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Rassegna della stampa

Date post: 20-Jan-2017
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Rassegna della stampa Source: Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 5, No. 3/4 (Marzo - Aprile 1950), pp. 56-57 Published by: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40755897 . Accessed: 14/06/2014 19:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.107 on Sat, 14 Jun 2014 19:30:15 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Rassegna della stampaSource: Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africae l’Oriente, Anno 5, No. 3/4 (Marzo - Aprile 1950), pp. 56-57Published by: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO)Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40755897 .

Accessed: 14/06/2014 19:30

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.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extendaccess to Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente.

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56 AFFRICA

■j Rassegna della stampa IP STAMPA ITALIA NA Emigrazione in Africa.

La « Rassegna Italiana di politica e di cultura » diretta da Tommaso Sua- ni, tratta in un editoriale il problema dell'emigrazione, e, condividendo un punto di vista che la rivista « Af- frica » ha più volte sostenuto, richia- ma l'attenzione sulle immense possi- bilità offerte all'emigrazione europea dal Continente africano. Dopo avere esposto le cifre del nostro

movimento emigratorio fino al 1948, la Rassegna Italiana così le commenta:

« Pur nel conforto che queste cifre ci danno, siamo come si vede, ben lon- tani da quanto richiedono le nostre ne- cessità. Si che può darsi che con le conseguenze economiche, sociali e poli- tiche che da questa constatazione de- rivano per il nostro paese, il carattere internazionale del problema che è co- stituito dalla nostra esuberanza demo- grafica sia evidente. Terre libere ce ne sono in gran copia nel mondo. E il bi- sogno di lavoratori provetti, ingegnosi, pazienti come sanno essere gli italia- ni, è dovunque sentito. Enunciazioni solide, quale è quello del IV punto Tru- man sono al riguardo molto signifi- cative.

concreti in fatti positivi. « Nella nuova civiltà africana, che dovrà essere una delle basi più salde della rinascita del- l'Europa - è stato scritto profetica- mente in queste pagine - forse l'avve- nire ha un nome: Italia ».

Il « Somalo » moneta solida. La Somalia, amministrata dall'Ita-

lia per incarico dell'O.N.U., avrà - scrive Arnaldo Vacchieri sul « Tempo » - una delle più solide monete del mon- do. La nuova moneta sarà infatti ga- rantita con un versamento da parte dell'Italia di un pari valore di oro e ar- gento e valuta pregiata (dollari) : sarà cioè una delle poche o pochissime mo- nete a copertura piena. Come è noto, l'unità monetaria sarà il «Somalo» (ab- breviato «So»), iscritto al Fondo Mone- tario Internazionale. Il suo valore ini- ziale sarà pari a uno scellino East Afri- ca, cioè la moneta inglese attualmente circolante: con la differenza che il « Somalo » sarà una moneta d'argento il cui valore intrinseco sarà pari all'ef- fettivo attuale valore di uno scellino (il che non è dello scellino stesso, com. posto di una delle solite leghe con un leggerissimo bagno d'argento). La mo-

neta da « un somalo » (disegnata, co- me le altre, dal professor Romagnoli della Zecca di Roma) porterà su un lato i simboli della Somalia: un leo- pardo, due mezzelune specchiantisi, e in mezzo una stella; dall'altra parte, la scritta « 1 SOMALO ». Ci saranno poi - come per l'attuale scellino - le monete divisionali, in bronzo, da uno cinque e dieci centesimi recanti una testa di elefante somalo: la sola dif- ferenza sarà che non saranno bucate al centro, come quelle attuali. Si avran- no pure, come per gli scellini, e stam- pati in filigrana egualmente solida, i Bigliétti da cinque, dieci, venti e cento somali. Non si sa ancora con precisione quando verrà immessa sul mercato la nuova moneta: pare certo, però, che questa immissione seguirà da vicino l'entrata in funzione della nuova Am- ministrazione italiana. Per un certo tempo si avrà logicamente la coesi- stenza delle due monete a pari valore, scellino e somalo: dopo di che, quando le banche avranno provveduto al gra- duale ritiro della moneta uscente, re- sterà in circolazione la sola moneta nuova. Questa avrà valore nel solo ter- ritorio della Somalia affidata alla no- stra amministrazione: mentre per gli scambi con l'estero prewederanno co- me d'uso le banche autorizzate al cam- bio e alla compensazione.

Vi è per cominciare l'Affrica cui non senza ragione si sono sempre volti e sempre più si volgeranno gli occhi de- gli italiani. E non si tratta delle nostre tre vecchie colonie. In questo immenso continente i territori degli Stati Uniti d'Americaräell'Italia, della Cina e di tutti i paesi dell'Europa coi loro com- plessivi 26 milioni e mezzo di Kmq. possono essere contenuti, lasciando li- bero per gli indigeni uno spazio di circa 3 milioni di Kmq. La somma degli abi- tanti di tutti questi paesi tocca 1 mi- liardo e^feo milioni. L'Africa ne ha 150 milioni soltanto. Un calcolo elementare da le proporzioni gigantesche del vuoto che potrebbe essere riempito.

S'intende che a noi manca la cogni- zione delle immense difficoltà che do- vrebbero essere superate per popolare quel vuoto. Clima, distanze, ostacoli di ogni sorta nel suolo selvaggio, nei fiu- mi senza freno, nelle paludi malariche nei monti impervi!, nelle zone deserti- che. Ma non per nulla sì parla di mes- sa in valore dei territori arretrati. Sa- rebbe forse retorica? Abbiamo ragione di credere che non lo sia.

C'è in molti paesi, anche nel nostro, un promettente risveglio di attenzione nei riguardi dell'Africa. Non parliamo dell'attenzione che è richiesta, specie a noi italiani, dalla dolorosa odissea del nostro vecchio patrimonio coloniale: parliamo di quella che si rivolge a più ampi orizzonti e guarda all'avvenire.

Ebbene questa 'attenzione, che ci con- forta, non deve avere il carattere del- le fugaci fiammate. E' necessario che essa diventi cosa sempre più seria e si

STAMPA ESTERA Critica di un giornalista ai sistemi coloniali inglesi e commenti della stam- pa britannica.

Vivaci commenti sono stati pubbli- cati dai giornali inglesi al discorso pronunziato a Londra dal giornalista olandese J. H. Huizinga, corrisponden- te del quotidiano « Nieuve Rotterdamse Courant» davanti ai membri della Royal Africa Society sui problemi afri- cani e l'Africa.

Huizinga, un giornalista molto quo- tato, è appena rientrato in Europa, dopo otto mesi di permanenza in Africa, che egli ha percorso, da un capo all'al- tro, annotando le sue impressioni sui sistemi di governo delle varie potenze coloniali e sul grado di civiltà delle varie popolazioni amministrate.

Il suo discorso, annunciato con gran- de pubblicità è stato impegnativo per- ché l'auditorio costituito da un pub- blico di eccezione, era notoriamente esperto dei più correnti problemi del- l'Africa inglese.

Huizinga, figlio di un noto storico, non ha voluto discostarsi nella tratta- zione delle cose africane dal metodo storico ed ha assunto una posizione di difesa del colonialismo secondo i con- cetti tradizionali che trovano giustifi- cazione in presupposti di natura stori- ca. Egli è ricorso sovente alle citazioni

e ai paralleli ed ha confrontato persino l'attuale condizione dell'Africa con quella in cui si trovò l'Inghilterra nei secoli quinto e sesto, dopo öhe i Ro- mani abbandonarono l'isola e comin- ciò per gli inglesi «l'età dell'oscuran- tismo ».

Il giornalista olandese ha detto che è nel diritto, e quindi nel dovere, di un popolo di superiore civiltà governare un altro popolo che palesemente abbia dimostrato d'essere retrogrado ed in uno stato di insufficiente civiltà.

Il discorso del giornalista olandese, ha trovato, tutti consenzienti gli ingle- si quando si è trattato di rovesciare la medaglia e di adattare la tesi ai fini coloniali dell'Inghilterra. Si è colto così il pretesto di agitare il campa- nello di allarme, perché l'Inghilterra non rinunci troppo presto alla sua mis- sione colonizzatrice in Africa. In In- ghilterra, non mancano infatti coloro che temono che si debbano lamentare in Africa quelle stesse conseguenze anti-britanniche manifestatesi in India con il recente abbandono di quel pae- se. I commenti della stampa inglese dicono infatti: « Noi inglesi dimostria- mo in questo momento di essere in contraddizione con noi stessi, poiché ci stiamo preparando ad abdicare in Africa e a deporre il nostro fardello, non dopo cinque secoli, come i ro-

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AFFRICA 57_

mani fecero in Britannia, e neppure dopo tre secoli come gli olandesi han- no fatto ora in Indonesia, ma appe- na dopo due sole generazioni ».

« A questa tendenza, che sta gua- dagnando sempre maggior credito, do- vrebbe invece opporsi la nostra espe- rienza imperialista, e abbiamo consi- derato la nostra presenza in Africa co- me un dovere ed una missione, ma noi ora stiamo minando la nostra stes- sa esistenza con il predicare principi che si concretano nella formula della concessione dell'autogoverno alle popo- lazioni finora soggette. E proprio in conseguenza di ciò potremmo trovarci nella costrizione, improvvisa, di dover lasciare vasti ed importanti paesi pri- ma ancora che, in questi, noi abbiamo potuto svolgere, fino in fondo, la no- stra missione di colonizzatori e di edu- catori ».

Certamente il discorso di Huizinga ha offerto agli inglesi la opportunità di rivedere i loro pensieri ed i loro programmi sotto quell'aspetto tradizio- nalmente colonialista che dopo la ven- tata della recente guerra sembrava dovesse battere vie nuove. E di quel lievito, post -bellico, qualcosa è rima- sto, di Huizinga, se in Nigeria e nel- l'Africa occidentale, particolarmente nella Costa d'Oro, gli indigeni si sfor- zano di preparare con urgenza febbri- le i presupposti di una concessione di autogoverno. Ma le condizioni attuali dell'Africa devono indurre a conside- rare, almeno per qualche tempo an- cora, come necessaria la tutela colo- niale. Il livello di vita degli africani è troppo basso, e chi percorra il conti- nente, dice sempre Huizinga, vedrà senza fine soltanto povere capanne di fango. Certamente dal 1890 ad oggi l'Africa ha fatto grandi progressi. Al- lora non vi erano mezzi di trasporto, non strade, città, industrie, nessun commercio; non una moneta di scam- bio; non una concezione del numero e della scrittura; neppur un calendario o una nozione del tempo. L'Africa in- fatti era in una condizione assai più primitiva di quella in cui trovavasi l'an- tica Britannia al tempo della conqui- sta romana. Attualmente vi sono stati dei progressi, ma questi sono sempre insufficienti se devono esser considerati al fine di una concessione d'auto go- verno; ed una eccessiva fretta, in que- sto senso, finirebbe con l'essere molto più dannosa agli africani stessi che alle potenze coloniali. Queste, dice Hui- zinga, stanno però commettendo l'er- rore di non comportarsi uniformemen- te in Africa, ed ognuna di esse agisce con principii propri che, invece di tro- vare d'accordo gli indigenti, favori- scono le gelosie, le opposizioni e la lot- ta. Ad esempio la Francia ha adot- tato la formula dell'« emancipazione attraverso i'integrazione » e gl'indigeni, nei territori coloniali della Francia si considerano essi stessi, sulla base di tale principio, cittadini francesi, e membri della comunità francese. Il concetto inglese è invece agli antipodi e si può enunciare con la formula « emancipazione attraverso la disinte- grazione ». Concezioni diverse che di- vengono ancora più gravi quando si rivelano nei programmi di una stessa potenza coloniale la quale, per propri fini, facilmente individuabili, batte vie diverse in ciascun territorio da essa governato.

Ad esempio, dice sempre Huizinga, nell'Africa Orientale inglese si seguono metodi del tutto diversi da quelli se- guiti nell'Africa occidentale inglese. La spiegazione, offerta dalle stesse auto- rità, potrebbe essere anche parzialmen- te accettata, in quanto si dice che l'ovest è più maturo dell'est e che quindi i metodi validi per l'uno non lo sono per l'altro. Ma questo convin- ce soltanto fino ad un certo punto perché il sistema ed il fine, nell'un caso come nell'altro, dovrebbero essere identici. Ciò conduce invece a dover criticare i metodi dei governanti euro- pei, e a sollevare qualche dubbio sulla loro effettiva buona volontà di con- durre l'Africa a quella emancipazione graduale che deve essere il solo ed ul- timo fine del colonialismo.

Un articolo del « Times » sulla situazio- ne in Eritrea.

Il « Times » ha pubblicato un articolo del suo corrispondente speciale dall'Eri- trea sulla situazione del Paese. « Una Eritrea indipendente - dice sostanzial- mente l'articolo - non rimarrebbe di certo indipendente per molto tempo. Gli interessi italiani sono troppi e la loro influenza sulla politica locale è troppo ovvia perché gli eritrei anche più ingenui possano pensare altrimen- ti ». Il «Times» così prosegue: «Può darsi che gli italiani e gli italo-eritrei del Paese, che sono circa 20.000, siano un avanzo dell'impero africano di Mus- solini, ma il lavoro da essi compiuto non può venire giudicato soltanto come una vuota manifestazione di esibizioni- smo fascista. Le strade, per esempio, sono splendida prova dell'ingegneria italiana e hanno dato una certa unità al Paese. A differenza delle altre razze colonizzatrici, gli italiani appartengono a tutti gli strati sociali. Sono commer- cianti, autisti, meccanici, pfoprietari di caffè e piccoli negozianti. Essi fanno parte della popolazione locale quanto gli yemeniti e i pakistani. Essi si uni- scono in matrimonio con gli eritrei mo- strando una mancanza di pregiudizi che scandalizza gli amministratori britan- nici. E' probabile che la loro salvezza consisterà proprio in questo. Venga oppur no assegnato all'Etiopia il ter- ritorio nel quale essi vivono, la mag- gior parte di loro potrà adattarsi e continuare ad assicurarsi mezzi di sus- sistenza sufficienti. La relativa agia- tezza degli italiani in Etiopia è una certa garanzia di ciò ».

« Nel frattempo - prosegue il « Ti- mes » - l'amministrazione britannica ha operato efficacemente e imparzial- men. Essa ha mantenuto la legge e l'ordine nonostante i sempre più vio- lenti contrasti politici e locali e nono- stante la vicinanza dell'Etiopia che, a causa dei movimenti dei banditi po- litici che cercano temporaneo rifugio al di là della frontiera, è divenuta per l'Eritrea quello che l'Albania è per la Grecia ».

« Non si può prevedere quanto av- verrà quando cesserà l'amministrazio- ne britannica, ma data la violenza de-

gli odii politici manifestatisi durante i recenti incidenti, va sempre più af- fermandosi l'idea di una partizione, così com'è stato domandato dai mus- sulmani della provincia occidentale »

II parere del Negus. Il corrispondente speciale del «Ti-

mes » da Addis Abeba informa che nel corso di un'intervista concessagli ad Addis Abeba dall'Imperatore Hailé Se- lassie, questi gli ha detto che il pro- blema eritreo « deve essere risolto im- mediatamente se si vuole scongiurare il veriÇcarsi di altri disordini nell'A- frica Orientale ».

L'Imperatore ha poi dichiarato di essere pronto « ad accettare i desideri della popolazione eritrea riguardo alla sorte del territorio», ma ha aggiunto che respingerà il progetto di ammi- strazione fiduciaria, qualora la Com- missione dell'ONU lo proponga, in quanto ritiene che « ciò servirebbe sol- tanto a ritardare una decisione defi- nita » della questione.

Hailé Selassie ha poi detto che il piano per la spartizione del territorio verrà preso in esame, ma che « nono- stante l'ingerenza degli italiani i de- sideri degli abitanti sono già chiara- mente palesi ».

Secondo Hailé Selassie, il ritorno del- l'Italia in Somalia sarebbe « ingiusto e oltraggioso » , ed egli afferma che non è stato compiuto nessuno sforzo per tener in considerazione i desideri de- gli abitanti e che le esigenze della si- curezza nazionale etiopica sono state ignorate ». « Inoltre - scrive il cor- rispondente - Selassie ritiene che l'o- perato dell'Italia durante l'ultimo mez- zo secolo e la incapacità da essa dimo- strata nell'aiutare la popolazione lo- cale a prepararsi all'autogoverno non dimostrano che essa può assolvere que- sti compiti nel prossimo decennio ».

Un collasso economico in Israele previ- sto da un giornale egiziano.

Il diffuso quotidiano cairino Akbar el Yoms scrive oggi che se a causa di mancanza di petrolio nelle raffinerie e nel porto di Haifa dovesse determinar- si un collasso economico in Israele, l'Egitto saluterà con piacere tale av- venimento.

Il giornale ha fatto tale afferma- zione a commento delle notizie da Lon- dra secondo cui la Gran Bretagna è profondamente irritata per l'atteggia- mento dell'Egitto sul problema del pe- trolio del Medio Oriente. Presente- mente le raffinerie inglesi situate in territorio ebraico a Haifa sono ferme perché gli oleodotti provenienti dai bacini di Kirkut in Iraq sono stati in- terrotti dagli arabi. Iraq ed Egitto, ambedue membri della Lega Araba, vedrebbero con piacere il fallimento dell'economia del nascente stato israe- liano « perché gli ebrei possano com- prendere il grave delitto da essi com- messo nell'espropriare con la violenza i beni arabi della Palestina esiliandone milioni di uomini, donne e bambini ».

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