto; alla venti-cinquesima novena aveva detto a Gesù: “Diomio, è la novena giubilare, sarà l’ultima…”.Gesù, che ha detto: “Tutte le cose che doman-derete nella preghiera, abbiate fede di ottenerle ele otterrete” (Mc. XI, 24), lo esaudisce: papàtrova un posto al ministero (siamo nel 1940, ilBelgio è invaso dai Tedeschi), la miseria finiscee Herman può restare nella sua scuola.

Fedele alla parola data al padre, affinchégli accordasse il permesso di servire la S.Messa, di servirla sempre, tutti i giorni anchein vacanza, persino quando gli altri bambinifossero andati in gita, di essere chierichettoal cento per cento. Herman andrà in chiesaanche durante l’inverno, nella neve, procu-randosi i geloni ai piedi. Al padre che gli or-dina di restare otto giorni a letto, suppliche-vole il bambino risponde: “La mia Messa, lamia Comunione!”. Il padre, che vuole il be-ne di Herman, dirà che la sua autorità pater-na non poteva forzare il santuario che era lacoscienza del figlio, dominio riservato a Dio,ed accorderà il suo permesso.

Dopo aver presentito la sua morte, ed es-sersi preparato ad essa, Herman morì a se-guito di un tragico incidente, causatodall’imprudenza dei suoi compagni. Inutilifurono le due operazioni alle quali fu sotto-posto, nel delirio lo si sentiva recitare:Confiteor, Kyrie, Gloria, le sue ultime parolefurono: “in sæcula sæculorum. Amen”.

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Herman Wijns, piccolo Crociato dell'Eucarestia

Altri santi bambini che si possono citaresono: Nellie del Dio Santo (Nellie of HolyGod), orfanella irlandese, consumata in san-tità a quattro anni e mezzo e Luigi Vargues,crociato e chierichetto sperimentato, che ser-viva fino a sei Messe al giorno dicendo che laMessa metteva l’ordine nella sua vita (12).

Gesù ama i Crociatini? Come possiamodubitarne! Essi lo amano: i bambini sopra ci-tati lo hanno dimostrato con un eroismo aldi sopra della loro stessa età, altri abbraccia-no la Crociata con grande generosità, GesùCristo li ricambia della sua affezione. Egliinfatti ha detto: « “Lasciate che i bambinivengano a me e non glielo impedite, perchédi questi è il regno di Dio. In verità vi dicoche chi non avrà accolto il regno di Dio comeun fanciullo non vi entrerà” E abbracciando-li e imponendo loro le mani li benedisse »(Mc. X, 14-16), e ancora: “Se voi non vi cam-bierete e non diventerete come i pargoli nonentrerete nel regno dei cieli. Chi dunque sifarà piccolo come questo fanciullo, sarà il piùgrande nel regno di Dio” (Matt. XVIII, 3-4).Gesù non ha forse ammonito, nella manieraseguente, coloro che scandalizzano i bambi-ni: “Chi avrà scandalizzato uno di questi pic-cini che credono in me, sarebbe meglio perlui che gli fosse appesa al collo una macinada mulino e fosse sommerso nel profondodel mare” (Matt. XVIII, 6)?

La Crociata Eucaristica oggi

Molti lettori si potranno chiedere: che co-sa resta della C. E. dopo il Concilio VaticanoII? A dir vero ben poco, poiché essa dava fa-stidio al modernismo; il colpo di grazia le fuassestato, ancor prima del Concilio dal“buon” Giovanni XXIII. Con la scusa che iltitolo di Crociata “dava fastidio ai mussulma-ni”, in occasione di un grande pellegrinaggioa Roma delle delegazioni della Crociata ditutto il mondo nel 1960, Giovanni XXIII persua espressa volontà cambiò il nome dellaCrociata Eucaristica in quello di MovimentoEucaristico dei Giovani (M.E.G.).

La rivoluzione conciliare ha portato isuoi frutti… col Novus Ordo Missæ e la co-munione nella mano, non ha più senso parla-re di crociate e di rispetto per l’Eucarestia[non si può inculcare ai bambini quello chenemmeno più gli adulti, ed i sacerdoti, han-no… (13) nemo dat quod non habet…].

Dopo che alla C. E. fu cambiato il nome,lo spirito del nuovo movimento (M.E.G.)

non fu più quello delle sue origini, bisognatuttavia dire che essa ha continuato ad esi-stere in seno al tradizionalismo. Il metododella Crociata Eucaristica è stato risuscitatoin alcuni campi o colonie per bambini orga-nizzati dai tradizionalisti che si sono oppostialle innovazioni del Concilio.

Quindi se la C. E. ha cessato di esisterecanonicamente, essa resta sempre viva comeprocesso educativo, accettato, voluto, appro-vato dalla Santa Chiesa, e benedetto dai Pon-tefici Romani, e nulla ci può impedire di ri-farci ad esso come facciamo noi stessi, sacer-doti e seminaristi, dell’Istituto Mater BoniConsilii nelle colonie estive che organizzia-mo per i fanciulli. Oggi però, un’attenzioneparticolare va posta alla crisi che sta vivendola Chiesa. È infatti importante, vista la man-canza di autorità nella Chiesa, far sì che laCrociata non parta “sconfitta”: poiché essa,come abbiamo visto, fa della S. Messa e del-l’Eucarestia il centro educativo e la sorgentedi ogni grazia, è assolutamente necessarioche la S. Messa sia pura da ogni macchia, noningiuriosa a Dio bensì a Lui gradita affinchétramite essa possa discendere sui nostri bam-bini e sugli educatori quella grazia divinasenza la quale ogni opera umana sarà vana.

Infine non vorrei chiudere questo artico-lo senza raccomandare ai genitori di utilizza-re essi stessi, nell’educazione dei loro figli,questo metodo o di ispirarsi ad esso. LaCrociata Eucaristica è un procedimento si-curo, che ha già portato dei grandi frutti, edè del tutto “cattolico” nelle sue origini e neimezzi che utilizza per educare. Essa è benlontana da certi tentativi di battezzare altrimetodi di origine massonica impregnati di fi-losofia naturalista come quello dei Boys-Scouts, fondato da Baden-Powel (14).

Raccomandiamo la Crociata Eucaristicae tutti i fanciulli che ad essa appartengono, ovogliano appartenervi in futuro, ai santi pro-tettori della C. E. e a quegli altri santi ai qualiessa si rifà, o dei quali incarna lo spirito.

A S. Giovanni Bosco, apostolo della gio-ventù, che ebbe il carisma dell’educatore eche comprese l’importanza dell’Eucarestiaamministrata in tenera età.

A S. Pio X, il Papa dei fanciulli, che lottòcontro il modernismo e che portò i fanciulli aGesù, o meglio Gesù ai fanciulli, grazie al suodecreto “Quam singulari Christus amore”.

A S. Luigi Gonzaga al quale Pio XI volledare il titolo di patrono della gioventù, affin-ché come già S. Giovanni Berchmans e S.

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Gabriele dell’Addolorata, S. DomenicoSavio e tanti altri giovani si erano modellatialla sua scuola, così facesse anche l’attualegioventù. A san Luigi innocente e penitente,modello di tutte le virtù i crociatini sono le-gati da una devozione particolarissima poi-ché “tra Luigi e la gioventù cristiana sembrasorta quasi una gara, egli a prodigare sui gio-vani doni celesti e questi nell’invocarlo qualeceleste patrono” (15).

A S. Stanislao Kotska il quale “raggiunsein una età ancor tenera una matura santità”e che fu consolato e corroborato dal PaneEucaristico somministratogli dagli angeli.

Che tutti questi Santi dal cielo ove regna-no gloriosi, benedicano i bambini che ad essisi raccomandano, ed intercedano per essi eper coloro che se ne prendono cura, presso ilCuore Divino di Gesù. Affinché tutti, fan-ciulli ed educatori possano un giorno ringra-ziarli eternamente davanti al Trono di quelDio d’Amore che per Amore degli uominiha voluto essere “Pane vivo disceso dalcielo” (Giov. VI, 41), poiché Egli ha detto:chi “mangerà di questo pane, vivrà eterna-mente, ed il pane che darò è la mia carne perla vita del mondo” (Giov. VI, 52).

Note

1) Enc. Humanum genus, 20/4/1884 in: Insegna-menti Pontifici, a cura dei monaci di Solesmes, Ed.Paoline Roma 1962, L’Educazione, nn. 96-97 pag. 96-97.Non si può fare a meno di rilevare che ciò che LeoneXIII osservava nel 1884, come conseguenza della mora-le laica, si sta puntualmente avverando oggi, sotto i no-stri occhi e giorno dopo giorno, in maniera sempre piùspaventosa. Basti dire che nella nostra società moderna,dove ormai si vive secondo la “morale civile o indipen-dente”, esecrata da Leone XIII ed oggi chiamata “mo-rale laica”, ci sono stati più casi di figli che sono arrivatial punto di massacrare i genitori per goderne anzitempol’eredità… Sunt lacrimæ rerum…

2) G. B. LEMOYNE, “Vita di S. Giovanni Bosco”, SEITorino 1977, vol II, Appendice: Il sistema preventivonella educazione della gioventù; n. II-VII, pag. 708.

3) Insegnamenti Pontifici, a cura dei monaci diSolesmes, Ed. Paoline Roma 1962, L’Educazione, nn.181- 185, pag. 161-162.

4) Un breve accenno alla Crociata Eucaristica inBelgio, si rende qui necessario, a causa della figura diDon Edoardo Poppe, sacerdote fiammingo morto in o-dore di santità, che ne fu l’animatore in quel paese.

In Belgio la C. E. fu iniziata dai monaci premostra-tensi dell’abbazia di Averbode, i quali fin dall’inizio(1920) si assicurarono la collaborazione “liberamenteirregolare” di Don Poppe. A partire dal 2 maggio diquell’anno il giornale “Zonnerland” pubblicò il suo pri-mo articolo, al quale ne seguirono altri con ritmo quasisettimanale. Gli scritti di questo “apostolo dei bambi-

ni”, così adatti alla loro mentalità, fecero aumentareprodigiosamente gli abbonamenti: alla fine dell’annoerano 50.000 e due anni più tardi sorpassavano ormai i100.000. Don Poppe indirizzò l’opera eucaristica dappri-ma verso la formazione di quadri solidi ed ben prepara-ti; poiché, diceva, l’opera sarebbe valsa quanto fosserovalsi gli educatori. Nacque così anche la CrociataEucaristica dei professori, come punto di partenza perquella dei bambini, poi degli universitari, dei soldatiecc. Dal Belgio la C. E. secondo il metodo di donEdoardo Poppe fu “esportata” negli altri paesi: Italia(1921), Olanda, Germania, Portogallo, Canada, Brasile,Congo, Cina ed altri ancora.

5) Così viene definita dai Fogli di propagandadell’Apostolato della preghiera editi dal Messaggero delS. Cuore a Roma negli anni trenta; cfr. fogli n. 4, 24.

6) La parola “apostolico” è presa qui nel senso dizelo, di missione cioè come un’opera che ha per fine diconvertire le anime, di propagandare e diffondere le ve-rità della fede e della morale cattolica.

7) E. POPPE La Methode Eucharistique, Téqui,Paris, pag. 17.

8) Il naturalismo ed il semi-pelagianesimo sono del-le dottrine che negano che l’uomo sia caduto col pecca-to originale di Adamo, per cui la natura umana non sa-rebbe corrotta, e l’uomo potrebbe salvarsi con le sue so-le forze, indipendentemente dalla grazia. Il Pelagia-nesimo fu condannato dalla Chiesa nel secolo V.

9) E. POPPE, op. cit., pag. 20.10) Per tutta questa esposizione del metodo eucari-

stico si confronti il citato libro dell’Abbé Poppe.11) A causa dell’indigenza i genitori non potevano

più pagare la pensione della scuola e meditavano dimettere il figlio alla scuola comunale (laica); conoscen-do il pericolo al quale sarebbe stato esposto, l’unico sa-crificio che Herman non aveva voluto fare era statoquello di cambiare scuola.

12) Per la parte Biografica di questi bambini cf.:LUCE QUENETTE L’Education de la pureté, DominiqueMartin Morin, éditeurs 1974, pag. 113 ss.

13) Inoltre bisogna notare che data l’invalidità delN.O.M. non ha senso parlare di un’educazione eucaristi-ca centrata su una “presenza reale” che, per l’appunto,non c’è più… e nella quale, ammesso che ci fosse…,nessuno crede più.

14) Che il protestante Baden-Powel fondatore deiBoys Scouts fosse massone è cosa notoria; quanto alle ori-gini ed alle intenzioni del movimento da lui istituito mi li-miterò a qualche citazione che spero possa illuminaremolte persone. Persino il Padre gesuita J. Sevin, strenuodifensore dello scoutismo, non può negare che « un certopatrocinio massonico abbia contribuito alla straordinariadiffusione dello scoutismo, io lo credo fermamente. È no-to infatti, che pressappoco in tutti i paesi, la Massoneria siè immediatamente mostrata favorevole allo scoutismo »(J. SEVIN S.J. “Le scoutisme”, ed. Spes 1918).

Si possono leggere anche gli articoli di COPIN

ALBANCELLI in “Critique du libéralisme” dell'abbéBarbier, nei quali mostra le relazioni tra scouts e masso-neria. Si noti inoltre come il “decalogo degli scout” siaassolutamente laico: in esso Dio e la Religione non sononominati ed il valore supremo è, o l’onore o la Patria.

15) Pio XI, Lett. “Singulare illud” 13/06/1926 alGenerale dei Gesuiti, in I. P. op. cit., pag. 202, n. 227.

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IL B'NAI B'RITH E LA SCUO-LA: giudaizzare la gioventù

di don Francesco Ricossa

“B'nai B'rith Journal”. È il trimestraledel 19° distretto del B'nai B'rith, EuropaContinentale. Il B'nai B'rith (B. B.) è la fa-mosa loggia massonica esclusivamente ebrai-ca, che ha spesso l'onore di essere ricevutain Vaticano. Mi capita per caso tra le mani ilnumero del 2° trimestre 1992. Ne scorro lepagine. Vi apprendo che il re Juan Carlos,con la kippa in testa (è la nuova corona?) èstato alla Grande Sinagoga di Madrid, ac-compagnato dal rappresentante del B. B.,Max Mazin. E che anche il Conte di Parigi“Capo della Casa di Francia” è stato ricevu-to “da Edvige Elkaïm, presidente della log-gia Mordehai, da Marc Aron, presidente delB. B. F(rance)”, e dal gran rabbino Berdugo.Dove son finiti i figli di San Luigi...!

Sfoglio le pagine, e mi soffermo su di unarticolo di Charles Hoffman, presidente del-la “C tre I” (Commissione interlogge degliinteressi intellettuali, regione di Parigi).

Riassumo per voi il suo interessante arti-colo.

La civiltà: più “giudeo”, meno “cristiana”.

“Viviamo in una società che si pretendegiudeo-cristiana” scrive il nostro giudeo-mas-sone, “ma nella quale il primo termine dellalocuzione ha perso il suo senso”. Ahimè, è(era) solo cristiana! E la società cristiana “in-vece di riconoscere l'apporto essenziale [delgiudaismo] si è sostituita alla sorgente giudai-ca, pretendendo essere nella retta linea delpensiero giudaico e marginalizzando il giu-daismo autentico. Questo si chiama captazio-ne di eredità e volontà deliberata di sostitu-zione. Inutile riparlare dell'occultazione cri-stiana di tutto ciò che concerne il giudaismo,sia nella storia che nell'insegnamento, nè sul-l'antisemitismo cristiano che ne scaturisce,concepito come un'arma per diminuire la ca-pacità di resistenza e di reazione del gruppogiudaico, in un grande spirito di combatti-mento e di concorrenza inespiabile”.

E questi cristiani che osano sostituirsi allasinagoga proclamando una Nuova Alleanzaal posto dell' Antica, hanno praticato l'anti-semitismo come Hitler e Stalin: “Che diffe-renza c'è tra le persecuzioni delle loro

Maestà cattoliche e quelle di Hitler e Stalin?I mezzi dei tiranni moderni si sono dimostra-ti più efficaci e soprattutto concentrati neltempo”. Ma ora che le Maestà ex-cattolichevanno in sinagoga con la kippa in testa, chiminaccia gli ebrei? La Scuola. La scuola?

La scuola è culturalmente cristiana...

«Una conseguenza secondaria di questocomportamento cristiano, prende un'impor-tanza del tutto primordiale: i nostri figli,educati in un insegnamento che viene daquella fonte [cristiana] (...) non riescono acapire chiaramente ciò che fà la loro specifi-cità ed originalità, altrimenti che come un“vissuto subito”».

Hoffman si preoccupa per i piccoli ebrei.Certo, essi hanno delle scuole ebraiche a di-sposizione. Ma quelli che vanno nelle scuolepubbliche, “nella scuola della Repubblica”?Voi mi direte che la scuola laica, atea, pan-sessista, progressista, non ha nulla di cristia-no... eppure lo è ancora troppo per il B. B. E,soprattutto, non è abbastanza ebraica. “Lavolontà dichiarata dell'insegnamento pubbli-co, presentato come scuola dellaRepubblica, di ridurre le differenze, di ap-pianare le diversità, per creare un cittadinounidimensionale, occulta nello spirito deinostri ragazzi tutta la dimensione giudaicadella loro personalità”. Quindi: la scuola de-ve essere laica solo per i cattolici. Guai se, inpaesi cristiani da duemila anni, pretendiamouna scuola pubblica (o privata) rispettosadella Fede cattolica, per preservare la “di-mensione cattolica” della personalità dei no-stri figli. Questo è razzismo, antisemitismo,confessionalismo, integralismo, fondamenta-lismo ecc. Non siamo tutti eguali “senza di-stinzione di razza, di sesso, di pelle e di reli-gione?”. Tutti... o quasi. Gli ebrei non devo-no, secondo il B. B. (i “Figli dell'alleanza”)essere eguali agli altri, “unidimensionali” co-me gli altri. Poiché essi sono numericamenteuna minoranza, potrebbero restare ebrei fre-quentando scuole ebraiche. Invece, è lascuola pubblica che deve essere giudaizzata.

Altrimenti, i 750.000 ebrei di Francia ri-

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B'NAI B'RITHJOURNAL 2e Trimestre 1992

La copertina della rivista del B'nai B'rith

schiano di privilegiare “l'apporto giudeo-cri-stiano nella loro concezione del mondo”. EHoffman lancia un grido d'allarme: il 50%degli ebrei pratica il matrimonio misto (connon-ebrei). E commenta: “È la dissoluzionedel popolo ebraico per via naturale. (...) È ladissoluzione pura e semplice”.

Capito? Se i cattolici sconsigliano i matri-moni misti sono contro il Vaticano II, sonorazzisti, sono antisemiti. E noi lo facciamoper una differenza di religione, non di razza;i laici del B'nai B'rith, invece, non voglionoche la loro razza ebraica si estingua... mesco-landosi con le altre. Ma allora, perché nonapplaudono alle odiate leggi razziali del 1938che vietavano proprio quei matrimoni traebrei e non ebrei?

Conclusione del nostro “figlio dell'Al-leanza”: “È quindi urgente ristabilire l'ap-porto giudaico alla civiltà giudeo-cristiana.Tutto ciò che può permettere di mettere inrilievo l'apporto essenziale della nostra filo-sofia, della nostra religione nella storia del-l'umanità deve essere sistematicamente fa-vorito, (...) bisogna riabilitare la fierezza e ladignità giudaiche. Che ciò torni ad essere de-gli attributi invidiati e desiderati”.

“Meno Manzoni, più Primo Levi”

B'nai B'rith comanda, governo ubbidisce.Sarà un caso, ma la decisione del governo

italiano presieduto dal socialista Amato hamesso in pratica le direttive della loggiaebraica. “Studiate meno Manzoni e più

Primo Levi” ha dichiarato il nostro capo delgoverno. Meno Manzoni, cioè uno scrittorecattolico (benché liberale) e più Levi, cioèuno scrittore ebraico (benché comunista).Per cui il ministro della Pubblica Istruzione,la democristiana Russo Jervolino, non pagadi regalare ai bambini “l'educazione sessua-le” (ah! i benefici di 50 anni di governo del“partito dei cattolici”...) ha deciso “di intro-durre nell'ordinamento scolastico lo studiodella storia contemporanea e in particolarequella relativa alla tragedia ebraica” (Sha-lom, 31/1/93 n. 1 p. 1). La rivista ebraicaShalom si rallegra. I nostri bimbi scopriranno“l'alterità”, “il problema del razzismo ed ilrapporto con l'Altro” (ANNA FOA, ivi, p. 12).Ma, bisogna “aggiornare gli insegnanti”...

Maestri, a scuola! (di ebraismo).

Lea di Nola (presidente dell'amiciziaebraico-cristiana): “Primo, preparare gli inse-gnanti”. Impareranno a combattere “l'antise-mitismo religioso” accanto a quello razziale equello politico, l'antisionismo (ivi, p. 13). Masarà facile: gli stanno preparando i libri di te-sto. Quello di Bice Miglian, direttore delCentro di cultura ebraica di Roma, sulla sto-ria degli ebrei a Roma, “dovrebbe diventareun normale libro di testo nei nostri licei”.

E poi, ci rassicura Clotilde Pontecorvo, ilMinistero ci pensa lui: “Stiamo realizzandocon il Ministero della pubblica istruzione delmateriale video-registrato su chi sono gliebrei, che il Ministero si impegna a diffonderenelle scuole medie e secondarie accompagnatoda una guida didattica e soprattutto da una at-tività di formazione specifica degli insegnanti”.

Quindi, d'ora innanzi affideremo i nostrifigli ai signori Levi, Pontecorvo e Saban, chespiegheranno loro le “tragedie storicamentecostituite, come le crociate, la cacciata degliebrei dalla Spagna, i pogrom della Russia za-rista fino ad arrivare alla Shoà”.

Le letterine della III B.

I cuori dei bambini, si dice, sono molli eplasmabili come la cera. E chi maneggia lacera e la forma (quasi) a piacimento, sono gliinsegnanti.

Quando don Bosco andava a scuola imaestri erano preti e le lezioni finivano conle litanie della Madonna. Quando scaldavo ibanchi delle elementari, le suore mi facevanoscrivere a Gesù Bambino (e le ringrazio an-

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Una letterina dalla I D (Da “Shalom” 31/01/93)

cora adesso); quando i giovan d'Italia erantutti Balilla, innocenti fanciulli scrivevano al“Caro Duce”. È normale che chi detiene ilpotere cerchi di plasmare le menti giovanilisecondo la propria “visione del mondo”.

Il mondo d'oggi non fa eccezione.Non avrà bisogno di corsi d'aggiorna-

mento l'insegnante di religione professores-sa Dalmati (abilitata quindi dalla Curia diRoma, cioè dal Vaticano) che le letterine deibambini della scuola media le fa scrivere alla“Cara Tullia Zevi” (presidente dell'Unionedelle comunità ebraiche).

Le bambine ed i bambini della I D o dellaIII B sono stati incolonnati per la “tradiziona-le visita al museo della sinagoga” seguita dalezione della signora Blaier, ma non solo.Prima, sono stati preparati a fondo: sanno (e

glielo scrivono) che la Zevi è “donna di gran-de cultura ed intelligenza”, che la religione e-braica li “affascina, è ricca di avvenimenti im-portantissimi”, che ebraismo e cristianesimosono “religioni che discendono dallo stessoDio”. “Sono una sua ammiratrice” scrive allaTullia Zevi una bambina “preparata a fondo”dalla maestra. (Per fortuna che l'insegnamen-to della religione... è facoltativo!).

Nella pratica, quindi, le direttive delVaticano II e del governo Amato (non sap-piamo se i Carabinieri permetteranno al go-verno di durare fino alla stampa dell'artico-lo) sono, tutto sommato, concordanti. Carosignor Hoffman, si rassicuri, qualche bambi-no sarà di nuovo “fiero” di essere ebreo, etutti gli altri ne saranno invidiosi...

Undicesima puntata: l’inizio del pontificato

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giovanneo (1958)

“IL PAPA DEL CONCILIO”

di don Francesco Ricossa

“Dopo di me il diluvio”. Con queste paro-le attribuite a Pio XII avevamo concluso laprecedente puntata (1). Rincara la dose il filo-sofo (panteista e bergsoniano) Jean Guitton,amico di G.B. Montini: « Pio XII lo sapeva,diceva lui stesso di essere “l’ultimo Papa”,l’ultimo anello di una lunga catena » (2).

Eppure la situazione della Chiesa alla fi-ne degli anni '50 sembrava floridissima edessa stessa era in rigogliosa espansione.

Tuttavia, Pio XII doveva sentire, anzi sa-pere, che una crisi inaudita si stava prepa-rando “nel seno stesso e nelle viscere dellaChiesa”, secondo la celebre espressione diSan Pio X.

“Più di cento anni prima degli anniSessanta, in effetti, una corrente nuova e ri-voluzionaria era penetrata nel corpo dellaChiesa cattolica (...) Tale corrente era carat-terizzata dal desiderio di essere liberi daicontrolli, di avere libertà di esperimento, diuscire dall'esclusività della Chiesa cattolicaper entrare nella grande massa degli uomini.In una parola: liberazione.

Anche se tale corrente rivoluzionaria pre-se molti aspetti, fu rapidamente individuataper quello che era dai papi del XIX secolo: uncolpo diretto e mortale al cuore del cattolice-simo. I papi la denunciarono. (...) Ma tutti itentativi di liberarsene riuscirono solo a ren-derla clandestina. All'inizio del secolo scorre-va ancora, silenziosa e sotterranea. Per un at-timo tirò fuori la testa negli anni immediata-mente successivi alla seconda guerra mondia-le, ma la figura autoritaria di Pio XII la ricac-ciò da dove era venuta. (...) ritornò quasi im-mediatamente alla vita sotterranea. Eviden-temente non era ancora il momento giusto.Ma già allora si trattava solo di questo: di unaquestione di momento” (3). Il “momento giu-sto” arrivò con l'elezione di Giovanni XXIII.«Quando il 28 ottobre 1958 alla morte di PioXII veniva eletto papa il Card. Roncalli, cheassumeva il nome di Giovanni XXIII, “gli in-dizi più certi delle mene dei peggiori nemicidella Chiesa, i modernisti” (Card. Billot) era-no più che palesi nel campo teologico, maprincipalmente in quello esegetico. Non-

“Quanto al papa defunto e assunto in gloria,non resta che continuare l'acclamazione: vi-va il Papa! e pregare perché il suo suc-cessore, chiunque esso sia, non rappresentiuna soluzione di continuità, ma progresso nelseguire la giovinezza perenne della Chiesa”(Card. A. G. Roncalli. Lettera al Rettore delSeminario di Venezia 17.X.1958. In Scritti eDiscorsi, vol. III, p.713).

ostante la Humani Generis (1950), la situazio-ne nel decennio 1950-1960 permaneva grave»(4). Non è questo il giudizio di uno sprovvedu-to, ma quello di un noto ed illustre esegeta,Mons. Spadafora, il quale cita poi, a sostegnodella sua affermazione, un altro filosofo amicodel Montini, Jacques Maritain: “Il moderni-smo del tempo di Pio X, in confronto alla feb-bre neo-modernistica moderna, non era cheun modesto raffreddore da fieno” (5).

Quello che M. Martin dice dei gesuiti,vale per tutta la Chiesa: “Pio XII era mortoed il suo successore Giovanni XXIII venneeletto (...). La fazione progressista dellaCompagnia notò il liberalismo di GiovanniXXIII. Dal suo punto di vista, la situazionesi era ribaltata. Il nuovo papa, pensavano iprogressisti, che non era romano ed era notoper gli atteggiamenti antiautoritari, avrebbepotuto consentire loro di uscire da un'esi-stenza clandestina. Le aspettative si realizza-rono ampiamente” (6).

Il momento giusto (25-28 ottobre 1958).

Dal conclave dal quale uscì eletto (7)Giovanni XXIII si sa, ufficialmente, ben poco:solo i dati pubblici. Cinquantun Cardinali en-trarono in Conclave il 25 ottobre 1958 dopol'orazione 'de eligendo pontifice', pronunciatada Mons. Bacci; di essi diciotto erano italiani, inon italiani trentasette, e la maggioranza ri-chiesta per l'elezione era di trentaquattro voti.Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto il pome-riggio del 28 ottobre all'undicesimo scrutinio,e prese il nome di Giovanni XXIII.

Alcune notizie non ufficiali sono peròsfuggite al segreto del Conclave.

Secondo le versioni, Roncalli avrebbe ot-tenuto trentasei o trentotto voti (8). La“Curia” votò per Aloisi Masella, Roncalliper Valeri; ebbero qualche voto i più pro-gressisti Lercaro e Montini (anche se nonera Cardinale). Ma il vero concorrente diRoncalli fu il Cardinale armeno Agagianian.

A quali influenze si deve l'elezione diMons. Roncalli? Si può escludere un'influen-za massonica?

Abbiamo già alluso a questa possibilità (9)a proposito dell'“elezione annunciata” diMons. Roncalli. Senza avere la baldanzosa si-curezza di un Pier Carpi (10), per il quale perfi-no il nome di “Giovanni” assunto da Roncalliera il nome esoterico e rosacrociano preso inloggia, mi sembra lecito porsi il dubbio.

Certamente quell'elezione rallegrò viva-mente il vecchio amico massone, BaroneMarsaudon, come scrive egli stesso: “Avemmoinnanzitutto la grandissima gioia di riceverenelle 48 ore una risposta alle nostre rispettosefelicitazioni. Per noi era una grande emozione,ma per molti dei nostri amici, fu un segno”(11). Un segno di riconoscimento?Bisognerebbe anche indagare più a fondo suirapporti esistenti tra il cav. Umberto Ortolani(“affiliato alla loggia massonica P 2, condan-nato a 19 anni di carcere per il crack delBanco Ambrosiano”) (12) ed i Cardinali Ler-caro e Montini, i principali artefici della rifor-ma liturgica. Amico di Lercaro, al quale feceerigere un monumento in San Petronio aBologna (12), il F.˙. M.˙. Ortolani (coi suoi“amici”) lo fu anche di Mons. Montini. Nondimentichiamo che il Banco Ambrosiano ave-va sede nella diocesi di Montini e che, dopol'elezione di quest'ultimo, le collusioni tra fi-nanza Vaticana e massoneria non sono piùquestione di “voci” ma... di cronaca... nera. Èuna voce, invece, che certe influenze “ambro-siane” furono esercitate durante il conclavedel 1963 che elesse Montini. Ora Roncalli,ammiratore del Card. Lercaro (13) e confiden-te di Mons. Montini (14) telefonò a quest'ulti-mo subito dopo l'elezione: “Eccellenza, le ten-go in caldo il posto” (15). Possiamo escludereche le pressioni che si esercitarono nel 1963non ebbero luogo anche nel 1958? Deus scit.

Un'altra voce sul conclave del 1958dev'essere però segnalata. L'elezione diRoncalli sarebbe stata favorita anche daiCardinali più fedeli all'ortodossia cattolica.Sarebbe questo, se vero, un caso di gravemiopia ed una controprova dell'inanità deimezzi (e dei mezzucci) umani.

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Giovanni XXIII riceve l'omaggio del Sacro Collegio

Sembra appurato che il Card. Ottavianifece convergere i voti della “Curia” dalCard. Masella al Card. Roncalli, e che, addi-rittura, tale strategia fosse stata già decisaprima del Conclave (16) alla 'Domus Mariæ',dove si trovava Roncalli.

Come spiegare tale scelta, visti i prece-denti del nostro? Da un lato, Ottaviani desi-derava un Papa “di transizione” (17), anzianoed accondiscendente. Sarebbe bastato guidar-lo bene. È significativo, a questo proposito,che il Cardinal Siri, che allora aveva solo 52anni ed era considerato il “delfino” di PioXII, non fosse stato invitato alla riunione alla'Domus Mariæ'. Non sarebbe certo stato un“Papa di transizione”! Ora, come guidare be-ne il Cardinale Roncalli? Sarebbe bastato af-fiancargli un buon Segretario di Stato nellapersona di Mons. Domenico Tardini, per lun-ghi anni collaboratore e contraltare di Mon-tini come pro-segretario di Stato di Pio XII.

Mons. Roncalli avrebbe accettato. Ed im-plicitamente avrebbe accettato pure la condi-zione (saggia, ma non sufficiente) del CardinalPizzardo: che Montini non tornasse a Roma(18). Ma se alcuni Cardinali avevano realmentedei progetti su Giovanni XXIII, questi avevasenza dubbio il suo progetto su di essi, e nonsoltanto su di essi. Lo vedremo in seguito.

Habemus Papam (?)... ed anche unSegretario di Stato.

Toccò al Cardinal Canali, fedelissimo allamemoria di S. Pio X, annunciare alla folla“l'habemus Papam”, alle 18,08 di quel 28 ot-tobre, ed anche il nome del nuovo pontefice,che ripeteva quello del celebre antipapaBaldassarre Cossa - Giovanni XXIII, che in-disse il Concilio di Costanza che lo avrebbedeposto. Ma questo, la gente non lo sapevadi certo... (18 bis). La sera stessa GiovanniXXIII convocò Mons. Tardini. SecondoCapovilla (segretario di Giovanni XXIII) glifu chiesto in quell'occasione di diventarepro-segretario di Stato, secondo il biografodi Tardini, Nicolini, l'offerta fu fatta solo ilgiorno seguente. Checché ne sia, Mons.Tardini “rimase sinceramente stupito dellanomina e cercò di sottrarvisi” (19): “Dissi alSanto Padre che non volevo servire ai suoiordini perché una politica nuova chiama fac-ce nuove; e gli ricordai che più di una voltami trovai in disaccordo con lui nel passato...”(20). Questa reticenza di Tardini, che pureaveva incontrato Roncalli prima del Con-

clave, fa intendere che questi non aveva nes-sun accordo esplicito e vincolante con iCardinali di Curia sulla scelta di Tardini, tan-to più che l'accordo sarebbe stato illecito.Ma egli insistette per una scelta che stupivaTardini perché non veniva da un uomo insintonia con lui. Il perché di tale insistenza èspiegato da Mons. Igino Cardinale, capo delprotocollo di Giovanni XXIII: “PapaGiovanni non era un uomo di Curia e qual-siasi cosa in realtà sapesse, non l'apprezzavaaffatto. Le sue relazioni con essa quando fuin Bulgaria, a Istanbul e altrove, non furonosempre delle migliori. Egli restava l'estra-neo. Roncalli non andò mai [o quasi, n. d. a.]deliberatamente contro le decisioni dellaCuria, ma si sentiva libero di assumere deci-sioni da solo...” (21). Decisioni che andavanoin tutt'altra direzione!

La scelta di Tardini come Segretario diStato, quindi, al di là dell'ipotesi di un “pia-no-Ottaviani”, ha un senso anche dal puntodi vista del nuovo eletto. Sapeva di non po-ter attuare il suo piano innovativo, “l'aggior-namento”, senza il consenso o, almeno, lanon opposizione iniziale della Curia romana.Roncalli “il sempliciotto”, il “buon parrocodi campagna”, il “papa buono”, non avevainteresse a smentire (troppo presto) l'ideache ci si era fatta di lui.

Primo radiomessaggio.

Il primo giorno dopo l'elezione non con-templò solamente la nomina (o la conferma)di Tardini. Giovanni XXIII pronunciò ancheil suo primo radiomessaggio al mondo, Hactrepida ora. In esso parla delle persecuzioni(comuniste) contro la Chiesa Cattolica. Essesono - dice - “in aperto contrasto con la ci-viltà moderna e con i diritti dell'uomo dagran tempo acquisiti” (22). Occorreva lodarecosì la “civiltà moderna” con la quale, secon-do Pio IX, il Papa non può venire a compro-messo e conciliazione? (23). Occorreva lodarequei “diritti dell'uomo” acquisiti, evidente-mente, dalla celebre dichiarazione del 1789?

“Ma Papa Giovanni - scrive il suo agio-grafo Padre Tanzella - non poteva fermarsi allachiesa perseguitata. Non sarebbe stato più luise non avesse risposto al Patriarca di Mosca eal Prelato protestante di Chicago” (24). Appenaeletto aveva ricevuto, difatti, i più vivi auguridel rabbino capo d'Israele Isacco Herzog,dell'“arcivescovo” anglicano Goffredo Fishered, appunto, di Paul Robinson, presidente del-

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le Chiese federate, e del Capo della “ChiesaOrtodossa russa” Patriarca Alessio.

Il protestante americano augurava che “ilpapato [di Giovanni XXIII] portasse a una mi-gliore comprensione fra i cristiani e tutti gliuomini di buona volontà” (cf. Tanzella). IlPatriarca Alessio “si diceva sicuro degli sforziche il nuovo Papa avrebbe fatto, sforzi notevo-li per la pace e contro l'uso dell'energia atomi-ca per scopi militari”. Naturalmente, lo sci-smatico russo era solo l'eco “della voce del pa-drone”, cioè il Cremlino, il quale espresse “lasperanza di vedere il nuovo capo della ChiesaCattolica basare la propria attività nell'unani-me desiderio dei popoli di ogni razza e deno-minazione per una pace stabile e lo sviluppodella cooperazione internazionale fondato suiprincipi della coesistenza”. La propaganda so-vietico-ortodossa in favore della pace era, ov-viamente, strumentale, finalizzata cioè all'in-debolimento militare e morale del “nemico”.Roncalli rispose quindi al protestante ed al so-vietico, evidentemente secondo le loro aspira-zioni. “Non sarebbe stato più lui, - ripetiamocol Tanzella - (...) se non avesse stretto in unsolo abbraccio e la Chiesa occidentale e laChiesa orientale e tutti i fratelli separati, senon avesse fatto sentire fin dal primo momen-to la sua ansia ecumenica” (24). Parlò di “ritor-no”, è vero, ma citò anche Giovanni (XVII,11) “ut unum sint”, dando al passaggio l’inter-pretazione ecumenista rifiutata da Pio XI nel-la “Mortalium animos”. Fin qui la “risposta” alRobinson. Venne poi quella al Cremlino: “Finìcon un caloroso appello alla pace e al disar-mo” (24). Non sono pertanto stupito nell'ap-prendere che “il primo radiomessaggio delnuovo Papa al mondo meritò un apprezza-mento da parte di Radio Mosca” (24 bis).“Il testocontiene già in nuce le sue grandi enciclichesociali” particolarmente la “Pacem in terris”,per cui si può concludere con Hebblethwaiteche “questo primo discorso, in realtà, è un di-scorso programmatico. Papa Giovanni vi an-nuncia i due temi principali che segneranno ilsuo pontificato: l’unità nella vita della Chiesa ela pace nell’ordine del mondo” (25).

Unità, cioè ecumenismo.Pace, cioè pacifismo ed apertura a sinistra.

Montini Cardinale.

30 ottobre 1958, secondo giorno di ponti-ficato. Occorreva nominare nuovi Cardinali.La decisione fu necessaria: l’ultimo concisto-ro fu tenuto nel 1953 e mancavano ben dicias-

sette porporati per raggiungere il tetto di set-tanta fissato da Papa Sisto V. Con a fiancoTardini, Giovanni XXIII dettò i nomi dei pre-scelti “cominciando da Monsignor Montiniarcivescovo di Milano” come egli stesso scris-se nel suo diario (25). “Il primo frutto del no-stro pontificato”, dirà in seguito. Eppure nonignorava come Montini avesse perduto la fi-ducia di Pio XII, che lo aveva allontanato daRoma ed escluso dal Conclave proprio rifiu-tandogli la porpora. Le conseguenze di que-sta nomina, le subiamo ancora adesso.

Dopo il nome di Montini seguì quello diTardini, e poi di altri ventuno, superando cosìil numero fissato da Sisto V con la costituzio-ne “Postquam” del 3 dicembre 1586. Non erala prima tradizione ad essere mutata, poiché,la sera dell’elezione, Giovanni XXIII rifiutò,da parte dei Cardinali, il bacio dei piedi (26).

Tra i nomi dei ventitré Cardinali creatipoi nel Concistoro del 15 dicembre, notiamoquelli di König e Döpfner, che diventeranno(tristemente) noti durante il Concilio.

“Papa Giovanni tenne un secondo Con-cistoro nel dicembre del 1959 creando ottonuovi Cardinali e un terzo nel 1960, portandoil numero dei cardinali ad ottantacinque. PioXII ne aveva tenuti tre in diciotto anni, PapaGiovanni tre in venti mesi. Nell’ultimo, per laprima volta nella storia, veniva elevato alla sa-cra porpora un africano, Mons. Laurean Ru-gambwa di Bukoba nel Tanganika, un filippi-no, Mons. Rufino J. Santos e un giapponese,Mons. Pietro Tatsuo Doi”. Iniziava così “l’in-ternazionalizzazione” del Sacro Collegio. Ma èdalle nomine europee che verrà il pericolo: daun Bernard Jan Alfrink (28/3/1962) e da unAgostino Bea (14/2/1959) o da un Leo JosephSuenens (19/3/1962), degni di seguire il “primofrutto”, Montini, nella lista dei cardinali gio-vannei (27). Per chiudere il discorso sul Col-legio dei cardinali, ricordo un’altra decisioneinnovatrice di Giovanni XXIII, e cioè quelladi elevare tutti i cardinali alla dignità episcopa-le (Motu proprio Cum gravissima, del 15 apri-le 1962). La decisione conferiva apparente-mente nuovo lustro al Collegio. In realtà (co-me il suo eccessivo aumento) ne diminuival’importanza. Prima della riforma del 1962, in-fatti un semplice sacerdote (e persino un sem-plice chierico, in teoria), se Cardinale, aveva laprecedenza su qualsiasi vescovo. Questo per-ché i cardinali rappresentano il clero di Romae la Curia del Papa. Lo spirito “episcopaliano”ed antiromano che soffiava nel 1962 non tolle-rava più la centralità di Roma nella Chiesa.

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“Papa di transizione”?

“Se, come buona parte della stampa essi [iCardinali] consideravano Roncalli un Papa dipassaggio, erano destinati a rimanere delusi.Egli infatti non si sarebbe dimostrato un Papadi transizione, ma piuttosto il pontefice sottola cui guida la Chiesa avrebbe subìto una tra-sformazione quale essa non aveva più cono-sciuto sino dai giorni della Controriforma” (28).

Scrive Wynn: « Il vecchio e scaltro Ron-calli sapeva benissimo a che cosa mirassero icardinali con la sua elezione. Scrisse in seguito:“Quando, il 28 ottobre 1958, i Cardinali dellaSanta Chiesa Romana mi designarono alla su-prema responsabilità del governo del greggeuniversale di Cristo Gesù, a settantasette annidi età, la convinzione si diffuse che sarei statoun Papa di provvisoria transizione” » (29).“Invece - proseguì Giovanni XXIII - eccomigià alla vigilia del quarto anno di pontificato, enella visione di un robusto programma dasvolgere in faccia al mondo intero che guardaed aspetta” (30). Trapela da questa pagina deldiario l’intima soddisfazione di non essere sta-to affatto un “Papa di transizione”, ma di la-sciare nella Chiesa una traccia duratura. O, sevogliamo di transizione sì, ma da una Chiesa

“costantiniana” o “controriformistica” (noi di-remmo, tout court, cattolica) ad una nuovachiesa “aggiornata”, che oggi si definisce, essastessa, “conciliare” (Cardinal Benelli dixit). Diquesto passaggio egli sarebbe stato il Mosè,Paolo VI il Giosuè…

Strategia dell’aggiornamento.

Ma come attuare questa transizione epo-cale, questa rivoluzione nella Chiesa, senzaincontrare ostacoli paralizzanti?

Non so se Giovanni XXIII abbia vera-mente ragionato così, premeditando il futuroche noi stiamo vivendo. Di fatto, però, le co-se si svolsero così. Tutto era pronto, lo ab-biamo visto, per attuare una rivoluzioneneo-modernista che premeva alle porte diRoma. Ma occorreva qualcuno che aprisse leporte (o le finestre!).

Nella Chiesa il Papa può tutto. Per cui ilsogno della rivoluzione è di avere dalla pro-pria parte un “Papa”; era il sogno dei carbo-nari Nubius e Volpe nel secolo scorso, eraquello dei modernisti, espresso dal “Santo”di Fogazzaro (31).

Questo sogno si realizzò con GiovanniXXIII. Ma occorreva, appunto, evitare che ilsogno svanisse davanti alla ferma opposizio-ne dei cattolici.

Occorreva pertanto: a) “addormentare” lavigilanza della Curia (specie del S. Uffizio) dan-dogli, apparentemente, vasta libertà di azione:da qui le condanne sotto il suo Pontificato. b)Creare il mito del “Santo”, accattivando le sim-patie popolari: da qui la nomèa di “papa buo-no”. c) Creare il mito dell’ispirazione profeticadel Concilio, Concilio che avrebbe permesso“al Reno di gettarsi nel Tevere”, dando voce aiVescovi ed ai perìti modernisti ed antiromani.

Alla fine del 1958 questi passi erano giàstati sostanzialmente compiuti.

Note

1) “Sodalitium, n. 32, pag. 32.2) “30 Giorni”, anno X n. 11, nov. 1992 pag. 70.3) MALACHI MARTIN, I gesuiti, Sugarco ed; Milano

1988, pagg. 247-248. Titolo originale: The Jesuit. The so-ciety of Jesus and and betrayal of the Roman CatholicChurch. The Linden Press, Simon and Schuster, NewYork 1987.

4) FRANCESCO SPADAFORA. La tradizione contro ilConcilio. L’apertura a sinistra del Vaticano II, Edi Pol.-Volpe editore, Roma 1989, pag. 6.

5) JACQUES MARITAIN, Le Paysan de la Garonne,Desclée Paris 1966, cf. pagg. 16-19.

6) M. MARTIN, op. cit., pag. 236. Anche sotto PioXII le condanne erano inadeguate alla gravità del male

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A. G. Roncalli, Giovanni XXIII

e rese inefficaci dalle resistenze di molti Vescovi e supe-riori religiosi. Cf. Forts dans la foi, avril 1978, n. 52 pagg.285-298 Deux modernistes temoins de leur temps: le pèreYves Congar et le père Chenu.

7) Al grave problema della legittimità di GiovanniXXIII non intendo dare, per ora, risposta. Mi riserbo diparlarne solo al termine di questo mio lungo studio sul“Papa del Concilio”.

8) Cfr. GIANCARLO ZIZOLA, Giovanni XXIII La fe-de e la politica, ed Laterza, Bari 1988, pagg. 97-99.

9) cf. “Sodalitium” n. 32, pagg. 29-31.10) Sul quale abbiamo già dato un nostro giudizio. Cf.

“Sodalitium” n. 25 pag. 34-35 e 37. È noto l’abuso che laMassoneria fa del nome e del culto dei due S. Giovanni, ilBattista, e l’Evangelista. Ma non tutti i Giovanni… sonomassoni. Roncalli giustificò la scelta: Giovanni è il nome disuo padre, e del santo patrono di Sotto il Monte.

11) YVES MARSAUDON, L’Œcumenisme vu par unFranc-maçon de tradition, ed. Vitiano Paris 1964, pag.47. Su Marsaudon e Roncalli cf “Sodalitium” n. 27 pag.21-22. Sull’infiltrazione massonica nell’ordine di Malta,contrastata dal Card. Canali sotto Pio XII e “risolta” infavore dell’Ordine da Giovanni XXIII si veda lo stessoMarsaudon, op. cit. pag. 39-40.

12) “30 Giorni” n. 5 maggio 1992, pag. 41.13) PETER HEBBLETHWAITE, Giovanni XXIII, il

Papa del Concilio, ed. Rusconi 1889, pag. 362.14) HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 348.15) È quanto dichiarato a “30 Giorni” (n. 5 maggio

1992, pag. 54) dal “Card.” Silvio Oddi, al quale lo con-fidò lo stesso Giovanni XXIII. La rivista ne fa parte ailettori proprio in un articolo dedicato ad interferenzesettarie nei Conclavi.

16) “30 Giorni”, n. 5 maggio 1992, pag. 53-54 che ci-ta i card. Oddi e Siri, e il giornalista Cavaterra.

HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 388-390 e 400, il qualesi fonda su ZIZOLA, Quale Papa?, Borla Milano 1977.

EMILIO CAVATERRA, Il Prefetto del Sant’Offizio, leopere e i giorni del Cardinale Ottaviani, Mursia 1990,pagg. 3-6. Ottaviani vien definito “il grande elettore” diPapa Giovanni. Non è il solo caso in cui si trova il Card.Ottaviani in una posizione inattesa. CAVATERRA, (op.cit. pag. 56), gli attribuisce, ad esempio, il ruolo di salva-tore dell’ordine di Malta minacciato dai cardinali Canalie Pizzardo (24/VI/1952). Marsaudon, che detesta il card.Canali, è invece “aperto” verso Ottaviani (op. cit. pag.53). Col che non voglio nulla togliere ai meriti del gran-de prefetto del Sant’Offizio: “errare humanum est”.

17) HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 388.18) HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 390.18 bis) Gli specialisti, però, se ne accorsero. “Sono da ol-

tre 5 secoli che nessun Pontefice ha scelto quel nome. E chilo portò, Giovanni XXIII fu un antipapa. (…) Quel nome ri-cordava una pagine triste della Chiesa, un nome che sapevadi divisione e di contrasti. Papa Giovanni fece un atto corag-gioso a chiamarsi col nome di un antipapa: Giovanni XXIII.Il suo gesto fu una specie di sfida a certe ombre della storiadella Chiesa. Malgrado il nome che richiamava, appunto perquel nome, sarebbe stato il Papa dell’unione annullando pre-giudizi e timori. Tornando indietro nel tempo non volle esse-re legato a nulla di contemporaneo, di esplicito, di prammati-co”. Da PAOLO TANZELLA s.c.j. Papa Giovanni, ed. Deho-niane, Andria 1973, pag. 239. Giovanni XXIII, nome di unantipapa scismatico dunque. Un presagio?

19) HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 408-409. Pro-se-gretario perché non era Cardinale. In seguito fu creatoCardinale e, quindi, segretario di stato.

20) HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 410. Le parole di

Tardini sono riportate dal “card.” Baggio, cit. daNicolini pag. 177-178.

21) HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 410-411. Mons.Cardinale era il nipote di un personaggio singolare, donGiuseppe De Luca, che svolgerà un ruolo importantepresso Giovanni XXIII per quanto riguarda i rapporti coicomunisti di Togliatti. Eppure non si può facilmente eti-chettare come “progressista” l'alfonsiano De Luca, a suotempo vicino al fascismo. Certamente, fu “antiborghese”.

22) Encicliche e discorsi di SS. Giovanni XXIII, ed.Paoline Roma 1964, vol. I pag. 12, cfr. HEBBLETHWAITE

op. cit. pag. 412-413.23) Pio IX, Sillabo prop. 70 DS. 2970.24) TANZELLA, op. cit. pag. 245-248.24 bis) SERGIO TRASATTI, La Croce e la Stella, la

Chiesa e i regimi comunisti in Europa dal 1917 ad oggi,Mondadori editore 1993, pag. 165.

25) HEBBLETHWAITE, op. cit. pag. 413-414.26) Cf. TANZELLA, op. cit. pag. 240-241. Al dettaglio

apparentemente insignificante, l’autore attribiuisce parti-colare importanza e commenta: “Decisamente Papa Giov-anni non sarebbe stato un Papa di transizione” (pag. 241).

27) Tra i quali non sono mancati, occorre dirlo, de-gnissimi ed eminentissimi ecclesiastici.

28) EDWARD E. Y. HALES, La rivoluzione di Papa Gio-vanni, ed. It. Il saggiatore - Mondadori 1968, pag. 44-45.

29) WILTON WYNN, Custodi del regno, edit.Frassinelli 1989, pag. 22.

30) GIOVANNI XXIII, Il giornale dell’anima, ed.Storia e letteratura, V ed. del 1967, pag. 333 (scritto del10 agosto 1961).

31) Cfr. JACQUES CRETINEAU-JOLY, L’Eglise Romaineen face de la Révolution, riedizione integrale della Iª ed.del 1859 a cura del Cercle de la Renaissance Française,Paris 1976; ed anche Mons. HENRY DELASSUS Il problemadell’ora presente, ristampa anastatica dell'edizione del1907, Ed. Cristianità, Piacenza 1977, vol. I pag. 291 seg.

Pubblichiamo uno scritto del sacerdote HervéBelmont, concernente la posizione dottrinale dellaFraternità San Pio X, già apparso in lingua francesenel bollettino “Notre Dame de la Sainte Espérance”(35 rue Peyronnet 33800 Bordeaux - France) e su“Didasco”, N. 69 septembre - octobre 1992.

RIFLESSIONI SULLA POSI-ZIONE DOTTRINALE DEL-LA FRATERNITÀ SAN PIOX E DEI “TRADIZIONALI-STI” IN GENERALE.

L'analisi fatta dalla Fraternità S. Pio Xsulla situazione della Chiesa si può riassume-re, molto sommariamente, come segue:

[A] La riforma liturgica nata dal Vatica-no II e in particolare la “nuova messa” pro-mulgata da Paolo VI e conservata da Gio-vanni Paolo II, è cattiva.

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[A'] La dottrina della “libertà religiosa”insegnata dal Vaticano II e conservata daPaolo VI e da Giovanni Paolo II è falsa econdannata dalla Chiesa.

[A''] L'opera del Vaticano II e l'insiemedegli atti di Paolo VI e di Giovanni Paolo IIsono contrari alla Tradizione cattolica e ne-fasti per la Chiesa.

[B] Giovanni Paolo II è vero e legittimoPapa della Chiesa cattolica.

[C] Si può, e persino si deve, resistere aGiovanni Paolo II e disobbedirgli in tuttociò che si giudica non conforme alla Tradi-zione ed al bene della Chiesa.

L'affermazione simultanea di queste pro-posizioni è incompatibile con i testi più chiari etradizionali della dottrina cattolica che concer-nono la natura e le prerogative della Chiesa edel Sommo Pontefice. Ciò è vero delle coppie[A]-[B], [A']-[B], [A'']-[B] e [B]-[C].

Riportiamo qui di seguito alcuni testi delMagistero della Chiesa ai quali si oppongo-no chiaramente queste coppie di affermazio-ni, senza che ci sia bisogno di commento.

[Note dei riferimenti, seguiti dal numeroo dalla pagina:

D = DENZINGER, Enchiridion Symbolorum.IP = Insegnamenti Pontifici - La Chiesa.

Ediz. Paoline 1961.G. ALBERIGO, Decisioni dei concili ecu-

menici, UTET 1978.Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici,

dall'Oglio edit. Milano, 1959].

[A]-[B]Le leggi generali, e più specialmente le

leggi liturgiche ed i riti sacramentali, chepromanano dalla Chiesa non possono esserecattivi.

Concilio di Trento, D 856; G. ALBERIGO,pag. 563:

“Se qualcuno afferma che i riti tramanda-ti e approvati dalla chiesa cattolica, soliti adessere usati nell'amministrazione solenne deisacramenti, possano essere disprezzati o tra-lasciati a discrezione senza peccato da chiamministra il sacramento [...] sia anatema”.

Pio VI, Auctorem fidei (condanna delconcilio di Pistoia), D 1578, IP 122:

Una proposizione di questo concilio “inquanto a motivo dei termini generali usati, es-sa include e sottopone all'esame in parola,anche la disciplina stabilita ed approvata dal-

la Chiesa, come se la Chiesa, che è retta dalloSpirito di Dio, potesse stabilire una disciplina,non soltanto inutile o troppo gravosa per lacristiana libertà, ma anche pericolosa, nociva,e che conduce alla superstizione e al materia-lismo” è condannata come “falsa, temeraria,scandalosa, pericolosa, offensiva alle orecchiepie, ingiuriosa alla Chiesa e allo Spirito di Dioche la regge, per lo meno erronea”.

Gregorio XVI, Quo graviora, IP 173:“La Chiesa, che è la colonna ed il soste-

gno della verità e che manifestamente ricevedi continuo dallo Spirito Santo l'insegna-mento di ogni verità, non può comandare, néconcedere, né permettere una cosa che sia adetrimento della salute delle anime, e chetorni a disprezzo o a danno di un sacramentoistituito da Gesù Cristo”.

Leone XIII, Testem benevolentiae, IP 631:«Vero è che il decidere di questo non spet-

ta all'arbitrio di uomini privati, che per lo piùda un'apparenza di rettitudine sono tratti ininganno; ma spetta alla Chiesa di giudicarne;ed al giudizio della Chiesa è necessario che siconformi chiunque non vuole incorrere nellariprensione di Pio VI Nostro predecessore,che disse che la proposizione 78 del Sinodo diPistoia “è ingiuriosa alla Chiesa ed allo Spiritodi Dio che la regge”, “in quanto sottopone adesame la disciplina stabilita ed approvata dallaChiesa, quasi che la Chiesa possa stabilire unadisciplina inutile e più gravosa di quello checomporti la libertà cristiana”».

[A']-[B]Il Magistero ordinario e universale della

Chiesa è regola della Fede cattolica.

Pio IX, Tuas libenter, D 1683, IP 249:“Anche se si trattasse soltanto della sot-

tomissione dovuta alla fede divina, non la sipotrebbe restringere ai soli punti definitivicon dei decreti emanati dai Concili ecumeni-ci, o dai Romani Pontefici e da questa SedeApostolica; ma bisognerebbe ancora esten-derla a tutto ciò che è trasmesso, come divi-namente rivelato, dal magistero ordinario ditutta la Chiesa sparsa nell'universo, e cheper questa ragione i teologi cattolici, con unconsenso universale e costante, ritengonoappartenere alla fede”.

Concilio del Vaticano, Dei Filius, D 1792,IP 341:

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“Bisogna inoltre credere, con fede divinae cattolica, tutto ciò che è contenuto nella pa-rola di Dio scritta o tramandata, e che vienedalla Chiesa proposto da credersi come divi-namente rivelato, sia con un giudizio solennesia con il magistero ordinario e universale”.

Pio XII, discorso su S. Tommaso d'Aqui-no, 14 gennaio 1958, IP 1503-1504:

“Questa piena sottomissione all'autoritàdella Chiesa egli la possedeva perché avevaben chiaro che il magistero vivo e infallibiledella Chiesa è la regola universale e imme-diata di tutta la verità cattolica.

Sull'esempio di S. Tommaso d'Aquino edelle grandi figure dell'Ordine Domenicanoche risplendettero per dottrina e santità,ascoltate con fedeltà ed animo riverente lavoce della Chiesa quando risuona nel suomagistero sia ordinario, sia straordinario...”.

[A"]-[B]Il governo abituale del Papa è quello di

Gesù Cristo.

Pio XII, Mystici Corporis, IP 1040:“... mentre al contrario il divin Reden-

tore governa il suo Corpo mistico anche inmodo visibile e ordinario mediante il suoVicario in terra”.

[B]-[C]Il Papa ha piena ed immediata giurisdi-

zione su ciascun cattolico, e obbedirgli è ne-cessario alla salute eterna.

Vangelo secondo san Matteo, XVI, 18-19:“Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò

la mia Chiesa, e le porte dell'Inferno non pre-varranno contro di essa. Ed io ti darò le chia-vi del regno dei Cieli. E tutto ciò che avrai le-gato sulla terra sarà legato nei Cieli; e tuttociò che avrai sciolto sulla terra sarà scioltoanche nei Cieli”.

Bonifacio VIII, Unam Sanctam, D 469:“Dichiariamo, diciamo, definiamo che è

assolutamente necessario alla salvezza diogni creatura essere sottomessa al RomanoPontefice”.

Pio IX, Quanta cura, D 1698; Tutte le en-cicliche dei Sommi Pontefici, pag. 266:

«E non possiamo tacere dell'audacia di co-loro che, non sostenendo la sana dottrina, pre-tendono “potersi negare l'assenso e l'obbedien-

za, senza peccato e senza iattura della profes-sione cattolica, a quei giudizi e decreti dellaSede Apostolica, il cui oggetto non riguardi ilbene generale della Chiesa, i diritti della mede-sima e la disciplina”. Il che, quanto si oppongaal dogma cattolico della piena potestà al Ro-mano Pontefice divinamente conferita di pa-scere, reggere e governare la Chiesa universale,non v'è chi chiaramente ed apertamente nonvegga e comprenda».

Concilio del Vaticano, Pastor æternus, D1831, G. ALBERIGO, pagg. 776-777:

“Perciò se qualcuno dirà che il Romanopontefice ha solo un potere di vigilanza o di di-rezione, e non invece, la piena e suprema pote-stà di giurisdizione su tutta la chiesa, non soloin materia di fede e di costumi, ma anche inciò che riguarda la disciplina e il governo dellachiesa universale; o che egli ha solo una parteprincipale, e non, invece, la completa pienezzadi questa potestà; o che essa non è ordinariaed immediata, sia su tutte le singole chiese, chesu tutti i singoli pastori: sia anatema”.

Pio IX, Mortalium animos, IP 873:“In quest'unica Chiesa di Cristo nessuno

si trova, come nessuno persevera senza rico-noscere e accettare con l'ubbidienza la su-prema autorità di Pietro e dei suoi legittimisuccessori”.

Conclusione.

Alcune osservazioni serviranno comeconclusione a questo veloce panorama chemostra la contraddizione tra la posizione danoi analizzata e la dottrina cattolica.

1. Non si può pretendere di essere i difenso-ri della dottrina cattolica se non si aderisce adessa totalmente, senza reticenze e senza dimi-nuzioni. Non si può pretendere di conservare laTradizione cattolica se se ne disconosce tuttauna parte, quella che riguarda il SommoPontefice, la sua Autorità e le sue prerogative.È evidente.

2. Se si inverte la proposizione che abbiamochiamato [B], tutte le incompatibilità elencatequi sopra cadono insieme. Si può allora professa-re integralmente la fede cattolica riconoscendo laverità delle proposizioni [A], [A'] e [A''] e la ne-cessità della proposizione [C] così corretta: ”Nonbisogna riconoscere in nessun atto di GiovanniPaolo II un atto dell'Autorità della ChiesaCattolica, e bisogna rifiutare specialmente tuttociò che non è conforme alla Fede della Chiesa”.

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3. Questa inversione della proposizione[B] non è legittima che a due condizioni:

- che ci si attenga a ciò che si può affer-mare alla luce della fede cattolica, lasciandoda parte tutto ciò che è mera ipotesi, proba-bilità o certezza fondata su qualcosa di di-verso dalla fede;

- che lo si faccia senza diminuire o negarel'unità e l'apostolicità della Chiesa, che sonodelle note indefettibili della Chiesa Cattolica.

Sta qui tutta la verità e l'interesse della“tesi di Cassiciacum” che, per quanto ne sap-piamo, è la sola analisi della situazione dellaChiesa che concorda perfettamente con tut-ta la dottrina cattolica da una parte, con ifatti accertati dall'altra e infine con questedue esigenze.

4. Finalmente, questa inversione dellaproposizione [B], postulata dalla Fede catto-lica come abbiamo visto, ha la sua conse-guenza quotidiana e suprema nel “misterodella fede”, la santa Messa, il cui canone de-ve essere vergine da ogni riferimento a Gio-vanni Paolo II, affinché non sia né profanatoné macchiato secondo la profezia di Mala-chia [I, 11]: “Ma dall'Oriente all'Occidente, ilmio nome è grande fra le genti, e in ogni luo-go si offrono sacrifici d'incenso al mio nome,insieme a un'oblazione pura. Poiché il mionome è grande fra le genti, dichiara il Signoredegli eserciti”.

Postilla sulla Fraternità S. Pio X

Sodalitium

Condividiamo pienamente quanto scrittodal reverendo don Belmont sulla FraternitàSacerdotale San Pio X. Alle sue osservazionipertinenti vorremmo aggiungere una postilla.

La Fraternità (e chi la segue) erra dop-piamente nel sostenere che “Giovanni PaoloII è vero e legittimo Papa della ChiesaCattolica” ma che “si può e persino si deveresistere a Giovanni Paolo II e disobbedirgliin tutto ciò che si giudica non conforme conla Tradizione ed il bene della Chiesa”.

Purtroppo, la Fraternità San Pio X non siferma a queste affermazioni.

Inevitabilmente, essa va oltre.La tendenza scismatica ben evidente nelle

proposizioni succitate va sempre più accen-tuandosi a Ecône, specialmente dopo le con-sacrazioni episcopali del 1988. Scrivevamonel n. 27 di “Sodalitium”: «In seguito, le strut-ture della Fraternità sono, di fatto, sempre

più identificate con quelle della Chiesa. Si so-stituisce come segno visibile della veraChiesa, la Madonna al Papa: “Ubi Mariam,ibi Ecclesia” dice Mons. Lefebvre (“Fide-liter”, n. 71 pag. 7). Si afferma che oggi ilMagistero della Chiesa è Mons. Lefebvre(“Fideliter” n. 72 pag. 10), l’indefettibilità del-la Chiesa è, ancora, Mons. Lefebvre (ibidem).Adesso si prospettano dei Vescovi costituitiin autorità dal popolo...».

Il 30 settembre 1992 don FrançoisLaisney, superiore del distretto Australia eNuova Zelanda della Fraternità S. Pio X, harisposto, con una circolare interna, alle osser-vazioni in proposito delle riviste “Sacer-dotium” e “Sodalitium”. Don Ricossa ha re-plicato a don Laisney su “Sacerdotium” (cf. itesti di Laisney, Sanborn e Ricossa in“Sacerdotium”, VI Pars hiemalis 1993 pag. 79sg.). Purtroppo, per don Laisney, non manca-no, da parte di altri sacerdoti della Fraternità,delle eloquenti conferme alle nostre accuse.

Intendo parlare del rev. don ArnaudSélégny, insegnante presso il seminario StCuré d’Ars della Fraternità Sacerdotale S.Pio X di Flavigny.

Si tratta di due articoli pubblicati sullanuova rivista “Le sel de la terre” (Couvent dela Haye-aux-Bonshommes, F 49240 Avrillé):“Le magistère... à la lumière de la Tradition”(n. 1 pagg. 39 - 50) e “Le magistére à la lumiè-re de l’infaillibilitè” (n. 3 pagg. 51 - 66).

Non abbiamo qui tempo per refutare lafalsissima concezione del Magistero e dell’in-fallibilità esposta dal Sélégny e già controbat-tuta da Padre Barbara (richiederne il testoall’autore, 16 rue des Oiseaux, Tours). Il sog-getto è così importante da meritare più spaziodi quanto ne permetta la nostra postilla.

Ci contenteremo di segnalare come, an-cora una volta, si attribuisca alla Fraternitàed ai suoi Vescovi i caratteri propri alla solaChiesa Cattolica ed ai Vescovi dotati di au-torità da parte del Papa. Secondo Sélégny leconsacrazioni del 30/VI/1988 sono “una pro-va dell’indefettibilità della Chiesa” (“Sel dela terre” n. 1 pag. 38) e ancora: “Ciò mostrala necessità delle consacrazioni del30/VI/1988; poiché, per poter parlare d’inde-fettibilità della Chiesa, occorre che a tutte leepoche ed in tutti i momenti della sua storia,ci sia un magistero che predichi infallibil-mente e dei fedeli che aderiscano similmentea questo insegnamento, quale che sia il nu-mero effettivo di questi Vescovi e di questifedeli. Mons. Lefebvre (...) non poteva non

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dare alla Chiesa il mezzo di salvaguardare lasua indefettibilità. Tradidi quod et accepi:spetta a noi adesso, sotto la direzione delmagistero, conservare questo deposito”(“Sel de la terre” n. 3 pag. 66).

L’insegnante dei giovani seminaristi dellaFraternità (!) don Sélégny afferma pertantoesplicitamente:

a) che solo i Vescovi della Fraternità assi-curano l’indefettibilità della Chiesa;

b) che essi soli esercitano il magistero in-fallibile.

Posizioni assurde, poiché il potere magi-steriale deriva ai vescovi esclusivamente tra-mite il Sommo Pontefice, il quale non ha maiaccordato tale potere a quelli della Fraternità(e ciò sia per chi sostiene la Sede vacante, siaper chi riconosce Giovanni Paolo II). Le af-fermazioni del Sélégny hanno un “senso” so-lo se si sostiene che la Fraternità S. Pio X è la(nuova) Chiesa Cattolica. Ancora una volta imembri stessi della Fraternità ci portano aquesta conclusione aberrante e inaccettabile,logica conclusione del voler sostenere simul-

taneamente che Giovanni Paolo II è vera-mente e formalmente Papa, ma che si ha ildovere di disobbedirgli e di considerare prati-camente come inesistente la sua autorità, ilsuo insegnamento (1), la sua Gerarchia.

Nota

1) Scrive, ad es. il direttore del seminario diFlavigny, Jean Paul André (Lettre aux amis et bienfai-teurs du Séminaire Saint-Curé-d’Ars):

“Un catechismo cattolico (…) insegnamento delMagistero ordinario universale, (…) è necessariamenteinfallibile”.

Ora “il nuovo catechismo non è cattolico. Non sipuò riceverlo come insegnamento autentico dellaChiesa Cattolica”.

Quindi “non è un atto del Magistero ordinario uni-versale” (pag. 2).

Ci si aspetterebbe allora la conclusione finale: chilo ha promulgato, Giovanni Paolo II, non ha l’Autorità!Ma no! “La pubblicazione di questo documento è unavvenimento estremamente doloroso, tanto più deplo-revole e grave poiché ne è autore il successore diPietro” (pag. 2).

Il successore di Pietro, pertanto, non è infallibile (eneppure parla con autorità: “non è insegnamento au-tentico”); i vescovi della Fraternità, si!

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WOJTYLA “UNA CUM”... ILVUDU, GLI EBREI, L’ISLAM...

Sodalitium

È difficile seguire le numerose iniziativedi Giovanni Paolo II: viaggi, incontri, discor-si, encicliche.

Ci accontentiamo di segnalare al lettore al-cuni suoi gesti o alcune sue parole che ci sem-brano inconciliabili con l’intenzione oggettivadi procurare il fine ed il bene della Chiesa del-la quale dovrebbe essere il Capo visibile.

Daremo qui maggior spazio all’incontrotra Giovanni Paolo II e gli stregoni del Vodù,al quale “Sodalitium” dedica la sua coperti-na. Seguirà un breve commento ad altri epi-sodi dei mesi di gennaio e di febbraio.

I. Wojtyla e il Vodù

Leggiamo su “L’Osservatore Romano”(6/2/1993, pag. 4): “Nel pomeriggio di giovedì4 febbraio, Giovanni Paolo II ha incontrato al-cuni rappresentanti del Vodù, nella sede del“Codiam” (Comité pour l’Organisation et leDéveloppement des Investissements enAfrique et à Madagascar) di Cotonou. L’in-

contro è stato aperto dalle parole di saluto edi presentazione pronunciate dall’Arci-vescovo di Cotonou, Monsignor Isidore deSouza, e dall’indirizzo di omaggio di un rap-presentante delle religioni tradizionali africa-ne”. Nel suo discorso Giovanni Paolo II ha di-chiarato, tra l’altro, ai rappresentanti delVodù: “Da ciò il nostro atteggiamento di ri-spetto: rispetto per i veri valori, dovunque essisiano, rispetto soprattutto per l’uomo che cercadi vivere di questi valori, valori che lo aiutanoad allontanare la paura. Siete fortemente attac-cati alle tradizioni che vi hanno tramandato ivostri antenati. È legittimo essere riconoscentiverso i più anziani che vi hanno trasmesso ilsenso del sacro, la fede in un Dio unico e buo-no, il gusto della celebrazione, la considerazio-ne per la vita morale e l’armonia nella società”.

Ma... quali sono le tradizioni del Vodùche Wojtyla rispetta? Qual’è il “Dio unico ebuono” della fede vodù?

Quali le loro celebrazioni?Quale la loro vita morale?“Vudu o Vodu, ... nelle lingue fon (Daho-

mey) designa un dio, uno spirito o un oggettocarico di potere sacro” (Enciclopedia Garzantidi Filosofia, voce vudu). Sull’unicità di questo“dio” c’è da avere dei dubbi. Il vudu haitiano

contempla “un pantheon ricchissimo perchéaccoglie continuamente nuove entità” (ivi).Quello del Dahomei (ora Benin) pare cheidentifichi “dio” coi pitoni. Gli adepti del Vodùadorano “il Dio unico e buono” nel Tempiodel Pitone, ove troneggia “una statua in pietragrigia che raffigura una prosperosa donna indi-gena a torso nudo con un pitone super a mo’ dicollana. (...) I pitoni ospitati nel tempio vaganoindisturbati per la città la notte e poi ritornanoalle prime luci dell’alba nel loro recinto”(MARCO TOSATTI. I Santoni del Vudù in udien-za dal Papa, “La Stampa”, 5/2/1993). Bastaleggere il libro della Genesi per capire qualedivinità sia rappresentata dal serpente.

Ma Wojtyla rispetta anche le loro cele-brazioni. Vediamo di cosa si tratta.

“Sacrifici cruenti, venerazione di rettili,riti a base di sodabi (un liquore estratto dallepalme) e gin, guidati da maestri di cerimoniemaschi (hungam) e femmine (mambo)” (M.TOSATTI). Non mancano, almeno ad Haiti, « forme di magia nera, come “l’invio deimorti”, nel quale un vivente diviene preda diuno o più defunti, o come la trasformazionedell’anima di un defunto in zombi, vale a di-re in un “morto vivente” » (Enc. Garzanti).

Una trasmissione televisiva del 16 feb-braio (“Geo” su Rai 3) ha presentato un do-cumentario sul Vudù nell’isola di Haiti. Vi sivede, a proposito del “gusto della celebrazio-ne” una danza rituale di uomini e donne, nu-di, che si rotolano nel fango. Quanto al “sen-so del sacro” si poteva ammirare quel rispet-tabile sentimento religioso spingere un sacer-dote del Vodù a drogare una ragazza fino afarla sembrare morta, seppellirla, farla “ri-sorgere” e tenerla ai propri ordini (si tratttadi una “zombi”) prima di lasciarla riposare inun ospedale psichiatrico di Port-au-Prince. Ècerto un tratto singolare della “considerazio-ne per la vita morale e l’armonia nella so-cietà” che K. Wojtyla attribuisce al Vodù.

Infine, un ultimo dettaglio. «Una buonaparte degli adepti del vudù sono cristianicattolici. “Anche i loro preti lo sono!” ci dicecon una smorfia certo non di soddisfazionepadre Raymond Domas, rettore dellaBasilica dell’Immacolata, proprio di fronteal Tempio del Pitone”» (M. TOSATTI). Gio-vanni Paolo II quindi, non solo ha ricevutodegli stregoni ma, quel che è peggio, degliapostati della religione cristiana.

“Tutti gli adepti del Vodù del Benin viaugurano un buon 1993 e un Pontificatobuono e fruttuoso.

Arrivederci Santissimo Padre!Unione di preghiera!Grazie di tutto” (dall’indirizzo di omag-

gio a Giovanni Paolo II di un rappresentantedel Vodù. “L’Osservatore Romano”, 6/2/93,pag. 4).

Con una simile benedizione sarà certa-mente un “Pontificato” fruttuoso… “unacum Vodù”.

II. Discorsi di Giovanni Paolo II (gennaio,febbraio 1993)

9 gennaio 1993. Assisi. Incontro fraternocon i Vescovi, rappresentanti delle Chiese,delle comunità ecclesiali cristiane, dell’Ebra-ismo e dell’Islam.

“Eccoci raccolti per rivolgere al Signoredella storia le nostre preghiere, ciascuno a mo-do suo e secondo la propria tradizione religio-sa, implorando da Lui, che soltanto può assi-curarlo il prezioso dono della pace. (...)Ciascuno di noi sa che la propria concezionereligiosa è per la vita e non per la morte; è peril rispetto di ogni essere umano in tutti i suoidiritti e non per l’oppressione dell’uomosull’uomo; è per la convivenza pacifica di et-nie, popoli e religioni, non per la contrapposi-zione violenta né per la guerra. (...) Ognuno dinoi è venuto qui mosso dalla fedeltà alla pro-pria tradizione religiosa, ma nel contempo nel-la consapevolezza e nel rispetto della tradizio-ne altrui, poiché siamo qui convenuti per lostesso scopo, quello di pregare e di digiunareper la pace. La pace regna tra noi. Ciascunoaccetta l’altro com’è, e lo rispetta come fratelloe sorella nella comune umanità e nelle perso-nali convinzioni. Le differenze che ci separanorimangono. Ed è questo il punto essenziale edil senso di questo incontro e delle preghiere cheverranno dopo: far vedere a tutti che soltantonella mutua accettazione dell’altro e nel conse-

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Assisi: Giovanni Paolo II ed alcuni esponenti delle altre religioni pregano per la “pace”

guente mutuo rispetto, reso più profondodall’amore, risiede il segreto di un’umanità fi-nalmente riconciliata, di un’Europa degna del-la sua vera vocazione. Alle guerre ed ai conflit-ti vogliamo contrapporre con umiltà, ma an-che con vigore, lo spettacolo della nostra con-cordia, nel rispetto dell’identità di ognuno. Misia consentito, a questo proposito, citare il pri-mo versetto del Salmo 132: Ecco quanto èbuono e quanto è soave che i fratelli stiano in-sieme” (L’Osservatore Romano, 11-12 gennaio1993, pag. 5).

Dopo il discorso ebbe luogo una ritualemanducazione comune di pane e sale. Le paro-le di Giovanni Paolo II sono degne di un GranMaestro di una qualche loggia massonica per ilquale le religioni sono diverse tradizioni supre-mamente unite in una comune fratellanza u-mana. Il rispetto e l’accettazione dell’altro inquanto altro, cioè in quanto rispettivamentescismatico, eretico, deicida, o infedele, è inac-cettabile alla luce della Fede e dell’imperativodell’evangelizzazione. Anche Giovanni PaoloII, come Ratzinger, è “unito nella diversità”.

12 gennaio 1993. Roma. Discorso aiVescovi polacchi. « Nonostante le voci deiprofeti del pessimismo, vorrei ripetere ancorauna volta con insistenza: “In prossimità delterzo millennio della redenzione, Dio sta pre-parando una grande primavera cristiana, dicui già si intravede l’inizio” (Redemptorismissio, 86). (...) Un grande dono-indicatoredi strada è prima di tutto il Concilio VaticanoII, che non è un capitolo di storia ormai chiu-so, ma una chiamata sempre viva e un com-pito che attende la sua piena realizzazioneanche in Polonia » (“L’Osservatore Ro-mano” 13 gennaio 1993, pag. 6).

Fedele a Giovanni XXIII che denunciò iprofeti di sventura, Giovanni Paolo II insistenel fare il falso profeta di pace e di ottimi-smo. I fatti lo smentiscono. Non è necessarioessere profeta per constatare l’apostasia ge-nerale dei cattolici, il crollo della pratica reli-giosa, l’avanzata della secolarizzazione, la di-minuzione delle vocazioni sacerdotali e reli-giose. Se questi sono i frutti del Vaticano II,qualificare quest’ultimo come un dono delloSpirito Santo è una bestemmia contro la ter-za Persona della SS. Trinità.

20 gennaio 1993. Roma. Udienza generaleper la settimana di preghiera per l’unità dei

cristiani. « L’anelito verso la piena unità fratutti i credenti in Cristo accompagna costante-mente il cammino della Chiesa. Il ConcilioVaticano II, trattando dell’impegno ecumenicodella Chiesa cattolica, ha indicato “il ristabili-mento dell’unità da promuoversi fra tutti i cri-stiani” come uno dei suoi “pricipali intenti”(Unitatis redintegratio, 1) ed ha solennementeprecisato che tale impegno “riguarda tutta laChiesa, sia i fedeli che i pastori e ognuno se-condo la propria capacità, tanto nella vita cri-stiana di ogni giorno, quanto negli studi teolo-gici e storici” (ibid., 5). (...) È nel contestodell’amore reciproco, riflesso della carità diDio per noi, che possiamo capire l’altro e rico-noscerne la rettitudine di intenzione, anchequando le sue convinzioni sono diverse. Senzavero amore sorgono e si stabiliscono le riservementali, le diffidenze, i reciproci sospetti e sipuò anche essere portati ad attribuire al prossi-mo intenzioni che non ha ». (“L’OsservatoreRomano” 21 gennaio 1993, pag. 4).

In questo discorso, fedele al Vaticano II,Karol Wojtyla attribuisce agli eretici la Fede,chiamandoli credenti; nega alla Chiesa la pie-na unità, che è invece una sua caratteristicapeculiare; ipotizza infine una buona fede gene-rale e reciproca, comune ai cattolici e agli ere-tici, come se la Chiesa non avesse dei motivi dicredibilità validi per tutti gli uomini che posso-no riconoscere in essa la vera Chiesa di Cristo.

28 gennaio 1993. Roma. Discorso aiPresuli della Conferenza Episcopale dell’Un-gheria. « Per la Chiesa in Ungheria sono ancheimportanti la collaborazione ecumenica e ildialogo con le comunità ebraiche. La ricercadella piena unità con tutti coloro che credonoin Cristo deve accompagnare e caratterizzare ilcammino della Chiesa. (...) Voi avete chiara-mente preso posizione contro il risveglio delrazzismo e dell’antisemitismo in Europa.Questa presa di posizione è un contributo im-portante a un atteggiamento spirituale che nonconosce alcuna differenza tra gli uomini, mainvita a una costruttiva collaborazione in spiri-to del reciproco rispetto » (“L’OsservatoreRomano”, 29 gennaio 1993, pag. 6).

Proprio perché spirituale, il nostro atteg-giamento non può non conoscere “alcuna dif-ferenza tra gli uomini”. Infatti se le differenzemateriali (censo, etnia, nazionalità, ecc.) sonosecondarie, quelle spirituali sono discriminan-ti. C’è una grande differenza, per esempio, tra

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un cattolico che crede che Gesù Cristo è Dioda adorare e le comunità ebraiche, ad esem-pio, per le quali il medesimo Gesù è un impo-store “che essendo uomo si è fatto Dio” e cheper questo, “secondo la Legge, deve morire”(Cf. Vangelo secondo Giovanni, XIX, 7).

4 febbraio 1993. Parakou (Benin).Discorso durante l’incontro con i rappre-

sentanti della comunità musulmana. « Nes-suno si sorprenderà se dei fratelli, che credonoin un unico Dio, desiderano conoscersi meglioe scambiarsi le loro esperienze. (...) Diversipunti in comune tra musulmani e cristiani sonolegati alla pietà verso Dio, come il ruolo impor-tante attribuito alla preghiera, la considerazioneper la morale, il senso della dignità della perso-na umana aperta alla trascendenza. Noi ricono-sciamo in questo alcune delle fonti dei diritti u-mani essenziali. Capite quindi perché il Papa,in quanto capo e Pastore della Chiesa, nel visi-tare la comunità cattolica del Benin, non potevafare a meno di incontrare i rappresentanti dellecomunità musulmane » (“L’Osservatore Ro-mano”, 5 febbraio 1993, pag. 7).

I punti in comune tra musulmani e cristia-ni praticamente non esistono. Non certo lapietà verso Dio, giacché essa è concepibile so-lo nella pratica della virtù di religione secondola volontà divina. Ma neppure nella conside-razione per la morale. Sono molti i precettidell’Islam che contrastano apertamente nonsolo con la morale rivelata ma anche con lamorale naturale. Infine non è ammissibile chetra i compiti istituzionali ed essenziali del capodella Chiesa vi sia la visita, non per l’evange-lizzazione ma per la collaborazione, delle co-munità musulmane. Se così fosse i Capi dellaChiesa fino al Concilio Vaticano II avrebberomancato a un dovere della loro carica.

“QUEL CHE ESCE DALLABOCCA CONTAMINA L’UOMO” (Mt XV, 11)

di don Giuseppe Murro

«Chiamata a sé la folla Gesù disse:“Ascoltate ed intendete… quel che esce dallabocca contamina l’uomo”… Pietro alloraprese a dirgli: “Spiegaci questa parabola”. EGesù rispose: “…Quello che esce dalla boccaviene dal cuore ed è questo che contaminal’uomo» (Mt. XI, 10-18).

“Hai saputo che Tizio si è compratoun'auto nuova? Lui sì che può, con tutti isoldi che ha… E chissà da dove li prende.Poi se gli chiedi un favore, non ti dà niente…Li avessi io al posto suo! C’è gente che muo-re di fame, ma lui se ne infischia”. “Quei duestan sempre a litigarsi: lui è un tiranno, nonfa che urlare; lei è permalosa da morire, stasempre a lamentarsi e a piangere; i figli, nonne parliamo: del resto da quei due genitoricosa poteva uscirne? E adesso ben gli sta…”.“Non ho mai visto uno più pigro di Caio:non fa niente dalla mattina alla sera. In casanon muove un dito. All’ufficio, sono i colle-ghi che fanno il suo lavoro: lui si legge ilgiornale, si fuma una sigaretta, fa quattrochiacchiere, beve un caffé… In casa, è la mo-glie che si occupa di tutto. Al suo posto mivergognerei… un fannullone, buono a nulla,una piaga per la società”.

Quante volte ci capita di sentire criticarequalcuno, quante volte capita a noi stessi difarlo e ci sembra di far bene, di essere nelgiusto, di non far torto a nessuno, anzi diproclamare la verità. Eppure Nostro Signoredice proprio il contrario.

“Senza timor d’errore, si può dire che ipeccati della lingua sono i peccati di cui ci simacchia più sovente. Lo Spirito Santo ci assi-cura che è difficile parlar molto senza peccare;e si può anche dire che è raro che non si pec-chi, per poco che si parli. Una persona che re-goli così bene tutti i suoi discorsi, che non lescappi mai dalla bocca cosa di cui dovrà poipentirsi, una tal persona deve necessariamenteessere irreprensibile in tutto il resto. Il dominioche esercita sulla sua lingua, non può essere senon effetto di quello che esercita su tutte le sue

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Giovanni Paolo II incontra le delegazioni musulmane ad Assisi

Spiritualità

passioni; perché non ve n’è neanche una chenon si manifesti con le parole, e che dal cuorenon passi sempre alla bocca. Di modo che se sivuol arrestare il disordine della lingua, biso-gnerebbe distruggere tutti i movimenti disordi-nati dell’anima, sradicare tutti gli affetti viziosi,fino ai più piccoli attaccamenti che possiamoavere verso le creature. Questo non è lavoro diun giorno; …del gran numero di mancamentiin cui cadiamo quando parliamo, sarà già grancosa se ne correggiamo oggi uno solo” (1).

Cos’è la detrazione

Ogni uomo ha diritto ad avere una buonareputazione, il buon nome, che in teologia èchiamata “fama”. Se Tizio ha una buona fa-ma, gli viene dalla stima che gli altri gli por-tano e gli testimoniano, a causa della sua vitavirtuosa e delle sue qualità. Così, ad esem-pio, la storia ci riporta che S. Alfonso, da gio-vane, aveva buona fama sia per la sua virtù,sia a causa della sua onestà e bravura nell’e-sercitare la professione di avvocato. Ora ogniuomo ha in giustizia il diritto ad avere e con-servare la sua buona reputazione.

Denigrare ingiustamente la reputazionealtrui è la diffamazione, con la quale si dimi-nuisce, si “oscura” o addirittura si sopprimecompletamente la fama di un’altra persona:“Come qualcuno può nuocere ad un altro indue modi: apertamente, come nella rapina… odi nascosto, come nel furto; così pure qualcu-no può nuocere ad un altro con la parola indue modi: apertamente, per mezzo di un’in-giuria, e di nascosto, per mezzo della detrazio-ne” (3). Perciò Iddio paragona il maldicente alserpente: “Se la serpe morde in silenzio, non èda meno chi sparla in segreto” (Eccl. X, 11).

“Qualunque sia la facilità che l’arte assas-sina ci ha dato per sopprimere la vita del cor-po, la natura ci ha dotati di uno strumento an-cor più micidiale, più adatto a togliere la re-putazione, bene più prezioso della vita, o me-glio la vita della vita stessa. Questo strumentoè la lingua… Per far un omicidio, dice SanGiovanni Crisostomo, oltre che non si hannosempre le persone in proprio potere, bisognaprendere mille misure, mille precauzioni; o iltempo non è favorevole, o i luoghi non sonopropizi per eseguire sì dannabili disegni; inol-tre, non tutte le armi sono sicure, non tutti itiri colpiscono… Ma per strappare l’onore,basta dire una parola; dovunque si incontri lapersona di cui voi parlate male, troverete lasua reputazione dovunque vi sia qualcuno

che la conosce; e così non esiste pressoché unposto ove non possiate lacerarla. Del resto,per farlo, non è necessario molto tempo, ba-sta un istante; appena avete concepito la vo-lontà di mormorare, il tiro è già partito; la lin-gua non aspetta che le venga un ordine, ed’ordinario fa più di quel che si vuole” (1).

In quanti modi si commette la detrazione

La detrazione è formale quando si vuolesplicitamente denigrare la fama altrui; ma-teriale, quando a causa di leggerezza o granloquacità si dicono cose diffamanti senzaaverne l’intenzione.

Può essere fatta in otto modi, quatto di-retti, narrando i vizi di un altro, e quattro in-diretti, diminuendone le doti. Come aiutoper la memoria, i teologi avevano messo inversi latini le otto modalità:

Attribuisce il falso, aumenta, manifesta,interpreta male,

chi nega o sminuisce, nasconde o lodafreddamente (4).

Per maggior semplicità, raggrupperemo iquattro modi indiretti in due. Infine parleremodella delazione, che è affine alla maldicenza.

“Credo che vi è ben necessario farvi co-noscere in quanti modi possiamo rendercicolpevoli; cosicché, conoscendo il male chefate possiate correggervene, ed evitare i tor-menti preparati per l’altra vita” (2).

Attribuire un falso crimineConsiste nell’attribuire a qualcuno un fal-

so crimine o un difetto che non ha. È in pra-tica la calunnia: dire che un tale è un ladro,un ipocrita, un mondano, un vizioso, un lasci-vo, o qualunque altra cosa diffamante quan-do non è vero. I giudei agirono così controNostro Signore, dicendo a Pilato: “Abbiamotrovato che costui sobillava la nostra nazionee vietava di pagare il tributo a Cesare” (Lc.XXIII, 2). La moglie di Putifarre, capo del-l’esercito del Faraone, calunniò Giuseppe cheera al loro servizio (Gen. 39).

Purtroppo non solo gli infedeli cadono intal “crimine infinitamente spaventoso, che, tut-tavia, è comunissimo…” (2). S. GerardoMajella fu calunniato di un orribile peccato dauna donna: per non giustificarsi - come prescri-veva la regola del suo Ordine nei casi di falsaaccusa - accettò l’umiliazione della perdita del-la reputazione e della dura punizione inflittaglidal Superiore, S. Alfonso; finché Iddio inter-venne col suscitare gravi rimorsi alla calunnia-trice, che finì per confessare la verità. S. Ata-

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nasio fu addirittura accusato di aver assassinatoil Vescovo Arsenio, trovato poi nascosto in unmonastero. I liberali e gli anticlericali accusanofalsamente la Chiesa di intromissioni o com-plotti contro lo Stato, specie nella sua funzionedi “dover dirigere tutti secondo le norme dellamoralità, anche nelle cose morali e politiche”(5). Dai naturalisti è calunniata perché ostacole-rebbe il progresso o la scienza (6), quando con-danna gli errori, l’ingiustizia, l’immoralità.

Sono tali e tanti i mali della calunnia che“un santo Padre ci dice che si dovrebberocacciare i maldicenti dalla società degli uo-mini come se fossero delle bestie feroci” (2).

Esagerare un vero crimineQuando si ingrandiscono i difetti altrui, o

quando nel trovare una colpa se ne rincara ladose, si cade ancora nella maldicenza, se nonnuovamente nelle calunnia. “Dalla maldicen-za alla calunnia, il passo è breve. Se si esami-nano bene le cose, si troverà quasi sempre chesi aggiunge o si aumenta qualcosa al male chesi dice del prossimo. Una cosa che va di boccain bocca, non è più la stessa… Avete vistoqualcuno caduto in fallo; che fate? invece dicercar di coprirlo col mantello della carità oalmeno diminuirlo, l’ingigantite” (2). Se qual-cuno non riesce a pagare un debito, si dirà cheè circondato dai creditori; se non ha fatto be-ne una cosa, si dirà che è un superficiale; se avolte è stato imprudente, si dirà che è un irre-sponsabile; se non sa qualcosa che dovrebbeconoscere, si dirà che è un ignorante; se lo si èvisto tardare una volta durante il lavoro, sidirà che è un perdigiorno…

«Non dire mai: il tale è un ubriacone.L’hai veduto ubriaco? ma un atto solo non ba-sta a qualificare una persona. Il sole si fermò

una volta per aiutare la vittoria di Giosuè eun’altra volta si oscurò per la morte delSalvatore. Non si dirà mai per questo, che ilsole sia immobile od oscuro. Noè s’inebriòuna sola volta, tuttavia non fu ubriacone.Affinché una persona meriti di essere qualifi-cata da un vizio o da una virtù, è necessarioche vi abbia fatto l’abitudine. È dunque unafalsità dire collerico o ladro a chicchessia, per-ché fu visto una volta incollerito o rubare.

«Si corre il rischio di dire il falso, giudican-do viziosa una persona che sia vissuta a lungoviziosamente. Simone il lebbroso chiama pec-catrice la Maddalena, perché lo era stata finoa poco tempo prima. Nondimeno sbagliava,perché ella non era più peccatrice, ma peni-tente, e Nostro Signore la difese. Il fariseo del-la parabola credeva il pubblicano peccatoreingiusto e ladro, ma s’ingannava, perché pro-prio in quell’attimo egli veniva giustificato…Non si può mai dire che una persona è cattiva;ma si può dire che il tale fece la data azionecattiva, è vissuto malamente nel dato tempo eagisce male adesso. Ma non è lecito inferirenulla da ieri per oggi, né da oggi per ieri, emeno ancora da oggi per domani» (7).

Rivelare una colpa occultaCiò che il maldicente non sa o non vuol sa-

pere è che non è lecito raccontare il male (unacolpa o solo un difetto), anche vero, commes-so da terze persone, senza una legittima ne-cessità. «Vi sono persone che pensano chequando conoscono del male del prossimo,possono dirlo ad altri e conversarne. Vi sba-gliate… Cosa ci è più raccomandato, nella no-stra santa religione, della carità? La ragionemedesima ce l’ispira, di non fare agli altri quelche non vorremmo che sia fatto a noi stessi.Esaminate attentamente: saremmo contentise qualcuno ci avesse visti commettere unacolpa ed andasse a raccontarla a tutti? no, cer-tamente; anzi: se avesse la carità di tenerla na-scosta, gli saremmo ben riconoscenti. Vedetequanto vi inquietate se si dice qualcosa sul vo-stro conto o su quello della vostra famiglia:dov’è allora la giustizia e la carità? Finché lacolpa del vostro prossimo è nascosta, conser-verà la sua reputazione, ma appena la fareteconoscere, gli togliete la sua reputazione, e co-sì facendo gli fate più gran torto che se gli to-glieste una parte dei suoi beni, poiché loSpirito Santo ci dice che una buona reputazio-ne val più che le ricchezze (Prov. XXII, 1)…

“Ma, direte, quando lo si dice ad un ami-co, con la promessa di non dirlo a nessuno?”V’ingannate: come volete che gli altri non lo

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Giuseppe calunniato dalla moglie di Putifarre viene condotto in prigione

dicano, dal momento che voi non vi sietetrattenuti dal dirlo? È come se voi diceste aqualcuno: “Ascoltate, amico mio, ora vi diròqualcosa, ma vi prego di essere più assenna-to e più discreto di me; abbiate più carità dime; non fate, non dite quel che vi dico”.Credo che il miglior modo d’agire consistanel non dir niente; qualunque cosa si faccia,o si dica, non v’immischiate di nulla, se nondi lavorare per guadagnare il cielo. Mai si èirritati per non aver detto nulla, e quasi sem-pre ci si pente per aver parlato troppo» (2).

Fu così che Cam, ridendo nel veder suopadre ubriaco, andò a raccontarlo ai fratelli,tipico “dei maligni, che godono di propalarele cadute dei buoni” (8).

Interpretar male le opere buoneCome un ragno velenoso che, qualunque

cosa morda, la rende guasta, le comunica il suoveleno, così le cattive lingue, di qualsiasi cosaparlino, vi troveranno sempre del male. GliApostoli avevano lasciato tutto per seguireNostro Signore, vivevano in totale dedizione edisprezzo dei beni della terra, ma gli scribi ed ifarisei avevano trovato di che criticarli: non ri-spettavano le tradizioni dei padri (anche con-trarie ai Comandamenti di Dio!), perché non silavavano le mani quando mangiavano il pane(Mt. XV). I maldicenti hanno una tal voglia diparlar male, che non si fermano davanti a nien-te e nessuno. Se uno studia, è perché creded’essere un genio; se uno lavora, è perché vuolguadagnare troppi soldi; se uno parla, è perchévuol mettersi in mostra; se veste bene, è un va-nitoso; se male, è un negletto; se difende la ve-rità è un idealista; se rifiuta gli errori, è un in-sopportabile intollerante; “se uno è umile e tol-lera pazientemente ogni offesa, si dice che è uncodardo; se risparmiatore, si dice che è un ava-ro; se devoto, si dice che è un ipocrita; se pudi-co, si dice che è melenso; e così da tutto si traemateria feconda di maldicenza” (9). Di ciò rim-proverò Gesù i suoi contemporanei: «È venutoGiovanni [Battista], che non mangiava e beve-va, e gli han detto: “È indemoniato”. È venutoil figlio dell’uomo, che mangia e beve e gli dico-no: “Ecco un mangione ed un beone, amico deipubblicani e dei peccatori”» (Mt. XI, 18-19).

Negare o diminuire le buone azioni delprossimo

È una maniera più sottile di praticare lamaldicenza. Non si dice nulla di male, non siraccontano difetti, colpe, ma il risultato è ilmedesimo: la persona è diffamata.

Quando qualcuno ha fatto una buonaazione, il maldicente la negherà o, non poten-

do, la sminuirà in modo che non ne venga ri-conosciuto il merito. Se qualcuno fa bene ilproprio dovere, è grazie ad altri che l’hannoaiutato; se un altro riesce nel lavoro, è perchéi genitori l’hanno obbligato; se una massaia satenere la casa, è perché non esce mai; se un al-tro riesce negli studi, è perché è un secchione;se uno fa penitenza, è poca cosa vista la bellavita che fa; se uno prega, è perché ne ha biso-gno per tutti i guai che gli piovono addosso; seuno si rassegna alle disgrazie, è perché devescontare i suoi peccati; se uno aiuta il prossi-mo, è perché ha tempo e soldi da perdere…

I farisei non vollero credere alla Divinitàdi Nostro Signore (10), fino al punto di mette-re in dubbio i miracoli che faceva, come, adesempio, la guarigione del cieco nato (Gv. II):“Questi Farisei troneggiavano su certi loropiloni che non dovevano mai crollare, anchese tutto il resto del mondo fosse crollato: l’os-servanza farisaica del sabato, l’appartenenzaall’associazione farisaica, e cose simili, eranoi loro piloni, dall’alto dei quali essi giudicava-no l’universo intero, approvando ciò cherafforzava i piloni e riprovando ciò che li in-deboliva. Citano al loro tribunale il ciecoguarito e i suoi genitori, investigano sulle te-stimonianze, almanaccano scappatoie, senzaperò ottenere la spiegazione desiderata. Nonfa niente: si lasci crollare tutto il resto, ma ri-mangano i piloni… Quei piloni incrollabiliche una volta si chiamavano osservanza delsabato, e simili, oggi si chiamano assurditàdel miracolo, impossibilità del soprannatura-le, e simili: ma i piloni sono sempre gli stessi.Si citano al tribunale del razionalismo i varidocumenti, s’investigano le testimonianze, sialmanaccano teorie, senza però ottenere laspiegazione desiderata, anzi ottenendo unGesù sempre più soprannaturale. Non faniente: si lasci crollare tutto il resto, ma ri-mangano i piloni. E così rimane la cecità” (11).

Tacere quando gli altri lodano o lodaredebolmente

Si può criticare qualcuno anche senza dirniente.

“Si mormora alle volte col silenzio, speciequando si vede un certo silenzio affettato, mi-sterioso; uno scrollar il capo, un gesto dellamano, un sorriso, una strizzatina d’occhio ba-sta per macchiare la più bella reputazione; ilminimo di questi cenni da solo val molte voltepiù che una satira ben lunga e crudele” (1).

Se in compagnia di altre persone, si parlabene di qualcuno, ed io o non dico niente,oppure mi unisco ai complimenti, ma con

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poca convinzione, poca forza, in pratica lamia è una critica velata. «Il vostro silenzio eaffettazione fanno pensare che sapete sulsuo conto qualcosa di cattivo che vi induce anon dir nulla. Altri sparlano come se voles-sero compatire. “Lei non sa, dicono, lei co-nosce bene una tizia; ha sentito cosa le è suc-cesso? Che peccato che si sia lasciata ingan-nare!… È vero, anche lei è come me, non l’a-vrebbe mai creduto?”». «Coloro che sparla-no nel far preamboli onorifici, nell’intercala-re frasi gentili e piccanti, sono i maldicentipiù sottili e velenosi di tutti. Dicono peresempio: “Io dichiaro di voler bene al tale eche, del resto, è un galantuomo. Eppurecommise quella slealtà”.… Costoro sembrache attirino a sé la maldicenza, ma lo fannosolo per scagliarla più gagliardamente, affin-ché penetri più addentro nel cuore degliascoltatori. La maldicenza poi, sotto formadi arguzia, riesce più crudele di tutte» (7).

Così a volte si lodano le qualità di unapersona, e poi - come per far da contrappeso- si aggiunge “è vero che è bravo, ma…” e dilì si racconta una serie di cattiverie che can-cellano l’elogio iniziale. Si direbbe che la lo-de era stata fatta apposta per poi lasciar vialibera alle critiche.

“Voi ne vedrete taluni, dice S. Bernardo,che dopo aver mandato profondi sospiri, congli occhi bassi, e con la faccia coperta daun’apparente tristezza, cominciano con unavoce compassionevole, e come con lor dispia-cere, un discorso maldicente ed avvelenato.Io son disperato, dirà l’uno, perché quello èuna uomo al quale voglio bene ed è mio ami-co; ho fatto quanto ho potuto e saputo, perindurlo a mettere la testa a posto: ma ho per-so tempo e fatica. È un pezzo, dirà un altro,che fui avvertito di quel che sto per dirvi; ioho fatto in modo che la cosa fosse dimentica-ta e sepolta eternamente; però, giacché un al-tro ha parlato, posso anch’io parlarne: mi di-spiace dirlo, ma la verità è che ha commessoquella colpa. Gran danno, prosegue, perchéper altro è dotato di eccellenti qualità: ma ache serve fingere? In ciò non ha scusa” (1).

La delazioneSomiglia alla detrazione, ma in più ha il

fine di seminare discordie. Se Pietro e Paolosono amici, Andrea narra i vizi di Paolo aPietro con l’intenzione di nuocere alla loroamicizia. Tal peccato rende l’uomo non solocolpevole, ma in più odioso; ha in sé comeeffetto non solo di distruggere la reputazio-ne, ma anche l’amicizia. Perciò la S. Scrittura

dice: “Il delatore inquinerà la sua anima inmolte cose… Il delatore e l’uomo bilingue siamaledetto: turberà molti che vivono in pace”(Eccles. XXI, 31; XXVIII, 15).

«La maldicenza più nera e più funesta perle sue conseguenze, consiste nel riportate aqualcuno quel che un altro ha detto di lui oha fatto contro di lui. Queste delazioni susci-tano i mali più spaventosi, che fan nascere isentimenti di odio, di vendetta che duranospesso fino alla morte. Ascoltate quel che di-ce lo Spirito Santo: “Vi sono sei cose che Dioodia, ma detesta la settima, questa settima so-no le delazioni” (Prov. VI, 16-19)» (2).

I mali della detrazione

I mali della detrazione sono innumerevo-li. La lingua del detrattore è una vipera fero-cissima - dice S. Bernardo - che con un solmorso uccide tre persone: chi la dice, chil’ascolta, e chi è criticato. Vediamo i primidue; il terzo, oltre quanto già detto, sarà trat-tato nei paragrafi seguenti.

Chi parla

Si è visto che chi dice una maldicenzacommette un peccato grave, macchiando cosìla sua coscienza, e - se non pone rimedio -non salverà la sua anima. In più il detrattoresi rende odioso agli uomini: infatti gli ascolta-tori, per quanto semplici, considerano che,«come voi venite a censurare altri presso diloro, così verrete a censurare loro presso al-tri. Lo vedono, e benché sembri apparente-mente che vi facciano un grato applauso, contutto ciò nell’interno si dicono: “Ora provatea capitare sotto il rostro di questo sparviero,e poi salvarvi le penne, se potete: oh cometrincia! oh come taglia! dove acchiappa fa su-bito una piaga”. “Generazione che per dentiha delle spade” (Prov. XXXIII, 13)… Per for-za chi vi ode vi teme come molossi terribilida macello… e temendovi di conseguenza viaborriscono. “Il detrattore è l’abominazionedegli uomini” (Prov. XXIV, 8)» (9).

Ma se anche il maldicente non fosseodioso agli uomini, se anche riuscisse gradito,amato, sarà pertanto odiato da Dio perchétal vizio è completamente opposto al mododi fare di Dio. Come agisce Dio? “O quantoè ritroso nello scoprire, finché viviamo, i no-stri difetti… Così coprì l’adultera, che gli erastata condotta al Tempio, quando non volledirle nessuna parola di correzione prima che

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ogni suo accusatore si fosse dileguato. Cosìcoprì la samaritana, quando non volle rim-proverarla prima che ciascun apostolo si fos-se ritirato. Così coprì lo stesso Giuda, che lotradì, quando interrogato anche da Giovanni,non volle manifestarlo se non in gergo. È ve-ro sempre: Dio è molto ritroso a manifestarele nostre colpe occulte” (9).

«Che ci serve essere innocenti, e menareuna vita regolata, se per la mania, se per lafrenesia di mormorare, facciamo nostri, in uncerto modo, i peccati e i disordini altrui? Voisiete tanto riservati verso la roba degli altri,voi non vorreste che entrasse in casa vostraneanche un quattrino altrui; ma poco vi gio-verà di non aver toccato l’oro e l’argento, seavete tolto l’onore, la reputazione, tesoro piùprezioso di tutti i beni. Che vi serviranno levostre vigilie e i vostri digiuni, dice S. Gio-vanni Crisostomo, se la vostra lingua è ebbradel sangue dei vostri fratelli, se vi pascete del-le loro carni, col lacerar loro la reputazione?Non dico che è una debolezza vergognosissi-ma il non poter tollerare lo splendore del me-rito e della virtù, che è una bassezza ed unacrudeltà indegna di un uomo l’aver gusto diferire gli altri uomini, di mettere il coltellonelle piaghe che gli han fatte; non parlo micadella mancanza d’umiltà, di cui questo vizio èuna prova infallibile; ma dove si trova la vo-stra carità, o anima cristiana, dov’è questavirtù tanto cara a Gesù Cristo… questa virtùche è stata sempre l’autentico ed unico carat-tere dei figli di Dio?» (1).

Chi ascolta

Se il maldicente toglie la reputazione allapersona criticata, fa un male ancora maggio-re a colui che ascolta.

Se gli ascoltatori - fa osservare il Segneri -“son uomini empii, o quanta festa farannonell’udirvi, perché così nel male hanno deicompagni! quanto conforto prenderanno!quanto ardire!”. Quando David seppe che ilsuo avversario Saul era rimasto ucciso, con itre figliuoli, sulle montagne di Gelboe, chieseche non si facesse saper la notizia agli abitato-ri di Geth e di Ascalona, affinché gli incircon-cisi, senza fede, non si rallegrassero. “Ma voiche fate, o mormoratori, quando in questa vo-stra combriccola vi mettete sì bellamente araccontare le malvagità di quel personaggio,…se non che dare agli incirconcisi occasioni diun giubilo più perverso? Gli abitatori di Gethe Ascalona avrebbero gioito di un mero infor-

tunio: quelli che vi sentono, si rallegrano di unpeccato”. Se invece gli ascoltatori sono tuttipii e aborriscono quel che si racconta, ugual-mente ricevono del male: “Non solo può av-venir che imparino molti mali, che fino ad al-lora non gli erano venuti in mente, ma è faci-lissimo che comincino interiormente a vantar-si, e, come il fariseo, concepiscano anch’essisentimenti stolti di compiacimento, di albagia,di alterigia, di presunzione, come se non fosse-ro come gli altri uomini. È facile che disprezzi-no le persone da voi riprese, è facile che se lealienino se erano loro accette; è facile che sene adombrino se erano loro confidenti; è faci-le… che credano troppo presto senza aver pri-ma ascoltate entrambe le parti” (9).

Spesso chi ascolta dice dentro di sé: è luiche sparla, è lui che sbaglia: io non dico nulla,non faccio nulla di male, nessuno potrà impu-tarmi niente di quel che qui si dice. Si sbaglia,perché il Vangelo ci insegna il dovere dellacorrezione fraterna. “Pochi cristiani rispettanoquest’obbligo… È perché la correzione offen-de quasi sempre quelli ai quali viene indirizza-ta. Non ci si affretta certo a parlare quando siè ascoltati malvolentieri, dice San Girolamo;non si getta una freccia contro una pietra, per-ché la respingerebbe contro la mano di chi l’halanciata: perciò se fossero certi di farci dispia-cere nel riportare le colpe altrui, allo stessomodo che son sicuri di mortificarci nel metter-ci sotto gli occhi i nostri propri difetti, vi sareb-bero così poche detrazioni quanto son pochele correzioni fraterne. Ma si sa che al contra-rio, appena s’intavola un racconto maldicente,tutti si risvegliano per udirla, la compagnia ap-plaude laddove si è stati più maligni; si sa chetanto più riusciamo graditi quanto più la cosaè recente, e perciò meno conosciuta” (1).

Moralità

Tutto ciò che abbiamo detto non è lecito:chi lo fa commette un peccato. “L’ingiustadiffamazione, nel suo genere, è un peccatomortale contro la giustizia e la carità” (12). Ciòvuol dire che in genere è un peccato grave,ma può essere veniale se vi è materia leggera.Ed inoltre si è tenuti a riparare il mal fatto.

Perché è un peccato grave? Perché Iddiostesso l’ha rivelato: “I maldicenti non eredi-teranno il regno di Dio” (I Cor. VI, 10). An-cora il Signore ci insegna che “è meglio unbuon nome che molte ricchezze” (Prov.XXII, 1); ora sottrarre le ricchezze altrui èpeccato mortale; a più forte ragione com-

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mette peccato grave il detrattore, che toglieingiustamente al prossimo il buon nome.

S. Agostino aveva talmente in odio que-sta colpa che non voleva i maldicenti alla suatavola ed aveva fatto porre sulla sua mensal’iscrizione: “Chiunque ama rodere la vitadegli assenti con delle parole, sappia che gliè vietata questa mensa” (13).

Si è già detto che ogni persona ha diritto ingiustizia a conservare la sua reputazione:«Togliere a qualcuno la sua fama è molto gra-ve, poiché tra i beni temporali la fama è il piùprezioso, e la sua perdita impedisce all’uomodi fare molte cose buone”. Ecco perchénell’Ecclesiastico (XLI, 15) si legge: “Abbi cu-ra del tuo buon nome: infatti questo ti resteràpiù che mille tesori grandi e preziosi”. Perciò ladetrazione, in sé stessa, è peccato mortale» (14).

La calunnia è grave perché porta unagrave offesa al prossimo, nell’imputare falsa-mente all’innocente un crimine: anche ilCodice di Diritto Civile punisce la calunnia.La semplice detrazione, cioè la rivelazionenon necessaria di un vero crimine, benchésovente non sia punita dal Codice Civile, èugualmente peccato mortale. Infatti viola ildiritto del prossimo alla buona fama, dirittoche il peccatore non perde per una colpa oc-culta; usurpa i diritti di Dio, poiché solo aDio spetta giudicare i segreti del cuore e ma-nifestarli al giorno del Giudizio Universale;danneggia il bene sociale, poiché dalla detra-zione nascono di solito liti, risse, odii.

Casi particolari

Parlar male di qualcuno davanti a più per-sone è più grave che davanti ad una sola: infat-ti benché il peccato sia uno solo, l’effetto è piùgrande; occorre confessare tale circostanza.

Vi è solo peccato veniale:- se non vi è piena avvertenza o delibera-

to consenso: sovente ciò avviene per coloroche parlano senza far attenzione; ma, quantevolte si parla cercando scuse per poter giu-stificare il proprio atteggiamento, e fingendodi aver la parlantina facile: si rischia di cade-re facilmente nella colpa grave;

- se la materia è leggera: se si rivela unpiccolo difetto che non lede gravemente lafama: ad esempio, se dico che un tale è stra-bico e a vederlo vien da ridere.

In genere, se il danno recato è grave, lacolpa è mortale; se leggero, è veniale.

Quando non vi è mai peccato? Vi sononumerosi casi.

Se qualcuno per una causa ragionevole(per chieder consiglio, per essere illuminato,per risolvere un dubbio…) manifesta unagrave colpa altrui ad una persona prudente,non vi è colpa. Così pure è lecito raccontaread un amico discreto un’ingiustizia subìtaper averne conforto.

La manifestazione del difetto altrui è le-cita se vi è una causa proporzionatamentegrave, come il bene pubblico, il bene privato,il bene del colpevole stesso, o di altri. A vol-te sarà anche doverosa. Perciò bisogna met-tere in guardia da un ladro, da uno spaccia-tore, da un imbroglione, da chi diffonde ideefalse, errori, eresie. Occorre avvisare i geni-tori di quei figli la cui moralità o incolumitàcorre pericolo. Occorre avvisare il superioreo il datore di lavoro dei disordini commessida persone o negli ambienti di cui essi hannoresponsabilità. Si può denunciare il vero col-pevole di un crimine, quando si rischia dicondannare ingiustamente un innocente.

“È lodevole biasimare i vizi altrui, qualo-ra lo richieda il bene delle persone, di cui siparla o di cui si tratta. Qualcuno in presenzadi fanciulli, racconterà certe familiarità trop-po spinte dei tali e delle tali: cose evidente-mente pericolose; ovvero discorrerà delleparole e maniere dissolute di un tale o diuna tale: cose manifestamente lubriche. Seio, invece di biasimare con franchezza il ma-le, tento di scusarlo, quelle anime tenere,all’udir ciò s’inducono a fare altrettanto. Illoro bene richiede che io biasimi senz’altroin termini espliciti tali cose… In secondoluogo, quando fossi in compagnia di uno deiprimi e tacessi, sembrerei approvare il vi-zio… In terzo luogo è indispensabile che iosia rigorosamente giusto nelle mie parole, eche non mi sfugga una sillaba più del dovere.Se, per esempio, riprendo la familiarità trop-po spinta e pericolosa di due persone, ohquanto debbo regolare la bilancia, per nonesagerare né punto né poco! Se è una lieveapparenza, dirò solo questo; se è una sempli-ce imprudenza, non dirò nulla di più…Quando io parlo del mio prossimo, la mialingua è come un bisturi in mano al chirurgo,che operi un taglio tra i nervi e i tendini: ilcolpo da vibrare dev’essere misurato, chenon vada né più in qua né più in là” (7).

Non è mai lecito calunniare il prossimo,neanche per una buona ragione: il male nonpuò essere mai commesso positivamente,neanche per ottenere un bene o evitare unmale più grande.

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Le circostanze

Ma per poter bene giudicare occorreconsiderare l’insieme delle circostanze.Tratteremo pertanto della persona che parla,la persona lesa, gli ascoltatori, il motivo.

1) Se chi parla è persona saggia, pruden-te, egli nuocerà molto di più di chi è leggero,chiacchierone. Un professore, un altolocato,una persona che gode di rispetto, nel caderein tal peccato commetterà colpa ben più gra-ve della portinaia che dice tutto quel che sadelle persone che conosce. Così se è notoche una persona racconta storie campate inaria, non vi sarà neanche peccato mortaleperché nessuno crede più a quel che dice.

2) La persona lesa, la sua qualità, condi-zione, dignità. È più grave rivelare a dellepersone estranee i difetti o i vizi dei proprisuperiori, dei genitori, della moglie, del mari-to, dei fratelli, dei figli, dei parenti, degli ami-ci. Chi gode di buona reputazione riceve mol-to maggior danno di una persona vile. Perciòpuò accadere che si commetta un grave pec-cato anche raccontando una colpa leggera: adesempio, chi dice “il Papa [vero Papa, n.d.a.]è bugiardo” (15), o “è sciocco, è imbecille”ecc. «Parlar male di persone consacrate a Dioe di ministri della Chiesa, è un peccato ancorpiù grande, a causa delle sue conseguenzeche sono così funeste per la religione ed acausa dell’oltraggio che si fa al loro caratte-re… “Parlar male dei suoi ministri, è toccarealla pupilla del suo occhio” (Zacc. II, 8); cioè,niente può oltraggiarlo in modo così sensibi-le, e, di conseguenza, è sempre un crimine co-sì grande che non potrete mai comprender-

lo… Gesù Cristo ci dice pure: “Chi disprezzavoi, disprezza me” (Lc X, 16)» (2).

Illustra bene questi due ultimi casi l’episo-dio di Maria, sorella di Mosé: lei era propriouna persona di una certa dignità, poiché, oltread essere sorella del grande Legislatore, avevaricevuto da Dio anche il dono di profezia;Mosé, tutti lo sanno, era stato scelto da Dioper condurre il popolo d’Israele ed era giustoe fedele. Accadde che Maria, per invidia, mor-morò contro suo fratello (Num. XII) e Dio,che mostrava la sua presenza per mezzo dellanube miracolosa, la punì severamente allonta-nandosi da lei e ricoprendola di lebbra; nono-stante l’immediata intercessione di Mosé stes-so, poté guarire solo dopo sette giorni. «“Seuna donna onorata del dono di profezia - scri-ve Sant’Efrem - subisce una tal punizione,qual sarà la pena di coloro che diffondonosenza ritegno tante calunnie, tante bestem-mie?… Poiché si era comportata imprudente-mente nelle sue conversazioni, fu duramentepunita, affinché tu apprenda di lì quanto èdannoso, anche se dici delle cose vere, infan-gare la buona reputazione che godono i tuoiamici”. La nuvola che si ritirò e la putredineche si sparse subito sul corpo della colpevolenon son altro che la rappresentazione sensibi-le di ciò che avviene nella nostra anima ognivolta che ci lasciamo andare a questo vizio de-testabile. La grazia divina si ritira, l’anima per-de tutta la sua bellezza e non offre altro, allosguardo di Dio e dei suoi angeli, che l’aspettoschifoso del peccato; poiché la detrazione è, disua natura, peccato mortale» (16).

3) Abbiamo già parlato dello scandaloche si dà agli ascoltatori; così si è visto che sesono numerosi, ed in più loquaci, il danno èpiù grave che se si è in presenza di una solapersona o di pochi e discreti.

4) Perché si parla male di altri? A volte ilmotivo può rendere più grave il peccato, al-tre volte invece lo rende veniale; o addirittu-ra, ma solo per la semplice detrazione, puòtogliere ogni colpa.

Si critica per invidia verso il prossimo, comeMaria verso la moglie di Mosé; ciò avvienespesso tra le persone che sono dello stesso livel-lo sociale: tra negozianti, si dirà che la mercedell’altro non vale niente; tra operai, che l’altronon sa lavorare bene; tra colleghi, che l’altronon lavora seriamente e tutti se ne lamentano;si parlerà male del vicino, a cui van bene le co-se; tra famiglie, tra parenti, tra amici, dapper-tutto ove l’invidia può insinuarsi, è seguitaspesso dalla maldicenza, se non dalla calunnia.

Aronne e Maria sono castigati da Dio, dopo la mormorazione contro Mosé

Certi sparlano per orgoglio, perché cosìsi sentono migliori degli altri, dato che nonhanno i loro difetti o non hanno commessole medesime colpe. «Credete voi che sia vo-stra virtù se non siete sì peccatori come quelvostro fratello? Tutto è grazia di Dio, tutta èsua mercede, tutto è suo merito. E voi perciòvi inalberate sugli altri? E voi perciò mor-derli? E voi perciò maltrattarli? Che altropotete aspettare da tal superbia, se non cheDio sottragga di ora in ora il suo braccio chevi sostiene, e per giusto giudizio vi lasci ca-dere in quei medesimi eccessi, anche enormi,anche brutali, per i quali voi tacciate gli al-tri? Sentite cosa afferma nei Proverbi:“L’empio confonde e sarà confuso” (Prov.XIII, 15). Sì, miei signori… ciò è accaduto inogni età, in ogni popolo, in ogni affare» (9).Così Assalonne punì crudelmente suo fratel-lo Ammone, e poi cadde nella stessa colpa,ma ben più gravemente. “Voi - conclude P.Segneri - lacerate con lingua così spietata ilvostro prossimo per una fragilità, nella qualeè incorso, per uno sfogo, per un eccesso, perun’intemperanza di virtù, per una debolezzadi vanità, e non temete che Dio vi lasci cade-re in colpe più gravi? Mi rimetto a voi: mavoglio solo, con riverenza umilissima, suppli-carvi a non fidarvi mai tanto di voi stessi”.

Ancor più grave è la maldicenza provoca-ta da desiderio di vendetta, odio, rancore. Diessi val bene ciò che dice il Salmo (LXIII, 2):“Affilano la loro lingue come una spada, ten-dono come un arco la parola acerba, per saet-tare in agguato l’innocente”. S. Agostino nelrilevare che questo Salmo si riferisce a NostroSignore, quando venne accusato dai Giudeipresso Pilato, commenta: “E voi, o Giudei,avete ucciso. Come avete ucciso? Con la spa-da della lingua: infatti avete affilato le vostrelingue. E quando avete percosso, se nonquando gridaste: Crocifiggi, crocifiggi?” (17).

Ma la maggior parte pecca per leggerez-za, «per un certo prurito di parlare, senzaesaminare se è vero o no»; costoro, benchésiano meno colpevoli di quelli suddetti, diceil Curato d’Ars, tuttavia «non sono senzapeccato; qualunque sia il motivo che li faagire, ugualmente avvizziscono la reputazio-ne del prossimo.

«Credo che il peccato di maldicenza rin-chiuda quasi tutto ciò che vi è di più cattivo. Sì,perché rinchiude il veleno di tutti i vizî, la pu-sillanimità della vanità, il veleno della gelosia,l’asprezza della collera, il fiele dell’odio e laleggerezza così indegna d’un cristiano; questo

fa dire all’apostolo San Giacomo, “che la lin-gua del maldicente è piena d’un veleno mortale,che è un mondo d’iniquità” (Gc. III, 8)» (2).

I cooperatori alla diffamazione

Chi induce un altro alla critica, con l’in-dagare sui difetti altrui, lodando o approvan-do la maldicenza, pecca tanto quanto il de-trattore, anzi anche di più a causa dello scan-dalo che provoca: è tenuto a riparare (18).

Chi ascolta, pecca contro la carità; e se sirallegra di quanto è detto, pecca anche con-tro la giustizia. Perciò S. Bernardo dice:“Criticare o ascoltare il maldicente: chi è piùcolpevole di costoro, non è facile dirlo”. Mase si fa per curiosità, come avviene di solito,è solo peccato veniale.

Chi a causa dell’incarico che riveste puòimpedire la diffamazione e non lo fa, peccaperché manca al suo dovere. Perciò il padredi famiglia, il superiore, il direttore, il datoredi lavoro sono tenuti, in virtù della carità edella pietà, a correggere il suddito maldicen-te e difendere il suddito criticato, purchénon si tema un male più grande (19).

Una persona privata che può facilmenteimpedire la lesione della fama altrui e non lofa, pecca contro la carità: sarà peccato mortalese tace per rispetto umano o se dalla diffama-zione può derivare un danno grave (20) (ad es.,se la detrazione impedirà al criticato di ottene-re un lavoro, una borsa di studio, se gli toglieràil rispetto necessario per svolgere le sue funzio-ni); sarà peccato veniale, se tace per negligenzao vergogna. Ma se vi è causa ragionevole (ades.: inutilità della correzione, collera eccessivadel maldicente…), non c’è nessun peccato neltacere, perché la carità non obbliga quando ilsuo esercizio richiede una grave difficoltà. Ciòval meno per la calunnia, perché il calunniatorecommette un peccato contro la giustizia.

Se il fatto è pubblico

In due maniere una colpa può essere no-ta: di diritto o di fatto. Di diritto, quando èconosciuta a causa della sentenza di un tri-bunale o della confessione del colpevole insede giudiziaria. Di fatto: quando è cono-sciuta praticamente da tutta la società o lacittà o la comunità, o da chiacchieroni che inbreve divulgheranno la notizia.

Divulgare una tal colpa in genere non èpeccato grave, poiché all’istante in cui è di-venuta pubblica, l’autore perde il diritto alla

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sua fama. A volte è necessario che venga co-nosciuta, per mettere in guardia gli altri dal-la malvagità di queste persone. “Quanto aipeccatori infami, pubblici e manifesti, se nepuò parlare liberamente, purché si faccia conspirito di carità e di compassione e non conparole arroganti e presuntuose e molto me-no per compiacenza del male altrui” (7).Raccontar ciò senza motivo, per il prurito diparlare, non è certo un atto di virtù, ma undifetto o un peccato veniale contro la carità.

«“Ma, direte, quando è pubblico, non vi èalcun male”. Amico mio, quando è pubblico,è come se una persona avesse tutto il corpocoperto di lebbra, tranne una piccola parte, evoi diciate, dato che il corpo è quasi tutto co-perto di lebbra, bisogna finire di coprirlo…Se la cosa è pubblica, dovete al contrario a-ver della compassione di questo poverosventurato, dovete nascondere e diminuirela sua colpa tanto che lo potete» (2).

Però “sono da eccettuare - dice S.Francesco di Sales - i nemici giurati di Dio edella sua Chiesa, che si debbono screditare atutto potere; tali sono le sette degli eretici,degli scismatici e dei loro capi: è carità grida-re al lupo, quando è in mezzo alle pecore, odovunque si trovi” (7).

Un difetto noto pubblicamente in un luo-go può essere reso pubblico in un altro dove èignorato, solo se si prevede che, entro brevetempo, anche in questo secondo luogo verràconosciuto, oppure se il bene delle persone iviresidenti l’esige. Perciò non è lecito rivelareun difetto noto ai membri di una comunità apersone che non ne fanno parte.

Non è lecito richiamare alla memoriauna colpa che era pubblica tempo addietro,che è stata emendata ed ora è dimenticata,se non vi è vera necessità o utilità.

In tutti questi casi notori, se si mancanon si è tenuti a riparazione.

Mass-media

Possono lecitamente pubblicare delitti diuno, se sono noti in un luogo e non possonopiù restare a lungo nascosti. Non è lecito in-dagare e rivelare mancanze occulte, a menoche il bene pubblico o il bene di terzi lo ri-chieda (ad es. se il colpevole vuol concorrerea cariche pubbliche e le sue mancanze lo ren-dono inetto). Di persone aventi incarichi pub-blici, si possono pubblicare e criticare le colpecommesse nell’esercizio delle loro mansioni eriferire atti ingiusti contro il bene comune.

Anche i defunti conservano il diritto allareputazione: perciò non è lecito senza giustomotivo rivelare e divulgare le loro colpe.Fanno eccezione però gli storici, per due mo-tivi. 1° Affinché la storia sia magistra vitæ, te-stimone della verità, vindice della giustiziadivina, occorre che essa ricerchi e manifesti ifatti e le loro cause: e per far ciò dovrà obbli-gatoriamente rivelare colpe occulte. 2° Laprudente narrazione delle colpe dà molti be-nefici al bene comune: incute orrore e abo-minazione per le colpe, allontana gli uominidal male e spinge a punire i crimini.

Perciò, benché in sé non sia lecito dan-neggiare la reputazione anche di un dannato(ammettendo che sia possibile saperlo), tut-tavia si possono narrare i crimini occulti diun empio, la cui influenza continua anchedopo la sua morte, per diminuire o distrug-gere la sua autorità.

La riparazione del danno fatto

È facile sparlare, ma quanto è difficilepoi correre ai ripari.

“Se non confessate le vostre maldicenze,sarete dannati, malgrado tutte le penitenzeche potete fare;… confessandolo, occorre as-solutamente, se si può, riparare la perdita chela calunnia ha causato al vostro prossimo, ecome il ladro che non rende la refurtiva nonvedrà mai il cielo, così, colui che avrà tolta lareputazione al suo prossimo non vedrà mai ilcielo, se non fa tutto ciò che dipende da lui perriparare la reputazione del suo vicino” (2).

Si suol dire che chi rompe paga. Quandola virtù della giustizia è lesa, è necessario com-pensare il mal fatto con una riparazione pro-porzionata, chiamata in teologia restituzione.

Infatti chi diffama, reca un danno ingiu-sto, dunque è tenuto a riparare tutti i dannicausati colpevolmente, o previsti anche soloin maniera confusa. Ad es., se a causa dimaldicenza o di calunnia, qualcuno perde unguadagno, il colpevole, che lo sapeva o l’ave-va immaginato, deve restituire la sommapersa dall’altro. È obbligato su pena di pec-cato grave, se il danno inflitto è grave; su pe-na di peccato veniale, se il danno è leggero.

Occorre riparare anche la perdita dellareputazione.

Il calunniatore è tenuto a confessareapertamente di aver detto il falso, con lastessa notorietà della diffamazione (se la dif-famazione era avvenuta a mezzo stampa, al-la stessa maniera dovrà avvenire la ripara-

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zione). “Bisogna assolutamente andar a tro-vare tutte le persone a cui si è parlato maledi questa persona, dichiarando che tuttoquel che si era detto era falso”.

Il detrattore invece, per riparare, non potràcerto dire di aver detto il falso, ma “si deve di-re tutto il bene che si sa riguardo a questa per-sona, per cancellare il male che si è detto” (2).

In alcuni casi però si è dispensati dalla ri-parazione, quando: dalle parole non è deri-vata nessuna perdita della reputazione (segli altri non hanno creduto…); o è passatomolto tempo, e la diffamazione è stata di-menticata; o la persona diffamata, espressa-mente o tacitamente, ha condonato il dirittoad essere ricompensata del danno subito; ola riparazione è impossibile moralmente o fi-sicamente (non si conoscono gli ascoltatori,oppure è impossibile reperirli).

«Quanti imbarazzi, quante inquietudinivi causa questa parola che è stata così prestopronunciata! chissà se riuscirete a ripararetutto ciò che è stato rovinato! quante diffi-coltà da vincere… Come potrete levar maidalla mente di quelli che vi hanno udito, lapersuasione che quel che avete detto sia laverità?… La vostra mormorazione ha fattostrada, da quando è uscita dalla vostra boc-ca, è passata ad amici, è passata a gente chenon conoscete, e da questi ad altri ancora:bisogna informarsi chi siano queste altrepersone, bisogna cercarle, e fare in modoche, ritrattandovi di quanto avete detto,smettano di credere quel che han creduto inbase al vostro resoconto…

«Ben di più, quando pure si facesse unaritrattazione pubblica, quando uno fosse cosìfortunato da distruggere totalmente la catti-va opinione che ci si era fatta del vostro fra-tello, dico che ancora non rimediate a tutto ilmale che avete fatto. La reputazione di quel-li dei quali non è mai stato detto alcun male,con la detrazione perde un certo fiore, uncerto splendore, che per quanto ritrattar sifaccia, non si rimette più. Appena una per-sona è stata sospettata di essere infedele opoco riservata; nonostante si prendano tuttele diligenze per giustificarla, anche se si riu-scisse a persuadere il mondo intero della suainnocenza, resta sempre nella mente unanon so quale impressione che fa sì che nonvenga più tanto considerata più come lo eraprima; la sua virtù non brilla più con tutto ilsuo splendore. È come uno di quei tappeti,che si possono lavare dopo che son statisporcati: gli si restituisce, è vero, il primo

candore, ma non il primo splendore, la loroprima bellezza… Sembra che dal momentoche si è avuta la disgrazia di essere accusati,non si è esenti da ogni rimprovero…

«In secondo luogo, è facile guarire la pia-ga che avete fatto al cuore della persona infa-mata? L’avete colpita nella parte più sensibi-le: quanta pena avrà lei nel deporre l’avver-sione, che ha concepito contro di voi dopoquest’ingiuria? Mi sembra, che si perdoni piùvolentieri ogni altra ingiuria. Una parola èpresto detta, non vi è niente di più leggero, di-ce San Bernardo, ma con tutto ciò non sonoleggere le ferite che fa: penetra, entra facil-mente, ma non così facilmente trova la portad’uscita… Che farete voi per placare questosfortunato vittima della vostra lingua veleno-sa, per indurlo a scordarsi del torto fattogli?

«E quando riuscireste a trovare tutte lefacilità immaginabili, potreste farlo senza so-stenere mille e mille combattimenti internicontro tutte le vostre passioni, contro tutti isentimenti della natura? Perché, in fin deiconti, non potrei ristabilire l’onore diquest’uomo, se non espongo il mio; biso-gnerà ammettere che sono un bugiardo, unmaligno, un invidioso, o almeno un impru-dente. Direte forse che questa confessione,lungi da screditare chi la fa, gli acquista anzimaggior gloria, che si loderà quest’azione co-me un’azione eroica, un’azione molto cristia-na. È vero, ma temo che questo passo ripugnia molti invece di incoraggiarli. Forse per que-sto stesso motivo che si avrà vergogna di di-sdirsi; si avrà paura di passare per devoto eper scrupoloso, di esporsi agli scherni deimondani. Ma una prova ben convincente cheè difficile il ritrattarsi dopo aver criticato, èche, nonostante non vi sia al mondo cosa piùordinaria e più frequente della detrazione,tuttavia non vi è cosa più rara che la ritratta-zione. Chi tra di noi non ha udito mille voltesparlare del suo prossimo? quante volte sontornati da noi per ritrattarsi? Se questo passoera facile, dato che vi è obbligo indispensabi-le di farlo, non dovrebbe essere compiuto piùsovente di quel che si fa? Da dove viene chevogliono piuttosto restare in disgrazia di Dio,esporsi a perdere il Cielo, che ritrovare perquesta via l’amicizia del Signore?» (1).

Il rischio del detrattore

La fine che il Signore riserva per i maldi-centi è terribile, è Dio stesso che ce l’ha detto:“Temi, figlio mio, il Signore e non t’immi-

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schiare con i detrattori, poiché improvvisa-mente sopraggiungerà il loro sterminio” (Prov.XXIV, 21). Chi oserà pensare che Dio possamentire o esagerare? Alcimo aveva calunnia-to i Maccabei e Dio lo punì in seguito renden-dolo muto prima di morire (I Macc. VII, 5;IX, 54). Dathan, Coré e Abiron parlaronomale di Mosé e la terra sprofondò sotto i loropiedi (Num. XVI). Voltaire, che aveva dettotanto male contro la Chiesa (“calunniate, ca-lunniate, qualcosa resterà sempre”), morì inmaniera schifosa. «Un religioso si trovava vi-cino a morte, quando sentendosi esortare daicircostanti ad aver fiducia nella misericordiadivina: “che misericordia?” gridò “che miseri-cordia? Non è questa per me, che n’ebbi sìpoca”. Indi tratta fuori la lingua, accennò lorocol dito che la mirassero, e poi soggiunse:“Questa lingua mi ha condannato; questa,con la quale mi avete sì frequentemente sen-tito condannar’altri, questa or ora fa che di-sperato io precipiti in perdizione”. Disse, eperché più manifesto apparisse che avevaparlato per giusto giudizio, gli si gonfiò tuttad’improvviso la lingua in modo orribile: sì chenon potendo ritirarla a sé, cominciò a mettermuggiti, ed a mandar urli, come un toro ch’èsotto il maglio, e così dopo un’agonia penosis-sima uscì di vita… Che inconsiderazione èmai la nostra? che abbaglio? che cecità? Saràpossibile che oggi ci determiniamo a badare anoi, giacché al tribunale Divino non ci verràdomandata ragione d’altri, che di noi stessi?Gran cosa che ci vogliamo prendere tanto af-fanno, tanta ansietà delle coscienze altrui,mentre ciò serve solo a gravar le nostre!» (9).

Come comportarsi

A volte non sappiamo come agire quandoci troviamo con altre persone, le occasioni didire o ascoltare delle maldicenze sono innu-merevoli, noi stessi abbiamo una tendenzanaturale che ci porta ad una certa compiacen-za verso di esse. Non parliamo poi quando lacompagnia è costituita da gente che passa ilsuo tempo a “raccogliere e diffondere le catti-ve voci, da gente che ha sempre una nuovaavventura da raccontare” (1). “Se vogliamoresistere a questa tentazione - dice il Beatodella Colombière - bisogna avere forza di spi-rito, bisogna avere una virtù matura e ben so-da; ma oltre a ciò, bisogna vegliare su sé stes-si, star di continuo in guardia contro questodesiderio di piacere, contro questo desiderioche sovente seduce i più riservati”.

Occorre dunque uno sforzo. Si sa chenon si va in cielo in carrozza, e che la praticadella virtù così come la fuga dal peccatocomporta sempre un certo sacrificio da partenostra. Ma non è meglio sforzarsi in questopiuttosto che dover sacrificarsi per riparareil mal fatto? o espiare i peccati commessi?D’altra parte, questo sforzo non è qualcosad’impossibile, ma ben alla portata della no-stra volontà. Basta aver il proposito di nondir nulla che ferisca la giustizia e la caritàverso il prossimo, né in materia grave né inmateria leggera: infatti “chiunque si prendela libertà di dire il male che sa di un altro,benché sia un male leggero… costui cadràinfallibilmente nelle vere detrazioni… I pic-coli mancamenti che ci perdoniamo in que-sta materia invigoriscono la cattiva inclina-zione, formano un’abitudine di maldicenza,impossibile da trattenere nei limiti che ci siera prefissi in principio” (1).

La parola è d’argento, ma il silenzio èd’oro, dice un proverbio. Impariamo a tace-re, a non accondiscendere alla voglia di par-lare che può venire in qualunque momento.Impariamo a riflettere prima di parlare, pervedere se quel che diciamo è lodevole da-vanti a Dio o no. “Poni, o Signore, una guar-dia alla mia bocca, ed un uscio alle mie lab-bra. Non inclinare il mio cuore a parole mal-vagie, a cercar scuse ai peccati” (21) (SalmoCXL, 3). “Mettete dunque, mio Dio, sullemie labbra come un corpo di guardia, chenon lasci passar niente di quanto voi mi ordi-

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Gesù con la samaritana

nate di tenere dentro di me. Che la prudenzae la circospezione servano da porta alla miabocca, e che resti chiusa a tutti i propositiche si accostino alla maldicenza (1).

Come agire se sono gli altri che parlanomale? Ascoltiamo i consigli pratici del SantoCurato d’Ars: “Se è un inferiore, cioè una per-sona che sia al disotto di voi, dovete imporglisubito il silenzio, facendogli vedere il male chefa. Se è una persona del vostro stesso rango,dovete sviare abilmente la conversazione par-lando d’altro, o facendo finta di non intenderequel che dice. Se è un superiore, cioè una per-sona al di sopra di voi, non bisogna riprender-la, ma occorre manifestare un aspetto serio etriste, che gli mostra che vi dà della pena, e, sepotete andarvene, bisognerà farlo” (2).

La carità

Per eliminare alla radice questo male cosìgrande per le persone e la società, bisognapraticar la virtù della carità, che ci fa amare ilprossimo come noi stessi, e di conseguenza ciimpedisce di far il male che non vogliamo chevenga fatto a noi. “La carità è longanime, è be-nigna; la carità non ha invidia, non agisce inva-no; non si gonfia; non è ambiziosa; non è egoi-sta, non s’irrita, non pensa il male; non si com-piace dell’ingiustizia, ma gode della verità; sof-fre ogni cosa, ogni cosa crede, tutto spera, tuttosopporta” (I Cor. XIII, 4-7). “La carità procu-ra di coprire i peccati di quelli che ama; e poi-ché ella ama tutto il mondo, vorrebbe poterabolire la memoria di tutti i peccati. Non si po-trebbe parlare dell’uomo più cattivo del mon-do, ch’ella non prenda le sue parti, e che nonabbia sempre qualcosa da dire in sua difesa.Ella esagera la malafede dei mormoratori, sidilunga sulla loro malignità, che li porta soven-te ad offuscare le virtù più perfette; ella cita gliesempi degli innocenti oppressi dalla calunnia;trova la contraddizione in ciò che si dice dellapersona che si vuol diffamare, vi trova dell’im-possibilità, richiama le loro azioni passate, op-pone al male che si dice tutto il bene che sa daaltri; se la colpa è troppo evidente per esserenegata, cerca almeno di salvare le intenzioni,cerca di scusare, facendo conoscere che l’hafatto per ignoranza, per sorpresa, talvolta di-cendo che la tentazione fu gagliarda, che forseè stata la prima volta in cui è caduto, che i piùgran Santi son caduti, che qualunque altro inuna simile situazione si sarebbe trovato moltoimbarazzato. Universa delicta operit caritas (22).E nel frattempo si vede che ella sente un vivo

dolore, che è ferita fino al cuore, che soffreestremamente di non poter vincere la maldi-cenza; di tal maniera che se quelli che ascolta-no non sono interamente persuasi dalle ragio-ni portate da quest’anima caritatevole, almenosono toccati dalla sua pena, conoscono il suoaffanno e fingono per compassione, non parla-no più per non darle maggior afflizione” (1).

Se sapremo praticare la carità ed il silenzio,la nostra lingua invece di accumular debitiverso la Giustizia divina, saprà lodare, onorare,servire il suo Signore e prepararci alla lode e-terna che i giusti rendono a Dio per l’eternità.

Note

1) R. P. CLAUDIO DELLA COLOMBIERE, SermoniSacri, Baglioni, Venezia 1761, Tomo II pag. 216,Sermone sulla detrazione. Tutte le citazioni del Beatosono tratte da quest’opera.

2) BEATO G. B. M. VIANNEY, Discorsi, Marietti,Torino 1923, Volume III, pag. 322-346, Della maldicenza.Tutte le citazioni del Santo sono tratte da quest’opera.

3) SAN TOMMASO D’AQUINO Summa Theologica II,II, q. 73, a. 1, nel corpo dell’articolo.

4) Imponens, augens, manifestans, in mala vertens,Qui negat aut minuit, reticet laudatve remisse5) S. PIO X, Allocuzione al Concistorio del 9 no-

vembre 1903.6) PIO IX, Sillabo n. 12.7) S. FRANCESCO DI SALES, Filotea, Cantagalli,

Siena 1982, cap. 28, pag. 189 e seg.8) S. Ambrogio, citato in CORNELIO A LAPIDE,

Commentaria in Pentateuchum, Venezia 1702, commen-to a Gen. IX, 22.

9) P. PAOLO SEGNERI S.J., Quaresimale, Venezia1724, Predica XIX: Nel Mercoledì dopo la TerzaDomenica, pag. 192 e seg. Tutte le citazioni dell’autoresono tratte da quest’opera.

10) Gv. II, 22: “I Giudei si erano accordati chechiunque avesse riconosciuto che [Gesù] era il Cristo,fosse scacciato dalla sinagoga”.

11) G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo, Mondadori1974, parag. 431.

12) PRÜMMER, Manuale Theologiæ Moralis, Fri-burgo 1940, T. II, n. 189. Tutti i moralisti sono unanimisulla valutazione della gravità della detrazione.

13) “Quisquis amat dictis absentum rodere vitam,Hanc mensam vetitam noverit esse sibi”.14) S. Th. II II, q. 73 a. 2.15) PRÜMMER, op. cit., n. 191.16) DOM JEAN DE MONLÉON, Histoire Sainte -

Moïse, Paris 1956, pp. 310-311.17) S. AGOSTINO, Trattato sui Salmi, Sul Salmo 63.

Testo riportato nel Breviario Romano, Feria VI inParasceve, II Notturno.

18) P. JONE OFM, Compendio di Teologia Morale,Marietti, Torino 1951, n. 379.

19) PRÜMMER, op. cit., n. 195; S. ALFONSO, Theo-logia Moralis, Venezia 1834, T. 6°, c. 1, n. 980.

20) S. Th, II II, q. 73, a. 4.21) “Pone, Domine, custodiam ori meo: et ostium

circumstantiæ labiis meis. Non declines cor meum inverba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis”.

22) “La carità copre una multitudine di peccati” (IPietro IV, 8).

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LA VIA REGALEdi Mons Guérard des Lauriers

Quarta stazioneGESÙ INCONTRA MARIA SUA MA-DRE

Ecco il Re della Gloria, ornato della co-rona che Sua madre gli ha dato il giorno del-le Sue nozze (1). Ecco, o Maria, Tuo Figlio;ecco che Egli sposa una seconda volta, nelSangue, la natura che assunse in Te; ecco cheEgli invita alle sue nozze tutte le vergini, eTe per prima, Vergine delle vergini che inquest'ora Egli fa sua Sposa.

Guardalo, Maria, il Re della Gloria, tustessa, Regina nella Gloria! Mai fu più verala profezia secondo cui tutta la gloria è den-tro (2), nel regno che non è di questo mondo(3). Qual'è dunque questa Gloria? È quelladel Signore forte e potente (4), che vincel'odio con l'Amore, è quella della vergineforte e vigilante, che patisce in sè la Verità el'Amore. Gesù, Tu incontri Maria, TuaMadre. Maria, tu incontri Gesù, Tuo Figlio. Ivostri sguardi si incrociano sulla terra, è peròin fondo all'anima che essi realizzano la piùprofonda comunione. Chi mai potrebbe es-sere il degno testimone di questo ineffabileincontro? Chi conosce questa Gloria? Gliuomini la disprezzano, gli Angeli l'adoranonel mistero, Tu solo, o mio Dio, la conosci, ein Te, o mio gran Dio, io voglio conoscerla,come una purissima immagine Tua.

Il Verbo incarnato e la Madre del Verbo siincontrano un istante sulla terra; il Padre, ilVerbo e lo Spirito sussistono eternamentenella comune Essenza: questa è la chiave delmistero. Tu ritrovi, o Verbo incarnato, Tuamadre nella gloria della Croce. Tu ritrovi, oVerbo eterno, Tuo Padre nella Gloria del-l'Essenza. Quale Gloria, quale Incontro, qua-le Amore! Amore crocifisso in nome del qua-le non ci si trova che per lasciarsi, Amorebeatificante nel quale non ci si distingue cheper ritrovarsi. Qui coscienza giusta uguale al-la Beatudine infinita, là vita sufficientementegiusta per portare una pena infinita. O Gloriao splendore di questo Amore, vero nel Senodella Beatissima Trinità, vero nell'intimo del-l'incontro doloroso. Uguale modalità, ugualerigore. Essere due e non essere che uno.Distinguersi e unirsi; lasciarsi e ritrovarsi... Ilpeccato impone la propria distensione all'A-more che lo visita, ed è la forma del peccato

che, per un istante, vince; nel delicato alter-narsi del gioco dell'Amore, una delle fasi di-venta dominante al punto da assorbire l'altra;e per Te, Gesù, e per Te, Maria, questo incon-tro sa solo di separazione. E tuttavia vi ritro-vate in modo molto reale: le vergini, nel-l'Amore, si ritrovano continuamente, perquanto non si lascino mai. Come potrei com-prendere la profondità di questo sguardo re-ciproco che tocca il fondo delle vostre anime,perchè procede dalla Luce di Dio?

Gesù, il Verbo Salvatore, Maria la primae perfetta redenta: Maria in Gesù come nellasorgente della sua vita e Gesù in Maria comenell'espressione della Sua opera; così il Figlioè nel Padre e il Padre nel Figlio (5). Era labeatitudine essenziale che visitava le vostreanime attraverso questo sguardo, o Gesù,Figlio di Maria, o Maria, Madre di Gesù. Maciò non è affatto di questo mondo. Ed eccoche la penetrante dolcezza di questa luce di-venta inesorabile penetrazione. Tu vedi, oGesù, quanto costi a Tua Madre il seguirti,più che non misuri il prezzo della Sua reden-zione; Tu vedi, o Maria, l'Agonia che si pro-lunga sotto il peso della Croce, distratta allaTua stessa sofferenza. Non si percepisce ilproprio dolore che nell'altro, proiettato nel-l'altro e ingigantito nell'altro indefinitamen-te, sulla misura stessa dell'Amore. Come duespecchi perfettamente puri, voi riflettetel'uno per l'altra il rigore della legge del-l'Amore. O Maria, è ben Gesù che ritrovi,ma un Gesù che deve lasciare se stesso, chedeve assolutamente offrire se stesso; e Tu, oGesù, è proprio Maria che ritrovi, ma unaMaria che deve compiere nel dolore, la gene-razione che iniziò nella Gloria. E così, oMaria, tu lasci Gesù con un rigore a prima vi-sta inconcepibile, giacchè Tu sei tutt'uno conGesù che deve lasciare se stesso. E Tu, Gesù,Tu comunichi con Maria nell'atto di supremarinuncia che le chiedi e che le dai da compie-re; Tu rinunci a lei, in lei e per lei che, a suavolta, rinunzia sè stessa. Amore che unisciGesù a Maria; Amore che separi Gesù da sèstesso, e Maria da sè stessa; Gesù da Maria eMaria da Gesù. Amore, dammi un cuore a-mante che comprenda la legge dell'Amore.

O Maria, Tu non fai nulla per Gesù, nep-pure ciò che fece Veronica; e Tu, Gesù, nonfai nulla per Maria, neppure ciò che facestiper le donne di Gerusalemme. Questo sguar-do reciproco non ve lo date che per lasciarvi,e solo per questo. Nessuna azione; questosguardo basta. O verginità ineffabile di que-

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sto sguardo che esclude tutto quello che nonè Lui; Verginità uguale nell'Amore che pos-siede e che non distingue che per unire,nell'Amore crocifiggente che avvicina soloper separare.

O Gesù, o Maria, grazie per questo sguar-do! Che esso sia per me il sacramento delrigore dell'Amore. Io voglio adorarlo e conser-varlo nella fede. Che esso mi faccia un cuoreche accolga ugualmente l'Amore nella Gloriadella sua Croce e nel riposo della sua Gloria.

Quinta stazioneGESÙ È AIUTATO DA SIMONE DI CI-RENE A PORTARE LA CROCE

È il primo aiuto che Gesù riceve dal-l'esterno. Maria ha soccorso Gesù per aiu-tarlo a costituire nel suo cuore il tesoro dellaCroce, ma non per dar sollievo al suo Corpo.Maria è Madre di Gesù soprattutto per mez-zo della fede.

Gesù è da poco caduto; l'incontro conMaria gli toglie certo più forze di quante nonglie ne dia, ma i soldati non se ne curano. Laloro vittima non li interessa molto... bastache la Croce sia portata fino al termine.

Al primo più grave ostacolo, si chiede aiu-to ai passanti: questa soluzione è abbastanzafacile e abituale perchè qualcuno se ne stupi-sca. Avendo incontrato un certo Simone diCirene, essi lo costrinsero a portare la Crocedietro Gesù (6). Simone non poteva rifiutare...Accetta egli dentro di sè ciò che deve compie-re materialmente? Simone ritornava dai cam-pi, già stanco. Maria era là, incoronava suoFiglio della sua dolorosa presenza, nel giornodelle nozze della Croce (7), felice che qualcunofacesse ciò che lei stessa non doveva fare.

O Maria, Tu stavi per diventare madre diSimone, e il tuo affetto silenzioso dovettecompire nel suo cuore un invisibile miracolo.Ai servitori di Cana, Tu avevi detto: Fate tut-to ciò che Egli vi dirà (8). A Simone, suggeri-sci di entrare come servitore alle nozze dellasantissima Croce. Dio opera sempre dal didentro ciò che egli indica dal di fuori con deisegni. I soldati sono per Simone il Segno im-perativo, ma Tu, Maria, Tu che conosci Gesùe il mistero della sua Croce, sei la luce sua-dente nella quale Simone accoglie con dol-cezza l'inopportuno fardello.

O Madre, ricordati di tutti gli altri Simoniche la Provvidenza visita per mezzo dellacontrarietà e che stentano a riconoscere laCroce di Gesù. Ripeti loro, ripeti a me, o

Maria, le parole dello stesso Gesù: Se tu co-noscessi il dono di Dio... (9) Se tu sapessi su-perare l'esile schermo della contrarietà degliuomini, delle circostanze: ecco Dio ti attende.Nessuno ha potere su di te, se Dio non glielodà (10); nessuno ti obbliga dal di fuori impos-sessandosi delle tue forze, è Gesù che ti obbli-ga dal di dentro, promettendotene migliori.

Tuttavia, non è Simone il più costretto: lacostrizione esercitata dagli uomini non è maialtro che l'umile veste nella quale Dio invitaa discernere il rispetto che Egli stesso ha peressi. Dio non vuole che ciò che gli uominirendono possibile; Dio si arresta control'inerzia di coloro che dovevano aiutareGesù, e che sono assenti o che non osano. Ledonne erano restate lontane dai miracoli edalla gloria del Maestro e tuttavia esse si av-vicineranno nell'ora della prova. Al contrariogli uomini, i forti, gli amici, gli intimi, fuggo-no nel momento in cui bisogna porgere aiuto.Così, o Signore, la menzogna e l'errore chepresiedettero alla tua condanna, accompa-gnano pure il tuo Calvario. Ma Tu ristabiliscil'ordine; e la potenza del male scatenato con-tro di Te, diventa lo strumento della tuaSaggezza: Coloro che eran stati chiamati albanchetto della Croce non ne erano degni (11)allora i tuoi servitori, nella specie i tuoi nemi-ci, se ne vanno per le strade: ed io li trovo,servitori senza dubbio inconsapevoli ma per-fettamente fedeli al tuo desiderio: costringo-no ad entrare (12). Questa coorte incolta di cuiTu rispetti il volere ostile, in verità, o Signore,Ti serve; essa costringe Simone a partecipareal banchetto della Croce. Tante cose ch'io ri-fiuto, invitano anche me, in nome Tuo, a par-teciparvi; ma sei Tu o Gesù, sei tu, o Maria,che date la veste nuziale (13) senza la qualenon si può gustare il sapore del banchetto. Èdunque a Te ch'io la chiedo, è a Te che chie-do quali sono i mille sapori della manna pri-ma amara, che dona la vita in abbondanza. Èil Tuo Amore che converte la costrizione inquesto banchetto che sei Tu.

Simone porta la Croce dietro Gesù, conGesù: questo è il banchetto. Mangiare insie-me, vuol dire avere ciascuno la propria parte;portare la Croce insieme, vuol dire essere unonello stesso atto. Tu avevi messo tutto Te stes-so, o Gesù, nel portare la Tua Croce, ma il suopeso sorpassava di molto le tue forze e allorahai permesso che un Simone stanco, la por-tasse con Te, affinchè compisse egli pure ungravoso sforzo che l'applicasse totalmente, aquest'opera unica del portare la Croce.

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Quale Saggezza mi insegni, o Gesù, por-tando la Tua Croce! Tutto ciò che Ti accade,mi viene dato come segno. Forse non avevoancora capito che se la Croce sembra smisu-rata, schiacciante per le mie povere forze, èperchè è necessario ch'io sia tutto assorbitonell'atto di portarla, senza che nulla in me siadistratto per qualcos'altro. Nella misura in cuisarò interamente presente in questo atto, saròinteramente uno con Te, che in esso Ti esauri-sci. Non so comprendere, o Signore, come laCroce unisca a Te, ed è per questo che io te-mo di esserle interamente presente. La vorreipiccola per dominarla, e stare così io stesso difronte a Te; mentre la grazia che provienedalla Tua Croce tocca il suo vertice in questasuprema richiesta: assottigliare, costringere,ridurre a dimenticarsi perfettamente in Te.

Gesù che porti la Tua Croce non permet-tere più che io ritenga troppo pesante laCroce che Tu mi chiami a portare con Te. ETu, Maria, Madre di Gesù, Madre di tutti iCirenei scelti da tuo Figlio, rimandami l'ecodella parola liberatrice: Se tu conoscessi ildono di Dio (14).

Portare con Te, o Gesù, significa essereunito con Te; ma vuol dire anche aiutarti,aiutarti veramente, come fece Simone.Adjutores Dei sumus (15). Noi siamo i colla-boratori di Dio. La misteriosa realtà che èora spirito e vita (16), era contenuta in segni epromesse nel Tuo stato terreno: Gesù cheporti la Tua Croce, Gesù aiutato a portare latua Croce. Questa Croce che Tu trascinavifaticosamente e che forse sarebbe caduta aterra, eccola improvvisamente sollevata, tra-sportata senza scosse, trattata con il rispettodovuto alle cose sante. L'arca dell'Alleanzaera portata dai sacerdoti... (17) Gesù, Sacer-dote Sovrano, Tu chiami l'uomo a inaugura-re ed a continuare il suo sacerdozio; e laCroce, che è come l'Arca della NuovaAlleanza, non può più essere senza l'uomo,onorata come conviene. Questa è la veritàche i Tuoi carnefici incarnano sulla terra perla prima volta, verità che io stesso devo rac-cogliere con riconoscenza e fervore.

La Tua Croce, o Signore, sarà portata sul-la terra fino al giorno del giudizio. Quanteparticelle ne sono sfuggite, sono state dimen-ticate, disprezzate, aborrite: persino nei cuo-ri cristiani che tuttavia vivono della TuaCroce, e forse nei cuori vergini che Tu haiscelto per aiutarti.

O Signore, che hai riscattato il mondocon la Tua santissima Croce, io mi sforzerò

di discernere con diligenza, di desiderarecon rispetto, di raccogliere con tenerezza laTua Croce, ovunque la scoprirò.

17 dicembre: conferenza del giornalista escrittore Vittorio Messori nella Chiesa Par-rocchiale della Crocetta a Torino. Due recentilibri di Messori ci hanno particolarmente inte-ressato (“Pensare la storia” e “Patì sottoPonzio Pilato”) per cui i sacerdoti dell’Istitutoed un buon numero di fedeli si sono recati allaconferenza. Al momento del dibattito, donRicossa pone una domanda al noto scrittore.Nel suo libro “Patì sotto Ponzio Pilato”Messori denuncia, a ragione, l’esegesi moder-na di marca razionalista e protestante, che mi-na alla base la storicità stessa dei Vangeli. Inseguito, lamenta che questi studi esegetici de-molitori della Fede vengano pubblicati ancheda case editrici cattoliche con l’“imprimatur”vescovile. Come è possibile - domanda donRicossa - che dei membri della gerarchia ap-provino delle tesi che distruggono le fonda-menta stesse della Fede? E com’è possibileche lo possano fare impunemente? E comemai tutto ciò non avveniva prima del VaticanoII? La domanda è stata giudicata provocato-ria... Dopo una professione di fede nelVaticano II, Messori ha risposto che non a luima alla gerarchia spetta portare il rimedio edinfine ha citato come emblematica la frase delcelebre apostata, Rénan, il quale, morendonel 1892, si dichiarò scomunicato dalla Chiesaattuale, ma in comunione con quella futura.Don Nitoglia, dopo la conferenza, si è rivoltoprivatamente al Messori per porre un’altradomanda. Se Renan non era in comunionecon la Chiesa Cattolica (sotto Leone XIII)mentre è, a giudizio stesso di Messori, in co-munione con la Chiesa del Vaticano II, come

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1) Ct. III, 11.2) Ps. XLIV, 14.3) Gv. XVIII, 36.4) Ps. XXIII, 8.5) Gv. XVII, 21.6) Lc. XXIII, 26;

Mc. XV, 21.7) Ct. III, 11.8) Gv. XI, 5.

9) Gv. IV 10.10) Gv. XIX, 11.11) Mt. XXII, 8.12) Lc. XIV, 23.13) Mt. XXII, 11-12.14) Gv. IV, 10.15) I Cor. III, 9.16) Gv. VI, 63.17) I Re VIII, 3, 6.

Vita dell'Istituto

si può affermare la continuità tra ChiesaCattolica e Vaticano II? Alla domanda nonc’è stata risposta precisa. Continuiamo a rite-nere interessanti e degni di essere seguiti gliscritti di Vittorio Messori. Però, a nostro pare-re, deve scegliere. Egli si dichiara “cattolicotosto, ratzingeriano”. Scelga: o cattolico tosto,o ratzingeriano.

18 dicembre: festeggiato il settimo anni-versario dell’uscita dalla Fraternità San Pio Xcon la conseguente fondazione dell’Istituto“Mater Boni Consilii”. Chi ricorda quegli an-ni (1985) sa bene che Padre Schmidbergermise i sacerdoti del distretto italiano in condi-zione di dover lasciare la Fraternità a motivodella loro opposizione all’Associazione UnaVoce, all’Indulto ed a quanti ne volevano pro-fittare. Oggi (1992-93) la stessa Fraternità è inrotta con Una Voce, Lepanto, l’Anti-89,Gricigliano ecc. Tutti possono pertanto con-statare chi, allora, aveva ragione e chi, invece,aveva torto e danneggiava la stessa Frater-nità. Quanto a noi, ringraziamo Dio della gra-zia che ci concesse sette anni fa, e dei lumiche ci ha dato in seguito, nel capire più pro-fondamente il divario esistente tra dottrinadella Fraternità e quella della Chiesa.

21 dicembre. Dopo aver benedetto alcunilocali dello Stabilimento Mira Lanza di Calde-rara di Reno (Bologna), don Ricossa è ritor-nato per una piccola festa natalizia con i di-pendenti di una Cooperativa che collaboracon gli operai. L’11 febbraio sono stati bene-detti anche i locali della Meat-Doria, a Torino.

15 gennaio. Organizzato dall’AssociazioneMater Boni Consilii, ha avuto luogo a Torinonella sede della Famija Turineisa, via Po 43, unapplauditissimo concerto di beneficenza che,quest’anno, ha sostituito la consueta venditanatalizia. Ringraziamo l’Associazione ospite,gli organizzatori della serata, gli spettatori,che hanno riempito la sala, ed i giovani ma giàbravissimi musicisti: Mario Carretta (flauto),Anna Brancadoro (violino), GustavoFioravanti (viola) e Silvia Airoldi (violoncel-lo), che hanno eseguito musiche di Mozart.

27 febbraio: Mons. Guérard des Lauriers èstato ricordato con una Messa cantata da re-quiem nell’anniversario della sua morte. Rin-graziamo Dio di averlo conosciuto e amato.

Don Nitoglia si è recato in Spagna e nelTirolo sulle tracce del Beato Niño dellaGuardia e del Beato Andrea da Rinn, vitti-me di omicidi rituali. Ancora vivo il culto nelSantuario della Guardia in Spagna, mentrenella Chiesa parrocchiale di Rinn le reliquie

del martire innocente sono state tolte dall’al-tar maggiore e murate dietro una lapide, rin-negatrice del suo culto e del suo sacrificio.Ancora peggio è toccato al Beato Simoninodi Trento. Dopo informazioni, abbiamo ap-preso che le sue reliquie sono state sepoltein luogo segreto per distruggere ogni memo-ria del suo culto.

5 marzo. Ospite della “Libreria Europa”di Roma, don Nitoglia ha tenuto un’altra con-ferenza sul tema del deicidio nel quadro delnuovo catechismo. L’oratore ha sottolineatocome il consenso morale dei Padri dellaChiesa sulla questione impegna l’infallibilità ecome, d’altra parte, la dottrina presentata dalnuovo catechismo sia diametralmente oppo-sta a quella dei Padri. Vivo interesse da partedegli ascoltatori (numerosi i giovani) che nehanno tratto le inevitabili conseguenze, po-nendo domande sulla questione dell’Autoritànella Chiesa. La rivista “L’Italia settimanale”aveva pubblicato un invito alla conferenza.

Traduzione cattolica e Sodalitium. I no-stri “colleghi” di “Traduzione Cattolica” (pe-riodico del distretto Italia della Fraternità S.Pio X) si sono aggiornati nella veste tipogra-fica e nei contenuti. Meno traduzioni dalfrancese (che gli avevano meritato l’affet-tuoso nomignolo) e più ispirazione da testiitalici. Qui a “Sodalitium” ci sentiamo un po’come alla “Settimana enigmistica”, la rivistache vanta innumerevoli tentativi di imitazio-ne! (Noi, per ora, ci contentiamo di uno so-lo...) Ci felicitiamo coi nostri amici che, coiloro sunti incisivi e col nuovo assetto reda-zionale e fotografico diffondono (seppursenza nominarlo) il nostro vecchio bollettinotra chi non ci conosce. Per il prossimo nume-ro consigliamo vivamente, per una volta, diritornare ad un testo di origine francese: il

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Il concerto di beneficenza presso la Famija Turineisa

bell’articoletto dell’Abbé Belmont, che tro-verete a pag. 26. Avanti così, e coraggio...!

Lectures Françaises et SodalitiumIl numero di dicembre, 1992, di Lectures

Françaises, rivista politica francese (B. P. 1 -Chiré-en-Montreuil - 86190 Vouillé), pubbli-ca a pag. 45, nella rubrica “Partiti e giorna-li”, una recensione molto favorevole del no-stro bollettino. La riportiamo integralmente:

«Il numero d’ottobre di Sodalitium, infrancese, è eccezionale. Edita dall’IstitutoMater Boni Consilii (…), sotto la direzionedi don F. Ricossa, questa rivista, ricca di dot-trina e di documentazione, non deve sotto-stare a nessuna legge del tipo Marchandeau,Pleven o Gayssot-Fabius. Il che le permettedi affrontare liberamente dei problemi chequi sono vietati. Ci limitiamo a dire questo;quei lettori che cercano informazioni su ar-gomenti vietati richiederanno subito questonumero. Il bollettino è gratuito, ma si può al-legare un’offerta (...)».

A seguito di questa recensione abbiamo ri-cevuto molte lettere che ci riempiono di spe-ranza circa la diffusione del nostro bollettino inFrancia. Siamo debitori a Lectures Françaisesdi un sentito ringraziamento per le parole diapprezzamento, soprattutto perché questo at-teggiamento è molto raro negli ambienti cosid-detti “tradizionalisti”, che preferiscono adotta-re verso di noi la tattica del silenzio. Appro-fittiamo dell’occasione per segnalare questa ri-vista ai nostri lettori che non la conoscono an-cora e che potranno trarne una mole di infor-mazioni sul mondialismo che ci minaccia.

Ospiti nella nostra casa di Verrua. Oltreal Rev. Donald Sanborn (che ormai non fapiù notizia, perché è quasi uno di casa) ab-biamo accolto tra di noi il rev. Zapp chesvolge il suo ministero sacerdotale in Cali-fornia (U.S.A.), nonché vari amici dallaFrancia e dagli Stati Uniti.

Lutti. Raccomandiamo alle vostre pre-ghiere le anime del dott. Jeffrey Soisson, de-

ceduto il 10 gennaio, e dell’avv. AlfonsoBadini Confalonieri, deceduto il 14 febbraio.

Il dott. Soisson era venuto in Italia comegiovane ufficiale medico della Base Nato diS. Vito dei Normanni. Don Sanborn ci avevasegnalato questo suo fedele e la sua giovanesposa, che divennero ben presto nostri amici.Don Murro ebbe la gioia di battezzare la pri-mogenita Maria Monica, nata durante la suapermanenza in Italia. Tornato negli StatiUniti è stato colpito da grave ed incurabilemalattia, sopportata cristianamente. Si co-municava tutti i giorni, riuscendo di edifica-zione per tutti i fedeli di don Sanborn, nelMichigan. L’Istituto porge alla vedova, si-gnora Soisson, le più sentite condoglianze.

L’avv. Badini Confalonieri accolse con ge-nerosità nel suo storico palazzo di via Verdi10 i nostri sacerdoti per la celebrazione dellaS. Messa. Dopo la morte di Mons. Vauda-gnotti e la chiusura della Chiesa della SS.Trinità, nel 1982, Torino rischiava, per la pri-ma volta, di restare senza il Santo Sacrificiodella Messa. Fu l’avv. Badini ad insisterepresso la cara sig.na Richiardi perché potessi-mo celebrarla presso di lui. Quando, nel 1985,lasciammo la Fraternità, l’avv. Badini, nono-stante le numerose pressioni ricevute, ci la-sciò in uso la cappella di via Verdi. Per questodovette subire un processo con conseguentidanni morali e materiali, senza però desisteredalla sua decisione. A Dio, giusto Giudice,l’ultima parola su questo triste episodio. Anoi, l’obbligo di una viva gratitudine.

Quando nel 1989 inaugurammo l’Oratoriodel Sacro Cuore in via Saluzzo, l’avv. Badinidecise di venire ogni domenica presso di noiper ascoltare la Messa e così ha fatto finchél’età e la salute glielo hanno permesso.

Non siamo stati gli unici a profittare del-la sua generosa ospitalità ma, forse, siamostati quelli che si sono trovati più nel biso-gno, e più a lungo. Dio gli accordi la Sua mi-sericordia.

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“Vera e falsa mistica. Natura e definizione”Conferenza di don Curzio Nitoglia

Venerdì 4 giugno 1993, ore 20. Nei locali della “Libreria Europa” via Sebastiano Veniero 74 Roma.

Per informazioni tel. 06/39.72.21.55

ESERCIZI SPIRITUALI DI S. IGNAZIO

“Che giova mai all'uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde l'anima?

O cosa darà un uomo in cambio della sua anima?” (Matteo XVI, 26).

“Se gli uomini fanno gli esercizi spirituali, e li fanno bene,

il mondo è salvo!” (Padre Vallet, C.P.C.R.).

Per gli uomini:dal lunedi 23 agosto, ore 12, al sabato 28 agosto, ore12. A Verrua Savoia.dal lunedi 16 agosto, ore 12, al sabato 21 agosto, ore12. A Raveau in Francia (In lingua francese).

Per le donne:dal lunedi 16 agosto, ore 12, al sabato 21 agosto, ore12. A Verrua Savoia.dal lunedi 9 agosto, ore 12, al sabato 14 agosto, ore12. A Raveau in Francia (In lingua francese).

COLONIA ESTIVA PER I BAMBINI

Per bambini di età compresa tra gli 8 ed i 13 anni, nel ca-stello di Raveau in Francia.Dal giovedì 15 luglio al venerdì 30 luglio.

Telefonare o scrivere a Verrua Savoia per informazioni e prenotazioni

Tel. 0161/849335


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