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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO ......2017/11/28  · Methorios Capital S.p.A.. Ciò...

Date post: 25-Jan-2021
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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA Sedicesima (ex Terza) Sezione Civile in funzione di Sezione specializzata in materia d’impresa così composto: Dott. Stefano Cardinali presidente Dott. Umberto Gentili giudice Dott.ssa Clelia Buonocore giudice rel. riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado, iscritta al n. 27394 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2016 e vertente TRA CAROLI EMANUELA, nata a Roma il 22.04.1972 (C.F. CRL MNL 72D62 H501W), elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Monte delle Gioie n. 13, presso lo studio degli Avv.ti Carolina Valensise ed Eleonora Finazzi Agrò, che la rappresentano e difendono per mandato in calce all’atto di citazione. Attrice E CHIAIS MARIA CRISTINA, nata ad Alghero (SS) il 25.05.1941 (C.F. CHS MCR 41E65 A192G), elettivamente domiciliata in Roma, al Viale Giuseppe Mazzini n. 88, presso lo studio dell’Avv. Massimiliano Sciortino, che la rappresenta e difende per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta. NONCHE' Firmato Da: CLELIA BUONOCORE Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 4bebea9d910d66b690d25cfbec03c71e - Firmato Da: CARDINALI STEFANO Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 7d6fdd94a7d27e381db2b4fad060d44c Sentenza n. 22270/2017 pubbl. il 28/11/2017 RG n. 27394/2016 Repert. n. 23650/2017 del 28/11/2017 http://bit.ly/2Naycaw
Transcript
  • REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    IL TRIBUNALE DI ROMA

    Sedicesima (ex Terza) Sezione Civile

    in funzione di

    Sezione specializzata in materia d’impresa

    così composto:

    Dott. Stefano Cardinali presidente

    Dott. Umberto Gentili giudice

    Dott.ssa Clelia Buonocore giudice rel.

    riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    nella causa civile in primo grado, iscritta al n. 27394 del ruolo generale per gli

    affari contenziosi dell’anno 2016 e vertente

    TRA

    CAROLI EMANUELA, nata a Roma il 22.04.1972 (C.F. CRL MNL 72D62

    H501W), elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Monte delle Gioie n. 13,

    presso lo studio degli Avv.ti Carolina Valensise ed Eleonora Finazzi Agrò, che la

    rappresentano e difendono per mandato in calce all’atto di citazione.

    Attrice

    E

    CHIAIS MARIA CRISTINA, nata ad Alghero (SS) il 25.05.1941 (C.F. CHS

    MCR 41E65 A192G), elettivamente domiciliata in Roma, al Viale Giuseppe

    Mazzini n. 88, presso lo studio dell’Avv. Massimiliano Sciortino, che la

    rappresenta e difende per mandato in calce alla comparsa di costituzione e

    risposta.

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  • PALUMBO FABIO, nato a Roma il 10.11.1965 (C.F. PLM FBA 65S10

    H501N), e MOCCI ERNESTO, nato a Roma il 15.05.1967 (C.F. MCC RST

    67E15 H501I), entrambi elettivamente domiciliati in Roma, al Viale delle Milizie

    n. 38, presso lo studio dell’Avv. Gianluca Panetti, che li rappresenta e difende per

    mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta.

    Convenuti

    CONCLUSIONI. All’udienza del 23 maggio 2017 i Procuratori delle parti

    rassegnavano le seguenti conclusioni:

    per Caroli Emanuela: “Piaccia al Tribunale, contrariis rejectis, ove lo ritenga

    necessario, dichiarare in via incidentale la simulazione relativa dell’atto di

    permuta del 28.03.2012 ed, in ogni caso, accertare la sussistenza dei presupposti

    di cui all’art. 2901 c.c.; per l’effetto, dichiarare l’inefficacia, nei confronti di

    Caroli Emanuela, del contratto di permuta di partecipazioni sociali per atto del

    Notaio Paolo Fenoaltea del 28.03.2012 (rep. 22349), con il quale Chiais Maria

    Cristina ha trasferito a Palumbo Fabio e Mocci Ernesto una porzione – pari, nel

    complesso, al 52% dell’intero capitale sociale - della quota di partecipazione

    detenuta nella Ottantuno Prima s.r.l. Con vittoria di spese di lite”;

    per Chiais Maria Cristina: “Voglia il Tribunale adito, disattesa ogni contraria

    eccezione e deduzione, respingere la domanda formulata dall’attrice, con ogni

    conseguente ed ulteriore statuizione”,

    per Palumbo Fabio e Mocci Ernesto: “Voglia il Tribunale, disattesa ogni

    contraria istanza, eccezione e deduzione, rigettare integralmente la domanda

    proposta da Caroli Emanuela in quanto infondata sia in fatto che in diritto, per le

    ragioni tutte esposte in atti. Con vittoria di spese di lite”.

    RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

    DELLA DECISIONE

    Con atto di citazione ritualmente notificato Caroli Emanuela deduceva che

    il Tribunale di Roma, con Sentenza n. 22075/2010, depositata il

    09.11.2010, aveva condannato Chiais Maria Cristina, Chiais Claudio

    nonché Calandra Stefano e Calandra Carlo, pro quota, al pagamento in suo

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  • favore della complessiva somma di euro 726.250,43, oltre rivalutazione

    monetaria in base agli indici ISTAT ed interessi legali, da calcolare anno

    per anno sulle somme via via rivalutate, con decorrenza dal 30.09.1980,

    nonché dell’ulteriore somma di euro 6.886,09, oltre interessi legali dal

    27.03.1981, ed infine delle spese processuali;

    in forza del cennato titolo giudiziale essa vantava un credito che,

    per la sola quota parte di 1/3 destinata a gravare su Chiais Maria Cristina,

    ammontava nel complesso ad oltre euro 2.000.000,00;

    Chiais Maria Cristina non aveva inteso onorare spontaneamente il

    suo debito onde, con atto di precetto notificato il 19 marzo 2012, le aveva

    intimato il pagamento della complessiva somma di euro 2.178.215,68

    (comprensiva di accessori e spese);

    essendo rimasta senza esito anche l’intimazione di pagamento di

    cui al precetto, si era vista costretta ad agire in executivis e, con atto

    notificato il 13 aprile 2012, aveva pignorato la quota di partecipazione al

    capitale della Ottantuno Prima s.r.l. nella titolarità di Chiais Maria Cristina;

    in tale frangente aveva avuto notizia del fatto che, nelle more la

    debitrice esecutata, già titolare di una quota rappresentativa del 99% del

    capitale della Ottantuno Prima s.r.l., si era spogliata di una porzione (pari al

    52% dell’intero capitale) di detta partecipazione sociale;

    segnatamente, Chiais Maria Cristina, con contratto di permuta del

    28 marzo 2012, aveva trasferito la quota rappresentativa del 52% del

    capitale della Ottantuno Prima s.r.l. ai suoi due generi Palumbo Fabio e

    Mocci Ernesto (rispettivamente compagno e coniuge delle figlie della

    debitrice convenuta);

    il menzionato contratto del 28 marzo 2012 prevedeva la permuta tra

    la quota rappresentativa del 52% del capitale della Ottantuno Prima s.r.l. e

    nn. 2.297.980 azioni della Methorios Capital S.p.A.;

    in realtà, mentre il trasferimento della titolarità della quota di

    partecipazione al capitale della Ottantuno Prima s.r.l. già di pertinenza di

    Chiais Maria Cristina era stato debitamente annotato nel Registro delle

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  • Imprese, nulla risultava in merito al trasferimento delle azioni della

    Methorios Capital S.p.A..

    Ciò premesso in fatto, Caroli Emanuela, illustrate le ragioni a fondamento della

    domanda svolta ed evidenziata la sussistenza di tutti i presupposti per l’utile

    accesso al rimedio di cui all’art. 2901 c.c., rassegnava le conclusioni riportate in

    epigrafe.

    Instaurato il contraddittorio, si costituiva Chiais Maria Cristina la quale

    eccepiva l’infondatezza delle deduzioni e domande di parte attrice, evidenziando,

    tra l’altro, che, all’epoca della conclusione del contratto in contestazione

    l’operazione di permuta era tutt’altro che lesiva delle ragioni dei suoi creditori

    ché, invece, le azioni della Methorios Capital S.p.A. avevano un consistente

    valore di mercato e, comunque, costituivano beni più agevolmente

    “monetizzabili” anche in sede di esecuzione forzata, rispetto alla quota di

    partecipazione al capitale della Ottantuno Prima s.r.l.; deduceva, poi, di essere

    ancora titolare di un patrimonio idoneo al soddisfacimento delle ragioni di credito

    vantate da Caroli Emanuela; precisava che proprio il complesso delle circostanze

    di cui sopra valeva ad escludere la sussistenza, almeno in capo ad essa convenuta,

    del requisito soggettivo richiesto per l’utile accesso al rimedio di cui all’art. 2901

    c.c.; rassegnava, quindi, le conclusioni riportate in premessa.

    Con un’unica comparsa si costituivano anche Palumbo Fabio e Mocci Ernesto i

    quali, del pari, contestavano le deduzioni e doglianze di parte attrice, allegando,

    tra l’altro, che alla data della stipula del contratto di permuta dedotto in lite la

    Methorios Capital S.p.A. vantava un patrimonio netto di svariati milioni di euro e

    costituiva una delle più importanti società di consulenza per imprese, per modo

    che le sue azioni avevano un consistente valore, non essendo all’epoca neppure

    lontanamente prevedibile la situazione di crisi e di difficoltà economica nella

    quale la predetta società era venuta a trovarsi solo a distanza di anni;

    aggiungevano che l’operazione di permuta in contestazione era stata posta in

    essere solo in quanto rispondente alla loro esigenza di diversificazione del

    patrimonio ed alla specifica necessità di Chiais Maria Cristina di “accedere ad

    una rapida liquidità attraverso la vendita nel mercato azionario del titolo”.

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  • Palumbo Fabio e Mocci Ernesto deducevano, ancora, che “per problematiche

    interne alla società” si erano trovati nell’impossibilità di trasferire le azioni

    oggetto di permuta a Chiais Maria Cristina la quale, tuttavia, li aveva diffidati

    all’adempimento; rassegnavano, dunque, le conclusioni richiamate in epigrafe.

    Acquisita documentazione conferente ed omessa ogni ulteriore attività

    istruttoria, all’udienza del 23 maggio 2017 la causa veniva trattenuta in decisione,

    con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle

    comparse conclusionali e delle memorie di replica.

    *****************************

    In apertura di motivazione va precisato che la presente controversia, avendo ad

    oggetto azione revocatoria di un contratto di permuta di partecipazioni in società

    di capitali, rientra nella competenza dell’intestata Sezione specializzata in materia

    d’impresa.

    Invero – come certo ben noto - l’art. 2 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1,

    convertito con modificazioni nella L. 24 marzo 2012, n. 27, nel prevedere che le

    neoistituite sezioni specializzate in materia d’impresa sono “competenti,

    relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI

    del codice civile […] per le cause e i procedimenti b) relativi al trasferimento

    delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le

    partecipazioni sociali o i diritti inerenti”, al comma 3 così testualmente recita:

    “Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che

    presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2”.

    Ciò premesso, ritiene il Tribunale che, alla luce delle complessive emergenze

    in atti, debba pervenirsi all’accoglimento della domanda proposta da Caroli

    Emanuela e volta ad ottenere la declaratoria della inefficacia relativa, ex art. 2901

    c.c., del contratto di permuta del 28 marzo 2012 con il quale Chiais Maria Cristina

    ha trasferito, a Palumbo Fabio e Mocci Ernesto, quote di partecipazione nella

    Ottantuno Prima s.r.l. rappresentative, nel complesso, del 52% del capitale

    sociale.

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  • Considerazioni generali in ordine al rimedio di cui all’art. 2901 c.c..

    Prima di procedere all’esame della fattispecie concreta, par d’uopo premettere

    brevi cenni in merito all’azione revocatoria ordinaria che, come noto, ha carattere

    personale e giova solo al creditore che la esercita.

    Orbene, il rimedio contemplato dall’art. 2901 c.c. ha la funzione di ricostituire

    la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, quante

    volte la consistenza di tale patrimonio, per effetto di uno o più atti di disposizione

    posti in essere dal debitore medesimo, si sia ridotta in maniera tale da pregiudicare

    le concrete possibilità di agevole soddisfacimento del credito. Pertanto, proprio in

    ragione della funzione “meramente conservativa” dell’azione revocatoria, l’utile

    esperimento del rimedio di cui all’art. 2901 c.c. non travolge né rende invalido

    l’atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma, semplicemente, determina

    l’inefficacia dello stesso in favore del solo creditore che abbia agito in

    revocatoria, sì da consentire a quest’Ultimo di soddisfare le proprie ragioni di

    credito sottoponendo ad esecuzione forzata il bene oggetto dell’atto revocato.

    Attesa la funzione rivestita dall’azione revocatoria, condizione per la relativa

    proponibilità è che colui che esperisce il rimedio di cui all’art. 2901 c.c. sia

    titolare di ragioni di credito nei confronti dell’autore dell’atto di disposizione.

    E, con riferimento a tale requisito, non par superfluo rammentare che dal dato

    letterale dell’art. 2901 c.c. – e, segnatamente, dalla previsione secondo cui il

    creditore può agire in revocatoria “anche se il credito è soggetto a condizione o a

    termine" – nonché dal sistema complessivo approntato dal Codice civile vigente a

    garanzia dell’effettività delle ragioni di credito, la consolidata giurisprudenza di

    legittimità e di merito ha tratto argomenti per sostenere che l’azione revocatoria

    possa essere esperita anche per la tutela preventiva e cautelare di un credito che

    non sia già certo, liquido, esigibile ed accertato giudizialmente.

    In particolare è stato evidenziato – con argomentazioni che questo Tribunale

    ritiene di condividere e fare proprie – che il rimedio di cui all’art. 2901 c.c. ben

    può essere esperito per garantire il successivo, utile soddisfacimento del cd.

    "credito litigioso", ovvero delle ragioni di credito contestate ed il cui accertamento

    sia ancora sub iudice; e ciò tanto nel caso in cui la pretesa, pur controversa, abbia

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  • fonte negoziale, quanto nell’ipotesi in cui il credito tragga origine non da un

    negozio, ma da un fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, dedotto in

    giudizio a sostegno di una domanda risarcitoria (in tal senso, ex plurimis, Cass.

    Civ., SS. UU., 18 maggio 2004, n. 9440; conf., Cass. Civ., 2 aprile 2004, n. 6511;

    Cass. Civ., 14 novembre 2001, n. 14166; Cass. Civ., 24 febbraio 2000, n. 2164;

    Cass. Civ., 18 febbraio 1998, n. 1712; Cass. Civ., 2 settembre 1996, n. 8013) .

    Invero, il riferimento al credito condizionato o a termine, trasfuso nel disposto

    dell’art. 2901 c.c., consente di ritenere che il legislatore non abbia inteso tutelare

    soltanto la posizione di chi sia in atto titolare di un credito esigibile, la cui

    fattispecie costitutiva si sia già compiutamente perfezionata, ma si sia ispirato ad

    una ratio più ampia, rispondente alla fondamentale esigenza di offrire tutela al

    soggetto rispetto al quale si sia realizzata una situazione di fatto in presenza della

    quale la concreta ed effettiva rilevanza, come fonte di garanzia patrimoniale, del

    patrimonio di altro soggetto, dipenda, ormai, soltanto dal sopravvenire di ulteriori

    vicende, estranee alla sua sfera di controllo e di ingerenza.

    D’altro canto, la diversa disciplina che il Codice civile vigente ha assegnato

    all'azione revocatoria con l'art. 2901 c.c., rispetto alla formulazione dell'art. 1235

    del Codice del 1865, ben si inquadra nell'indirizzo normativo del legislatore del

    1942, che ha voluto rafforzare la posizione del creditore, intervenendo sulla

    responsabilità per inadempimento (art. 1218 c.c.), sulla solidarietà passiva

    presunta per legge (art. 1294 c.c.) ed, infine, proprio sulla revocatoria ordinaria,

    modificando la precedente disciplina in due punti fondamentali, ritenendo, da un

    lato, condizione necessaria e sufficiente, per l'esercizio dell'azione revocatoria, la

    mera scientia fraudis, e non più la prava intenzione in frode del creditore, e

    legittimando, da altro lato, anche i creditori meramente eventuali e potenziali,

    come quelli titolari di un credito soggetto a condizione, che egualmente hanno

    interesse a vedere non intaccata la garanzia patrimoniale generica di cui all’art.

    2740 c.c..

    Peraltro, la nozione lata di credito accolta dall’art. 2901 c.c. - comprensiva

    della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di

    certezza, liquidità ed esigibilità - è coerente con la pacifica funzione dell'azione

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    44cSentenza n. 22270/2017 pubbl. il 28/11/2017

    RG n. 27394/2016Repert. n. 23650/2017 del 28/11/2017

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  • revocatoria, che non ha scopi restauratori, né nei confronti del debitore né in

    favore del creditore istante, ma tende unicamente a restituire la garanzia generica

    assicurata a tutti i creditori, e quindi anche a quelli meramente eventuali, ivi

    compresi i titolari di crediti la cui sussistenza o consistenza sia ancora al vaglio

    del giudice.

    Resta naturalmente fermo che le ragioni di credito tutelabili con il rimedio di

    cui all’art. 2901 c.c. sono solo quelle che riposano su un titolo che, seppur

    successivo all’atto di disposizione che si vuole revocato, sia antecedente

    all’esercizio dell’azione revocatoria.

    Ulteriore presupposto per l’utile esercizio dell’azione revocatoria ordinaria è il

    cd. eventus damni, il quale va apprezzato con riferimento al momento in cui è

    stato posto in essere l’atto di disposizione, e può ritenersi sussistente non solo

    allorquando il suddetto atto di disposizione abbia determinato l’assoluta

    insolvenza del debitore ma anche quando, per effetto dello stesso, si sia prodotta

    una maggiore difficoltà o incertezza nella esazione del credito.

    Segnatamente la Suprema Corte, con specifico riferimento all’eventus damni,

    ha più volte evidenziato che, anche nel caso in cui sia ancora pendente la

    controversia sul credito alla cui garanzia è preordinato l’esperimento del rimedio

    di cui all’art. 2901, l’effetto pregiudizievole per il potenziale creditore non esige

    l’accertamento dello stato di insolvenza del debitore, essendo sufficiente, al

    contrario, che l’atto di disposizione compiuto dal debitore medesimo,

    depauperando in modo significativo il suo patrimonio, produca pericolo o

    incertezza per la futura realizzazione del diritto del creditore, in termini di

    possibile infruttuosità dell’eventuale azione esecutiva o anche, semplicemente, di

    maggiore difficoltà ed incertezza nella realizzazione del credito (in tal senso, ex

    plurimis, Cass. Civ., Sez. III, 17 ottobre 2001, n. 12678; conf. Cass. Civ., Sez. III,

    5 giugno 2000, n. 7452).

    Peraltro, sul pacifico assunto secondo cui, ai fini della revocabilità di un atto di

    disposizione compiuto dal debitore, non è necessario che da esso sia derivata la

    totale compromissione della consistenza del patrimonio dell’obbligato ma è

    sufficiente che, per effetto di un tale atto, il soddisfacimento del credito sia

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  • esposto al pericolo di maggiore incertezza o difficoltà, la giurisprudenza di

    legittimità ha evidenziato che l’onere di provare l’insussistenza di un tale pericolo

    – in ragione dell’esistenza di ampie residualità patrimoniali – grava sul soggetto

    convenuto con l’azione revocatoria, che eccepisca la mancanza, per questo

    motivo, dell’eventus damni (Cass. Civ., Sent. n. 15527/2004; conf. Cass. Civ.,

    Sent. n. 11471/2003).

    Va rammentato, infine, che l’utile esercizio dell’azione revocatoria è

    condizionato all’accertamento del requisito soggettivo, la cui prova, come noto,

    concernendo un presupposto del rimedio di cui all’art. 2901 c.c., grava sull’attore

    in revocatoria ma può anche essere fornita attraverso presunzioni.

    Orbene, dal dettato letterale dell’art. 2901 c.c. discende, all’evidenza, che il

    cennato requisito soggettivo è destinato ad assumere consistenza diversa a

    seconda che si versi in ipotesi di atto di disposizione compiuto successivamente

    alla nascita del credito ovvero si sia in presenza di domanda di revocatoria

    concernente un atto posto in essere anteriormente al sorgere del credito. Ed,

    invero, nel primo caso, ai fini della declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c., è

    necessario e sufficiente, sotto il profilo soggettivo, l’accertamento della ricorrenza

    della cd. scientia damni, ovvero della consapevolezza – in termini di effettiva

    conoscenza o, anche, di agevole conoscibilità – di arrecare, con l’atto di

    disposizione in discussione, un pregiudizio agli interessi del creditore, senza che

    assuma rilievo, invece, la specifica intenzione del debitore di ledere la garanzia

    patrimoniale generica del creditore.

    Per converso, nell’ipotesi di azione revocatoria avente ad oggetto un negozio

    dispositivo anteriore al sorgere del credito, l’elemento soggettivo, la cui ricorrenza

    è indefettibilmente richiesta, si palesa composito, occorrendo accertare, da un

    canto, che l’autore dell’atto, alla data della sua stipulazione, era intenzionato a

    contrarre debiti ovvero era consapevole che in futuro sarebbe sorta una sua

    obbligazione, e, dall’altro canto, che tale soggetto abbia compiuto l’atto

    dispositivo proprio in vista della futura assunzione di obbligazioni, ed allo scopo

    di precludere o rendere più difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo

    diritto (cd. consilium fraudis).

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  • Posta l’indicata diversa intensità dell’elemento soggettivo richiesto dall’art.

    2901 c.c., a seconda che l’atto da revocare sia successivo o anteriore al sorgere del

    credito da tutelare, appare fondamentale osservare che il discrimen tra l’una e

    l’altra ipotesi non è dato dall’accertamento giudiziale delle ragioni creditorie bensì

    dal momento in cui viene ad esistenza la fonte costitutiva del credito e, quindi, il

    negozio ovvero l’atto o l’illecito, contrattuale o extracontrattuale, generatore della

    pretesa.

    In tal senso si è espressa la giurisprudenza, anche risalente, evidenziando che

    l’anteriorità o meno del credito rispetto all’atto impugnato va riguardata sotto il

    profilo del credito nella sua essenza e non pure nel suo accertamento giudiziale,

    sicché essa può ritenersi sussistente anche se e quando l’accertamento del credito

    avvenga con sentenza posteriore all’atto impugnato. (Cass. Civ., 25 novembre

    1985, n. 5824; Cass. Civ., 8 maggio 1984, n. 2801; Corte Appello Milano, 27

    ottobre 1967).

    Resta, poi, fermo che, diversamente da quanto previsto per gli atti a titolo

    gratuito, la revocatoria degli atti a titolo oneroso postula l’accertamento

    dell’elemento soggettivo anche a carico del terzo beneficiario; requisito

    soggettivo che può dirsi integrato dalla mera conoscenza del pregiudizio arrecato

    alle ragioni del creditore (cd. scientia damni) ove l’atto di disposizione sia

    successivo alla nascita del credito, richiedendosi, invece, la partecipazione alla

    dolosa preordinazione dell’alienante e, quindi, la consapevolezza e condivisione

    della specifica intenzione di pregiudicare la garanzia del futuro credito (cd.

    partecipatio fraudis) nel caso di atto di disposizione posto in essere prima del

    sorgere del credito.

    Dalle considerazioni di cui innanzi discende, dunque, che, ai fini dell’utile

    esercizio dell’azione revocatoria, l’istante deve provare la titolarità del credito per

    la cui tutela è esperito il rimedio di cui all’art. 2901 c.c., nonché il cd. eventus

    damni, da intendersi come lesione della garanzia patrimoniale generica per effetto

    dell’atto di disposizione posto in essere dal debitore, ed, infine, il requisito

    soggettivo (nei termini innanzi specificati).

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  • E’, invece, sul convenuto in revocatoria che grava l’onere di provare la

    persistente titolarità di un patrimonio ben atto a soddisfare le ragioni di credito

    poste a base della domanda ex art. 2901 c.c..

    Esame della fattispecie concreta.

    Fatte tali considerazioni di ordine generale e passando all’esame della

    fattispecie all’attenzione, va osservato che – per quanto inferibile dalla

    documentazione in atti e, peraltro, sostanzialmente incontestato - Caroli

    Emanuela vanta indubbie ragioni di credito nei confronti di Chiais Maria Cristina;

    ragioni di credito che trovano titolo nell’accertato diritto dell’odierna attrice,

    quale figlia naturale del defunto Chiais Arturo, di ottenere la quota parte di sua

    spettanza sul valore dei beni già compresi nell’asse ereditario del de cuius.

    Né ad escludere la legittimazione dell’odierna attrice all’esercizio dell’azione

    ex art. 2901 c.c. può rilevare la circostanza che il credito dalla Stessa prospettato

    sia ancora sub iudice, e che, medio tempore, la Sentenza del Tribunale di Roma n.

    22075/2010 – che aveva quantificato in oltre euro 2.000.000,00, accessori inclusi,

    l’importo dovuto da Chiais Maria Cristina a Caroli Emanuela – sia stata in parte

    riformata dalla Corte d’Appello di Roma, con Sentenza n. 5343/2017 dell’8

    agosto 2017 (non ancora definitiva).

    Invero, come sopra accennato, la circostanza che l'azione revocatoria non abbia

    scopi restauratori, né nei confronti del debitore né in favore del creditore istante,

    ma tenda unicamente a restituire la garanzia generica assicurata a tutti i creditori,

    e quindi anche a quelli meramente eventuali, comporta che il rimedio di cui

    all’art. 2901 c.c. possa essere utilmente esperito anche per la tutela di crediti

    litigiosi o contestati, o, addirittura di mere aspettative di credito prive dei requisiti

    di certezza, liquidità ed esigibilità.

    Va, poi, rimarcato – anche ai fini dell’apprezzamento del requisito soggettivo –

    che il credito, per la cui tutela Caroli Emanuela ha esperito l’azione revocatoria,

    riposa su un titolo certamente di gran lunga antecedente all’atto di disposizione in

    contestazione (come inferibile dalla Sentenza del Tribunale di Roma n.

    22075/2010 e dalla Sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 5343/2017); e ciò

    in considerazione del fatto che, al fine di stabilire l’anteriorità del credito rispetto

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  • all’atto di disposizione da revocare, rileva non la data dell’accertamento giudiziale

    definitivo bensì il momento in cui viene ad esistenza la fonte costitutiva del

    credito e, quindi, il negozio ovvero l’atto o fatto generatore della pretesa.

    Ritiene, poi, il Tribunale che, nella fattispecie concreta, sia dato apprezzare

    anche il requisito dell’eventus damni richiesto ai fini dell’utile accesso al rimedio

    previsto dall’art. 2901 c.c..

    In proposito va, in primo luogo, rimarcato che la sussistenza del requisito in

    parola va valutata con riferimento al momento in cui è stato posto in essere l’atto

    di disposizione oggetto dell’azione revocatoria.

    Deve, poi, ribadirsi che, anche nel caso in cui sia ancora pendente la

    controversia sul credito alla cui garanzia è preordinato l’esperimento del rimedio

    di cui all’art. 2901, l’effetto pregiudizievole per il potenziale creditore non esige

    l’accertamento dello stato di insolvenza del debitore, essendo sufficiente, al

    contrario, che l’atto di disposizione compiuto dal debitore medesimo,

    depauperando in modo significativo il suo patrimonio, produca pericolo o

    incertezza per la futura realizzazione del diritto del creditore, in termini di

    possibile infruttuosità dell’eventuale azione esecutiva o anche, semplicemente, di

    maggiore difficoltà ed incertezza nella realizzazione del credito.

    Pertanto, anche ai fini dell’apprezzamento dell’eventus damni, è irrilevante la

    circostanza che la Corte d’Appello di Roma, con la citata Sentenza n. 5343/2017

    dell’8 agosto 2017, abbia modificato in parte il decisum del Tribunale, riducendo

    l’ammontare del dovuto in favore di Caroli Emanuela; e ciò tanto più ove si

    consideri che non risulta il passaggio in giudicato della recentissima pronuncia

    resa in appello.

    Precisato quanto sopra, ritiene il Tribunale che l’atto di disposizione in

    contestazione, posto in essere da Chiais Maria Cristina il 28 marzo 2012, risultava

    indubbiamente lesivo delle ragioni di credito di Caroli Emanuela.

    Ed alla conclusione di cui sopra conduce innanzitutto la circostanza che

    - con il contratto di permuta in contestazione Chiais Maria Cristina si

    è spogliata di una partecipazione - di maggioranza - di valore considerevole

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  • (cfr. C.T.U. redatta nell’ambito della procedura esecutiva n. 20642/2012) e

    soprattutto, sostanzialmente stabile;

    - invero, la Ottantuno Prima s.r.l. svolgeva e svolge, essenzialmente,

    l’attività di gestione, mediante locazione a terzi, di un prestigioso immobile

    di proprietà, sito in Roma, alla Piazza di Spagna;

    - in permuta della cennata partecipazione è stato previsto il

    trasferimento, in favore di Chiais Maria Cristina, di nn. 2.297.980 azioni

    della Methorios Capital S.p.A., il cui valore risulta indicato in complessivi

    euro 1.820.000,00, con un valore per ciascuna azione pari a circa euro

    0,792;

    - dalla documentazione prodotta dall’attrice è inferibile che le azioni

    della Methorios Capital S.p.A., anche prima del recente tracollo, avevano

    quotazioni oltremodo oscillanti;

    - in particolare dai grafici allegati risulta che, appena qualche mese

    prima della stipula del contratto per cui è causa, le cennate azioni erano

    state quotate a meno della metà del valore indicato in sede di permuta.

    Ad ogni buon conto decisive, ai fini dell’apprezzamento della portata lesiva

    dell’atto di disposizione per cui è causa, sono le condotte tenute dai contraenti in

    sede di attuazione dei trasferimenti delle partecipazioni oggetto di permuta

    (trasferimenti efficaci, inter partes, in forza del mero consenso).

    Ed infatti, per quanto inferibile dalla documentazione prodotta dall’attrice (e,

    peraltro, incontestato tra le parti)

    dopo la stipula del contratto di permuta sono stati prontamente

    curati tutti gli adempimenti necessari ai fini della opponibilità, alla società

    ed ai terzi, del trasferimento, in favore di Palumbo Fabio e Mocci Ernesto,

    delle quote di partecipazione al capitale della Ottantuno Prima s.r.l.;

    pertanto, i Predetti cessionari sono subentrati a Chiais Maria

    Cristina nell’esercizio dei diritti amministrativi ed economici correlati alla

    titolarità della quota, rappresentativa del 26% dell’intero capitale della

    Ottantuno Prima s.r.l., da ciascuno acquisita;

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    44cSentenza n. 22270/2017 pubbl. il 28/11/2017

    RG n. 27394/2016Repert. n. 23650/2017 del 28/11/2017

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  • conseguentemente, è stata sottratta alla funzione di garanzia in

    favore dei creditori di Chiais Maria Cristina una rilevante parte della

    partecipazione sociale dalla Stessa già detenuta nella Ottantuno Prima s.r.l.,

    rappresentativa nel complesso del 52% del capitale;

    per converso, senza alcuna plausibile ragione, risultano essere stati

    del tutto omessi gli adempimenti previsti dagli artt. 2355 e 2022 c.c. ai fini

    della opponibilità, alla società ed ai terzi, del subentro di Chiais Maria

    Cristina nella partecipazione al capitale sociale della Methorios Capital

    S.p.A.;

    di fatto, dunque, Chiais Maria Cristina non ha mai avuto modo di

    esercitare i diritti correlati alla titolarità delle azioni oggetto di permuta e,

    soprattutto – contrariamente a quanto genericamente allegato dai convenuti

    - non risulta mai essersi attivata per procurare il cd. transfert;

    invero in atti non vi è traccia alcuna di fattive iniziative assunte

    dalla debitrice per conseguire l’esercizio dei diritti correlati alla

    partecipazione azionaria acquistata e per rendere il suo acquisto opponibile

    alla società ed ai terzi;

    neppure risultano indicate o documentate le – non meglio

    specificate – problematiche sociali che avrebbero impedito gli adempimenti

    di cui sopra;

    l’omissione degli adempimenti previsti dagli artt. 2355 e 2022 c.c

    era ed è tale da precludere certamente alla odierna attrice di soddisfarsi

    mediante esecuzione forzata sulle azioni della Methorios Capital S.p.A.

    oggetto di permuta in favore di Chiais Maria Cristina.

    In definitiva, dunque, è indubbio che, per effetto dell’atto di disposizione per

    cui è causa, sia stata sottratta alla funzione di garanzia ex art. 2740 c.c. una

    partecipazione sociale di rilevante valore, di fatto senza una reale “contropartita”

    (non essendo mai divenute aggredibili, da parte dei creditori, le azioni date in

    permuta).

    Ebbene, la significativa riduzione della consistenza del patrimonio

    “aggredibile” di Chiais Maria Cristina, conseguente all’atto di disposizione per

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    RG n. 27394/2016Repert. n. 23650/2017 del 28/11/2017

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  • cui è causa, valeva e vale a frustrare o, comunque, a rendere certamente meno

    agevole il concreto soddisfacimento delle ragioni di credito prospettate da Caroli

    Emanuela (ancorché ancora sub iudice), atteso che, nel patrimonio della debitrice

    in concreto assoggettabile ad esecuzione forzata, residuavano e residuano, oltre

    alla quota di partecipazione rappresentativa del 47% del capitale della Ottantuno

    Prima s.r.l., la proprietà di un villino di cinque vani in San Felice al Circeo nonché

    la proprietà di due locali seminterrati, destinati ad autorimessa, rispettivamente di

    mq. 11 e 12, parimenti siti in San Felice al Circeo (e, dunque, beni nel complesso

    di consistenza tale da non garantire il pieno, sicuro ed agevole soddisfacimento

    del considerevole credito prospettato dall’odierna attrice).

    Quanto, poi, all’elemento soggettivo, va osservato che è indubitabile la piena

    consapevolezza, in capo a Chiais Maria Cristina, della portata lesiva del contratto

    di permuta all’attenzione, ove si consideri che – per quanto inferibile dalla

    documentazione in atti – tale atto di disposizione è stato posto in essere proprio

    qualche giorno dopo la notifica del precetto con cui Caroli Emanuela, in forza

    della Sentenza del Tribunale di Roma, ha intimato alla convenuta il pagamento

    della complessiva somma di euro 2.178.215,68.

    Significative, ai fini dell’apprezzamento dell’elemento soggettivo, risultano,

    anche le “modalità esecutive” del contratto di permuta in questione, sostanziatesi

    nell’immediato deposito di tale atto nel Registro delle Imprese per gli

    adempimenti necessari ai fini della opponibilità del trasferimento delle quote della

    Ottantuno Prima s.r.l., e nella contestuale omissione di qualunque iniziativa per il

    concreto transfert delle azioni della Methorios Capital S.p.A. spettanti in permuta

    a Chiais Maria Cristina.

    Va, infine, evidenziato che è ben ragionevole ritenere che anche Mocci Ernesto

    e Palumbo Fabio avessero contezza della portata lesiva dell’atto di permuta per

    cui è azione revocatoria.

    Ed a fondare il convincimento del Tribunale sul punto soccorrono non solo le

    richiamate modalità esecutive della permuta, ma anche lo stretto rapporto di

    affinità esistente tra i convenuti, e la considerazione che Mocci Ernesto e Palumbo

    Fabio, in quanto generi di Chiais Maria Cristina, non potevano non essere a

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  • conoscenza delle vicende giudiziarie che avevano coinvolto la suocera e degli

    esiti dell’azione di petizione di eredità esperita da Caroli Emanuela.

    Del resto, anche la Suprema Corte, in più occasioni ha enunciato il “principio

    per il quale, in tema di condizioni per l'esercizio dell'azione revocatoria

    ordinaria, la prova del requisito della consapevolezza di arrecare pregiudizio

    agli interessi dei creditori può essere fornita anche mediante presunzioni,

    dovendosi, tra l'altro, attribuire rilievo al grado di parentela fra il debitore e gli

    acquirenti” (Cass. Civ., Sez. II, 8 agosto 2014, n. 17821; Cass. Civ., Sez. III, 25

    luglio 2013, n. 18034; Cass. Civ., Sez. II, 11 febbraio 2005, n. 2748).

    In definitiva, dunque, va dichiarata l’inefficacia relativa ex art. 2901 c.c., nei

    confronti di Caroli Emanuela, del contratto di permuta per Notar Paolo Fenoaltea

    del 28 marzo 2012 (rep. 22349; racc. 13727) con il quale Chiais Maria Cristina ha

    trasferito a Palumbo Fabio una quota di partecipazione alla Ottantuno Prima s.r.l.,

    pari al 26% del capitale sociale, ed a Mocci Ernesto altra quota di partecipazione

    alla Ottantuno Prima s.r.l., rappresentativa del 26% del capitale sociale.

    Alla soccombenza consegue la condanna dei convenuti, in solido tra loro, alla

    rifusione, in favore di Caroli Emanuela, delle spese del presente giudizio, nella

    misura liquidata in dispositivo, avuto riguardo alla natura ed al valore della

    controversia, al numero ed al rilievo delle questioni affrontate nonché alle attività

    difensive effettivamente espletate e documentate in atti, e facendo applicazione

    dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014.

    P.Q.M.

    Il Tribunale di Roma, come sopra composto, definitivamente pronunciando nel

    procedimento iscritto al N. 27394/2016 R.G., così provvede:

    - Dichiara inefficace, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2901 c.c.,

    nei confronti di Caroli Emanuela, il contratto di permuta per Notar Paolo

    Fenoaltea del 28 marzo 2012 (rep. 22349; racc. 13727) con il quale Chiais

    Maria Cristina ha trasferito a Palumbo Fabio una quota di partecipazione alla

    Ottantuno Prima s.r.l., pari al 26% del capitale sociale, ed a Mocci Ernesto

    altra quota di partecipazione alla Ottantuno Prima s.r.l., rappresentativa del

    26% del capitale sociale.

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  • - Condanna i convenuti, in solido tra loro, alla rifusione, in favore di

    Caroli Emanuela, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi

    euro 25.757,24 – di cui euro 1.757,24 per spese vive ed euro 24.000,00 per

    compensi professionali – oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per

    legge.

    Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio del 26 settembre 2017.

    Il Giudice estensore Il Presidente

    Clelia Buonocore Stefano Cardinali

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