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Relazione tecnica-valutazione-stabilità-pini-villa-borghese

Date post: 11-May-2015
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U RBAN T REE S TUDIO T ECNICO DI A RBORICOLTURA V I a Pola, 25 – 01100 Viterbo Fax 0761.1810120 – Cell 338.5233352 [website] www.urbantree.it [email] [email protected] IL PROFESSIONISTA INCARICATO Dott. For. Rocco Sgherzi COMMITTENTE Roma Capitale Dipartimento X Piazzale di Porta Metronia, 2 Roma DATA 30 aprile 2012 ELABORATO A333.12.1602 AGGIORNAMENTO ELABORATO PRELIMINARE X ELABORATO DEFINITIVO X REVISIONE N. 30.04.2012 V ERIFICA F ITOSTATICA DELLE A LBERATURE DI P INUS PINEA L . DI V ILLA B ORGHESE IN R OMA
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IL PROFESSIONISTA INCARICATO

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COMMITTENTE

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DATA 

30aprile2012

ELABORATO 

A333.12.1602

AGGIORNAMENTO  

  

ELABORATO PRELIMINARE     

X  

ELABORATO DEFINITIVO      

X  

REVISIONE N. 30.04.2012 

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PREMESSA

Il Comune di Roma – Dipartimento X - , ha conferito incarico allo scrivente Rocco Sgherzi, dottore

forestale iscritto all’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della provincia di Viterbo n° 112,

per la verifica fitosanitaria e dendrostatica del popolamento arboreo di pini (Pinus pinea L.) radicati nelle

pertinenze di Villa Borghese in Roma.

Dette verifiche sono state eseguite mediante l’applicazione della metodologia (M.I.V. Metodo Integrato

di Valutazione messo a punto dallo scrivente in numerosi anni di attività professionale specialistica.

Questa metodologia integra le informazioni ricavate da un’attenta interpretazione della semiotica

dendrologica codificatasi durante il percorso vitale di quell’albero in quel sito di radicazione – in

conformità al metodo V.T.A. (Visual Tree Assessment) come codificato dal Prof. Claus Mattheck , con le

indicazioni relative ai potenziali carichi esterni agenti sulla struttura albero e alle sue potenziali risposte,

in conformità metodo S.I.A (Static Integrated Assessment), come codificate dal Prof. Lothar Wessolly. La

metodologia, inoltre, tiene debitamente conto delle informazioni relative all’evoluzioni e modificazioni

delle strutture epigee ed ipogee degli alberi durante il loro ciclo ontogenetico, come codificate dal

compianto Prof. Pierre Rainbault (fasi vegetative e decadimento delle strutture lignee). Infine, ma non

per importanza, sono state recepite tutte le informazioni relative alle ultime indicazioni in merito alle

analisi di stabilità del Pino domestico, illustrate nel convegno “Alberi e Dintorni” - due giornate di studi

specifici sulla gestione del Pino domestico - con relatori di fama internazionale, tenutosi a Riccione a

giugno del 2011 proprio dal Prof. Raimbault.

La verifica dendrostatica eseguita è conforme al “Protocollo per le analisi di stabilità degli alberi”

redatto dall’ISA (International Society of Arboricolture) con la procedura operativa codificate del SLA (Service

Level Agreement) per la valutazione della stabilità redatto appositamente dallo scrivente. Tale metodologia

è riconosciuta in tutto il mondo ed è accettata come prassi dai tribunali di tutto il mondo.

Di seguito sono riportati i risultati e le relative indicazioni tecniche in merito agli interventi di

adeguamento.

INTRODUZIONE

Il Pino domestico (Pinus pinea L.) è sicuramente l’albero che più caratterizza le fasce costiere del centro

Italia e, soprattutto, la città di Roma (circa 18.000 sono i pini domestici a gestione comunale, presenti a

Roma solo lungo le strade). Proprio per questa sua particolare presenza territoriale è noto con il nome

volgare di “Pino Italico” o “Pino Romano”. Considerata la sua caratteristica forma a maturità, altra

denominazione tipica con la quale viene spesso indicato è “Pino ad ombrello”.

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UrbanTree ‐ STUDIO TECNICO DI ARBORICOLTURA ‐ Via Pola, 25 ‐ 01100 Viterbo Fax 0761.1810120  Dott. For. Rocco Sgherzi Cell. 3385233352 e‐mail: [email protected]  

Si tratta di un tipico albero “pioniere”, principale esponente dei pini mediterranei, che è in grado di

colonizzare suoli incoerenti e molto sabbiosi. E’ di veloce crescita, ma poco longevo (in ambiente

urbano la sua vita media oscilla tra i 110 e 150 anni, con rari esemplari che raggiungono i 170 anni, in

formazioni naturali, nel suo optimum edafo-climatico, secondo diversi autori, può raggiungere i 250

anni di età). E’ una pianta tipicamente “eliofila” (amante della luce) caratterizzato da una scarsa

dominanza della gemma apicale: tale caratteristica fa si che i rami laterali crescano più velocemente di

quelli sommitali e centrali. I rami laterali, conseguentemente all’eliofilia, tendono a crescere verso l’alto

(alla costante ricerca di luce) e a volte aggirando completamente la chioma centrale dell’albero. Tale

dinamica di crescita comporta un costante disseccamento dei ramuli interni alla chioma ed una certa

tendenza alla rottura di rami esterni, soprattutto su piante molto sviluppate e isolate e su piante non

correttamente potate con spalcature molto accentuate.

Il Pino domestico è ampiamente diffuso lungo tutto il litorale tirrenico, in tipiche formazioni costiere –

principalmente di origine artificiale – a partire dagli anni ’30 è stato massicciamente utilizzato come

alberata stradale e come alberatura urbana.

Le inesistenti o scarse conoscenze dei progettisti e delle manovalanze dell’epoca (e di molti di quelli

ancora oggi operanti) hanno comportato un uso improprio di quest’albero realizzando impianti con

poco spazio per lo sviluppo delle radici e delle chiome; certamente l’errore maggiore è stato quello di

destinarlo a siti completamente inadatti, caratterizzati da suoli eccessivamente pesanti e compatti o,

addirittura, costituiti da materiali di riporto e scarti di materiali edili.

CENNI FONDAMENTALI SUL PINO DOMESTICO (PINUS PINEA L.)

Il pino domestico (Pinus pinea L.) - sottogenere Pinus - è l’esponente più peculiare tra i pini

mediterranei, mostrando uniformità di caratteri genetici, essendo nota la sua incompatibilità di incrocio

con tutti gli altri pini.

Morfologia

Pinus pinea è un grande albero che può raggiungere i 25-30 m di altezza (normalmente si attesta tra i

16 e i 20 metri) e circa 6 m di circonferenza (equivalenti a circa 2 metri di diametro). Il fusto è

tendenzialmente cilindrico, raramente biforcato, con rami inseriti in verticilli regolari incurvati verso

l’alto. La forma della chioma è globosa nelle piante giovani fino a 25-30 anni, mentre nelle piante adulte,

verso i 50 anni di età, assume la caratteristica forma ad ombrello e si innalza rapidamente per l’auto

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potatura dei rami inferiori. La cima si appiattisce sempre di più con l’età. Le gemme sono lunghe circa 1

cm, cilindriche e non resinose. I rametti giovani sono glabri, dapprima verdi poi giallo-verdastri.

Gli aghi sono riuniti a fascetti di 2 e persistono sulla chioma 2-3 (fino a 4) anni. La germogliazione

primaverile è tardiva (fine aprile, maggio) e gli aghi raggiungono le dimensioni definitive solo durante

l’autunno. La caduta degli aghi vecchi avviene durante l’estate: essi formano una lettiera spessa a

decomposizione lenta e potenzialmente combustibile. Gli aghi sono leggermente contorti, con margini

minutamente dentati ed apice acuto, la loro lunghezza è 8-20 cm e la larghezza è 1,5-2 mm, la guaina

fogliare è lunga circa 12 mm. Il colore è verde chiaro, con apice più o meno gialliccio. La sezione degli

aghi presenta un lato convesso ed uno piano o leggermente concavo. I canali resiniferi, normalmente 2,

sono marginali; possono però anche essere assenti.

Pinus pinea è una pianta monoica. Gli apparati riproduttivi maschili sono normalmente portati nella

parte bassa della chioma, e si formano nella parte basale dei getti dell’anno. Gli apparati riproduttivi

femminili si trovano nella parte alta della chioma, e si formano in posizione sub-apicale nei getti

dell’anno. Gli strobili sono sub-terminali solitari, raramente riuniti a gruppi di 2-3; sessili o brevemente

peduncolati, simmetrici e di forma ovoidale, caduchi dopo la disseminazione. Dapprima sono bruno

rossi con riflessi violetti bruno ocra, a maturità diventano lunghi 8-16 cm, larghi 7-10 cm; hanno

squame grosse con scudo convesso e ambone ottuso, cosparso di resina. Ciascuna squama porta 2 semi

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avvolti da una polvere nera. La produzione di seme è precoce, verso i 15-20 anni (5-6 in climi meno

caldi); la maturazione dei semi avviene nell’autunno del terzo anno. Nel primo anno lo strobilo è molto

piccolo, circa 1 cm, nel secondo raggiunge il massimo dello sviluppo.

La disseminazione avviene nella primavera estate dell’anno successivo. I semi sono grossi, lunghi 15-

20 mm, larghi 7-11 mm, a guscio duro muniti di ala rudimentale, con pinolo edule. Il peso medio di

1000 semi va da 500 a 1100 g. Il seme è prontamente germinabile.

La plantula ha 10-12 cotiledoni lunghi circa 35 mm, con peli e senza gemme apicali svernanti. Gli aghi

primari persistono 3-4 anni, dopo di che vengono sostituiti dagli aghi adulti. Nei primi anni di vita

l’accrescimento è rapido e non predeterminato; la plantula si giova di una leggera copertura, soprattutto

durante la stagione secca. La propagazione del pino domestico avviene esclusivamente per seme.

La corteccia è dapprima grigio cinerina e liscia nelle giovani piante (fino a circa 5 anni), successivamente

si fessura in grandi placche di color grigio rossastro esternamente e di color cannella nel lato interno,

separate da profonde fessure longitudinali.

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Il legno è molto resinoso e pesante, con duramen giallo-rosso e alburno bianco-roseo. Gli anelli di

accrescimento, generalmente ampi, sono ben individuabili, per quanto possano anche presentarsi con

una certa frequenza falsi anelli, e mostrano una separazione piuttosto netta fra la zona primaverile e la

zona tardiva. In stazioni con clima più mite tale separazione può presentarsi più graduale.

L’apparato radicale è robusto e profondo: dal seme sviluppa un fittone che approfondisce per 1 m e

anche più. Successivamente si ha la formazione di robuste radici laterali che restano superficiali. Le

micorrize (ectomicorrize) influiscono positivamente sulla capacità di insediamento di questa specie sui

suoli meno fertili e sulla sua tolleranza nei confronti del calcare.

Distribuzione

Pinus pinea è una specie del Mediterraneo settentrionale, dalla penisola Iberica all’Anatolia; secondo

molti autori il suo indigenato risale ad alcuni settori costieri del Mar Nero. La sua coltivazione è molto

diffusa nella penisola Anatolica, Italia e Spagna, dove è stato largamente diffuso dall’uomo.

In Italia sono senz’altro da considerarsi di origine artificiale le più importanti formazioni costiere, sia

adriatiche (Ravenna), che tirreniche (Pisa, Viareggio, Fregene e Roma). Tuttavia secondo alcuni autori

Pinus pinea è da considerarsi sicuramente indigeno in Italia in quanto la sua maggiore distribuzione ed

intensità di coltivazione corrispondono alle aree che meglio si accordano alle sue esigenze ecologiche,

ovvero quelle che, in ambiente mediterraneo, mostrano i più spiccati caratteri di oceanicità e

continentalità.

L’area di vegetazione naturale ed artificiale rientra per lo più nelle zone specificatamente

mediterranee, penetrando anche nei settori collinari più caldi; dalla costa il pino domestico si spinge

all’interno, di solito sporadico fino a 500-600 m di altitudine nei settori settentrionali del suo areale, e

fino a 800-1000 m di altitudine nelle aree più calde.

Pinus pinea forma spontaneamente boschi misti con Pinus pinaster Ait., Quercus ilex L., Quercus pubescens

Willd. e altre latifoglie sclerofille mediterranee. Si tratta di formazioni in difficile equilibrio ambientale e

che qualora ne venga sospesa la coltivazione, tendono a cambiare fisionomia evolvendo verso

formazioni miste. In tal modo il soprassuolo di Pinus pinea assume una fisionomia residuale, con

individui senescenti che sovrastano la rinnovazione di latifoglie mediterranee o sub-mediterranee. Nei

boschi puri il sottobosco è molto scarso o nullo, sia a causa delle cure culturali atte a facilitare la

raccolta dei pinoli che a causa della lettiera molto spessa.

Ecologia

Pinus pinea è considerato una specie termofila, molto sensibile alle temperature minime assolute. In

presenza di elevata umidità atmosferica gli effetti delle basse temperature sono ancora più nocivi.

E’ molto sensibile alle nevicate pesanti, con i rami principali soggetti a stroncamenti.

Vegeta bene anche in condizioni di precipitazioni che variano da 400 a 800 mm/anno, anche se mal

distribuite e con una spiccata aridità estiva. Le temperature estive possono superare sovente i +30°C;

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mentre quelle invernali raramente possono scendere al di sotto di 0° C, soprattutto in presenza di

elevata umidità atmosferica.

E’ una pianta spiccatamente eliofila e poco esigente nei riguardi del suolo: preferisce i terreni

sabbiosi e freschi, ma vegeta quasi ovunque tollerando anche substrati moderatamente calcarei e

compatti, mentre rifugge suoli acquitrinosi o salini.

Anche se Pinus pinea è considerato una specie xerofila, può risentire dell’effetto di siccità molto

prolungate.

IL PINO DOMESTICO IN AMBIENTE URBANO

La diffusione del pino in ambienti antropizzati, soprattutto lungo le arterie stradali principali, è

avvenuta in un periodo in cui le implicazioni sulla circolazione veicolare erano pressoché minime e le

tipologie di manto stradale poco interferivano con gli apparati radicali degli alberi.

È evidente come, attualmente, lo spazio a disposizione degli alberi è spesso insufficiente, in quanto

l’apparato radicale è costretto, quasi fino al colletto, dall’asfaltatura o dalla costruzione di cordoli e

manufatti vari, mentre la chioma si trova spesso in conflitto con quelle degli alberi vicini, con

infrastrutture aeree o edifici, venendo così a perdere la sua forma tipica.

Va sottolineato come il materiale vegetale originario (i giovani alberi di pino che vengono piantati) è

spesso di qualità scadente, caratterizzato da difetti morfologici come la presenza, fin dall’impianto, di

fusti biforcati con corteccia inclusa, chioma globosa, ecc.

Infine, le modificazioni dell’apparato radicale, in particolare con il taglio precoce del fittone,

determinano lo sviluppo di radici “secondarie” non sempre morfologicamente adeguate.

Con il tempo, crescendo, i pini messi a dimora in situazioni come quelle sopra citate hanno manifestato

una serie di problematiche significative anche dal punto di vista della stabilità:

- danni all’asfalto per la presenza e lo sviluppo di radici superficiali,

- danni a manufatti scalzati dalle radici che, nella zona di contatto, trovano un ambiente più favorevole

per il loro sviluppo,

- cedimenti per ribaltamento della zolla,

- cedimenti del fusto o di sue parti per la presenza di morfologie errate,

- produzione di abbondante materiale vegetale, percepito come “sporco” in quanto tale da intasare

grondaie e tombini,

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- cedimenti per potature errate, che favoriscono lo sviluppo di code di leone sbilanciate,

- cedimenti per rotture di rami appesantiti o sollecitati dai carichi aggiuntivi quali acqua e/o neve,

- cedimenti improvvisi al termine del ciclo di vita, peraltro abbastanza breve e comunque prima del

decadimeno fisiologico.

Tuttavia, nel caso del pino domestico, i tecnici valutatori si sono scontrati con una serie di

problematiche del tutto peculiari e tipiche di questa specie, che la rendono particolarmente difficile da

valutare.

Ad esempio è un dato di fatto derivante dall’esperienza che i pini domestici subiscono assai più

raramente di altre specie cedimenti derivanti dallo sviluppo di carie o da difettosità evidenti, mentre

accade frequentemente che il cedimento avvenga in alberi che non manifestano segni o sintomi di

degenerazione dei tessuti legnosi.

In sostanza, sembra proprio che per il pino, la quota parte di cedimenti dovuti a problematiche

strutturali sia preponderante e questo impone di eseguire la valutazione in un’ottica di analisi

biomeccanica.

Comunque, nel caso del pino domestico, esiste anche una considerevole quota parte di cedimenti

inspiegabili, di origine sconosciuta o “asintomatici”.

PROBLEMATICHE SULLA VALUTAZIONE DELLA STABILITÀ DEL PINO DOMESTICO:

La Valutazione di stabilità del pino domestico, in virtù delle peculiarità di questa specie, non è né

semplice né scontata. Nell’ultimo quinquennio sono particolarmente aumentati gli studi in merito alle

dinamiche di cedimento di questa specie e si stanno avendo numerose indicazioni in merito.

La base di ragionamento generale poggia sull’assunto che negli alberi, il funzionamento è legato

all’evolversi della loro struttura e che questa manifesti chiaramente i diversi stadi morfofunzionali,

dandoci la possibilità di contestualizzare le valutazioni fitostatiche entro un particolare range del ciclo

vitale dell’albero stesso.

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In particolare, secondo Raimbault, possono essere identificate 10 stadi della vita di un albero,

riassumibili in 5 fasi funzionali corrispondenti ad una chiara strategia dell’albero ed evidenziate da un

chiaro obiettivo morfologico.

Per quanto riguarda il pino domestico, l’evoluzione della forma della chioma durante il suo arco di vita

assume una fondamentale importanza per la stabilità, in quanto nella valutazione della stabilità

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meccanica degli alberi in piedi, i carichi esterni agenti sull’albero rappresentano l’elemento scatenante

principale.

Questo perché la chioma di un albero rappresenta la superficie su cui impatta il vento, come una vela, e

le conseguenti sollecitazioni vengono trasmesse all’apparato radicale (lo scafo) attraverso i tronco

(l’albero della barca).

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PROBLEMATICHE SULLA VALUTAZIONE DELLA CHIOMA

Il pino domestico è un albero sempreverde a chioma espansa, ne consegue che l’interazione fra questa e

il vento costituisce un aspetto fondamentale per la stabilità. A ciò deve aggiungersi che dimensioni e

forma della chioma sono molto spesso modificate da interventi colturali (potature), per cui la sua

valutazione dal punto di vista biomeccanico è fondamentale per la comprensione dei fenomeni che

possono implicare un potenziale cedimento.

La forma della chioma tipica del pino domestico, semplificando, può essere ricondotta a due tipologie

fondamentali: chioma a globo o a palla (alberi giovani o comunque in fase di accrescimento) e chioma

cosiddetta a ombrello (tipica del portamento del pino adulto).

Sembra assodato che la forma della chioma a ombrello sia quella “più sicura” in quanto, in alberi con

questo portamento, si verificano schianti da vento meno frequentemente, nonostante il fatto che in tali

piante la chioma sia, a parità delle altre variabili significative, assai più sbilanciata sia verso l’alto (il

baricentro si innalza) che verso l’esterno (maggior percentuale di materiale localizzato nelle zone esterne

della chioma stessa per la caratteristica forma delle branche dette “a coda di leone”).

Come è facile osservare, in condizioni naturali, il pino è ben adattato a formare coperture tabulari, dove

il vento scorre senza penetrare, riducendo così le sollecitazioni distruttive potenzialmente possibili in

chiome così sbilanciate verso l’alto. In ambiente urbano, o comunque laddove il pino non forma estesi

e densi popolamenti, la stabilità è subordinata alla formazione di una chioma il più possibile a disco e

ben densa, tale da mantenere un flusso laminare nel moto ventoso. Le morfologie di chioma da

considerare negativamente ai fini della stabilità riguardano quindi quei soggetti in cui si notano porzioni

di chioma che si “staccano” dal disco o dal globo centrale. Inoltre, particolare attenzione deve essere

posta ai rami inferiori della chioma, sia di dimensioni notevoli che ridotte, in quanto si tratta di parti più

facilmente soggette al cedimento per rotture torsionali dovute a sollecitazioni da vento. I rami

potenzialmente pericolosi dovrebbero essere non tanto quelli fortemente arcuati quanto quelli che si

sviluppano verso l’esterno linearmente (code di leone) per poi piegarsi lateralmente o verso il basso

nella parte distale.

Altro aspetto da considerare è la rottura di rami o branche intere, accadimento molto frequente nel

pino domestico, che investe sia rami di dimensioni modeste che branche di grandi dimensioni o,

addirittura, fusti codominanti.

Oltre ai fenomeni di cedimento, per così dire compiuti, nel pino domestico si osserva anche un

fenomeno del tutto peculiare: la presenza di rami penduli che ancora rimangono inseriti sul fusto o sul

ramo che li porta, ma che manifestano una evidente rottura e torsione delle fibre in prossimità

dell’inserzione (ad una distanza pari o poco superiore alle dimensioni del ramo).

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Di grande importanza è poi la possibile rottura dei rami a coda di leone, una forma morfologica (più

che un difetto) tipica della ramificazione del pino. Si tratta di rami particolarmente lunghi, che si

sviluppano quasi orizzontalmente a partire dal tronco e che presentano un “ciuffo” di ramuli e aghi

terminale. Il ramo a coda di leone può presentare evidenti segni di forte sollecitazione da carico:

l’inserzione presenta spesso delle pieghe a fisarmonica nella parte compressa a diretto contatto col

tronco, l’angolo di inserzione tende nel tempo ad aumentare passando da acuto a retto, la corteccia

della zona compressa sottostante diventa più lucida e rossastra, fortemente tesa, sottile, priva di scaglie

e scanalature, mentre quella della zona superiore è assai diversa e chiaramente non sollecitata.

In campo statico, l’analisi biomeccanica dei rami, in particolare di quelli a coda di leone, può essere

eseguita ricorrendo ad un modello mutuato dalla teoria delle travi incastrate alle quali un ramo può

essere efficacemente paragonato.

L’analisi biomeccanica può evidenziare, sia pure in via preliminare e con una certa approssimazione, i

casi in cui i rami presentano delle condizioni (peso, lunghezza, sbilanciamento) che possono favorire,

anche in assenza di degradazione dei tessuti legnosi, il cedimento strutturale.

Uno degli aspetti principali che può essere valutato grazie all’analisi biomeccanica riguarda quale sia il

rapporto L/D (Lunghezza/ Diametro) oltre il quale è ragionevole ritenere che vi sia un sensibile

aumento della propensione al cedimento. In mancanza di un database sui cedimenti che sarebbe utile

per verificare e migliorare l’analisi modellistica, si può ritenere con un buon grado di approssimazione

che un rapporto L/D ricompreso tra 50 e 70 si più che valido per gli alberi in piedi (50 per gli alberi

isolati e 70 per gli alberi in gruppo), mentre per quanto riguarda i rami di dimensioni non trascurabili,

secondo gli studi preliminari di Mattheck, 40 rappresenta il valore di L/D intorno al quale avvengono

più frequentemente rotture; lo stesso autore avverte, però, di non adottare dogmaticamente questo

valore, in primis perché i rami presentano sempre dei contrafforti laterali, poi perché molto più

importanti del valore L/D sono fattori come la qualità dell’inserzione del ramo, eventuali lesioni e

limitazioni della struttura.

Infatti gli aspetti di cui tenere conto nella valutazione di stabilità dei rami riguardano la necessità di

individuare le anomalie morfologiche più direttamente correlate al cedimento e, fra queste, un ruolo di

primo piano è da attribuire ai difetti tipici dell’inserzione del ramo.

A parte la presenza di degenerazione del legno, l’inserzione stretta (ad angolo acuto inferiore a 20-30°),

la presenza di corteccia inclusa, di nasi di pinocchio come pure la presenza di cretti da carico, pieghe a

fisarmonica, curvature, strozzature e così via, sono senz’altro i principali difetti da osservare e valutare

attentamente, anche perché sfuggono all’analisi biomeccanica come oggi è possibile realizzarla.

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PROBLEMATICHE SULLA VALUTAZIONE DEL FUSTO

I cedimenti per rottura del fusto del pino domestico rappresentano eventi molto rari, in genere

quando essi si verificano, avvengono perché a carico del fusto sono presenti lesioni di notevole entità,

di natura antropica o conseguenti ad eventi naturali, che possono evolversi più o meno velocemente

grazie all’azione combinata di patogeni degradatori.

In caso di rotture e/o lesioni interne da carico e di altri difetti strutturali, in questa specie la

corteccia costituisce un ottimo indicatore di stabilità, in grado di segnalare con evidenza tali anomalie,

grazie a proprietà morfologiche che influiscono sullo spessore e sulla disposizione delle placche lungo il

fusto. Considerando, però lo spessore della corteccia di questa specie, ne consegue che il difetto più

diffuso è rappresentato dall’inclusione della corteccia, che determina la fusione tra due fusti dominanti.

In questo caso il cedimento è causato da un aumento degli sforzi di taglio nel punto d’inserzione dovuti

all’oscillazione asincrona dei due tronchi. Negli alberi che evidenziano questo tipo di anomalia, è

necessario verificare la presenza di ulteriori sintomi che possono confermare i rischi di cedimento,

come: depressioni, curvature o cretti nel punto d’inserzione. Conseguentemente è possibile intervenire

mediante tecniche colturali appropriate per limitare eventuali danni, o in ultima analisi, considerare un

potenziale abbattimento.

Nella scelta di postime proveniente da vivaio per la messa a dimora, individui con biforcazioni

evidenti dovrebbero essere scartati e si dovrebbero utilizzare esclusivamente piante con chioma ben

conformata ed esenti da potenziali fusti codominanti.

PROBLEMATICHE SULLA VALUTAZIONE DELL’APPARATO RADICALE

Gli ultimi studi di Rainbault, illustrati nel convegno di Giugno 2011 a Riccione, hanno determinato

nuove prospettive sulla valutazione di stabilità di questa specie. Fino a questo evento, studi specifici

sulla natura, forma e dimensioni dell’apparato radicale del pino domestico vegetante in ambiente

urbano erano pochi ed in fase preliminare.

Queste nuove informazioni sono di fondamentale importanza in quanto la tipologia di cedimento

maggiormente riscontrabile nel pino domestico è il ribaltamento della zolla radicale.

Questo fenomeno si manifesta maggiormente quando eventi meteorici che generano carichi eccezionali

determinano condizioni di saturazione idrica del terreno e che sono seguiti da forti venti.

L’osservazione di tali sradicamenti mostra quasi sempre la limitatezza della zolla radicale efficace,

contenuta entro un raggio mai superiore a una-due volte quello del fusto, la scarsezza - se non spesso

l’assenza di radici laterali grosse ed un fittone praticamente del tutto assente, abortito o perduto (forse a

causa dell’origine vivaistica della pianta o, più semplicemente, a seguito di un normale decadimento

dovuto all’età dell’albero).

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La natura del terreno giuoca sicuramente un ruolo strategico di fondamentale importanza: infatti è facile

osservare come su substrati tendenzialmente sabbiosi, ben aerati e a bassa coesione, vi sia una maggior

probabilità che l’apparato radicale sia costituito da radici più grosse, mentre su suoli pesanti e asfittici

siano presenti quasi esclusivamente radici di dimensioni diametriche ridotte, meno efficaci nei confronti

della stabilità.

La meccanica del cedimento è stata descritta approfonditamente da diversi autori: quando la

sollecitazione diventa importante, le radici sottovento si piegano e spingono sul suolo, l’albero si inclina

e, nel momento in cui giunge a circa 30-35° di pendenza, le radici iniziano a rompersi;

contemporaneamente le radici sopravento si flettono e si sollevano dal suolo. Nel cedimento si

rompono tutte le radici sottovento, non molto distante dal fulcro, poi solo alcune radici sopravento in

quanto spesso queste tendono a sfilarsi. Il fittone e i pistoni, se ci sono, possono rompersi alla base o

ruotare, sfilandosi anch’essi. Allorquando il suolo è secco e gelato si ha una maggiore resistenza al taglio

e quindi il tronco può delaminarsi nella zona sopravento e tutte le radici si rompono senza sfilarsi;

viceversa in terreni sciolti (a bassa coesione) la zolla non si solleva nemmeno assieme alle radici

sopravento in quanto la sabbia si rompe anche a basse sollecitazioni.

L’apparato radicale si oppone allo sradicamento per mezzo di 4 componenti: il peso della zolla radicale

(suolo e radici che “tengono giù” la zolla), la resistenza a taglio del suolo, la resistenza a tensione delle

radici sopravento e la resistenza a flessione delle radici sottovento nella zona del fulcro. Contribuiscono

a determinare la dinamica del sistema anche la forza peso dell’albero (a favore o contro la stabilità in

relazione all’eccentricità del carico, sia in calma di vento che al variare della velocità del vento) ed i

carichi aggiuntivi (forzante eolica – acque meteoriche intercettate dalla chioma).

In concreto, si è visto che, quando lo sforzo è al massimo, la resistenza di ancoraggio è data in primo

luogo dalle radici sopravento, quindi viene il peso del suolo, la resistenza a flessione del fulcro e la

resistenza del suolo.

Va sottolineato come la struttura radicale del piano domestico evidenziata da Raimbault e Morelli

abbiano chiarito maggiormente (e, forse, esaustivamente) le dinamiche del cedimento di zolla nel pino

domestico: da sempre è nota la capacità fittonante di questa specie, fenomeno chiaramente osservabile

nella fase giovanile. Tale caratterista permette al semenzale di insediarsi in terreni molto sciolti e

garantire un efficace ancoraggio al suolo del futuro albero. Nella coltivazione in vivaio, tale caratteristica

ha da sempre rappresentato una limitazione, tanto che – da tempo immemore – vien praticato il taglio

del fittone nei giovani semenzali prima del trapianto in fitocelle o vasi.

Tale operazione colturale per anni ha rappresentato la scusante circa la facilità cedimento dei pini

domestici per ribaltamento di zolla, ma alla luce delle nuove informazioni, la conformazione degli

apparati radicali del pino assume una struttura più chiara e conforme a quanto osservato in natura ed in

ambiente urbano.

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L’apparato radicale del pino domestico, fortemente fittonante in gioventù, comincia subito a strutturarsi

suddividendosi in due sub apparati ben distinti:

l’apparato radicale fittonante: dopo il precoce aborto del fittone vero e proprio, numerose radici

secondarie tendono ad accrescersi in profondità dipartendosi dalla parte basale dell’apparato radicale

(un’area sub circolare del diametro di poco superiore a circa due volte il diametro del fusto basale),

queste radici di sostituzione si approfondiscono nel suolo creando una sorta di palificata composita che

ancora l’albero al suolo;

l’apparato radicale fascicolare: è composto dalle radici superficiali che si dipartono radialmente dal

colletto ed esplorano il terreno circostante. Queste radici sono molto sviluppate longitudinalmente e,

negli anni, incrementando notevolmente il loro diametro. Sono radici poco profonde (la maggior parte

sono riscontrabili nei primi 50 centimetri di suolo)ed esplicano una importante funzione stabilizzatrice

dell’albero, aumentando la base su cui poggia l’albero stesso.

Ci troviamo, quindi, di fronte ad una struttura estremamente efficace e, evidentemente, fortemente

adattata a suoli sciolti ed incoerenti (e di fatti l’ambiente tipico di questa specie è rappresentato dai

litorali sabbiosi): un sistema radicale complesso ed articolato, sviluppato per poter reagire nel modo

migliore alle sollecitazioni esterne pur ritrovandosi a vegetare i suoli incoerenti che, per definizione, non

offrono sufficienti garanzie all’ancoraggio di grandi e pesanti esseri vegetali che, per di più, offrono

notevole resistenza alle forze esterne: La soluzione trovata dal pino domestico è assimilabile a quella

trovata dai progettisti delle barche a vela da regata:

- Il bulbo radicale: la parte del colletto fuori terra e l’insieme dell’attacco delle radici fittonanti e

fascicolate immediatamente sotterranee sono assimilabili allo scafo di una barca,

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- l’apparato radicale fittonante: è assimilabile alla deriva di una barca a vela, mentre l’apparato

radicale fascicolare è assimilabile;

- l’apparato radicale fascicolare: è assimilabile al ponte di coperta della barca che diventa la

zona di assorbimento delle tensioni esterne dissipando nel terreno i carichi trasmessi dall’albero

(il fusto del pino) a loro volta captati dalla chioma e trasmessi al fusto.

Tale schema è più facilmente comprensibile come esplicitato nella fig.

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Da tutto ciò si evince come il punto di applicazione delle risultante delle forze esterne, nel pino

domestico non si collochi a livello del suolo o poco al disotto, come la maggior parte degli alberi che

conosciamo e siamo abituati a valutare staticamente, bensì tale punto si colloca ben più in profondità

nel suolo, a circa 1 – 1,5 metri.

METODICHE DI INDAGINE DELL’APPARATO RADICALE DEL PINO DOMESTICO

Per lo studio della propensione al ribaltamento delle zolle radicali, vi sono diversi modelli analitici di

tipo biomeccanico, ma sono tutti complessi e di difficile applicazione pratica. Si fondano su

informazioni derivate da prove di trazione controllata. Quindi, allo stato attuale, questi test

rappresenterebbero l’unica possibilità di acquisire informazioni biomeccanicamente significative sulle

condizioni strutturali dell’apparato radicale. Si tratta di operazioni molto complesse, lunghe ed articolate

e, ovviamente molto costosi, pertanto difficilmente possono essere applicati diffusamente.

Un altro metodo perseguibile, direttamente derivabile dalla meccanica del cedimento, dato che la

resistenza di ancoraggio è assolta in primo luogo dalle radici sopravento, ne consegue che sarebbe

relativamente facile confrontare il momento ribaltante dell’albero sollecitato dal vento con il momento

resistente delle radici ubicate nello spazio di ¼ dell’apparato radicale in quanto basterebbe scollettare e

verificare la presenza di radici sane in quel settore di dimensioni tali, alla distanza critica massima di 1.5-

2 volte il diametro del tronco, da sopportare la sollecitazione indotta dalla forzante eolica e dal peso

dell’albero oscillante. Ma anche in questo caso si tratterebbe di operazioni complicate, lunghe, costose

ed oltremodo impattati – soprattutto in contesti di importanza storica – se non addirittura impossibili

quando trattasi di alberi col l’apparato radicale ricoperto da pavimentazione.

L’esigenza è quella di trovare un metodo di indagine sufficientemente veloce, poco impattante,

abbastanza economico e sufficientemente affidabile.

Vanno comunque fatte alcune considerazioni preliminari:

tutti gli interventi di riduzione della chioma, purché coerente con i canoni dell’Arboricoltura applicata a

questa specie, riduce la propensione al cedimento per ribaltamento della zolla. Nei casi di alberi con

valore ornamentale elevato, proprio perché considerati simbolici e quindi da conservare, si deve

attentamente valutare la tenuta dell’apparato radicale e l’eventuale tenuta delle branche principali. Solo

dopo aver accertato attentamente la tenuta alla propensione al cedimento della zolla radicale e alla

rottura delle branche principali è possibile ipotizzare interventi di consolidamento dinamico della

chioma. In ogni caso, qualora si decida per il consolidamento dinamico, tale intervento deve però essere

valutato attentamente dal punto di vista biomeccanico in quanto tende a mantenere una forma della

chioma “pericolosa” e potrebbe amplificare in misura inaccettabile le sollecitazioni indotte dai carichi

aggiuntivi.

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Qualora l’esemplare debba essere assolutamente conservato, per una miriade di motivi, l’unica

soluzione perseguibile efficacemente è quella di delimitare un’area di sicurezza intorno al pino da

salvaguardare, con un raggio pari a circa due volte l’altezza dell’albero, e impedire l’accesso alle persone.

Soluzione certamente drastica, ma obbligata dal buon senso, oltre che da precise responsabilità civili e

penali.

ASPETTI OPERATIVI PER LA GESTIONE DEL PINO DOMESTICO IN AMBIENTE

URBANO

Considerato il notevole patrimonio di pini domestici che il Comune di Roma si ritrova a gestire, con

tutte le problematiche ad essi annessi, il Servizio Giardini del Comune di Roma ha condotti

nell’ultimo decennio una serie di interventi sperimentali sulle modalità e tecniche di potature del pino,

con diversi modelli applicabili ai pini di diverse età e con diverse ubicazioni, che siano anche

economicamente sostenibili. Gli ultimi risultati confermano che, quanto precedentemente affermato

(ossia la ricerca della forma naturale della chioma in fase adulta) sembri la soluzione più efficace ed

infatti, il modello colturale che si sta utilizzando su pino è proprio la cosiddetta “potatura ad ombrello”.

Si è realizzato ciò eliminando preferenzialmente i rami laterali inferiori via via che si formano,

favorendo non tanto l’innalzamento della chioma quanto l’appiattimento superiore senza con questo

eccedere nell’allargamento laterale, eliminando i rami grossi solo se eccessivamente sbilanciati verso

l’esterno. Questa tecnica però è valida solo per alberi maturi, se attuata vigorosamente su alberi giovani,

potrebbe ridurre eccessivamente l’accrescimento in altezza e mortificare il valore ornamentale del

soggetto, formando nel tempo una chioma troppo stretta, a bottone più che a ombrello!

Più logico dovrebbe essere il tentativo di “inseguire” il comportamento dell’albero in natura, favorendo

l’accrescimento in altezza durante la fase giovanile, senza toccare la freccia principale e limitandosi a

lievi spalcature. In un secondo momento, quando la pianta è pronta per allargare la sua chioma, si andrà

ad eliminare progressivamente i laterali inferiori ed i ramuli interni, favorendo l’appiattimento superiore

della chioma, individuando come da tagliare quei rami che iniziano a modificare l’inserzione arcuandosi

o torcendosi, oppure quando la chioma tende a “staccarsi” dal disco centrale in via di formazione.

Ma vi è un altro modo per ridurre la spinta del vento mantenendo intatta la superficie di esposizione

della chioma: quello di agire sulla “porosità” della massa verde che si oppone al vento, diradando la

chioma in modo più o meno sensibile. Si tratta di un intervento molto radicale di diradamento della

chioma che può senz’altro indurre condizioni di stress fisiologico tali da porre la pianta in uno stato di

declino. Al di là del danno estetico, che si dimostra da solo, l’effetto biomeccanico è dubbio e

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temporaneo, in quanto se è vero che la porosità della chioma aumenta sensibilmente è però indubbio

che, per lo meno negli anni successivi all’intervento quando la chioma, se non deperisce, inizia a

ricostituirsi, aumenta la turbolenza interna del vento e quindi la possibilità di creare, nel medio periodo,

oscillazioni non accettabili. Inoltre, poiché l’arboricoltore dovrebbe agire cercando di interpretare i

fenomeni naturali, la mancanza di questa struttura della chioma nel pino domestico e nelle altre specie

del genere Pinus (che laddove si osservano specie arboree porose a livello dell’intera chioma,

quest’ultima è costituita da cluster relativamente densi come in Pinus pinaster Ait.) dovrebbe essere

ragione sufficiente per ritenerla una pratica non corretta.

Un problema altrettanto importante nella gestione della chioma del pino riguarda l’interferenza fra

questa e le infrastrutture (linee elettriche), i manufatti (edifici) o altri alberi. Qui non vi possono essere

regole generali se non quella di rispettare il più possibile la morfologia tipica dell’albero in quanto la

creazione di morfologie diverse da quella tipica (oltre a creare alberi esteticamente sgradevoli) può

comportare, in una specie così sensibile, a forme strutturalmente deboli e con elevata propensione al

cedimento.

IL PINO DOMESTICO A VILLA BORGHESE

Il popolamento dei pini di Villa Borghese, principalmente quello ricompreso tra Piazza di Siena, Via

Pinciana e Viale della Pineta, si mostra come una struttura biplana con due piani ben delineati:

1) Il piano dominato (più basso) è composto da piante giovani e circa coetanee (più

correttamente coetanee a gruppi) che, comunque, non sempre mostrano condizioni vegetative

ineccepibili. Ciò è da ascrivere più alla competizione con altre piante vicine che a limiti colturali e/o

manutentivi espletati nei riguardi dei giovani pini.

2) Il piano dominante (più alto) è composto da piante coetanee, per lo più di notevoli

dimensioni, vetuste (stramature) e tutte in piena fase di senescenza. Le caratteristiche morfologiche

principali (fusto con notevole presenza di cavità e monconi di branche secche e/o marcescenti nel terzo

superiore, branche primarie eccessivamente allungate e divergenti dall’asse centrale, chiome ridotte in

ampiezza con vegetazione inserita nello strato sommitale della chioma) mostrano come la forma attuale

sia il prodotto di una selezione artificiale degli individui, attraverso una serie di operazioni di

manutenzione eseguite negli anni in conformità con le conoscenze dell’epoca e, soprattutto, quando era

evidentemente necessario effettuare l’intervento di manutenzione. Dal punto di vista vegetazionale non

si evidenziano più crescite significative degli apici rameali, segno evidente della fase di decadenza ormai

avviata.

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Il piano dominante rappresenta la pineta storica di Villa Borghese, e pertanto il soprassuolo più

caratteristico e paesaggisticamente impattante. Nel contempo, però, rappresenta la porzione di

popolamento più a rischio in quanto a fine ciclo vegetativo o prossimo alla fine del ciclo.

Questo ci porta a fare delle considerazioni per quanto riguarda la tenuta statica di questi alberi:

siamo in presenza di piante non più reattive (sostanzialmente non crescono più) con fusto molto

allungato (e molto spesso contrassegnato da cavità e carie) con chioma relegata all’estremità superiore

(effetto vela estremo). Con queste caratteristiche gli alberi captano anche le folate minime di vento che

trasmettono forti sollecitazioni al colletto attraverso il fusto, la forza esplicata al punto di ancoraggio al

terreno (colletto e zolla radicale) è direttamente proporzionale alla lunghezza del fusto.

L’assenza di crescita annuale evidenziata dalle chiome indica come la regressione radicale sia in fase

di avanzamento (se non crescono le foglie ed i rami non crescono nemmeno le radici) e la minore

dissipazione delle sollecitazioni nel terreno aumenta le tensioni all’interno del colletto.

Tale particolare situazione comporta uno stato di allerta generale in funzioni di potenziali schianti sia

per ribaltamento di zolla (in questo caso conseguentemente al deperimento dell’apparato radicale

fittonante strettamente connesso al colletto) sia per rottura del fusto (in particolare nel terzo superiore

del fusto, in corrispondenza con le cavità e/o i monconi di branche deperite inserite nel fusto).

Quanto fin qui descritto è particolarmente preoccupante in quanto su detto popolamento non è mai

stato effettuato uno studio ricognitivo seppur non completo, neppure sufficientemente esteso che

permetta di formulare delle ipotesi su tempistiche e modalità dei temuti cedimenti dei pini.

Considerato la particolare sensibilità dell’area in merito alle presenze antropiche e alle eventuali

ripercussioni sul traffico veicolare circostante (via Pinciana e via S. Paolo del Brasile) si rende necessario

un intervento di verifica di tenuta statica degli alberi urgente volto ad una efficace comprensione dello

stato reale degli alberi maggiormente critici (praticamente quelli del piano dominante).

METODOLOGIA D’INDAGINE, RILIEVI ED ANALISI

Per quanto fin qui esposto, la metodologia d’indagine adottata è stata messa a punto recependo tutte

le nuove informazioni assunte sull’argomento e dettagliatamente illustrate, ed individuando precisi

obiettivi da perseguire quali:

- la sicurezza allo schianto per ribaltamento dell’albero;

- la sicurezza alla rottura di branche, porzioni di albero o dell’albero intero.

Per realizzare ciò si è proceduto preliminarmente elaborando una scheda di rilievo dei dati relativi ad

ogni singola pianta – il più completa ed esaustiva possibile - in modo da non trascurare parametri

importanti, ma nel contempo alquanto intuitiva e leggibile anche per in non addetti ai lavori.

Le strategie di verifica della stabilità si sono focalizzate su tre aspetti:

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1) analisi con metodo visivo e rilievo di dati biometrici fondamentali per il dimensionamento

dell’albero (e per la successiva analisi biomeccanica) e interpretazione dei sintomi visibili su

apparato radicale, fusto, branche principali e secondarie e chioma.

2) Analisi strumentali del bulbo radicale mediante resistograph PD400 della IML: le analisi sono

state effettuate posizionando lo strumento alla base del colletto ai vertici di un ipotetico

triangolo equilatero inscritto nella ideale circonferenza del fusto al livello del suolo.

L’inclinazione adottata è stata di circa 45° in modo da avere una serie di dati strumentali nella

porzione di bulbo radicale interrato e, pertanto, non visibile. La prima analisi è stata sempre

eseguita nella parte a compressione (lato dove si esplica l’inclinazione del tronco) procedendo in

senso orario.

3) Analisi strumentali in quota mediante piattaforma e operatori in tree climbing, in modo da

verificare i fusti codominanti, le branche principali e quelle secondarie, ove si erano rilevati

visivamente lesioni, cavità e degradazioni del legno tali da poter compromettere la stabilità della

struttura aerea dell’albero.

Operativamente si è proceduto in fasi lavorative successive e continuative:

Visione generale del popolamento, individuazione dei singoli esemplari mediante numerazione

progressiva (cartellinatura); studio sulla stabilità e sullo stato fitosanitario delle piante mediante

analisi visiva. Sulla base dei dati ottenuti con l’analisi visiva, si sono effettuati gli approfondimenti

strumentali, prima a terra e poi in quota (castello, fusto e branche principali) finalizzati a

confermare e a quantificare i difetti strutturali individuati dai sintomi visibili esternamente.

Infine, si è proceduto con la documentazione fotografica e con i rilievi necessari per

l’elaborazione cartografica.

Di seguito si riportano le singole fasi operative, come formalizzate nel SLA, che compongono il

presente lavoro:

Cartellinatura: ogni singolo esemplare, localizzato su base cartografica, è stato identificato

univocamente mediante applicazione sul fusto di un cartellino metallico rosso su cui è stato inciso il

numero di riferimento. In questo modo, ciascuna pianta risulta essere inequivocabilmente individuata

con un numero di riferimento su campo, cui corrisponde la documentazione della presente relazione

tecnica.

Riconoscimento botanico: Ogni pianta è individuata fondamentalmente dal binomio genere-

specie, secondo la nomenclatura ufficiale.

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Analisi visiva: ogni esemplare è stato sottoposto ad Analisi Visiva, applicando i dettami della

metodologia V.T.A. (Visual Tree Assessment), con cui si rilevano e si interpretano i sintomi di difetti

originati da danni interni dell’albero - sintomi che possono essere considerati veri segnali d’allarme

secondo il complesso linguaggio corporeo degli alberi - nonché le caratteristiche ambientali. L’esame visivo è

supportato da una prima verifica strumentale, mediante martello di gomma (prova a percussione) e asta

metallica (ispezione delle cavità). Si è così preliminarmente analizzato lo stato fitosanitario, le

caratteristiche meccaniche e le condizioni di stabilità. Successivamente, si è proceduto con gli

approfondimenti strumentali, nei casi in cui siano state rilevate anomalie di un certo rilievo.

Analisi strumentale: le analisi strumentali sono state effettuate mediante dendrodensitometro -

Resi PD400, IML - Resi F400 S, IML - Resi B300, IML - Resi F300-S, IML

Lo strumento misura la resistenza all’avanzamento di una sottile punta in acciaio armonico

all’interno della pianta; questo sistema permette una lettura dettagliata della consistenza del legno e

consente la precisa localizzazione e quantificazione del legno sano e di eventuale legno degradato.

Documentazione fotografica: tutte le piante per le quali si prescrive l’abbattimento sono state

fotografate, evidenziando le principali problematiche individuate.

Elaborazione cartografica: su base cartografica sono stati ubicati tutti gli esemplari arborei

visionati. In campo si sono effettuati i rilievi relativi sia alla distanza reciproca tra le piante sia alla

distanza da manufatti, ottenendo così la collocazione delle piante con relativa numerazione e

attribuzione della scala di rischio di caduta (classificazione F.R.C.).

Sono stati censiti più di 800 pini pini domestici presenti nell’area, mentre ne sono stati analizzati 447;

praticamente la totalità degli esemplari vetusti identificati. Le tipologie d’impianto riscontrate sono

riconducibili a due categorie principali:

- filare singolo a costituire una sorta di quinta intorno alle grandi aiuole che caratterizzano la villa

(i riquadri) –

- gruppi a sesto più o meno regolare riconducibili a diverse epoche d’impianto.

Le caratteristiche pedologiche - agronomiche del sito sono mediamente buone ed il profilo è più che

sufficiente: il suolo presenta caratteristiche di struttura e fertilità sufficienti – pur trattandosi di suolo

non prettamente agronomico-forestale. Tale dato è confermato dall’altezza media del popolamento dei

pini con età maggiore, gruppo ascrivibile all’impianto di fine ‘800, considerato che – come noto – essa

rappresenta il parametro consuetudinario per la definizione della fertilità stazionale. Nello stesso

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popolamento si possono altresì notare notevoli variazioni dei diametri dei tronchi, ma tale fenomeno

non è ascrivibile tanto a variazioni della fertilità, quanto a dinamiche fitosociologiche: la concorrenza tra

le singole piante per la conquista di spazio vitale (luce e nutrienti del terreno) comporta l’affermazione e

quindi la maggior crescita di alcune (dominanti) a scapito di altre (dominate), dinamica nota come

“selezione naturale”.

Il problema principale deriva dall’accentuato utilizzo antropico della villa: la costante e numerosa

presenza dei fruitori comporta un elevato calpestio che causa compattazione e conseguente asfissia del

suolo superficiale, ripercuotendosi fortemente sullo sviluppo radicale dei pini sia in senso verticale che

in senso orizzontale; quest’aspetto rappresenta un fattore molto limitante in quanto il Pinus pinea il

quale non è dotato, tipicamente, da un apparato radicale molto profondo, ma compensa questa carenza

con un apparato radicale superficiale molto espanso.

La situazione descritta ha avuto un suo equilibrio, per quanto labile, fintanto che la frequentazione

antropica dei luoghi è stata contenuta e l’età del popolamento non ha superato il grado della maturità

ontogenetica. Con l’evolversi dell’età del soprassuolo, passando gli alberi dalla fase di maturità alla fase

di senescenza, gli effetti di difficoltà vegetativa si sono resi sempre più evidenti soprattutto nelle zone

caratterizzate da eccessiva frequentazione antropica e da limitazioni nella disponibilità di suolo (vedi

l’area che circonda Piazza di Siena).

In merito ai sesti di impianto va fatta una sola, ma fondamentale considerazione: le distanze tra le

piante, soprattutto quelle messe a dimora durante l’ultimo cinquantennio, sono laquanto ridotte ed

interferiscono con la presenza del popolamento di pini più vetusto. Tale osservazione è suffragata dalla

elevata presenza di giovani pini con diversi gradi di inclinazione del fusto e eccentricità delle chiome,

costantemente alla ricerca di luce. Si tenga presente che il Pinus pinea noto comunemente come “pino ad

ombrello”, è specie fortemente eliofila e quindi necessita di ampi spazi per un ottimale sviluppo (nelle

fustaie mature la densità varia da circa 70 piante per ettaro, quando si privilegia la produzione di pinoli,

fino a circa 90 piante nelle pinete litoranee) con sesti che variano da m 12 x 12 a m 10 x 10.

Considerando che le condizioni edafoclimatiche degli ambienti urbani sono ben distanti da quelle

forestali, si ritiene che il sesto più appropriato per il Pinus pinea debba essere di circa 15 m tra pianta e

pianta e non debba mai scendere al di sotto dei 12 metri. Chiaramente, affinché un popolamento

arboreo di questa specie mantenga una funzionalità ottimale e una sua fisionomia tipica, c’è bisogno che

gli interventi di sfoltimento selvicolturale vengano eseguiti costantemente e proporzionalmente allo

sviluppo delle singole piante.

L’assenza di interventi di diradamento, secondo una buona norma di selvicoltura urbana (ma più in

generale di selvicoltura naturalistica), comporta l’evoluzione verso una struttura anomala: alberi filati e

Marco
Evidenziato
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spiombati; fusti fuori asse; chiome squilibrate e/o eccentriche; sviluppo abnorme di branche principali

nel tentativo di ripristinare l’assialità.

Risulta evidente, per quanto fin qui detto, che alcune piante risultano inevitabilmente compromesse

e, data l’impossibilità di recupero delle stesse con interventi cesori (come noto le conifere non

ricacciano in seguito a potature), l’unica via perseguibile rimane la loro sostituzione con piante ben

conformate, anche se più giovani, che possano offrire migliori garanzie per il futuro.

STATO FITOSANITARIO E STABILITÀ MECCANICA

Distinguiamo nel popolamento esaminato tre diverse casistiche di problematiche connesse alla

stabilità meccanica, che in taluni casi gravano contemporaneamente sul medesimo esemplare:

1. Degenerazioni del colletto e dell’apparato radicale

2. Carie al fusto, al castello e sulle branche principali

3. Chiome estremamente sbilanciate per improprie potature effettuate nel passato.

La notevole casistica di cedimenti strutturali del pino domestico per ribaltamento di zolla ha fatto

porre particolare attenzione sulla verifica delle condizioni dendrostatiche del colletto. Il pino

domestico, come ampiamente illustrato, è caratteristicamente dotato di un apparato radicale

suddivisibile in due sistemi distinti:

a. il sistema fittonate:

b. il sistema fascicolare:

La combinazione di questi 2 sistemi radicali permette un ancoraggio efficiente nei suoli di elezione

per la specie: suoli sabbiosi o di medio impasto, poco profondi e molto ben areati. Ogni volta che il

pino domestico si trova in condizioni edafiche disformi dal suo optimum, le condizioni di tenuta

statica diminuiscono in funzione della compattazione del suolo, della sua ritenzione idrica e della sua

ossigenazione. In seguito all’evoluzione dell’età, l’apparato radicale è soggetto a degradazioni, con

particolare demolizione da parte di patogeni fungini della parte del bulbo radicale costituito dal

sistema fittonante. Patogeni come Heterobasidion annosum e Armillariella mellea (ambedue

frequentemente riscontrabili a Villa Borghese) accelerano enormemente i fenomeni di degradazione

degli apparati radicali dei pini causandone il cedimento per ribaltamento di zolla.

Sono stati rinvenuti diversi casi di carie più o meno gravi, con degradazione del legno di solito entro

limiti di sicurezza accettabili. Nelle piante più vetuste, invece, la presenza di carie e cavità al castello e

sulle branche principali, soprattutto in corrispondenza dell’eliminazione di branche si secondo ordine, è

molto diffusa. Su molti alberi sono facilmente osservabili anche da terra ad occhio nudo. Dall’esame

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effettuato in quota la situazione risulta ben peggiore, avendo potuto verificare che tali anomalie sono

molto più diffuse di quanto si potesse ipotizzare, riscontrando anche particolari emergenze patologiche:

in numerose cavità di branche principali e secondarie è stata osservata la presenza di micelio di

Heterobasidion annosum, patogeno fungino tipico degli apparati radicali e del colletto. L’ipotesi più

accreditata di questa particolare anomalia è imputabile all’azione dei parrocchetti (è stata osservata la

presenza di almeno due specie: Myiopsitta monachus e Psittacula krameri), i quali possono aver trasportato

porzioni di micelio in prossimità o all’interno delle cavità utilizzate come rifugio (soprattutto dalla

seconda specie citata). Va considerato come il pino sia specie difficilmente attaccabile da patogeni

fungini soprattutto a livello di fusto e branche. A ciò va aggiunto che la compresenza di piante più

“appetibili” ai patogeni ne limiti comunque la diffusione sul pino. Pertanto i casi rilevati assumono una

particolare importanza in quanto possono velocizzare i fenomeni di degradazione delle strutture lignee,

cambiando sostanzialmente l’attuale approccio del monitoraggio fitopatologico del pino domestico

fin’ora limitato al controllo della presenza di patogeni con comportamento più saprofitico che patogeno

attivo.

Buona parte dei pini è dotata di chiome ridotte, per quanto equilibrate e simmetriche, per effetto di

potature – probabilmente eseguite con turni molto ampi - eseguite soprattutto con l’intento di

minimizzare la pericolosità di schianto di branche principali e di rami più in genere.

La situazione è aggravata dalla particolare caratteristica fisiologica, propria delle conifere, di non

poter rigenerare nuovi rami su legno vecchio: da ciò deriva la condizione di irrecuperabilità delle

chiome. L’eccessiva densità d’impianto delle giovani piante, inoltre, ha determinato squilibri fisiologici

per insufficienza nutrizionale e per eccessivo aduggiamento, con deperimento progressivo manifestato

dalle piante sovra numerarie con seccumi generalizzati o apicali, crescita stentata, inclinazione dei fusti e

spiombatura delle chiome. Ne consegue una situazione che, oggi, si manifesta con la “naturale”

selezione degli individui più vigorosi a danno di quelli più deboli, così come accade in foresta quando

vengano interrotti i tagli colturali.

LO STATO ATTUALE RILEVATO

La metodica di analisi al colletto, ha permesso di identificare abbastanza agevolmente il livello di

decadimento della porzione di sistema radicale fittonante (tale decadimento è riportato nelle schede di

rilievo strumentale con il codice 040). Tale tipologia di risultato è compatibile sia con le caratteristiche

dell’apparato radicale fin qui descritte, proprie del pino domestico, sia con la dinamica di

colonizzazione dell’apparato radicale da parte di Heterobasidion annosum: lo sviluppo di questo fungo ne

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tessuti legnosi progredisce lentamente ed in parallelo con lo sviluppo delle piante, senza che queste

ultime mostrino una particolare sintomatologia.

I segni di degrado del bulbo radicale sono di fondamentale importanza, poiché una volta riscontrato

abbiamo la certezza che l’apparato radicale fittonante non lavori più: infatti, come si evince facilmente

dalla figura, la colonizzazione del patogeno a carico dell’apparato radicale avviene partendo dall’esterno

e, progressivamente, si evolve verso la parte centrale del colletto. Quando lo strumento rileva una

degradazione nel bulbo radicale, si evidenzia che l’apparato fittonante profondo (cioè la “deriva”) è

notevolmente o, peggio, completamente compromesso, Quindi la tenuta dell’albero è affidata quasi

esclusivamente all’apparato radicale fascicolare, il quale essendo superficiale - molto spesso soggetto

comunque a lesioni – non riesce a “lavorare” in maniera ottimale non garantendo così la tenuta statica

della zolla. I pini che si sono ribaltati, analizzati nel tempo dallo scrivente, mostrano tutti chiari segni di

conferma della dinamica descritta: l’apparato radicale visibile fuori terra conseguentemente al

ribaltamento è ridotto ad una sorta di bulbo con diametro pari a circa 2 volte il diametro del tronco e

con profondità pari a circa 2.5 volte il diametro del fusto. Su questo bulbo si osservano numerose

porzioni di radici necrotiche e non più funzionali, una marcata assenza della porzione inferiore del

bulbo e poche e mal distribuite radici laterali, per lo più danneggiate e/o attaccate da patogeni e

puntualmente stroncate.

Negli alberi dove è stata rilevata una casistica del genere si è optato per l’abbattimento, poiché il

meccanismo di degrado innescato non è più reversibile e, considerate le caratteristiche della specie, lo

schianto – per quanto prevedibile – si verifica sempre in maniera improvvisa e senza segnali

premonitori.

Va sottolineato come questa dinamica di cedimento sia in assoluta coerenza con il progetto

biologico del pino domestico: questo albero dalla grande chioma espansa, fortemente eliofilo, con frutti

grandi e pesanti e semi altrettanto grandi, non ha molte possibilità di riproduzione se non si verificano

eventi che creano spazio nel suo habitat naturale – la pineta. Quindi, giunto a fine ciclo, l’albero tende a

schiantarsi con veemenza al suolo, in modo da creare un ampio spazio – intercettando con la sua ampia

chioma gli alberi limitrofi e comportandone il loro atterramento – dove spargere in maniera più ampia

possibile le sue pigne piene di semi, in modo da cercare di colonizzare quanto più spazio possibile. Le

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giovani plantule che nascono, possono così avvantaggiarsi di una leggera copertura iniziale – che

soprattutto nelle stagioni calde e secche diventa di strategica importanza.

Per gli alberi che non hanno mostrato grosse problematiche al colletto, il parametro di valutazione si

è spostato sulla tenuta dell’architettura principale della chioma. Dove le analisi strumentali hanno

permesso di valutare attentamente il reale rischio di rottura delle porzioni di branche analizzate. Va

sottolineato che l’obiettivo principale, subordinato esclusivamente alla sicurezza, è stato quello del

recupero estetico funzionale degli alberi; va anche sottolineato come il pino, in quanto conifera, non è

in grado di ricacciare conseguentemente al taglio. Pertanto ogni volta che ci si è ritrovati in condizione

di totale compromissione, prima di decretarne l’abbattimento, si è valutata la potenzialità di recupero

dell’albero anche con interventi drastici quale la messa in sicurezza. Evidentemente per le altre

casistiche riscontrate si è ritenuto sufficiente intervenire con un’adeguata potatura di rimonda e

riequilibra tura delle chiome.

LA GESTIONE DEL RISCHIO

Per quanto appena esposto, solo attraverso la valutazione complessiva e ponderata dello stato

generale della pianta, derivante da accurate analisi visive e strumentali, si è in grado di stabilire nella

maniera più oggettiva possibile quanto lo stato reale della pianta si discosti dallo stato teorico di

massima stabilità e, quindi, quanto sia elevato il rischio di schianto.

Al termine di queste elaborazioni si attribuisce a ciascun esemplare arboreo una classe di che

equivale ad una propensione al cedimento secondo la Classificazione di Propensione al Cedimento

elaborata dalla Società Italiana di Arboricoltura. Detta classificazione è comunque riconducibile alla

classificazione F.R.C. (Failure Risk Classification), nota a tutti gli operatori del settore e sicuramente di più

immediata lettura. In tal senso si suddividono le piante analizzate in categorie di rischio predefinite

(come si evince dall’allegata classificazione) ed è possibile standardizzare le procedure di monitoraggio e

messa in sicurezza di esemplari arborei. Questa classificazione consente di pianificare nel modo più

corretto gli interventi di manutenzione e monitoraggio finalizzati al mantenimento di esemplari arborei

in una situazione, se non di totale sicurezza, almeno di rischio controllato.

Di seguito riportiamo i dati numerici definitivi con le relative percentuali inerenti il popolamento

analizzato, ed i relativi dati inerenti e operazioni di adeguamento.

Marco
Evidenziato
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Quadro Statistico Definitivo Rilievi Effettuati

Analizzati  447 % Reale  %Norma Deviazione 

Classe C  206 46,09 65 ‐18,9 Classe C‐D  136 30,43 20 +10,4 Classe D  105 23,49 15 +8,5 

Totali  447 100 100    Dai rilievi effettuati si evince come il popolamento analizzato sia da considerarsi stramaturo in quanto

circa 1/5 del popolamento (il 18,9%) mostri caratteristiche di decadimento strutturale non più

reversibili. L’eliminazione progressiva delle classi D e, successivamente delle classi C-D, oltre a mettere

in sicurezza l’area da schianti e cedimenti di alberi interi e/o porzioni di essi – salvaguardando

l’incolumità delle persone che quotidianamente frequentano numerose la villa, rappresenta il corretto

metodo colturale per assicurare il futuro al popolamento arboreo così fortemente caratterizzante il

paesaggio della villa e permette, mediante la messa a dimora con metodo razionale di nuovi giovani

pini, di assicurare alle future generazioni una visione del paesaggio della villa molto simile a quanto oggi

presente, ma sicuramente in condizioni migliori.

A seguito degli ultimi eventi meteorici di eccezionale portata che hanno interessato tutto il verde

arboreo di Roma, lo scrivente ha ricevuto incarico verbale al fine di effettuare una ricognizione di

controllo sui quei pini di Villa Borghese, in particolare quelli inclusi in classe C-D, che potevano aver

subito gravi compromissioni a causa della neve, proprio per le condizioni di partenza alquanto sensibili.

Il ricontrollo ha interessato 136 pini vetusti, verificando visivamente la tenuta della zolla radicale,

eventuali segni di cedimento del terreno in prossimità degli alberi, e danni di rilevante importanza alle

chiome. I dati emersi dallo studio iniziale non hanno subito notevoli variazioni, in quanto dalla

ricognizione di ricontrollo, è emerso che non vi sono ulteriori problemi per la stabilità derivante sia da

cedimenti di zolla che da rottura del fusto. I danni rilevati sono esclusivamente a carico delle chiome e

delle branche terziarie e secondarie. Tali danni possono agevolmente essere ridotti con interventi di

potatura di messa in sicurezza, in tale sede potrà essere meglio valutato il reale stato di degli ultimi

eventi meteorici di eccezionale portata tenuta statica delle branche principali e della chioma di queste

piante.

Marco
Evidenziato
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CONCLUSIONI

In considerazione risultati conseguenti alle indagini effettuate sul soprassuolo arboreo analizzato

(impianto monospecifico, con differenti età) e, soprattutto, della sua valenza storica e paesaggistica è

più che necessario fare alcune fondamentali osservazioni:

- Il paesaggio che oggi si mostra al visitatore di Villa Borghese non è un’entità statica, bensì

dinamica ed è strettamente legata al ciclo vegetativo ed ontogenetico delle piante che lo

compongono, tale paesaggio, dunque, non è né immutabile né eterno, ma invece è passibile di

continui mutamenti e può facilmente degenerare.

- Tutti gli esseri viventi hanno una durata predefinita della loro vita, certo vi sono eccezzion

circa la durata di questo, ma il progetto biologico è caratterizzato da tre fasi inoppugnabili:

nascita, crescita e morte.

- I popolamenti arborei, nel loro status di naturalità, innescano dinamiche evolutive che

portano, nell’arco di centinaia d’anni, a mutazioni ed assestamenti di soprassuoli in funzione

di variazioni climatiche ed ambientali. Tali variazioni passano attraverso il compiersi di

numerosi cicli vitali che comportano il susseguirsi di generazioni che si succedono grazie allo

scomparire dei “genitori” che lasciano spazio vitale ai loro “figli”. Questo processo è

continuo, seppure all’occhio umano quasi impercettibile nel breve periodo, ed è possibile ove

interferenze antropiche sono pressoché assenti.

- La ricerca esasperata di naturalità da parte dell “abitante” della grandi metropoli non può e

non deve ricadere su aree alberate di origine artificiale poste in condizioni di estrema

delicatezza ambientale. Anzi, proprio in queste aree la gestione proiettata al futuro deve essere

cosciente e condivisa con l’Amministrazione Pubblica. Il Pubblico ha l’onere e l’onore di

poter progettare nel lungo periodo in modo da poter assicurare ai posteri la fruibilità e la

“bellezza paesaggistica” di aree rappresentative e significative dal punto di vista storico ed

ambientale.

- Infine, ma non per importanza, la gestione di popolamenti arborei strutturati ed a fine ciclo,

per quanto delicati e di enorme impatto emotivo, sono necessari, soprattutto in aree ad

elevata frequentazione antropica e di fama mondiale come Villa Borghese. In un simile

contesto la domanda comune dovrebbe essere: “come possiamo fare affinchè il visitatore

dell’anno 2000 possa godere di un paesaggio così fortemente caratterizzante di una realtà che

si perde nei secoli precedenti?”.

Tale schema cognitivo della situazione reale del popolamento di pini di Villa Borghese rappresenta la

base per poter intervenire ripristinando la sicurezza nell’area, porre le basi per una razionale gestione

dell’area e poter predisporre i fondamenti di un piano gestionale che porti al rinnovo del patrimonio di

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Evidenziato
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pini domestici che permetta di mantenere anche nel futuro la tipologia della pineta così fortemente

caratterizzante sia la villa che il paesaggio di Roma Capitale.

Viterbo, 27 gennaio 2012

Dott. For. Rocco Sgherzi


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