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Report Urban II Urban II.pdf · 1.2.3 L’occupazione giovanile 59 ... Popolazione straniera e...

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CERGAS CENTRO DI RICERCHE SULLA GESTIONE DELL’ASSISTENZA SANITARIA E SOCIALE DELL’UNIVERSITA’ LUIGI BOCCONI DI MILANO I BISOGNI SOCIALI E LA DOMANDA DI SERVIZI E INTERVENTI NELL’AREA URBAN II DEL COMUNE DI MILANO Rapporto di ricerca nell’ambito della Misura 2.1”Servizi a sostegno dell’economia sociale”del PIC Progetto di Iniziativa Comunitaria Urban II Milano, luglio 2007
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CERGAS

CENTRO DI RICERCHE SULLA GESTIONE DELL’ASSISTENZA SANITARIA E SOCIALE DELL’UNIVERSITA’ LUIGI BOCCONI DI MILANO

I BISOGNI SOCIALI E LA DOMANDA DI SERVIZI E

INTERVENTI NELL’AREA URBAN II DEL COMUNE DI MILANO

Rapporto di ricerca nell’ambito della Misura 2.1”Servizi a sostegno dell’economia sociale”del PIC Progetto di

Iniziativa Comunitaria Urban II

Milano, luglio 2007

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Indice Parte Prima pag. 1

Introduzione 2 1. L’area URBAN II nel contesto metropolitano milanese 5

1.1 Le caratteristiche dell’area URBAN II 5 1.2 Le criticità percepite e i bisogni dell’area URBAN II 6 1.3 L’area URBAN II nel contesto del disagio metropolitano 7

2. Indagini sulla povertà a Milano 11 2.1 Il Primo dossier regionale sulla povertà in Lombardia 11 2.2 L’analisi dell’Osservatorio sulle povertà urbana dell’Università Bicocca 12 2.3 Il Quinto Rapporto sulle povertà nella Diocesi di Milano 15 2.4 Disagio sociali e abitativo nell’analisi del Piano di Zona 2006-2008 17 2.4.1 Il disagio sociale 17 2.4.2 Il disagio abitativo 18

3. Le politiche sociali in Lombardia e a Milano 20 3.1 Le politiche sociali in Lombardia 20 3.2 I Piani di Zona del Comune di Milano 23 3.3 Il Piano di Zona 2006-2008 e le valutazioni del Forum del Terzo Settore 26 3.4 Un approfondimento: i servizi per minori al di fuori della famiglia di origine 28

4. Il Terzo Settore nella realtà milanese 32 4.1 L’indagine promossa dalla Camera di Commercio nel 1997 32 4.2 Il Rapporto sul settore non profit milanese della Fondazione Ambrosianeum 35 4.3 I soggetti del Terzo Settore nell’analisi del Piano di Zona 2006-2008 36 4.4 Le relazioni tra organizzazioni non profit e Comune di Milano 37

5. Dai bisogni sociali alla produzione di servizi 39 5.1 L’economia sociale tra esternalizzazioni e mercato sociale 39 5.2 Il ruolo del capitale sociale 40 5.3 Sostenere l’economia sociale, produrre il capitale sociale, favorire lo sviluppo 44

6. Quali priorità per l’area Urban II 46 6.1 Evoluzione del sistema di welfare e economia sociale 46 6.2 Condizioni di sviluppo dell’economia sociale49

Parte Seconda 54 Introduzione 55 1. I bisogni sociali dell’area URBAN II 56

1.1 Infanzia 56 1.1.1 Il disagio 56 1.1.2 I Servizi per l’Infanzia nel Piano di Zona 2006-2008 57

1.2 Giovani 58 1.2.1 Il livello di istruzione 58 1.2.2 La scuola 58 1.2.3 L’occupazione giovanile 59 1.2.4 Aggregazione, integrazione e tempo libero 60 1.2.5 La percezione dei servizi per i giovani nell’area Urban II 60

1.3 Anziani 61 1.3.1 Gli anziani nell’area Urban II 61 1.3.2 Amicizie, famiglia e aiuti 61 1.3.3 L’ Area Anziani nel Piano di Zona 2006-2008 62 1.3.4 La percezione dei servizi in Urban II 64

1.4 Bisogni sociali e problematiche di quartiere 64 2. Andamenti demografici e interventi di riqualificazione del territorio 66

2.1 Introduzione 66 2.2 La popolazione residente nell’area Urban al 31.12.2003: una ricostruzione della distribuzione per classi di età

66

2.3 Le previsioni sulla popolazione dell’area Urban al 31.12.2013 70

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2.4 Le previsioni sulla popolazione dell’area Urban al 31.12.2023 73 2.5. Una sintesi delle previsioni della popolazione dell’area Urban (2013-23) 75 2.6 Le dinamiche urbanistiche 76 2.7 Impatti sulla domanda di servizi 77

3. Popolazione straniera e bisogni dell’area 79 3.1 Le dinamiche migratorie 79 3.2 Impatti sulla domanda di servizi 83 3.3 Immigrazione e periferie 85 3.4 I nuovi luoghi della marginalità 86

4. L’area Urban all’interno dei cambiamenti metropolitani 87 4.1 Le direzioni del cambiamento 87 4.2 La distribuzione dei redditi individuali e familiari: alcuni dati dal Progetto AmeRIcA 89 4.3 Una nuova gerarchia dei bisogni sociali 94 4.4 Una rete di servizi per i nuovi bisogni sociali: il tema della governance 96

Parte Terza 97

Introduzione 98 1. Scuole 99 2. Organizzazioni non profit 100 3. servizi pubblici/di pubblica utilità 102 4. Organismi religiosi 103 5. Servizi sociali 105 6. Servizi sanitari 106 7. Asili nido 108

Bibliografia 109

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Parte Prima

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Introduzione

Il progetto di ricerca sviluppato in questo rapporto si è posto l’obiettivo di individuare i bisogni sociali emergenti e la conseguente domanda di servizi e interventi su cui impostare un’azione complessiva di sviluppo dell’economia sociale in un’area definita del territorio del Comune di Milano oggetto degli interventi di riqualificazione e rivitalizzazione del Programma di Iniziativa Comunitaria URBAN II.

I confini dell’area URBAN non sono stati definiti rispetto ad ambiti amministrativi (zone del decentramento amministrativo comunale o distretti sanitari della ASL Città di Milano). Questo ha richiesto al gruppo di lavoro un notevole impegno nella raccolta di dati e informazioni sulle caratteristiche sociali dell’area e, soprattutto, dal punto di vista metodologico, è stato necessario inserire l’analisi dell’area territoriale in contesti più ampi che sono quelli tradizionalmente oggetto di studio delle discipline sociali ed economiche. Se sono infatti numerose le indagini di carattere economico e sociale relativi all’area metropolitana di Milano, oppure le indagini specifiche su singoli contesti caratterizzati da relativa omogeneità, il prendere come riferimento una zona non delimitata da confini amministrativi e/o rigidamente geografici ha costretto ad estrapolare le informazioni essenziali da studi e ricerche su contesti diversi e più ampi.

Nel valutare le variabili economiche e sociali di quest’area urbana, lo studio ha inteso verificare in quale misura le diverse realtà sociali presenti sul territorio di URBAN II rappresentassero un universo di riferimento relativamente omogeneo con proprie dinamiche e specifiche esigenze di intervento. Ciò ha comportato l’analisi delle diverse dimensioni sociali emergenti nel contesto territoriale in uno stretto e costante confronto con quelle della complessiva area urbana e delle zone amministrative immediatamente più simili per caratteristiche amministrative (zone del decentramento) o urbanistiche (aree periferiche del comune di Milano).

Al fine di disporre di un quadro sufficientemente esaustivo delle complesse tematiche oggetto della ricerca si è fatto riferimento alle indagini prodotte in questi anni da diverse fonti confrontandole con quanto è emerso dagli approfondimenti condotti dal gruppo di lavoro dell’Università Bocconi.

Per comprendere le dimensioni economiche e sociali del contesto territoriale, la ricerca ha approfondito l’analisi, secondo una prospettiva di tipo economico, di aspetti molto differenziati:

- gli studi sulla povertà e sulle emergenze sociali dell’area territoriale milanese; - le caratteristiche salienti delle organizzazioni non profit milanesi e i loro fabbisogni in

termini di servizi reali e finanziari; - le politiche sociali messe in atto a livello locale e regionale per affrontare con diversi

livelli di servizi e interventi le cangianti forme del disagio sociale metropolitano; - la presenza sul territorio URBAN II di servizi pubblici e di pubblica utilità come

indicatori della copertura della domanda effettiva espressa dal territorio stesso.

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Sulla base dell’analisi di questi aspetti si è proposta una valutazione del ruolo attuale e, in prospettiva, possibile delle organizzazioni dell’economia sociale. Le organizzazioni attive in questo settore:

- possono svolgere e assumere ruoli differenziati anche nella loro maggioranza la loro attività si concentra in un determinato e limitato settore;

- operano spesso con funzioni pionieristiche, poiché strutturalmente e storicamente la loro presenza e la loro crescita è stata funzionale alle carenze dell’offerta pubblica di interventi e servizi.

L’interesse per queste organizzazioni e per la loro evoluzione è giustificato non solo per la loro numerosità e per le caratteristiche del loro agire sociale, ma anche per le loro potenzialità di sviluppo, economico ed occupazionale, presenti e più frequentemente latenti in territori problematici e dalle dinamiche articolate e complesse come quello oggetto dell’intervento di rivitalizzazione e riqualificazione urbana.

Questa analisi si colloca in una fase di ripensamento del ruolo e delle prospettive dell’economia sociale dopo una periodo di notevole espansione della funzione erogatrice di servizi, soprattutto di carattere sociale ed assistenziale, da parte delle organizzazioni non profit dovuto ad una certa incapacità del sistema pubblico di welfare di rispondere alla crescente domanda di servizi di interesse collettivo, sempre più differenziati.

La risposta alle domande di assistenza, di socialità, di spazi e ambiti ricreativi, che è stata una scelta tradizionalmente compiuta dall’universo delle organizzazioni religiose, è venuta negli ultimi anni, soprattutto dagli interventi e dalle iniziative della cooperazione sociale, dell’associazionismo solidale e delle nuove forme di filantropia, come le fondazioni erogatrici di servizi e finanziamenti. Si sono, quindi, sviluppati servizi in ambiti diversi: dagli interventi culturali e ambientali alla rappresentanza di interessi diffusi, dalla tutela delle categorie più deboli ed emarginate alle attività sportive e ricreative.

Dagli anni ’90 abbiamo assistito, sul territorio milanese come in tutto il paese, allo sviluppo di un nuovo tipo di imprenditorialità sociale e ad un nuovo sistema di modalità di erogazione di servizi a forte contenuto valoriale e relazionale, in strutture e con modalità investite da intensi processi di innovazione e ripensamento organizzativo. Questo è avvenuto anche in settori dove gli elementi di rigidità istituzionale sono sempre stati particolarmente forti, come quello dell’assistenza e, in generale, dei servizi sociosanitari.

Questo processo evolutivo ha richiesto un ripensamento degli ambiti di intervento delle organizzazioni dell’economia sociale, attraverso soprattutto una maggiore complessità nella strutturazione di rapporti più evoluti e precisi con la pubblica amministrazione. Le nuove relazioni tra enti locali e organizzazioni non profit hanno permesso lo sviluppo di una pluralità di servizi sociali e assistenziali che sono stati parzialmente in grado di rispondere alle caratteristiche della domanda crescente e differenziata espressa dalle nuove dimensioni del disagio sociale.

Queste considerazioni devono sempre essere verificate in concreto nei vari contesti sociali e territoriali. Il lavoro di ricerca presentato in questo rapporto ha avuto lo scopo di valutare gli ambiti di intervento e le possibili linee di sviluppo dell’economia sociale, mettendo in

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rilievo le concrete leve operative a disposizione degli operatori pubblici e privati per rafforzare i percorsi di crescita dimensionale e qualitativa delle organizzazioni non profit.

Oggetto specifico della indagine è stata l’area URBAN II del Comune di Milano, un territorio che comprende parte delle zone 8 e 9 del decentramento amministrativo e che presenta, come sarà evidenziato nelle diverse parti del presente rapporto, caratteristiche peculiari nell’ambito delle periferie milanesi.

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1. L’area URBAN II nel contesto metropolitano milanese

1.1 Le caratteristiche dell’area URBAN II

Nell’intraprendere un percorso di analisi dei bisogni e della domanda di interventi e servizi nell’area interessata agli interventi previsti dal Progetto di Iniziativa Comunitaria URBAN II - finalizzato alla definizione delle possibili linee di azione a favore dello sviluppo delle organizzazioni dell’economia sociale – riteniamo utile riprendere il quadro conoscitivo contenuto nei documenti di partecipazione al bando comunitario e fissarne alcune dimensioni che saranno approfondite nel seguito del rapporto.

Dal punto di vista territoriale, l’area URBAN II rappresenta con i suoi 12,05 Kmq il 6,9% della superficie del Comune di Milano comprendendo i quartieri di Garegnano, Musocco, Certosa, Villapizzone, Vitalba, Quarto Oggiaro, Bovisasca e Bovisa. Dal punto di vista del decentramento amministrativo, l’area comprende parte dei territori delle zone 8 e 9 confinanti con i Comuni di Rho, Pero, Bollate e Novate Milanese.

La popolazione residente si distribuisce in 258 sezioni del censimento (sulle 5.825 della città) e raggiungeva nel 2001 le 53.121 unità (4,0% del totale cittadino).

Dal “minimum set” di indicatori di riferimento del contesto socioeconomico predisposto per la partecipazione al bando URBAN II riprendiamo alcuni valori rimandando al documento presentato per le fonti dei dati.

Tabella 1.1 Alcuni indicatori dal “minimum set” predisposto per il bando URBAN II

Indicatori di riferimento Valore per l’area URBAN

Valore per tutto il Comune di Milano

Abitanti 53.121 1.342.472 Superficie in Kmq 12,05 181,76 Tasso di disoccupazione 6,6% Numero Imprese per 1.000 abitanti 49,3 Percentuale di assistiti su popolazione totale 17,8% 12,5% Percentuale di popolazione straniera 5,9% Tasso di insuccesso scolastico 10,4% Quota popolazione laureata 5,5% Reati per 10.000 abitanti 255 Quota popolazione di età inferiore a 16 anni 11,50% Indice di vecchiaia 213,1% 210,2% Alloggio medio in mq per abitante 39,1 Quota spazi verdi su superficie totale 2,74% Lunghezza rete trasporti pubblici in km 30,45 5.970.588 Utenti annui trasporti pubblici 19.903.479 Lunghezza piste ciclabili 0 Medici per 1.000 abitanti 0,86 Numero soci di associazioni sportive e culturali 5.350 Stazioni hardware di accesso a Internet per il pubblico ogni 1.000 abitanti 0,09

Numero di PMI/professionisti con presenza sul web 102

Per caratterizzare il livello di omogeneità delle componenti ambientali, sociali ed economiche dell’area, la documentazione presentata faceva riferimento a:

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- la collocazione geografica (vicende degli insediamenti industriali lungo l’asse del Sempione);

- l’interclusione tra barriere infrastrutturali (portale di accesso delle grandi reti di comunicazione ferroviarie e autostradali);

- l’impatto dei processi di deindustrializzazione (abbandono dell’area delle industrie tessili, chimiche e meccaniche);

- le interazioni fra fattori causali della crisi e tendenze in atto (difficile accesso all’area delle imprese del nuovo terziario e scarso tessuto di imprese utilizzatrici dei servizi innovativi e avanzati);

- la percezione delle criticità nei quartieri dell’area (omogeneità relativa dei fattori di degrado della qualità urbana in termini di: problemi di traffico, mobilità, collegamenti con le altre parti della città, mancanza di aree verdi, di centri di aggregazione, presenza di fenomeni di criminalità, presenza di campi nomadi, degrado ed abbandono del patrimonio edilizio pubblico).

Una relativa omogeneità del territorio oggetto dell’intervento che trova riscontro in alcune tendenze strutturali:

1. la scarsa presenza attuale di attività manifatturiere (5,6% delle unità locali attive nell’area) in un contesto che ha vissuto nel passato la presenza di importanti attività industriali, dalla chimica al tessile;

2. la limitata presenza di iniziative science-based e imprese hi-tech, nonostante gli insediamenti universitari esistenti e l’inserimento nel contesto metropolitano milanese;

3. la presenza di sacche persistenti di criminalità che interessano un’ampia superficie dell’area e che rappresentano il 16% delle aree a rischio dell’intero territorio cittadino.

1.2 Le criticità percepite e i bisogni dell’area URBAN II

Nell’ambito degli Stati generali delle Periferie si sono tenute audizioni che hanno coinvolto oltre mille residenti dell’area oggetto dell’intervento e le principali associazioni presenti nei quartieri.

Si riporta una sintesi delle criticità e dei bisogni sociali che sono emersi durante queste audizioni e che rappresentano una prima indicazione per quanto concerne gli ambiti di intervento possibili per l’economia sociale e, soprattutto, la base di partenza per definire le linee di azione per favorire lo sviluppo delle imprese sociali attraverso servizi di carattere reale e finanziario.

Fra le tematiche emerse e che tracciano un quadro dei bisogni sociali dell’area si ricordano:

- le problematiche relative al degrado del patrimonio abitativo pubblico e alla presenza di grandi aree dimesse;

- le problematiche collegate al traffico e alla mobilità, sia come carenza nei collegamenti con il resto della città, sia come situazioni di congestione e inquinamento dovuto al transito di veicoli pesanti;

- la mancanza di aree verdi attrezzate e, in generale, di spazi di aggregazione e di socializzazione;

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- i conflitti sociali esistenti dovuti alla presenza di campi nomadi; - la presenza diffusa di forme di criminalità legate allo spaccio di stupefacenti e di

fenomeni di abusivismo nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica.

Si tratta di fenomeni che hanno assunto nel tempo un carattere di strutturalità e che indicano, nella loro drammaticità, l’esistenza di notevoli spazi per interventi dell’economia sociale in ambiti di bisogno multidimensionale e diffuso sul territorio.

1.3 L’area URBAN II nel contesto del disagio metropolitano

Le analisi condotte negli ultimi anni sul disagio sociale e sulla sua distribuzione spaziale sul territorio milanese1 consegnano all’attenzione degli operatori e degli studiosi una immagine della città sostanzialmente distinta i due grandi macro aree:

A. un’area centrale (corrispondente all’incirca al Centro Storico, alle aree semicentrali entro la cerchia dei Navigli, nonché alcune zone della cerchia esterna come Città Studi, Buenos Aires, Pagano-Monti) caratterizzata da un relativo benessere, con punte anche di elevata ricchezza reddituale e di condizioni abitative, con sacche di disagio in specifici contesti che coinvolgono soprattutto persone anziane o popolazione immigrata;

B. l’insieme delle zone che circondano l’area centrale che vedono un incremento degli indicatori di povertà e disagio allontanandosi dal centro. Si tratta di aree e quartieri che presentano una parte più o meno elevata della popolazione esposta ad una molteplicità dei fattori di rischio. Aree in cui esistono e spesso prevalgono zone di edilizia popolare degli anni ’50 e ’60 che formano quartieri-dormitorio o aree di degrado urbano con un livello generalmente carente di servizi pubblici e di spazi ricreativi e di socializzazione. Tuttavia, la popolazione che vive in questi quartieri presenta dinamiche di tipo misto e non univoco.

Quest’ultimo aspetto propende gli studiosi a parlare di assenza di fenomeni di vera e propria “ghettizzazione” del disagio sociale, quanto piuttosto, anche nelle aree periferiche, di una configurazione “a macchia di leopardo”, con maggiori concentrazioni dei livelli di povertà ed emarginazione in alcuni isolati che convivono o sono circondati da territori con condizioni di reddito e consumi più elevati, o meno negativi, rispetto ai precedenti.

Ai fini del presente rapporto di ricerca si pone la questione di come si colloca il territorio inserito nel programma URBAN II nel contesto delle periferie e più generale nell’ambito metropolitano e rispetto a quali variabili questo territorio presenti eventuali peculiarità analitiche e spazi di intervento specifici.

Un primo ordine di problemi si evidenzia in relazione ai confini dell’area stessa di intervento. Essa coinvolge, come abbiamo ricordato, parte delle zone 8 e 9 dell’attuale

1 Si vedano soprattutto la ricerca del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Milano-Bicocca, Atlante dei bisogni delle periferie, condotta nel 2000 per conto dell’Assessorato al decentramento e alle periferie del Comune di Milano e il volume a cura di Francesca Zajczyk (2003), La povertà a Milano. Distribuzione territoriale, servizi sociali e problema abitativo, FrancoAngeli, Milano, 2003. Per questo ultimo volume si rimanda soprattutto al capitolo 3, pagg. 27-51.

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decentramento amministrativo, oppure, riferendosi alla vecchia configurazione in 20 zone del territorio cittadino milanese, gran parte della ex-zona 20 (Vialba-Certosa-Quarto Oggiaro) e una più limitata porzione della ex-zona 7 (Bovisa-Dergano).

Le analisi sulla povertà e il disagio sociale milanese utilizzano come riferimento territoriale le vecchie zone del decentramento amministrativo e rendono in parte più agevole l’analisi dei fenomeni relativi all’area URBAN II, anche se il territorio della ex-zona 7 compreso nell’intervento è marginale rispetto alla dimensione complessiva della vecchia zona.

Con questa avvertenza metodologica procediamo nell’analisi riprendendo gli aspetti salienti delle indagini sulla povertà a Milano e la sua distribuzione territoriale.

Secondo l’analisi dell’Osservatorio sulla povertà urbana, le 20 zone del precedente decentramento amministrativo si possono classificare rispetto al valore che in ognuna di esse raggiunge un indicatore sintetico del disagio sociale, denominato indicatore di risorse-disagio2. Il valore di questo indicatore oscilla sul territorio milanese da un massimo pari a + 0,99 (ex-zona 1 Centro Storico) ad un minimo di – 0,72 (ex-zona 15 Chiesa Rossa-Gratosoglio), con una media cittadina centrata sullo 0. Valori negativi dell’indicatore esprimono quindi territori con maggiore presenza di aree e contesti sociali in condizioni di disagio, mentre valori positivi caratterizzano quartieri con relativo maggiore benessere economico e minori fenomeni di disagio.

Per la ex-zona 20 (Vialba-Certosa-Quarto Oggiaro) l’indicatore è significativamente negativo (- 0,52) e colloca quest’area immediatamente a ridosso delle zone cittadine con maggiore diffusione della povertà e fenomeni di disagio come, oltre alla ex-zona 15, la ex-zona 13 (Forlanini-Ponte Lambro) e la ex-zona 8 (Affori-Bruzzano-Comasina), con valori sostanzialmente simili alle ex-zone 18 (Baggio-Forze Armate), 16 (Barona) e 9 (Niguarda-Cà Granda). Lievemente meno negativo è il valore dell’indicatore per la ex-zona 7 (Bovisa-Dergano) che è stimato ad un livello di – 0,35.

Se questa è la rappresentazione sintetica del fenomeno della povertà a livello cittadino, un ulteriore elemento di riflessione può essere portato dall’analisi della distribuzione della popolazione residente nelle singole sezioni del censimento (oltre 5.800) e per zona rispetto all’intensità del fenomeno del disagio (dallo stato di povertà evidente classificato come “disagio grave”, al “disagio medio”, a quello “potenziale” fino alla valutazione della presenza di un livello sufficiente di risorse.

Fatte pari a 100 le sezioni del censimento, a livello cittadino esse presentavano una distribuzione per grado di disagio di questo tipo:

- 75,1% sezioni con popolazione residente che disponeva di “risorse sufficienti”; - 11,1% sezioni con popolazione residente in condizioni di “disagio potenziale”; - 9,0% sezioni con popolazione residente in situazione di “disagio medio”; - 4,8% sezioni con popolazione residente in situazione di “disagio grave” o stato

evidente di povertà.

2 Per la descrizione dell’indicatore e delle variabili che esso sintetizza si rimanda al testo a cura di Francesca Zajczyk citato nella nota precedente.

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A livello di ex-zona 20 (Vialba-Certosa-Quarto Oggiaro) la distribuzione delle sezioni del censimento era la seguente:

- 58,4% sezioni con popolazione residente che disponeva di “risorse sufficienti”; - 16,6% sezioni con popolazione residente in condizioni di “disagio potenziale”; - 13,7% sezioni con popolazione residente in situazione di “disagio medio”; - 11,3% sezioni con popolazione residente in situazione di “disagio grave” o stato

evidente di povertà.

A livello di ex-zona 7 (Bovisa-Dergano) la distribuzione delle sezioni del censimento era, invece, la seguente:

- 67,6% sezioni con popolazione residente che disponeva di “risorse sufficienti”; - 21,3% sezioni con popolazione residente in condizioni di “disagio potenziale”; - 10,3% sezioni con popolazione residente in situazione di “disagio medio”; - 0,7% sezioni con popolazione residente in situazione di “disagio grave” o stato

evidente di povertà.

Il quadro che emerge da questa classificazione permette di rilevare che la ex-zona 20 vedeva una situazione rilevante di presenza di popolazione in condizioni di effettivo disagio o povertà: il 25% delle sezioni avevano, infatti, una popolazione residente in situazione di grave o medio disagio, rispetto al 13,8% della media cittadina. Inoltre, solo il 58,4% delle sezioni presentavano una popolazione residente con “risorse sufficienti”. L’alto livello della popolazione in condizioni effettivo di disagio (medio o grave) unito alla bassa percentuale di popolazione con risorse sufficienti indicava un contesto caratterizzato da una condizione di difficoltà diffusa sul territorio.

La ex-zona 20 veniva quindi valutata come un’area di disagio “particolarmente estesa”, caratterizzandosi come “un quartiere dormitorio noto per il livello di degrado ambientale e sociale in cui versano abitazioni, abitanti e strutture di servizi.”3

La situazione della ex-zona 7 era indubbiamente migliore, soprattutto in relazione all’incidenza quasi nulla della popolazione in condizioni di “disagio grave”. Tuttavia, le analisi dell’Osservatorio indicavano in oltre il 20% il numero delle sezioni che avevano una popolazione residente in un una condizione di “disagio potenziale”, indicando la presenza di tendenze evolutive verso un sostanziale e strutturale peggioramento del benessere sociale dei quartieri della zona.

Un ulteriore approfondimento è stato, infine, condotto andando a confrontare alcuni indicatori sociali e economici nelle diverse zone della città.

Per motivi di sintesi riportiamo nella tabella seguente solo gli indicatori per le ex-zone 20 e 7 e li poniamo a confronto con i valori medi per tutto il territorio comunale.

3 Ibidem, pag. 34.

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Tabella 1.2 Confronto fra le medie degli indici delle ex-zone 7 e 20 e le medie per la città di Milano Case

popolari DisoccupazioneFamiglie in

difficoltà occupazionale

Indice di reddito

Indice di istruzione

Stanze disponibili

Ex-zona 7 0,8 10,0 30,6 21,5 7,9 1,3 Ex-zona 20 15,6 11,2 32,9 21,1 7,9 1,4 Valore cittadino 7,9 9,4 29,8 23,8 8,8 1,5

Senza entrare nel merito delle diverse unità di misura adottate per costruire gli indici riportati, la tabella precedente consente di connotare ulteriormente le caratteristiche salienti del disagio sociale e delle sue origini con riferimento all’area dell’intervento URBAN II. Un disagio che è sicuramente ascrivibile alle difficoltà di ordine economico (livello del reddito, disoccupazione, famiglie in difficoltà occupazionale), ma che trova origine anche nella caratterizzazione edilizia dei quartieri (edilizia popolare degli anni ’50 e ’60) e nei minori livelli di istruzione della popolazione rispetto al resto della città4.

Le analisi dell’Osservatorio sulla povertà e dell’Atlante sui bisogni delle periferie consentono, in conclusione, di caratterizzare in misura ulteriore e più precisa le problematiche di ordine sociale, economico ed abitativo che investono in maniera strutturale e per certi versi “storica” l’area oggetto del PIC URBAN II

E’ solo a partire da queste analisi e dai bisogni emergenti espressi dalla popolazione del territorio che l’attuazione di interventi di sviluppo economico e sociale e forme di sostegno all’economia sociale, può avere quel carattere di incisività e di risposta effettiva a reali domande sociali che ne rappresentano la prima condizione di successo, in termini di attuazione, e di efficacia reale, in termini di valutazione ex-post degli stessi.

4 Le ex-zone del decentramento con i valori più bassi dell’indice di istruzione hanno presentato grandezze simili attorno a 7,7-7,8.

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2. I fattori di disagio sociale nell’area metropolitana milanese 2.1 Il Primo dossier regionale sulla povertà in Lombardia

Il Primo dossier Caritas5 sulla povertà in Lombardia, pubblicato nel maggio del 2005, raccoglie i risultati della ricerca svolta dall’Osservatorio regionale delle Caritas lombarde su questo fenomeno. Questo lavoro si inserisce nel progetto più ampio di lettura del disagio sociale a livello nazionale e di costruzione di una rete diffusa di Centri di Ascolto e di Osservatori delle povertà e delle risorse.

Con il Dossier lombardo Caritas si è posta l’obiettivo di disporre di uno strumento di analisi delle forme di povertà presenti sul territorio regionale capace di interpretare, sia i bisogni specifici, indipendentemente dalla loro esplicitazione, sia i contesti sociali ed economici dove il disagio e l’emarginazione si sviluppano. Una attenta lettura della realtà sociale ed economica lombarda, dunque, che sia in grado di fornire “la base per una riflessione pastorale sull’evoluzione delle situazioni di povertà e del sistema di risposte attivato dalle istituzioni e dal privato sociale.”

Il Rapporto ricorda nelle prime pagine come nel 2002 l’ISTAT abbia valutato la presenza sul territorio lombardo del 3,9% di famiglie in condizioni di povertà sul totale delle famiglie residenti, pari ad un totale di circa 350.000 persone6. Questa valutazione deriva dall’applicazione di una soglia di povertà oggettiva e standard basata sul livello dei consumi. Lo stesso istituto di statistica riconosce, tuttavia, i limiti di approcci oggettivi al fenomeno povertà. Secondo ISTAT occorre tenere presente, nel valutare le diverse forme di povertà, che “la definizione di povertà non si esaurisce nella carenza di risorse monetarie, ma riguarda una pluralità di dimensioni di natura sociale e culturale che, peraltro, non si associano necessariamente alla deprivazione in termini strettamente monetari.” Oltre ad indicatori sui livelli di consumo e sui redditi disponibili, è necessario disporre, seguendo questo approccio, di misure e valutazioni di carattere “soggettivo” che offrano informazioni sulla percezione del disagio da parte delle famiglie.

Lo sforzo analitico ed interpretativo di Caritas segue questo suggerimento e definisce le problematiche della povertà partendo dalle informazioni raccolte dai Centri di Ascolto sulla base dei bisogni sociali espressi dalle persone in condizioni di difficoltà che ad essi si rivolgono in tutte le Diocesi lombarde. Si tratta di un approccio al tema povertà che parte dai bisogni espressi, piuttosto che da un’analisi di ordine quantitativo delle variabili correlate con le dimensioni della povertà.

Per quanto riguarda il territorio metropolitano milanese, l’indagine si focalizza sull’attività svolta nel corso del 2003 dal Centro di Ascolto di S.Maria del Suffragio nel decanato Romana Vittoria in Via Bovesin de la Riva, in una zona ad est del Centro storico.

5 Delegazione Caritas della Lombardia (a cura di), Primo dossier regionale sulla povertà in Lombardia, I quaderni della delegazione lombarda, numero 2, maggio 2005. 6 ISTAT, La povertà e l’esclusione sociale nelle regioni italiane – anno 2002, Statistiche in breve, dicembre 2003.

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Nell’anno di rilevazione le persone che sono transitate dal Centro di Ascolto sono state 279 con una netta prevalenza di donne (81,4%) e di stranieri (55,9%). La numerosità della componente femminile è spiegata dal fatto che le donne si fanno molto spesso portavoce dei bisogni familiari, oltre che dei propri. Accanto a questo aspetto si ricorda come la città di Milano veda una presenza crescente di donne straniere che cercano di accedere al mercato del lavoro, soprattutto nell’ambito dell’assistenza alle persone anziane.

Fra gli stranieri si è rilavata una preponderanza di persone provenienti dall’America Latina e in particolare da Perù e Ecuador.

La variabile che distingue maggiormente le diverse tipologie di utenti del Centro di Ascolto è sicuramente quella dell’età: le persone anziane sono tipicamente italiane, spesso in condizioni di vedovanza e solitudine, mentre gli stranieri sono presenti soprattutto nelle classi di età centrali (35-60 anni) e sono in maggioranza coniugati.

In merito ai bisogni evidenziati, quasi i due terzi delle persone in difficoltà (62%) esprimono la richiesta di una occupazione, mentre i problemi legati a situazioni di malattia sono indicati in misura minore, ma significativa (14%).

Secondo Caritas “nella diocesi i problemi che emergono più di tutti sono quelli relativi alla mancanza di reddito e all’abitazione. Le problematiche abitative si stanno amplificando, per via dei crescenti aumenti del costo della casa.”

Problemi tipicamente espressi da persone italiane sono quelli relativi allo stato di salute e quelli relazionali e familiari. Gli italiani chiedono con maggiore frequenza sostegno personale e sussidi economici che vengono erogati dagli operatori secondo specifici e precisi criteri. Interventi in campo sanitario (medicine e servizi di trasporto/sostegno per visite mediche) sono richiesti quasi esclusivamente da italiani, anche perché le persone straniere possono contare su servizi specificamente indirizzati a loro da organizzazioni come l’Opera San Francesco e il NAGA.

Per gli stranieri i bisogni espressi attengono soprattutto alla condizione lavorativa, anche in relazione alla normativa sul permesso di soggiorno.

In conclusione, pur essendo localizzato in una zona relativamente centrale ed economicamente e socialmente privilegiata rispetto ad altri contesti cittadini, il Centro di Ascolto del decanato Romana Vittoria oggetto dell’indagine presenta un utenza con problematiche diversificate non dissimili da quelle riscontrabili in ambiti di maggiore degrado e disagio sociali. Le crescenti richieste di sostegno economico da parte delle persone anziane e non in condizione lavorativa, stranieri e soprattutto italiani, indicano l’emergenza di fenomeni diffusi e strutturali di disagio economico che interessano in misura evidente il territorio metropolitano milanese.

2.2 L’analisi dell’Osservatorio sulla povertà urbana dell’Università Bicocca

In questo paragrafo riprenderemo alcune valutazioni sulle caratteristiche e sulla distribuzione territoriale della povertà sul territorio milanese che sono contenute in alcuni

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lavori del gruppo di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università Bicocca. Presso il Dipartimento è attivo un Osservatorio sulla povertà urbana7 che è stato promotore di numerose indagini sul disagio metropolitano8.

Tratto comune di questi lavori è una impostazione metodologica al tema della povertà in grado di analizzare e sintetizzare i numerosi aspetti che compongono questa condizione. Se le loro indicazioni indicano in circa il 15% della popolazione milanese residente la quota di soggetti in condizione di disagio sociale effettivo, circa 200.000 abitanti, gli stessi autori stimano l’esistenza di altre 140.000 persone in condizioni di disagio potenziale, “ovvero condizioni sociali precarie, non di vero e proprio disagio, ma comunque di carenza di risorse tali da determinare e favorire quantomeno condizioni di vulnerabilità sociale.”9

Le persone con scarse o pressoché nulle disponibilità di risorse sono invece valutate nel 5% della popolazione residente (poco più di 80 mila soggetti).

Secondo queste valutazioni, basate su un’attenta analisi degli indicatori economici e sociali disponibili nell’ambito della ricerca sociale sulla città di Milano, all’inizio del XXI secolo poco meno di un quarto della popolazione residente si trovava quindi in condizioni di disagio effettivo o in condizioni sociali relativamente precarie.

Quali sono, secondo le analisi dei ricercatori della Bicocca, le cause principali delle dimensioni e delle caratteristiche del disagio sociale? E, soprattutto, quali caratteristiche presenta la dimensione “povertà” sul territorio metropolitano milanese?

La povertà che caratterizza il territorio milanese appare sempre più di tipo “strutturale”, strettamente connessa con tendenze e fenomeni non contingenti che caratterizzano l’intera società italiana ed anche Milano10.

Queste tendenze sono così sintetizzabili:

− i cambiamenti demografici (invecchiamento della popolazione, aumento della speranza di vita, diminuzione della natalità);

− l’evoluzione degli stili di vita nella direzione di un crescente indebolimento delle reti familiari e sociali di riferimento e sostegno;

− le trasformazioni della famiglia e nelle relazioni affettive con l’incremento dei nuclei familiari con un solo genitore con figli, delle convivenze, delle famiglie “ricostituite”;

7 L’Osservatorio sulla povertà urbana opera presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca sotto la direzione scientifica di Enzo Mingione e Francesca Zajczyk. Il coordinamento delle iniziative è di David Benassi. 8 Tra le ricerche effettuate dai ricercatori e collaboratori del Dipartimento si ricordano: Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università di Milano-Bicocca, Atlante dei bisogni delle periferie milanesi, dicembre 2000; Benassi D., Kazepov Y., Zajczyk F., Politiche sociali e metodi di indagine: la povertà a Milano, in Mingione E. (a cura di) (1999) , Le sfide dell’esclusione: metodi, luoghi, soggetti. Verso una riforma del welfare in Italia, Il Mulino, Bologna; Mingione E., Zajczyk F., Le nuove povertà urbane in Italia: modelli di percorsi a rischio nell’area metropolitana milanese, in Inchiesta, numeri 97-98, Luglio-Dicembre 1993; Mingione E., Modello Sud europeo di welfare, forme di povertà e politiche contro l’esclusione sociale, in Donati P. (a cura di), il welfare della società civile, Sociologia e Politiche Sociali, anno 3, n.1, 2000. 9 Si veda Zajczyk F. (2003), La povertà a Milano, cit., pagina 141. 10 Cfr. Zajczyk F. (2003), cit., pag. 139.

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− il fenomeno, prima sconosciuto nel nostro paese, dell’immigrazione straniera con le problematiche economiche e sociali conseguenti, a partire dagli aspetti relativi al rilascio e al rinnovo dei permessi di soggiorno (questione occupazionale), ai ricongiungimenti familiari, ai problemi abitativi, fino ad arrivare agli impatti del fenomeno sul sistema educativo e sulla distribuzione delle risorse nell’ambito delle politiche sociali;

− le profonde trasformazioni del sistema produttivo e del mercato del lavoro con l’emergere e il progressivo affermarsi della flessibilità come “paradigma” dell’accesso e della permanenza nella condizione lavorativa, con la diffusione delle diverse tipologie di contratti atipici e di forme di impiego occasionali, intermittenti, meno tutelate da un punto di vista salariale, contributivo e sindacale rispetto ai tradizionali contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato.

Risultano questi gli elementi che accompagnano e determinano i percorsi di esclusione delle categorie considerate a maggiore rischio di disagio sociale e che secondo gli studi del Dipartimento di Sociologia della Bicocca sono principalmente le seguenti:

− anziani e anziani soli caratterizzati da crescenti livelli di isolamento sociale; − l’area del crescente disagio giovanile: giovani soli con bassi livelli di istruzione e

specializzazione professionale, nuclei familiari giovani con figli piccoli, famiglie numerose costituite in particolare da stranieri;

− donne, in particolare donne anziane e appartenenti a nuclei monogenitoriali formati quasi sempre dalla coppia madre/figlio o da madre/figli;

− famiglie con a carico individui portatori di grandi problemi come la disabilità, la tossicodipendenza e la non autosufficienza.

In conclusione, l’intersecarsi di fenomeni strutturali e di percorsi di esclusione sociale con le categorie più a rischio e/o meno tutelate dal sistema attuale di welfare, rende le problematiche della povertà diffuse e presenti anche in contesti di relativo benessere economico come la realtà metropolitana milanese. E a questo elemento di analisi occorre aggiungere che queste problematiche siano destinate ad accrescersi ulteriormente nei prossimi anni.

Se le dimensioni qualitative e quantitative del fenomeno povertà appaiono, quindi, sempre più strutturali e intrinseche alle società post-industriali, anche i bisogni e le domande sociali che originano dai gruppi sociali maggiormente esposti ai rischi di emarginazione assumono caratteri specifici e non semplicemente emergenziali. La domanda sociale delle categorie e delle aree a rischio o coinvolte nel disagio sociale appare connotata dagli elementi:

− della strutturalità, non dalla contingenza. Elemento che impone la messa in azione di politiche, sociali e non solo, di lungo periodo, in grado di incidere sui fattori concreti e continui che determinano i percorsi di esclusione sociale;

− della multidimensionalità. I fenomeni sociali di fondo che sono stati ricordati in precedenza comportano la messa in discussione di approcci prettamente economici al disagio, basati sugli strumenti tradizionali di sostegno al reddito e sulle politiche di sviluppo del sistema delle imprese locale. Si può anzi affermare che il sostegno al reddito e al sistema delle imprese (dell’economia sociale o del settore for profit) sia una condizione necessaria, ma non sufficiente per affrontare una domanda sociale che

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coinvolge una pluralità di aspetti (dagli spazi di socializzazione alla cura del verde e dell’arredo urbano, dall’abitazione alle nuove forme di animazione sul territorio, dalla sicurezza del territorio all’integrazione culturale, dalla fruibilità delle strutture sportive e dei servizi culturali territoriali alla assistenza domiciliare destinata ai soggetti deboli o emarginati).

2.3 Il Quinto Rapporto sulle povertà nella Diocesi di Milano

L’impegno della Caritas Ambrosiana nell’ambito dell’analisi della povertà sul territorio milanese è un elemento consolidato ed una utile fonte di indicazioni. La recente pubblicazione del Quinto Rapporto sulle povertà nella Diocesi di Milano11 conferma questo impegno analitico e il ruolo di frontiera e di cerniera nell’offerta dei servizi assunto nel tempo dai Centri di Ascolto di questa realtà diocesana.

Al centro del Quinto Rapporto vi sono i risultati delle indagini svolte da 62 Centri di Ascolto della Caritas Ambrosiana (di cui 22 nel Comune di Milano) e dagli altri servizi che erogano interventi per le categorie deboli e in condizioni di disagio come il SAI12, il SAM13 e il SILOE14.

Secondo Caritas, “la ricerca costituisce un’analisi primaria, in cui i dati derivano direttamente dall’incontro con le persone in condizioni di povertà” e soprattutto “consente di monitorare anche i bisogni di quelle persone sulle quali non è possibile avere informazioni circa il reddito o i consumi, perché appartenenti a quelle quote di popolazione “sommersa”. Quella quota di popolazione in condizioni di disagio che, in altri termini, tende a sfuggire ad indagini su queste problematiche.

La ricerca Caritas è di tipo campionario e prende come riferimento un gruppo di Centri di Ascolto diocesani e la loro utenza durante il 2005.

Rispetto alla rilevazione del 2001 i dati salienti dell’ultimo Rapporto sulla povertà possono essere indicati nei seguenti:

− un sensibile incremento nel numero assoluto delle persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto;

− la prevalenza fra gli utenti del servizio di persone straniere (oltre il 75%) e della componente femminile (67,8%);

11 Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse della Caritas Ambrosiana, Quinto Rapporto sulle povertà nella Diocesi di Milano. 12 Il SAI è il Servizio Accoglienza Immigrati di Caritas Ambrosiana e svolge servizi di orientamento all’accoglienza notturna temporanea e su progetto, orientamento lavorativo, consulenza legale (permessi di soggiorno e ricongiungimenti familiari) e orientamento ai servizi territoriali. Ha sede in Via Galvani, 16 a Milano. 13 Il SAM Servizio Accoglienza Milanese di Caritas è nato nel 1984 e si rivolge a persone gravemente emarginate e senza dimora di cittadinanza italiana. Offre servizi di accoglienza e accompagnamento ai servizi sociosanitari, informazione sui servizi territoriali e sulle strutture esistenti e definisce progetti di reinserimento. Ha sede in Via Bergamini, 10 a Milano. 14 Il SILOE Servizi integrati lavoro orientamento educazione promosso da Caritas si occupa di servizi formativi di orientamento e di supporto alla ricerca del lavoro e ha sede in Via S.Sofia, 11/b a Milano.

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− una diminuzione del numero di stranieri irregolari (senza permesso di soggiorno o con permesso scaduto) rispetto all’insieme degli stranieri (meno del 27%);

− fra gli stranieri prevalgono sempre quelli provenienti dall’America Latina, in particolare da Ecuador e Perù. Si osserva che sia aumentato, tuttavia, il numero di stranieri provenienti dall’Europa dell’Est (specie da Ucraina e Romania);

− per quanto riguarda l’età delle persone che si rivolgono alla Caritas, accanto al fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione, il Rapporto sottolinea che le persone appartenenti alle classi di età centrali siano esposte in misura crescente al rischio di difficoltà, soprattutto dal punto di vista economico. Questo elemento può essere colto anche analizzando il livello di scolarità delle persone disagiate: si registra la crescita dei laureati e dei diplomati a discapito delle persone con solo la licenza elementare;

− dal punto di vista dello stato civile, rispetto al 2001 il Rapporto indica una crescita delle persone separate, divorziate o vedove. Fenomeno che interessa soprattutto gli uomini;

− come nel 2001 le persone disagiate che arrivano ai servizi Caritas sono in netta prevalenza disoccupate da breve tempo (oltre il 43%);

− a livello di bisogni evidenziati dalle persone oggetto della rilevazione, ai primi posti sono indicate le problematiche occupazionali e quelle relative al reddito, con una crescita negli ultimi anni di quest’ultima fonte di disagio sociale. Seguono le problematiche abitative, quelle degli stranieri e, in misura minore, quelle relative ai bisogni familiari e ai problemi di salute, che sono tipiche condizioni dell’utenza italiana nei centri di Ascolto;

− la richiesta più frequente che viene rivolta alle strutture territoriali è quella della ricerca di una occupazione (il 60% delle richieste dei soggetti), mentre sono indicate in crescita le richieste di beni materiali e servizi (21,4%) e degli stessi sussidi economici (6,3%);

− di fronte a richieste crescenti e espressione di gravi problematiche di disagio sociale, la rete dei servizi Caritas offre forme diversificate di intervento, a partire dal sostegno personale fino ad arrivare alla messa a disposizione di beni materiali e servizi. Le risposte alle numerose richieste di lavoro consistono soprattutto in consulenze e orientamento ai servizi territoriali. Il Rapporto segnala, comunque, un maggior intervento nell’ambito della fornitura di beni materiali.

Dal Rapporto Caritas emerge quindi un quadro variegato delle diverse condizioni di disagio sociale presenti sul territorio milanese. Negli ultimi anni viene segnalato da diversi parametri un aumento della precarietà e della fragilità sociale che si traduce in una crescita delle richieste di intervento e di sostegno economico espressa, oltre che dagli stranieri, da persone italiane di età più avanzata o con problematiche familiari e lavorative rilevanti.

L’analisi di Caritas ha il pregio di monitorare costantemente il fenomeno della povertà e di mettere in giusto rilievo i cambiamenti di carattere strutturale prima ricordati. Il disagio sociale e la povertà si confermano tendenze trasversali e crescenti, i cui confini definitori e territoriali sembrano allargarsi a livello metropolitano.

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2.4 Disagio sociale e abitativo nell’analisi del Piano di Zona 2006-2008

2.4.1 Il disagio sociale

Il PDZ 2006-2008 conferma l’impostazione analitica del precedente Piano basata sulla mappatura del disagio sociale in funzione di indicatori costruiti a partire dalle variabili sociali e d economiche rilevabili attraverso le diverse fonti statistiche utilizzate (ISTAT, Aler, Servizio statistica del Comune di Milano, banche dati del sistema camerale).

Secondo l’analisi contenuta nel PDZ, la mappa del disagio sociale, a differenza di altre realtà metropolitane europee e americane, “evidenzia che la distribuzione spaziale del disagio sociale a Milano non assume una vera e propria configurazione di quartiere ghetto.”15 Esistono delle microaree dove maggiore è la concentrazione del disagio, tuttavia, si tratta di aree relativamente piccole e confinanti con altre con caratteristiche economiche e sociali molto diverse e miste. Più che di ghetti urbani, la realtà milanese del disagio è rappresentabile come un tessuto a macchia di leopardo con concentrazioni critiche più estese e rilevanti in alcuni isolati periferici. Le forme di disagio sono più concentrate nelle aree periferiche dove la popolazione è mista e dinamica e i soggetti a rischio non costituiscono mai una percentuale troppo elevata.

Le stime sulla povertà analizzate in precedenza hanno conseguenze di ordine sociale ed economico che devono essere valutate come critiche e comunque oggetto di interventi di riequilibrio.

Nella stessa parte del PDZ relativa al disagio sociale sono ricordati gli interventi messi in atto negli ultimi anni a favore dello sviluppo economico e sociale delle aree urbane più marginali e problematiche.

Per interventi di riqualificazione di alcuni quartieri degradati e caratterizzati da scarsa coesione sociale, disagio abitativo e occupazionale diffuso, nell’ambito del Programma Nazionale Contratti di Quartiere II, sono stati ottenuti 140 milioni di Euro per finanziamenti a 5 progetti (Gratosoglio, Mazzini, Molise-Calvairate, Ponte Lambro e San Siro). Con questi interventi si prevede di dotare le aree interessate ai progetti di servizi come il portierato sociale e un Centro Multiservizi Anziani, nonché di infrastrutture a carattere abitativo come i mini alloggi protetti per gli anziani.

Un altro versante di intervento sono le azioni promosse dai cinque programmi attuativi dell’articolo 14 della legge 266/9716. I quartieri interessati dai programmi attuativi sono distribuiti in tutta la città, con l’esclusione della zona 1 Centro. Per la zona 8 sono interessati quartieri di Quarto Oggiaro, Vialba Certosa, Villapizzone Gagnola, mentre per la zona 9 quelli di Bovisa, Bruzzano Comasina, Niguarda/Cà Granda.

Nel triennio 2002-2005 sono stati indetti bandi per l’erogazione di agevolazioni alle piccole imprese e per la realizzazione di servizi ed interventi di sostegno all’imprenditoria

15 Cfr. Città di Milano, Piano di Zona degli interventi e dei servizi sociali 2006-2008, pag. 38. 16 Questi programmi, finanziati dal Ministero delle Attività Produttive, hanno l’obiettivo di contribuire a superare le situazioni di crisi e di disagio sociale a livello locale attraverso il sostegno e lo sviluppo della piccola impresa. I criteri con i quali individuare le aree oggetto di possibili finanziamenti sono stati definiti dal DM 225/98.

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minore17. Con i bandi sono state finanziate oltre 300 imprese per un ammontare complessivo di 13,7 milioni di Euro di erogazioni che hanno permesso la realizzazione di investimenti per 31,4 milioni di Euro.

Nel dicembre del 2005 è stato presentato un ulteriore Bando di finanziamento alle piccole imprese secondo le modalità previste dall’articolo 72 della legge finanziaria del 2003 per importi complessivi di 8,3 milioni di Euro di cui 1,5 destinati a progetti imprenditoriali nelle 5 aree interessate ai Contratti di Quartiere.

Sono ricordati, infine, gli interventi di collaborazione con università, enti di ricerca ed associazioni di categoria finalizzati alla implementazione sul territorio cittadino di incubatori e acceleratori di imprese, trai quali il progetto “Hi-Tech” nella nuova sede universitaria di Milano Bovisa.

L’impostazione di questa parte del PDZ di Milano incentrata sul fenomeno del disagio contiene una indicazione politica di fondo: lo stretto legame esistente tra misure e interventi a favore del sistema delle imprese e contrasto alle forme di disagio sociale. Una visione che confina la dimensione del disagio ad una lettura prevalentemente economica e che privilegia come strumento di intervento soprattutto il sostegno all’imprenditorialità.

2.4.2 Il disagio abitativo

Per quanto concerne il disagio abitativo, l’analisi contenuta nel PDZ parte necessariamente dalla valutazione dei livelli elevati dei canoni di locazione rilevati in città, nonostante alcuni elementi di freno e riduzione degli importi registrati a partire dal 2003 in alcune zone cittadine.

Per affrontare il problema abitativo il Comune di Milano si è posto l’obiettivo della realizzazione di 20.000 nuovi alloggi sul territorio comunale attraverso interventi dello stesso comune, di Aler e di soggetti privati. Le fonti di finanziamento di derivazione pubblica dei progetti sono state individuate nelle risorse dei Contratti di Quartiere II e nel Programma Regionale per l’Edilizia Residenziale Sociale (PRERS).

Un totale di 1.200 alloggi in 8 quartieri di edilizia sociale è previsto nell’ambito del programma comunale per l’edilizia residenziale pubblica. Alloggi destinati ad una utenza esclusa dal mercato libero degli affitti a causa dei prezzi elevati e che avranno canoni di locazione sociali.

Di fronte a questi interventi la domanda di alloggi di edilizia popolare si mantiene elevata. Dalla Graduatoria di Bando per l’assegnazione di una casa popolare pubblicata nel 2004 si possono estrapolare i seguenti dati:

− il numero delle domande complessive è pari a 16.719 unità; 17 Sono stati previsti 3 bandi distinti: − Bando “Iniziativa di supporto alle nuove idee imprenditoriali” − Bando per l’erogazione di contributi in conto interessi − Bando per l’assegnazione di agevolazione alle piccole imprese.

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− in 1.681 casi (10,05%) si tratta di domande presentate da persone anziane e tra queste 981 sono relative ad anziani soli, 139 a anziani invalidi, 115 ad anziani invalidi e soli;

− 674 (4,03%) sono le domande di invalidi non anziani; − 2.714 (13%) sono le domande di persone sole con minori; − 356 (2,13%) le domande di persone sole con invalidi; − 4.934 (29,5%) le domande di persone sole; − 557 (3,3%) le domande relative a famiglie di nuova formazione.

Nell’ambito del disagio abitativo è necessario ricordare anche il sostegno dei servizi sociali comunali a persone in condizioni di difficoltà per il pagamento del canone di affitto stipulati generalmente in ambito privato. I nuclei familiari che hanno beneficiato di questi contributi economici sono cresciuti da 5.989 unità nel 2003 a 6.123 nel 2004, mentre l’impegno economico del Comune di Milano è salito da 7.030.680,86 Euro del 2003 a 10.186.641,18 Euro nel 2004 con una crescita del 44,9%. Il contributo medio annuo per nucleo familiare è passato da 1.174 Euro nel 2003 a 1.664 Euro nel 2004.

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3. Le politiche sociali in Lombardia e a Milano

3.1 Le politiche sociali in Lombardia

Gli interventi dell’economia sociale, in Lombardia come in tutto il paese, sono attivati nell’ambito delle responsabilità istituzionali che i diversi attori pubblici hanno nell’approntare un sistema di servizi alla persona, specie nelle situazioni in cui siano presenti condizioni di disagio ed emarginazione: i Comuni e, in misura minore con azioni di coordinamento, formazione e studio, le Province rappresentano il perno delle politiche sociali attraverso l’erogazione di servizi nei diversi ambiti e il coinvolgimento dei soggetti privati nei processi di programmazione ed intervento; la Regione ha il compito di indirizzo e programmazione in ambito sociale e sanitario e di gestione dei servizi sanitari, integrandone i servizi con quelli attivati dagli altri soggetti che operano in ambito sociale, attraverso la definizione dello strumento del Piano di Zona, previsto dalla Legge 328/2000, definito e approvato dai Comuni associati nell’ambito territoriale.

La Regione Lombardia, soggetto responsabile della definizione delle politiche sociali sul proprio territorio, ha scelto una via particolare nella definizione del proprio modello di welfare e nell’applicazione della Legge 328. In primo luogo, la Regione Lombardia non si è dotata di una legge regionale quadro sulla definizione del sistema e degli interventi sociali, ma ha adottato uno strumento programmatorio che integra gli aspetti sociali e sanitari (Piano Socio Sanitario Regionale) al quale sono seguite delibere di Giunta relative agli aspetti sanitari, nonché alla distribuzione delle risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e al processo di definizione dei Piani di Zona.

Il PSSR lombardo è un documento che quindi raccoglie, sia il Piano Sanitario regionale previsto dal Decreto Legislativo 229/99, sia il Piano Sociale regionale previsto dalla Legge 328/2000. Con questo strumento la Regione ha scelto un percorso di integrazione delle programmazioni sanitarie e sociali.

La stessa Regione Lombardia è intervenuta con atti legislativi in settori a forte valenza sociale con leggi specifiche sui minori (legge regionale 34/2004 “Politiche regionali per i minori”) e sulla famiglia (legge regionale 23/1999 “Politiche regionali per la famiglia”), mentre nell’ambito del disagio psichico è stato approvato nella scorsa legislatura il Piano per la salute mentale.

Delibere di Giunta Regionale hanno ripartito dal 2001 il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, definito i contenuti e le procedure attuative dei Piani di Zona e delle leggi regionali di settore (dipendenze, minori, handicap, stranieri). A queste si sono aggiunte circolari esplicative che hanno precisato e fornito indirizzi per l’attuazione di specifiche politiche sociali nell’ambito dei Piani di Zona.

Il PSSR lombardo compie una precisa scelta in ordine al modello di sistema sanitario, sociosanitario e sociale18: un modello centrato sul mercato, ispirato a criteri

18 Una approfondita analisi del modello di welfare lombardo è contenuta nella ricerca IRS “Politiche sociali di centro-destra. La riforma del welfare lombardo” a cura di Cristiano Gori e pubblicata da Carocci nel 2006. A questa raccolta rimandiamo per l’analisi dei diversi aspetti delle riforme del welfare sviluppate a partire

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prevalentemente economici tipici di una logica di separazione tra fornitori e acquirenti dei servizi, dove “l’obiettivo primario sembra essere la vendita di servizi e lo strumento mediante il quale raggiungere l’obiettivo sia la libera e massima concorrenza nel rapporto con gli enti gestori.”19 Si tratta di un modello istituzionale ed organizzativo che:

− assume come criterio guida in tutte le fasi di programmazione, definizione degli interventi e loro erogazione quello del mercato;

− enfatizza la separazione tra le diverse funzioni di governo dei servizi e quelle di erogazione/gestione degli stessi.

Una simile impostazione tende necessariamente a sottovalutare gli aspetti attinenti ad una progettualità centrata su una visione unitaria della persona e delle diverse problematiche ad essa relative. Oggetto degli interventi è quindi una persona definita dalla sommatoria dei problemi che esprime e destinatario di prestazioni plurime prodotte dai diversi soggetti operanti sul mercato dei servizi, non un soggetto globale, unitario e titolare dei diritti di cittadinanza.

A questo elemento si aggiunge l’enfasi posta nell’impostazione regionale sul concetto di libertà di scelta del cittadino tra i diversi erogatori, pubblici e privati, dei servizi. Libertà di scelta e pluralità di concorrenti sul mercato dei servizi sono considerati dalle politiche regionali strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di salute e inclusione sociale. Questa rigida impostazione presta il fianco alle numerose critiche presenti nella letteratura economica sui fallimenti del mercato in settori estremamente particolari e delicati come quelli che caratterizzano i servizi sanitari e sociali. In generale, si afferma infatti che la presenza di asimmetrie informative conduca ad uno sbilanciamento verso le organizzazioni dell’offerta dei rapporti di forza sul mercato. Un’offerta in grado in molte circostanze di governare la domanda stessa e di portare ad incrementi non giustificati dalle logiche concorrenziali delle prestazioni e a fenomeni di selezione della domanda a discapito di servizi e categorie di utenti più deboli ed in condizioni di relativo svantaggio conoscitivo e materiale.

L’assunzione di questa visione porta nel contesto lombardo ad un ruolo regionale di “terzietà” rispetto a fornitori/erogatori di servizi e acquirenti/clienti degli stessi, mentre nel settore sanitario ad Aziende Sanitarie acquirenti di servizi ed esternalizzatrici di funzioni corrispondono Aziende Ospedaliere produttrici di servizi destinate a trasformarsi in Fondazioni.

Un altro punto controverso riguarda il sistema dell’accreditamento delle strutture e dei soggetti erogatori di servizi sociali e sanitari attraverso il quale si è verificata una moltiplicazione dei centri di offerta spesso senza alcun legame con le fasi di programmazione ed anche di verifica e controllo delle prestazioni stesse.

Secondo la stessa Caritas “nel modello alla base del PSSR non pare presente la dimensione programmatoria, nelle sue funzioni di individuare i bisogni, indicare le priorità, i modelli organizzativi, i criteri di gestione e i profili di valutazione/controllo.” Una forte critica ad una impostazione in cui si sminuisce il ruolo pubblico di definizione dei diritti di accesso dalla legge regionale 31/97 sulla sanità e dalla legge regionale 23/99 sulla famiglia alla fine degli anni ’90 e condotte con vigore nella successiva legislazione dalla Giunta Formigoni. 19 Cfr. Caritas, Primo Dossier, cit., pag.84.

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alle prestazioni con criteri universalistici e di governo complessivo del sistema verso obiettivi generali di interesse collettivo.

Gli stessi elementi di criticità si incontrano analizzando le modalità con le quali il legislatore regionale ha affrontato le tematiche dei Livelli Essenziali di Assistenza in ambito sanitario e sociale. Avendo privilegiato in sede di scelta del modello istituzionale una logica di governo della domanda delle prestazioni sociali e sanitarie, dopo aver favorito l’introduzione di elementi tendenti a mobilitare l’offerta, risultano rafforzati gli aspetti relativi e l’enfasi posta sugli interventi di controllo della domanda stessa, definendo i Livelli Essenziali di Assistenza come dipendenti dal volume di risorse disponibili. Se nell’impostazione nazionale dei LEA essi sono intesi come livello minimo ed uniforme di servizi e prestazioni da garantire a tutti i cittadini, il PSSR lombardo fa riferimento a LEA “garantiti” sulla base delle risorse disponibili con un ovvio svilimento del principio stesso di diritto di cittadinanza e della persona implicito nei LEA stessi.

Alcune note conclusive, infine, sui processi partecipativi previsti dalle disposizioni regionali durante le diverse fasi di costruzione ed attuazione dei Piani di Zona nell’ambito delle politiche sociali. In particolare, le disposizioni regionali prevedono la partecipazione dei rappresentanti del Terzo Settore nell’ambito dei tavoli politici, tecnici e tematici con esiti e modalità effettive di coinvolgimento abbastanza differenziate sul territorio regionale20. In realtà in ogni singolo PDZ il grado di coinvolgimento nei processi programmatori può essere valutato attraverso almeno tre momenti:

− la partecipazione delle organizzazioni non profit e delle loro rappresentanze (es. Forum locali del Terzo Settore) al momento politico in termini di partecipazione alle assemblee e di adesione al PDZ21;

− la partecipazione delle organizzazioni non profit ai momenti tecnici; − la presentazione di documenti di discussione e di analisi da parte delle organizzazioni

non profit e delle loro rappresentanze in tutti gli ambiti previsti nelle diverse fasi di definizione dei PDZ.

Le indagini disponibili in sede di DG Famiglia e Solidarietà Sociale della Regione Lombardia su questi elementi indicano una notevole e costante presenza dei rappresentanti delle organizzazioni non profit ai tavoli tematici, mentre la partecipazione diminuisce nell’ambito dei tavoli tecnici e soprattutto nei momenti politici. Tuttavia, al di là di questi aspetti, l’esperienza di questi anni negli ambiti territoriali lombardi esige di concentrarsi più sui contenuti della reale partecipazione del Terzo Settore che sulle forme della stessa. Una partecipazione orientata solo alla informazione e alla conoscenza dei programmi appare in contrasto con gli obiettivi di condivisione e compartecipazione alla definizione delle politiche che stanno alla base del sistema integrato di servizi sociali.

20 In alcuni ambiti territoriali si sono sperimentati tavoli di concertazione con la presenza di sindaci, dirigenti dei servizi e rappresentanti delle organizzazioni non profit. 21 Le disposizioni regionali prevedono che l’Accordo di Programma sia sottoscritto solo dagli enti pubblici, mentre il Terzo Settore può solo aderirvi.

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3.2 I Piani di Zona del Comune di Milano

La recente pubblicazione del Piano di Zona degli interventi e dei servizi sociali della città di Milano per il triennio 2006-2008 consente di focalizzare l’attenzione su una serie di dati e tendenze che vedono al centro la metropoli lombarda e che possono essere utilmente confrontati con i dati e le tendenze contenuti nel precedente documento di programmazione dei servizi sociali relativo al periodo 2002-2004.

Il principio guida che orienta entrambi questi documenti e che indirizza tutele politiche sociali sul territorio milanese è quello della sussidiarietà, in base al quale “l’intervento del settore pubblico deve essere volto alla valorizzazione dei corpi intermedi, della famiglia e degli individui stimolandoli e sostenendone le potenzialità, nell’idea che la creazione del benessere sociale si basi sulla collaborazione tra tutte le realtà, in una logica di complementarietà. Il ruolo della funzione pubblica deve essere sempre più volto a svolgere funzioni “chiave”, di stimolo, supporto e rinforzo delle formazioni spontanee in cui la società si articola.” Questa citazione dal capitolo IV del PDZ 2002-2004 (Principi ed azioni regolatrici del sistema dei servizi socio-assistenziali) permette di inquadrare più corrattemente il concetto di Welfare Municipale che nel PDZ stesso è articolato. Welfare Municipale che si costruisce con un mix tra pubblico e privato pluralistico e nel quale assume sempre più rilievo il ruolo attribuito alla famiglia, come soggetto fruitore di servizi e produttore di beni relazionali, definiti “incalcolabili.”

Una valutazione di come, in questa visione del proprio ruolo, il Comune di Milano definisca le proprie politiche sociali può essere proposta a partire dai dati della spesa relativa agli interventi sociali. Nel 2000 il Comune gestiva direttamente il 23,9% delle risorse per le politiche sociali, mentre il resto della spesa era destinato soprattutto all’acquisto di prestazioni erogate da organizzazioni non profit (63,61%) e profit (7,00%), mentre i contributi economici erogati direttamente alle famiglie raggiungevano la percentuale del 5,49% della spesa totale.

Rimandando ai 2 documenti del 2002 e del 2006 per una valutazione complessiva dei bisogni espressi dai cittadini e intercettati dalla rete dei servizi sul territorio comunale, ci sembra significativo e funzionale agli obiettivi di questo studio riportare la distribuzione delle unità di offerta nei vari ambiti di intervento e soprattutto nelle diverse zone cittadine. Questa analisi consente di inquadrare, in prima approssimazione, il tema della dotazione di servizi sociali nelle zone del decentramento in cui ricade l’area URBAN II.

In questa parte del rapporto saranno, quindi, analizzati i servizi presenti sul territorio comunale in relazione alle diverse aree di intervento e alla loro distribuzione nelle diverse zone del decentramento amministrativo.

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Area Minori e Famiglia

Servizi e interventi socio-assistenziali Zona 8 Zona 9 Totale Milano Comune Altri Comune Altri Comune Altri Servizio sociale della famiglia SSdF 3 3 19 Assistenza economica* SSdF SSdF Assistenza domiciliare* SSdF SSdF Tutoring educativo* SSdF SSdF 1 Educativa di strada* SSdF 1 SSdF 1 Spazio accoglienza 1 Ge.A. 1 Spazio neutro 1 Affidi SSdF SSdF Sostegno e supporto educativi 2 7 0 39 CAG** 1 1 4 5 20 Servizio minori sottoposti a procedimento penale 1 0 Pronto intervento 1 0 Disagio abitativo SSdF Comunità alloggio 22 13 93 Altri servizi di comunità*** 4 4 26 Comunità reinserimento 1 4 Comunità pronto intervento 2 4 Nidi d’infanzia 19 9 20 15 129 88 Micronidi 2 4 37 Tempi per le famiglie 1 11 Totale 25 42 29 43 206 276 * servizi per la cui erogazione è necessario rivolgersi al SSdF, ** Centro Aggregazione Giovanile, *** appartamenti, appartamenti verso l’autonomia, casa famiglia, pensionato, comunità sperimentale

Area Disabili

Servizi e interventi socio-assistenziali Zona 8 Zona 9 Totale Milano Comune Altri Comune Altri Comune Altri Nuclei Distrettuali Disabili NDD 1 1 9 Assistenza economica* Assistenza domiciliare* Servizio formazione all’autonomia SFA 4 4 18 Centro diurno disabili 4 4 2 2 15 17 Centro Aggregazione 1 1 Sportello vacanze 1 1 Supporto comunicazioni disabili dell’udito 1 1 Comunità alloggio 1 1 2 5 12 Appartamenti protetti 7 Pronto intervento 1 Pensionato integrato 1 Residenza Sanitaria per Disabili 3 Totale 6 9 4 9 31 61 * servizi per la cui erogazione è necessario rivolgersi ai NDD

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Area Adulti e Immigrazione Servizi e interventi socio-assistenziali

Zona 8 Zona 9 Totale Milano Comune Altri Comune Altri Comune Altri Servizio sociale per adulti 1 1 11 Centro aiuto Stazione Centrale 1 Centro di Ascolto 3 5 46 Assistenza economica* Contributi economici assistenza sanitaria 1 Centro mediazione al lavoro 1 Orientamento lavoro stranieri* Sportello asilo politico* Protezione sociale vittime tratta* Servizio di strada 2 1 12 Mensa 1 1 11 Guardaroba 2 3 29 Docce 1 3 3 Assistenza legale 3 Assistenza medica 5 Distributori/scambiatori siringhe 3 3 18 Interventi psicosociali dipendenze 2 Centro diurno 1 Centro diurno dipendenze 1 3 Centro diurno emarginati gravi 1 2 Appartamenti 5 Appartamenti AIDS 1 6 Appartamenti dipendenze 1 10 Housing sociale 2 15 Accoglienza abitativa temporanea 15 Centro accoglienza temporanea 2 4 1 20 Centro prima accoglienza stranieri 2 1 5 Centro accoglienza 5 5 40 Pensionato 5 Centro accoglienza temporanea per tossicodipendenti 2 Campo nomadi 3 Totale** 10 17 5 23 50 235 * servizi per la cui erogazione è necessario rivolgersi ai servizi sociali, ** dal totale dei servizi sono state escluse le linee verdi

Area Anziani

Servizi e interventi socio-assistenziali Zona 8 Zona 9 Totale Milano Comune Altri Comune Altri Comune Altri Centro Multiservizi Anziani CMA 4 4 28 Sportello unico integrato Comune Asl 1 7 Centro Ascolto 1 Assistenza economica* Assistenza Domiciliare* Assistenza Domiciliare Integrata 1 1 9 Pasti caldi a domicilio* Teleassistenza* Progetto Affidarsi* Soggiorni di sollievo* Centro socio ricreativo culturale 3 6 1 25 1 Laboratorio terapia occupazionale 1 4 Portierato sociale 2 3 26 Custode socio-sanitario 2 4 5 6 38 Sportello disagio abitativo 1 Centri benessere Oasi del viandante 1 2 Accoglienza temporanea di sollievo 2 Centro Diurno Integrato 2 1 3 6 18 Comunità alloggio 1 1 6 Pensionato 1 1 Casa albergo 1 6 RSA 4 7 4 41 Totale** 13 14 15 18 112 123 * servizi per la cui erogazione è necessario rivolgersi al CMA, ** dal totale dei servizi sono state escluse le linee verdi, il pronto intervento sovrazonale, l’elenco badanti, il servizio provvidenze economiche per invalidi civili che hanno un'unica sede centrale.

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3.3 Il Piano di Zona 2006-2008 e le valutazioni del Forum del Terzo Settore

Il Forum provinciale del Terzo Settore di Milano22 ha presentato nel novembre del 2005 le proprie proposte in merito ai contenuti del Piano di Zona dei servizi sociali del Comune di Milano per il triennio 2006-2008.

Il Forum ha espresso un atteggiamento critico sulle modalità di partecipazione e di coinvolgimento delle organizzazioni non profit nella stesura del documento programmatico23, ed ha elaborato una serie di proposte nell'ambito di quattro aree di bisogno specifiche: disabili, minori e famiglie, anziani e grave emarginazione.

Si riportano integralmente queste proposte al fine di una esaustiva rappresentazione dei livelli di approfondimento e di capacità progettuale e di intervento che le organizzazioni non profit hanno sul territorio milanese.

Disabili

− Individuare strumenti per la domiciliarità delle persone disabili e per il sostegno e sollievo alla famiglia;

− sviluppare l'integrazione dei servizi assistenziali con quelli formativi e di inserimento lavorativo;

− sviluppare azioni di orientamento e sostegno informativo alle famiglie; − verifica della modalità per la rilevazione dei bisogni delle persone con disabilità e delle

loro famiglie e accompagnamento nel loro percorso di vita; − favorire e organizzare operativamente momenti di scambio efficace tra sistema

scolastico e altri servizi del territorio; − maggiore tempestività e adeguatezza ad inizio anno scolastico nello stanziamento dei

fondi per il diritto allo studio; − verificare l'attuale capacità di risposta dei servizi a rispondere a richieste improvvise

e/o temporanee di interventi di carattere sia diurno che residenziale;

22 Il Forum provinciale del Terzo Settore è nato nel novembre 2003 ed è costituito da organizzazioni presenti sul territorio di Milano, rappresentative delle varie anime del mondo del volontariato, dell'associazionismo, della cooperazione sociale e del non profit. 23 Si riportano in questa sede alcuni giudizi espressi dai rappresentanti del Forum durante la conferenza stampa di presentazione delle proposte e riprese dal settimanale VITA. “Il terzo settore è stato coinvolto solo marginalmente e con tempi strettissimi nella predisposizione del Piano di Zona del Comune di Milano, lo strumento concepito per programmare in modo partecipato interventi nel campo dei servizi sociali” (…). “La legge 328 del 2000 ha introdotto importanti innovazioni nella programmazione delle politiche sociali locali. Definire priorità e interventi deve essere un processo plurale, partecipato e corale. Il terzo settore, con tutte le sue associazioni, offre un servizio pubblico e ha un ruolo pubblico perché esprime e costruisce gli interessi della comunità. La dimensione pubblica non appartiene solo alle istituzioni ed è per questo che il privato sociale e l'ente pubblico sono chiamati insieme a programmare e gestire servizi e attività che perseguano finalità di promozione e realizzazione del bene comune. Cosa che il Comune di Milano non ha fatto.” Dichiarazioni dei portavoce del Forum Milanese del Terzo Settore Gianni Bottalico, Presidente di ACLI Milano, Flavio Mongelli, Presidente di ARCI Milano e Felice Romeo, vicepresidente Alcst-Legacoop Lombardia.

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− garantire con continuità risorse per il tempo libero della persona disabile e conseguentemente offrire periodi di sollievo alle famiglie;

− favorire, attraverso interventi integrati di politiche attive del lavoro, l'orientamento e l'accompagnamento al lavoro delle persone con disabilità anche attraverso il meccanismo delle convenzioni previste dalla legge 381/91.

Minori e famiglie24

− Il bambino e il ragazzo in famiglia: occorre investire in asili nido, ma anche e molto in servizi intermedi (tempi per le famiglie e centri gioco, qualificazione delle baby sitter, sviluppo di nuove forme organizzative come i nidi famiglia); occorre valorizzare e potenziare i centri giovani, l'educativa di strada, il ruolo attivo degli oratori e delle società sportive, le esperienze dei doposcuola di quartiere, riconoscere il ruolo dei centri educativi per minori;

− il bambino e il ragazzo in difficoltà: per i minori stranieri non accompagnati risulta urgente risolvere il problema della tempestiva decisione sulla loro permanenza in Italia ovvero sull'opportunità di un loro rimpatrio. Una volta che venisse rilevato l'interesse del minore straniero a rimanere sul territorio nazionale, è urgente risolvere una serie di problemi quali la rimozione del divieto di lavoro, l'attribuzione della residenza, la possibilità di essere affidati a parenti entro il quarto grado; per i diversamente abili occorre aumentare le risorse finalizzate alla realizzazione di interventi e servizi a favore dei ragazzi più deboli e delle loro famiglie e potenziare l'integrazione tra i servizi neuropsichiatrici, consultoriali, socioassistenziali, formativi ed educativi; per i giovani con procedimenti penali occorre promuovere una rete dei servizi che operano a vario titolo con i minori imputati o riconosciuti responsabili di fatti di reato, al fine di chiarire competenze e responsabilità;

− il bambino allontanato dalla famiglia: pur non considerandolo un “dato economico” occorre aumentare le rette riconosciute alle comunità educative dato che i loro importi sono immutati da anni e che le cifre sono decisamente inferiori a quanto dovrebbe essere riconosciuto; occorre dare un sostegno di relazione alle famiglie affidatarie e adottive che va curato e coltivato;

− il minore e i suoi diritti: occorre pensare a una città a misura di bambini, che va progettata nei suoi servizi, nelle sue strade, nei suoi parchi e nei suoi luoghi pubblici, tenendo conto dei bisogni e delle richieste dei ragazzi che sono i fruitori di oggi e di domani di una Milano più sostenibile (rumori, inquinamento, ambiente, percorribilità a piedi o in bici, sosta e verde).

24 Secondo la documentazione presentata durante l’illustrazione delle proposte programmatiche da parte dei portavoce del Forum a Milano quest’area di intervento è caratterizzata sul territorio milanese da questi elementi di rilievo: − 170.000 bambini e ragazzi residenti, di cui il 18% stranieri − 4.300 bambini in carico ai Servizi Sociali Comunali − 1.300 bambini collocati in strutture residenziali − 600 segnalazioni annuali al Pronto Intervento di cui il 95 % relative a stranieri − 750 minori denunciati alla Procura del Tribunale per i Minorenni − 100 minori in adozione e 50 in affido eterofamiliare − i bambini affidati a causa di separazione sono il doppio che in Italia − i bambini affidati a causa di divorzio sono il triplo che in Italia − diverse migliaia sono in lista d'attesa per un posto in asilo nido − il 14 % dei ragazzi frequentanti la scuola media sono in ritardo scolastico − 2.500 minori dimessi dagli ospedali hanno malattie e disturbi mentali e del sistema nervoso

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Anziani

− E' necessario prevedere la creazione di una Rete di Sportelli Sociali realizzata in ambito territoriale e rappresentata su nove municipalità. Ogni singolo Sportello diventa una porta di accesso alla rete dei servizi e rappresenta per il cittadino un punto di riferimento certo, facilmente raggiungibile, da cui ottenere tutte le informazioni necessarie. Lo Sportello, da parte sua, si fa carico di effettuare monitoraggi ed analisi dei bisogni presenti ed emergenti determinanti per la programmazione degli interventi sia a livello di zona sia a livello centrale;

− si propone di creare una banca dati unitaria per la rilevazione dei bisogni, ed inoltre di: − riconoscere e sostenere i soggetti addetti alla promozione e gestione degli Sportelli

Sociali; − promuovere il sostegno alla domiciliarità; − regolare e qualificare il mercato delle badanti; − promuovere l'integrazione tra i diversi servizi territoriali.

Grave emarginazione

Le proposte prevedono:

− costituzione di un gruppo di lavoro che integri le diverse risorse disponibili per una regia complessiva del sistema di intervento contro l'esclusione sociale;

− promozione di un Polo Integrato per l'housing sociale, attraverso iniziative pilota di residenzialità sociale;

− consolidamento e sviluppo delle politiche integrate di inclusione sociale rivolte ai migranti quali ad esempio una rete di sportelli per le persone migranti;

− armonizzazione degli interventi di integrazione al reddito e di lotta alla povertà quali la promozione dell'affidamento di commesse ai sensi della legge 381, per creare percorsi occupazionali stabili e dignitosi;

− costituzione di un Osservatorio della fragilità sociale, che attivi studi e ricerche non accademiche, ma finalizzate a fornire strumenti di analisi e di programmazione degli interventi;

− costituzione di un tavolo permanente di lavoro Amministrazione – Sistema Sanitario – Terzo Settore per la promozione della Salute Mentale.

3.4 Un approfondimento: i servizi per minori al di fuori della famiglia di origine

Per quanto riguarda in generale l’area di interventi relativi ai minori e alla famiglia, il PDZ 2006-2008, documento di programmazione dei servizi sociali nell’ambito territoriale milanese, sottolinea la presenza sul territorio metropolitano di categorie di fragilità e criticità che già hanno caratterizzato lo scorso ciclo di programmazione e che per molti versi si sono acuiti negli ultimi anni. Il Piano di Zona si riferisce in particolare agli impatti di fenomeni come l’emarginazione, le nuove povertà, l’immigrazione e/o il

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ricongiungimento familiare, l’incremento dei matrimoni misti, che hanno una notevole valenza sulla famiglia e sui minori25.

In primo luogo, occorre segnalare che i minori in carico al Comune di Milano sono in leggera crescita tendenziale negli ultimi anni, ma questa crescita è sostanzialmente imputabile alla componente straniera della popolazione come si evince dalla seguente tabella.

Tabella 3.1 – Minori in carico al Comune di Milano. Anni 2002-2005 2002 2003 2004 2005

Minori italiani 3.470 3.627 3.416 3.473 Minori stranieri 850 978 965 1.102 Totale Minori 4.320 4.605 4.381 4.575

Fonte: Comune di Milano, Piano di Zona degli Interventi e dei Servizi Sociali 2006-2008

I minori stranieri presi in carico dai servizi sociali del Comune di Milano, a seguito di richiesta del soggetto stesso o della sua famiglia, oppure a seguito di un mandato da parte della Magistratura, rappresentavano nel 2005 quasi il 25% del totale, mentre la loro quota era al di sotto del 20% nel 2002. Per quanto riguarda la distribuzione del fenomeno sul territorio comunale, l’analisi dei dati permette di rilevare la maggiore incidenza di casi nelle zone periferiche della città (zone 7, 8 e 9 del decentramento amministrativo) dove maggiori sono gli effetti delle criticità prima ricordate sul tessuto sociale e sulla coesione familiare.

Per quanto riguarda la distribuzione dei minori in carico al Comune per fasce di età l’analisi dei dati per il 2005 è riportata nella seguente tabella.

Tabella 3.2 – Minori in carico al Comune di Milano per fasce d’età. Anno 2005

0-5 6-11 12-14 15-18 >18 Totale minori Minori 858 1.322 982 1.214 199 4.475 In % 18,75 28,90 21,46 26,54 4,35 100,00

Fonte: Comune di Milano, Piano di Zona degli Interventi e dei Servizi Sociali 2006-2008

Come sottolineato nel Piano, il dato di 858 minori in carico durante i primi anni di vita segnala “la grande fragilità familiare che accompagna situazioni spesso segnate da sofferenza, disagio, inadeguatezza e solitudine.”

Un altro dato rilevante è quello relativo ai minori seguiti dai servizi sociali a partire da un mandato dell’Autorità Giudiziaria a segnalare una categoria di utenti dei servizi particolarmente caratterizzati da elevati livelli di complessità e problematicità. Sui complessivi 4.475 minori presi in carico dai servizi comunali ben 3.699 sono stati segnalati dall’Autorità Giudiziaria che assegna al Comune di Milano compiti molto differenziati. Se una componente rilevante di questi minori è segnalata ai servizi sociali assegnando a questi ultimi compiti di indagine o sostegno e controlli, la netta maggioranza è presa in carico sulla base di una attenuazione della potestà genitoriale o di una sua sospensione/decadenza. Vediamo la distribuzione dei provvedimenti dell’autorità Giudiziaria nella tabella seguente.

25 Nel Piano di Zona 2006-2008 del Comune di Milano si afferma, a pag. 128, che “sino ad oggi il 90% dell’utenza comunale in carico al Comune nell’area minori e famiglia è composto da nuclei familiari sottoposti a decretazione del Tribunale per i Minorenni.”

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Tabella 3.3 – Minori in carico al Comune di Milano per tipo di provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Anno 2005 Affido al Comune di Milano Tutela Indagini Sostegno e controllo Altro provvedimento Totale minori

Minori 1.841 230 553 906 169 3.699 In % 49,77 6,21 14,95 24,49 4,57 100,00

Fonte: Comune di Milano, Piano di Zona degli Interventi e dei Servizi Sociali 2006-2008

Quasi la metà dei provvedimenti giudiziari sono quindi rappresentati da decreti di affido al Comune di Milano che prevedono una attenuazione della potestà genitoriale, mentre per oltre il 6% dei casi questa potestà è sospesa o dichiarata decaduta (Tutela). Per quanto riguarda questi ultimi casi (minori presi in carico dai servizi sulla base di provvedimenti di decadenza o sospensione della potestà genitoriale) si rileva una loro costante diminuzione nel corso degli anni: dai 318 minori del 2002 ai 251 del 2004 fino ai 230 del 2005. Il dato sui minori affidati al Comune risulta invece abbastanza costante (1.868 casi nel 2002 e 1.841 casi nel 2005).

Rispetto a questi significativi dati sulla domanda di intervento, vediamo ora le diverse tipologie di interventi messi in atto dai servizi sociali di Milano. Un primo e importante dato è quello relativo ai minori per i quali la situazione familiare è risultata così compromessa da rendere necessario il loro allontanamento dal nucleo familiare di appartenenza e una loro collocazione in strutture residenziali.

Tabella 3.4 – Minori ricoverati in strutture residenziali. Anni 2002-2005

2002 2003 2004 2005 Minori ricoverati in strutture residenziali 988 1.000 878 1.000 Minori ricoverati in strutture di pronto intervento 735 754 777 832 Totale minori ricoverati in strutture residenziali 1.723 1.754 1.655 1.832 Fonte: Comune di Milano, Piano di Zona degli Interventi e dei Servizi Sociali 2006-2008

Dalla precedente tabella si evince che questi ricoveri di minori in strutture residenziali siano aumentati nettamente nel 2005. Secondo il Piano di Zona la quasi totalità dei minori è inserita in strutture residenziali a seguito di decreto della Magistratura o perché in situazione di grave rischio o abbandono. Pur auspicando che l’inserimento in strutture residenziali rappresenti sempre più un intervento limite, il Piano sottolinea l’impossibilità per casi gravi e complessi di adottare interventi alternativi di assistenza come gli interventi domiciliari o gli affidi familiari.

Per quanto riguarda i minori ricoverati in strutture di pronto intervento si rileva come essi siano sostanzialmente tutti stranieri non accompagnati e che il loro numero risulti in costante crescita nel corso degli ultimi anni. Fra questi minori stranieri i casi di bambini con meno di 5 anni ricoverati in strutture di pronto intervento sono stati nel 2005 ben 126.

In merito, infine, all’istituto dell’affido familiare nelle sue diverse forme (a tempo pieno, pomeridiano, per i fine settimana e per le vacanze) il Piano rileva una tendenziale diminuzione di questo intervento. Dai 257 casi del 2002 si è passati infatti ai 218 casi del 2005. Per rilanciare sul territorio comunale questo istituto il Comune di Milano ha approvato un protocollo di intesa con le organizzazioni non profit per sostenere le esperienze di affido e per sviluppare forme sperimentali di “accoglienza diversificata” per i casi di minori ad elevata problematicità soggetti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria.

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A fronte di questi interventi differenziati, il Comune di Milano destina un ingente volume di risorse economiche la cui specificazione è riportata nel database disponibile presso la Regione Lombardia, Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale.

Limitandoci a due istituti (affido familiare nelle sue diverse forme e ricovero in strutture residenziali disposti dall’Autorità Giudiziaria per minori), le spese sostenute negli anni 2002 e 2003 sono riportate nella seguente tabella.

Tabella 3.5 – Comune di Milano. Spesa per interventi di sostituzione del nucleo familiare. Anni 2002 e 2003 2002 2003 Intervento Casi Spesa Casi Spesa

Affidi familiari (L.149/01) 245 1.187.825,31 230 1.258.777,82 Rette per comunità alloggio/centri di pronto intervento 1.393 25.713.700,48 2.252 31.984.130.00

Fonte: Regione Lombardia, DG Famiglia e Solidarietà Sociale

Per quanto riguarda la spesa media annua per intervento sostenuta nel 2003 si può concludere che per ogni caso di intervento di tipo assistenziale residenziale per minori al di fuori del nucleo familiare il Comune di Milano ha speso poco più di 14 mila Euro (14.202,54 Euro per l’esattezza), mentre ogni singolo caso di affido familiare è stato sostenuto mediamente con 5.472,95 Euro.

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4. Il Terzo Settore nella realtà milanese 4.1 L’indagine promossa dalla Camera di Commercio nel 1997

Obiettivo principale della ricerca condotta dall’IRS e promossa dalla locale Camera di Commercio è stato quello di identificare le condizioni che favoriscono o ostacolano il consolidamento organizzativo e lo sviluppo imprenditoriale delle organizzazioni non profit attive nell’area milanese26.

Nella seconda metà degli anni ’90 risultavano attive quasi 3.000 organizzazioni non profit, in maggior parte di piccole dimensioni, ma che costituivano una fitta rete di realtà associative e organizzative impegnata in un raggio molto ampio di attività. Organizzazioni relativamente giovani (il 60% si era costituito negli ultimi 20 anni), sorte su un tessuto solidaristico di tradizioni civiche e culturali consolidato e “secolare”, come testimoniano istituzioni che sono entrate nella storia di Milano come il Pio Albergo Trivulzio, i Martinitt, l’Umanitaria, il Museo Poldi Bozzoli e le università private Cattolica e Bocconi. Organizzazioni che operavano soprattutto nel settore dei servizi sociali, contribuendo “in misura sostanziale” secondo i curatori dello studio, alla realizzazione del sistema locale di welfare. In particolare: il 38% delle organizzazioni offriva servizi sociali di tipo assistenziale (dall’assistenza domiciliare alla gestione di istituti di ricovero), il 10% operava in ambio sanitario, il 10% svolgevano un’azione di tutela di interessi deboli (handicap e specifiche categorie di disagiati). Accanto a questo impegno nei servizi sociali e sanitari, il non profit milanese presentava un cospicuo numero di organizzazione attive nel settore culturale ed anche in settori molto specifici come la cooperazione internazionale e il sostegno alle persone immigrate.

L’occupazione complessiva di queste organizzazioni era valutata in circa 25 mila unità in linea con le indicazioni emerse da altre ricerche sul settore. A questi occupati si affiancava un numero ben maggiore di volontari (220.000).

L’analisi dell’IRS sottolinea la caratteristica di fondo della realtà del non profit milanese, vale a dire la sua polarizzazione. In effetti, il Terzo Settore sembra in questa area costituito da due componenti diverse:

- da un lato, emerge la componente del non profit “professionale” costituita da istituzioni assistenziali ed educative di tradizione consolidata e da grandi organizzazioni specialistiche sorte negli ultimi decenni. Queste organizzazioni rappresentano una componente numericamente limitata dell’universo del non profit, ma capace di occupare gran parte delle risorse umane e di gestire i servizi maggiormente strutturati come ospedali, scuole, residenze assistenziali, musei. Organizzazioni radicate e dipendenti in larga misura dai finanziamenti pubblici;

- dall’altro, è presente sul territorio metropolitano un arcipelago di piccole e piccolissime organizzazioni (circa 2.400), con una limitata presenza di personale dipendente e tuttavia capace di mobilitare la quasi totalità dei volontari. Organizzazioni con un carattere “fluido e leggero”, poco professionali e dotate di limitate risorse economiche, ma basate sulla ricchezza dell’attività volontaria. I campi di attività di questa

26 Barbetta G.P – Ranci C. (a cura di), Non profit a Milano. Fattori di nascita, consolidamento e successo, FrancoAngeli, Milano, 1999.

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componente sono individuati soprattutto nell’ambito della rappresentanza di interessi e nell’erogazione di servizi fortemente differenziati e rivolti ad utenze specifiche. Molto limitate sono, in relazione a questo aspetto, le relazioni economiche di scambio con la pubblica amministrazione.

La ricerca IRS ha il pregio di individuare con chiarezza le condizioni di sviluppo e i fattori critici presenti nelle diverse fasi del ciclo di vita delle organizzazioni non profit milanesi.

Durante la fase di inizio dell’attività delle non profit i fattori rilevanti sono: la scelta di un ambito di nicchia non esposto a fenomeni competitivi, la costituzione di una rete favorevole di relazioni con interlocutori istituzionali e associativi attraverso il collegamento con strutture di secondo livello (consorzi per le cooperative sociali, organismi provinciali e regionali per le organizzazioni di volontariato e le associazioni), e, infine, l’orientamento alla qualità dei servizi erogati da parte delle iniziative delle nuove organizzazioni.

Queste condizioni per un avvio positivo di un’organizzazione si possono esplicitare con tre elementi: propensione all’innovazione, la creazione di reti e l’orientamento alla qualità.

Nella fase di consolidamento delle attività il primo elemento ricordato, il privilegiare un settore di intervento di nicchia, specialistico e al riparo della concorrenza, viene sostanzialmente meno e impone alle organizzazioni uno sforzo decisivo per il raggiungimento di un equilibrio dinamico tra le esigenze organizzative delle risorse umane coinvolte nell’erogazione dei servizi (volontari e dipendenti) e il riferimento costante ai principi e alle idealità che sono alla base dell’organizzazione stessa. Il successo di molte iniziative del non profit milanese è paragonato dagli autori della ricerca IRS a quello delle imprese artigiane più innovative che devono questo risultato e la loro competitività alla flessibilità con cui organizzano i loro processi produttivi. L’organizzazione del lavoro delle organizzazioni più attive nel panorama metropolitano si basa, infatti, “sui caratteri tipici della produzione post-fordista: ampia flessibilità di orario e di competenze, diffusione del aprt-time e di prestazioni a termine, livelli retributivi generalmente medio-bassi, struttura organizzativa asciugata al massimo.”27

Questi elementi di flessibilità e mutamento organizzativo si inseriscono in contesti istituzionali relativamente stabili, dove prevalgono le motivazioni ideali e lo spirito originario delle organizzazioni. Contesti istituzionali che tuttavia sono fortemente condizionati dai profondi mutamenti di scenario indotti dalle innovazioni legislative, sociali e demografiche in cui le organizzazioni non profit si trovano ad operare.

I cambiamenti di scenario riguardano numerosi aspetti. In primo luogo, le relazioni con le amministrazioni pubbliche che sempre più sono dominate dalle categorie dell’accreditamento e della concorrenza tra erogatori attraverso strumenti che esaltano la libera scelta del cittadino come i voucher in ambito assistenziale e sociosanitario e le forme più evolute di contracting-out. A questo elemento di incertezza si aggiungono la contrazione delle risorse economiche disponibili per gli enti locali e soprattutto la pluralità delle fonti di finanziamento, nazionali e comunitarie, che impongono nuove e differenziate competenze al management solidale nella predisposizione di progetti su programmi,

27 Idem, pag. 241.

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specifici (in particolare, i PIC Equal, Life e e Urban) o complessivi (come nella programmazione delle politiche sociali nei Piani di Zona), e nella creazione di reti relazionali più strutturate e operative.

Oltre agli aspetti relativi alle fonti di finanziamento pubbliche e comunitarie, la ricerca ricorda l’importanza crescente delle iniziative di fund-raising per lo sviluppo e il raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario. In questo settore si sono rilevate numerose innovazioni a partire dalle disposizioni del decreto legislativo 460/97 per arrivare alla competizione sui fondi “5 per mille” nell’ambito della fiscalità diretta sulle persone fisiche.

Tra le difficoltà incontrate dalle organizzazioni, la ricerca IRS ricorda, doverosamente, quelle che sono le vere e profonde sfide che il non profit milanese aveva di fronte alla fine del secolo e che erano rappresentate, in ordine decrescente d’importanza, dai seguenti elementi:

- l’inadeguatezza dei finanziamenti pubblici, - i ritardi nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, - le difficoltà nel reclutamento dei volontari, - le difficoltà nelle relazioni con le amministrazioni pubbliche, - il difficile coordinamento con le agenzie pubbliche, - i vincoli nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, - l’incapacità a comunicare la propria immagine, - e, infine, il finanziamento privato adeguato.

Al centro della riflessione sulle traiettorie evolutive del non profit milanese si poneva dunque con forza il tema delle relazioni con le amministrazioni pubbliche, oltre ad aspetti organizzativi legati all’attività di fund-raising e di reclutamento dei volontari.

In merito, infine, alle politiche di sostegno e per lo sviluppo delle organizzazioni la ricerca sottolineava alcuni fattori critici:

- l’importanza delle politiche formative a favore del management delle organizzazioni (area della formazione strategica dell’economia sociale),

- l’esigenza di interventi formativi specifici per favorire la qualificazione professionale dei lavoratori e il miglioramento della preparazione dei volontari (area della formazione degli operatori e dei volontari dell’economia sociale),

- l’accesso agevolato ai finanziamenti per l’avvio e il consolidamento delle iniziative (area dei servizi finanziari all’economia sociale),

- il potenziamento dell’offerta di servizi e consulenze di tipo gestionale (area dei servizi reali all’economia sociale),

- il rafforzamento delle politiche di comunicazione e promozione dei propri servizi (area dei servizi di marketing dell’economia sociale).

Rispetto a queste esigenze di servizi evoluti, flessibili, specifici ed innovativi, gli autori ricordano gli ampi spazi di intervento delle organizzazioni di secondo e terzo livello (consorzi e centrali cooperative, centri di servizi per il volontariato, organismi centrali delle associazioni culturali e ricreative). Spazi di intervento che non possono non interrogare e mettere in discussione l’identità e la mission delle organizzazioni.

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4.2 Il Rapporto sul settore non profit milanese della Fondazione Ambrosianeum

La ricerca promossa dalla Fondazione Ambrosianeum sul non profit milanese segue di qualche anno il rapporto della Camera di Commercio e offre notevoli spunti di riflessione e approfondimento rispetto al contesto delineato dall’IRS.28

Anche questa raccolta di interventi sottolinea ripetutamente che il contesto di riferimento delle organizzazioni non profit stia profondamente mutando e che sempre di più queste siano chiamate a svolgere ruoli di supplenza e di collaborazione con le amministrazioni pubbliche. Considerando la forte caratterizzazione posta dalle politiche lombarde e locali sui principi della sussidiarietà, verticale e soprattutto orizzontale, l’erogazione di servizi sociali sarà sempre più a carico degli operatori del privato sociale, mentre le amministrazioni pubbliche sono chiamate a svolgere prevalentemente un ruolo di regolazione e verifica delle prestazioni.

Su questa considerazione di fondo, gli interventi contenuti nel rapporto Ambrosianeum sottolineano i seguenti aspetti di criticità/debolezza delle organizzazioni non profit milanesi:

- alcune caratteristiche delle risorse umane (il turn-over, la bassa formazione iniziale, la demotivazione dei volontari),

- la dipendenza dalle fonti di finanziamento pubbliche (spesso da un’unica istituzione) con un carente livello di erogazioni dirette di servizi ai privati cittadini e al mercato e con debolezze strutturali nei processi di fund-raising,

- i sistemi di verifica/controllo della qualità dei servizi erogati (strumenti adottati e limitata circolazione delle informazioni),

- l’incremento dei livelli di concorrenza tra le organizzazioni con l’ingresso di nuove e importanti istituzioni non profit di origine straniera (es. Médecins sans frontièrs e Greenpeace),

- l’impreparazione nell’adozione di sistemi di gestione di tipo manageriale e nell’elevare i livelli di professionalizzazione degli interventi,

- la strutturazione ancora carente delle reti di relazioni trasversali tra organizzazioni e tra organizzazioni e enti di coordinamento e rappresentanza,

- la prevalenza di un orientamento gestionale basato prevalentemente sulla gestione “del quotidiano”, a scapito di impostazioni strategiche di respiro più ampio.

Da questi elementi emerge la valutazione che le organizzazioni milanesi siano consapevoli di operare in un contesto sempre più dinamico e competitivo, aperto all’ingresso di nuove istituzioni, che esige un profondo ripensamento dei modelli organizzativi adottati, dei servizi erogati e dei livelli qualitativi degli stessi.

Per affrontare con successo questo scenario di cambiamento il Rapporto Ambrosianeum indica come necessario il superamento dei problemi organizzativi “interni” prima ricordati e soprattutto il riuscire a portare nel non profit “le risorse migliori”, dal punto di vista professionale e finanziario. Per raggiungere questo obiettivo occorre sviluppare un’offerta

28 Propersi A. (a cura di), Rapporto sul settore non profit milanese, Il Sole 24 ore, Milano, 2001.

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di servizi sempre più innovativi e “brillanti”, socialmente ed economicamente, vere e proprie idee imprenditoriali che si sappiamo sostenere finanziariamente superando le forme tradizionali di filantropia.

Ma al centro dell’analisi rimane costante l’immagine di un settore fortemente concentrato su due estremi organizzativi definiti rispettivamente la “non organizzazione”, volontaristica e fragile, e la “struttura burocratica”, tipica della pubblica amministrazione. Per le organizzazioni che si aggregano per dimensione e caratteristiche a questi due modelli organizzativi sono indicate strategie di cambiamento alternative: per le organizzazioni più piccole e volontaristiche interventi di riprogettazione organizzativa con una maggiore formalizzazione delle strutture, mentre per quelle più grandi azioni di deburocratizzazione per la realizzazione di condizioni di maggior orientamento della struttura all’efficacia e all’efficienza.

4.3 I soggetti del Terzo Settore nell’analisi del Piano di Zona 2006-2008

Secondo l’analisi contenuta nel recente Piano di Zona della città di Milano “il Comune di Milano vanta un’antica tradizione nei rapporti con il mondo del Terzo Settore, tradizione che ha portato a un’alleanza di carattere strategico che ha come base il confronto sugli obiettivi e sulle strategie pur nel rispetto delle autonomie e delle reciproche differenze.”29

Con questa premessa, che sembra essere abbastanza in contrasto con le dichiarazioni del Forum del Terzo Settore riportate in sede di commento del documento di programmazione dei servizi sociali, il Piano sviluppa un’analisi dettagliata dell’universo delle organizzazioni operanti sul territorio milanese che è costituito da:

- 2 ASP aziende servizi alle persone, - 33 associazioni riconosciute con dpr, - 98 Enti morali di diritto privato (fondazioni, enti depubblicizzati ed enti di diritto

privato), - 428 Associazioni di volontariato, - 115 Associazioni familiari, - 184 cooperative sociali, - 15 Banche del tempo.

Limitando la nostra analisi alle zone 8 e 9 del decentramento amministrativo si rileva come su questo territorio urbano siano presenti:

- 6 associazioni riconosciute sulle 33 cittadine (18,2%), di cui 4 attive nel settore dell’assistenza, una dell’handicap e una dei minori,

- 14 Enti morali su 94 (14,9%), di cui 5 attivi nel settore dell’assistenza, 5 in quello dei minori, e uno ciascuno nei settori dell’assistenza-beneficienza, della beneficenza, della solidarietà sociale e dell’educazione,

29 Cfr. Piano di Zona della città di Milano 2006-2008, pagina 92.

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- 21 cooperative sociali di tipo A (15%) e 9 di tipo B (27%), per un totale di 30 cooperative sociali ex lege 381/91 sulle 184 cittadine (16%), di cui 10 sorte dopo il 2000,

- 33 associazioni di solidarietà familiare (art. 5 LR 23/99) iscritte al registro regionale sulle 155 cittadine (28,7%), di cui 10 sorte nel biennio 2003-2004,

- 98 organizzazioni di volontariato sulle 428 cittadine (22,9%), di cui 37 operanti nel settore sanitario, 13 in quello della disabilità, 9 in quello dei minori, 6 in quello degli anziani e le rimanenti distribuite tra le altre diverse aree di intervento,

- a queste organizzazioni facevano riferimento 5.242 volontari sui 43.287 cittadini (12,1%), di cui 2.330 operanti nel settore sanitario, 1.527 in settori misti, 473 nel settore della disabilità,

- considerando anche le associazioni di promozione sociale i volontari delle zone 8 e 9 raggiungevano le 5.561 unità sulle 44.831 cittadine (12,4%),

- 3 Banche del tempo sulle 15 cittadine (20%) alle quali corrispondevano 135 correntisti soci sui 630 cittadini (21,4%).

Una mappatura delle organizzazioni presenti sul territorio dell’area URBAN II e della loro caratterizzazione istituzionale e operativa è contenuta nell’appendice di questo rapporto. Le informazioni contenute nel Piano di Zona delineano alcune caratteristiche del non profit nelle zone 8 e 9 del decentramento nelle quali è contenuta la porzione di territorio ricadente nel PIC.

La popolazione residente delle due zone al 31.12.2004 era pari a 340.589 abitanti, vale a dire il 26,21% del totale cittadino. La presenza relativa delle organizzazioni non profit delle zone 8 e 9 sul totale cittadino si mantiene sempre al di sotto di questa percentuale, salvo i casi della cooperative sociali di tipo B e delle associazioni familiari.

Più che al numero delle organizzazioni è, tuttavia, significativo far riferimento al fenomeno del volontariato che appare alquanto sottodimensionato nel contesto delle due zone con una quota relativa sul totale cittadino di solo il 12% rispetto alla quota della popolazione residente che è più del doppio.

In merito ai settori di intervento delle organizzazioni, si evidenzia il loro netto orientamento verso i servizi sanitari e i servizi assistenziali del welfare dedicati a specifiche categorie come i minori, l’handicap e, in misura minore, gli anziani.

4.4 Le relazioni tra organizzazioni non profit e Comune di Milano

Si è sottolineato in precedenza come alle organizzazioni del non profit sia destinata la parte più consistente delle risorse comunali nel campo delle politiche sociali. Attraverso varie modalità di relazione il non profit gestisce oltre il 60% delle risorse economiche disponibili, erogando servizi e interventi nei diversi settori in cui si articolano le politiche sociali comunali.

Le relazioni di scambio tra non profit e amministrazione comunale di Milano sono regolate dai seguenti strumenti:

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- convenzioni a rapporto diretto tra Comune ed enti autorizzati e accreditati, secondo le procedure definite dalla Regione Lombardia. E’una modalità tipica e consolidata relativa soprattutto a strutture residenziali e semiresidenziali per anziani, minori e disabili;

- bandi pubblici per interventi a valere su fondi messi a disposizione del Comune da leggi nazionali e regionali di settore. Si ricordano i finanziamenti erogati al non profit attraverso le leggi 285/97 sull’infanzia, la legge 289/2002 sulle famiglie di nuova costituzione e il sostegno alla natalità, la legge regionale 23/99 sulla famiglia, la legge 40/98 sull’immigrazione, le leggi nazionali di settore per quanto concerne l’handicap (legge 162/98), le tossicodipendenze (legge 45/99), l’emarginazione grave (art. 28 legge 328/2000);

- convenzioni con le organizzazioni di volontariato secondo l’articolo 7 della legge 266/91. Il sostegno alle organizzazioni di volontariato attive nel settore socio-assistenziale prevede contributi alle spese sostenute con l’esclusione delle spese per il personale;

- contratti stipulati a seguito di gara ad evidenza pubblica per quanto riguarda i servizi esternalizzati. Le procedure di gara più utilizzate sono quelle dell’appalto concorso e del pubblico incanto, mentre il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

- contributi ad associazioni ed enti, nel rispetto dell’articolo 12 della legge 241/90 e del Regolamento comunale per la concessione di contributi. Con questa modalità vengono finanziati interventi in campo socio-assistenziale e socio-sanitario, integrativi o complementari a quelli dell’amministrazione, gestiti da soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro.

Oltre alle relazioni di tipo economico tra il Comune e l’universo del non profit si segnala la costituzione di due tavoli di consultazione permanente, uno per il Terzo Settore e uno per il Quarto Settore, a cui partecipano le organizzazioni di rappresentanza delle varie componenti del non profit e dell’associazionismo familiare.

Accanto a questi due tavoli permanenti, in esecuzione del Piano di Zona 2002-2004 sono stati creati tavoli tematici relativi ai seguenti ambiti di intervento:

- Famiglia, - Minori e adolescenti, - Diasabili, - Anziani, - Adulti.

Quest’ultimo tavolo tematico è a sua volta suddiviso rispetto alle aree “stranieri”, “povertà”, “disagio mentale”, “dipendenze”, “aids” e “carcere”. Si tratta di tavoli operativi a cui partecipano, secondo il PDZ, 167 organizzazioni cittadine attive negli specifici settori.

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5. Dai bisogni sociali alla produzione di servizi

5.1 L’economia sociale tra esternalizzazioni e mercato sociale

Lo sviluppo dell’economia sociale è strettamente connesso a due processi di carattere strutturale e che incidono profondamente sulle politiche di welfare nel nostro paese:

A. i processi di esternalizzazione dei servizi sociali e assistenziali da parte delle amministrazioni pubbliche con l’”integrazione” più o meno rilevante delle cooperative sociali nell’offerta di interventi e la costruzione di un sistema di welfare-mix. Processi non lineari nei quali, nonostante il tema ricorrente (e la giustificazione di fondo) delle asimmetrie informative, rischiano di assumere un ruolo strumentale i soggetti del non profit in una sorta di isomorfismo con la pubblica amministrazione come ricordano le ricerche di Ugo Ascoli. Un altro studioso dell’economia sociale, Luca Fazzi, mette a sua volta in guardia dalle possibili negative conseguenze sulle organizzazioni a causa di percorsi troppo sbilanciati su questo versante30. L’incremento dimensionale ed occupazionale delle imprese sociali è avvenuto e avviene tuttora prevalentemente sul terreno del mercato dei servizi pubblici, con logiche concorrenziali e inevitabili tensioni sui modelli organizzativi e sulle relazioni tra identità e appartenenza alle organizzazioni con la gestione effettiva delle risorse umane coinvolte. Parliamo di mercato di servizi proprio per sottolineare la simmetria esistente nel sociale e nel sanitario tra logiche di mercato “capitalistico” e sue problematiche (asimmetrie informative e comportamenti opportunistici) e combinazione offerta pubblica-produzione privata (seppur da parte del non profit) che non esclude queste stesse problematiche, anzi rischia di aggiungerne di ulteriori sul versante della mancata rispondenza degli interventi sociali alle motivazioni delle organizzazioni e alle aspettative degli utenti. In altri termini, si afferma che “la dimensione reale di un contracting out che guarda al non profit è quella di una variante interna alle politiche di offerta pubblica”31

B. i processi di autovalorizzazione dell’autonomia sociale nell’ambito dei servizi del welfare. Ci riferiamo, in particolare, ai servizi erogati dalle organizzazioni di volontariato, all’impegno delle associazioni di promozione sociale, al diffondersi di pratiche di mutuo aiuto come le banche del tempo, ai gruppi di acquisto familiare, agli interventi in diversi settori promossi e finanziati dalle fondazioni, alle stesse cooperative sociali che offrono i propri servizi direttamente ai cittadini e al sistema delle imprese profit. Un insieme di interventi che forse è riduttivo includere nella categoria del “mercato sociale”, proprio per l’esistenza di pratiche di reciprocità, di dono, di gratuità e disinteresse che sostanziano nel profondo questi interventi. Lo definiamo comunque mercato sociale per distinguere queste azioni del non profit da quelle inseribili o inserite nell’ambito delle relazioni di scambio con la pubblica amministrazione. Esistono, è vero, forme di sostegno pubblico a questi processi, ma più

30 Scrive Fazzi in Una o più forme di bilancio sociale per le organizzazioni senza fini di lucro?, Economia Pubblica, n. 1, 1998, pag. 39: “ci si è trovati (…) improvvisamente a dover prendere atto che la crescita delle politiche di welfare mix non ha coinciso, in linea generale, con un auspicato incremento della qualità dei servizi e della soddisfazione del cittadino utente. ” e ancora che i soggetti del non profit: “in molti casi, da soggetti promotori dello sviluppo sociale si sono trasformati in attori (…) in campi di azione caratterizzati da livelli di performance decrescenti.” 31 Cfr. Montebrugnoli, A.: Come complicare l’economia sociale. Per una nuova stagione del welfare, Ediesse, Roma, 2000. La citazione dal testo è a pagina 34.

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che di corrispettivi per l’attività svolta, come nel caso del contracting out, occorre parlare di incentivi o contributi che testimoniano il riconoscimento del ruolo sociale di queste pratiche e la loro capacità di permeare i territori di solidarietà e reciprocità.

Questi due processi, si è rilevato, hanno il carattere della compresenza in funzione dei contesti di riferimento e del grado di evoluzione/sviluppo delle organizzazioni non profit. Affrontando il capitolo del non profit milanese abbiamo sottolineato la forte dipendenza dal pubblico e dai finanziamenti pubblici di moltissime organizzazioni strutturate e erogatrici del welfare appartenenti al Terzo Settore. Ma accanto ad esse esistono e sono operative numerosissime esperienze di volontariato e di associazionismo “di base”, poco imprenditoriali nei loro interventi, ma molto radicate nel territorio e attive in ambiti “emergenziali” del welfare come la rappresentanza delle categorie più deboli, il disagio sociale e la povertà.

La scelta di sostenere innanzitutto il ruolo e gli interventi di quella che abbiamo definito l’autovalorizzazione dell’autonomia sociale nell’ambito del percorso attuativo del programma URBAN II di Milano nasce da precise indicazioni emerse dalla lettura della realtà sociale svolta nelle parti precedenti del rapporto:

− l’espansione dei bisogni sociali dell’area in un contesto di rigidità e contenimento delle risorse locali per le politiche di welfare;

− la debolezza del tessuto associativo e relazionale del territorio a cui non può rispondere solo un incremento del contracting out di alcuni servizi assistenziali;

− la pervasività e la strutturalità di fenomeni come la microcriminalità o il disagio familiare a cui occorre rispondere con interventi diffusi, dal basso e soprattutto partecipati, al di là degli aspetti prettamente economici degli interventi;

− l’esistenza di una rete associativa e di volontariato, seppur debole e concentrata in alcuni settori del sociale come le parrocchie e le associazioni di quartiere, che non hanno una specifica vocazione imprenditoriale della propria azione, ma che necessitano di un ripensamento organizzativo e istituzionale del loro ruolo in un percorso di aziendalizzazione delle funzioni e degli assetti;

− e, soprattutto, la multidimensionalità del fenomeno dell’emarginazione e del disagio sociale presente nell’area URBAN II che ha caratteristiche per molti versi storiche e consolidate e che esige risposte altrettanto strategiche e non contingenti

In altri termini, si tratta di ripartire dai bisogni e dalla domanda sociale per costruire le risposte che lo stesso territorio ha individuato e persegue nella concreta realtà dell’agire quotidiano.

5.2 Il ruolo del capitale sociale

Il concetto di capitale sociale è utilizzato in accezioni molto differenziate che ne rendono difficile una concettualizzazione omogenea e condivisa32. Pur non essendo stato il primo 32 Ad esempio, l’OCSE definisce il capitale sociale come “networks together with shared norms, values and understandings that facilitate cooperating within or among groups” (Cote, S. e Healy, T. The Well-being of Nations. The role of human and social capital, OECD, Paris, 2001). La World Bank (What is social capital, PowertyNet, 1999) fornisce una definizione più estesa: “social capital refers to the institutions, relationship,

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autore a introdurre il termine “capitale sociale”, è generalmente riconosciuto a Coleman il merito di aver dato l’avvio ad una sistematizzazione teorica del concetto con l’obiettivo, da una parte, di sottolineare l’importanza delle relazioni sociali per il raggiungimento di molti fini individuali e, dall’altra, di affrontare con il modello razionale della teoria economica il tema dell’influenza del contesto sociale sui comportamenti economici di diversi attori33.

A partire dall’analisi di Coleman molti autori hanno sviluppato questi concetti proponendo diversi sviluppi teorici. Il concetto di “capitale sociale” può essere inteso, in effetti, come sinonimo di civicness (Putnam), di “fiducia” (Granovetter34), di “regole culturali non scritte a chiare lettere” (Fukuyama35). Attualmente questo termine viene utilizzato nelle scienze sociali ed economiche per definire le caratteristiche sociali, relazionali, culturali e politiche dei territori e viene analizzato come fattore a sé dello sviluppo locale accanto alle variabili che definiscono le dotazioni infrastrutturali, finanziarie e di capitale umano36.

Oltre ai problemi definitori e alle diverse valutazioni sull’importanza dell’utilizzo del concetto di capitale sociale in ambiti non strettamente sociologici37, da sempre gli studiosi si sono posti il tema di fondo della misurazione del capitale sociale, compito molto difficile e fortemente soggettivo38. Per alcuni lo stesso processo di sintesi quantitativa dei complessi fenomeni contenuti nel concetto di capitale sociale ne ridurrebbe la portata esplicativa (es. Pizzorno39).

L’individuazione di indicatori di sintesi del capitale sociale è, quindi, una fase molto discussa e discutibile proprio per le dimensioni non univoche, multidimensionali e qualitative dei fenomeni sottesi al concetto.

L’ultima e più ampia ricerca sul capitale sociale nel nostro paese conclude la sua analisi sostenendo che “le differenze di capitale sociale fra le diverse aree del Paese sembrerebbero più facilmente spiegabili in termini di struttura socio-occupazionale che

and norms that shape the quantity of a society’s social interactions […]. Social capital is not just the sum of the istitutions which underpin a society – it is the glue that holds them together”. Putnam (La tradizione civica delle regioni italiane, Mondatori, Milano, 1993) definisce il capitale sociale come “le caratteristiche delle organizzazioni sociali, quail reti, norme e fiducia che facilitano la cooperazione per beneficio reciproco”. 33 Cfr. Coleman, J.S., Foundations of Social Theory, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1990. 34 Per quanto concerne l’approccio di Granovetter si rimanda a The Strenght of Weak Ties, in American Journal of Sociology, n. 78, 1973 e Economic Action and Social Structure: The Problem of Embedness, in American Journal of Sociology, n. 91, 1985. 35 Cfr. Fukuyama, F., La grande distruzione. La natura umana e la ricostruzione di un nuovo ordine sociale, Baldini e Castoldi, Milano, 1999. 36 Per una rassegna critica del concetto di capitale sociale si vedano, in particolare, il lavoro di Sophie Ponthieux, The concept of social capital: a critical review, 10th ACN Conference, Paris, 21-23 January 2004. 37 Portes in Social Capital: its Origins and Applications in Modern Sociology, in Annual Review of Sociology, 22, 1998, pagg. 373-394, sostiene, ad esempio, che “stiamo avvicinandoci al punto in cui il capitale sociale viene ad essere applicato a così tante cose e in così tanti significati da perdere ogni distinto significato”. 38 Un utile riferimento su questo tema è il lavoro di Damiano Fiorillo, Capitale Sociale e Crescita Economica. Review dei concetti e dell’evidenza empirica, Università degli Studi di Salerno, Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche, WP 3.114, 2001. 39 Cfr. Pizzorno, A., Perché si paga il benzinaio. Nota per una teoria del capitale sociale, in Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia ( a cura di), Il capitale sociale: istruzioni per l’uso, Il Mulino, Bologna, 2000.

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non di cultura” (cfr. Istituto Cattaneo40). Una valutazione che sembra ribaltare per molti versi gli approcci tradizionali alla Putnam alla spiegazione dei differenziali di sviluppo locali.

Tuttavia, occorre ricordare come i principali studiosi abbiamo sottolineato a più riprese (es. Granovetter e Trigilia per il caso italiano) come il capitale sociale di un territorio sia la variabile fondamentale dello sviluppo economico locale nei contesti post-fordisti proprio perché le variabili di fondo dell’attuale fase economica (flessibilità e qualità) necessitano di cooperazione esterna all’impresa. Da qui l’importanza dell’analisi delle relazioni tra i soggetti economici e il contesto ambientale e la valutazione delle forme di condivisione/partecipazione/partnerariato tra imprese, lavoratori, soggetti privati e attori pubblici41.

In merito alla questione della misurazione del capitale sociale è possibile individuare due principali metodologie utilizzate per la costruzione di indicatori del capitale sociale:

1. indagini sulle opinioni e azioni42; 2. utilizzo di indicatori oggettivi43.

Le indagini demoscopiche consentono di rilevare elementi non ricavabili da statistiche fondate su dati, come le opinioni o comportamenti soggettivi, mentre l’utilizzo di indicatori oggettivi (di tipo amministrativo e censuario) permette analisi più dettagliate a livello territoriale e consente di non limitarsi a elementi principalmente qualitativi.

Gli indicatori più frequentemente utilizzati nella letteratura come proxy del capitale sociale sono quelli relativi alla misurazione della partecipazione degli individui a organizzazioni non profit, ad atteggiamenti/comportamenti prosociali, al grado di civismo e ad alcune caratteristiche del territorio, delle istituzioni e delle comunità di appartenenza che possono influenzare la cooperazione tra soggetti.

Micucci e Nuzzo di Banca d’Italia44 hanno individuato con questo approccio 50 variabili con una netta prevalenza dell’analisi degli aspetti relativi alle diverse forme di partecipazione dei cittadini alle attività di organizzazioni non profit, accanto a proxy che

40 Sul tema del capitale sociale l’Istituto Cattaneo ha avviato nel 2002 un programma di ricerca volto ad esplorare la dotazione di capitale sociale sia a livello nazionale che in specifiche aree territoriali. La prima fase del programma si è svolta nel 2003, su un campione nazionale, e con approfondimenti sulla realtà territoriale della Romagna. 41 Cfr. ad esempio Granovetter, M., Struttura sociale ed esiti economici, in Stato e Mercato, n.72, 2004, pagg. 355-382 e Trigilia, C., Capitale sociale e sviluppo locale, in Stato e Mercato, n. 57, 1999, pagg. 419-440 e Patti per lo sviluppo locale: un esperimento da valutare con cura, in Stato e Mercato, n. 63, dicembre 2001, pagg. 359-367.. 42 Con riferimento alla Banca Mondiale, nell’ambito del Social Capital Initiative Program iniziato nel 1996, è stato proposto uno strumento – denominato Social Capital Assessment Tool – per la misurazione del capitale sociale dei Paesi in via di sviluppo che si basa su sondaggi relativi al grado di attività sociali e al grado di fiducia nelle diverse istituzioni. 43 Importanti contributi a una definizione operativa di capitale sociale sono venuti da vari istituti di statistica nazionali come quello inglese e quello neozelandese. In Italia l’Istat ha promosso un progetto di analisi e di individuazione di un “Atlante del capitale sociale e delle istituzioni in Italia”. 44 Micucci G. e Nuzzo G., La misurazione del capitale sociale: evidenze da un’analisi sul territorio italiano, in www.bancaditalia.it/ricerca/ statist/ecoloc/Micucci_Nuzzo.pdf

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riguardano istituzioni più formalizzate, come la numerosità delle cooperative sociali e di produzione e lavoro.

Anche in questa indagine si sono, tuttavia, inserite variabili relative alla partecipazione politica nelle sue diverse forme e, soprattutto, un indicatore di efficienza delle istituzioni pubbliche.

In particolare nel caso italiano è emerso che:

- le variabili che spiegano maggiormente il livello di civicness e la presenza sul territorio di reti e rapporti fiduciari sono quelle relative alla partecipazione alle attività delle non profit (numero di istituzioni non profit, numero di volontari nelle non profit), la presenza di attività prosociali (attività gratuita per organizzazioni di volontariato, donazioni ad associazioni, donazioni di sangue), la partecipazione ad eventi culturali e politici (riunioni in associazioni culturali, numerosità di sale cinematografiche, livello effettivo di partecipazione alle elezioni politiche);

- le variabili che incidono negativamente sul capitale sociale sono quelle relative alla criminalità e alla lentezza della giustizia, al numero dei suicidi, al grado di urbanizzazione;

- a livello territoriale le regioni che presentano una maggior dotazione di capitale sociale sono quelle del Nord-Est e la Toscana, mentre le regioni meridionali presentano notevoli scostamenti in negativo rispetto ai valori medi nazionali;

- anche eliminando l’effetto reddito e quindi l’influenza della ricchezza sui comportamenti cooperativi e altruistici e sui rapporti fiduciari, la Lombardia presenta una bassa valutazione, sia del capitale sociale “micro” (comportamenti individuali), sia “macro” (dotazione della comunità), spiegabile con la preponderanza della dimensione urbana e metropolitana e i suoi effetti su variabili come la criminalità, l’anomia, la debolezza delle reti amicali e solidali.

In un altro recente lavoro De Blasio e Nuzzo si sono concentrati sulla verifica della teoria del capitale sociale nelle regioni italiane secondo l’impostazione di Putnam45. Anche questi autori hanno messo in rilievo le relazioni esistenti tra il livello di reddito dei territori e le diverse dotazioni di relazionalità sociale ed economica, pur sottolineando che il recente sviluppo economico di alcune aree tradizionalmente considerate marginali sembra dare maggiore risalto all’influenza di variabili come le capacità innovative46 sui livelli di sviluppo. Su quest’ultima linea di ricerca si muovono i lavori di Rizzi e Rizzi-Stevani.

Si tratta, evidentemente, di conclusioni da verificare e sostenere con attenzione, ma che indicano un interessante percorso di ricerca47.

Appare, quindi, importante inserire alcuni elementi di problematicità nella nostra analisi sulle potenzialità dell’economia sociale in una definita area territoriale come quella di URBAN II Milano.

45 De Blasio, C., Nuzzo, G., Il capitale sociale à la Putnam e le regioni italiane : un’analisi empirica, in Scienze Regionali, 4, 2005, 1, pagg. 37-69. 46 Una sintetica rassegna delle evidenze empiriche per i sistemi territoriali italiani è contenuta in Rizzi, P., Capitale sociale o capitale creativo, in Scienze Regionali, 4, 2005, 1, pagg. 149-153. 47 Cfr. Rizzi, P., cit., pag. 152.

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In particolare, ci sembra opportuno sottolineare che gran parte delle variabili considerate proxy del capitale sociale (numerosità e partecipazione ad organizzazioni non profit, numero di volontari e donatori, partecipazione ad attività culturali e politiche, in senso positivo, e indicatori di criminalità e disagio sociale, grado di urbanizzazione, in senso negativo) formano un quadro particolarmente ostativo alla diffusione di pratiche e attività relazionali favorevoli allo sviluppo del capitale sociale.

Tutti gli indicatori emersi dall’analisi del territorio URBAN II e discussi in questo rapporto sulla numerosità e sulle caratteristiche delle organizzazioni non profit e sulla presenza di attività di socializzazione e ricreazione presentano valori discordanti e sottodimensionati rispetto alle aree più dinamiche e socialmente coese della metropoli. L’analisi delle variabili relative al disagio sociale nelle sue diverse forme (da quello abitativo alla condizione degli anziani nella zona, dalle sacche di criminalità alla presenza di insediamenti di nomadi fortemente osteggiati, dalla diffusione delle dipendenze al degrado urbano e alla mancanza di aree verdi e attrezzate) propone un quadro per molti versi drammatico di progressiva emarginazione dell’area e di impoverimento strutturale dal punto di vista culturale, sociale ed economico.

A questo scenario fa tuttavia da contraltare l’impegno sul territorio di una rete di attori sociali legati alle parrocchie, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni sportive e culturali più radicate e presenti nell’area milanese, ai centri sociali e giovanili, al quale si affianca la presenza di centri universitari e di ricerca nell’area della Bovisa e del polo ospedaliero di Vialba, nonché di notevoli potenzialità legate agli aspetti logistici e localizzativi del territorio stesso.

Se, come riteniamo, vada accolta la linea di intervento che enfatizza le relazioni tra livelli di capitale sociale espressi dal territorio e condizioni favorevoli allo sviluppo economico e sociale, si apre la grande e decisiva questione di come incrementare nel medio-lungo periodo i livelli di civicness e di partecipazione civica in tutto il contesto oggetto dell’intervento URBAN II.

5.3 Sostenere l’economia sociale, produrre capitale sociale, favorire lo sviluppo

A questo punto del ragionamento è necessario fissare alcune coordinate di ordine metodologico per costruire la cornice entro la quale andranno delineati gli interventi per lo sviluppo dell’economia sociale dell’area URBAN II.

1. In primo luogo, le analisi svolte nel corso del rapporto indicano l’esigenza di porre al centro delle politiche di sviluppo e rivitalizzazione dell’area il ruolo potenziale dell’economia sociale. Un ruolo che abbiamo caratterizzato come agente dell’autovalorizzazione dell’autonomia sociale, piuttosto che di erogatore di servizi sociali nell’ambito del contracting out pubblico. Una sfida che richiede il passaggio dalla dipendenza dai finanziamenti pubblici e dalla loro erraticità alla creazioni di spazi di “mercato sociale” o di relazioni al di fuori del mercato stesso. E che richiede un sostegno pubblico articolato e meno limitato ai momenti contrattuali e convenzionali tradizionali. Un passaggio difficile, ma possibile entro un quadro di riconoscimento dei percorsi di crescita dell’economia sociale e delle linee di intervento che favoriscano

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questo sviluppo. Con questo approccio si intende evidenziare il ruolo dei bisogni e della domanda sociale come fattore di confronto continuo con le risposte dell’economia sociale e come elemento di misura dell’efficacia del proprio intervento.

2. In secondo luogo, occorre ricordare che le politiche di sviluppo locale sono strettamente legate alla presenza di reti, relazioni, orientamenti e comportamenti sociali che ne sono il presupposto e la condizione essenziale per la loro continuità temporale e, soprattutto, per il loro successo. Il capitale sociale dell’area URBAN II assume quindi rilevanza maggiore se considerato l’obiettivo complessivo di tutte le diverse politiche messe in atto dal PIC. Ricreare senso, rapporti fiduciari, identità territoriali, spazi e reti condivise: queste devono diventare le conseguenze diffuse delle politiche a sostegno dell’economia sociale. In questo senso gli indicatori di tipo tradizionale nell’ambito dello sviluppo dell’economia sociale (nuovi occupati e nuove iniziative imprenditoriali) rischiano di non cogliere fino in fondo le esternalità dell’agire sociale del non profit. Occorre, quindi, affiancare a questi indicatori altre proxy che consentano un monitoraggio effettivo degli impatti degli interventi.

3. Infine, il tema complessivo dello sviluppo dell’area URBAN II. A questo sviluppo economico l’economia sociale è chiamata a fornire un contributo sostanziale in termini di coesione sociale e di qualità reale nelle risposte alle domande sociali. A partire ovviamente dal contributo occupazionale e reddituale dei propri interventi, ma avendo sempre presenti le priorità di ordine solidaristico e sociale dei propri programmi di sviluppo.

Si propone, quindi, un percorso di sostegno all’economia sociale in grado di coniugare queste tre linee di intervento: rafforzare i soggetti dell’economia sociale come attori della domanda sociale e interlocutori/interpreti dei bisogni e delle esigenze del contesto sociale, promuovere lo sviluppo delle reti formali e informali, delle relazioni fiduciarie, della circolazione di idee e di solidarietà, e, infine, integrare l’economia sociale nelle politiche di sviluppo complessivo del territorio.

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6. Quali priorità per lo sviluppo dell’economia sociale

6.1. Evoluzione del sistema di welfare e economia sociale

Da anni si assiste, a Milano e in Lombardia come nel resto del paese, alla crescita del numero e delle dimensioni di organizzazioni, enti ed istituzioni che operano nell’ambito dei servizi sociali e sanitari, dell’assistenza, della cultura e della ricreazione, dello sport e della tutela dell’ambiente, dell’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate: l’universo che viene definito come Terzo Settore, economia sociale e civile, settore non profit. La rapida espansione di questo settore è il risultato di una serie di cambiamenti sociali, economici e politici, riconducibili a due principali dimensioni evolutive48:

a) la crisi del welfare state: da un lato, la crescita della spesa pubblica ha reso necessario un ripensamento delle politiche sociali, dall’altro, l’evoluzione dei bisogni sociali ha messo in evidenza le insufficienze delle risposte date dalle tradizionali istituzioni pubbliche e/o assicurative;

b) l’evoluzione del ruolo dello Stato: dalla funzione di “Stato erogatore”, che assume in prima persona lo svolgimento di determinate attività, si è passati alla funzione di “Stato regolatore”, che consiste nell’emanazione di indirizzi, politiche e obiettivi che costituiscono linee guida per gli interlocutori sociali ed economici.

Accanto a queste due tendenze di fondo si ricordano alcuni altri fattori, strutturali nelle società post-industriali, favorevoli allo sviluppo dell’economia sociale:

a) la crescente domanda di servizi destinati alle persone anziane, alle famiglie, alle categorie più deboli e svantaggiate che risentono degli effetti delle trasformazioni demografiche e sociali, nonché dei limiti del modello di welfare costruito nel nostro paese;

b) la capacità dimostrata dalle organizzazioni non profit nella realizzazione di interventi mirati, adatti alle esigenze della domanda in diversi contesti territoriali e secondo le regole del mercato;

c) il fatto che i servizi offerti dalle organizzazioni non profit siano al riparo dalla concorrenza internazionale e dalla globalizzazione dei mercati.

Le funzioni originarie che hanno caratterizzato la fase iniziale di sviluppo del non profit -in particolare, quelle di tutela delle classi sociali più disagiate, di promozione dei diritti della cittadinanza e di sperimentazione di possibili modalità di risposta ai bisogni della popolazione che la Pubblica Amministrazione non era in grado di soddisfare- si sono nel corso degli anni modificate profondamente. Negli anni ’80 le organizzazioni non profit abbandonano i ruoli di advocacy (tutela) e pioneering (sperimentazione) per assumere il difficile ruolo di produzione diretta, attraverso proprie strutture e proprie risorse, di servizi alla persona. Si viene affermando una visione della solidarietà come investimento per la società e come azione “dinamica” a favore di persone, strutture, situazioni che hanno difficoltà a mantenere un equilibrio socio-economico sufficiente a svolgere il proprio ruolo 48 Per un approfondimento su queste tematiche si rimanda a Gugiatti, A. (2003), “Il lavoro civile. L’occupazione nel Terzo Settore”, Egea, Milano.

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nella società. Si tratta di interventi che permeano di valori solidaristici il tessuto sociale e vanno a rafforzare la dotazione di “capitale sociale”49 presente nei territori, generando esternalità positive su tutte le variabili economiche.

Le indagini condotte negli ultimi anni illustrano il ruolo positivo dell’economia sociale nei differenti contesti territoriali del paese, soprattutto come fattore di intermediazione tra sfere ed ambiti sociali diversi, grazie alla sua progressiva diffusione e diversificazione50. Queste organizzazioni presentano un’ampia differenziazione di mission aziendali, settori di attività, natura giuridica e ambiti territoriali di azione. L’indagine svolta dall’ISTAT alla fine del secolo ha contribuito a fotografare la grande varietà strutturale delle istituzioni non profit, unita ad una distribuzione territoriale disomogenea51. Circa metà delle organizzazioni è localizzata al Nord52. La Lombardia, con il 14% del totale, è la regione con la più alta concentrazione di imprese non profit; seguita da Veneto e Emilia Romagna.

La forte espansione durante l’ultimo ventennio di associazioni e cooperative che offrono servizi alle fasce deboli ed emarginate della popolazione rappresenta un fenomeno particolarmente significativo per il territorio metropolitano milanese. L’analisi delle ricerche riportate in questo studio ha evidenziato come il non profit milanese abbia mostrato, oltre ad una forte espansione quantitativa, una notevole crescita qualitativa, determinata dalla diversificazione delle modalità di intervento e, soprattutto, delle relative filosofie d’azione. Tradizionalmente il Comune di Milano ha promosso questo sviluppo, trovando nell’universo delle organizzazioni di volontariato, delle cooperative sociali e delle nuove forme istituzionali del non profit, associazioni familiari e associazioni di promozione sociale, i referenti privilegiati per l’attuazione di una serie di interventi socio-assistenziali sul territorio.

Il mondo del non profit milanese si presenta molto più strutturato e organizzato rispetto ad altri contesti. Si tratta di un insieme di organizzazioni diversificate per caratteristiche, modalità organizzative, attività, destinatari degli interventi, rapporti con le istituzioni pubbliche. All’interno di questo universo variegato, si ritrovano, sia concezioni tradizionali, espressione di un volontariato teso a dare una risposta immediata ai bisogni espressi da gruppi e da singoli, sia concezioni innovative, frutto di una diversa coscienza del proprio ruolo, che interpretano una funzione di sensibilizzazione e di stimolo alla partecipazione sociale e politica. All’interno di questo universo si colloca anche a Milano lo sviluppo della cooperazione sociale, l’organizzazione dell’economia sociale più idonea a svolgere tutte quelle attività solidaristiche che necessitano di una strutturazione di tipo imprenditoriale. Attraverso la cooperazione sociale si sono attivate risorse e motivazioni solidaristiche trasformandole in realtà imprenditoriali che, in diversa misura, esplicano un

49 Su questi aspetti si veda Mutti, A. (1998), “Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa”, Il Mulino, Bologna. 50 La letteratura sul settore non profit nel nostro paese si è notevolmente ampliata ed ha indagato le organizzazioni sotto numerosi e diversificati aspetti. Una svolta nell’analisi di questo universo è rappresentata dalla pubblicazione del testo “Non per profitto” a cura di Barbetta presso il Mulino nel 1996. Da allora gli studi si sono moltiplicati. Per quanto riguarda gli autori si ricordano, in particolare, Borgonovi, Gui, Fiorentini, Matacena, Borzaga e Zamagni, mentre fra i centri di ricerca che hanno sviluppato analisi e indagini IRS, ISSAN, CERGAS, CGM, IREF e lo stesso IPRES di Bari. 51 ISTAT (2001), “Istituzioni non profit in Italia. I risultati della prima rilevazione censuaria- Anno 1999”, Roma. 52 Nel Nord Italia sono relativamente più diffuse le organizzazioni non profit dedite alla cooperazione internazionale, alla filantropia e al volontariato. Cfr. ISTAT, cit.

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importante ruolo nei processi di trasformazione del welfare. Realtà imprenditoriali che hanno saputo sviluppare interventi di tipo professionale come rilevato dai diversi rapporti del Centro Studi CGM sulla cooperazione sociale in Italia e dai rapporti annuali sullo stesso settore curati dalla Direzione Generale Artigianato della Regione Lombardia.

La necessità per le imprese non profit di sviluppare adeguate capacità imprenditoriali non solo deriva dal fatto di dover meglio sfruttare le opportunità offerte da un mercato in crescita, ma anche dalla presenza di alcuni problemi legati allo sviluppo dell’impresa sociale53. Questo settore dipende fortemente dalla domanda pubblica, soprattutto nelle sue componenti più tradizionali legate all’area della sanità e dei servizi sociali. La domanda pubblica, tuttavia, evidenzia spesso forti connotati di variabilità, legata alla disponibilità dei fondi pubblici e crea notevoli problemi di natura finanziaria alle imprese sociali.

L’economia sociale, nel momento in cui sceglie un percorso di tipo imprenditoriale, si confronta necessariamente con logiche, pratiche, categorie interpretative, e modelli di pensiero tipici delle imprese for profit54. Nei differenti contesti territoriali si pone un problema tipico dell’azione delle non profit, cioè quello di coniugare le due dimensioni principali dell’agire di tali organizzazioni: l’identità e le attività. L’economia sociale cerca spesso di trovare un equilibrio fra queste due dimensioni, dato che uno sbilanciamento a favore dell’una o dell’altra snaturerebbe quella condizione di mix fra criteri di azione che sta alla base dell’agire di queste realtà.

Secondo il modello proposto da Borzaga55, nelle interpretazioni delle relazioni tra sviluppo dell’economia sociale e mercato del lavoro si possono sintetizzare queste impostazioni:

1. il non profit come sistema di relazioni economiche diverse da quelle tipiche del mercato. L’occupazione nel settore in questo caso è di tipo estremamente specifico, poco remunerata, poco incisiva nel complesso sul fenomeno della disoccupazione. In sintesi: il non profit come ripiego occupazionale o, meglio, ammortizzatore parziale e temporaneo della disoccupazione;

2. il non profit come sostituto occupazionale delle Amministrazioni Pubbliche a seguito dei processi di esternalizzazione di servizi. In sintesi: il non profit può creare occupazione aggiuntiva solo se si accrescono le risorse destinate alla produzione di servizi o se, a parità di risorse economiche, l’uso più efficiente delle stesse permette di impiegare un maggior numero di persone;

3. il non profit come insieme di organizzazione autonome che vendono servizi direttamente sul mercato. In sintesi: il non profit come fattore di sviluppo di occupazione all’interno di un vero e proprio “mercato sociale”, al di fuori dell’intervento pubblico.

In realtà, le ricerche effettuate su diversi contesti italiani indicano la difficoltà di assumere in sede analitica linee nette di demarcazione tra queste interpretazioni. Si è, in effetti, di 53 Su questo aspetto si veda in particolare Centro Studi CGM (2002), “Comunità cooperative. Terzo rapporto sulla cooperazione in Italia”, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino. 54 Oltre alle ricerche citate nelle parti precedenti del rapporto si rimanda a Cerri, M. (2003), “Il Terzo Settore tra retoriche e pratiche sociali”, Edizioni Dedalo, Bari. 55 Per un approfondimento di queste interpretazioni si rimanda a Barbetta, G.P., cit., Borzaga, C. (1994), “Impresa sociale e Occupazione”, in Impresa Sociale, n. 13, Acunto, S.D.- Musella, M., “Il ruolo del Terzo settore tra disoccupazione e crisi del welfare. Un commento alla proposta di Lunghini”, in Studi Economici, n. 2, 1995.

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fronte a un settore che presenta caratteristiche parziali di tutti e tre i modelli. Basti pensare alle modalità contrattuali e retributive dell’occupazione non profit, alle caratteristiche dei servizi forniti, al ruolo preponderante che hanno per molte aziende le entrate derivanti da convenzioni con il settore pubblico, agli spazi che esistono già attualmente per servizi destinati direttamente al mercato. Esempio significativo della commistione di tutti questi elementi sono le cooperative sociali finalizzate all’inserimento di persone svantaggiate.

Al di là tuttavia dei modelli interpretativi, alcune tendenze in atto a livello nazionale e locale possono aiutare a sottolineare il ruolo dell’economia sociale come fattore di sviluppo occupazionale:

a) accanto ad un ruolo di produttori di servizi per conto delle Amministrazioni Pubbliche, le organizzazioni non profit vedono accrescere i momenti di coinvolgimento nella definizione, progettazione, implementazione degli interventi. Questa evoluzione richiede professionalità che sono carenti, sia nel settore pubblico, sia nel non profit e che vanno ricercate sul mercato del lavoro, oppure formate con programmi di intervento specifici;

b) il potenziamento avvenuto, e per molte aziende ancora da compiersi, di alcune funzioni specifiche del settore non profit come la raccolta fondi o l’intervento nelle politiche attive del mercato del lavoro a favore delle categorie deboli come i disabili, richiede, da un lato, superiori livelli di competenze e professionalità rispetto al passato, e, dall’altro, permette di disporre di risorse aggiuntive per le attività caratteristiche delle organizzazioni;

c) la vendita di servizi direttamente sul mercato, a privati cittadini/consumatori, al di fuori delle relazioni di scambio con le amministrazioni pubbliche;

d) la crescente attenzione in sede di applicazione delle riforme istituzionali agli aspetti di delega di funzioni agli Enti Locali con il forte accento sul principio di sussidiarietà che prefigura scenari di maggior responsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche nella produzione di servizi che siano qualitativamente e quantitativamente rispondenti alle attese ed ai bisogni dei cittadini e che, nel contempo, permettano di mantenere un corretto equilibrio economico di gestione;

e) a livello complessivo il ridisegno del sistema di welfare, specie in un contesto di integrazione europea, che deve necessariamente affrontare gli aspetti di anomalia della spesa sociale italiana da sempre fortemente sbilanciata sul versante dell’integrazione del reddito e della monetizzazione del bisogno di assistenza a discapito dell’offerta di servizi specifici per le varie aree di disagio (in particolare, portatori di handicap, anziani non autosufficienti, emarginati psichici e sociali). Passare dai trasferimenti ai servizi implica a parità di condizioni, non solo un utilizzo più efficiente ed efficace delle risorse, ma anche un incremento delle opportunità di intervento per il Terzo Settore.

6.2. Condizioni di sviluppo dell’economia sociale

Le principali indicazioni che emergono dalle ricerche sull’economia civile e sociale del nostro paese in merito alla condizioni di sviluppo dell’economia sociale individuano i seguenti aspetti di criticità/opportunità:

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a) lo sviluppo dell’economia sociale come risposta ad una domanda di servizi più coerenti alle aspettative della popolazione, in termini quantitativi, per le deficienze nell’offerta del welfare, e qualitativi, a causa della domanda di interventi più specifici, mirati, personalizzati nei diversi contesti territoriali;

b) la forte intensità di lavoro contenuta nei servizi erogati; c) l’orientamento verso l’'occupazione giovanile; d) la non delocalizzazione dei servizi erogati; e) gli aspetti relazionali e di reciprocità che caratterizzano l’attività dell’economia

sociale; f) il ruolo di “scouting e di avanguardia inventiva” assunto dalle organizzazioni; g) un assetto normativo agevolante che favorisce la loro crescita dimensionale.

A partire dalla prima valutazione dell’importanza del settore non profit a livello occupazionale svolta in una ricerca internazionale comparativa – tra USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Ungheria e Giappone – promossa da Lester M. Salamon e Helmut K. Anheir, della Johns Hopkins University, realizzata nel 1992 e curata per la parte relativa al nostro paese dall’Irs56, varie sono state le indagini per valutare l’importanza relativa e i fattori di sviluppo delle organizzazioni non profit.

Secondo la Prima Indagine Censuaria dell’ISTAT pubblicata nel 2001 al 31 dicembre 199957 erano attive nel nostro paese 221.412 istituzioni non profit nelle quali operavano, accanto agli oltre 3 milioni di volontari, 532 mila lavoratori dipendenti, 18 mila lavoratori distaccati, 80 mila lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

La maggior parte dell’occupazione nelle organizzazioni non profit era riferibile alle associazioni non riconosciute con oltre 150 mila occupati (24,11%), seguita dalle “altre forme giuridiche (23,29%) e dalle associazioni riconosciute (22,69%). L’universo delle cooperative sociali (4.651 imprese censite) sviluppava alla fine del secolo scorso oltre 130 mila occupati, mentre le 3.008 fondazioni poco più di 56 mila.

Per quanto riguarda il settore di attività prevalente degli occupati nelle istituzioni non profit, la ricerca ISTAT confermava il ruolo preponderante di due settori: il sanitario e i servizi di assistenza sociale. Questi due ambiti del welfare occupano, infatti, oltre il 51% dei lavoratori dipendenti e il 47,5% dell’insieme dell’occupazione generata dal non profit. Oltre agli ambiti sanitario e socio-assistenziale, l’occupazione non profit si concentra nei servizi di istruzione e ricerca (19,68%), cultura-sport e ricreazione (11,58%) e relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (9,42%). Gli altri settori di intervento più legati all’attività di advocacy sono meno rilevanti dal punto di vista dell’impatto occupazionale.

La distribuzione regionale dell’occupazione non profit metteva in risalto il ruolo di due regioni, Lombardia e Lazio, che da sole spiegavano quasi la metà del personale retribuito dalle aziende. Il 52% dell’occupazione si concentrava nelle regioni settentrionali e solo il 13% in quelle del Mezzogiorno.

56 Salamon L. – Anheir H.K., “The emerging sector. An overview”, Johns Hopkins University, Baltimore, 1994. 57 Istat (2001), Istituzioni nonprofit in Italia. I risultati della prima rilevazione censuaria. Anno 1999, Informazioni, n. 50.

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Lo scenario di crescita quantitativa del settore e di sviluppo dei suoi interventi delineato dal Censimento ISTAT del 1999 trovava riscontro nella crescente domanda di servizi nelle aree più critiche del welfare (anziani, soggetti deboli, nuove forme di disagio sociale e povertà). A Milano le organizzazioni non profit si sono orientate verso una diversificazione dell’offerta di servizi, aumentando nel contempo la dimensione sociosanitaria delle proprie attività, con interventi sociali più legati al territorio, alle reti relazionali, al sostegno delle pratiche assistenziali familiari come nuova dimensione possibile delle politiche di welfare.

Lo sviluppo dell’economia sociale è notevolmente condizionato dal contesto sociale in cui le organizzazioni non profit si trovano ad operare. Contesti caratterizzati da alti livelli di disoccupazione complessiva e di disoccupazione giovanile appaiono quelli meno favorevoli all’espansione delle attività del non profit58. Accanto a questa riflessione si ricordano, brevemente, gli elementi di debolezza evidenziati dalle ricognizioni effettuate sui fattori di sviluppo dell’economia sociale nell’area metropolitana milanese.

Un primo indice di debolezza, comune a molte organizzazioni con un orientamento spiccatamente “volontaristico”, risiede nei bassi livelli di formazione e, per alcune realtà, nei bassi livelli di scolarità di tutte le categorie di persone coinvolte - soci, volontari, personale retribuito - che si riscontrano in alcuni segmenti (in particolare le cooperative sociali).

Un secondo elemento di debolezza attiene, invece, aspetti tipicamente gestionali, che esprimono una carenza di cultura manageriale e di capacità di cogliere in maniera imprenditoriale tutte le opportunità offerte dal contesto in cui le organizzazioni operano. Ci riferiamo ad alcune funzioni essenziali come le relazioni esterne, marketing, raccolta fondi e la direzione e gestione strategica. La prima area ha importanti riflessi sulla gestione di un'azienda: essa è finalizzata, sia alla raccolta di risorse finanziarie, necessarie per garantire il rispetto di idonee condizioni di economicità, sia alla comunicazione all'esterno delle attività dell'ente e della propria mission, aspetto importante non solo per raccogliere maggiori consensi nella collettività, ma anche per coinvolgere nelle proprie strutture un maggior numero di personale volontario, il cui grado di motivazione dipende in larga misura dalle finalità perseguite. Anche con riferimento alla direzione e gestione strategica, risulta evidente che per affrontare con successo le conseguenze dei processi sociali ed economici, nonché delle innovazioni legislative è indispensabile per le imprese sociali l’acquisizione e nella formazione di un management sociale adeguato. La mancanza o l’insufficienza di una visione manageriale in molte organizzazioni ha forti riflessi sulla capacità di giocare un ruolo attivo nella società e nella capacità di cogliere, far emergere e sviluppare la domanda, ancora in parte potenziale ed inespressa, di servizi sociali e di interesse collettivo, che rappresenta il principale fattore di sviluppo del settore.

Un ulteriore elemento di debolezza è costituito dalla forte dipendenza dalle scelte e dagli orientamenti delle Amministrazioni Pubbliche. L’importanza del ruolo sostenuto dalla Pubblica Amministrazione, soprattutto come terzo pagante di beni e servizi di welfare e attore protagonista del sorgere delle iniziative imprenditoriali dell’economia sociale, è indiscutibile. Le indagini sul non profit milanese segnalano, tuttavia, che i casi di maggiore

58 Per un confronto con una realtà economica e sociale molto differente da quella milanese e lombarda si rimanda alla ricerca IPRES, Istituzioni non profit e welfare regionale. Il ruolo del terzo settore nel sistema integrato di interventi e servizi sociali in Puglia, Bari, 2004, curata dall’autore del presente rapporto.

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successo hanno saputo sviluppare relazioni tra non profit e imprese profit o fra imprese sociali e domanda privata.

Un ultimo elemento di debolezza è costituito dal tema dei finanziamenti per lo sviluppo delle attività e dell’occupazione. Le imprese sociali operano sempre più su in mercati aperti alla concorrenza, specie nell’ambito della cooperazione sociale, che esigono sempre maggiori livelli di professionalità e contenuto tecnologico degli interventi e garanzie di innovazioni che solo l’accesso a risorse finanziarie può garantire.

A fronte di questi elementi critici, lo scenario per l’economia sociale è di tipo dinamico, essendo un settore in espansione, a cui si rivolge un crescente numero di utenti privati e di amministrazioni pubbliche59.

Le riflessioni svolte nei paragrafi precedenti consentono di collocare la tematica dei fattori di sviluppo dell’economia sociale all’interno della tematica più generale della riforma del modello di welfare costruito nel nostro paese e nei suoi contesti territoriali in maniera discontinua, frammentata e disomogenea durante lo scorso secolo. Ed al centro di questa tematica si pongono con urgenza almeno due questioni preliminari:

a) l’incremento in maniera sostanziale delle risorse destinate alle politiche sociali e alla copertura dei crescenti rischi di esclusione sociale propri di società complesse e ampiamente differenziate;

b) il superamento di una visione marginale e complementare dell’economia sociale all’interno dei processi di riforma del welfare.

Nei diversi e notevolmente differenziati contesti territoriali locali le amministrazioni pubbliche sono chiamate sempre più ad integrare lo sviluppo economico con quello sociale e a coinvolgere i diversi soggetti pubblici e privati in sede progettuale e nella gestione degli interventi. Inducono a questo sia il processo di decentramento amministrativo avviato nello scorso decennio che ha assegnato nuove e più ampie responsabilità in primo luogo alle Regioni e agli Enti Locali, sia le politiche per l’occupazione impostate in sede nazionale ed europea che individuano nell’ambito locale la sede privilegiata per definire politiche di sviluppo condivise tra i diversi attori in una logica orientata alla governance. L’economia sociale sociali si propone come attore sociale e economico protagonista di questa governance. Un attore capace di creare occupazione attraverso meccanismi diretti ed indiretti e di consentire di raggiungere maggiori livelli di coesione sociale sul territorio dove le organizzazioni svolgono la propria attività.

In un contesto ambientale definito dalle categorie della progettazione partecipata, della concertazione degli interventi, della condivisione degli obiettivi fra i diversi attori, dell’assunzione da parte delle amministrazioni pubbliche di logiche sempre più orientate alla governance, il salto di qualità necessario all’economia sociale per rafforzare e sviluppare le proprie attività diventa quello di riuscire ad inserire nella propria mission e nei propri processi di progettazione strategica i temi dello sviluppo delle proprie capacità

59 Un riferimento obbligato in questa direzione sono gli interventi e le politiche per l’inserimento lavorativo delle persone disabili ai sensi della legge 68 del 1998 che assegnano importanti compiti al mondo della cooperazione sociale. A questa legge si sono aggiunti gli effetti del decreto legislativo 276 attuativo della legge di riforma del mercato del lavoro che favorisce l’inserimento dei disabili nelle cooperative sociali sulla base di commesse di lavoro da parte di imprese soggette all’obbligo di assunzione dei soggetti svantaggiati.

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di analisi ed individuazione dei bisogni emergenti, della progettazione condivisa degli interventi, della programmazione delle diverse politiche sul territorio assieme agli altri soggetti. In altri termini, dal saper gestire bene un servizio al saper leggere l’ambiente, dialogare con altri soggetti, progettare e gestire in prima persona gli interventi.

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Parte Seconda

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Introduzione Obiettivo di questa seconda parte del rapporto di ricerca sui bisogni sociali dell’area Urban II nell’ambito della Misura 2.1 ”Servizi a sostegno dell’economia sociale” del PIC Progetto di Iniziativa Comunitaria di Milano è quello di approfondire e discutere alcuni elementi di analisi contenuti nella parte precedente con particolare riferimento alle tendenze attuali e future della domanda di servizi sociali espressa dal territorio di riferimento.

Nella prima parte del rapporto di ricerca il gruppo di lavoro ha inquadrato le problematiche di ordine sociale dell’area Urban II nel contesto più ampio della metropoli milanese, mettendone in rilievo le dimensioni estremamente differenziate dell’esclusione e del disagio sociale.

In questa parte dello studio saranno affrontate più analiticamente le dimensioni dei bisogni sociali specifici dell’area. I bisogni sociali presenti saranno discussi in seguito sulla base delle tendenze demografiche e delle previsioni di intervento urbanistico che vedono il territorio del Nord Milano al centro di importanti iniziative.

Alla presenza straniera nell’area è dedicato uno specifico approfondimento finalizzato a mettere in rilievo le caratteristiche principali dei flussi migratori e la loro distribuzione spaziale. L’incremento dell’immigrazione e la localizzazione nell’area Urban di numerosi luoghi della marginalità metropolitana pongono serie questioni in ordine alla gerarchia dei bisogni sociali e alle effettive priorità nelle risposte in termini di servizi e interventi sociali.

L’ultimo capitolo del rapporto propone una sintesi dei risultati dell’analisi sui bisogni sociali dell’area e li inserisce in un contesto più ampio di trasformazioni che la metropoli milanese sta vivendo a partire dagli anni ’70.

Al centro della parte propositiva, si pone con forza il tema della ricostruzione di legami solidaristici diffusi e densi sul territorio in grado di articolare una rete di interventi pubblici e privati rispondente alla complessità della domanda sociale. E dentro questa ricostruzione di reti solidaristiche emerge il ruolo dell’operatore pubblico come soggetto promotore e di riferimento di quella che definiamo la governance delle politiche e degli interventi sociali.

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1. I BISOGNI SOCIALI NELL’AREA URBAN II 1. 1. Infanzia 1.1.1 Il disagio I bambini, e le rispettive famiglie, esprimono, per le grandi modificazioni sociali in atto, bisogni sempre più articolati, diversificati e complessi.

Per rispondere in modo adeguato a questi bisogni, la città di Milano ha realizzato una rete di servizi pubblici e privati che accompagna sia i bambini che le famiglie attraverso le tappe del loro ciclo di vita, mettendo in atto una gamma di azioni.

Tutto ruota, quindi, attorno al nucleo familiare e al rapporto genitore/bambino ed al contesto in cui queste dinamiche si realizzano.

Quasi sempre, infatti, “le esigenze del bambino o del ragazzo sono le esigenze della sua famiglia e la loro soddisfazione costituisce un requisito essenziale per garantire al bambino e al minore uno sviluppo adeguato ed equilibrato. Né, d’altra parte, è possibile parlare di famiglia senza tener conto dei profondi mutamenti che essa ha subito negli ultimi anni, soprattutto nell’area cittadina milanese.”60

Il Piano di Zona 2006–2008 sembra confermare che il quadro dei bisogni delineato dal precedente PdZ, fino ad oggi, non sia sostanzialmente “migliorato”, anzi sembra si sia determinata una situazione che appare più complessa a seguito anche del passaggio di competenze dall’Amministrazione Provinciale a quella Comunale, in applicazione della legge 34/2004 emanata dalla Regione Lombardia.

Ci si trova, quindi, di fronte a dei bisogni che giungono ai servizi caratterizzati da:

• emarginazione (legata a situazioni di deprivazione affettiva, educativa e relazionale quale elemento caratterizzante la storia familiare);

• nuove povertà (rappresentata, ad esempio, dall’uscita dal mercato del lavoro, dalla dipendenza da alcool o sostanze stupefacenti, ecc.);

• recente immigrazione e/o ricongiungimento familiare;

• matrimoni misti (a questo proposito non possono essere sottovalutate le profonde differenze culturali legate all’educazione dei figli di coppie miste, realtà questa sempre più presente nel territorio cittadino, che genera forti problematiche che in molti casi sfociano in forti crisi d’identità ed appartenenza culturale).

Tabella 1: Minori in carico al Comune suddivisi per fasce d’età

Fasce d’età 0-5 6-11 12-14 15-18

Anno 2002 804 1336 869 1123 Anno 2003 913 1414 867 1218 Anno 2004 840 1370 898 1133 Anno 2005 858 1322 982 1214

Fonte: Piano di Zona 2004-2006 60 Fonte: Piano di zona 2002-2004, pag. 43

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Con riferimento ai dati riportati nella tabella 1, si sottolinea il numero dei bambini in carico ai servizi sociali con età compresa tra i 0 e 5 anni, 858 nel 2005 (contro i 804 del 2002), ad evidenziare la grande fragilità familiare che accompagna situazioni spesso caratterizzate da sofferenza, disagio e solitudine.

Si delinea, di conseguenza, la necessità di servizi che siano in grado di accompagnare e sostenere il percorso di genitorialità, di affrontare e prevenire situazioni di cronicità, che se non trovano un’interruzione rischiano di creare un circolo vizioso dove interi nuclei familiari sembrano non poter uscire dai circuiti assistenziali. In queste situazioni l’intervento non può che indirizzarsi verso soluzioni in grado di produrre ed indurre reali percorsi di cambiamento.

Fino ad ora si sono prese in considerazione situazioni in cui la famiglia presenta forme di disagio intenso ed evidente, ma parlare di “famiglia”, e soprattutto di bambini nella famiglia, anche in situazioni di “normalità”, richiama l’attenzione su tutta una serie di bisogni ed esigenze di rilevanza sociale.

Una tendenza oramai consolidate è, ad esempio, quella dell’aumento dei bambini con ambedue i genitori che lavorano. I bambini tra 0 e 5 anni che hanno la madre occupata sono di più di quelli che hanno la mamma casalinga (45,95% contro 43,3%)61. Il cambiamento avvenuto a partire dall’inserimento delle donne nel mondo del lavoro apre, quindi, nuovi problemi nell’organizzazione di una vita familiare sempre più complessa.

1.1.2 I Servizi per l’Infanzia nel Piano di Zona 2006-2008 I Servizi all’Infanzia, nidi e micronidi, presenti su tutto il territorio cittadino, sono strutturati ed organizzati per rispondere ai bisogni delle famiglie e per offrire opportunità di nuove esperienze ai bambini fino a 3 anni. Ulteriori opportunità di integrazione di esperienze per i bambini e i loro genitori sono offerte dai tempi per le famiglie presenti in tutte le zone.

Negli ultimi anni, si è assistito ad un processo di incremento e di rinnovamento dei nidi d’infanzia e dei micronidi che ha visto la realizzazione di nuovi servizi per soddisfare quantitativamente, oltre che qualitativamente, la richiesta crescente di cura dei propri figli da parte delle famiglie. Una sfida invece aperta è costituita dalla risposta alle esigenze di diversificazione dell’offerta del servizio per renderla ulteriormente flessibile e più rispondente alle differenti necessità dei genitori lavoratori.

L’aumentata richiesta di posti nelle sezioni lattanti, da parte di genitori lavoratori (si nota un incremento di lavoratori atipici, a contratto, a progetto, ecc.) richiede, infatti, una revisione della tipologia di risposta relativamente all’età dei bambini.

L’estensione dell’offerta anche in tali servizi, darebbe risposta alla necessità crescente di genitori che necessitano di rientrare presto nel mondo del lavoro. La flessibilità delle attività lavorative, con modalità di articolazione diversa dai contratti di lavoro tradizionali, vede l’incremento di lavoratori con orario part-time, sia in verticale, sia in orizzontale, per cui si può verificare che una famiglia abbia bisogno del Nido d’Infanzia solo per alcune ore al giorno, o per mezza giornata, oppure solo per alcuni giorni alla settimana.

61 Fonte: Piano di Zona 2002-2004

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Tra i bisogni delle famiglie con genitori lavoratori, emerge in modo sensibile la necessità di affidare il proprio bambino in tempi il più brevi possibile, in modo da permettere un rientro puntuale al lavoro.

Il coinvolgimento di soggetti privati e, soprattutto, del Terzo Settore, può esser considerato come un’opportunità che l’Amministrazione ha esplorato e sta esplorando per rispondere in tempi brevi, su più fronti e con diverse modalità, alla crescente richiesta di servizi di asili nido da parte delle famiglie. L’iniziativa privata è stata considerata come una risorsa di cui avvalersi nell’ottica della costituzione di una rete integrata di servizi pubblici/privati.

1.2. Giovani 1.2.1 Il livello d’istruzione Il “Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II” documenta una crescita del livello di istruzione superiore della popolazione Urban II. In particolare, la percentuale della popolazione residente nell’area Urban II con istruzione universitaria è cresciuta dall’8,1% del 2004 all’8,6% del 200662. Nonostante questa crescita, va sottolineato come tale indicatore resti ancora nettamente inferiore a quello osservato in occasione del censimento nel 1991 (quindi ben 15 anni fa) sull’intero Comune di Milano che risultava pari al 10,9 %.

1.2.2 La scuola Durante il lavoro svolto nel 2002 dai focus group, organizzati dal Comune di Milano, nell’ambito del Programma d’iniziativa Comunitaria Urban Milano, come elemento importante emerso è stato il tema della scuola, un ambito di vita difficile in un’area dove è molto evidente il fenomeno dell’abbandono scolastico e della difficoltà di integrazione dei soggetti deboli.

I principali punti di criticità emersi dai focus group sono stati:

• la mancanza di assistenza nello studio;

• la mancanza di supporto alle famiglie;

• la mancanza di relazione studio-lavoro.

Alcune associazioni locali già da tempo portano avanti attività in questo ambito, con la convinzione che la formazione scolastica e l’integrazione socio-culturale ad essa legata sia la base per prevenire i fenomeni di disagio giovanile. L’assistenza allo studio risulta essere, inoltre, fondamentale nei riguardi degli elementi più disagiati (come, ad esempio, le persone con disabilità cognitiva o gli immigrati, soprattutto ragazzi, che devono apprendere una lingua nuova).

Come possibile risposta a questa realtà è stata proposta dai focus group l’organizzazione e la gestione di

62 Fonte: Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II e di alcuni aspetti della vita quotidiana. (2006).

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“spazi e di servizi di assistenza per lo studio pomeridiano e serale, di attività di sostegno appoggiate alle strutture scolastiche ed in collaborazione con i docenti”.63

In relazione col mondo lavorativo vengono poi proposti anche l’organizzazione e la gestione di incontri di informazione/formazione rivolti agli studenti delle ultime classi delle scuole superiori sul tema del lavoro, con l’obiettivo di favorire l’avvicinamento al mondo del lavoro, stimolare lo sviluppo dell’imprenditoria e la nascita di nuove attività autonome.

1.2.3 L’occupazione giovanile La tabella 2 conferma un fenomeno in forte crescita a livello nazionale, quello del precariato giovanile. Tale fenomeno è di grande attualità anche nell’area Urban II: 3 giovani su 10 lavorano con modalità contrattuali a tempo determinato.

Tabella 2: Distribuzione percentuale per tipo di impiego nella popolazione di almeno 15 anni Maschi Femmine Totale

Classi di età Classi di età Classi di età Tipo di impiego 18-34 35-64 Totale 18-34 35-64 Totale 18-34 35-64 Totale

Dipendente a tempo determinato 27,4 8 13,8 34,5 14,4 21,4 30,9 11,1 17,4

Dipendente a tempo indeterminato 55,4 71,8 66,9 61,2 76,6 71,5 58,3 74 69,1

Libero professionista Lavoratore autonomo 17,2 20,2 19,3 4,3 8,5 7,1 10,8 14,9 13,6

Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 Fonte: Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II e di alcuni aspetti della vita quotidiana. (2006) Particolarmente colpite dal fenomeno del precariato risultano le giovani lavoratrici tra i 18 e i 34 anni (una precaria ogni 3 lavoratrici). Per quanto concerne invece l’incidenza delle libere professioni, questa è pari a quasi il 20% tra gli occupati uomini, e pari a circa il 7% tra le occupate donne, a conferma di un persistente forte ritardo femminile nell’accesso alla libera professione o nell’avvio di un’attività imprenditoriale.

Un importante ambito di intervento trattato nelle proposte dei focus group è stato, appunto, quello del lavoro.

“Il tema del lavoro si traduce nella complessa realtà della zona spesso in disoccupazione, precarietà, mancata assistenza ed integrazione soprattutto per i molti immigrati stranieri che qui risiedono”.64

Questa condizione di disagio, come sempre avviene, tende a manifestarsi, soprattutto nelle fasce più giovani, nella ricerca di attività anche illecite, incentivando così la criminalità.

Durante il lavoro svolto nel 2002 dai focus group, sono emersi alcuni punti di criticità, seguiti da proposte mirate: 63 Fonte: Programma di partecipazione, pag. 22 64 Fonte: Programma di partecipazione, pag. 21

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• mancanza di occasioni di lavoro nell’area interessata; carenza, questa, determinata, fra le altre cose, dalla scarsa conoscenza di domanda e offerta e dalle difficoltà incontrate nella fase di avvio di attività di lavoro autonomo (artigianali, commerciali, professionali);

• mancanza di censimento/indagine che individui i lavori necessari e le potenzialità di sviluppo dell’area;

• mancanza di corsi di formazione, di aggiornamento e di avviamento al lavoro.

1.2.4 Aggregazione, integrazione e tempo libero

Per quanto riguarda il tempo libero, con riferimento alla popolazione tra i 18 e 34 anni, i pub, i bar e i locali, sembrano essere i luoghi di ritrovo e di incontro più usati di frequente. Accanto ad essi si individuano altri luoghi di socializzazione come strade, piazze giardini pubblici e parchi.

In ambito di proposte relative alle infrastrutture sociali, al tempo libero e all’integrazione multiculturale, i giovani residenti nell’area Urban considerano questo tema strettamente legato a quello della scuola. La carenza di spazi e luoghi di aggregazione si traduce spesso in condizioni di disagio giovanile, contribuendo alla mancata crescita sociale, culturale e civile del territorio e per le fasce deboli dell’universo giovanile comporta elevati rischi di emarginazione e isolamento sociale.

I diversi focus group hanno individuato tre principali criticità-causa di questi fenomeni:

• la carenza di luoghi di aggregazione;

• la carenza di iniziative ludiche e culturali;

• la mancanza di cultura dell’integrazione.

Le proposte promosse si rivolgono a gruppi sociali differenti, caratterizzandosi in base ai disagi rilevati: per quanto riguarda gli adolescenti, viene proposta l’organizzazione e gestione di servizi di gioco, svago, in spazi strutturati, con spettacoli teatrali e cinematografici, sport ed iniziative di aggregazione, mentre, per i ragazzi e gli adulti, si rileva la necessità di predisporre spazi autogestiti per concerti, feste, convegni e dibattiti.

1.2.5 La percezione dei servizi per i giovani nell’area Urban II

Tra i vari dati che il “Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II” del 2004 ha raccolto ed elaborato, di particolare interesse sembrano essere quelli riguardanti i pareri della popolazione residente nella zona Urban II riguardo i servizi rivolti prevalentemente alla popolazione giovane.

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Tabella 3: Distribuzione delle risposte alla domanda “Qual è il suo parere riguardo alla funzionalità dei seguenti servizi nel suo quartiere?”

Inadeguata Piuttosto Scarsa Sufficiente Buona Non

esiste Totale

Servizi socio-culturali (biblioteche, cinema, impianti sportivi, ecc.)

26,2% 32,9% 20,7% 8,2% 12% 100%

Centri di aggregazione, luoghi di incontro 25,1% 32,5% 20,5% 9,8% 12% 100%

Strutture scolastiche 5,7% 10,9% 45,3% 36,9% 1,2% 100% Fonte: Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II e di alcuni aspetti della vita quotidiana. (2006) 1.3. Anziani 1.3.1 Gli anziani nell’area Urban II Il secondo “Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II” segnala, nel 2006, che la dimensione media dei nuclei familiari nell’area Urban II sia in calo rispetto alla prima indagine (nel 2004 la media si era attestata sui 2,3 componenti). Un andamento, questo, in linea con quanto osservato a livello nazionale e metropolitano. Questa variabile conferma quindi come sia in atto una continua crescita del numero delle famiglie unipersonali nell’area..

Viene inoltre confermato il processo di invecchiamento nella zona Urban II: un “cittadino urban” su cinque ha superato i 65 anni, mentre i minorenni sono solamente il 15,4%. Processo che era già stato preso in considerazione durante la prima indagine nel 2004, in cui si segnalava il fatto che oltre il 20% degli individui estratti nel campione avevano superato i 65 anni e oltre un terzo di essi erano vedovi o, più frequentemente, vedove.

Una forte componente anziana, quindi, caratterizza l’intera area Urban II. Fatto, questo, che implica tutta una serie di bisogni e richieste di servizi tipiche di questa fascia d’età: solitudine, “fragilità” psico-fisica (che determina il vero e proprio ingresso nella condizione anziana e risulta tanto più drammatica quanto più gli anziani si trovano ad affrontarla da soli), povertà delle relazioni sociali (che in casi limite diventa sinonimo di isolamento), difficoltà nell’accesso ai servizi e difficoltà economiche (in molti casi si traduce in fatica ad arrivare alla fine del mese).

Tutti questi aspetti problematici vengono poi “esasperati” se ci si ritrova in una situazione di mancanza o fragilità delle reti di sostegno primarie (rapporti familiari, amicali, di vicinato, ecc.) e secondarie (intervento di strutture “esterne” dalla sfera personale quali, ad esempio, associazioni, istituzioni, ecc.).

1.3.2 Amicizie, famiglia e aiuti

Secondo il “Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II” del 2004, circa il 26,5% degli abitanti dell’intera area non può contare per piccole necessità su

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persone o famiglie che abitano nella stessa zona o nello stesso quartiere, mentre la restante quota dichiara di conoscere almeno una persona/famiglia a cui potersi eventualmente appoggiare.

“Per quanto concerne gli aiuti ricevuti da qualcuno esterno al nucleo familiare, il 16% delle famiglie usufruisce di qualche forma di aiuto domestico, il 6% di un aiuto economico, mentre il 12,2% di un aiuto per svolgere pratiche burocratiche. Solo il 38,5% delle famiglie paga per ottenere questi aiuti che, nella maggioranza dei casi, riceve da altri parenti non coabitanti o amici e conoscenti; il ricorso ad associazioni di volontariato e/o istituzioni risulta in questo caso poco frequente. Inoltre, il 43,6% della popolazione dichiara di aver aiutato gratuitamente nell’ultimo mese qualcuno”.65

Sembra, quindi, esserci una rete di solidarietà e di auto-aiuto tra le persone che abitano nella stessa zona e nello stesso quartiere, basati su rapporti di conoscenza, vicinato e parentela.

Per quanto riguarda il tempo libero, con riferimento alla popolazione con più di 65 anni, la parrocchia e l’oratorio sembrano costituire un buon punto di ritrovo e d’incontro; senza, però, voler escludere piazze, giardini pubblici e parchi.

1.3.3 L’ Area Anziani nel Piano di Zona 2006-2008

Nel mese di maggio 2004, all’interno della campagna “Contro la Solitudine è importante fare Paese” promossa dall’Assessorato alle Politiche Sociali, è stata inviata una lettera a 91.194 anziani che abitano da soli, invitandoli a contattare un numero verde ed esporre i propri problemi e bisogni.

All’inizia hanno aderito 2720 anziani ultrasettantenni e la priorità tra i bisogni emersi può essere riassunta come segue:

65 Fonte: Progettazione e realizzazione di una “Base Informativa Integrata” nel quadro del programma di iniziativa comunitaria Urban II - Rapporto di ricerca tecnico-scientifico della 1a indagine – 2004, pag. 16

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Figura 1: Priorità delle problematiche della popolazione anziana nel Comune di Milano

Fonte: Piano di Zona 2006-2008

Il centro, attorno al quale ruota tutta la linea politica ed organizzativa che l’Amministrazione ha inteso seguire per rispondere ai principali bisogni individuati ed ai mutamenti del contesto in cui questi si manifestano, consiste nell’idea che alla base di tutte le risposte e di tutti i servizi ci deve essere la persona.

“Si tratta dunque di osservare il fenomeno della vecchiaia in tutti i suoi aspetti, per ciò che ogni anziano porta con sé, i diritti e i doveri che lo contraddistinguono come cittadino, i bisogni che lo rendono uguale a tutti gli altri e quelli che invece lo contraddistinguono diversamente.”66

Da questa concezione di partenza, si è sviluppata e/o potenziata una rete di servizi che, cercando di rispondere in modo sempre più differenziato e personalizzato, hanno come obiettivo il mantenimento dell’anziano nel proprio contesto attraverso interventi di prevenzione e sostegno.

L’azione dell’Amministrazione si è sviluppata dunque lungo le tre seguenti linee di intervento:

• potenziamento dei servizi preventivi volti a mantenere attiva la vita di relazione, attraverso opportunità di partecipazione, integrazione, attività culturali e di svago che permettano di riconoscere e valorizzare le risorse e le capacità ancora presenti;

• sviluppo delle attività di integrazione tra la parte sociale e sanitaria e potenziamento dei servizi di sostegno all’anziano e alla sua famiglia;

• sviluppo della rete di Residenze Sanitarie Assistenziali che consenta di rispondere all’altra domanda di ricovero, laddove gli interventi preventivi e di sostegno territoriali e domiciliari non siano più sufficienti a rispondere ai bisogni di non autosufficienza dell’anziano.

66 Fonte: Piano di Zona 2002-2004, pag. 92

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1.3.4 La percezione dei servizi in Urban II

Tra i vari dati che il “Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II” del 2004 che ha raccolto ed elaborato, di particolare interesse sembrano essere quelli riguardanti i pareri della popolazione residente nell’area riguardo i servizi per gli anziani.

Si può notare, nella seguente tabella, come le percezioni dominanti di questi servizi siano di una qualità “piuttosto scarsa” e “sufficiente”. Indice, questo, che mostra come le risposte ai bisogni della fascia più anziana della popolazione Urban, anche se non completamente insufficiente, possa e debba essere ancora migliorata.

Tabella 4: Distribuzione delle risposte alla domanda “Qual è il suo parere riguardo alla funzionalità dei

seguenti servizi nel suo quartiere?”

Inadeguata Piuttosto Scarsa Sufficiente Buona Non

esiste Totale

Servizi per gli anziani 19,2% 30% 26,9% 11,4% 12,5% 100%

Fonte: Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II e di alcuni aspetti della vita quotidiana. (2006)

1.4. Bisogni sociali e problematiche di quartiere

Un quadro complessivo dei bisogni e delle problematiche sociali espresse dai cittadini può essere ricostruito sulla base delle percezioni dell’intera popolazione Urban II riguardo i vari problemi del quartiere di residenza e della loro evoluzione nell’arco degli ultimi due anni.

A riguardo, il “Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II e di alcuni aspetti della vita quotidiana” riporta le risposte di un campione della popolazione Urban II in merito a come siano percepiti i problemi del quartiere di residenza in ordine di priorità. Le risposte ricevute nel 2006 sono state confrontate con quelle espresse nel 2004 (tabella 5).

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Tabella 5: Distribuzione della percezione delle problematiche dell’area Urban II. Risposte alla domanda “Tra i problemi del suo quartiere quali, secondo lei, sono i tre prioritari?”

% risposte Graduatoria % risposte Graduatoria

2006 2006 2004 2004 Immigrazione extra-comunitaria 17,1 1° 12,6 1° Criminalità 12,3 2° 7,6 6° Campi Nomadi 11,5 3° 9,7 3° Droga 9,9 4° 6,5 9° Degrado urbanistico 8,2 5° 10,2 2° Parcheggio 7,9 6° 7,4 7° Traffico 6,8 7° 9 4° Problemi ambientali/inquinamento 5,8 8° 8,8 5° Carenza di mezzi pubblici 5,1 9° 6,1 10° Disoccupazione 4,4 10° 4,9 11° Carenza di centri di aggregazione 4,3 11° 7,3 8° Povertà 3,6 12° 4,9 12° Inaccessibilità ai servizi socio-assistenziali 2,2 13° 3,2 13° Abbandono scolastico 0,9 14° 2 14° Totale 100 100

Fonte: Report dell’indagine sull’opinione dei cittadini rispetto alla condizione dei servizi e delle strutture presenti nell’area in cui è attivo il programma Urban II e di alcuni aspetti della vita quotidiana. (2006) Rispetto al 2004 appare in netta crescita la quota di risposte relative all’immigrazione extracomunitaria, che si conferma il nodo problematico più sentito. Cresce sensibilmente anche il problema della criminalità (dal 6° sale al 2° posto) verosimilmente visto in stretta connessione con il fenomeno migratorio. Viceversa, decresce dal 2° al 5° posto la priorità data al degrado urbanistico, dal 4° al 7° e dal 5° all’8° l’importanza rispettivamente dei problemi legati al traffico e all’inquinamento. Si tratta di due aree di intervento del programma Urban II per le quali, così come per la carenza dei centri di aggregazione, si riscontra la percezione di un miglioramento tra i cittadini intervistati. Povertà e disoccupazione rimangono invece problemi racchiusi in una quota marginale delle risposte (insieme arrivano all’8%).

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2. ANDAMENTI DEMOGRAFICI E INTERVENTI DI RIQUALIFICAZIONE DEL TERRITORIO

2.1 Introduzione

In questo capitolo verranno discusse le principali indicazioni disponibili presso il servizio statistico del Comune di Milano in merito agli andamenti demografici previsti nella città lombarda fino al 2023. Queste proiezioni si basano su ipotesi di andamenti della mortalità, della fecondità e dei flussi migratori estremamente sofisticate, la cui spiegazione esula naturalmente da queste note.

Ai fini della presente indagine è estremamente rilevante focalizzare l’analisi sulle previsioni sulla distribuzione della popolazione residente sia fra le diverse classi di età, sia fra le zone del decentramento amministrativo.

Queste previsioni degli andamenti demografici saranno nella parte finale del capitolo discusse in relazione ai possibili effetti dei progetti di interventi urbanistici e riqualificazione del territorio in atto o previsti nell’area Urban II.

2.2 La popolazione residente nell’area Urban al 31.12.2003: una ricostruzione della distribuzione per classi di età Il punto di partenza dell’analisi è la ricostruzione della popolazione residente nel Comune di Milano e nelle zone 8 e 9 del decentramento amministrativo suddivisa per classi di età al 31.12.2003. I risultati di questa elaborazione sono rappresentati nelle tabelle seguenti.

Tabella 6: Popolazione residente nel Comune di Milano per classi di età al 31.12.2003

MILANO. POPOLAZIONE RICOSTRUITA AL 31.12.2003 PER CLASSI DI ETA' Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 28.225 26.524 54.749 4,73% 3,93% 4,31% 5-9 23.911 22.185 46.096 4,01% 3,29% 3,63%

10-14 22.905 21.848 44.753 3,84% 3,24% 3,52% 15-19 21.983 20.738 42.721 3,69% 3,07% 3,36% 20-24 27.108 25.619 52.727 4,55% 3,80% 4,15% 25-29 40.984 39.703 80.687 6,87% 5,88% 6,35% 30-34 55.113 54.040 109.153 9,24% 8,01% 8,59% 35-39 56.503 54.909 111.412 9,48% 8,13% 8,76% 40-44 47.713 48.493 96.206 8,00% 7,18% 7,57% 45-49 40.072 41.889 81.961 6,72% 6,21% 6,45% 50-54 36.598 41.680 78.278 6,14% 6,17% 6,16% 55-59 40.245 47.347 87.592 6,75% 7,01% 6,89% 60-64 40.293 48.791 89.084 6,76% 7,23% 7,01% 65-69 37.228 47.199 84.427 6,24% 6,99% 6,64% 70-74 31.667 44.040 75.707 5,31% 6,52% 5,95% 75-79 22.838 36.895 59.733 3,83% 5,47% 4,70% 80-84 14.466 28.426 42.892 2,43% 4,21% 3,37% 85-89 5.252 13.630 18.882 0,88% 2,02% 1,49% 90 e + 3.222 11.114 14.336 0,54% 1,65% 1,13% Totale 596.326 675.070 1.271.396 100,00% 100,00% 100,00%

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La tabella 6 riporta la distribuzione dei 1.271.396 residenti nel Comune di Milano al 31.12.2003 nelle diverse classi di età, mentre le tabelle 7 e 8 riportano le distribuzioni per classi di età per le zone 8 e 9. La popolazione residente al 31.12.2003 era pari rispettivamente a 172.387 abitanti per la zona 8 e 160.226 abitanti per la zona 9.

Tabella 7: Popolazione residente nella zona 8 del Comune di Milano per classi di età al 31.12.2003 ZONA 8. POPOLAZIONE RICOSTRUITA AL 31.12.2003 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT 0-4 3.684 3.510 7.194 4,56% 3,83% 4,17% 5-9 3.238 2.960 6.198 4,01% 3,23% 3,60%

10-14 3.165 2.881 6.046 3,92% 3,14% 3,51% 15-19 2.990 2.870 5.860 3,70% 3,13% 3,40% 20-24 3.565 3.435 7.000 4,41% 3,75% 4,06% 25-29 5.404 5.154 10.558 6,69% 5,63% 6,12% 30-34 6.976 6.857 13.833 8,64% 7,48% 8,02% 35-39 7.394 7.153 14.547 9,15% 7,81% 8,44% 40-44 6.320 6.522 12.842 7,82% 7,12% 7,45% 45-49 5.427 5.554 10.981 6,72% 6,06% 6,37% 50-54 4.723 5.444 10.167 5,85% 5,94% 5,90% 55-59 5.420 6.229 11.649 6,71% 6,80% 6,76% 60-64 5.542 6.815 12.357 6,86% 7,44% 7,17% 65-69 5.226 7.044 12.270 6,47% 7,69% 7,12% 70-74 4.851 6.459 11.310 6,01% 7,05% 6,56% 75-79 3.521 5.393 8.914 4,36% 5,89% 5,17% 80-84 2.162 4.006 6.168 2,68% 4,37% 3,58% 85-89 701 1.846 2.547 0,87% 2,02% 1,48% 90 e + 467 1.479 1.946 0,58% 1,61% 1,13% Totale 80.776 91.611 172.387 100,00% 100,00% 100,00%

Tabella 8: Popolazione residente nella zona 9 del Comune di Milano per classi di età al 31.12.2003

ZONA 9. POPOLAZIONE RICOSTRUITA AL 31.12.2003 PER CLASSI DI ETA' Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 3.522 3.316 6.838 4,59% 3,97% 4,27% 5-9 2.936 2.819 5.755 3,83% 3,37% 3,59%

10-14 2.898 2.784 5.682 3,78% 3,33% 3,55% 15-19 2.892 2.703 5.595 3,77% 3,23% 3,49% 20-24 3.675 3.349 7.024 4,79% 4,01% 4,38% 25-29 5.673 5.119 10.792 7,40% 6,13% 6,74% 30-34 7.491 6.844 14.335 9,77% 8,19% 8,95% 35-39 7.423 6.775 14.198 9,68% 8,11% 8,86% 40-44 6.306 5.999 12.305 8,23% 7,18% 7,68% 45-49 5.199 5.254 10.453 6,78% 6,29% 6,52% 50-54 4.703 5.108 9.811 6,13% 6,11% 6,12% 55-59 5.074 5.910 10.984 6,62% 7,07% 6,86% 60-64 5.082 5.829 10.911 6,63% 6,98% 6,81% 65-69 4.508 5.692 10.200 5,88% 6,81% 6,37% 70-74 3.881 5.438 9.319 5,06% 6,51% 5,82% 75-79 2.820 4.642 7.462 3,68% 5,56% 4,66% 80-84 1.700 3.380 5.080 2,22% 4,04% 3,17% 85-89 562 1.508 2.070 0,73% 1,80% 1,29% 90 e + 319 1.093 1.412 0,42% 1,31% 0,88% Totale 76.664 83.562 160.226 100,00% 100,00% 100,00%

Sulla base della distribuzione della popolazione residente nelle 2 zone del decentramento e nell’intero Comune di Milano contenuta nelle precedenti tabelle si sono costruiti gli indici di specializzazione delle 2 zone relativamente al peso relativo delle diverse classi di età.

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Valori degli indici superiori a 1 indicano una presenza relativamente superiore di quella specifica classe di età nella zona 8 o 9 rispetto al Comune, mentre l’opposto si rileva per valori degli indici inferiori all’unità. La tabella 9 riporta queste elaborazioni.

Tabella 9: Indici di specializzazione della distribuzione della popolazione residente per classi di età nelle zone 8 e 9.

INDICI POPOLAZIONE RICOSTRUITA AL 31.12.2003 PER CLASSI DI ETA' Classe di

età Milano Zona 8 Zona 9 Zona 8 su Milano

Zona 9 su Milano

0-4 4,31% 4,17% 4,27% 0,97 0,99 5-9 3,63% 3,60% 3,59% 0,99 0,99

10-14 3,52% 3,51% 3,55% 1,00 1,01 15-19 3,36% 3,40% 3,49% 1,01 1,04 20-24 4,15% 4,06% 4,38% 0,98 1,06 25-29 6,35% 6,12% 6,74% 0,97 1,06 30-34 8,59% 8,02% 8,95% 0,93 1,04 35-39 8,76% 8,44% 8,86% 0,96 1,01 40-44 7,57% 7,45% 7,68% 0,98 1,01 45-49 6,45% 6,37% 6,52% 0,99 1,01 50-54 6,16% 5,90% 6,12% 0,96 0,99 55-59 6,89% 6,76% 6,86% 0,98 1,00 60-64 7,01% 7,17% 6,81% 1,02 0,97 65-69 6,64% 7,12% 6,37% 1,07 0,96 70-74 5,95% 6,56% 5,82% 1,10 0,98 75-79 4,70% 5,17% 4,66% 1,10 0,99 80-84 3,37% 3,58% 3,17% 1,06 0,94 85-89 1,49% 1,48% 1,29% 0,99 0,87 90 e + 1,13% 1,13% 0,88% 1,00 0,78 Totale 100,00% 100,00% 100,00% 1,00 1,00

Come si evince dalla precedente tabella, la popolazione delle 2 zone si distribuisce nelle diverse classi di età in maniera relativamente omogenea rispetto al contesto cittadino, anche se non mancano alcune peculiarità:

• per la zona 8 si rileva una presenza al di sopra della tendenza cittadina delle classi di età superiori a 60 anni, con indici significativi per le classi 65-69 (1,07), 70-74 (1,1) e 75-79 (1,1). Il peso relativo delle classi di età infantile ed adolescenziale è sostanzialmente simile al resto della città, mentre si nota una minor presenza della popolazione appartenente alle classi più “attive” della società, vale a dire i residenti tra i 20 e i 59 anni;

• la zona 9 ha una distribuzione della popolazione residente per classi di età diversa per molti versi da quella della zona 8 con una presenza significativamente più elevata di popolazione giovane (tra i 10 e i 34 anni gli indici sono sempre superiori a 1) ed in età lavorativa (fino ai 59 anni). Oltre i 60 anni questa zona presenta pesi relativi della popolazione inferiori alla media cittadina e soprattutto ai valori relativi alla zona 8.

In sintesi, la popolazione residente della zona 8 appare più sbilanciata verso le classi di età più avanzate rispetto alla media cittadina con una minore presenza di persone tra i 20 e i 60 anni, mentre la zona 9 ha una popolazione più giovane (la classe di età più importante è quella tra i 30 e i 35 anni) e più concentrata nelle classi attive della popolazione.

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Si vedano, a questo punto, le tabelle 10 e 11 che sintetizzano le distribuzione delle precedenti tabelle e riportano la popolazione residente nel comune di Milano e nelle 2 zone solo per le principali classi di età:

• 0-4 anni: popolazione infantile

• 15-29 anni: popolazione giovanile

• 15-65 anni: popolazione attiva

• Oltre 65 anni: popolazione anziana e fuori dal mercato del lavoro

• Oltre 85 anni. Popolazione anziana potenzialmente non autosufficiente.

Tabella 10: Distribuzione della popolazione nel Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2003

MILANO. POPOLAZIONE RICOSTRUITA AL 31.12.2003 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 28.225 26.524 54.749 4,73% 3,93% 4,31% 15-29 90.075 86.060 176.135 15,10% 12,75% 13,85% 15-65 406.612 423.209 829.821 68,19% 62,69% 65,27%

Oltre 65 114.673 181.304 295.977 19,23% 26,86% 23,28% Oltre 85 8.474 24.744 33.218 1,42% 3,67% 2,61% Totale 596.326 675.070 1.271.396 100,00% 100,00% 100,00%

Tabella 11: Distribuzione della popolazione della zona 8 per alcune classi di età al 31.12.2003 ZONA 8 e 9. POPOLAZIONE RICOSTRUITA AL 31.12.2003 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 7.206 6.826 14.032 4,58% 3,90% 4,22% 15-29 24.199 22.630 46.829 15,37% 12,92% 14,08% 15-65 107.279 108.923 216.202 68,14% 62,18% 65,00%

oltre 65 30.718 47.980 78.698 19,51% 27,39% 23,66% oltre 85 2.049 5.926 7.975 1,30% 3,38% 2,40% Totale 157.440 175.173 332.613 100,00% 100,00% 100,00%

L’aggregazione della popolazione residente nelle 2 zone di analisi (332.613 abitanti nel 2003) consente di concludere che le zone 8 e 9 abbiano una presenza relativamente più elevata di residenti appartenenti alla fascia giovanile (15-29 anni) e ultra 65enne, con valori relativi di 14,08% e 23,66%, rispetto al 13,85% e al 23,28% dell’intero territorio cittadino; mentre lievemente inferiore è la presenza delle classi di età fra gli 0 e i 4 anni e fra i 15 e i 65 anni.

Sulla base di quest’ultima distribuzione della popolazione residente nelle zone 8 e 9 si è stimata la distribuzione della popolazione residente nell’area Urban II il cui totale alla fine del 2003 era di 53.121 abitanti. L’ipotesi di lavoro alla base della tabella 12 è che la popolazione residente nell’area Urban si distribuisca per classi di età in maniera omogenea rispetto agli andamenti della sommatoria delle 2 zone del decentramento sul territorio delle quali incide l’area.

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Tabella 12: Distribuzione della popolazione residente nell’area Urban II del Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2003

AREA URBAN. POPOLAZIONE RICOSTRUITA AL 31.12.2003 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 1.151 1.090 2.241 4,58% 3,90% 4,22% 15-29 3.865 3.614 7.479 12,35% 10,43% 11,34% 15-65 17.133 17.396 34.529 68,14% 62,18% 65,00%

oltre 65 4.906 7.663 12.569 19,51% 27,39% 23,66% oltre 85 327 946 1.274 1,30% 3,38% 2,40% Totale 25.144 27.977 53.121 100,00% 100,00% 100,00%

Secondo queste stime si possono valutare le persone residenti nell’area appartenenti a queste classi di età tipiche:

• 2.200 persone appartenenti alla classe di età 0-4 anni (popolazione infantile)

• 7.500 persone appartenenti alle classi giovanili (15-29 anni)

• 34.500 persone appartenenti alle classi attive della popolazione (15-65 anni)

• 12.600 persone anziane (oltre 65 anni)

• 1.300 persone potenzialmente non autosufficienti (oltre 85 anni).

2.3 Le previsioni sulla popolazione dell’area Urban al 31.12.2013

Per poter proporre proiezioni sugli andamenti della popolazione dell’area Urban II del Comune di Milano fino al 2023, è stato necessario inserire un’ipotesi forte di lavoro: che la percentuale della popolazione dell’area rispetto a quella delle 2 zone del decentramento su cui essa incide (zona 8 e zona 9) si mantenga costante alle percentuali del 2003 (poco più del 15,08%). In altri termini, si è ipotizzato che la popolazione dell’area si comporti come quella delle due zone di riferimento e mantenga la propria importanza relativa rispetto alla popolazione delle 2 zone. Questo vuol dire che non siano da considerarsi rilevanti influenze specifiche sugli andamenti demografici per l’area Urban rispetto alle zone. Questa ipotesi sarà poi discussa ed eliminata nella discussione finale di questo capitolo.

Le proiezioni della popolazione del comune di Milano al 2013 e al 2023 utilizzate in questa parte dell’analisi sono sviluppate entro due ipotesi di crescita (minima e massima) da parte del servizio statistico comunale. Ad esse ci atteniamo, distinguendo quindi per ogni anno di riferimento (2013 e 2023) la crescita minima e la crescita massima della popolazione prevista.

Iniziamo quindi dalla popolazione residente prevista nel 2013 distinta nelle due ipotesi.

A) 2013 ipotesi minima

La seguente tabella 13 riporta la distribuzione della popolazione residente del comune di Milano al 31.12.2013 per le principali classi di età con l’utilizzo dell’ipotesi minima di crescita.

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Tabella 13: Distribuzione della popolazione nel Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2013.

Ipotesi minima MILANO. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2013 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 19.010 17.678 36.688 3,35% 2,80% 3,06% 15-29 68.531 64.647 133.178 12,07% 10,22% 11,10% 15-65 364.638 366.541 731.179 64,24% 57,97% 60,94% oltre 65 130.037 197.646 327.683 22,91% 31,26% 27,31% oltre 85 14.273 34.897 49.170 2,51% 5,52% 4,10% Totale 567.592 632.274 1.199.866 100,00% 100,00% 100,00%

La popolazione del Comune di Milano secondo questa previsione si ridurrebbe di quasi 72 mila unità rispetto al 2003 (da 1.271.396 a 1.199.866 abitanti) , mentre la diminuzione della popolazione delle 2 zone sarebbe di quasi 20 mila abitanti (tabella 14)

Tabella 14: Distribuzione della popolazione nelle zone 8 e 9 del Comune di Milano per alcune classi di età al

31.12.2013. Ipotesi minima ZONA 8 E 9. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2013 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 4.946 4.599 9.545 3,32% 2,81% 3,05% 15-29 18.048 16.984 35.032 12,10% 10,37% 11,19% 15-65 96.193 94.391 190.584 64,47% 57,64% 60,90% oltre 65 34.265 51.810 86.075 22,97% 31,64% 27,50% oltre 85 3.821 9.109 12.930 2,56% 5,56% 4,13% Totale 149.195 163.750 312.945 100,00% 100,00% 100,00%

Mantenendo costante il peso dell’area Urban sulla popolazione delle zone 8 e 9, la popolazione dell’area si distribuirebbe secondo la tabella 15, diminuendo di oltre 3.000 unità (3.131 abitanti).

Tabella 15: Distribuzione della popolazione dell’area Urban del Comune di Milano per alcune classi di età al

31.12.2013. Ipotesi minima AREA URBAN. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2013 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 790 734 1.524 3,32% 2,81% 3,05% 15-29 2.882 2.712 5.595 12,10% 10,37% 11,19% 15-65 15.363 15.075 30.438 64,47% 57,64% 60,90% oltre 65 5.472 8.274 13.747 22,97% 31,64% 27,50% oltre 85 610 1.455 2.065 2,56% 5,56% 4,13% Totale 23.828 26.152 49.980 100,00% 100,00% 100,00%

B) 2013 ipotesi massima

Passando all’ipotesi di crescita massima della popolazione al 31.12.2013 si ottiene la seguente tabella 16 per l’intero Comune di Milano.

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Tabella 16: Distribuzione della popolazione nel Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2013. Ipotesi massima

MILANO. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2013 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 28.425 26.520 54.945 4,90% 4,10% 4,48% 15-29 80.701 75.785 156.486 13,92% 11,72% 12,76% 15-65 375.274 384.586 759.860 64,72% 59,48% 61,96% oltre 65 117.838 180.754 298.592 20,32% 27,95% 24,35% oltre 85 13.106 30.579 43.685 2,26% 4,73% 3,56% Totale 579.806 646.631 1.226.437 100,00% 100,00% 100,00%

La popolazione diminuirebbe ancora rispetto al 2003, ma di un numero minore di abitanti (45 mila rispetto ai 72 mila). La popolazione delle 2 zone del decentramento sarebbe sostanzialmente simile a quella dell’ipotesi minima con un incremento di sole 2 mila unità (tabella 17).

Tabella 17: Distribuzione della popolazione nelle zone 8 e 9 del Comune di Milano per alcune classi di età al

31.12.2013. Ipotesi massima ZONA 8 E 9. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2013 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 6.988 6.503 13.491 4,64% 3,98% 4,29% 15-29 20.872 18.690 39.562 13,85% 11,43% 12,59% 15-65 97.689 95.580 193.269 64,84% 58,43% 61,51% oltre 65 31.194 47.599 78.793 20,71% 29,10% 25,07% oltre 85 3.554 8.052 11.606 2,36% 4,92% 3,69% Totale 150.659 163.573 314.232 100,00% 100,00% 100,00%

Per quanto riguarda la popolazione dell’area Urban II, con questa ipotesi rimarrebbe lievemente superiore alle 50 mila unità, con una presenza più rilevante delle classi di età più giovani.

Tabella 18: Distribuzione della popolazione dell’area Urban del Comune di Milano per alcune classi di età al

31.12.2013. Ipotesi massima AREA URBAN. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2013 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 1.116 1.039 2.155 4,64% 3,98% 4,29% 15-29 3.333 2.985 6.318 13,85% 11,43% 12,59% 15-65 15.602 15.265 30.867 64,84% 58,43% 61,51% oltre 65 4.982 7.602 12.584 20,71% 29,10% 25,07% oltre 85 568 1.286 1.854 2,36% 4,92% 3,69% Totale 24.061 26.124 50.185 100,00% 100,00% 100,00%

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2.4 Le previsioni sulla popolazione dell’area Urban al 31.12.2023

Lo stesso discorso fatto in precedenza sulle diverse ipotesi di crescita della popolazione (minima e massima) può essere ripetuto in merito alle previsioni della popolazione al 31.12.2023, vale a dire fra 15 anni rispetto al momento in cui si scrivono queste note.

A) 2023 ipotesi minima

Secondo questa ipotesi, la popolazione residente in Milano nel 2023 sarebbe solo di 81 mila abitanti superiore al milione di unità e di questi quasi il 6% sarebbero ultra ottantacinquenni (tabella 19).

Tabella 19: Distribuzione della popolazione nel Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2023.

Ipotesi minima MILANO. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2023 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 12.060 11.213 23.273 2,34% 1,98% 2,15% 15-29 77.503 72.441 149.944 15,05% 12,79% 13,87% 15-65 338.070 331.588 669.658 65,64% 58,56% 61,93% oltre 65 131.913 192.745 324.658 25,61% 34,04% 30,03% oltre 85 19.939 43.350 63.289 3,87% 7,66% 5,85% Totale 515.019 566.214 1.081.233 100,00% 100,00% 100,00%

La popolazione delle due zone scenderebbe sotto le 300 mila unità, con oltre il 5% di anziani con oltre 85 anni.

Tabella 20: Distribuzione della popolazione nelle zone 8 e 9 del Comune di Milano per alcune classi di età al

31.12.2023. Ipotesi minima ZONA 8 E 9. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2023 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 4.255 3.967 8.222 3,15% 2,71% 2,92% 15-29 21.542 19.989 41.531 15,93% 13,67% 14,76% 15-65 89.760 87.444 177.204 66,36% 59,81% 62,96% oltre 65 30.715 45.040 75.755 22,71% 30,81% 26,91% oltre 85 4.796 10.437 15.233 3,55% 7,14% 5,41% Totale 135.255 146.208 281.463 100,00% 100,00% 100,00%

La popolazione dell’area Urban sarebbe inferiore alle 45 mila unità (tabella 21) con solo 1.300 bambini tra 0 e 4 anni, mentre gli ultra ottantacinquenni sarebbero quasi 2.500.

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Tabella 21: Distribuzione della popolazione dell’area Urban del Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2023. Ipotesi minima

AREA URBAN. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2023 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 680 634 1.313 3,15% 2,71% 2,92% 15-29 3.440 3.192 6.633 15,93% 13,67% 14,76% 15-65 14.335 13.966 28.301 66,36% 59,81% 62,96% oltre 65 4.905 7.193 12.099 22,71% 30,81% 26,91% oltre 85 766 1.667 2.433 3,55% 7,14% 5,41% Totale 21.601 23.351 44.952 100,00% 100,00% 100,00%

B) 2023 ipotesi massima

Utilizzando, invece, l’ipotesi massima di crescita della popolazione, nel 2023 la popolazione milanese sarebbe di oltre 1.160.000 unità, comunque 110 mila abitanti in meno rispetto al 2003.

Tabella 22: Distribuzione della popolazione nel Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2023.

Ipotesi massima MILANO. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2023 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 23.849 22.260 46.109 4,32% 3,66% 3,97% 15-29 94.510 88.314 182.824 17,12% 14,51% 15,75% 15-65 369.764 377.796 747.560 66,98% 62,07% 64,40% oltre 65 106.714 160.079 266.793 19,33% 26,30% 22,98% oltre 85 17.115 35.522 52.637 3,10% 5,84% 4,53% Totale 552.092 608.667 1.160.759 100,00% 100,00% 100,00%

Con questa ipotesi la popolazione delle due zone sarebbe superiore di 8 mila unità allo scenario precedente (tabella 23).

Tabella 23: Distribuzione della popolazione nelle zone 8 e 9 del Comune di Milano per alcune classi di età al

31.12.2023. Ipotesi massima ZONA 8 E 9. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2023 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 5.450 5.073 10.523 3,88% 3,42% 3,64% 15-29 23.828 21.338 45.166 16,98% 14,38% 15,64% 15-65 94.602 90.471 185.073 67,43% 60,96% 64,10% oltre 65 27.786 41.269 69.055 19,81% 27,81% 23,92% oltre 85 4.510 9.498 14.008 3,21% 6,40% 4,85% Totale 140.291 148.417 288.708 100,00% 100,00% 100,00%

Per quanto riguarda l’area Urban, essa vedrebbe al 2023 una popolazione di poco superiore alle 46 mila unità, vale a dire 7 mila abitanti in meno rispetto ad oggi.

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Tabella 24: Distribuzione della popolazione dell’area Urban del Comune di Milano per alcune classi di età al 31.12.2023. Ipotesi massima

AREA URBAN. POPOLAZIONE STIMATA AL 31.12.2023 PER CLASSI DI ETA'

Classe di età Maschi Femmine Totale in % M in % F in % TOT

0-4 870 810 1.681 3,88% 3,42% 3,64% 15-29 3.806 3.408 7.213 16,98% 14,38% 15,64% 15-65 15.109 14.449 29.558 67,43% 60,96% 64,10% oltre 65 4.438 6.591 11.029 19,81% 27,81% 23,92% oltre 85 720 1.517 2.237 3,21% 6,40% 4,85% Totale 22.406 23.703 46.109 100,00% 100,00% 100,00%

2. 5. Una sintesi delle previsioni della popolazione dell’area Urban (2013-23)

Proviamo a questo punto a sintetizzare le previsioni sugli andamenti demografici ricavati dalle proiezioni del settore statistica del Comune di Milano per quanto riguarda l’area Urban II. Le previsioni più significative, per quanto riguarda le principali classi di età, sono state riportate nella tabella 25.

Tabella 25: Distribuzione della popolazione dell’area Urban del Comune di Milano per alcune classi di età.

Anni 2013 e 2023. SINTESI PREVISIONI AREA URBAN

CLASSI DI ETA' 2003 2013 MIN 2013 MAX 2023 MIN 2023 MAX

POPOLAZIONE AREA INFANZIA TRA 0 E 4 ANNI 2.241 1.524 2.155 1.313 1.681

GIOVANI TRA I 15 E I 29 ANNI 7.479 5.595 6.318 6.633 7.213

PERSONE IN ETA' LAVORATIVA TRA I 15 E I 65 ANNI 34.529 30.438 30.867 28.301 29.558

PERSONE ANZIANE OLTRE I 65 ANNI 12.569 13.747 12.584 12.099 11.029

PERSONE CON OLTRE 85 ANNI (NON AUTOSUFFICIENTI) 1.274 2.065 1.854 2.433 2.237

TOTALE RESIDENTI AREA URBAN II MILANO 53.121 49.980 50.185 44.952 46.109

La popolazione dell’area è prevista in diminuzione seguendo la tendenza complessiva del territorio comunale, anche se questo decremento appare a breve meno marcato rispetto alle previsioni per il 2023. Tuttavia, più che la dimensione assoluta della popolazione dell’area, è necessario indagare gli andamenti specifici delle singole classi di età.

Secondo queste stime si possono caratterizzare i seguenti andamenti per le persone residenti nell’area appartenenti a queste classi di età tipiche:

• Le persone appartenenti alla classe di età 0-4 anni (popolazione infantile) sono previste in diminuzione evidente nel 2023, mentre nel 2013 il loro numero rimarrà sostanzialmente simile a quello attuale (ipotesi 2013 max).

• Discorso opposto per le persone appartenenti alle classi giovanili (15-29 anni), il cui numero appare in riduzione a breve nei prossimi anni, mentre nel 2023 avrebbero la stessa numerosità odierna.

• Le persone appartenenti alle classi attive della popolazione (15-65 anni) sarebbero costantemente attorno alle 30 mila unità con un calo di 4 mila unità rispetto al dato attuale.

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• Le persone con oltre 65 anni sono previste essere lievemente superiori alle attuali nel 2013, mentre il loro numero diminuirebbe seppur di poco nel 2023.

• L’unica classe di età che sarebbe in tutte le ipotesi (sia nel 2013 che nel 2023) in netto aumento è rappresentata dalle persone potenzialmente non autosufficienti (oltre 85 anni), destinate a raddoppiare nei prossimi anni.

2.6 Le dinamiche urbanistiche

Gli andamenti demografici discussi nei paragrafi precedenti si basano su tendenze consolidate in ordine ai fenomeni della mortalità, della fecondità e dei movimenti migratori a livello cittadino e delle singole zone del decentramento. I risultati delle previsioni demografiche per l’area Urban appaiono, quindi, consistenti con le più generali variazioni di ordine demografico a cui la metropoli milanese è andata incontro a partire dagli anni ’80 dello scorso secolo.

Queste previsioni si basano su un quadro sostanzialmente definito e stabile nella distribuzione spaziale della gerarchia dei luoghi e degli spazi metropolitani.

Appare quindi evidente che queste valutazioni demografiche possono essere influenzate in maniera significativa da alcune variabili di ordine economico e urbanistico destinate ad agire in profondità sul tessuto sociale di tutto il nord Milano e, di conseguenza, anche sull’area Urban II.

Ci riferiamo, in particolare, ad alcuni interventi destinati a incidere sul territorio metropolitano e a modificare le vocazioni economiche di porzioni consistenti della fascia nord-ovest del Comune di Milano.

Si ricordano in questa sede solo alcuni macro interventi gia attuati o in via di attuazione:

1. il Polo fieristico di Rho-Pero;

2. il progetto di Città della Salute nell’area di Vialba con la localizzazione di 3 centri di eccellenza (IRCCS Besta, Azienda Ospedaliera Luigi Sacco, Istituto Nazionale per la Cura dei Tumori);

3. gli interventi previsti attorno all’area Bovisa/Triennale da parte di soggetti pubblici (Politecnico) e privati anche in vista della candidatura di Milano a sede dell’Expo 2015;

4. il progetto di creazione di un polo di ricerca nel settore delle tecnologie biomediche e farmaceutiche promosso dall’Istituto Mario Negri.

Esula naturalmente dagli obiettivi di queste note discutere sugli impatti economici, urbanistici e sociali di questi interventi. Alcune osservazioni possono comunque essere ricondotte agli scenari demografici discussi in precedenza e ai bisogni sociali presenti sul territorio dell’area Urban II.

Appare evidente che l’insieme di questi interventi urbanistici è destinato a modificare le caratteristiche sociali ed economiche di tutto il nord Milano, soprattutto in termini di:

• caratteristiche della domanda di residenzialità (numerosità e tipologie abitative);

• caratteristiche della mobilità all’interno dell’area e collegamenti all’esterno di essa;

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• caratteristiche della domanda di servizi alla persona;

• caratteristiche della domanda dei servizi alle imprese;

• caratteristiche della domanda di servizi sociali.

L’insieme di queste variazioni della domanda di servizi appare in grado di modificare profondamente il quadro descritto in precedenza. In particolare, sui bisogni sociali della popolazione dell’area Urban delineati come gerarchia (servizi per gli anziani, residenzialità per la non autosufficienza, reti di aggregazione giovanile, luoghi di aggregazione sociale, riqualificazione della rete dei servizi per l’infanzia), questo scenario di trasformazione urbana può comportare forti tensioni in termini di domanda di potenziamento dell’insieme dei servizi sociali.

2.7 Impatti sulla domanda di servizi

Nella prima parte del presente rapporto si sono evidenziate le problematiche consolidate espresse dall’area (dalle tensioni sociali riconducibili alla presenza di insediamenti di nomadi alle esigenze di interventi di recupero e miglioramento del patrimonio residenziale pubblico, dalla creazione di reti di socializzazione e integrazione alla necessità di riutilizzare spazi e aree del territorio a fini collettivi, dall’esigenza di creare servizi domiciliari per anziani e non autosufficienti alla creazione di poli formativi e scolastici più rispondenti alle esigenze dei giovani e del mercato del lavoro).

Le dinamiche sociali ed economiche innescate dagli interventi urbanistici in atto o programmati nell’area Urban possono incidere profondamente sui bisogni sociali. Occorre, infatti, inserire nella riflessione i possibili effetti sul territorio legati agli interventi di recupero/riqualificazione prima ricordati. Una simile mole di programmi urbanistici è destinata ad avere forti ed inevitabili conseguenze in termini di crescita:

• più in generale, della popolazione appartenente alle classi di età attive e delle famiglie di nuova formazione;

• della domanda di alloggi per giovani, studenti, ricercatori e giovani coppie;

• della domanda di ricettività alberghiera e di servizi di ristorazione;

• della domanda di servizi per l’impiego;

• della domanda di servizi scolastici e formativi.

Il quadro che emerge da queste riflessioni comporta per l’operatore pubblico dei servizi la necessità di operare su due piani in forma equilibrata fornendo nei prossimi anni risposte a:

• i bisogni sociali tradizionali e problematiche di integrazione del territorio che ne limitano le potenzialità di sviluppo;

• i bisogni sociali emergenti dovuti agli impatti degli interventi urbanistici previsti sull’area.

Questi ultimi bisogni sociali sono per molti versi significativamente differenti e più complessi rispetto alla gerarchia di quelli presenti attualmente sul territorio ed esigono

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forme innovative di risposta da parte della rete di servizi governata dall’operatore pubblico.

Si tratta, in conclusione, di ricercare forme di collaborazione soprattutto sul versante dell’impresa sociale e del Terzo Settore come soggetto attivo del cambiamento e catalizzatore delle risorse del territorio.

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3. POPOLAZIONE STRANIERA E BISOGNI SOCIALI

3.1 Le dinamiche migratorie

Nel triennio dicembre 2002-dicembre 2005 i cittadini stranieri iscritti all’anagrafe del Comune di Milano sono cresciuti di oltre 60 mila unità e rappresentano attualmente una quota della popolazione residente superiore al 12%. Accanto ai cittadini iscritti all’anagrafe non aventi cittadinanza italiana che formano la dimensione emersa del fenomeno migratorio, occorre considerare la presenza sul territorio milanese di stranieri non rilevati dalle statistiche ufficiali e dagli uffici comunali in quanto non in regola con le normative sul permesso di soggiorno e che vivono quindi una condizione di clandestinità. Aggiungendo una stima prudenziale di questa quota di popolazione straniera, il totale dei cittadini stranieri presenti nel Comune di Milano nel 2006 supera le 200 mila unità, rappresentando, così, almeno il 15% degli abitanti del Comune.

Tabella 26: Stranieri residenti nel Comune di Milano dal 2002 al 2005

31.12.2002 31.12.2003 31.12.2004 31.12.2005

Maschi 50.631 53.625 72.594 82.303 Femmine 51.020 54.641 70.531 80.479 Totale 101.651 108.266 143.125 162.782 Popolazione straniera/Popolazione residente 7,8% 8,5% 11,0% 12,4%

Tabella 27: Indici demografici della popolazione straniera residente nel Comune di Milano 2002-2005

31.12.2002 31.12.2003 31.12.2004 31.12.2005

Rapporto di mascolinità 99,2 98,1 102,9 102,3 Età media 31,0 31,4 31,7 31,6 Indice di carico sociale giovani 24,2 23,7 19,7 21.0 Indice di carico sociale anziani 2,8 2,8 2,2 2,2 Indice di carico sociale totale 27,0 26,5 22,0 23,2 Indice di vecchiaia 11,7 11,8 11,2 10,6

L’analisi delle tabelle 26 e 27, in cui sono riportati i valori assoluti della presenza straniera e i valori di alcune variabili demografiche relative a questa parte della popolazione residente, consente di evidenziare alcune prime caratteristiche del fenomeno migratorio nel Comune di Milano:

• la crescita dei residenti stranieri è stata evidente soprattutto nel biennio 2004-2005, a seguito dei provvedimenti di regolarizzazione della loro presenza;

• l’emersione di questa quota di popolazione ha impattato sulle variabili demografiche relative alla popolazione straniera soprattutto in termini di aumento del rapporto di mascolinità (fino al 2003 le donne erano più numerose della componente maschile) e di diminuzione dell’indice di carico sociale totale, in quanto le regolarizzazione hanno prevalentemente interessato soggetti appartenenti alle classi di età attive;

• l’età media dei cittadini stranieri si è mantenuta sostanzialmente costante con valori di poco al di sopra dei 31 anni;

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• l’indice di vecchiaia è poco al di sopra del 10% (10,6 anziani con oltre 65 anni ogni 100 bambini e ragazzi stranieri con meno di 15 anni).

I 162.782 stranieri iscritti all’anagrafe comunale nel 2005 provenivano da 153 paesi diversi, anche se le prime 5 nazionalità presenti (Filippine, Egitto, Perù, Cina ed Ecuador) rappresentavano oltre il 53% della popolazione straniera.

Tabella 28: Distribuzione della popolazione straniera per area geografica di provenienza. Confronto 2002-

2005

31.12.2002 31.12.2005 Area di provenienza

Numerosità In % Numerosità In % Unione Europea 9.406 9,3 11.553 7,1 Altri paesi Europei 9.893 9,7 19.718 12,1 Africa 24.087 23,7 37.176 22,8 America 18.209 17,9 36.511 22,4 Asia 39.956 39,3 57.684 35,4 Oceania 90 0,1 129 0,1 Apolidi 10 0,0 11 0,0 Totale 101.651 100,0 162.782 100,0

Tabella 29: Distribuzione della popolazione straniera per zona del decentramento amministrativo al 31.12.2005

Zona del decentramento Totale popolazione Totale stranieri Percentuale popolazione straniera

1 99.447 11.216 11,28 2 138.523 24.855 17,94 3 139.795 16.120 11,53 4 149.879 18.393 12,27 5 118.882 13.709 11,53 6 147.131 15.015 10,20 7 169.275 19.458 11,50

8 176.698 19.683 11,14 9 167.915 24.333 14,49

Milano 1.307.545 162.782 10,95 Le zone 8 e 9, sul cui territorio ricade l’area Urban II, rappresentavano alla fine del 2005 il 26,36% della popolazione iscritta all’anagrafe del Comune di Milano, mentre con 41.016 stranieri entrambe le zone rappresentano il 25,20% del totale della presenza straniera. Con oltre 24 mila cittadini stranieri residenti la zona 9 risulta la seconda in ordine di importanza per questo fenomeno a livello cittadino dopo la zona 2 (Centrale-Monza-Padova), mentre il fenomeno immigratorio nella zona 8 è inferiore ed in linea con al media cittadina.

Per quanto concerne le aree geografiche di provenienza degli stranieri e le zone del decentramento risulta che nella zona 8 risiedono:

• l’11,31% degli stranieri provenienti da paesi dell’Unione Europea;

• l’11,55% degli stranieri provenienti da paesi americani

• il 10,99% degli stranieri provenienti da paesi africani

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• il 12,95% degli stranieri provenienti da paesi asiatici.

Nella zona 9 risiedono, invece:

• il 7,52% degli stranieri provenienti da paesi dell’Unione Europea

• il 14,3% degli stranieri provenienti da paesi americani

• il 16,84% degli stranieri provenienti da paesi africani

• il 15,84% degli stranieri provenienti da paesi asiatici.

In entrambe le zone il gruppo più numeroso è rappresentato dagli asiatici, seguiti nella zona 8 da americani, africani ed europei, mentre nella zona 9 da africani, americani e europei.

Sempre relativamente alle due zone di riferimento dell’area Urban, i 41.016 stranieri rappresentano nel complesso l’11,90% della popolazione residente che, rapportato alla popolazione dell’area, permette di valutare il numero degli stranieri residenti Urban tra i 6.200 e i 6.300.

Questa quota della popolazione residente nell’area Urban presenta caratteristiche demografiche significativamente diverse rispetto al resto dei residenti. Per indagare su queste differenze è necessario partire dalla popolazione infantile e adolescenziale (tabella 30).

Tabella 30: Distribuzione della popolazione straniera in età infantile e adolescenziale per zona del

decentramento amministrativo al 31.12.2005

Zona del decentramento Totale popolazione 0-17 anni

Totale stranieri 0-17 anni

Percentuale popolazione straniera

1 15.313 1.625 10,61 2 19.100 4.648 24,33 3 18.735 2.665 14,22 4 20.182 3.631 17,99 5 16.555 2.746 16,59 6 20.014 3.188 15,93 7 24.817 4.166 16,79

8 24.588 4.152 16,89 9 23.589 4.986 21,14

Milano 182.893 31.807 17,39 A livello comunale su una popolazione residente di età inferiore ai 17 anni pari a 182.893 unità alla fine del 2005 la percentuale di stranieri superava il 17%. Anche solo alla fine del 2003 il numero di bambini e adolescenti stranieri residenti nel Comune di Milano era di 22.761 unità, quindi nel biennio 2004-2005 il loro numero è cresciuto del 39,7% (9,046 unità in valore assoluto).

Le zone 8 e 9, sul cui territorio ricade l’area Urban II, presentavano nel 2005 una popolazione complessiva di età inferiore ai 17 anni pari a 48.177 unità dei quali 9.138 stranieri (18,97%). In questo caso con quasi 5 mila bambini e adolescenti stranieri residenti la zona 9 risulta la zona del decentramento amministrativo con il maggior numero assoluto di questi residenti, mentre è seconda in ordine di importanza come percentuale relativa dell’incidenza di popolazione straniera con meno di 17 anni sul totale della popolazione infantile e adolescenziale sempre dopo la zona 2. La zona 8 pur presentando un rilevante

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numero di bambini stranieri (oltre 4 mila) ha una percentuale relativa inferiore in linea con al media cittadina.

Sempre relativamente alle due zone di riferimento dell’area Urban, i 9.138 bambini e adolescenti stranieri rappresentano nel complesso il 18,97% della popolazione residente della stessa età che, rapportato alla popolazione dell’area, permette di valutare il numero degli stranieri di età inferiore ai 17 anni residenti nell’area Urban tra i 1.400 e i 1.450 (attorno al 20-22% del totale dei residenti stranieri).

Per quanto concerne le aree geografiche di provenienza dei bambini e adolescenti stranieri e le zone del decentramento risulta che nella zona 8 risiedono:

• il 12,95% dei bambini stranieri originari di paesi dell’Unione Europea;

• il 12,03% dei bambini stranieri originari di paesi americani;

• l’11,58% dei bambini stranieri originari di paesi africani;

• il 13,67% dei bambini stranieri originari di paesi asiatici.

Nella zona 9 risiedono, invece:

• il 4,29% dei bambini stranieri originari di paesi dell’Unione Europea;

• il 16,29% dei bambini stranieri originari di paesi americani;

• il 14,37% dei bambini stranieri originari di paesi africani;

• il 17,05% dei bambini stranieri originari di paesi asiatici.

Tabella 31: Distribuzione della popolazione straniera in età infantile e adolescenziale delle zone 8 e 9 per età

al 31.12.2004 età zona 8 zona 9 entrambe le

zone in %

0 212 262 474 6,32% 1 282 334 616 8,21% 2 302 345 647 8,63% 3 267 306 573 7,64% 4 246 316 562 7,49% 5 228 267 495 6,60% 6 168 252 420 5,60% 7 186 217 403 5,37% 8 157 195 352 4,69% 9 159 181 340 4,53% 10 162 171 333 4,44% 11 155 180 335 4,47% 12 161 186 347 4,63% 13 152 160 312 4,16% 14 169 173 342 4,56% 15 172 163 335 4,47% 16 152 154 306 4,08% 17 143 166 309 4,12% Totale 3.473 4.028 7.501 100,00%

Analizzando i dati della fine del 2004 relativi alla distribuzione per età dei bambini e adolescenti stranieri residenti nelle zone 8 e 9, si rileva che il 23,2% aveva meno di 3 anni

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e il 44,9% meno di 6. In termini assoluti, nelle due zone i bambini stranieri che potenzialmente erano utenti dei servizi di asilo nido (meno di 3 anni) raggiungevano nel 2004 le 1.737 unità, mentre i potenziali utenti delle scuole dell’infanzia (oltre i 3 anni e meno di 6 anni) erano 1.630.

Alla fine dell’anno successivo (2005) il numero dei bambini e adolescenti residenti nelle due zone era aumentato di 1.637 unità (da 7.501 a 9.138). Pur considerando questo incremento numerico derivante da ricongiungimenti familiari e regolarizzazione di famiglie di immigrati e quindi sia relativo a soggetti appartenenti a tutte le classi di età tra 0 e 17 anni, è evidente che per la maggior parte si tratti di nati nel corso del 2005. Il che porta ad innalzare notevolmente la domanda potenziale di servizi di asilo nido e di scuola per l’infanzia per l’intero contesto territoriale delle due zone.

Questo elemento di analisi comporta evidentemente conseguenze anche per l’area di riferimento del progetto Urban II. Mantenendo i valori assoluti prima individuati in merito alla presenza di minori stranieri sul territorio oggetto dell’intervento (tra i 1.400 e i 1.450 soggetti), si possono valutare tra i 350 e i 370 i potenziali utenti del servizio di asilo nido e tra i 320 e i 340 quelli del servizio di scuola dell’infanzia espressione dell’intera area Urban II.

Ma al di là del valore assoluto di queste cifre occorre sottolineare come si tratti di grandezze cresciute significativamente negli ultimi anni e destinate a incidere profondamente sui bisogni di servizi del territorio.

Queste riflessioni mettono, del resto, fortemente in discussione le conclusioni sugli andamenti demografici dell’area presentate nel paragrafo relativo. L’elemento migratorio e le sue caratteristiche strutturali sembrano, in altri termini, in grado di influenzare profondamente attraverso la variabile demografica le tendenze della domanda di servizi sociali e soprattutto la gerarchia degli stessi bisogni sociali.

Alcune valutazioni, infine, sulla componente rappresentata dalla popolazione residente anziana straniera (con età superiore ai 65 anni). Abbiamo visto all’inizio del paragrafo che l’indice di vecchiaia (popolazione con oltre 65 anni/popolazione con meno di 15 anni) per la popolazione residente straniera era nel 2005 pari a poco più del 10% a livello cittadino. Prendendo come riferimento questo dato e applicandolo alla popolazione straniera dell’area Urban, si possono valutare in 120-140 soggetti gli stranieri con oltre 65 anni residenti in questa parte del territorio milanese. Un numero apparentemente basso in relazione sia alla popolazione complessiva, sia alla popolazione straniera, ma che appare destinato ad aumentare in maniera significativa nei prossimi anni.

3.2 L’immigrazione straniera nell’area metropolitana

Il fenomeno migratorio relativo al contesto urbano del Comune di Milano deve naturalmente essere inserito in un quadro più ampio rispetto alla dimensione cittadina. I flussi di immigrazione straniera si distribuiscono nelle dimensioni spaziali del territorio lombardo e metropolitano seguendo direzioni e logiche che sono andate via via trasformandosi nel corso degli anni.

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Una prima osservazione è quella relativa all’importanza dell’area metropolitana nel contesto della regione Lombardia. Nella provincia di Milano, a luglio del 2005 viveva una percentuale del 45,4% degli stranieri presenti nell’intera Lombardia67. A questo dato relativo alle presenze “regolari”, si affianca una valutazione che indica attorno al 60% la percentuale degli stranieri senza permesso di soggiorno presenti in Lombardia concentrati nella provincia di Milano. A fronte di questa caratterizzazione della provincia di Milano come territorio privilegiato dei flussi migratori rispetto alla regione, si è assistito da alcuni anni ad una diminuzione dell’importanza relativa del Comune di Milano come luogo principale dell’immigrazione straniera. Il numero di stranieri presenti nel Comune di Milano (regolari ed irregolari) è sostanzialmente simile a quello degli stranieri presenti negli altri comuni della provincia (183.600 rispetto a 177.000); ma se dal 2003 il numero degli stranieri presenti (non residenti all’anagrafe!) a Milano, soprattutto irregolari, diminuisce, nel resto dell’area metropolitana si incrementa notevolmente fino quasi a raddoppiare. Per la prima volta il numero degli immigrati irregolari è più alto nei comuni della provincia che nel capoluogo milanese.

A livello provinciale, i dati relativi al 2005 indicano una forte crescita degli stranieri provenienti dall’America Meridionale (81.500) e dall’Est Europa (quasi 90.000) che hanno quasi raggiunto la numerosità della tradizionalmente più consistente componente asiatica (98.400). Sempre nel 2005 gli africani sub-sahariani rappresentavano il 6% e i nordafricani il 20% dell’immigrazione in provincia di Milano con un’incidenza sostanzialmente identica nel Comune di Milano e negli altri comuni della provincia.

Questi elementi analitici suggeriscono l’immagine di una redistribuzione sul territorio della presenza straniera a livello di intera area metropolitana nella quale il Comune di Milano, pur incrementando in termini assoluti a causa dei provvedimenti di regolarizzazione la presenza numerica ed ufficiale di immigrati stranieri, sta perdendo la propria centralità relativa rispetto al resto della provincia. Si assiste, in altri termini, alla crescita del numero di stranieri che, pur gravitando attorno a Milano, scelgono di risiedere o comunque di dimorare nei comuni della cintura metropolitana.

Le spiegazioni di questo fenomeno risiedono, da un lato, nella maggior disponibilità di abitazioni a condizioni relativamente più economiche in periferia e nei comuni limitrofi rispetto alle zone centrali della città, dall’altro, nelle caratteristiche dell’offerta di lavoro richieste ai nuovi flussi migratori che rendono le opportunità occupazionali per gli stranieri più diffuse e distribuite a livello spaziale. La nuova immigrazione dall’Est Europa e latinoamericana, soprattutto nella sua componente femminile, trova maggiori opportunità di impiego in mansioni legate ai servizi alle imprese (pulizia, facchinaggio, ristorazione) e alle persone (assistenza domestica e alle persone anziane) che ampliano le possibilità localizzative delle scelte degli immigrati verso territori più decentrati rispetto a quello del Comune di Milano. Lo stesso discorso può essere fatto per gli immigrati addetti nel settore dell’edilizia, dei servizi artigianali ad esso collegato e delle manutenzioni che per le caratteristiche del loro lavoro hanno nella mobilità un elemento essenziale delle loro esperienze di vita.

67 Per questo e gli altri dati riportati in questo paragrafo si rimanda a: Osservatorio Regionale per l’integrazione e la Multietnicità, Nono Rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Milano, Anno 2005 e L’immigrazione straniera in Lombardia. La quarta indagine regionale, Fondazione ISMU, Milano, 2005.

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3.3 Immigrazione e periferie

Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato che le caratteristiche dei sistemi produttivi locali presenti in maniera diffusa sull’intera area a rete metropolitana creano le condizioni per una diffusione del fenomeno migratorio in territori sempre più distanti spazialmente rispetto al centro rappresentato da quartieri urbani tradizionali. Questo è soprattutto il portato del legame lavoro-permesso di soggiorno e della conseguente regolarizzazione di situazioni di illegalità che hanno spinto la componente sommersa dell’immigrazione alla ricerca di possibilità occupazionali che sono state e sono offerte soprattutto dalla cintura industriale e post-industriale del territorio milanese.

Questa distribuzione territoriale del fenomeno migratorio tra centro e periferia ha interessato tutte le componenti dell’immigrazione, con la parziale esclusione degli stranieri di origine asiatica e cinese in particolare.

Verso la periferia urbana e metropolitana si sono indirizzati i flussi di nuova immigrazione e quelli composti dai soggetti già presenti nel Comune di Milano e resi regolari dalle successive sanatorie. La distribuzione della presenza straniera sul territorio milanese conferma questi elementi di analisi con il consolidarsi di alcune situazioni caratteristiche come la zona 4 (Vittoria-Romana) e soprattutto verso nord, sulle direttrici Viale Monza-Via Padova e Viale Certosa-Bovisa. Queste ultime aree presentano, oltre che una concentrazione relativa del fenomeno migratorio, anche una notevole eterogeneità nella provenienza etnica. Siamo, in definitiva, di fronte ad una tendenza per cui la concentrazione nelle aree periferiche di presenza straniera non si caratterizza per l’esistenza di legami etnici o di origine, ma è invece legata a condizioni abitative o di lavoro che accomunano immigrati con storie e vissuti personali estremamente diversificati.

Una possibile sintesi di questi elementi di analisi potrebbe essere rappresentata da questi due concetti:

1. non solo siamo di fronte ad una crescita quantitativa dell’immigrazione, ma anche ad una presenza straniera con origini geografiche e problematiche sociali più complesse e differenziate;

2. le periferie urbane appaiono il luogo privilegiato di localizzazione di questi processi migratori legati alla globalizzazione e risultano le aree dove maggiormente si dipanano gli effetti negativi dei limiti dell’integrazione dei flussi migratori.

In questo senso, la condizione degli immigrati aggiunge complessità e tensioni evidenti in territori in cui i processi di deindustrializzazione e invecchiamento della popolazione, nonché la presenza di reti di devianza tradizionalmente diffuse e radicate, hanno scavato in profondità a partire dalla crisi degli anni ’70.

Un indice delle conseguenze della concentrazione diffusa dell’immigrazione nelle periferie milanesi è stato significativamente espresso nella documentazione del progetto Urban dove, tra le problematiche di quartiere più avvertite dai cittadini, quella maggiormente sentita negli ultimi anni è la presenza degli stranieri in genere, non solo quella legata ai tradizionali campi nomadi o agli accampamenti temporanei di migranti.

Quarto Oggiaro, Bovisa, Bovisasca e Villapizzone sono aree che hanno vissuto intensi processi di trasformazione e di transizione demografica, economica e sociale che sono stati in qualche modo metabolizzati con l’utilizzo degli strumenti tradizionali delle politiche di welfare (l’edilizia popolare, il sostegno al reddito, l’assistenza sociale), nonostante la

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presenza diffusa di pratiche di illegalità. Questa strumentazione di intervento appare non in grado di affrontare i nuovi ordini e le nuove dimensioni dei bisogni sociali che sono il portato dei movimenti migratori e dei processi di trasformazione urbana.

3.4 I nuovi luoghi della marginalità

L’area Urban si caratterizza per la presenza di numerosi insediamenti e spazi in cui soggetti esclusi o emarginati dai circuiti e dalle reti di assistenza sperimentano forme di auto organizzazione della marginalità68, soprattutto in ambito abitativo69.

I soggetti che ricorrono a queste soluzioni abitative informali sono soprattutto stranieri (irregolari, appena arrivati in Italia), ma anche italiani in condizioni di marginalità.

I luoghi della marginalità abitativa sono, il più delle volte, spazi abbandonati (cascine, depositi) e aree verdi non custodite, caratterizzati da strutture precarie e roulotte, da precari allacciamenti ai servizi idrici e elettrici e spesso dalla mancanza di strutture per la raccolta di rifiuti. Accanto a forme di occupazione degli spazi regolari (campi nomadi), si contano nell’area urbana almeno 200 situazioni abitative marginali che vanno dalle fabbriche dismesse a luoghi di sosta transitori (mercati/giostre), fino a microinsediamenti nei vuoti urbani (sotto i cavalcavia e vicino alle scarpate ferroviarie).70 La stragrande maggioranza di questi luoghi sono situati nelle periferie e in queste condizioni vivono la loro condizione abitativa precaria almeno 7.000 persone, in genere adulti emarginati, ma anche donne e bambini.71

Dopo lo sgombero dell’area di Via Barzagli, la distribuzione di questi insediamenti nell’area del nord milanese è diventata più diffusa e meno concentrata ed ha trovato in edifici, campi ed aree dismesse della zona 8 (Via Triboniano, Via Capo Rizzato, Via Polidoro) ed in particolare nella zona di Quarto Oggiaro, sbocchi abitativi precari e spesso mutevoli nel tempo. La collocazione di questi accampamenti è favorita sia dall’esistenza di spazi/aree degradate e abbandonate, sia dalle condizioni più generali di marginalità del territorio.

Gli operatori del NAGA valutano in 1.500 gli abitanti di questi insediamenti irregolari nell’area Urban. Questo significa che circa un quarto di questa città invisibile e marginale entro i confini milanesi gravita in questo contesto territoriale.

Gran parte di queste persone provengono dall’Est Europa, in particolare sono ucraini, rumeni e profughi della guerra nella ex-Jugoslavia (bosniaci, serbi, macedoni).

68 Si veda in particolare la ricerca curata dal Consorzio Aaster per al Camera di Commercio di Milano, La città invisibile. Il terzo cerchio della nuova città, gennaio 2007. 69 Cfr. A. Gusmeroli, Gli invisibili, in Communitas, n. 1, 2005 70 cfr. Aaster, cit., pag. 65. 71 Cfr. Associazione NAGA, Abitare le città invisibile, Rapporto 2003/2004.

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4. L’AREA URBAN ALL’INTERNO DEI CAMBIAMENTI METROPOLITANI

4.1 Le direzioni del cambiamento

“Oggi il panorama di Milano è quello di una città le cui fondamentali strutture di integrazione sociale sono sottoposte ad una tensione crescente.”72

Partiamo da questa riflessione, che è comune, del resto, a tutte le più recenti indagini sulla struttura sociale ed economica della realtà milanese, per focalizzare l’attenzione sulle principali tendenze che hanno messo in crisi in profondità la capacità di assorbimento delle tensioni sociali ed economiche tradizionalmente attribuita alla metropoli lombarda. Questa capacità di assorbimento, era frutto sia del modello policentrico a livello economico e sociale della realtà milanese, sia delle risposte ai cambiamenti che man mano le istituzioni cittadine hanno saputo dare dal dopoguerra ad oggi.

Per quest’ultimo aspetto ci riferiamo, in particolare, al ruolo avuto da istituzioni come l’Istituto Autonomo Case popolari (oggi Aler) sul versante abitativo, ma anche al peso significativo di attori come le fondazioni e le Casse di risparmio sul versante creditizio e di sostegno allo sviluppo, e, più in generale, alla fitta trama di iniziative solidaristiche ed integrative promosse sul territorio dall’associazionismo democratico (le ACLI e l’ARCI), dalla cooperazione, dalle organizzazioni religiose della Diocesi milanese.

Un solo riferimento obbligato, da questo punto di vista, è il ruolo protagonista svolto dalla Caritas Ambrosiana nei confronti dell’emarginazione sociale e delle politiche metropolitane volte all’integrazione degli immigrati, prima del Sud Italia poi degli stranieri.

Oggi questo tessuto integrativo e solidaristico è messo fortemente in discussione, mentre mostra la corda l’intero modello sociale economico e milanese con le sue tradizionali caratteristiche di articolazione territoriale e settoriale, e di diversificazione degli interventi tra soggetti pubblici e privati.

Quattro ci paiono le tendenze che mettono in crisi le risposte tradizionali a livello di politiche sociali e di strumentazione del welfare:

1. la crescente polarizzazione economica e sociale tra un “centro” tutto proiettato verso le dimensioni globali della competizione e dello sviluppo economico e una “periferia” di soggetti e di luoghi che sperimentano sulla propria pelle le conseguenze della transizione verso l’economia post-industriale e le insufficienze delle politiche di welfare tutte orientate al sostegno al reddito e non alla risposte alle emergenze sociali in termini di servizi e crescita delle opportunità. Un aspetto di questa polarizzazione, quella dei redditi, sarà affrontato nel paragrafo seguente;

2. la precarietà nell’ambito lavorativo, sia come condizione quasi obbligata per l’accesso al mercato del lavoro, sia e soprattutto come elemento costante dei percorsi professionali dei lavoratori urbani. La letteratura su questo aspetto è estremamente ampia, come numerose sono le ricerche su specifiche categorie professionali. A questo riguardo, un ulteriore elemento di riflessione può essere offerto dall’analisi delle modalità di relazione con la dimensione lavorativa della popolazione immigrata che

72 Consorzio Aaster, cit., pag. 15.

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vive nella quasi totalità un periodo di non regolarizzazione della sua presenza nell’area urbana ed è quindi obbligata a ricorrere a forme di lavoro “sommerso”, spesso oltre i limiti della legalità;

3. la rottura delle reti di vicinato e, più in generale, del tessuto solidaristico di quartiere o di caseggiato. Le tendenze demografiche e la crisi dei modelli familiari tradizionali, la distribuzione territoriale dei flussi migratori, l’abbandono della città da parte di famiglie ed individui costretti a confrontarsi con i livelli del mercato delle abitazioni e con i maggiori costi dei servizi, il progressivo venir meno del ruolo di integrazione delle organizzazioni sindacali e dei partiti politici popolari, i processi di secolarizzazione con cui si confronta la presenza sul territorio delle organizzazioni religiose, l’affermarsi di spazi di socializzazione legati più al consumo e all’uso delle merci o ad una domanda frammentaria di iniziative e spazi culturali rispetto a luoghi di valorizzazione delle nuove soggettività urbane, la crisi del ruolo di integrazione e di mobilità sociale delle istituzioni scolastiche: tutti elementi che contribuiscono a sfilacciare le reti solidaristiche e all’affermarsi di modelli di comportamento e crescita individuale sempre più atonomizzati e permeati di logiche “egoistiche”. L’accesso ai consumi sembra affermarsi come vera e unica discriminante di ceto e l’appartenenza ad uno stesso orizzonte sociale sfuma nella pluralità delle scelte individuali e nella rottura dei legami, siano essi di “classe” o di “cortile”;

4. il diffondersi dell’insicurezza e delle paure metropolitane come condizione esistenziale di estese aree del territorio. A questo contribuiscono non tanto e non solo i fenomeni di microcriminalità o la presenza di gruppi emarginati (“i nomadi”, “gli albanesi”, “gli occupanti”…) quanto la percezione che di questi fenomeni hanno i soggetti più fragili e più colpiti dai cambiamenti sociali. In questo senso un ruolo importante viene giocato dai soggetti responsabili della costruzione di un’opinione di massa e omologata a schemi più orientati a risposte di tipo repressivo e di esclusione.

Queste tensioni di fondo della società milanese si esplicano in evidenti cambiamenti nei bisogni sociali percepiti e nella domanda di servizi espressa dai territori. Temi come la sicurezza, il controllo del territorio, la lotta contro la clandestinità e l’immigrazione appaiono assumere maggiore rilievo rispetto alle questioni del degrado urbano, della carenza di servizi, della mancanza di spazi di socializzazione, dell’omologazione culturale verso il basso e dell’accesso al lavoro e a condizioni abitative dignitose, come se non fossero proprio la conseguenza di questi ordini di problemi, ma venissero assunti come valori in sé, come risposte slegate dai contesti sociali che li esprimono.

Abbiamo visto come nel corso di pochi anni si siano modificate le percezioni dei bisogni espressi dai cittadini di un’area particolare come quella del progetto Urban II. Il lavoro di ricostruzione di reti e legami sociali diventa più difficile, ma appare l’unica risposta non contingente e di lungo respiro per affrontare le conseguenze dei cambiamenti e della marginalizzazione degli individui e dei territori.

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4.2 La distribuzione dei redditi individuali e familiari: alcuni dati dal Progetto AMeRIcA

Il Progetto AMeRIcA (Anagrafe Milanese e Redditi Individuali con Archivi) ha avuto origine nel 1999 su iniziativa del Comune di Milano ed è finalizzato ad approfondire la conoscenza dei redditi degli individui e delle famiglie milanesi73. Alla base di questo progetto, portato avanti dal Settore Statistica del Comune di Milano e dal Dipartimento di Statistica dell’Università Bicocca, si pone l’idea dell’importanza dell’integrazione di fonti informative di carattere amministrativo: l’anagrafe della popolazione comunale e i dati fiscali dell’Agenzia dell’Entrate.

Nel giugno del 2004 sono state presentate le prime elaborazioni relative all’anno di imposta 2000 con particolare riferimento ai livelli di reddito dei cittadini milanesi e alla distribuzione dei redditi nelle diverse zone del decentramento amministrativo. Attualmente, il Data Warehouse del progetto contiene i dati relativi agli anni 2000, 2001, 2002 e 2003, sia per quanto riguarda i dati anagrafici dei cittadini residenti74 sia i modelli fiscali relativi alle persone fisiche per gli stessi anni di riferimento75.

Si presentano in questa sede alcuni dati e alcune elaborazioni relative all’anno d’imposta 2003 rimandando ovviamente alla documentazione riportata in nota ed in bibliografia per l’illustrazione della metodologia utilizzata nell’ambito di questo progetto.

Al 31 dicembre 2003 risultavano iscritti all’Anagrafe del Comune di Milano 1.279.182 cittadini76, 827.740 dei quali (pari al 64,7%) hanno presentato un modello dichiarativo per l’anno d’imposta 200377. I 452.442 residenti che non hanno presentato nessuna forma di dichiarazione dei redditi appartengono alle classi di età fino a 14 anni, alla popolazione residente con oltre 65 anni di età che percepisce contributi per i quali non è obbligatoria la dichiarazione, percettori di redditi autonomi e occasionali con redditi bassi non comportanti il medesimo obbligo, nonché cittadini residenti destinatari di pensioni sociali, di invalidità o di accompagnamento.

I cittadini milanesi dichiaranti redditi hanno disposto nel 2003 di un reddito imponibile medio pari a 23.609 Euro con una netta differenza fra il valore medio per le donne (16.197 Euro) e quello dei maschi (31.346). Per entrambi i generi i livelli più elevati di reddito imponibile si registrano per la classi di età comprese tra i 45 e i 54 anni (21.525 Euro per le donne e 41.546 Euro per gli uomini).

73 Le informazioni riprese in questo paragrafo sono riprese da: M.Mezzanica, B.Zavanella, F.Necchi, Sistemi Informativi Statistici per la conoscenza della realtà socio-economica della città di Milano: il progetto AMeRIcA; Settore Statistica del Comune di Milano, Ricerca sullo stato economico occupazionale delle famiglie Milanesi, Milano dati, serie economia e lavoro, n. 6; la ricerca Coesione sociale e senso di appartenenza alla comunità curata dalla Camera di Commercio di Milano; A. Caiazzo e A. Rossi, Valore Aggiunto, Redditi e Coesione Sociale, in Servizio Studi Camera di Commercio di Milano (a cura di), 16°Rapporto Milano Produttiva 2006. 74 Oltre ai cittadini residenti la banca dati contiene anche i dati anagrafici dei cittadini iscritti alla lista AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). 75 I modelli fiscali presenti sono quindi il Modello Unico, il Modello 730 e i Quadri SA per la maggior parte estrapolati dal Modello 770. 76 Al netto di convivenze, soggetti iscritti nella lista AIRE, soggetti irreperibili al censimento 2001 e soggetti senza fissa dimora. 77 Sulla base della ipologia di modello presentato risulta che nel periodo di imposta 2003 il 36,7% dei dichiaranti ha presentato il modello 730, il 31,6% si è avvalso delle dichiarazioni presentate dai datori di lavoro all’interno dei modelli 770 (Quadro SA) e il restante 30,8% ha presentato il modello Unico.

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Ai fini del presente rapporto di ricerca quattro sono le informazioni particolarmente significative:

1. la verifica dell’ipotesi di crescente polarizzazione sociale nella metropoli milanese;

2. la verifica dell’ipotesi di crescente marginalizzazione spaziale ed economica delle periferie urbane rispetto alle parti della città più coinvolte nei processi di globalizzazione/finanziariazione/terziarizzazione;

3. la verifica dell’ipotesi di una evidente differenziazione dei redditi rispetto alla variabile cittadinanza;

4. la verifica dell’ipotesi di crescente fragilità economica nel caso di alcune tipologie familiari.

Per quanto riguarda la prima questione (polarizzazione sociale), una parziale verifica dei ragionamenti sviluppati nel rapporto può essere ricercata nella distribuzione del reddito imponibile fra i cittadini. Riprendiamo alcuni dati dall’indagine della Camera di Commercio di Milano basati sul progetto AMeRIcA.

Tabella 32: Distribuzione del reddito imponibile totale per fasce di reddito. Anno di Imposta 2003. Valori in

Euro

Fasce di reddito Numerosità in % Reddito imponibile totale in %

Reddito medio per fascia di

reddito Meno di 15.000 428.625 51,8 2.922.271.337 15,0 6.818 15-29.000 228.965 27,7 4.721.747.701 24,2 20.622 29.000-32.600 25.950 3,1 797.460.526 4,1 30.731 32.600-70.000 104.566 12,6 4.764.958.250 24,4 45.569 Oltre 70.000 39.634 4,8 6.335.656.695 32,2 159.854 Dichiaranti 827.740 100 23.609 Non dichiaranti 451.442 Totale 1.279.182 19.542.094.509 100

Fonte: Progetto AMeRIcA, elaborazione dati Dip. Di Statistica dell’Università degli studi Milano Bicocca su dati del Comune di Milano e dell’Agenzia delle Entrate Una prima osservazione attiene al dato che la maggioranza dei dichiaranti (51,8%) si collocava nel 2003 nella fascia di reddito inferiore (fino a 15.000 Euro), disponendo complessivamente del 15,0% del reddito imponibile cittadino e con un reddito medio di 6.818 Euro.

Il 79,5% dei dichiaranti disponeva di un reddito imponibile inferiore ai 29.000 Euro con una percentuale complessiva sul redito imponibile cittadino del 39,2%.

Nella fascia di reddito più elevata (oltre i 70.000 Euro) si sono riscontrate meno di 40 mila dichiarazioni di cittadini milanesi (4,8% delle dichiarazioni), ma a questi cittadini corrispondeva quasi un terzo del reddito complessivo (32,2%) e un reddito imponibile medio di 159.854 Euro. A questa evidente disparità nella distribuzione dei redditi tra cittadini appartenenti alle fasce di reddito estreme, si aggiunge anche la valutazione delle rimanenti fasce. I cittadini milanesi che appartengono alla fascia di reddito fra i 15 e i 29 mila Euro e quelli che appartengono alla fascia tra i 32,6 mila e i 70 mila Euro dispongono complessivamente dello stesso reddito imponibile complessivo (4,7 miliardi di Euro), ma le dichiarazioni dei primi sono oltre il doppio di quelle dei secondi (229 mila contro 105

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mila). Questo si traduce in redditi imponibili medi di 20.622 Euro nel primo caso e di 45.569 Euro nel secondo.

Pur con i dovuti e noti limiti analitici dei dati fiscali, dal punto di vista della distribuzione del reddito, Milano appare dunque abbastanza nettamente divisa tra un 16-17% dei percettori di reddito che dispongono di oltre il 56% dei redditi e i rimanenti 83-84% dichiaranti che dispongono di meno del 44% del reddito complessivo.

Si tratta di dati che rappresentano l’esistenza di un forte dualismo tra una maggioranza diffusa della popolazione e delle famiglie che disponeva nel 2003 del 15% delle risorse complessive e viveva con meno di 7 mila Euro di imponibile annui alla quale si contrapponeva una netta minoranza di cittadini (meno del 5%) che disponevano di un terzo dei redditi e poteva contare su redditi medi annui di quasi 160 mila Euro.

Per quanto riguarda la seconda ipotesi di lavoro, la polarizzazione spaziale dei redditi, il riferimento anche in questo caso è alla distribuzione dei valori dei redditi medi imponibili nelle diverse zone del decentramento amministrativo.

Tabella 33: Distribuzione per zone del reddito imponibile totale. Anno di imposta 2003. Valori in Euro

Zone Popolazione dichiaranti % dichiaranti Dich/pop %Reddito

imponibile totale

In %

1 98.636 58.511 7 59,3 3.187.586.728 16.3 2 134.163 87.176 11 65,0 1.769.139.149 9,1 3 138.011 88.798 11 64,3 2.241.398.030 11,5 4 146.794 95.887 12 65,3 2.066.138.307 10,6 5 115.012 74.920 9 65,1 1.487.649.241 7,6 6 146.039 95.556 12 65,4 1.968.738.955 10,1 7 167.713 108.075 13 64,4 2.524.448.808 12,9 8 172.003 112.573 14 65,4 2.386.809.016 12,2 9 159.888 105.801 13 66,2 1.900.633.872 9,7 Totale 1.278.259 827.297 100 64,7 19.532.542.106 100 Mancanti 923 Totale 1.279.182 Fonte: Progetto AMeRIcA, elaborazione dati Dip. Di Statistica dell’Università degli studi Milano Bicocca su dati del Comune di Milano e dell’Agenzia delle Entrate Una prima analisi del dualismo territoriale milanese è data dalla distribuzione delle dichiarazioni e del reddito imponibile fra le diverse zone del decentramento. La zona 1 rappresenta il 7% del numero delle dichiarazioni presentate e il 16,3% del reddito imponibile totale. Al contrario, la zona 9 rappresenta oltre i 13% delle dichiarazioni ma meno del 10% del reddito imponibile cittadino.

Solo la zona 1 (centro storico) e la zona 3 (Città Studi-Lambrate) presentano valori percentuali del loro peso sul reddito imponibile superiori al loro peso percentuale sui dichiaranti; la zona 7 (San Siro-Baggio) presenta valori delle percentuali simili (13% sui dichiaranti e 12,9% sul reddito imponibile). Tutte le altre zone presentano percentuali della distribuzione del reddito cittadino inferiori rispetto alle loro percentuali sul numero dei dichiaranti.

Un altro passo è dato dall’analisi dei redditi imponibili medi nelle diverse zone cittadine.

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Tabella 34: Reddito imponibile medio nelle zone del decentramento amministrativo. Anno di imposta 2003. Valori in Euro

Zone Reddito medio imponibile per dichiarante indice 1 Reddito medio imponibile per

residente indice 2

1 54478 2,31 32317 2,11 2 20294 0,86 13186 0,86 3 25242 1,07 16241 1,06 4 21548 0,91 14075 0,92 5 19857 0,84 12935 0,85 6 20603 0,87 13481 0,88 7 23358 0,99 15052 0,99 8 21202 0,90 13877 0,91 9 17964 0,76 11887 0,78

Milano 23610 1,00 15281 1,00 I valori dei redditi imponibili medi per dichiarante variavano per il 2003 tra i 54,5 mila Euro della zona 1 a meno di 18 mila Euro per la zona 9. Anche in questo caso solo la zona 1 e la zona 3 presentano redditi medi superiori alla media cittadina (valori dell’indice 1), mentre tutte le altre zone hanno valori medi inferiori.

Il valore medio dei redditi imponibili diminuiscono man mano ci si allontana dalla cerchia dei bastioni. Un dichiarante della zona 1 ha un reddito imponibile medio di 2,3 volte la media cittadina, mentre un dichiarante della zona 9 mediamente del 24% in meno rispetto all’insieme della città. Questi risultati si modificano leggermente se prendiamo in considerazione non i dichiaranti, ma i cittadini residenti nelle zone. Il reddito medio imponibile per residente nel Comune di Milano (dichiarante o meno) è stato, nel 2003, pari a 15.281 Euro. Anche in questo caso il valore più basso è sempre quello rilevato nella zona 9 (indice2).

In merito alla terza ipotesi posta (forte differenziazione fra i redditi dei cittadini italiani e quelli degli stranieri residenti), una sintesi delle informazioni disponibili utilizzando il Progetto AMeRIcA è la seguente:

• a fronte di un reddito imponibile medio pari a 24.219 Euro per i residenti italiani, i dichiaranti stranieri di Milano dichiaravano nel 2003 un imponibile medio di 14.587 Euro corrispondente al 60%;

• gli stranieri presentano redditi medi più elevati dei dichiaranti italiani nelle classi di età inferiori ai 20 anni (presumibilmente a causa del precoce inserimento nel mercato del lavoro dei soggetti provenienti da paesi a forte pressione migratoria) e superiori ai 65 anni (a causa della minor presenza di anziani fra gli stranieri provenienti da paesi a forte pressione migratoria e della maggior presenza di anziani stranieri provenienti da paesi a elevato reddito);

• i redditi imponibili medi più elevati si sono riscontrati per gli stranieri provenienti dal Nord America (oltre 68 mila Euro), dai paesi dell’area UE (45,5 mila Euro) e dall’Oceania (36,6 mila Euro);

• i redditi imponibili medi più bassi sono relativi a cittadini africani (9.505 Euro), asiatici (10.309 Euro) e del centro e Sud America (10.883 Euro);

• tra gli stranieri dichiaranti provenienti dai paesi a maggior pressione migratoria quelli che presentano redditi imponibili medi più elevati sono i residenti rumeni e albanesi

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poco sopra i 10 mila Euro per entrambi i paesi impegnati nel settore delle costruzioni e dell’artigianato;

• il reddito medio più basso si registra tra i cittadini di nazionalità cinese (meno di 7 mila Euro per dichiarante) e questo fenomeno potrebbe essere un indice dell’esistenza di aree di evasione fiscale e di economia sommersa legata alle attività economiche promosse e gestite da questa comunità (ethnic business).

Il collegamento tra i dati fiscali e quelli anagrafi ha permesso al Progetto AMeRIcA di fornire interessanti informazioni in merito all’ultima ipotesi effettuata all’inizio del paragrafo (fragilità economica di alcune tipologie familiari). Nel database del progetto sono state individuate complessivamente 654.788 famiglie delle quali quasi la metà (307.196 pari al 46,9%) composte da un solo individuo.

Il reddito imponibile familiare è stato nel 2003 di poco inferiore ai 30 mila Euro (29.844) come media tra le varie tipologie familiari. Tuttavia le varie dimensioni familiari presentano valori decisamente differenziati come illustra la tabella seguente.

Tabella 35: Tipologie familiari per numerosità e reddito imponibile medio. Anno di imposta 2003. Valori in

Euro Tipologia familiare Numerosità In % Reddito imponibile

medio Donna single capofamiglia 177.306 27,1 13.940 Coppia con figli 139.361 21,3 52.416 Uomo single capofamiglia 126.710 19.4 22.532 Coppia senza figli 104.921 16,0 36.655 Monogenitore donna con figli 49.007 7,5 23.403 Monogenitore uomo con figli 10.949 1.7 41.233 Coppia con figli con altri componenti 5.388 0,8 46.538 Coppia senza figli con altri componenti 2.854 0,4 42.923 Donna single non capofamiglia 1.953 0,3 6.788 Uomo single non capofamiglia 1.227 0,2 10.096 Monogenitore uomo o donna non capofamiglia con figli 948 0,1 12.196 Non classificabile 34.164 5,2 30.910 Milano 654.788 1,00 29.845 Per limitarci alle tipologie familiari più frequenti sono degni di nota i valori relativamente bassi dei redditi familiari delle famiglie monopersonali composte da una donna sola e delle famiglie con un solo genitore donna con figli, nonché le differenze tra i redditi medi delle famiglie formate da una coppia con figli ed una senza figli. In generale, i redditi più contenuti sono associati alle tipologie familiari in cui il soggetto principale non è capofamiglia, siano essi donne o uomini single o monogenitore con figli.

Un’ultima osservazione ci viene dalla distribuzione del reddito delle famiglie milanesi in percentuali. Considerando le famiglie monopersonali il 25% di loro disponeva nel 2003 di meno di 7.213 Euro e il 50% di meno di 14.450. Per il 25% delle famiglie con figli il reddito medio procapite annuo era inferiore a 5.680 Euro. Infine, per il 25% delle famiglie senza figli il reddito medio procapite per il 2003 è stato inferiore a 6.930 Euro. Trattandosi di redditi procapite imponibili e al lordo delle ritenute fiscali e contributive appare evidente

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l’esistenza di una parte cospicua delle famiglie milanesi con disponibilità di risorse molto limitate anche al di sotto del livello della soglia di povertà.

Come già sottolineato in precedenza, a questa condizione familiare si contrappone una fascia di famiglie mediamente o molto benestanti. Il 5% delle famiglie monopersonali hanno avuto un reddito superiore ai 62.591 Euro e sempre il 5% delle coppie senza figli disponeva di un reddito procapite di 54.222 Euro.

In conclusione, l’analisi dei redditi dei cittadini e delle famiglie milanesi effettuata in questo paragrafo consente di confermare e per molti versi di rafforzare le ipotesi di indagine da cui eravamo partiti.

Ne esce con forza la visione di un contesto metropolitano in cui sia in atto dalla fine degli anni ’70 e dalla crisi delle politiche tradizionali di welfare una tendenza alla polarizzazione dei redditi e della ricchezza tra individui e famiglie, nonché ad una evidente differenziazione spaziale tra aree e quartieri della città.

A quest’ultimo effetto, ha sicuramente contribuito la presenza di lavoratori e famiglie straniere che si localizzano dal punto di vista abitativo nelle aree di maggior accessibilità.

4.3 Una nuova gerarchia dei bisogni sociali

Di fronte agli effetti complessivi e complessi delle direzioni del cambiamento sociale ed economico prima evidenziate le risposte che le istituzioni e il tessuto solidaristico milanese possono offrire in termini di politiche di integrazione e inclusione sociale non possono che essere a loro volta basate su interventi differenziati, diffusi e specifici per i singoli microterritori in cui è divisa l’area metropolitana.

Questi interventi differenziati devono, tuttavia, riconoscersi in un unico terreno culturale e di policy che abbia al centro alcune grandi tematiche, trasversali nei contenuti e nella declinazione operativa:

1. la necessità di ricostruire legami sociali di quartiere e di area, a livello più generale, ma anche in una logica micro, di caseggiato, di vicinato vero e proprio. Questo è ancora più evidente in territori devastati dall’invecchiamento della popolazione, dalla presenza di quartieri di edilizia popolare di vecchia costruzione, nonché dai fenomeni di criminalità diffusa legati ai traffici di stupefacenti o ai commerci illeciti. La costruzione di spazi e luoghi di socializzazione, il diffondersi di iniziative di quartiere, il recupero del senso di appartenenza al territorio di nascita e di crescita sono tutti elementi indispensabili in questa direzione, ma vanno comunque affiancati da una rete di servizi domiciliare e di vicinato che richiede l’impegno soprattutto del volontariato e della cooperazione sociale. Non può essere lasciato solo sulle spalle delle organizzazioni cattoliche periferiche il compito di ricollegare i fili interrotti fra generazioni e fra individui dispersi nella moltitudine delle periferie;

2. la centralità nelle politiche di accoglienza verso gli immigrati dell’attenzione alle seconde generazioni. Le recenti vicende francesi e, per restare alla realtà milanese quanto è avvenuto nella zona di Via Sarpi-Via Canonica per quanto riguarda la comunità cinese, pongono grosse e decisive questioni in merito all’efficacia delle politiche di inclusione condotte nel passato. Quando le problematiche vere e sentite dai

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giovani immigrati - di origine etnica, ma pienamente italiani almeno come luogo di nascita e come percorsi di crescita -, sono quelle del disagio scolastico, della precarietà del lavoro, dell’esclusione dai circuiti di mobilità sociale, dell’omologazione culturale a modelli di consumo e di comportamento in parte o del tutto contrapposti ai valori e alle tradizioni della propria terra di origine, del risentimento verso sentimenti di esclusione e di razzismo strisciante di cui è permeata al società “civile”, specie nelle zone e nelle aree più marginali del profondo Nord, la prospettiva di momenti di esplosione collettiva e di vera e propria ribellione diventano estremamente probabili. Da questo punto di vista la sola risposta repressiva rischia di generare disvalori e chiusure ancora più nette, se fosse ancora possibile. D’altra parte, la tradizionale tolleranza e accoglienza “meneghine” hanno sempre avuto al centro dei loro interventi l’inserimento nel circuito lavorativo e il riconoscimento del contributo dei “new comer” allo sviluppo industriale e dei sistemi economici differenti di cui è composta l’area metropolitana. Le difficoltà nell’accesso ai consumi, da un lato, e le condizioni di precarietà del lavoro, dall’altro, hanno un impatto molto diverso per le nuove e giovani generazioni di immigrati rispetto alle esperienze dei loro genitori e delle loro famiglie;

3. lo sforzo collettivo dei diversi attori per evitare la formazione di aree e quartieri dormitorio. La gestione delle politiche urbanistiche ha da questo punto di vista una importanza rilevante. Solo un adeguato mix di destinazioni e insediamenti urbanistici può continuare a permettere di definire Milano come un territorio policentrico e caratterizzato dall’assenza di ghetti o enclaves di emarginazione (gentrification). Attualmente questa tradizionale visione della metropoli lombarda è alquanto messa in crisi dai processi di espulsione di ceti e individui da quartieri interessati a processi di valorizzazione delle aree. La separazione tra una élite globalizzata di professional collegata con le reti dell’innovazione, con la finanza internazionalizzata e con i circuiti della moda e del design - con i propri luoghi e i propri modelli di consumi – e una massa di individualità (il “cerchio”) formata dagli addetti ai “nuovi” lavori a bassa qualifica e alla crescente area del precariato anche di tipo intellettuale è sempre più evidente anche dal punto di vista spaziale, dei territori metropolitani. E naturalmente al risposta a questa esigenza ha natura più politica che strettamente urbanistica;

4. l’esigenza della creazione di una rete di servizi diffusa e partecipata. A questioni e bisogni diffusi occorre dare risposte altrettanto capillari in grado di permeare più possibile i territori del disagio metropolitano. Servizi domiciliari per anziani e non autosufficienti, servizi per l’infanzia e i giovani che vadano oltre quelli tradizionali del nido o della biblioteca, spazi di socializzazione per le famiglie e gli immigrati, la riscoperta e i recupero funzionale dei luoghi e dei “segni” del territorio, le modalità organizzative ed istituzionali di valorizzazione delle differenze di genere e di origine, il potenziamento delle associazioni sportive e ricreative, le forme di coinvolgimento delle famiglie nella vita delle istituzioni scolastiche, l’accorpamento e il potenziamento sul territorio di servizi facenti riferimento a diverse amministrazioni in ambito di orientamento scolastico, inserimento lavorativo, segretariato sociale: tutte queste funzioni/azioni devono essere intese come modalità e nodi di una fitta rete di relazioni, di scambi di esperienze, di collaborazioni tra i diversi soggetti pubblici e dell’economia sociale. Questa ottica impone l’abbandono di una visione strumentale e parziale del ruolo del terzo settore nelle politiche di sviluppo e riqualificazione urbana. Visone che presuppone una adesione alle iniziative della componente pubblica in cambio di trasferimenti monetari alle aziende non profit con il loro impegno nella

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erogazione di servizi impostati, programmati e resi operativi da altri. Nella prima parte del rapporto abbiamo parlato non a caso di politiche di sostegno all’autovalorizzazione dell’autonomia sociale. I diversi soggetti pubblici (ASL Città di Milano, Azienda Ospedaliera Sacco, Provincia di Milano, Servizi Sociali del Comune di Milano) anche attraverso al mobilizzazione di risorse in ambito regionale, nazionale e soprattutto europeo sono chiamati a ripensare le modalità organizzative e i luoghi di confronto con il tessuto associativo presente sul territorio Urban. Ma oltre al dialogo sociale è indispensabile la concertazione e la partecipazione negli interventi.

4.4 Una rete di servizi per i nuovi bisogni sociali: il tema della governance

Dentro questa sfida finalizzata all’attivazione delle risorse locali, la collaborazione fra i diversi soggetti diventa quindi elemento dirimente fra scelte di valorizzazione delle esigenze e produzione di risposte concrete ai bisogni sociali e logiche di trasferimento, ed imposizione in qualche misura, di proposte di intervento pensate e valutate altrove. Dove l’altrove è la distanza fisica e sociale tra un centro politico ed economico sempre più centro e una periferia che diluisce i propri bisogni nelle domande di sicurezza e di allontanamento dei diversi, degli ultimi della scala.

Tra logiche di costruzione di senso sociale e politiche di sicurezza basate su sgomberi ripetuti dei luoghi della marginalità si tratta di fare scelte coraggiose e di lungo periodo.

Una governance sociale presuppone una valorizzazione del sociale e una messa in discussione del ruolo dei diversi soggetti. Partendo dai processi istituzionali previste in sede di programmazione dei servizi sociali e quindi dai momenti di valutazione e costruzione del Piano di Zona.

Le riflessioni svolte in questo rapporto di ricerca chiamano quindi il Comune di Milano ad uno sforzo non di delega o diminuzione del proprio ruolo, ma ad una assunzione di responsabilità su piani e logiche diverse. Riaffermare la centralità della famiglia e del sostegno ad essa nelle politiche sociali può essere una scelta politica con cui confrontarsi, ma che non esclude altri livelli di intervento che la realtà concreta dell’area Urban non solo richiede, ma per molti versi impone a tutti i decisori politici e ai portatori di interessi del territorio.

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Parte Terza

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Introduzione

In questa parte del rapporto è riportata la mappatura di tutti i servizi pubblici presenti nell’area Urban affiancata ad una ricognizione dei soggetti e delle organizzazioni attive nei settori sanitario e sociale.

Per il ruolo svolto nell’area è sembrato doveroso proporre anche una mappatura di tutti gli organismi religiosi.

In alcuni casi la localizzazione dei soggetti è all’esterno dell’area Urban così come è stata delimitata. Si è ritenuto di includere comunque l’indirizzo nell’elenco per la natura del servizio offerto e per lo stretto collegamento con il territorio Urban.

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SCUOLE

N. INDIRIZZO TIPOLOGIA ISTITUTO 1 VIA SAPRI 25 SCUOLA INFANZIA Istituto Comprensivo di via Vilfredo Pareto2 VIA ANTONIO ALDINI 72 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale

3* VIA ARSIA 2 SCUOLA INFANZIA E ELEMENTARE Istituto Comprensivo di via Val Lagarina 4** VIA BRIVIO 6 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale

5 VIA CONSOLE MARCELLO 7 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale 6 VIA LUIGI CAPUANA 8 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale 7 VIA ALESSANDRO LITTA MODIGNANI 89 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale 8 VIA SEBASTIANO SATTA 19 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale 9 VIA VAL LAGARINA 26 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale

10 VIA VARESINA 6 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale 11 VIA ANTONIO ALDINI 52 SCUOLA INFANZIA MARIA AUSILIATRICE 12 VIA AMPEZZO 8 SCUOLA INFANZIA E ELEMENTARE MARIA CONSOLATRICE 13 VIA GAREGNANO 10 SCUOLA INFANZIA E ELEMENTARE SUORE FRANCESCANE 14 VIA MICHELE LESSONA 70 SCUOLA INFANZIA A.BASSANI 15 VIA ARTURO GRAF 72 SCUOLA INFANZIA Scuola Infanzia Comunale 16 VIA VILFREDO PARETO 26 SCUOLA PRIMARIA Istituto Comprensivo di via Vilfredo Pareto17 VIA TRILUSSA 10 SCUOLA PRIMARIA Istituto Comprensivo di via Trilussa 18 VIA ARTURO GRAF 74 SCUOLA SECONDARIA I GRADO Istituto Comprensivo di via Trilussa 19 VIA VAL LAGARINA 44 SCUOLA PRIMARIA Istituto Comprensivo di via Val Lagarina 21 VIA CONSOLE MARCELLO 9 SCUOLA PRIMARIA DDS di via Console Marcello

22*** VIA GIOVANNI BATTISTA DE ROSSI 2 SCUOLA PRIMARIA DDS di via Console Marcello 23 VIA PIER FRANCESCO CITTADINI 9 SCUOLA PRIMARIA Manca 24 VIA GIUSEPPINA PIZZIGONI 9 SCUOLA SECONDARIA I GRADO Giancarlo Puecher - Cristoforo Colombo 25 VIA GALLARATE 15 SCUOLA SECONDARIA I GRADO Istituto Comprensivo di via Vilfredo Pareto26 VIA SAPRI 50 SCUOLA SECONDARIA I GRADO Istituto Comprensivo di via Vilfredo Pareto27 VIA ARTURO GRAF 70 SCUOLA PRIMARIA Istituto Comprensivo di via Trilussa 28 VIA FELICE ORSINI 25 SCUOLA SECONDARIA I GRADO Istituto Comprensivo di via Val Lagarina 29 VIA GIOVANNI BATTISTA DE ROSSI 2 CENTRO ESTIVO DELLE SCUOLE PRIMARIE GATTAMELATA - MAGREGLIO - PARETO

* trasferita per ristrutturazione in Via Mac Mahon, 100 ** trasferita per ristrutturazione in Via Sapri, 50 *** corso EDA

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ORGANIZZAZIONI NON PROFIT

N.Indirizzo Ente/Denominazione Tipologia 1Piazza Pompeo Castelli, 10 ASS.NE ITALIANA DI VOLONTARIATO PER LA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA ALDO PERINIOrganizzazione di volontariato A - Sociale 2Piazza Villapizzone, 10 ACLI VILLAPIZZONE Circolo culturale 3Piazza Villapizzone, 10 ACLI PATRONATO ACLI Villapizzone 4Piazza Villapizzone, 3 ASSOCIAZIONE COMUNITA' E FAMIGLIA ONLUS Organizzazione di volontariato A - Sociale e Associazione familiare 5Piazzale Santorre di Santarosa, 10 FIOM CGIL Federazione Impiegati Operai Metalmeccanici 6Via Antonio Aldini, 33 CLUB CB CERTOSA Associazione Culturale 7Via Antonio Aldini, 33 ORO Associazione Sportiva 8Via Antonio Aldini, 72 ASSOCIAZIONE A.N.V.E. - ACCOMPAGNAMENTO NON VEDENTI Organizzazione di volontariato A - Sociale e Associazione familiare 9Via Antonio Aldini, 72 ASSOCIAZIONE A.N.V.E. - ACCOMPAGNAMENTO NON VEDENTI Organizzazione di volontariato

10Via Antonio Aldini, 77 CAMPO "MARIO DI MARCO" Centro Sportivo Privato 11Via Don Giuseppe Andreoli, 20 COOP. SOCIALE "CITTA' NUOVA" Coopertaiva sociale A 12Via Privata Bellagio, 1 LINEAMICA Organizzazione di volontariato A - Sociale 13Via Giovanni Maria Bicetti de Buttinoni, 15 COOP. SOCIALE "SIMONE DE BEAUVOIR" Cooperativa sociale A 14Via Cesare Brivio, 1(ang. Via Bianchi) PALESTRA DI VIA BRIVIO Palestra 15Via Cesare Brivio, 13 ALA ASSOCIAZIONE NAZIONALE ITALIANA LOTTA AIDS ONLUS Organizzazione di volontariato A - Sociale 16Via Angelo Brofferio, 10 CNA CAAF Pensionati CNA 17Via Giuseppe Candiani, 131 ARCI "LA SCIGHERA" Circolo culturale 18Via Luigi Capuana, 7 ARCI "ITACA" Circolo culturale 19Via Luigi Capuana, 7 CISAL Federazione Lavoratori Sanità 20Via Luigi Capuana, 7 CISAL Federazione Aut.Lavoratori Metalmeccanici e Siderurgici 21Via Luigi Capuana, 7 CISAL Fenelsac 22Via Carbonia, 1 CENTRO SERVIZI SICUREZZA QUARTIERI Associazione ambientalista 23Via Carbonia, 7 COOP. SOCIALE "IL PONTE" Cooperativa sociale B 24Via Cesare Pascarella, 20 ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO "IL LABORATORIO" Organizzazione di volontariato A - Sociale 25Via Cesare Pascarella, 20 CIRCOLO RICREATIVO CULTURALE ANZIANI "FILIPPO SARCINELLI" Associazione familiare 26Via Concilio Vaticano II, 1 FLMU Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti 27Via Federico De Roberto, 20 S.LUCIA Polisportiva Giovanile Salesiana 28Via Federico De Roberto, 20 ACLI S.LUCIA IN QUARTO OGGIARO Circolo culturale 29Via Federico De Roberto, 20 ACLI PATRONATO ACLI S.Lucia in Quarto Oggiaro 30Via Privata Arnaldo Fusinato, 7 COOP. SOCIALE "SAN MARTINO" Cooperativa sociale A 31Via Garegnano, 28 ASSOCIAZIONE "LUCIANA CAPRARA BERRA" Associazione familiare 32Via Garegnano, 28 COOP. "G. DONATI" Associazione Culturale 33Via Garegnano, 28 ACLI CERTOSA DI GAREGNANO Circolo culturale 34Via Privata Antonio Gazzoletti, 6 MOVIMENTO VOLONTARIO ANTIDROGA Organizzazione di volontariato A - Sociale 35Via Giovanni da Udine, 34 PRAESENTIA A.I.D.S. ITALIA Organizzazione di volontariato A - Sociale 36Via Arturo Graf, 29 EDUCATORI DI STRADA A QUARTO OGGIARO Organizzazione di volontariato B - Civile 37Via Arturo Graf, 8 CENTRO BALNEARE CANTU' Centro Sportivo Comunale 38Via Arturo Graf, 4 CAMPO "ZOPPINI" Centro Sportivo Privato 39Via Giovanni Battista Grassi, 74 A.I.P.A. - SEZ. MILANO OVEST - ASS.NE ITALIANA PAZIENTI ANTICOAGULATI Organizzazione di volontariato A - Sociale

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40Via Giovanni Battista Grassi, 74 OSPEDALE SACCO OBIETTIVO SANGUE HSOS Organizzazione di volontariato A - Sociale 41Via Giovanni Battista Grassi, 74 IL GIARDINO DEI BAMBINI Associazione familiare 42Via Giovanni Battista Grassi, 74 IL GIARDINO DEI BAMBINI Cooperativa sociale A 43Via Carolina Invernizio, 1 ASSOCIAZIONE QUARTO OGGIARO VIVIBILE Organizzazione di volontariato A - Sociale 44Via Michele Lessona, 13 ASSOCIAZIONE QUARTO OGGIARO VIVIBILE Associazione Culturale 45Via Michele Lessona, 13 ASSOCIAZIONE QUARTO OGGIARO VIVIBILE Polisportiva Giovanile Salesiana 46Via Longarone, 5 ACLI RESURREZIONE Circolo culturale 47Via Longarone, 5 ACLI PATRONATO ACLI Resurrezione 48Via Cardinale Pietro Maffi, 26 NUCLEO OPERATIVO ECOLOGICO VOLONTARIO Associazione ambientalista 49Via Antonio Mambretti, 15 ASSOCIAZIONE GIARDINO Associazione Culturale 50Via Luigi Mercantini, 15 CGIL Patronato INCA 51Via Luigi Mercantini, 15 CGIL CAAF 52Via Luigi Mercantini, 15 CGIL AUSER 53Via Luigi Mercantini, 16 MILANO SOCCORSO ASS.NE P. A. VOLONTARIA Organizzazione di volontariato C - Culturale 54Via Pier Francesco Mola, 34 2013 GATE P.S.C. Cooperativa sociale A 55Via Michele Pericle Negrotto, 31/8 VALANGA Associazione Sportiva 56Via Paolo Mantegazza, 10 SERVIZIO TEMPO LIBERO Organizzazione di volontariato A - Sociale 57Via Privata Riccione, 9 ASSOCIAZIONE GENITORI ZONA 20 Associazione Culturale 58Via Ercole Ricotti, 10 AMICI PER SEMPRE Organizzazione di volontariato A - Sociale e Associazione familiare 59Via Ercole Ricotti, 10 ASSOCIAZIONE PER BENEDETTA BIANCHI PORRO ONLUS Organizzazione di volontariato A - Sociale 60Via Ercole Ricotti, 19 ASSOCIAZIONE LUCA ROSSI PER L' EDUCAZIONE ALLA PACE E ALL' AMICIZIA FRA I POPOLI Organizzazione di volontariato A - Sociale 61Via Ercole Ricotti, 19 BOVISAVERDE Associazione ambientalista 62Via Ercole Ricotti, 19 ACLI SALVADOR ALLENDE BOVISA Circolo culturale 63Via Sapri, 37 L'AMORE DEL BAMBINO Organizzazione di volontariato A - Sociale 64Via Sapri, 51 GAREGNANO ASD Polisportiva 65Via Trilussa, 23 ACLI CAAF ACLI 66Via Val Lagarina, 64 CASA DI MATERNITA' LA VIA LATTEA Associazione familiare 67Via Varesina, 63 ASSOCIAZIONE DUTUR CLAUN Organizzazione di volontariato A - Sociale e C - Culturale 68Via Varesina, 163 CGIL Ufficio Vertenze legali 69Via Varesina, 163 FIOM CGIL Federazione Impiegati Operai Metalmeccanici 70Via Varesina, 214 FRATELLI DELL'UOMO Organizzazione di volontariato 71Viale Certosa, 147 FEDER. COF. IT. Feder.Cof.It. 72Viale Carlo Espinasse, 67 UNPP Unione Nazionale Professionisti Praticanti 73Viale Carlo Espinasse, 84 ULISSE Cooperativa sociale A 74Viale Carlo Espinasse, 85 ASSOCIAZIONE "NOI CI PROVIAMO" Associazione Culturale 75Viale Carlo Espinasse, 85 NORD OVEST Associazione Sportiva

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SERVIZI PUBBLICI/DI PUBBLICA UTILITA’

N.Indirizzo Ente Tipologia di servizio 1Piazza Pompeo Castelli Taxi Posteggio Taxi 2Piazzale Cimitero Maggiore Taxi Posteggio Taxi 3Piazzale Lugano, 15 Poste Italiane SpA Ufficio Postale 4Piazza Schiavone, 2 Poste Italiane SpA Ufficio Postale 5Via Francesco Barzaghi, 2 Protezione Civile Centro di accoglienza temporaneo "Piano Freddo" 6Via Bovisasca, 177 Comune di Milano Anagrafe Comune di Milano 7Via Cogne, 14 Poste Italiane SpA Ufficio Postale 8Via Maria Drago Taxi Posteggio Taxi 9Via Privata Giovanni Durando, 10 Politecnico di Milano Biblioteca Didattica di Architettura Bovisa

10Via Privata Giovanni Durando, 10 Politecnico di Milano Mediateca del CEDAT Campus Bovisa 11Via Privata Giovanni Durando, 10 Politecnico di Milano Moda contents/Tremelloni politeca 12Via Eritrea, 62 Istituto di ricerche Farmacologiche Mario Negri Gustavus A. Pfeiffer memorial Library 13Via Giovanni Battista Grassi, 74 AO Luigi sacco Biblioteca Polo Universitario Vialba 14Via Rosina Ferrario Grugnola, 3 Comune di Milano Biblioteca Rionale 15Via Michele Lessona, 43 Polizia Municipale Presidio della Polizia Municipale 16Via Antonio Mambretti, 36 Carabinieri Stazione dei Carabinieri - MUSOCCO 17Via Otranto (ang. via Carbonia) Comune di Milano Biblioteca Rionale 18Via Pantelleria, 9 Polizia di Stato Caserma della Polizia - MUSOCCO 19Via Privata Riccione, 8 Fondazione Mondadori Biblioteca della Fondazione 20Via Sebastiano Satta, 6 Polizia di Stato Caserma della Polizia - QUARTO OGGIARO 21Via Giuseppe Ungaretti, 12 Poste Italiane SpA Ufficio Postale 22Viale Certosa, 7 Polizia di Stato Caserma della Polizia - CERTOSA 23Via Sebastiano Satta, 19 Centro Formazione Greppi Formazione professionale 24Via Amoretti, 30 Centro Formazione Greppi Formazione professionale

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ORGANISMI RELIGIOSI

N.Indirizzo Denominazione Tipologia di servizio 1Cimitero Maggiore S.Maria della Pietà CENTRO PASTORALE 2Piazza Cimitero Maggiore, 5 SS.Crocefisso CENTRO PASTORALE 3Piazza Cimitero Maggiore, 5 Ordine Francescano Frati Minori Cappuccini CENTRO PASTORALE 4Piazza Villapizzone, 10 S.Martino in Villapizzone PARROCCHIA 5Piazza Villapizzone, 10 S.Martino in Villapizzone CENTRO PASTORALE 6Piazza Villapizzone, 10 CDA S. Martino CENTRO DI ASCOLTO DELLA DIOCESI DI MILANO7Piazza Villapizzone, 12 Cooperativa sociale S.Martino CENTRO PASTORALE 8Piazza Villapizzone, 12 Oratorio S.Martino CENTRO PASTORALE 9Piazza Villapizzone, 3 Compagnia di Gesù CENTRO PASTORALE

10Piazza Villapizzone, 3 Mondo di Comunità e Famiglia CENTRO PASTORALE 11Via Antonio Aldini, 33 SS.MM. Nazzario e Celso PARROCCHIA 12Via Antonio Aldini, 33 Congregazione della Sacra Famiglia di Bergamo CENTRO PASTORALE 13Via Antonio Aldini, 33 SS.MM. Nazzario e Celso CENTRO PASTORALE 14Via Antonio Aldini, 33 CDA SS. Nazaro e Celso CENTRO DI ASCOLTO DELLA DIOCESI DI MILANO15Via Antonio Aldini, 52 S.Maria Ausiliatrice CENTRO PASTORALE 16Via Ampezzo, 8 Suore di M.S. Consolatrice CENTRO PASTORALE 17Via Arsia, 3 CDA S. Agnese CENTRO DI ASCOLTO DELLA DIOCESI DI MILANO18Via Arsia, 3 S.Agnese V. e M. PARROCCHIA 19Via Arsia, 3 S.Agnese V. e M. CENTRO PASTORALE 20Via Arsia, 7 Congregazione Religiosa I.Figli di Maria Immacolata CENTRO PASTORALE 21Via Filippo Baldinucci, 88 Suore S.Marta CENTRO PASTORALE 22Via Cristina Belgioioso S.Giorgio CENTRO PASTORALE 23Via Angelo Brunetti, 3 Madonna del Buon Soccorso CENTRO PASTORALE 24Via Pier Francesco Cittadini, 5 Piccole Figlie del sacro C. di Gesù Cristo CENTRO PASTORALE 25Via Rosa Massara De Capitani, 8 Suore Immacolatine CENTRO PASTORALE 26Via Rosa Massara De Capitani, 8 Suore Immacolatine PENSIONATO FEMMINILE 27Via Federico De Roberto, 20 S.Lucia PARROCCHIA 28Via Federico De Roberto, 20 S.Lucia CENTRO PASTORALE 29Via Federico De Roberto, 20 CDA S. Lucia CENTRO DI ASCOLTO DELLA DIOCESI DI MILANO30Via Garegnano, 28 S.Maria Assunta in Certosa PARROCCHIA 31Via Garegnano, 28 Suore Francescane Missionarie CENTRO PASTORALE 32Via Arturo Graf, 29 Pentecoste PARROCCHIA 33Via Arturo Graf, 29 Pentecoste CENTRO PASTORALE 34Via Giovanni Battista Grassi, 74 Madonna della Salute CENTRO PASTORALE

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35Via Giovanni Battista Grassi, 75 Camilliani CENTRO PASTORALE 36Via Michele Lessona, 70 Serve di Gesù Cristo CENTRO PASTORALE 37Via Longarone, 1/E Ausiliatrici delle Anime del Purgatorio CENTRO PASTORALE 38Via Longarone, 5 Resurrezione di N.S. Gesù Cristo PARROCCHIA 39Via Longarone, 5 Resurrezione di N.S. Gesù Cristo CENTRO PASTORALE 40Via Longarone, 5 CDA Resurrezione CENTRO DI ASCOLTO DELLA DIOCESI DI MILANO41Via Privata Maria Melato, 8 Testimoni di Geova ENTE RELIGIOSO NON CATTOLICO 42Via Ercole Ricotti, 10 S.Maria del Buon Consiglio PARROCCHIA 43Via Ercole Ricotti, 10 S.Maria del Buon Consiglio CENTRO PASTORALE 44Via Varesina, 119 Ente Patrimoniale Chiesa di Gesù Cristo ENTE RELIGIOSO NON CATTOLICO 45Via Adele Zoagli, 1 Apostole del Sacro C. di G.C. CENTRO PASTORALE 46Viale Carlo Espinasse, 85 S.Marcellina e S.Giuseppe alla Certosa PARROCCHIA 47Viale Carlo Espinasse, 85 S.Marcellina e S.Giuseppe CENTRO PASTORALE 48Viale Carlo Espinasse, 93 Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni ENTE RELIGIOSO NON CATTOLICO

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SERVIZI SOCIALI

N. Indirizzo Ente Area di intervento Servizi 1Piazza Cimitero Maggiore, 5 Convento Padri Cappuccini ADULTI MENSA 2Piazza Villapizzone, 3 Associazione Comunità e Famiglia Comunità Villapizzone MINORI ALTRI SERVIZI DI COMUNITA' 3Via Antonio Aldini, 72 Comune di Milano SSdF MINORI TUTTI I SERVIZI DEL SSdF 4Via Antonio Aldini, 72 Comune di Milano Associazione Anziani Aldini ANZIANI CENTRI SOCIO RICREATIVI CULTURALI

5Via Antonio Aldini, 72 AO Sacco UO Psichiatria 56 ADULTI

ASSISTENZA SOCIALE ED ECONOMICA AI PAZIENTI PSICHIATRICI C/O CENTRO PSICO SOCIALE

6Via Carlo Amoretti, 19 Comune di Milano ADULTI MACCHINE SCAMBIA SIRINGHE 7Via Carlo Amoretti, 12 Comune Milano Progetto Regionale Custode Socio-sanitario GE.FI ANZIANI PORTINERIE SOCIALI 8Via Carlo Amoretti, 14 Cooperativa sociale ALATHA DISABILITA' COMUNITA' ALLOGGIO 9Via Arsia, 6 Comune Milano Progetto Regionale Custode Socio-sanitario ANZIANI PORTINERIE SOCIALI

10Via Arsia, 7 Istituto Geriatrico Milanese SpA Opera Pastor Angelicus ANZIANI RSA CON NUCLEI ALZHEIMER 11Via Francesco Barzaghi Comune di Milano ADULTI CAMPO SOSTA NOMADI 12Via Francesco Barzaghi, 2 Centro della Protezione Civile ADULTI ACCOGLIENZA TEMPORANEA "EMERGENZA FREDDO" 13Via Giovanni Maria Bicetti dè Buttinoni, 15 Coop. Soc. Simone de Beauvoir ANZIANI CENTRO DIURNO DEMENZE ALZHEIMER 14Via Bovisasca, 95 Comune di Milano ADULTI MACCHINE SCAMBIA SIRINGHE 15Via Cesare Brivio, 2/4 Comune Milano Centro Multiservizi Anziani ANZIANI TUTTI I SERVIZI PER ANZIANI 16Via Cesare Brivio, 4 Comune di Milano SSdF MINORI TUTTI I SERVIZI DEL SSdF 17Via Cesare Brivio, 4 Comune Milano Associazione Anziani Villa Taverna "Brivio" ANZIANI CENTRI SOCIO RICREATIVI CULTURALI 18Via Umberto Ceva, 4 Comune Milano Progetto Regionale Custode Socio-sanitario ALER ANZIANI PORTINERIE SOCIALI 19Via Cogne, 20 Comune Milano Progetto Regionale Custode Socio-sanitario ANZIANI PORTINERIE SOCIALI 20Via Arturo Graf, 29 Associazione educatori di Strada Quarto Oggiaro MINORI EDUCATORI DI STRADA 21Via Privata Anton Francesco Grazzini, 12 Associazione Cena dell'Amicizia ADULTI CENTRO DI ASCOLTO 22Via Privata Anton Francesco Grazzini, 12 Associazione Cena dell'Amicizia ADULTI CENTRO DIURNO PER EMARGINATI GRAVI 23Via Jacopino da Tradate, 13 Comune Milano Progetto Regionale Custode Socio-sanitario ALER ANZIANI PORTINERIE SOCIALI 24Via Michele Lessona 55 Comune Milano CMA - ASL Città di Milano ADI ANZIANI ASSISTENZA DOMICILIARE 25Via Michele Lessona, 55 Comune Milano Centro Multiservizi Anziani ANZIANI TUTTI I SERVIZI PER ANZIANI

26Via Alessandro Litta Modignani, 61 AO Niguarda Cà Granda UO Psichiatria 47 ADULTI

ASSISTENZA SOCIALE ED ECONOMICA AI PAZIENTI PSICHIATRICI C/O CENTRO PSICO SOCIALE

27Via Sabatino Lòpez, 4 Comune Milano Progetto Regionale Custode Socio-sanitario GE.FI ANZIANI PORTINERIE SOCIALI 28Via Antonio Mambretti, 21 Ass. Gruppo di Betania MINORI PRONTO INTERVENTO 29Via Paolo Mantegazza, 10 Consorzio SIR Onlus DISABILITA' SERVIZIO DI FORMAZIONE ALL'AUTONOMIA 30Via Paolo Mantegazza, 29 Comune di Milano AIAS DISABILITA' SPORTELLO VACANZE AIAS 31Via Paolo Mantegazza, 4/10 Consorzio SIR Onlus DISABILITA' CENTRO DIURNO PER DISABILI 32Via Rosa Massara de Capitani, 8 Suore Immacolatine ADULTI CASA FAMIGLIA PER LAVORATRICI 33Via Monte Altissimo, 6 Comunità ZEROTRE MINORI COMUNITA' ALLOGGIO 34Via Michele Pericle Negrotto Comune di Milano ADULTI CAMPO SOSTA NOMADI 35Via Cesare Pascarella, 20 Associazione Il Laboratorio Onlus DISABILITA' SERVIZIO DI FORMAZIONE ALL'AUTONOMIA 36Via Triboniano Comune di Milano ADULTI CAMPO SOSTA NOMADI

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37Via Adele Zoagli, 1 Associazione Aeval Abbeyfield Lombardia ANZIANI COMUNITA' ALLOGGIO SPERIMENTALE 38Viale Certosa, 192 Comune Milano Progetto Regionale Custode Socio-sanitario ALER ANZIANI PORTINERIE SOCIALI

SERVIZI SANITARI

N. Indirizzo Ente/Denominazione Tipologia

1Piazza Pompeo Castelli, 14 Castelli Farmacia 2Piazza Pompeo Castelli, 8 dr. Eliana Raspagni Studio Medico generico 3Piazza Schiavone, 2 dr. Davide Barzaghi Studio Medico generico 4Via Antonio Aldini, 108 Pimpinelli Farmacia 5Via Antonio Aldini, 108 dr. Anna Vaccarino Studio Medico Pediatrico 6Via Antonio Aldini, 59 dr. Olga Bove Studio Medico generico 7Via Antonio Aldini, 68 ASL Milano Città Consultorio Pediatrico 8Via Antonio Aldini, 72 ASL Milano Città C.P.B.A. - Centro di Psicologia Bambino e Adolescente 9Via Antonio Aldini, 72 ASL Milano Città Consultorio Familiare

10Via Antonio Aldini, 72 Comune di Milano Centro Socio Ricreativo Culturale 11Via Antonio Aldini, 72 AO L. Sacco UONPIA 12Via Carlo Amoretti, 8 dr. Stagnati Giovanni Studio Medico generico 13Via Arsia, 7 dr. Cesare Carlini Studio Medico specialistico 14Via Arsia, 7 dr. Aldo Scordamaglia Studio Medico generico 15Via Bovisasca, 173 o Cicogna Mozzoni Carlo, 3 Bovisasca Farmacia 16Via Bovisasca, 199 dr. Mario Alberto Bergo Studio Medico generico 17Via Cesare Brivio, 2 ASL Milano Città C.P.B.A. - Centro di Psicologia Bambino e Adolescente 18Via Cesare Brivio, 2 ASL Milano Città Consultorio familiare 19Via Cesare Brivio, 4 ASL Milano Città Consultorio geriatrico 20Via Cesare Brivio, 4 ASL Milano Città Punto ADI e Anziani 21Via Giuseppe Candiani, 10 dr. Davide Lauri Studio Medico generico 22Via Giuseppe Candiani, 122 Cavalli Farmacia 23Via Casarsa, 13 Casarsa Farmacia 24Via Privata Cerkovo, 25 ASL Milano Città Consultorio Pediatrico 25Via 5 Maggio, 1 Vercesi Farmacia 26Via 5 Maggio, 17 dr. Maria Grazia Volontieri Studio Medico generico 27Via Cogne, 16 dr. Sara Boetti Studio dentistico 28Via Cogne, 9 Vialba Farmacia 29Via Cogne, 24 ASL Milano Città Consultorio Pediatrico 30Via Console Marcello, 18/1 dr. Rocco Colasurdo Studio Medico generico 31Via Console Marcello, 35 dr. Santori Luigi Studio Medico generico 32Via Console Marcello, 8 dr. Petrignani Giovina Maria Studio dentistico 33Via Demetrio Cretese, 15 ASL Milano Città Consultorio Pediatrico 34Via Filippo De Pisis, 49 dr. Peca Maria Grazia Studio Medico generico 35Via Privata Tina Di Lorenzo, 3 dr. Carlo Maria Duprè Studio Medico Pediatrico

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36Via Privata Tina Di Lorenzo, 5 Sorriso Srl Studio dentistico 37Via Garegnano,39 Agm Dental Sas Studio dentistico 38Via Privata Antonio Gazzoletti, 3 Lessona Farmacia 39Via Privata Antonio Gazzoletti, 3 dr. Cristina Zanoncelli Studio Medico specialistico 40Via Giovanni Battista Grassi, 74 Azienda Ospedaliera Luigi Sacco A.O. Polo Universitario Ospedale Luigi Sacco 41Via Michele Lessona, 2 Cedam Quarto Ente sanitario privato 42Via Michele Lessona, 2 Lanzani Farmacia 43Via Michele Lessona, 2 dr. Walter Rossetti Studio Medico specialistico 44Via Michele Lessona, 2 dr. Francesco Sacchi Studio Medico generico 45Via Michele Lessona, 3 dr. Paolo Accornero Studio Medico specialistico 46Via Michele Lessona, 55 ASL Milano Città Punto ADI e Anziani 47Via Michele Lessona, 55 A.F.M. Comunale n.29 Farmacia 48Via Alessandro Litta Modigliani, 61 ASL Milano Città Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza 49Via Alessandro Litta Modigliani, 61 ASL Milano Città UO di psichiatria n.47 50Via Alessandro Litta Modigliani, 61 ASL Milano Città CPS 51Via Alessandro Litta Modignani, 5 Esculapio Farmacia 52Via Sabatino Lopez, 10 ASL Milano Città Ambulatorio Medico 53Via Sabatino Lopez, 3 La Piazzetta S.n.c. Farmacia 54Via Antonio Mambretti, 40 Galates SRL Ente sanitario privato 55Via Paolo Mantegazza, 25/2 dr. Antonio Griffa Studio Medico specialistico 56Via Rosa Massara De Capitani, 14 dr. Ruglini Velella Studio Medico specialistico 57Via Rosa Massara De Capitani, 14 dr. Mario Stramba Badiale Studio Medico specialistico 58Via Pier Francesco Mola, 1 M Dental Srl Studio dentistico 59Via Cesare Pascarella, 22 A.F.M. Comunale n.26 Farmacia 60Via Cesare Pascarella, 22 dr. Riccardo Vanerio Studio Medico specialistico 61Via Punta Licosa, 6 dr. Dario Garzia Studio Medico generico 62Via Sapri, 10 dr. Italo Siena Studio Medico generico 63Via Sebastiano Satta, 16 dr. Carlo de Cesare Studio Medico generico 64Via Giuseppe Ungaretti, 10 dr. Alessandra Binda Studio Medico specialistico 65Via Giuseppe Ungaretti, 12 Oggiaro Farmacia 66Via Valtrompia, 11 Studio 2G Studio dentistico 67Via Varesina, 57 dr. Michela Currao Studio Medico generico 68Via Villapizzone, 4 FB Dental Studio dentistico 69Viale Certosa, 121 Merlini S.n.c. Farmacia 70Viale Certosa, 121 dr. Alfredo Nava Studio Medico generico 71Viale Certosa, 121 dr. Giuliano Milesi Studio Medico generico 72Viale Certosa, 140 dr. Giovanni Filocamo Studio Medico generico 73Viale Certosa, 278 dr. Antonio Demurtas Studio Medico specialistico 74Viale Certosa, 282 Laghi Farmacia 75Viale Certosa, 299 dr. Amilcare Dellacquila Studio Medico generico 76Viale Carlo Espinasse, 30 Amoretti Farmacia 77Viale Carlo Espinasse, 30 dr. Carmela Zotta Studio Medico generico

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78Viale Carlo Espinasse, 63 Dental design Studio dentistico 79Viale Carlo Espinasse, 74 dr. Leonardo Fratino Studio Medico generico

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ASILI NIDO

Direzione didattica Nome

50 Nido d'Infanzia Via Aldini, 68 49 Nido d'Infanzia Via Brivio, 8 (nido in ristrutturazione; provvisor. in via Cretese 15 bis) 50 Nido d'Infanzia Via Cogne, 24 49 Nido d'Infanzia Via Cretese, 15 53 Nido d'Infanzia Via Lopez, 10 49 Nido d'Infanzia Via Varesina, 6 50 Nido d'Infanzia Via Capuana, 8 52 Nido d'Infanzia Via Cerkovo, 25 50 Nido d’Infanzia Via Litta Modignani, 89 50 Tempo per le Famiglie Via Arsia, 2

ASILI NIDO IN CONVENZIONE

N. Nome INDIRIZZO 1 Tutti giù per terra Via Polidoro da Caravaggio, 25 2 Il Giardino dei Bambini Via G.B. Grassi, 74 3 Giramondo Via G. Candiani, 139

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