Date post: | 17-Feb-2019 |
Category: |
Documents |
Upload: | nguyentuyen |
View: | 217 times |
Download: | 0 times |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
PRIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 62849/2013 promossa da:
A. L. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. BRAMBILLA CATERINA e dell’avv. BINI NICE (…)
(omissis); , elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. BRAMBILLA
CATERINA
ATTORE
contro
AZ. OSP. F. E O. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. LOCURCIO GIUSEPPE elettivamente
domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. LOCURCIO GIUSEPPE
CONVENUTO
Oggetto: Responsabilità professionale sanitaria
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli depositati nel corso della udienza di precisazione delle
conclusioni.
Motivi della decisione in fatto e diritto
A. L. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano l’Azienda Ospedaliera F. o O. M. per sentire
accertare la responsabilità della struttura ed ottenere la sua condanna al risarcimento del danno
patito in relazione all’intervento chirurgico di tiroidectomia totale al quale egli era stato sottoposto
in data 17.5.2010.
Esponeva la seguente vicenda sanitaria.
In data 17.5.2010 veniva ricoverato presso l’U.O. di Otorinolaringoiatria presso l’Ospedale F. O.
per eseguire un intervento di tiroidectomia totale a seguito del riscontro di un carcinoma papillare;
eseguito l’intervento in mattinata e senza che venissero rilevati complicanze, il paziente veniva
collocato nel relativo reparto di otorinolaringoiatria; verso il pomeriggio della stessa giornata si
verificava una grave emorragia con insufficienza respiratoria e con ostruzione delle alte vie aeree
che veniva trattata con tracheotomia d’urgenza ed in occasione della quale si verificava , alla
successiva TAC, una encefalopatia metabolica post anossica; veniva sottoposto quindi a revisione
chirurgica con legatura dei vasi ed arresto della emorragia; il paziente veniva quindi ricoverato in
rianimazione ove permaneva fino al 25 maggio quando veniva nuovamente ricoverato in reparto di
otorinolaringoiatria ma incorreva in nuovo peggioramento neurologico e dunque veniva
nuovamente ricoverato in terapia intensiva; a seguito di varie cure veniva dimesso in data 16.9.2010
con rilievo di “parola lievemente rallentata, lieve distonia emisona sinistro, deambulazione
autonoma”; tuttavia nonostante l’esecuzione di trattamenti di riabilitazione neurologica presso
l’Ospedale di P. (omissis) con particolare riguardo agli spetti logopedici e neuropsicologici il
4.11.2011 la diagnosi di dimissione dalla predetta struttura rilevava una lieve tetraparesi con atassia
della marcia e deficit delle funzioni cognitive ( funzioni esecutivo comportamentali) disatria,
ipertensione; in ragione di tale condizione il sig. L. veniva dichiarato dalla competente ASL al
100% e nell’attualità manifesta problemi legati alla deambulazione, all’equilibrio precario con
compromissione delle funzioni cognitive.
Della condizione attuale riteneva responsabile la struttura sanitaria che, anche tenuto conto della
estrema lacunosità delle annotazioni in cartella clinica e nel diario operatorio, non era intervenuta
con la necessaria tempestività omettendo di eseguire un controllo adeguato nel post operatorio al
fine di prevenire il coma post anossico dal quale erano derivate le gravi conseguenze neurologiche
riscontrate ancora nell’attualità.
Lamentava altresì la mancanza di un valido consenso informato all’intervento con violazione sia
dell’art. 32 della Costituzione sia dell’art. 13 Cost. sia dell’art. 33 legge 833/1978.
Si costituiva la struttura sanitaria convenuta contestando la responsabilità professionale dedotta e la
tipologia e l’importo dei danni allegati. Rilevava che il paziente aveva espresso un valido consenso
informato del quale produceva copia sottoscritta unitamente a copia della cartella clinica; rilevava
che l’intervento chirurgico era stato eseguito a regola d’arte con tecnica che era particolarmente
studiata al fine di prevenire emorragie garantendo un alto livello di sicurezza nella emostasi delle
ferite operatorie e senza necessità di effettuare la legatura dei vasi ( Ultracision); contestava che il
paziente fosse stato abbandonato a sé stesso nel post operatorio rilevando che dalla cartella clinica
emergeva una visita alle ore 14,25 oltre ad altra riferita dal solo chirurgo alle 16,40 ( intervento
completato alle 11.50) e che l’evento emorragico con difficoltà respiratorie era intervenuto con
caratteri inaspettati mentre il paziente si trovava in reparto regolarmente monitorato ed era stato
trattato con la dovuta urgenza, tanto che in serata il paziente era stato immediatamente sottoposto ad
intervento di revisione chirurgica. Contestava in subordine la quantificazione del danno rilevando
come esso dovesse essere quantificato tenendo conto della importante patologia cerebrale pregressa
del paziente trattandosi, in ipotesi, di danno differenziale.
Acquisiti i documenti prodotti, espletata una c.t.u. medico legale, respinta la richiesta di ricusazione
dei consulenti e di rinnovazione svolta dalla parte attrice, le parti precisavano le conclusioni ed il
giudice, cui nelle more era stata assegnata la causa con provvedimento presidenziale, previa
concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., tratteneva la causa in decisione alla udienza del
10.1.2017.
1)Responsabilità professionale.
Nel merito, le domande spiegate da A. L. sono parzialmente fondate e possono essere accolte nei
limiti che seguono.
Atteso che nel caso in esame l’attore ha agito nei confronti della sola struttura sanitaria è opportuno
richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale "in tema di
responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale
della struttura sanitaria … per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato
deve fornire la prova del contratto (o del "contatto") e dell'aggravamento della situazione
patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di
causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della
normalità causale, del "più probabile che non", restando a carico dell'obbligato - sia esso il
sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo
diligente e che quegli esiti siano stati determinali da un evento imprevisto e imprevedibile" (Cass.
Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/0 1/2009).
Più di recente, la Suprema Corte ha rilevato come "In tema di responsabilità contrattuale del
medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall'esercizio di attività di carattere sanitario,
il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o
concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l'onere di dimostrare o che
nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi
stato il suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla
produzione del danno" (Cass. 15993/2011).
La Suprema Corte ha infatti affermato, in modo da ritenersi del tutto consolidato, che la
responsabilità della struttura sanitaria (privata o pubblica) sia da inserire nell’ambito contrattuale,
sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita
ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico (cd contratto di spedalità o di
assistenza sanitaria) che si perfeziona anche per fatti concludenti laddove si abbia anche soltanto
l’accettazione del malato presso la struttura (cfr. Cass. SSUU. 577/08 e Cass. N. 8826/2007).
Tale contratto ha ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di
carattere strettamente sanitario sia prestazioni secondarie ed accessorie (fra cui prestare assistenza al
malato, fornire vitto e alloggio in caso di ricovero ecc.).
Ne deriva che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l’inadempimento e/o per
l’inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella
responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. e nessun rilievo a tal fine assume il fatto che la
struttura (sia essa un ente pubblico o un soggetto di diritto privato) per adempiere le sue prestazioni
si avvalga dell’opera di suoi dipendenti o di suoi collaboratori esterni – esercenti professioni
sanitarie e personale ausiliario – e che la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno di questi
soggetti. Infatti, a norma dell’art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell’opera,
qualunque sia il legame, di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Come già affermato da questo Tribunale, infatti, “l'accettazione del paziente in una struttura
deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita
ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità,
in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella
effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte
dall'art. 2 legge n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a
disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le
attrezzature tecniche necessarie. In presenza di contratto di spedalità, la responsabilità della
struttura ha natura contrattuale, sia in relazione a propri fatti d'inadempimento sia per quanto
concerne il comportamento dei medici dipendenti, a norma dell'art. 1228 c.c., secondo cui il
debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi, ancorché non alle sue
dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi. A questi fini è sufficiente che la
struttura sanitaria comunque si avvalga dell'opera di un medico. In definitiva va riaffermato il
principio generale- anche di recente ricordato dalla Suprema corte (Cass. N. 12833/2014)- in virtù
del quale la responsabilità che dall'esplicazione dell'attività di un terzo direttamente consegue in
capo al soggetto che se ne avvale riposa invero sul principio dell'appropriazione o "avvalimento"
dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del
rischio per i danni che al creditore ne derivino. Né, al fine di considerare interrotto il rapporto in
base al quale è chiamato a rispondere, vale distinguere tra comportamento colposo e
comportamento doloso del soggetto agente (che della responsabilità del primo costituisce il
presupposto), essendo al riguardo sufficiente (in base a principio che trova applicazione sia nella
responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale) la mera occasionalità necessaria (v.
Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 15/2/2000, n. 1682). Il debitore risponde quindi direttamente di
tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si
avvale, sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioè dei
danni che può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il
creditore. Tale responsabilità- in linea generale- trova fondamento nel rischio connaturato
all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione (cfr., con riferimento a diversi ambiti
professionali, Cass., 13/4/2007 Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 30/12/1971, n. 3776. V. anche
Cass., 4/4/2003, n. 5329), fondamentale rilevanza assumendo - come detto - la circostanza che
dell'opera del terzo il debitore o il preponente comunque si avvalga nell'attuazione della
prestazione dovuta. D’altra parte, nella predisposizione di un servizio complesso come quello
sanitario naturalmente destinato alla gestione di beni primari dei “clienti-pazienti” con attività
anche di particolare complessità e difficoltà tecnico-scientifica, l’imprenditore proponente assume
una sua responsabilità anche nella scelta degli ausiliari e nella predisposizione di adeguati livelli
di controllo” (Sentenza, pres. Bichi, del 5.1.2015).
Ciò posto, nel caso in esame si osserva quanto segue.
Le eccezioni procedurali svolte dalla difesa di parte attrice con riguardo alla attività svolta dai CTU
con particolare riguardo alla acquisizione documentale è priva di pregio. Risulta che entrambe le
parti abbiano prodotto unitamente all’atto introduttivo copia della documentazione clinica relativa
alla vicenda in esame; tuttavia, come immediatamente rilevato dai CTU all’atto dell’esame di essa,
tra le varie cartelle cliniche della struttura ospedaliera ( infatti il paziente è stato ricoverato presso
diversi reparti dell’Ospedale F.) mancava proprio quella relativa al periodo di degenza presso il
reparto di otorinolarigoiatria successivamente all’intervento del 17.5.2010. E’ di tutta evidenza che
tale carenza documentale, alla luce delle espresse doglianze di parte attrice ed attinenti all’omessa
sorveglianza del paziente nella immediata fase post intervento, assumeva rilevanza determinante
nell’analisi dei CTU che prontamente ne hanno segnalato la mancanza sia alle parti nel verbale
delle operazioni peritali sia al giudicante nella seguente richiesta di proroga dei termini per il
deposito. La successiva acquisizione di tale parte della cartella clinica, pacificamente fornita dal
consulente di parte convenuta nel corso delle operazioni peritali e prima della stesura della bozza di
relazione ed utilizzata da entrambi i consulenti di parte oltre che dalle difese per lo svolgimento
delle rispettive osservazioni tecniche, può considerarsi integrazione della documentazione già
depositata e della quale essa costituiva parte integrante, ben potendosi considerare unico il
documento “cartella clinica” ancorché scorporato a seconda dei diversi reparti presso i quali il
paziente venne ricoverato nel corso dell’unico ricovero.
Tanto premesso va dunque confermata la regolare acquisizione del documento e la sua utilizzabilità
da parte dei consulenti dell’ufficio.
L'espletata consulenza tecnica depositata 19.7.2015 a firma del dott. G. P. ( medico chirurgo
specialista in neurologia) e M. M. (specialista medico legale) i quali si sono avvalsi quale ausiliare
della dott.ssa M. G. C., (specialista in chirurgia generale) unitamente alla successiva integrazione a
chiarimenti del 14.12.2015 , ha consentito di accertare i seguenti elementi
- Il 29.12.2009 e il 9.3.2010 il sig. L. si sottopose a biopsie tiroidee con agosottile, che agli esami
citologici, svolti presso l'Ospedale F. e O. di M., portarono alle seguenti conclusioni diagnostiche:
"Reperto citologico di complessa interpretazione compatibile in prima ipotesi con tiroidite cronica
linfocitaria, tenuto conto anche delle caratteristiche scintigrafiche della lesione ipercaptante. La
presenza tuttavia di dismetrie nucleari e pseudoinclusi impone una stretta osservazione del paziente,
una rivalutazione degli esami ematochimici, ed un riscontro citologico a breve termine (un mese)";
"Reperto suggestivo per proliferazione follicolare";
- in data 14.4.2010 il paziente venne ricoverato presso l’Azienda Ospedaliera F. O. e sottoposto ad
accertamenti pre ricovero, quindi la mattina del 17.5.2010 venne ricoverato presso il reparto di
otorinolaringoiatria; l’anamnesi ivi raccolta non dà conto di patologie pregresse si segnala peraltro
l’assunzione di Eutinox, terapia sospesa in ragione dell’esecuzione di scintigrafia tiroidea; viene
posta indicazione di intervento di tiroidectomia totale;
-nella medesima data si procedeva quindi ad intervento che viene sinteticamente descritto in cartella
come segue: ora inizio intervento 10:30, termine 11:50; anestesia: generale in intubazione oro-
tracheale. Incisione cutanea 2 cm sopra il giugolo. Incisione sulla linea alba, si reperta la capsula
tiroidea e si scolla. Isolamento e distacco dei peduncoli vascolari con Ultracision. Si conservano le
paratiroidi. Rispetto dei ricorrenti. Sutura a strati";
- Quanto asportato in sede chirurgica fu sottoposto ad analisi anatomo-istopatologica, che dimostrò
(come da referto n. 10-I-02694 del 20.5, firma del dott. A. F.): "Tiroide da tiroidectomia totale con
lobo destro cm 5×3×2, istmo cm 2,5×1×1. Al taglio il lobo destro è quasi totalmente sostituito da
formazione bilobata ovalare biancastra duro-elastica a limiti indistinti rispetto al parenchima
circostante… Il residuo parenchima del lobo destro…, dell'istmo… e del lobo sinistro… è di
colorito brunastro e di aspetto carneo. Diagnosi: Carcinoma papillare infiltrante il parenchima
tiroideo ed esteso al tessuto adiposo perighiandolare… Parenchima residuo indenne";
- il paziente veniva quindi trasferito in reparto e dal diario clinico risultano annotazioni scritte alle
ore 14,25 dal dott. C. il quale prescrive un controllo l’indomani per calcio e fosforo e prescrive
Cardiazol paracodina se tosse, alle ore 17,50 e 17.55; la prima recante la seguente annotazione con
sottoscrizione del dott. Termine: “Mentre ero in Sala Medici sono chiamato d'urgenza
dall'Infermiere di Reparto Salvatrice in quanto il paziente L. A. n. … di letto, operato stamattina di
tiroidectomia, lamenta difficoltà respiratoria. Al letto del paziente costato: paziente seduto,
cianotico, con tumefazione cervicale anteriore in sede di intervento e medicazione in tensione;
bradipnoico. Quindi procedo a: 1) Rimozione immediata della medicazione. 2) Apertura dalla ferita
chirurgica, dopo aver sdraiato a letto il paziente che risulta poco contattabile; aspirazione dei
coaguli sede della tiroidectomia che comprimono la trachea con ripresa di una moderata
respirazione spontanea. 3) Ventilazione con [illeggibile] di Ambu. 4) Massaggio cardiaco con
l'aiuto dell'Infermiere di Reparto. 5) Chiamo l'Anestesista d'urgenza che arriva in Reparto alle 17.55
e continua le manovre rianimatorie. 6) Procedo quindi a tracheostomia 3° anello posizionando
cannula Shiley N 8. 7) Il Rianimatore continua alle manovre rianimatorie e chiama il secondo
Chirurgo reperibile Dr. C.; 8) 18.15 Si attiva la Sala Operatoria per controllare l'emorragia in
ambiente protetto". Vi è poi altra annotazione, con firma non leggibile [matr. …], dalla quale
risulta: "…: Chiamato per emergenza presso reparto ORL. Al mio arrivo emorragia in atto, con
paziente non contattabile, bradipnoico, polso periferico assente, polso centrale non rilevabile causa
ematoma del collo. Manovre RCP già in corso effettuate da ORL di Guardia coadiuvato
dall'Infermiere di Reparto. Si procede (secondo schema ACLS) RCP. Si infondono
complessivamente 1000 ml di colloidi in 20'-30'. Dopo circa 10 minuti ricomparsa di polso centrale
(PA 110/60) FC 85 bpm e drive respiratorio spontaneo, si somministrano morfina 1 fl + midazolam
5 mg + propofol 80 mg in bolo per consentire esecuzione tracheostomia urgente. Si esegue EGA
arteriosa (vedi cartella anestesiologica). Vista l'iniziale stabilità dei parametri vitali si predispone
per trasporto protetto in Sala Operatoria. Al termine dell'intervento chirurgico si trasferisce in
Terapia Intensiva per monitoraggio postoperatorio".
-Previa nuova anestesia generale in intubazione oro-tracheale, il sig. L. fu sottoposto ad intervento
chirurgico urgente di revisione del campo operatorio, con diagnosi di "N99811 - Emorragia
complicante un intervento"; inizio ore 19:30, termine 20:20. Dalla descrizione della procedura
risulta: "Tracheostomia eseguita in Reparto. Revisione del campo operatorio esito di recente
intervento di tiroidectomia totale eseguita stamane. Si evidenzia un sanguinamento a nappo:
diatermocaustica con pinza bipolare di alcuni punti leggermente sanguinanti. Peduncolo
superiore a dx e una a livello del peduncolo medio a sin. Si procede a legatura di entrambi
vasi con arresto emorragia. Drenaggio. Sutura a strati. Medicazione";
- quindi il paziente veniva trasferito in rianimazione e quindi nuovamente in reparto ove avvenivano
percorsi di analisi diagnostica e terapeutici a seguito di una rilevata compromissione neurologica
del paziente che in prima fase non rispondeva agli stimoli ed eseguiva gli ordini a fasi alterne;
-Vi fu valutazione specialistica neurologica, svolta dal dott. A. P., dal cui referto risulta: "Pz in
coma, pupille isocoriche reagenti, allo stimolo doloroso apre gli occhi e flette arti sup. e inf. Con
accenno a risposta localizzatoria, possibile risparmio motorio agli arti di dx, SCP nella norma bilat.,
la SPC evoca una triplice risposta di flessione degli arti inf. si nota inoltre movimenti spontanei dei
globi oculari in pendolarismo orizzontale. A tratti capo e occhi deviati a dx"; il Sanitario pose
indicazione a svolgimento di TC cerebri ed elettroencefalogramma;
-il 19.5 venne eseguita TAC encefalo con il seguente referto: "Estesa area ipodensa liquorale
temporo-parieto-occipitale dx riferibile a cisti aracnoidea. Attualmente non si evidenziano
alterazioni parenchimali focali in atto. Il sistema ventricolare è in asse e normoespanso. I
ventricoli laterali sono simmetrici. Le cisterne della base e i solchi delle convessità sono nei limiti"
-Vi fu rivalutazione neurologica del dott. A. P., che scrisse: "Si prende visione TAC cerebri che non
mostra lesioni attuali, EEG lievemente rallentato senza focalità. Obiettivamente pz in coma vigile,
tende a localizzare stimolo doloroso, pupille reagenti, isocoriche, risparmio motorio arto sup dx, scp
nella norma bilat."; il Sanitario suggerì ripetizione di EEG dopo 2-3 giorni.
-Il 21.5 vi fu nuova valutazione specialistica neurologica, svolta dal dott. A. P., dal cui referto
risulta: "Oggi il pz localizza stimolo doloroso, inizia ad eseguire ordini semplici, espone la
lingua, apre e chiude gli occhi, sempre evidente risparmio motorio agli arti di dx"; il Sanitario
consigliò rivalutazione e ripetizione dell'indagine TC encefalo e EEG;
-il 22.5 sospesa la somministrazione di Propofol;
- Il 23.5: "h 10 Pz non sedato, giace ad occhi chiusi, risvegliabile, esegue ordini. Apiretico. Circolo
stabile. BI lievemente neg. Diuresi ok in respiro spontaneo con FiO2 ~ 0,3 SpO2 99%, meccanica
respiratoria buona. Secrezioni bronchiali fluide e biancastre. Dieta enterale tenuta… 1600 Pz
lasciato [illeggibile] in respiro spontaneo per il tubo a T FiO2 31%. Bene la Sat 100%. Clinicamente
[illeggibile]. h 24 Apiretico. Pz sveglio, a tratti agitato. Il respiro spontaneo con T-tube, buona
meccanica respiratoria, tosse valida, SpO2 98% con FiO2 30%. Circolo stabile, PA sempre elevata.
Diuresi ok. Addome ndp. Gli 128";
- Il 24.5 fu eseguita nuova TC encefalo, che evidenziò: "Quadro invariato nel confronto con il
precedente del 19 maggio scorso". Dal diario clinico: "h 800 T° 365, FC 72, PA 150/100, PVC +2,
FR 22, SpO2 99%, QU 1920 BI //. Apiretico. Giace ad occhi chiusi, risvegliabile, esegue ordini
semplici con fatica. A tratti agitato. In respiro spontaneo con tubo a "T", buona meccanica
respiratoria, buoni gli scambi all'emogasanalisi. Circolo autonomo, pressione arteriosa
tendenzialmente elevata, diuresi spontanea. Al torace: MV normotrasmesso bilateralmente. Addome
trattabile, apparentemente non dolente. Alvo chiuso. h 16 Endoscopia laringea a fibre ottiche:
motilità e pervietà laringea normale [dott. E. C.];
-Il 25.5 vi fu nuova visita neurologica del dott. A. P., che scrisse: "Oggi pz vigile, con occhi esplora
ambiente, localizza stimolo doloroso, non risponde a domande e non esegue ordini semplici
(stanotte sedazione con Valium), sempre evidente lieve risparmio motorio a dx senza comparsa di
piramidalismi. TAC di controllo invariata, in particolare non comparsa di lesioni ischemiche. Utile
trasferire appena possibile il pz in Reparto riabilitativo". Vi fu anche valutazione fisiatrica, svolta
dal dott. A. S., delle cui annotazioni: "…Esegue ordini semplici con latenza… Non ipertono alle
estremità"; fu programmato trattamento fisiochinesiterapico di mobilizzazione passiva tal
prevenzione di retrazioni muscolari. Dal diario clinico: "800 Apiretico, reattivo, contattabile, esegue
ordini complessi con latenza. Valori di PA sempre tendenzialmente elevati si associa β-bloccante in
terapia. Buona saturazione respiro spontaneo aria ambiente con tracheo fenestrata chiusa da
tappuccio. Alimentazione ben tollerata. Diuresi un po' contratta nelle ultime ore. Effettua carico di
CO. Si richiede valutazione neurologica prima di trasferimento in ORL. Attivata richiesta per FKT
motoria di supporto. 1200 Esegue visita neurologica. 1500 Come da accordi si trasferisce in Otorino
per il prosieguo delle cure".
-Nella lettera di trasferimento fu scritto: "Diagnosi di ingresso: Encefalopatia
metabolica/postanossica, arresto cardiaco ripreso, ostruzione alte vie aeree, patologia ORL/maxillo-
facciale, nessuna infezione. Motivo di ammissione: Insufficienza respiratoria, insufficienza
neurologica (coma post-anossico). Patologie croniche preesistenti: ipertensione. Anamnesi
patologica prossima: sottoposto a tiroidectomia totale per nodulo; sanguinamento nel postoperatorio
con insufficienza respiratoria bradiaritmia. Effettuata tracheostomia d'urgenza al letto e revisione
chirurgica. Trasferimento in Rianimazione per monitoraggio postoperatorio… Situazione attuale:
Stato di coma post anossico esegue ordini semplici in modo incostante. Crisi di ipertono;
- Il pomeriggio del 25.5 il paziente fu trasferito presso il Reparto di Otorinolaringoiatria. Nel diario
clinico della cartella già aperta per l'iniziale ricovero si legge che il paziente permane in stato
soporoso e alle h 2100 “pz soporoso non risvegliabile. Ripetuta alle h 2115 pz non risvegliabile né a
stimoli meccanici, né a stimoli verbali. Si avvisa Medico di Guardia dott. T. si contatta Anestesista
dott. [illeggibile]. Arriva in Reparto alle h 2125 Sat. 90 in aria 98% in O2 T. PA 140/100 x ordine
Anestesista si esegue TAC urgente alle h 2230 e si trasferisce il pz in Rianimazione". Alla TC
encefalo urgente fu rilevato: "Quadro tonodensitometrico sostanzialmente invariato rispetto
all'analogo esame eseguito il 24 maggio 2010"
- Nel diario clinico fu scritto: "Ore 23.20 Il pz entra in rianimazione proveniente dalla Str.
Complessa ORL dopo esecuzione TAC, accompagnato dal sottoscritto. Il pz è stato valutato in
Reparto ORL su chiamata dell'infermiere: neurologicamente peggiorato rispetto all'obiettività
del mattino, non eseguiva alcun ordine verbale, non apertura degli occhi allo stimolo, allo
stimolo nocicettivo debole attività finalistica in flessione senza localizzazione. SpO2 99% con
O2, abbondanti secrezioni dalla tracheostomia, buoni valori di PA e FC. Si esegue quindi TAC
encefalo (non refertata per assenza del radiologo in orario notturno) apparentemente sovrapponibile
alla precedente di ieri. Si ritiene opportuno monitoraggio e osservazione in Rianimazione, anche per
il sopraggiungere della notte. In Rianimazione il pz si presenta leggermente più reattivo,
accenna a eseguire solamente di "sporgere la lingua", non altri ordini semplici. Apiretico. PA
142/94 FC 74. Si collega al ventilatore in PS +8, FiO2 0,40, PEEP 5. Diuresi sufficiente". Fu
impostata terapia con soluzione RA con KCl 40 mEq 40 ml/h, Rocefin 2 g x 2/die, Eutirox 100,
Antra, Capoten 50 x 3/die, Tenormin 100/die, Clexane;
- Il giorno seguente: "h 2.30… Allo stimolo esegue qualche ordine semplice. Tende ad agitazione
motoria. Scambi respiratori buoni… h 1600… Giace ad occhi chiusi. Alla chiamata apre gli occhi.
Esegue ordini semplici con latenza. Discreta meccanica respiratoria…"..
- Il 27.5 vi fu valutazione specialistica endocrinologica, dal cui referto risulta: "Paziente affetto da
gozzo multinodulare pretossico sottoposto ad intervento di tiroidectomia totale. Presa visione esami
di funzione tiroidea (ormoni liberi inferiori ai limiti di norma) consiglio di aumentare la dose di
levofloxacina a 125 mcg/die. Tra 10 giorni ripetere prelievo per FT-3 e FT-4". Dal diario clinico: "h
1.00 Pz ad occhi aperti a tratti esegue ordini semplici… h 0900 Giace ad occhi aperti, esegue
ordini semplici, muove 4 arti, atteggiamento spastico…".
- si rilevava peraltro, con RM encefalo con mezzo di contrasto eseguita il 27.5.2010 la presenza di
una grossolana cisti aracnoidea nella fossa cranica media di destra con ipoplasia del lobo temporale;
anche il verme cerebellare presentava un discreto grado di atrofia; all’indagine non venivano
riconosciuti segni di lesioni di significato anossico in regione cerebrale; a livello sottocorticale
erano evidenziate multiple piccole aree ipertense nelle sequenze TR lungo, sostanzialmente di
significato aspecifico;
-Il 28.5 vi fu nuova visita neurologica del dott. A. P.; dal foglio di visita risulta: "Quesito
diagnostico: Paziente noto, obiettività neurologica fluttuante, valutazione opportunità RMN"; il
Sanitario a referto della visita scrisse: "Si prende visione della RM cerebrale che non mostra
lesioni post-anossiche, oggi clinicamente il pz appare vigile, esegue qualche ordine semplice,
invariata restante obiettività". Dal diario clinico: "Ore 9.30… Pz ad occhi aperti, non segue con lo
sguardo l'interlocutore, esegue come unica richiesta verbale di sporgere la lingua, non esegue altri
ordini. Marcato ipertono muscolare in flessione, allo stimolo flessione finalistica… 1600
Neurologia invariata… h 24… Quadro clinico invariato. Esegue qualche ordine verbale semplice.
Invariato l'ipertono muscolare in flessione agli arti superiori…";
Il 31.5: "h 10.00… Pz vigile, alla chiamata apre gli occhi, accenna a seguire con lo sguardo
l'interlocutore, esegue qualche ordine semplice (sporge la lingua), flessione finalistica poco
coordinata con marcato ipertono in flessione agli arti superiori… h 1530 Presi accordi con la
Medicina d'Urgenza, si trasferisce il paziente…";
-ricoverato in Medicina di Urgenza il paziente Il 2 e il 3.6 non furono registrate variazioni cliniche
di rilievo; …Deglutisce cibi semisolidi…"; il 5.6: "Pz sveglio, risponde alle domande. Eloquio
[illeggibile],disartrico. Dismetrie agli arti con contratture e spasmi…". Il dosaggio di
ciprofloxacina fu aumentato a 500 mg x 2/die; il paziente viene descritto Vigile, collaborante,
orientato nel tempo e nello spazio. L'eloquio non è fluente, ma i contenuti sono appropriati.
Persiste ipertono alle estremità che presentano mobilità attiva con importante componente
spastica. Trasferimenti posturali da supino seduto possibili con assistenza intensa.
Deambulazione non possibile. Non presenti, apparentemente, turbe disfagiche". Fu
programmata prosecuzione dei trattamenti riabilitativi dal diario clinico: "…Ipotrofia muscolare ai
4 arti. Pz sveglio, lucido, collaborante, orientato nel T/S. Deviazione [illeggibile] sguardo occhi
a dx. Disartrico. Movimenti spastici emisoma dx… ; l'8.6 vi fu rivalutazione neurologica del dott.
A. P. "Molto migliorato rispetto ai precedenti controlli. Vigile, collaborante, disartria spastica,
distonie distali agli arti sup con minimi movimenti coreo-atetosici. Il quadro clinico conferma
postumi di sofferenza anossica cerebrale in miglioramento. Potrebbe essere utile inserire
Lioresal 10 mg 1 cp x 3/die"
-Il 9.6 il paziente venne trasferito nuovamente nel reparto di Medicina Riabilitativa del medesimo
nosocomio. Alla valutazione obiettiva di ingresso: "Controllo del capo non completo… Paz
vigile, collaborante, orientato nello spazio. Eloquio non fluente ma i contenuti sono
appropriati. Persiste ipertono alle estremità che presentano mobilità attiva con importante
componente spastica. Trasferimenti posturali da supino a seduto possibili solo con assistenza
intensa. Deambulazione non possibile. Non presenti, apparentemente, turbe distoniche; lo
stesso giorno vi fu valutazione logopedica, dal cui referto risulta: "…(Scolarità 10 anni, lateralità
manuale 8 + 2/12) è stato sottoposto a valutazione neuropsicologica in merito agli esiti di coma
postanossico. Il paziente presenta ipovisus, è orientato nel tempo e nello spazio collabora con
lieve discontinuità alle sedute necessarie alla valutazione. Il paziente è affetto da disturbo
aprassico ai 4 arti che ha inficiato e a volte impedito la somministrazione di test scritti. L'impegno
cognitivo non supera il tempo di 20-30 minuti. L'eloquio spontaneo presenta segni di disprosodia
e alcune note disartriche che rallentano la fluenza normale; non vi sono pause anomiche e
sostituzioni lessicali. Le frasi sono di lunghezza normale e corrette sinteticamente. Nel complesso
linguaggio spontaneo del paziente risulta rallentato… Conclusioni: la somministrazione di alcuni
test di memoria non ha registrato una piena collaborazione da parte del paziente che ha interrotto in
modo deciso la somministrazione del test di MLT spaziale. In altri casi ha dimostrato insofferenza e
nervosismo, pur terminando la prova richiesta. Il test per l'acalculia è stato somministrato a mente
indicando la completa normalità della capacità di calcolo. Nel complesso si sottolinea la ridotta
capacità di impegno cognitivo che tuttavia migliora di giorno in giorno, parallelamente al recupero
dell'autonomia sia per la cura personale, sia nella capacità di scrittura. Il comportamento del
paziente è tendenzialmente normale con note depressive e, più spesso, di euforia. Il quadro
neuropsicologico non è definitivo, evolvendo giorno dopo giorno con il progredire del recupero
neuromotorio. Attualmente non si rilevano gravi disturbi nelle abilità testate. Utile un controllo fra
circa 3 mesi".
- Il 12.7 fu stilata relazione clinica, nella quale si legge: "…Allo stato attuale il paziente ha
presentato un notevole miglioramento clinico e neuromotorio riacquisendo la completa
autonomia nei trasferimenti posturali e miglioramento della fluenza del linguaggio. La
deambulazione avviene senza ausilio, per tratti lunghi, con supervisione per persistenza di
instabilità posturale. Prosegue con il training per i disturbi cognitivi presentando, comunque, un
netto miglioramento delle funzioni cognitive superiori: non disturbi di acalculia, memoria
integra…"; il 21.7 "…Soggettivamente bene, lieve miglioramento del quadro motorio durante la
deambulazione…". Il giorno seguente: "…Il pz è stato autorizzato a deambulare
autonomamente in camera;
- Il 24.8 il paziente fu dimesso dal reparto riabilitativo, per prosecuzione completamento delle cure
otorinolaringoiatriche. Nella lettera di trasferimento fu segnalato: "…Alla dimissione il paziente è
in buone condizioni generali, lucido e collaborante, in buon compenso metabolico, deambula
autonomamente senza ausili, presenta base allargata in assenza di pendolarismi degli arti
superiori, buona la resistenza alle prove di spinta in stazione eretta;
- trasferito nuovamente nel reparto di otorinolarigoiatria Il 15.9 vi fu rivalutazione neurologica,
svolta sempre dal dott. A. P., che scrisse: "Pz vigile, collaborante, orientato, lucido, risponde a tono
alle domande. Parola lievemente rallentata con [illeggibile], lieve dismetria I/N bilat, lieve
distonia emisoma sin. Strabismo presente dalla nascita. Tali disturbi, anche a detta del pz e
anche in considerazione della RM cerebrale, sono a mio avviso antecedenti all'intervento
subito dal pz".
- seguivano alterne vicende con riguardo alla situazione neurologica del paziente definita
altalenante; fino alla sua dimissione dalla struttura ospedaliera in data 16.9.2010;
-in data 14.9.2011 il paziente veniva ricoverato presso la casa di cura privata S. G. di P. per una
valutazione logopedica della disfagia al fine di stabilire le abilità di deglutizione insicurezza; il
percorso veniva dichiarato “concluso” in data 19.10.2011 pur nel rilievo di un persistente lieve
disturbo neurologico;
- all'esame obiettivo, eseguito dai CTU in data 5.2.2015 il paziente si presentava in buone
condizioni generali. Riferiscono i CTU che “Tiene la stazione eretta a piedi uniti con incertezze e
oscillazioni in tutte le direzioni, che si attenuano allargando la base d'appoggio. La deambulazione è
possibile, ma con caratteri nettamente pareto-atasso-spastici bilateralmente specie a destra; i
movimenti automatici di pendolarità degli arti superiori sono alquanto ridotti specie a destra, ove
l'arto è tenuto in anomalo atteggiamento di semiflessione dell'avambraccio sul braccio. Molto
problematica è la marcia del funambolo; impossibile il saltellamento su un solo arto
indipendentemente. Nel territorio cranico è d'immediato rilievo un netto strabismo divergente di
OS; l'esame dell'oculomozione estrinseca evidenzia una paralisi coniugata dello sguardo verso
destra; sono deficitari anche i movimenti di elevazione e abbassamento degli occhi; l'oculomozione
intrinseca è conservata; le pupille sono eguali, reagiscono bene alla luce e all'accomodazione
convergenza. L'eloquio è rallentato, disartrico e poco articolato. Agli arti superiori la stenia globale
e segmentaria non è significativamente ridotta, mentre è compromessa la coordinazione dei
movimenti nella indice naso e indice-lobo dell'orecchio, in particolare a destra. Sono, altresì,
compromessi i movimenti fini delle dita delle mani, specie a destra. Alla mobilizzazione passiva il
tono muscolare è nettamente aumentato in senso spastico, maggiormente agli arti di destra. I riflessi
osteotendinei sono vivacissimi, policinetici, specie agli arti di destra, in particolare i rotulei. Sul
piano psichico e cognitivo i test eseguiti il 23.9.2011, vale a dire a distanza di un anno e mezzo
dall'evento, quindi a condizione clinica in sostanza stabilizzata, sono da ritenersi validi. Da essi
risulta una compromissione di modesta entità a carico di molteplici aree della sfera cognitiva, tra cui
la memoria visuo-spaziale differita e la memoria prospettica, deficit attentivi, disturbi nella figura
complessa di Rey, delle funzioni prassiche e delle funzioni esecutive. Tale esame conclude per
"compromissione mediolieve a carico della funzionalità esecutivo-comportamentale".
I CTU hanno riferito che al colloquio nell'attualità il sig. L. lamenta difficoltà a deambulare
autonomamente per ipostenia agli arti inferiori, mancanza di equilibrio con sbandamenti in tutte le
direzioni: alterazioni motorie alle mani con difficoltà alla prensione di oggetti e impossibilità alla
guida di autoveicoli. Riferisce, inoltre, un indebolimento delle proprie capacità intellettive, in
particolare della memoria e precoce affaticabilità mentale. Il soggetto ha, altresì, dichiarato che per
il persistere di tali disturbi non ha più potuto riprendere la propria attività lavorativa.
Tanto ripercorso i consulenti hanno sottolineato diversi aspetti “procedurali” di rilievo anche ai fini
della risoluzione del caso specifico.
Essi hanno ripetutamente segnalato la grave carenza documentale della cartella clinica e del diario
clinico; alcune sezioni non sono complete ( come la sezione relativa all’obiettività all’ingresso e
quella relativa alle “patologie concomitanti”); la descrizione delle operazioni avvenute in sala
operatoria è ridotta al minimo (“limitatezza delle descrizioni operatorie”) e per quanto attiene al
periodo post operatorio i CTU hanno sottolineato come manchi del tutto la documentazione
anesteseologica relativa al periodo di risveglio e dell’invio del paziente in reparto; il diario clinico
del giorno dell’operazione reca una sola annotazione alle ore 14,25 e in essa non è fatta menzione
della condizione oggettiva del paziente ; nessuna annotazione in ordine ai controlli infermieristici in
quella giornata risulta anche dai diari infermieristici; le annotazioni presenti in cartella e relative
alla fase della urgenza recano due indicazioni temporali ( 17,50 e 17,55) che i CTU in una prima
fase hanno considerato scarsamente attendibili da un punto di vista temporale alla luce della
complessità degli interventi svolti e comunque anche dei dati derivanti dalla emogasanalsi delle
18.55 che evidenziava un’acidosi assai grave; quest’ultimo aspetto è stato poi oggetto di revisione
da parte dei CTU ma resta il fatto che la incuria nella tenuta della documentazione clinica sia dato
oggettivo innegabile. Ciò ha portato i CTU alla seguente drastica affermazione “Ciò pone
irrisolvibili dubbi su quale sia stata la reale tempistica con la quale venne a rendersi manifesta
l'emorragia e con la quale venne ad instaurarsi la secondaria asfissia, nonché dubbi sulle
registrazioni orarie stesse”, incertezza che è rimasta anche a seguito della richiesta di chiarimenti.
Peraltro i dubbi espressi dai CTU in parte traggono fonte anche da alcune circostanze allegate dalle
parti ma poi non confermate dalla istruttoria (né tra l’altro quella articolata dalle difese nelle
memorie istruttorie poteva sopperire a tale mancanza stante la formulazione di circostanze
incongrue e generiche al proposito) in ordine ad una seconda visita che sarebbe stata effettuata dal
dott. C. a metà pomeriggio e alla circostanza che il sig. L. ebbe a comunicare con il fratello a mezzo
sms in un momento immediatamente successivo alle ore 17.55.
I CTU hanno quindi rilevato, anche avvalendosi del contributo specifico offerto dalla ausiliare
dott.ssa C., che l’atto chirurgico non può considerarsi criticabile atteso che la tecnologia utilizzata
(Ultracision) offre migliori garanzie di tenuta nelle manovre di dissezione e di coaguli ( cit.
Lombardi et al., Contin P et al; Pons Y et al, Ecker T et al); la sinteticità delle annotazioni del diario
chirurgico non ha tuttavia consentito di approfondire la concreta dinamica dell’intervento e delle
fasi di chiusura degli strati; in ogni caso la dott.ssa C. ha escluso che la successiva emorragia sia di
per sé segno di una cattiva sutura avvenuta in sede di intervento; infatti l’evento emorragico è
sempre possibile né evitabile con il posizionamento di un drenaggio chirurgico il cui utilizzo sulla
base della scienza medica attuale (Samraj K; Gerusamy KS, Cochrane Database Syst. Rev) non si
ritiene possa evitare o ridurre le complicanze emorragiche post operatorie. Inoltre i consulenti
dell’ufficio hanno rilevato che, alla luce di quanto descritto nel diario operatorio del secondo
intervento di revisione, si deve ritenere che il sanguinamento postoperatorio sia stato effettivamente
"a nappo", vale a dire in forma di stillicidio plurifocale e non di sanguinamento discreto di tipo
arterioso peduncolare e che tale tipo di sanguinamento, per quanto rapido possa essere, non
può determinare un'asfissia così rapida da potersi dire improvvisa.
I CTU hanno quindi testualmente osservato che “Vero è, nel contempo, che l'Asfissiologia Forense
insegna che possono essere sufficienti anche solo pochi minuti di ostacolo acuto al flusso
respiratorio per avere ripercussioni non solo gravi, ma addirittura mortali. L'Ausiliario Chirurgo
ha commentato che la tipologia di sanguinamento e l'eccezionalità delle asfissie in correlazione ad
esso fanno ritenere che esso non sia stato intercettato in tempo a causa di una
assistenza/sorveglianza, clinica e soprattutto infermieristica, non adeguata. Su tale punto,
purtroppo la grossolana carenza documentale non consente di appurare in alcun modo quale sia
stata l'effettiva assistenza/sorveglianza. Per completare il ragionamento da svolgere su tale aspetto,
si deve, però, da un lato considerare che i sanguinamenti hanno una prima fase occulta, nella quale
non danno segni apprezzabili di sé, e solo in secondo momento si rendono manifesti sul piano
clinico; dall'altro è necessario contestualizzare il giudizio tecnico, tenendo in debito conto che non
vi era indicazione a ricovero del paziente in Terapia Intensiva Post- Operatoria, dato il carattere
"locale" della procedura chirurgica, e che al di fuori degli ambienti di Terapia Intensiva non è
possibile sorvegliare ogni singolo paziente minuto per minuto o comunque con controlli
clinici/infermieristici ripetuti tra loro ad intervalli di pochi minuti l'uno dall'altro. Pertanto, è da
ritenersi che, anche con una situazione di Reparto non intensivo "media", in termini di
assistenza/sorveglianza dei pazienti degenti, un tale tipo di evento asfittico potrebbe essere
intercettato quando ormai ha già esplicato in suoi gravi effetti. Sulla base di quanto sopra esposto,
circa l'an debeatur, gli scriventi non possono derivare una ferma censura in termini di inadeguata
assistenza/sorveglianza postoperatoria, proprio perché, come detto, eventi asfittici possono causare
danni anche gravi nell'arco di pochi minuti, quindi anche tra un controllo clinico/infermieristico e
l'altro. Resta il fatto che la grave carenza documentale non consente di verificare se vi sia stata o
no un'assistenza/sorveglianza almeno "media"..”.
Quanto alle conseguenze dell’evento asfittico i CTU hanno peraltro rilevato che il paziente risultava
affetto da macroscopiche alterazioni encefaliche senza dubbio preesistenti agli eventi per cui è
causa, rappresentate da una grossolana cisti aracnoidea e da discreta atrofia del verme cerebellare e
dell’emisfero cerebellare di destra ( pag. 36 della relazione).
I CTU hanno dato conto dei possibili danni derivanti dalla sofferenza encefalica che può seguire un
arresto cardiocircolatorio; hanno precisato ( pagg. 38 e ss della relazione) il meccanismo chimico
che segue all’arresto cardio circolatorio ed hanno legato al tempo di arresto la maggiore o minore
estensione della necrosi cellulare encefalica cui consegue il rilievo nella mobilità e nell’eloquio.
Hanno anche rilevato peraltro che le conseguenze encefaliche nella fase acuta e sub acuta
dell’enecefalopatia ipossico ischemica non sono rilevabili da TAC encefalo ed anche da RMN a
sequenze convenzionali ma solo con sequenze DWI; il medesimo esito è riconducibile anche alle
fasi successive rispetto all’evento; diversamente detti esami sono importanti per evidenziare
l’atrofia corticale e sottocorticale.
Hanno quindi evidenziato con specifico riguardo al caso esaminato che la durata dell’arresto
cardiocircolatorio non è chiaramente definibile ma comunque non può considerarsi superiore ai
dieci minuti con conseguente grave sofferenza cerebrale di natura ipossica ischemica con stato di
coma protrattosi per tre giorni a seguito del quale si è registrato un graduale miglioramento;
quest’ultimo tuttavia è stato interrotto da un brusco e repentino peggioramento della coscienza in
ottava giornata, peggioramento del quale i CTU non sono riusciti a dare una certa eziologia, sulla
base dei dati disponibili.
I CTU hanno avanzato, quale ipotesi più ragionevole, quella di una crisi epilettica, “ipotesi
avvalorata dal fatto che le condizioni del sig. L. migliorano nettamente già dopo le 24 ore e da
allora sono andate poi nuovamente migliorando grazie alle cure mediche e riabilitative. D’altra
parte l’ipotesi che si sia trattato di una crisi comiziale è supportata dall’importanza delle lesioni
encefaliche riportate dal L. in seguito all’arresto cardiocircolatorio e dimostrate non tanto dalle
indagini neuro- radiologiche quanto dalla gravità del quadro clinico durante i 4 mesi di degenza nei
vari reparti ( ORL, Anestesia e rianimazione, Riabilitazione motoria). La patologia encefalica non
evidenziata dalle TAC e dalla RMN era tuttavia ben presente, altrimenti come spiegare il quadro
clinico del L.? Focolai di sofferenza ischemica cerebrale possono essere punto di partenza di
scariche epilettiche, senza considerare il possibile ruolo epilettogeno della cisti aracnoidea
temporale ( Koch C.A. e coll. 1995)…. È, quindi, da ritenersi che il danno ipossico ischemico
causato dall'arresto cardiorespiratorio abbia compromesso il precario equilibrio funzionale
dell'encefalo del sig. L. sotteso dalla grossolana cisti aracnoidea e dell'atrofia cerebellare,
evidentemente di origine disembriogenetica, e dai correlati sovvertimenti strutturali e funzionali tra
il lobo temporale e gli altri centri nervosi.
Infatti, benché apparentemente asintomatica, risulta in modo inequivocabile che il L. presentava una
cisti aracnoidea e discreta atrofia del verme cerebellare: i CTU alle pagg. 36 e 37 ne descrivono le
caratteristiche e qualificano la cisti “comunicante” alla luce della asintomaticità ( sono stati acquisiti
documenti anche dal medico di base che nulla rilevano quanto a sintomatologia); l’unico aspetto
evidente è quanto segnalato dal dott. P. in data 15.9.2010 il quale per l’appunto evidenzia “parola
lievemente rallentata, lieve dismetria i/N bilaterale, lieve distonia emisoma sinistra, strabismo
presente dalla nascita; disturbi che a detta del paziente e in considerazione della RM cerebrale sono
ad avviso del dottore antecedenti all’intervento”.
Anche in questo caso i consulenti hanno rilevato come sia fonte di incertezza la grave carenza
documentale: nella redazione della anamnesi manca qualsiasi annotazione sulla condizione
oggettiva del paziente al suo ingresso (espressa critica dei CTU).
Da tali annotazioni, svolte da un medico che risulta avere seguito il L. sotto il profilo neurologico
per tutta la durata del post intervento, nonché dalla ampiezza della cisti i CTU hanno ritenuto che
tale condizione, benché sostanzialmente asintomatica abbia inciso sulla attuale condizione psico
fisica del sig. L. quale fattore scatenante la grave compromissione neurologica attuale.
Quanto ai danni eziologicamente ricollegabili alla condotta negligente i CTU hanno accertato in
primo luogo un rilevante prolungamento della vicenda clinica tale da configurare un periodo di
invalidità temporanea in forma assoluta di circa 4 mesi ( corrispondenti al periodo di
ospedalizzazione) e quindi un restante periodo di due mesi al 75% ( corrispondenti al periodo di
riabilitazione assistita).
Quanto ai postumi permanenti i CTU hanno a lungo valutato l’incidenza della presenza della cisti
aracnoidea e della distrofia del verme cerebellare.
Hanno preliminarmente osservato che la condizione attuale ( alla visita peritale) del paziente è da
ritenersi ben più grave di quella rilevata dopo le cure riabilitative dell’epoca. “L'evoluzione del
quadro clinico è, infatti, peggiorata, dopo il suddetto miglioramento, per sviluppo di encefalopatia
epilettica postanossica, che ha richiesto la somministrazione di farmaci specifici (levetiracetam e
Conazepam) a partire dal 2011. Anche le condizioni motorie ed in particolare la spasticità,
l'ipostenia e la scarsa coordinazione dei movimenti e la compromissione dell'equilibrio sono
peggiorati nel corso di questi anni, per fenomeni da ricondurre a degenerazione transinaptica e
transneurale, correlate al danno della corteccia cerebrale e della sostanza bianca sottocorticale. Uno
studio recente con tecnica MR di Diffusion Tensor Imaging e controllo autoptico post mortem in un
caso di arresto cardiaco ha evidenziato che il danno della sostanza bianca aumenta
progressivamente nel corso dei mesi (Gerdes J.S. e coll., 2014).
Tale stato di cose appare in linea con quanto rilevato all'esame clinico del sig. L. indicativo di
diffuso danno cerebrale, con interessamento delle vie cortico spinali, delle vie cerebellari, della
coordinazione dei movimenti e dell'andatura che ha caratteristiche nettamente pareto-spastiche,
oltre alla compromissione delle funzioni psichiche superiore di grado medio lieve”.
Alla visita peritale la compromissione psicofisica dell’attore è stata valutata pari al 70% ( barème
medico legali da Luvoni, Bargagna e Ronchi).
Su tale percentuale i CTU hanno ritenuto incidere per il 20% la situazione preesistente;
nell’incertezza dovuta alla apparente asintomaticità comportamentale ed alla mancata corretta
compilazione della cartella clinica in anamnesi all’entrata, i CTU hanno tenuto conto della oggettiva
lesione alla “integrità neuroanatomica del soggetto” situazione che configura una lesione
suscettibile di apprezzamento medico legale.
Il punto è stato fortemente criticato dai consulenti di parte; quelli di parte attrice hanno segnalato
come la storia naturale della cisti aracnoidea in pazienti adulti e selezionati per il trattamento non
chirurgico è generalmente benigna ( W. N. Al.Holou, S. Terman; C. Kiburg et al) e come i segnali
rilevati dal dott. P. nel settembre 2010 se presenti all’ingresso non avrebbero potuto non essere
notati ed annotati nella anamnesi con la conseguenza che una percentuale del 20% apparrebbe
eccessiva a fronte di una sintomatologia non rilevabile; i consulenti di parte convenuta hanno invece
rimarcato la maggior rilevanza della condizione preesistente che, anche a fronte della estesa
alterazione atrofica, “se di natura metatraumatica” singolarmente considerate porterebbe ad una
compromissione al 30% .
I CTU hanno ampiamente ripercorso il punto nelle osservazioni finali rilevando come “per quanto
attiene alla valutazione del danno preesistente si ribadisce che non vi sono motivi per dubitare sulla
buona fede delle annotazioni del dott. P., peraltro svolte mesi dopo il ricovero in causa. E ad ogni
modo la stima delle preesistenze è incentrata sulle anomalie encefaliche, così rilevanti che
quandanche pauci- o asintomatiche sarebbero state da ritenersi menomative per la precarietà
dell'equilibrio encefalico e l'aumentata suscettibilità a sequele negative. Occorre, infatti, ricordare in
accordo con la letteratura in precedenza citata, che le cisti aracnoidee non sono tutte eguali né per
sede né per dimensione. Esistono cisti di dimensioni modeste, ma esistono cisti di dimensioni molto
vaste, come quella del sig. L., che abbiamo collegialmente visionato, che occupa buona parte del
lobo temporale di destra, determinando una grave ipoplasia del medesimo, nonché atrofia del verme
cerebellare e dell'emisfero cerebellare omolaterale. La pauci/asintomaticitià della patologia,
correlata all'origine disembriogenetica e alla grande plasticità del sistema nervoso nella fase del suo
sviluppo, non né inficia l'importanza sotto il profilo menomativo biologico, con particolare
riferimento alla risultante meiopragia e particolare vulnerabilità ad eventi patogeni importanti come,
nel caso in specie, un insulto ischemico-anossico. Da qui l'apprezzamento di uno stato menomativo
preesistente. Circa la quantificazione di quest'ultimo, si è concordi con il prof. M. che lesioni di
consimile entità, se derivanti da fatti traumatici o iatrogeni, le si potrebbe valutare anche nella
misura del 30 (trenta) % di menomazione biologica. Ma nel caso in specie si deve tener conto che le
alterazioni presenti del sig. L. non sono di natura acquisita, ma di natura disembriogenetica, vale a
dire sviluppatesi già durante la vita intrauterina. E tale aspetto, a parità di alterazione anatomica, per
questioni di plasticità neuronale rende ragione di un maggior compenso funzionale da parte
dell'organismo, anche se instabile e precario e, quindi, una preesistenza di minore entità”.
La complessa ed approfondita ricostruzione valutativa dei consulenti dell’ufficio, alla luce della
incisiva critica svolta dal consulente di parte attrice e di parte convenuta della documentazione
medica in atti merita di essere solo parzialmente condivisa.
Secondo il regime dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale deve ritenersi che la
parte attrice abbia dimostrato l’accesso alla struttura sanitaria per ottenere un trattamento medico e
un serio aggravamento delle proprie condizioni psico fisiche avvenuto successivamente
all’intervento; la parte poi allega una inadeguata sorveglianza nel corso del post operatorio quale
condotta colpevole e negligente che ritiene causa dell’aggravamento.
Tanto basta per ritenere soddisfatto l’onere di allegazione e probatorio gravante sull’attrice; a fronte
di ciò grava sulla struttura convenuta l’onere di dimostrare di avere agito con la diligenza
qualificata del professionista sanitario ( tra l’altro l’addebito di inadeguata sorveglianza attiene
specificatamente agli oneri della struttura sanitaria che nell’ambito della organizzazione delle
risorse interne deve assicurare adeguata sorveglianza ai pazienti, tenuto conto del grado di rischio
specifico di ciascun paziente).
Tanto premesso va anche osservato che come ribadito a più riprese dai CTU e facilmente
constatabile dalla lettura della cartella clinica oggetto della vicenda sanitaria che ha riguardato il
sig. L., la documentazione delle attività sanitarie svolte è stata nella specie molto carente. Non solo
alcune parti non sono state compilate ( anamnesi all’ingresso ad esempio) ma anche laddove
risultano compilate la descrizione è stata limitata all’essenziale con la conseguenza di non rendere
possibile ai CTU ed all’ausiliario di comprendere come si presentasse il paziente e quali attività
esattamente fossero state compiute. La carenza ben si rileva anche dal semplice raffronto tra la fase
pre critica e quella successiva dove le annotazioni sulla cartella appaiono invece frequenti e
dettagliatissime.
Come è noto l’incompletezza della cartella clinica è circostanza che ricade sulla struttura sanitaria
onerata di documentare precisamente l’attività posta in essere quando il paziente è sotto la propria
responsabilità. Sul punto chiare sono le indicazioni offerte dal Supremo Collegio nell’accertamento
della responsabilità professionale sanitaria: Cass. sez. 3, Sentenza n. 6209 del 31/03/2016 (Rv.
639386 - 01) ha affermato che “In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella
clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in
ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la
prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto
invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico,
ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le
conseguenze dannose subite dal paziente” e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1538 del 26/01/2010 (Rv.
611334 - 01) che ha precisato che “In tema di responsabilità professionale del medico, le omissioni
nella tenuta della cartella clinica al medesimo imputabili rilevano sia ai fini della figura sintomatica
dell'inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell'art.
1176, secondo comma, cod. civ., sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché
l'imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei
confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria”).
Per quanto attiene quindi al caso di specie, sarebbe stato onere di parte convenuta dimostrare che il
pacifico arresto cardiocircolatorio dovuto ad emorragia conseguente all’intervento sia avvenuto
senza addebito colposo per avere la struttura posto in essere una adeguata sorveglianza idonea ad
evitare l’intervento posto in essere ormai al limite dell’arresto cardiaco.
La prova liberatoria non è stata offerta.
Le annotazioni inerenti alla tipologia di controllo del paziente dopo l’intervento ( mancanza di
relazione sul “risveglio “ e sulle condizioni del paziente all’atto del ritorno nel reparto di OTL-
l’unica annotazione avviene ad opera del chirurgo alle ore 14,25 e quindi a circa tre ore di distanza
dal termine dell’intervento senza peraltro alcuna indicazione in ordine allo stato psicofisico del
paziente) sono già di per sé significative di una sostanziale assenza di monitoraggio. L’assenza di
annotazioni non consente di utilizzare alcun altro elemento per provare che l’assistenza ci sia
viceversa stata ( di modo che inammissibile è la circostanza capitolata sul punto dalla convenuta,
peraltro in modo irrilevante in quanto riferita ad un solo ulteriore accesso del medico e formulata in
modo valutativo) ed è chiaro sintomo di un vero e proprio abbandono del paziente a se stesso,
abbandono particolarmente grave se si considera che si trattava della stessa giornata dell’intervento.
Infatti, come ha ben spiegato la dott.ssa C., a seguito di un intervento di tiroidectomia totale i
fenomeni emorragici sono frequenti con la conseguenza che, anche se non vi era indicazione per il
posizionamento del paziente in reparto di terapia intensiva ( come sottolineato dai CTU), tuttavia
egli meritava un monitoraggio in reparto attento e certamente più frequente di quello che emerge
dalla cartella clinica.
Un tale monitoraggio peraltro non appare inesigibile all’interno di un reparto ove il personale
infermieristico e medico presente deve essere posto in condizione, dalla struttura sanitaria, di
effettuare puntuali e frequenti controlli anche non a mera chiamata del paziente o per somministrare
“terapie”, soprattutto durante la giornata di un intervento ad altro rischio emorragico.
Va a questo punto considerato quale sarebbe stata l’efficacia di un controllo effettivo e continuato,
se svolto, in termini di evitabilità dell’evento.
I CTU hanno ritenuto che, data la scarsa attendibilità delle risultanze della cartella, i valori
emogasanalitici sarebbero stati l’unico elemento valutabile per apprezzare la tempestività del
soccorso e poiché questi devono essere letti alla luce dell’accertato arresto cardiocircolatorio non
possono spiegare effetto dirimente nell’accertare la tardività dell’intervento del personale sanitario
nel senso di affermare che l’arresto circolatorio fosse già in corso prima dell’intervento .
Il ragionamento logico non convince. Trattandosi di ragionamento logico e non solo tecnico
scientifico, questo giudice ritiene di poterne rilevare la incongruità e di aderire a diversa tesi logico
ricostruttiva.
Al fine di evitare il coma post anossico sarebbe stato necessario evitare l’arresto cardiocircolatorio e
non solo “prenderlo in tempo” nel corso del suo verificarsi; sul punto può aderirsi alla risultanza
documentale della cartella in base alla quale il sig. L., al momento dell’arrivo del primo medico
fosse cosciente essendo stato trovato seduto seppure in condizioni limite.
Tuttavia tale intervento deve considerarsi tardivo; infatti immediatamente il medico di guardia pose
in essere tutte le manovre richieste come gold standard in casi di specie senza poter evitare che
intervenisse l’arresto cardiocircolatorio a dimostrazione dell’intempestivo accertamento dello stato
di sofferenza respiratoria con conseguente parziale inutilità dell’intervento ( comunque salvavita
atteso che consentì la ripresa del polso dopo circa dieci minuti e cioè con una tempistica che, sulla
base della letteratura citata dai CTU, consentirebbe la produzione di danni cerebrali minimi) .
Le condizioni fisiche del sig L. tuttavia rendevano evidente lo stato di sofferenza e lo avrebbero
reso anche in un periodo antecedente alla chiamata ormai in emergenza; egli viene infatti descritto
dallo stesso medico di guardia come soggetto che presentava una evidente tumefazione cervicale in
sede di intervento , rigonfiamento generato, come si evince dall’esito della immediata tracheotomia,
da granuli di sangue. Orbene tale condizione ad avviso della scrivente ben poteva essere apprezzata
anche tempo prima della chiamata, tenuto conto del tempo che richiede la formazione di un granulo
di sostanza ematica e di quanto affermato dalla dott.ssa C. secondo la quale “si deve ritenere che il
sanguinamento postoperatorio sia stato effettivamente "a nappo", vale a dire in forma di stillicidio
plurifocale e non di sanguinamento discreto di tipo arterioso peduncolare e che tale tipo di
sanguinamento, per quanto rapido possa essere, non può determinare un'asfissia così rapida
da potersi dire improvvisa”.
Tutti questi elementi consentono di affermare che un migliore monitoraggio del paziente avrebbe
potuto rilevare la formazione della occlusione alle vie respiratorie prima di quando essa è stata
ravvisata nel concreto e quindi determinare un intervento di rimozione dei coaguli più tempestivo
ed evitare, in definitiva, l’arresto cardiocircolatorio.
In conclusione si può ritenere che vi sia stato un ritardo nell’intervento a seguito di emorragia per
carente monitoraggio, ritardo a causa del quale il sig. L. patì un arresto cardiocircolatorio che
provocò il coma successivo e sofferenza encefalica.
Quanto ai danni va invece del tutto condivisa la ricostruzione, anche in termini eziologici, dei CTU.
Essi infatti hanno affrontato in modo specifico ed approfondito il tema della riconducibilità delle
gravi lesioni psico-fisiche oggettivamente riscontrate anche nel corso della visita peritale all’evento
accaduto ed in particolare all’arresto cardio circolatorio ed al successivo impatto cerebrale.
L’analisi puntuale dei CTU ha consentito di individuare un danno neurologico ( tra l’altro in
progressivo aggravamento rispetto al momento della dimissione dalla struttura sanitaria convenuta)
quantificato nel 70% della integrità psicofisica. La percentuale non è stata contestata dai CTP e
trova significativo riscontro anche nella documentata inabilità lavorativa al 100% .
I CTU hanno anche puntualmente esaminato il dato in ordine all’assenza di lesioni prospettato dalle
TAC e RM encefaliche eseguite sia immediatamente dopo l’arresto cardio circolatorio sia a distanza
di quattro mesi evidenziando come gli strumenti diagnostici in esame non siano generalmente in
grado di rilevare lesioni cerebrali del tipo di quelle provocate dallo stato di coma e dalla
conseguenze della sofferenza cerebrale di natura ipossico-ischemica ma che tali conseguenze sono
chiaramente evincibili dalla gravità del quadro clinico manifestato dal sig. L. nei quattro mesi di
degenza successivi all’arresto cardio circolatorio.
La riconducibilità di tali danni alla sola cisti aracnoidea temporale non è mai stata neppure ventilata.
Tale risultanza, tuttavia, che costituisce di per sé sola una lesione anatomica della regione cerebrale,
unita alla atrofia cerebellare, è stata ritenuta dai consulenti rilevante quale fattore “scatenante” la
grave situazione attuale dell’attore avendo gli stessi ricostruito, con argomentazioni logico
scientifica non scalfite da una diversa ed altrettanto coerente ricostruzione in termini simili,
l’insorgenza altamente probabile della sofferenza neurologica riscontrata alla visita.
E quindi deve ritenersi che i focolai di sofferenza ischemica propri dell’arresto cardio circolatorio,
durato all’incirca dieci minuti, abbiano “attivato” una scarica epilettica in ottava giornata che ha
determinato il grave ed attuale peggioramento delle condizioni psico- fisiche del sig. L.,
impedendogli una ripresa completa delle precedenti funzionalità.
A questo proposito va osservato che, non essendovi elementi desumibili dalla anamnesi
all’ingresso, del preesistere di comportamenti patologici rilevanti in capo all’attore, deve
condividersi l’assunto espresso dai CTU che la compromissione neurologica prestata dal L. fosse
del tutto asintomatica e che non vi sarebbero state conseguenze tanto apprezzabili sulle funzioni
motorie, cognitive e lessicali in assenza dell’evento ischemico ( per la sua genesi disembriogenetica
rispetto alla quale i CTU hanno convincentemente ritenuto si sarebbe verificato un compenso
funzionale da parte dell’organismo, anche se instabile e precario).
Quindi del tutto condivisibile è la tesi in base alla quale solo una modestissima parte – comunque
sussistente ed imputabile alla pregressa patologia - del danno oggi rilevato sia riferibile alla cisti
aracnoidea ed alla atrofia cerebellare, parte individuata nel 20%. Infatti i CTU hanno evidenziato
che a causa della vastità della cisti essa non avrebbe avuto ragionevolmente una storia futura ancora
asintomatica, esponendo comunque il paziente ad una reazione grave in ipotesi di situaizoni
neurologicamente pericolose.
In definitiva la compromissione alla integrità psico fisica rilevato ed accertata dai CTU è pari al
70% di cui 20% imputabile alla pregressa patologia.
Vale solo ribadire che la compromissione della capacità lavorativa e la sua allegata perdita non
costituiscono, per come accertati, danno patrimoniale autonomo rispetto al danno biologico; la
difesa della parte attrice ha allegato tale danno in citazione in modo del tutto generico (in citazione
si legge soltanto un riferimento incidentale alle conseguenze del danno sulla “attitudine al lavoro
”del sig. L., nulla più ( pag. 8 della citazione)) di modo che detta compromissione può essere
ritenuta già ricompresa nella generale compromissione alla attività lavorativa propria del danno
biologico soprattutto quando accertato con i caratteri di gravità propri del caso di specie.
3. La liquidazione dei danni
L’accertamento del postumo permanente in termini di “danno incrementativo” di una patologia
preesistente impone una breve premessa ai fini della sua liquidazione.
Vale richiamare quanto già affermato e del tutto condiviso da questo giudicante dalla sezione prima
del Tribunale sull’argomento. “.. qualunque impostazione e soluzione voglia darsi alle
problematiche proprie del danno iatrogeno incrementativo, comunque si pone la necessità – anche
là dove si segua l’indirizzo di cui a Cass. 15991/2011- di procedere , sotto il profilo della causalità
giuridica, ad una selezione, nell’ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa ,
delle conseguenze considerabili per individuare il danno alla persona oggetto dell’obbligo
risarcitorio a carico del medico operante. Principio che inevitabilmente deve riflettersi anche sui
criteri liquidatori di esso che non possono prescindere dal rilievo che assume la situazione
preesistente sotto due principali profili: a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una
misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come
verrebbe a determinarsi attraverso una pedissequa applicazione di tabelle con punto progressivo,
computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente; b) la liquidazione va
necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le allegazione delle parti, delle
conseguenze negative “incrementative” subite dalla parte lesa. Profili che – ad avviso del tribunale
– nell’ambito del danno iatrogeno difficilmente sono rapportabili ad uno schema rigido
liquidatorio, proprio per la variabilità dei casi: si pensi ai diversi effetti che possono determinarsi
a seconda che la complessiva invalidità, sia la risultante della sommatoria di lesioni coesistenti che
colpiscono diverse funzionalità, ovvero la condotta del sanitario abbia determinato una
concorrente lesione che incide sulla medesima preesistente disfunzianiltà. Distinzione, anche
questa, certo non risolutiva ove si consideri che anche fatti negativi riguardanti funzionalità
diverse possono risolversi non in una mera sommatoria di distinti effetti negativi – da valutarsi in
via autonoma ai fini risarcitori - ma possono comportare un effetto pregiudizievole sinergico, tale
da incidere sulla concreta conduzione di vita della parte elsa, a seconda dell’età, del tipo di vita ,
della sua condizione familiare ecc..
Già questo Tribunale ha avuto modo di evidenziare che il dato relativo concernente la misura
differenziale , coerentemente con i principi sovra espressi , va considerato nel suo rilievo di base e,
quindi, adeguatamente rimodulato in considerazione della vicenda clinica e della situazione
concreta della parte lesa, sotto ogni profilo rilevante attinente ai riflessi sulla sua integrità psico-
biologica, al condizionamento e al pregiudizio dello svolgimento delle sue attività areddituali, ad
ogni ulteriore aspetto morale che concorre a descrivere il danno non patrimoniale. Ciò,
necessariamente, sulla base delle risultanze e delle allegazioni anche presuntive offerte dalla parte
(va ricordato, infatti, che il danno non patrimoniale anche quando sia determinato dalla lesione di
diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato,
con la conseguenza che la parte lesa dovrà comunque allegare tutti gli elementi idonei a fornire,
nella concreta fattispecie, la serie concatenata di fatti che permettano di presumere e individuare i
vari profili di danno(Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26973, n. 9528/2012).Tale rimodulazione
risponde a quella esigenza di “personalizzazione” del danno che la stessa Suprema Corte, pur
riaffermando l’utilità-in difetto di criteri di legge- dell’applicazione delle Tabelle, specificatamente
del Tribunale di Milano , pur tuttavia pone ripetutamente quale operazione imprescindibile” (
Presidente Bichi sent. 8447/2013).
Del resto la citata pronunzia della Suprema Corte distingue le peesistenze in due differenti categorie
e quella presente nel sig. L. appare appartenere alla seconda delle categorie ivi individuate (“
dall'altro quelle in cui il danneggiato già presenti, prima dell'evento dannoso, una reale e
conclamata patologia, tale (in base a prova da fornirsi dal danneggiante, anche attraverso la
documentazione di quella complessa vicenda relazionale che conduce al cd. Consenso informato)
da rendere le conseguenze dell'evento rigorosamente configurabili, sul piano probabilistico, alla
stregua di un aggravamento dello stato patologico pregresso (o della perdita di chance di evitare o
differire la degenerazione della situazione preesistente): in tal caso, la valutazione del quantum
risarcitorio, con un suo eventuale adeguamento alla situazione de qua, deve ritenersi astrattamente
legittimo, pur se l'eventuale riduzione del risarcimento dovrà seguire un iter ben preciso, non
potendosi né ipotizzarne una automatica riduzione, né una quantificazione secondo un criterio
strettamente proporzionale, espresso, cioè, in termini strettamente percentualistici della
conseguenza naturale rispetto alla conseguenza dannosa imputabile”.
Nel caso di specie è significativo il fatto che il grado di lesione permanente attuale appare grave ma
non comportante il totale azzeramento delle attività della persona che interagisce con le persone in
modo critico, è in grado di esprimere una discreta autonomia nella mobilità e mantiene funzioni
cognitive relativamente valide; l’influenza che deve essere comunque riconosciuta alla pregressa
situazione invalidante nella misura del 20%, è –rispetto al complesso della situazione esistenziale
dell’attore – di non relativa marginalità, giacché l’aggravamento successivo ha reso attivo e
progressivamente in maggior peggioramento le capacità di espressione della personalità e della vita
di relazione dell’attore, persona di età adulta ma con una rete di relazioni significative anche
familiari ed una operatività anche nel mondo del lavoro che, sulla scorta di quanto rilevato dai
consulenti dell’ufficio con alta probabilità si sarebbero potute verificare anche se ragionevolmente
con minore gravità ed intensità.
Sulla base delle tabelle equitative milanesi, (assunte a ragionevole parametro di riferimento
secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, cfr Cass. sentenza n. 12408 del
7.6.2011).l’invalidità del 70% per una persona dell’età del sig. L. ( 45 al 17.5.2010) individua un
danno base di 619.590,00 euro, comprensivo anche del cd danno morale, nella specie senza dubbio
sussistente in termini di sofferenza per l’evento traumatico vissuto e per il manifestarsi delle sue
inaspettate conseguenze.
In considerazione tuttavia della diminuzione da riconoscersi per la autonoma e pregressa situazione
di invalidità del 20% ( e del parametro tabellare per essa prevista ) e in riferimento alla applicazione
di una adeguata personalizzazione del danno ( che la parte attrice ha documentato attraverso le
produzioni allegate alla memoria 183 sesto comma n. 2 c.p.c. in relazione al vissuto amicale e
familiare nonché lavorativo compromesso), ritiene il tribunale di poter riconoscere l’importo
complessivo di euro 700.000,00, importo che tiene conto di ogni profilo del danno, anche sotto il
profilo della valutazione afflittiva morale soggettiva e della ridotta attitudine alla attività lavorativa.
Non risultano documentate spese.
Quanto all’invalidità temporanea i CTU hanno individuato un periodo di mesi quattro al 100% e di
mesi due al 75%; per tale periodo si liquidano complessivamente euro 23.925,00 ( sulla base del
parametro pro die di euro 145,00 di cui alle richiamate tabelle da individuarsi nella sua misura
massima anche in ragione del calcolo su di esso della rilevante sofferenza morale nel periodo di
ospedalizzazione e immediatamente successivo).
Su tale complessivo importo di euro 723.925,00 liquidato al valore attuale della moneta non
possono essere riconosciuti i c.d. interessi (legali) compensativi con decorrenza dall’illecito (alla
luce dell’insegnamento risalente a Cass. Sez. Un. 17/2/1995 n.1712), giacché si verte in tema di
debito di valore. Si ritiene tuttavia, in considerazione del lasso di tempo trascorso dall’illecito (7
anni), che vada riconosciuta al danneggiato un’ulteriore somma a titolo di lucro cessante provocato
dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili (e conseguentemente dalla
mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante ai danneggiati), potendo
ragionevolmente presumersi che il creditore ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della
somma spettante l’avrebbe certamente impiegata in modo fruttifero. Ai fini della liquidazione
equitativa del lucro cessante derivato dal mancato tempestivo risarcimento per equivalente si ritiene
di far ricorso al criterio degli interessi legali da calcolarsi sull’importo riconosciuto e “devalutato”
fino all’illecito e poi “rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi legali fino alla
decisione giudiziale ovvero sul capitale “medio” rivalutato, adottati dalla giurisprudenza.
Sulla somma risultante, corrispondente all’intero danno risarcibile liquidato a parte attrice, sono
altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo e con decorrenza dalla data della presente
pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.
Il consenso informato
Parte attrice ha anche lamentato l’assenza di consenso informato, chiedendo il risarcimento del
danno relativo alla sua violazione.
La violazione è stata ricondotta sia alla lesione del diritto alla salute, sotto il profilo della mancanza
di consenso alla esecuzione del trattamento sanitario, sia alla lesione del diritto alla
autodeterminazione.
Vale preliminarmente osservare che la principale doglianza, attinente alla assoluta mancanza di un
valido consenso informato, è stata superata dalla produzione da parte della convenuta del modulo di
consenso all’intervento chirurgico , debitamente sottoscritto dal paziente.
La sua lettura evidenzia che al paziente era stato ben rappresentato il tipo di intervento al quale
sarebbe stato sottoposto nonché le varie possibili complicanze tra le quali la possibile emorragia.
Ciò che impone, tuttavia, il rigetto della domanda è il rilievo dell’assenza di idonea allegazione in
ordine al danno patito. Invero la pur in ipotesi accertata violazione del diritto alla salute, sotto forma
di mancanza di espressione di valido ed informato consenso, o del diritto alla autodeterminazione,
sotto il profilo della libertà di scelta in ordine alle cure cui sottoporsi, impone che la parte,
quantomeno sotto il profilo della stretta allegazione, evidenzi il concreto profilo di danno patito non
potendosi in alcun modo ritenere sussistente un danno “in re ipsa”.
Orbene nel caso che oggi occupa il Tribunale manca del tutto una allegazione sotto il profilo del
patito danno; parte attrice non ha allegato né che, in ipotesi prospettandosi un’evenienza come
quella che si è in concreto verificata, non si sarebbe sottoposta ad intervento ( peraltro di cura
essenziale) o non si sarebbe sottoposta a quel determinato tipo di intervento né ha allegato di avere
patito una particolare sofferenza per la lesione del diritto alla autodeterminazione.
Ne consegue che la domanda va respinta.
La regolamentazione delle spese di lite
Le spese di lite nei rapporti tra l’attore e convenuta seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo in relazione al valore della causa come determinato in sentenza.
Le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento, devono essere poste definitivamente a
carico della convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione
disattesa, così provvede:
1) In parziale accoglimento delle domande di parte attrice, condanna l’Ospedale F. O. a risarcire
il danno cagionato a A. L. , liquidato in euro 723.925,00 , oltre interessi come in motivazione
determinati dal fatto alla odierna liquidazione, oltre interessi al tasso legale dalla data della
presente pronuncia sino al soddisfo;
2) Condanna l’Ospedale F. O., a rimborsare all’attore le spese di lite, che liquida in complessivi
10.709,00 per compensi oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali al 15% come per legge; oltre spese per
contributo unificato.
3) Pone definitivamente a carico della convenuta le spese di c.t.u, già liquidate con separato
provvedimento;
Milano, 4 settembre 2017
Il Giudice
Valentina Boroni