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Revolutionary Intervieinterview... · ha permesso a quest ultimi di immaginare un percorso...

Date post: 16-Feb-2019
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Revolutionary Interview I Cantieri di Revolutionary Road #OltreLaCrisi All’interno i racconti di Giovani Imprenditori che hanno scelto di partecipare al Cantiere “Racconti di Lavoro creato” e che ringraziamo per il loro contributo. L’obiettivo principale dei Cantieri è quello di diffondere e amplificare la “Cultura del lavoro Creato e della creazione di lavoro”. Nel corso di questi mesi, a partire dal marzo del 2016, giovani imprenditori hanno raccontato il loro percorso e messo a disposizione della comunità le loro storie. L’incontro Fra i Giovani Imprenditori e gli Studenti di alcune classi delle scuole superiori di Gallarate ha permesso a quest’ultimi di immaginare un percorso innovativo dedicato alla creazione di impresa. 17.03.2017
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RevolutionaryInterview

I Cantieri di Revolutionary Road #OltreLaCrisi

All’interno i racconti di Giovani Imprenditori che hanno scelto di partecipare al Cantiere “Racconti di Lavoro creato” e che ringraziamo per il loro contributo.

L’obiettivo principale dei Cantieri è quello di diffondere e amplificare la “Cultura del lavoro Creato e della creazione di lavoro”.

Nel corso di questi mesi, a partire dal marzo del 2016, giovani imprenditori hanno raccontato il loro percorso e messo a disposizione della comunità le loro storie.

L’incontro Fra i Giovani Imprenditori e gli Studenti di alcune classi delle scuole superiori di Gallarate ha permesso a quest’ultimi di immaginare un percorso innovativo dedicato alla creazione di impresa.

17.03.2017

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Daniele Somenzi

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Come hai deciso di diventare imprenditore? Cosa facevi prima?

È stata una serie di eventi concatenati, non è che io abbia effettivamen-te pensato di diventare imprenditore, tanto che la definizione di “che cosa sono io, che cosa faccio” è sempre stata nel corso del tempo in evoluzione.All’inizio mi definivo più come educatore, piuttosto che tutor, come oggi è formalmente più corretto, piuttosto che tutta un’altra serie di definizioni, tra cui anche “non psicologo”… Solo oggi, dopo 7 anni della nostra attività (abbiamo iniziato nel 2010) posso definirmi “imprenditore”, in quanto il mio ruolo è diventato più dirigenziale, anche se mi tengo ancora degli spazi per lavorare con gli educatori e sulla formazione.

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Sono laureato magistrale in psicologia dello sviluppo e dei processi educativi all’università Bicocca, e per una serie di eventi fortuiti, l’anno in cui io ho conseguito la laurea triennale, si è aperta questa possibilità, all’interno dell’Università Bicocca, di formarmi sull’apprendimento e i disturbi specifici correlati. Mi sono accorto in realtà in quel momento che, dal punto di vista pro-fessionale, quello verso cui io tendevo era più orientato all’ambito edu-cativo che all’ambito psicologico-clinico. Quindi ho colto l’occasione di questo percorso interfacoltà che si stava attivando e mi sono iscritto. Mi sono sentito molto in sintonia con questo percorso di studi.

Sono sempre stato educatore in oratorio e ad un certo punto una mam-ma mi ha chiesto di seguire suo figlio che aveva un disturbo specifico dell’apprendimento, con diagnosi di dislessia. Volevo fare un lavoro che non fosse semplicemente legato ai compiti, anche se era il tipo di aiuto che mi veniva richiesto, ma che fosse basato sull’utilizzo delle modalità degli specialisti applicate ai compiti di tutti i giorni, in modo da aiutare il bambino a sviluppare delle competenze legate allo studio ed all’ap-prendimento, vivendole da subito come utili.Ho chiesto consiglio ad uno dei miei docenti e lui mi ha suggerito di andare a parlare sia con gli insegnanti della scuola che con il servizio di neuropsichiatria di riferimento. I medici mi hanno fatto presente che c’erano anche altri bambini con esigenze simili. Ho quindi pensato di costituire un gruppo di lavoro, con alcuni amici sia dell’università che dell’oratorio: eravamo in cinque, avevamo due aule che ci venivano messe a disposizione gratuitamente e dove abbia-mo allestito un piccolo laboratorio di computer. Abbiamo organizzato un primo evento, a cui abbiamo invitato alcune famiglie. Ci siamo trovati quindi ad avere tre ragazzi con cui abbiamo iniziato a lavorare.

Dopo 6 mesi una delle ragazze che seguivamo è andata via e noi abbia-

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Parole InsiemeParole Insieme

mo pensato che fosse finito tutto. Invece nel frattempo scuola e spe-cialisti ci stavano osservando per capire come operassimo e attraverso il passaparola e i contatti hanno quindi cominciato ad arrivare i primi ragazzi.

L’idea iniziale era di fornire un aiuto, un servizio a delle persone che ci chiedevano una mano e di farlo nella maniera migliore possibile (del resto stavamo ancora studiando), avevamo bene in mente il nostro obiettivo: l’autonomia, ma non sapevamo bene cosa avremmo fatto per raggiungerla. È stata una cosa che si è sviluppata ed è cresciuta pro-gressivamente. All’inizio del secondo anno seguivamo 30 ragazzi, alla fine del secondo anno ne avevamo 100, poi 130… e adesso 200. Gli spazi li avevamo, i clienti arrivavano (e comunque il rapporto con i collaboratori è sempre stato chiaro a riguardo: il lavoro c’era nella misura in cui c’erano i clien-ti, sono sempre stato molto trasparente), gli aspetti burocratici li abbia-mo sbrigati abbastanza agevolmente, anche con l’aiuto di mia madre che ci ha supportato…. La difficoltà era quella di prendere forma, di definirci, capire chi eravamo e che lavoro stavamo facendo (nonostante ora siamo più strutturati, stiamo continuando a definirci e ad acquisire competenze che siano nostre…).Il momento vero in cui ho realizzato che era il mio lavoro è stato dopo il terzo – quarto anno, quando ho capito che si trattava di un’attività che mi prendeva un numero di ore superiore alle 30-40.

In questo percorso imprenditoriale, è stato importante fare parte di un gruppo di persone? Pensi che ce l’avresti fatta da solo?

No, non mi vedo da solo. Tutto il lavoro è sempre stato vissuto insie-

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me, è importante secondo me il contributo di diverse persone e diversi ruoli, sia in fase di progettazione degli interventi che di sviluppo delle attività quotidiane. Scambio e confronto danno valore aggiunto al per-corso, sia ai ragazzi che a noi stessi educatori. Come avete iniziato formalmente? Avete costituito una società?

Siamo andati da un commercialista che mi ha consigliato di iniziare io, che ero la persona più coinvolta nelle attività, ad aprire una partita IVA. Gli altri che lavoravano di meno si agganciavano a me con presta-zioni di natura occasionale.Ora siamo uno studio professionale, con alcuni collaboratori a partita IVA, alcuni dipendenti ed alcuni con incarichi occasionali.Nel passato abbiamo avuto un organico anche un più grandi, nel tem-po però inserire nuovi collaboratori è sempre stato più difficile perché il nostro stile di lavoro va insegnato e ci vuole del tempo. All’inizio proponevo a diverse persone di venire e provare a collaborare con noi. Adesso è molto più difficile entrare, sono richieste molte più com-petenze, sia tecnico - professionali che soprattutto umane, legate alla passione, alla disponibilità ed alla voglia di mettersi in gioco ed alla flessibilità.

Quali sono state le difficoltà più grosse in fase di avvio dell’attività? Quali problemi avete incontrato?

Aver avviato l’attività durante il mio percorso universitario ha sicu-ramente comportato alcune difficoltà, è stato un periodo difficile ed impegnativo, specie nel periodo di elaborazione della tesi.All’inizio comunque, come ho già detto, non pensavamo che questa attività, che abbiamo deciso di chiamare “Parole Insieme”, sarebbe stata

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la nostra unica attività. Stavamo ancora studiando, io avevo 27 anni ed ero il più vecchio, eravamo “giovani ed incoscienti” e pensavamo che avremmo fatto anche altre cose. Non avevamo quindi un’aspettativa legata a grandi numeri, non ci aspettavamo neanche che diventasse un vero e proprio lavoro. Non è una vera difficoltà ma la paura connessa al “normale” rischio imprenditoriale, la percepisco molto di più adesso, che siamo molto più strutturati, con 14 dipendenti e spese fisse. Mi rendo conto che oc-corre raggiungere determinati volumi infatti per riuscire a mantenere il lavoro per tutti. Non abbiamo mai fatto una vera e propria campagna pubblicitaria per trovare nuovi clienti, ci basiamo molto sul passaparola dei clienti soddisfatti e sulla condivisione della relazione, non solo con la famiglia ma anche con la scuola e con gli specialisti. Questo consente non solo al ragazzo di sentirsi al centro del progetto ma di attivare una rete di relazioni molto importante, sia ai fini dell’efficacia del progetto specifi-co stesso che ai fini della valorizzazione e visibilità della nostra attività.La qualità e la personalizzazione vera dei progetti, strutturati sulle esigenze di chi si ha di fronte, da un lato è più importante del raggiun-gimento di grandi numeri, dall’altro è proprio una delle condizioni che consente di sviluppare l’attività. Ad esempio, quest’anno ci hanno chiesto di fare un doposcuola rivolto a 60 ragazzi. La cosa mi sembrava troppo grossa per noi, anche perché si trattava di una scuola grande, che non conoscevo bene. Ho quindi concordato con l’associazione genitori che ci aveva fatto la richiesta di cominciare con 30 ragazzi, in modo da poterla progettare, realizzare e monitorare con cura, lasciandoci poi eventualmente la possibilità, nel caso fosse andato tutto bene, di ampliarlo successivamente. Dopo i primi tre mesi, in cui abbiamo acquisito delle prassi, individuato bene i nostri spazi e le modalità di collaborazione con la scuola, siamo passati a 50 ragazzi. Si tratta di un’esperienza che si sta rivelando molto posi-tiva, tanto che l’associazione genitori ci ha chiesto di farlo anche per

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l’anno prossimo, con le preiscrizioni dovremmo quindi arrivare a circa 80-90 ragazzi. L’anno prossimo, in un percorso di crescita, ci piacereb-be integrare il lavoro sui compiti con dei Laboratori dedicati al metodo di studio.Nel tempo si è evoluta la vostra offerta?

Il nostro obiettivo è quello di aiutare ragazzi con o senza disturbi speci-fici dell’apprendimento a diventare più competenti in alcuni ambiti scolastici come il metodo di studio, considerano non solo gli aspetti didattici ma anche quelli legati allo sviluppo di competenze generali e quelli emotivi (è importantissimo in questo senso il matching in fase di progettazione ed il rapporto tra educatore e ragazzo). Nel corso del tempo siamo aumentati, adesso siamo circa 200 ragazzi e 25 educatori e la nostra proposta si è arricchita di diversi servizi, basati proprio sulle richieste ed esigenze che ci venivano poste, dal doposcuo-la alle diverse tipologie di Laboratori, non solo sui metodi di studio, ma dedicati a tutti gli anni scolastici, anche uno recente dedicato alla quinta superiore.Noi lavoriamo con bambini delle elementari e ragazzi delle medie e delle superiori, anche se il nostro target principale comunque è tra le medie ed i primi anni delle superiori. Si tratta del periodo in cui emer-ge il maggior bisogno di lavorare sul metodo. Ogni anno sviluppiamo con i ragazzi che seguiamo un progetto diver-so, dandoci degli obiettivi specifici, in relazione alle competenze che è importante che consegua in quel momento (es. autonomia, risoluzione dei problemi, produzione del testo, ...), monitorandone il risultato e ri-tarando il progetto nel corso del tempo. Di solito i ragazzi vengono qui da noi un paio di volte alla settimana, tra gli obiettivi c’è proprio anche il fatto che abbiano la possibilità di sperimentarsi a casa, svilup-pando competenze per l’autonomia, che costituisce il macro obiettivo finale.

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Questo ampliamento, questa diversificazione dei servizi ha comportato un’esigenza di ampliamento degli spazi? Di realizzare degli investimenti?

Non abbiamo mai utilizzato finanziamenti, l’investimento iniziale è stato minimo perché abbiamo sfruttato delle occasioni: questi spazi sono di un’immobiliare che ce li dà in comodato d’uso, all’inizio si trattava solo di due locali impolverati che loro non utilizzavano, dopo di che ci siamo ampliati e, volendoci rendere autonomi, abbiamo fatto un accordo diverso, che prevede il pagamento delle spese. I computer li abbiamo recuperati da una persona che li stava dismettendo. L’inve-stimento è stato necessario successivamente, nel corso del tempo ed è stato realizzato autotassandoci, cioè destinando una parte dei compen-si all’acquisto di strumenti, quali computer e software.

Come funziona l’equilibrio tra vita personale e attività im-prenditoriale?

All’inizio ero quasi l’unico ad avere una formazione specialistica - edu-cativa, didattica e strumentale - che occorre declinare nel lavoro di tutti i giorni: la rete dei collaboratori aveva me come nodo centrale. La linea didattica/educativa passava da me e andava definita. Questo impegna-va molto tempo. Anche oggi il tempo impiegato è moltissimo: occorre darsi delle regole per evitare il lavoro a casa quando non è strettamente necessario, cioè per far fronte ai periodi in cui il carico di lavoro è mol-to impegnativo, che sono comunque prevedibili. Non ci sono veri e propri momenti tranquilli ma ci sono periodi in cui non ci sono contatti esterni, in cui siamo chiusi e in cui si riescono a fare attività importanti di back office. Inizio a lavorare molto presto, la mattina prevalentemente giro nelle

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scuole ed il pomeriggio fino alle 20 siamo aperti per i ragazzi. C’è stato comunque un punto di svolta quando è nata mia figlia che quest’anno compie 4 anni. C’è stato un momento di riorganizzazione, che ha coinvolto sia me, che mia moglie (che collabora con me sin dall’inizio e si occupa della parte amministrativa) e che credo sia stato molto positivo anche per Parole Insieme. E’ meglio per tutti non avere impegni dopo le 20...Ci sono dei momenti in cui decido in ogni caso di prendermi degli spazi, ad esempio di non rispondere al telefono, ma poi quando sono a Parole Insieme, sono molto focalizzato sul io obiettivo. Ho delegato alcune funzioni importanti: per esempio i progetti non partono da me, c’è una psicologa che se ne occupa; le attività giornalie-re e anche quelle che svolgiamo nelle scuole sono gestite da dei “Ma-ster”, responsabili della giornata. Io continuo ad essere il riferimento per la comunicazione esterna, faccio un po’ da trait d’union con la scuola.

Che consigli daresti ad una persona che sta valutando se avviare un’attività imprenditoriale?Tre cose sono importanti secondo me: la prima è proporre un prodot-to/servizio di grande qualità e per il quale si ha passione; la seconda è la relazione: parlare con il cliente, capire cosa vuole e cosa si può davvero dargli; la terza è darsi tempo. I risultati non arrivano subito, bisogna darsi due o tre anni per valutare i risultati.È utile anche essere un po’ incoscienti… Noi nel corso del tempo ci siamo strutturati molto, all’inizio abbiamo lavorato con un bisogno di altissima flessibilità, adeguandoci alle risorse scarse che avevamo. Oggi sembra impensabile.Poco tempo fa mi hanno proposto di parlare ad una serata del con-cetto di cura; cura dei progetti e di cura dei ragazzi. Pensando al mio

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intervento mi sono detto che ci sono stati segnali nella mia vita che mi hanno guidato e che mi hanno guidato fino a qua. E’ importante saper cogliere i segnali per sviluppare un’idea ed un progetto imprenditoriale che sia sempre più in grado di connotarsi e connotarti. È importante anche cogliere le opportunità, non farsi spaventare da cose che sembra-no troppo grandi ma capire come dividerle in attività e pensarle una alla volta.

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DeborahArmiento

La zucca di Cene-rentola

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Cosa faceva prima? Come mai ha deciso di aprire un’attivi-tà?

Mi sono laureata in Scienze Biologiche, lavoravo in Siemens a Milano, nel settore biomedicale. Era un lavoro molto diverso, in tacchi, tailleur e valigetta. Fare la pendolare mi stressava molto e la città non mi piace-va, secondo me non aveva un buon odore… Ho iniziato nei weekend a ritagliarmi un po’ di spazio proprio per farmi un mio piccolo orticello, avevo preso un terreno in affitto. Era uno svago di cui avevo bisogno, al termine di una settimana di lavoro stressante. Mi sono accorta che quando stavo nel mio orticello stavo proprio bene. Il primo anno che l’ho fatto ho iniziato a coltivare queste zucche perché avevo un’altra necessità: in tutti i viaggi che facevo avevo iniziato a raccogliere semi di zucca. Le zucche sono il mio vegetale

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Deborah Armiento

preferito, ce ne sono di tantissimi tipi, di diverse forme e sapori. Avevo ormai fatto una collezione di circa 60 zucche e dato che i semi non du-rano per sempre, mi sono detta che dovevo iniziare a coltivarli per non farli andare a male. Le zucche sono venute così bene che ho dovuto chiamare un signore con il trattore per portarle a casa, erano tantissi-me ed enormi.La vita da pendolare nel frattempo era diventata davvero troppo stressante e quindi ho lasciato il lavoro in Siemens con l’intenzione di provare a trovare un lavoro più vicino. Era però già iniziato il periodo di crisi economica e quindi ho trovato solo contratti temporanei. Co-munque l’attività di ufficio mi stava stretta.Allora ho pensato di provare ad aprire un’azienda agricola, tanto i contratti che avevo non davano particolare sicurezza. Mi sono detta, quello che produco non va sprecato, male che vada, ce lo mangiamo io e la mia famiglia.

Come ha iniziato?Nel 2010 ho preso dei terreni in affitto, è stato molto difficile trovarli perché quei pochi che ci sono in questo territorio, che è molto antro-pizzato, sono già coltivati da agricoltori. Si è trattato un po’ di pregare qualcuno di loro di lasciarmi dei pezzettini marginali che magari a loro non servivano oppure recuperare dei terreni che richiedevano troppo lavoro per essere recuperati. Il primo anno è stato davvero impegnati-vo, tra disboscamenti e cominciare a impiantare i frutteti. Mi sono subito orientata ad un tipo di agricoltura biologica, quello che produco lo mangio anch’io, figurati se vado ad avvelenarmi da sola. E inoltre anche a quei vegetali e frutti antichi, che non si usano più, che non si trovano nel vivaio dietro casa ma che sono particolari, sono più resistenti e, se da un lato ci mettono molto di più ad andare a fruttifica-zione (di solito basta un anno, invece per queste piante ne servono an-

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La zucca di Cenerentola

che quattro) ma poi producono molto più a lungo, anche 40 – 60 anni, e non solo per una decina d’anni come le altre. È difficile trovarle, ci sono solo due- tre vivai grandi in Italia che le innestano e sono anche molto più costose di quelle normali, in quanto richiedono un mag-gior lavoro di ricerca. È anche il gusto della biodiversità ed il senso di proporre qualcosa di diverso dalle varietà e dai prodotti che si trovano nei supermercati. Per esempio nei supermercati ci sono in genere 4-5 varietà di mele, il catalogo del vivaio da cui mi servo io ne ha 200, tutti con colori, gusti e profumi diversi. Nella sola Francia nei primi del 900 le mele catalogate erano 2000. Certo questo tipo di agricoltura è più complicato, devi ottenere le cer-tificazioni, non puoi prendere scorciatoie, se capita qualcosa alle piante non è che puoi usare il primo farmaco. È una scelta etica in primo luo-go, per mangiare bene e per l’ambiente. Ho piantato meli che continue-ranno a produrre, anche se non dovessi esserci più io.Ho iniziato subito anche con il laboratorio di trasformazione. Era un’esigenza intanto per poter utilizzare tutta la produzione, anche la frutta e la verdura che non viene bellissima, magari un po’ ammaccata. Mia madre ha sempre fatto tutto lei in casa, confettura, succhi di frutta, conserve con i vegetali e quindi lo sapevo già fare. Inoltre è importante anche per poter avere una vendita invernale, se non si hanno tunnel riscaldati (che costituirebbero una spesa notevole) altrimenti ci si limi-ta solo ad una stagione, invece occorre continuità anche con i clienti. Prima mi sono appoggiata ad un laboratorio in cui facevano tutt’altro, lo affittavo per alcuni giorni alla settimana, poi alla fine ho deciso di aprirne uno tutto mio, anche se minuscolo.Mi sono sempre più specializzata nei prodotti, all’inizio facevo le con-fetture normali, quella di mele, quella di pesche, poi, visto che comun-que le faccio io e mi annoio a fare sempre le stesse cose, ho cominciato a provare altre cose, come le confetture di fiori, poi ho scoperto che mi piaceva anche tanto coltivare i fiori, poi ho iniziato anche a fare gli sci-roppi salutari, vedendo le diverse proprietà dei fiori, spostandomi un

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po’ sul versante del benessere. Quest’anno invece ho aggiunto la frutta essiccata e le tisane, sempre solo con i miei prodotti. Ho inoltre recintato tutti i miei terreni con piante da bacche selvatiche autoctone, in modo sia da produrre cibo per la fauna selvatica che da avere poi io le bacche da poter trasformare, un tempo erano presenti nella dieta dei contadini del nostro territorio. Poi mi sono specializ-zata sulle rose, adesso ho una ventina di rose antiche tutte profumate per fare confetture e sciroppi. Ogni anno è un evoluzione, si aggiunge qualcosa, a parte gli alberi da frutta, per i quali ormai sono arrivata ad essere piena, non ho più spazio.Ho aumentato i terreni rispetto all’inizio dell’attività e inoltre con il mio metodo di agricoltura, che è l’agricoltura sinergica, si ottimizza molto l’uso dello spazio, anche se questo crea difficoltà nei rapporti con le istituzioni, in quanto fanno riferimento all’agricoltura classica, dove si può avere soltanto un tipo di coltivazione. Ad esempio io ho il frutteto ma tra gli alberi c’è anche l’orto e questo invece non viene rico-nosciuto, creando difficoltà per quanto riguarda il calcolo delle Unità Lavorative Annue (ULA) che danno diritto ad una serie di benefit. Per esempio per diventare imprenditore agricolo professionale, che ti consente di accedere a determinati finanziamenti, devi averne 1600 annue. Si tratta qui di una cosa nuova, ma è funzionale rispetto ad una situazione di scarsità di terreni. Per poter arrivare a quell’ammontare si tende ad ingrandire ma non ha senso per un tipo di agricoltura come quella che pratico io, senza neanche trattori. Dovrebbero prevedere modalità di calcolo differenziate in relazione ai diversi tipi di agricoltu-ra che si possono praticare.

È stato necessario ricorrere a finanziamenti all’inizio?

All’inizio ho utilizzato i miei risparmi, poi ho fatto il grande sbaglio di

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ricorrere all’incentivazione per i giovani agricoltori. Erano 10.000 euro ma mi hanno fatto sputare sangue… se tornassi indietro non lo rifarei. Intanto ho dovuto spendere circa 3000 euro per la fidejussione, inoltre avevo il controllo dei funzionari della provincia 2- 3 volte l’anno e dato che non concordavano con i miei metodi di coltivazione erano sempre problemi, con il rischio di doverli restituire nel caso di una valutazione negativa. I funzionari non erano esperti di agricoltura sinergica, una volta volevano venire a controllare la produzione a novembre… cosa pensavano di vedere?Per rispondere alle loro richieste ho acquisito comunque ulteriori campi ma erano troppi per me da sola, non riuscivo a gestirli bene. I soldi che sono avanzati li ho usati per pagarmi l’INPS per i primi due anni, si trattava di più di 2.500 euro all’anno, anche questo abbastanza assurdo per uno che ha appena iniziato.L’associazione di riferimento, per me la CIA, dice che oggi le procedure per richiedere e gestire i finanziamenti sono ancora più complicate.Successivamente ho richiesto un altro finanziamento, avvalendomi, tramite la CIA; di un bando europeo, che promuoveva il ripristino del-le siepi di recinzione. Una volta c’erano ovunque queste zone tampone, utilizzate anche come zone d’ombra per il riposto dei contadini, poi con l’avvento dei grandi trattori, sono state eliminate perché improdut-tive. Ci si è resi poi conto che la fauna selvatica, non trovando più nu-trimento in quelle siepi mangiavano il raccolto. Tra l’altro a me serviva proprio, in molti dei paesi qui intorno non è più possibile recintare, almeno mi sarei fatta le siepi. Anche in questo caso di sono stati molti controlli, anche dopo molto tempo.Successivamente ho utilizzato la possibilità di finanziamento, sempre legato ai programmi di aiuti europei, riferito al “rimborso del bio”, che ti consentiva di ottenere il rimborso, IVA esclusa, delle spese di certi-ficazione che occorre sostenere ogni anno. L’anno scorso però questo finanziamento non c’è stato, quest’anno non si è ancora capito se ci sarà. E comunque sembra sia molto difficile ottenerlo.

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Adesso io mi sto trovando molto bene con i bandi della Camera di Commercio, sono semplici, me li faccio da sola, prevedono il rimborso del 40% e comunque fino a 1000 euro delle spese sostenute. Anche il laboratorio di trasformazione è certificato biologico e quindi la spesa è consistente.Ci sono diversi enti autorizzati alla certificazione biologica, con rap-porti più o meno forti con le diverse multinazionali del biologico e tra l’altro con la possibilità di utilizzare, in caso di gravi problemi, prodotti chimici in deroga, continuando comunque a vendere i prodotti come bio. Ci sono invece prodotti naturali, metodi di coltivazione specifica. Il problema è che il consumatore non sa quali sono queste differenze, non è in grado neanche di capire il rischio che comportano i prodotti con etichette pressoché inesistenti o fatte da hobbisti, che è molto pe-ricoloso! Sarebbero importanti opere di informazione più vaste! Io nel mio piccolo provo a farlo con i miei clienti.A me tra l’altro sembra assurdo che siano gli imprenditori biologici ad essere certificati, dovrebbero essere gli altri a dover chiedere l’autoriz-zazione a vendere malgrado i prodotti chimici che usano….Inoltre occorrono i permessi dell’ASL per il laboratorio di trasforma-zione. I regolamenti europei in merito sono complessi ed oggetto di possibili diverse interpretazioni da parte delle diverse ASL. Io mi sono invece studiata il regolamento europeo, quando sono venuti a control-lare hanno avuto un po’ da ridire ma non hanno potuto opporsi. Ad esempio il regolamento europeo dice che le pareti devono essere lava-bili, non necessariamente piastrellate… io ho messo il linoleum, atossi-co, economico e facilmente lavabile. In questo l’associazione di catego-ria non aiuta, invece sarebbe importante. Io peraltro ho gli strumenti culturali per leggere ed interpretare regolamenti e bandi. Certo ci sono società di consulenza che ti possono aiutare a rispondere ai bandi, farti l’HACCP, ecc. ma sono molto care! Le associazioni di categoria invece si limitano ad un po’ di assistenza per i bandi di Regione Lombardia (sempre meno) e a farti la contabilità. Ci sono reti informali di autoa-

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iuto a volte tra piccoli imprenditori più o meno informati.All’inizio ho trovato i clienti tramite il passaparola, facevo molti più mercatini, oggi meno, anche perché almeno il sabato pomeriggio e la domenica voglio stare con la mia famiglia. Poi adesso utilizzo il sito, anche se non riesco spesso ad aggiornarlo

.È da sola? È difficile gestire la sua attività da sola?

Per ora sono sola, per fortuna ho trovato però adesso un paio di per-sone che sono interessate a collaborare, per ora mi danno una mano ma stiamo pensando a come ufficializzare la cosa. Mi piacerebbe avere qualcuno che possa essere socio e prendere decisioni come me. Da soli è molto difficile, io prima riuscivo a gestire molto meglio le cose anche perché facevo orari assurdi ma adesso ho una bambina di tre anni…Quando ho avuto la bambina c’è stato un crollo totale della mia attività, non riuscivo a fare niente, tra l’altro ho avuto una gravidanza difficile, con nausea forte, non potevo lavorare nel laboratorio. Poi quando è nata, pensavo sarei riuscita a fare di più ma l’impegno della bambina era molto forte. Per sei mesi prima e sei mesi dopo la nascita tutta l’attività praticamente si è bloccata. E anche adesso i ritmi non possono essere più quelli di prima, torno a casa sempre non prima delle 19 -20 ma almeno sto un’ora con mia figlia. Da sola sta diventando difficile, anche perché adesso stanno andando in produzione tutte le piante che ho piantato negli anni, la mole di lavoro è aumentata. In realtà si tratta di fare tante cose diverse: devi coltivare, raccogliere, trasformare e promuovere e vendere. Se poi fai anche dei bandi… ci perdi dei giorni, sono talmente complessi…

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Come vede il futuro dell’azienda?

Oltre a trovare dei soci, in modo da poter gestire meglio tutte le atti-vità, adesso sto facendo anche un corso per diventare fattoria sociale, molte persone quando vengono da me dicono che si sentono molto bene, ed in effetti stare nella natura fa davvero bene a me e agli altri. L’obiettivo è quello di espandersi su un paio di attività che possono essere facilmente gestibili da persone disabili, in modo da poterli includere lavorativamente. Se venisse fatto bene, l’abbinamento tra l’agricoltura ed il sociale sarebbe davvero una buona cosa, perché da un lato queste persone ne avrebbero un grande beneficio, potrebbero aumentare la loro autonomia, acquisire maggiore sicurezza, dall’altro sarebbe lo sviluppo di un’agricoltura davvero sostenibile, nel senso di un’agricoltura che fa anche del bene. Mi piacerebbe allargare il concet-to di fattoria sociale, mi piacerebbe collaborare con diverse persone, ad esempio a partire dalle famiglie dei disabili, si potrebbe fare qualcosa di buono tutti insieme, qualcosa che fa star bene sia noi che l’ambiente. Certo sarebbe molto bello avere un’azienda familiare, per condividere impegni, responsabilità ma anche momenti di sconforto e soddisfazio-ni. Mio marito invece lavora tantissimo, a Milano, e non è appasionato di agricoltura…Vorrei inoltre trovare uno spazio più grande per il laboratorio, è diffi-cile però trovarlo, in giro ci sono capannoni troppo grandi per le mie esigenze, spesso anche i ristoranti hanno cucine piccole e sale grandi…

Quali sono i momenti in cui ha disperato di farcela e quelli in cui ha invece pensato che ce la stava facendo?

Quando mi rendo conto della soddisfazione dei clienti, che tornano a comprare i miei prodotti, penso che sto facendo davvero qualcosa

Deborah Armiento

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di buono. Poi ho vinto anche dei premi a livello nazionale, anche se si trattava solo di riconoscimenti che non portavano soldi.Disperare di farcela? Forse una volta al mese! No, seriamente, quando ho interrotto per la bambina, poi ho avuto la sensazione di dover rico-minciare tutto da capo, avendo tra l’altro tempi molto stretti… dovevo lottare con il senso di colpa materno e con il senso di colpa lavorativo, avevo la sensazione di non fare bene né la mamma né il mio lavoro… è stata veramente dura, ho pensato anche di vendere.. non volevo che andasse perduto tutto quello che avevo fatto, ho pensato che se avessi trovato una coppia, in due ce l’avrebbero fatta.

Se lei dovesse dare un consiglio ad una persona che sta pensando di avviare un’attività autonoma?

La cosa più importante è valutare bene l’impegno che l’attività richiede in relazione alle proprie possibilità e disponibilità, anche relative alla vita personale. Pianificare bene il tempo, decidendo quanto tempo possono/vogliono dedicare al lavoro, capendo che lavorare in proprio è molto diverso, il cervello non si spegne mai, neanche il sabato e la domenica o la sera…

La zucca di Cenerentola

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Poc a Poc

EnricoMontonati

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Cosa faceva prima di avviare l’attività? Che studi ha fatto?

Ero studente, mi sono laureato in scienze geografiche ma mi sono ac-corto che non era proprio la mia strada. Quando ha deciso di iniziare l’attività imprenditoriale? Perché proprio quel tipo di attività? L’idea è stata di mio fratello, io dopo l’esperienza universitaria, ho deciso di collaborare al progetto cambiando totalmente strada, avevo bisogno di qualcosa di più dinamico e sono molto contento della scelta che ho fatto. Ho sempre avuto passione per l’orto, per aiutare il nonno nelle attività

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Enrico Montonati

di coltivazione familiare (i nostri genitori fanno tutt’altro, non veniamo da una famiglia di agricoltori). I terreni sono di proprietà di familiari che ci lasciano coltivare. Questa è una fortuna. Quando si vuole avviare un’attività agricola bisogna considerare diversi elementi, quali la metratura dei terreni (che non devono essere per for-za di proprietà, possono essere anche in affitto) e le ore lavorative ne-cessarie, che dipendono dalle coltivazioni che si scelgono. Noi avendo dei piccoli appezzamenti abbiamo scelto i piccoli frutti, che richiedono molto lavoro, a differenza di altre coltivazioni che invece danno un po’ meno da fare ma richiedono estensioni più grosse e utilizzo di mezzi meccanici. L’azienda agricola nasce con l’ottica dei piccoli frutti, quindi siamo par-titi con i mirtilli, poi abbiamo inserito un secondo campo con i mirtilli e poi abbiamo piantato delle fragole. Stiamo aumentando le piante di mirtilli, ne abbiamo circa 1800. Per le fragole abbiamo anche una qua-lità rifiorente, in modo da avere più raccolti durante l’arco dell’anno, anche se lavorando a pieno campo la produzione non è molto elevata nei periodi diversi da maggio – giugno. Siamo al secondo anno, abbia-mo circa 3000 piante di fragole, stiamo valutando se allargarci un po’, in effetti danno tanto lavoro. La lavorazione a pieno campo consente di avere meno raccolto ma di produrre fragole con un gusto migliore grazie al fatto che affondano le radici nel terreno. Nella nostra zona il terreno presenta un ph favorevole, leggermente acido, così come necessitano queste piante. Abbiamo anche aumentato un po’ l’acidità utilizzando aghi di pino in decomposizione.Stiamo provando adesso con le more ed abbiamo iniziato a coltivare patate e, anche se in misura ridotta, alcuni ortaggi, che ci consentono un periodo di vendita più lungo.

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Poc a Poc

Servono molti fondi per iniziare? Avete richiesto finanzia-menti?

Noi siamo fortunati a poter lavorare su terreni di proprietà familiare ma comunque gli affitti agricoli non sono elevati ed anche per i mezzi da lavoro ci si può appoggiare inizialmente su altri contadini. Tramite la Coldiretti ci sono possibilità di accedere a finanziamenti per l’impresa giovanile, in base alla metratura, alla capacità produttiva, agli strumenti. Si tratta più di prestiti che di fondi perduti ed è im-portantissimo. Se noi non avessimo avuto i nostri terreni sarebbe stata l’unica alternativa, non avendo un reddito ottenere un prestito in banca sarebbe stato difficile. Per il momento ci stiamo autosostenendo, anche investendo i guadagni iniziali e facendo passi piccoli. Bisogna fare i conti con i tempi ed i cicli naturali, è un investimento a medio – lungo termine, in particolare con i piccoli frutti, tu pianti le piante ma poi devi aspettare anni per poter raccogliere una buona pro-duzione. Per gli ortaggi, come le patate, i tempi sono diversi, più rapidi. Non abbiamo mezzi da lavoro nostri, quindi per alcuni tipi di lavoro (dall’aratura alla semina della patate) ci appoggiamo ad un contadino qui vicino, l’investimento per un trattore è grosso e per il momento per i piccoli appezzamenti di piccoli frutti non ci serve. Stiamo completando l’impianto di irrigazione, dobbiamo prevedere l’investimento per i teli e per altri strumenti. La produzione dipende molto dall’annata, quest’anno abbiamo avuto una produzione leggermente inferiore all’anno precedente, anche se le piante erano più grosse, perché ci sono stati più temporali e gran-dinate. Abbiamo bisogno di reti di protezione ma l’investimento nella struttura necessaria è molto importante, per ora giochiamo ancora con la fortuna. Per quanto riguarda l’impollinazione, ci appoggiamo ad un ragazzo qui vicino che ha le api per fare il miele. Nel mese di aprile ci porta qui le

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arnie per poi spostarle prima che inizi la raccolta. Per aiutarci ulterior-mente abbiamo messo in giro delle “casette degli insetti” che attirano bombi ed insetti impollinatori selvatici, dando a loro dimora e luogo di riproduzione. Non abbiamo ancora problemi con insetti non autoc-toni e comunque cerchiamo di lavorare con gli antagonisti naturali. Le piante non hanno problemi con gli insetti locali ma ci sono insetti “stranieri” pericolosi, sia per la pianta che per il frutto, se te ne accorgi tardi rischi di buttare via il raccolto. Se te ne accorgi per tempo devi intervenire con trattamenti ad hoc. La Coldiretti, di cui facciamo parte, ci aiuta, fornendoci indicazioni sui prodotti utilizzabili anche nell’am-bito dell’agricoltura biologica. Noi ci siamo iscritti alla Coldiretti, sono molto di supporto, ad agosto sono stato eletto delegato provinciale dei giovani. È un impegno ma puoi renderti utile anche per gli altri del settore cercando di realizzare progetti volti alla vendita di prodotti territoriali.

Sarebbe stato possibile avviare l’attività da solo? Com’è l’equilibrio tra voi fratelli/soci?

Sarebbe stato molto più difficile, dove uno ha delle lacune viene com-pensato dagli altri. Ci appoggiamo su competenze di persone anziane locali, che hanno lavorato in frutteti e vivai ma soprattutto su centri specializzati dotati di agronomi.Abbiamo iniziato a fare un po’ tutto tutti e tre ma poi ci siamo accorti che ognuno preferiva fare qualcosa di specifico, anche se poi ci aiutia-mo molto. C’è chi si occupa più della vendita diretta, chi della vendita a merca-tini o gruppi di acquisto solidale e chi si preoccupa della gestione del campo.

Enrico Montonati

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Per il futuro avremo bisogno di lavoratori stagionali. In particolare per i mirtilli, che vengono raccolti uno ad uno ed inscatolati direttamente, c’è già una selezione in fase di raccolta, ci vuole molto lavoro.

Quali sono stati i momenti più difficili all’avvio? Quali sono stati i segnali che ce l’avevate fatta?

Il momento più difficile è stato l’inizio quando avevamo tanto lavoro di manutenzione ma non produzione, anche se le piante crescono tu hai bisogno anche di raccogliere il frutto del tuo lavoro, anche per la sod-disfazione, non è solo per un discorso economico. È normale comun-que, noi avevamo la consapevolezza o la speranza di poter raccogliere l’anno dopo. Da comunque soddisfazione vedere piante belle e curate, che stanno bene. Ancora non siamo sicuri di avercela fatta… speriamo di dirlo l’anno prossimo. Abbiamo anche idee di crescita, vorremmo comprare qual-che terreno ed attivare un piccolo laboratorio, produrre anche qualcosa di trasformato, magari confettura, per allungare un po’ di più la vendita e la relazione con il cliente durante l’anno. Occorrono locali e macchi-nari ad hoc, verificati dalla ASL. Il problema infatti al momento è che noi abbiamo da lavorare tutto l’anno, ad esempio tra un paio di mesi iniziamo con i lavoro di potatura, ma la vendita dura pochi mesi.

Come avete trovato i primi clienti?

Lavoriamo con la vendita diretta tra maggio, giugno, luglio e agosto, poi abbiamo un po’ di patate, ortaggi di stagione, si tratta di una pro-duzione limitata ma è utile per poter fare i mercatini.Come sbocchi di vendita principalmente ci appoggiamo ad un mercato

Poc a Poc

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ancora locale, riusciamo a vendere soprattutto a privati e a gelaterie, ci basiamo sul passaparola, sulle conoscenze, sulla presenza ai mercati-ni ed agli eventi che si svolgono sul territorio. Cerchiamo di lavorare anche con i gruppi di acquisto solidale. Non abbiamo ancora un sito internet, al momento, per la produzione che abbiamo sarebbe una pubblicità eccessiva.

Che consigli daresti ad una persona che vorrebbe avviare un’attività? Ci sono delle caratteristiche, dei prerequisiti per fare l’imprenditore? Avviare un’attività porta molta responsabilità, bisogna essere molto determinati e dinamici ed in grado di auto stimolarsi e gestirsi, serve creatività personale, anche per risolvere i problemi. Occorre trovare un settore che interessa e appassiona.Poi se uno decide di fare una scelta del genere, forse la sfida un po’ gli piace. Devi essere in grado di non abbatterti di fronte ai primi no, che comunque arrivano, cercare di trovare soluzioni alternative. Per noi Il sostegno di parenti ed amici è stato fondamentale in questi primi anni, specie nel campo agricolo dove i momenti di picco sono davvero intensi. Non è facile conciliare con gli impegni e la vita perso-nale durante questi momenti.

Enrico Montonati

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MatteoVada

Siamo Creativi

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Cosa faceva prima di avviare la sua attività? Quali studi ha fatto?

Lavoravo in un’agenzia di comunicazione, come partita IVA subordina-ta. È li che ho conosciuto i miei due soci, Alessandro Casazza e Marco ZambonHo studiato design alla Nuova Accademia di Belle Arti (Naba) e poi marketing e comunicazione sempre a Milano.

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Matteo Vada

Perché ha deciso di avviare un’attività autonoma?

La nostra volontà è sempre stata quella di soddisfare le esigenze dei clienti e valorizzare le nostre competenze e capacità. Nell’agenzia in cui lavoravamo spesso ci trovavamo in disaccordo con quelle che erano le idee di gestione dei clienti e sentivamo di poter fare molto di più. Unito a questo c’era una condizione contrattuale sicuramente non idonea, eravamo partite IVA subordinate (questo ci consentiva comunque di avere già un piccolo giro di clienti nostri, personali). Per cui anche se con un sacco di difficoltà abbiamo provato ad intraprendere la strada dell’autonomia. Dopo di noi in realtà ho poi scoperto che altre persone hanno aperto piccole realtà, anche avendo più fondi in partenza. Siamo usciti in 4 ed abbiamo creato due agenzie. L’agenzia dove abbiamo lavorato forse pensava di fidelizzare ma in realtà si è trovata ad essere una fucina di talenti, di nuove attività autonome.

Quando avete aperto?

Dal primo gennaio 2013 siamo qui in questo ufficio come professioni-sti, lo studio associato però è nato nel novembre del 2014. Nel primo anno e mezzo abbiamo avuto una bella escalation, nel periodo di tre anni in sono arrivati nuovi clienti, siamo stati bravi a promuoverci, sia online che attraverso amici e la relazione con alcuni account. Abbiamo poi instaurato buone relazioni con una serie di pro-fessionisti, fotografi, videomaker, figure del mondo della programma-zione che non hanno competenze creative. Quando hanno un’opportu-nità e hanno l’esigenza di fornire ad un cliente un pacchetto completo e quindi di dare l’impressione di un team ci contattano. Noi qui fissi siamo 8 persone, tre dipendenti e tre soci, più un account e un com-merciale, intorno a noi ruotano altre 10-15 persone, amici, colleghi

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Siamo Creativi

fidati con cui collaboriamo tantissimo. Ci fidiamo, noi non abbiamo bisogno di essere presenti. Collaborazioni di questo tipo sono fonda-mentali nel nostro tipo di attività, sia con liberi professionisti che con piccoli imprenditori ma credo che il network di contatti è fondamenta-le in ogni tipo di attività, non solo rispetto ai clienti ma alla possibilità di sviluppare nuovi servizi e prodotti.I rapporti umani ci hanno aiutato tanto. Quelli che si sono instaura-ti con i nostri clienti nel tempo sono rapporti molto forti, di grande fiducia, tanti sono diventati amici, perché poi dopo un po’, non è tanto una questione di costi, non vai a cercare altrove con il rischio di non trovare la stessa qualità. E questi rapporti umani sono serviti tantissi-mo, lavoriamo moltissimo su questo, ognuno dei soci ha portato valore aggiunto anche in termini di relazioni, persone. Poi ovviamente è fondamentale la competenza: il cliente la nota, la percepisce e la condivide. I meccanismi di promozione sono tantissimi ma negli ultimi 8 anni sono cambiati drasticamente. Prima si lavora-va molto più facilmente attraverso la ricerca del cliente, cioè il cliente ricercava l’agenzia, adesso è diventato centrale il passaparola. Si può dire che la crisi abbia avuto questo risvolto, il fatto di essere bravo nei rapporti umani ti permette sicuramente di vendere di più, non è che tali rapporti siano necessariamente sinceri ma devono essere molto curati, non basta una modalità standard, per quanto buona, di trattare i clienti, servono le coccole. Questo meccanismo è fondamentale, molti clienti continuativi sono diventati in un certo senso nostri account, tanto che abbiamo deciso di prevedere anche formule di remunerazio-ne o per meglio dire di scontistica quando ci consentono di acquisire un nuovo cliente. Molti ci hanno portato tanti clienti perché sono soddisfatti, sia della qualità che del prezzo.

Servono molti fondi in partenza?

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Noi non abbiamo chiesto dei finanziamenti, ci siamo autosostenuti, non è stato facile. A volte avere le spalle troppo coperte dal punto di vista economico comunque può essere pericoloso, si va avanti senza valutare bene rischi e potenzialità e si finisce spesso per fallire. Spesso questo capita anche nei passaggi generazionali.L’ufficio è la cosa più importante, il vero valore aggiunto di uno studio è la location, che soggettivamente può essere più o meno piacevole, ma che deve dare l’idea di solidità, che è quello che molti clienti cercano. Certo ci sono clienti che cercano il primo prezzo e a loro non interessa la solidità ma se si vuole imboccare la strada giusta è molto importante essere o apparire solidi. Nella collaborazione iniziale, prima dell’avvio dello studio associato, provenendo da esperienze e condizioni fiscali diverse (partite IVA age-volate, che sono state fondamentali all’inizio, in particolare all’inizio, e non), all’inizio è stato difficile concordare i criteri per la remunerazio-ne adeguata e paritetica, avendo costi e massimali di reddito diversi. Bisogna dare per scontato che in alcuni mesi il dipendente prenda di più dei titolari, che hanno l’esigenza di fare la formica, in previsione di momenti di difficoltà, esigenze di investimento e scadenze fiscali. È molto importante sapersi gestire in questo senso.

Quando avete avviato quali sono state le difficoltà mag-giori? Quali sono stati i primi segnali positivi, che vi hanno indicato che ce la stavate facendo?

Le difficoltà maggiori sono state sicuramente di credibilità, perché la nostra esperienza derivava dalle esperienze personali e non dalla sto-ricità dell’agenzia e di costi, legati all’apertura ed alla gestione dell’uf-

Matteo Vada

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ficio. Noi lavoriamo con i portatili. Una delle difficoltà maggiori per i titolari di un’agenzia è poi quella di riuscire a staccare, il cliente ti segue sempre… servirebbe la libertà di sparizione oltre l’orario lavorativo.. la mancanza di orari è il vero risvolto negativo dell’attività autonoma, devi riuscire ad organizzarti bene per riuscire ad avere anche una vita personale e familiare. I primi segnali davvero positivi sono arrivati quando sono arrivati i primi clienti importanti, grossi. Hanno richiesto molto più tempo perché hanno tutta una serie di procedure da rispettare. Noi abbiamo costituito la società nel novembre del 2014 per necessità, avremmo preferito aspettare ed aprire all’inizio dell’anno successivo, per sempli-ficare la gestione fiscale ma avevamo veramente un grossissimo cliente nel mondo farmaceutico che aveva bisogno di garanzie e questo ci ha costretto ad aprire la società nell’arco di un mese in modo da consen-tire loro di avviare la registrazione del fornitore. Prima avevamo altri clienti grossi ma erano clienti personali, che potevano essere gestiti come professionisti. Poi quando cominci ad avere clienti di un certo tipo devi essere organizzato in un certo modo, perché devi essere un po’ account, un po’ commerciale, un po’ produttivo. Alla metà del 2015 ci siamo resi conto che avevamo bisogno di allar-garci, abbiamo quindi preso una prima persona, poi a dicembre una seconda ed a febbraio 2016 la terza. Tutte assunte, le garanzie sono la prima cosa. Anche se si tratta di un mondo particolare, dove non ci sono flussi lavorativi regolari, non è sicuramente una catena di mon-taggio, bisogna essere bravi a creare una situazione di stabilità. Ci sono dei picchi, ci sono dei cali, ormai li conosciamo bene, giugno e luglio sono mesi di calo, agosto è un mese di calma piatta, bisogna essere bra-vi in giugno e luglio a portare a casa tanto lavoro da smaltire in agosto in modo da consegnarlo a settembre, settembre è un mese abbastanza caldo, ci sono fiere di settore, riaperture. Anche se in agosto noi aveva-mo molte cose da sistemare in ufficio. Con i miei soci ci siamo concessi 15 giorni a testa, alternati, in cui ci siamo sentiti poco e questo è stato

Siamo Creativi

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molto utile… del resto occorre fare molti sforzi, ma è anche gratifican-te. Certo le tasse in Italia sono molto pesanti…

Come funziona l’esercizio del ruolo imprenditoriale?

Occorre fare tanta ricerca, studiare i competitor, si cerca di seguire le orme di chi si è conosciuto durante la propria vita lavorativa, cercando di migliorare a partire dagli errori fatti da queste persone. Si cerca di creare una struttura versatile ma in cui la fiducia reciproca è fonda-mentale e quindi si deve poter contare sul fatto che se si assegna un compito ad una persona questa persona poi lo porta a termine, senza più pensarci. E quello è l’esercizio più difficile. Devi essere consapevole che non tutte le persone possono avere le tue caratteristiche e le tue competenze, ma devi essere in grado di trainare, senza frustrare. Ci accorgiamo che l’umore del blocco amministrativo trasforma poi tutto quello della produttività. Occorre creare le condizioni perché le per-sone possano riconoscersi in qualcosa di più grande, non sentirsi solo dipendenti esecutivi, occorre valorizzarle.Noi quando volevamo assumere abbiamo selezionato tantissimi ragazzi ma si fa fatica, la mia impressione è che la preparazione scolastica sia peggiorata, le scuole qualche anno fa erano molto più qualificanti, ora danno infarinature…Ospitiamo sempre anche ragazzi in stage, ci sono state difficoltà, sia per la preparazione che per il modo di relazionarsi sul luogo di lavoro. Molto meglio con il liceo artistico, abbiamo trovato ragazzi più motiva-ti e più sicuri di quello che avrebbero voluto fare in futuro. Comunque la scuola superiore (non la FP) appare inadeguata in termini di pro-fessionalizzazione. È difficile parlare di lavoro con uno studente di 4 superiore, occorrerebbe un approccio più personalizzato ai bisogni ed alle esigenze ed alle competenze degli studenti.

Matteo Vada

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Sarebbe stato pensabile fare lo stesso percorso da solo? Come è l’equilibrio tra voi tre?

Sarebbe stato molto più difficile, sia per ragioni di risorse, importanti in particolare in avvio per sostenere i costi dell’ufficio, che in termini di competenze e di relazioni.Noi abbiamo esperienze che ci portano ad essere professionisti diver-si, diciamo che abbiamo una parte molto web, una parte prettamente grafica ed una parte un po’ promiscua che però aiuta a coprire e a supportare le altre due, oltre che a fare un po’ di lavoro di accounting e coordinamento. La versatilità è importante, perché sapere un po’ di tutto ti consente di vendere un po’ di tutto e di seguire un po’ di tutto. Questo sotto certi aspetti ti rende meno produttivo ma ti rende molto più produttivo sotto altri.È molto importante che le nostre competenze siano diverse, questo ci consente di seguire i nostri clienti a 360° nella comunicazione e questo viene molto apprezzato. Abbiamo scontri produttivi rispetto alla gestione dell’impresa, tutti ab-biamo a fasi alterne momenti di incertezza rispetto a certi investimenti, certe scelte rispetto alle figure professionali con cui collaborare e rispetto anche ai clienti. Un problema grave è la mancanza di un listino in questa professione e la concorrenza è spietata. I prezzi per uno stesso prodotto oscillano in modo molto forte. L’errore molto grave è standardizzare i prezzi, l’abilità vera è conoscere le caratteristiche dei clienti e da questo derivare un preventivo ad hoc. I prodotti per clienti diversi sono diversi. Noi abbiamo contatto con imprenditori e persone molto diverse, sarebbe un errore non acquisire clienti anche senza fondi ma con idee brillanti. Bisogna capire se vale la pena, potrebbe rivelarsi per noi un grande inve-stimento. È un processo di negoziazione costante tra di noi per valutare le diverse situazioni. A volte il confronto porta ad aumentare i prezzi, per portare a casa il giusto rispetto a quello che è il lavoro fatto, il guada-gno è dato dal markup. Ci sono competitor che fanno prezzi stracciati.

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Quali consigli darebbe ad una persona interessata ad aprire un’attività? Ci sono dei prerequisiti?

Una persona deve essere molto versatile e non deve arrendersi di fron-te ai primi no. Il consiglio che do anche quando parlo a studenti nelle scuole è la ricerca continua, il progresso ha portato negli ultimi anni ad un’evoluzione velocissima delle mode, delle idee, degli stili, delle esigenze, bisogna essere in grado di evolversi altrettanto rapidamente perché altrimenti da un mese all’altro si rischia di fare delle cose obso-lete. Bisogna saper parlare ed essere preparati ogni volta che si incontra un cliente. Bisogna essere un po’ sfrontati, non si possono avere remore a proporsi-proporre al cliente un prodotto e un prezzo.Molti compagni di corso hanno intrapreso la libera professione, mi contattavano spesso per avere consigli sul prezzo da fare. La mia rispo-sta è portalo qui, continuerai a palleggiarti tra lui e noi per rispondere a richieste che non sei in grado di gestire da solo. Se lo porti qui da noi, attiviamo una collaborazione, anche se il cliente rimane il tuo. Lo scambio può essere al contrario, anche noi abbiamo a volte contatti con clienti troppo piccoli che non siamo in grado di gestire e che possiamo passargli.

Matteo Vada

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Monica Neri

Legùnon è Pasta

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Cosa facevate prima? Come mai avete deciso di iniziare questa impresa?

Io e mio marito abbiamo fatto la Scuola alberghiera insieme qui in provincia di Varese e poi, mentre mio marito ha cominciato a lavorare nell’ambito della ristorazione, in particolare in grandi alberghi all’e-stero, io mi sono distaccata da quella che è la pratica della Scuola e ho studiato Scienze e tecnologie della ristorazione, con una serie di esami più specifici su quella che è la nutrizione applicata. Poi ho conseguito una seconda laurea sull’economia del sistema agroalimentare, che è

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Monica Neri

stato fondamentale per dove siamo arrivati oggi, però diciamo che è stata un po’ la passione sia per la cucina che per la nutrizione che insie-me allo studio compiuto dalla mia università (Università di Piacenza) relativo alla pastificazione dei legumi senza glutine, senza altre materie, quali uova o farina, che legassero, ci ha dato lo spunto, l’idea di riu-scire a sviluppare un prodotto, così consumato come la pasta, però a base proteica, usando la farina dei legumi una volta cotti. Ci si è accesa la lampadina, e sicuramente anche il fatto di aver avuto il diabete in gravidanza, ci ha convinto dell’opportunità di trovare un alimento con meno carboidrati. Abbiamo fatto una ricerca di mercato, analizzato diversi studi, comprese ricerche ISTAT, abbiamo visto così che non era solo un’esigenza mia ma era molto più diffusa. Proprio l’estate scor-sa ho iniziato ad andare a Napoli, a noleggiare qualche pastificio in centro, con macchinari che sono dedicati a semola, negli ultimi anni anche mais e riso, poi una volta che abbiamo visto che le prove, pur con difficoltà e tempi di lavorazione molto lunghi, iniziavano a dare risultati, cioè riuscivamo ad essiccare questa pasta e soprattutto a far si che reggesse la cottura, allora abbiamo deciso di fare l’investimento, tutto finanziato e siamo partiti a novembre dell’anno scorso. Abbiamo avuto diverse difficoltà, qui siamo in affitto, abbiamo comprato invece le macchine, abbiamo cercato di dilazionare quanto più possibile i fi-nanziamenti, ma i fornitori riescono a venirti incontro solo fino ad un certo punto. Poi per sistemare, per rendere più efficiente la produzione, perché era molto lenta, abbiamo dovuto cambiare l’azienda che ci ha fornito le prime macchine, che non riusciva a seguirci come a noi ser-viva e quindi abbiamo reinvestito, con delle altre attrezzature, abbiamo chiesto un secondo finanziamento e siamo ancora in gioco.

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Legù non è pasta

È difficile ottenere finanziamenti?

Credo sia una delle cose che preoccupa di più una persona che pensa di avviare un’attività.. Sì, io non avrei mai iniziato se non ci fossero stati i miei genitori a fare da garante e questa è una delle cose che spero di poter gridare al mondo il più possibile, perché è la cosa più sbagliata credo che esista. Si dice che si aiutano i giovani, le donne ma poi… I miei genitori sono imprenditori (operano in un campo del tutto diverso, motori elettrici), ma una ragazza che avesse avuto la mia stessa idea, che avesse voluto mettersi in gioco, che avesse avuto tutta la capa-cità e la voglia per poterlo fare non ce l’avrebbe mai fatta se non avesse avuto dei genitori imprenditori e/o in grado di garantire, è proprio triste. Credo sia una cosa prettamente italiana, si tratta veramente di difficoltà enormi. Sabato scorso (24/9) sono venuta a conoscenza del fatto che il 15 ot-tobre scade un bando della Regione Lombardia per la concessione di finanziamenti a tasso 0, che può dare in effetti a giovani imprenditori la possibilità di avviare un progetto. Questo mancava, quando abbiamo iniziato noi c’era un progetto, sempre regionale, che si chiamava Start up e Re Start nel quale però dovevi restituire tutto quello che ti pote-vano finanziare, che al massimo erano comunque 100.000€ e quindi troppo poco per noi per iniziare e con un tasso del 2,75%. Alla fine la banca me lo faceva più basso. L’avviso che ho visto adesso invece mi sembra più interessante, può dare più possibilità di iniziare davvero, anche il tetto massimo mi sembra più alto, prevede un 10% a fondo perduto e comunque la restituzione del resto a tasso 0.

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Quando lei e suo marito avete cominciato a pensare di apri-re un’attività?

A maggio dell’anno scorso abbiamo iniziato a pensare di avviare questa specifica attività. Da sempre comunque, avendo fatto la scuola alberghiera, c’era l’idea di fare qualcosa in proprio, più in campo ristorativo, abbiamo sem-pre pensato prima o poi apriremo un nostro ristorante, piuttosto che la nostra gastronomia, però comunque non avevamo mai pensato di arrivare nel mondo della produzione alimentare e poi invece… Anche per conciliare un po’ le necessità della famiglia perché comunque an-che avendo una bimba di due anni ci siamo accorti che questa poteva essere la soluzione giusta, anche da questo punto di vista. Chi ha un ristorante non riesce ad avere tanta vita privata…

Quali sono state le difficoltà più grosse in avvio e quali i segnali che eravate sulla strada giusta?

Le difficoltà più grosse fanno riferimento a tutto ciò che sta dietro la costruzione di una nuova società, anche a partire dal rapporto con i fornitori, con le banche, capire come dilazionare i pagamenti, credo che quella sia una delle difficoltà più grandi. I fornitori poi sono tanti, bisogna capire come scegliere i fornitori giusti, capire quali sono affida-bili…Rispetto ai segnali positivi, mi ricordo la primissima produzione che abbiamo fatto, era il due novembre, abbiamo imbustato e spedito i campioni ed abbiamo iniziato ad avere feedback positivi, ad es. da Eataly, poi dopo un mese abbiamo fatto un corso da Marchesi, e lui, dopo due settimane, io non mi ricordavo neanche di avergli lasciato un campione, mi ha chiamato in ufficio per dirmi che gli era piaciuto…

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queste sono state le prime botte di coraggio, dall’esterno, le prime volte che abbiamo pensato forse ce la possiamo fare. All’inizio si facevano le notti per risolvere i problemi della produzione e con la confezionatrice, insomma erano tutte cose nuove, bisognava capire come gestirle. All’i-nizio eravamo solo mio marito ed io, non avevamo collaboratori.

Come mai proprio quest’idea? Questo prodotto?

Sicuramente il tipo di studi universitari e l’attenzione per la corretta alimentazione, che c’è sempre stata. Ma soprattutto lo studio della mia università, del distaccamento di Piacenza (Facoltà di scienze agrarie, alimentari, ambientali) dove ho fatto il master, che stava studiando la pastificazione dei legumi proprio quando io ero in gravidanza ed avevo il diabete… Sembrava tutto fatto apposta… ho iniziato a leggere questo studio, ho approfondito, abbiamo iniziato a fare le prime prove. Sono stata colpita dalla lungimiranza di questo studio, che mirava a svilup-pare un prodotto che è come la pasta, così diffusa e consumata, ma che essendo proteico, si può mangiare la sera, perché va a sostituirsi ad un secondo piatto. Noi abbiamo pensato di bilanciare la ricetta, pro-prio per dare più proteine e fibre, mettendo insieme tre legumi (ceci, fagioli bianchi, piselli gialli decorticati) che costituisce la particolarità del nostro prodotto, mentre lo studio universitario si basava su riso e fagioli. Io per il fatto del diabete invece avevo l’esigenza di abbassare il più possibile l’apporto di carboidrati, quindi l’abbiamo tolto e le prime prove hanno dato poi buoni risultati.Adesso stiamo già pensando a qualche altro prodotto, abbiamo una stagista che sta facendo il mio stesso percorso di studi e che sta stu-diando un pane tipo carasau fatto solo con queste farine, quindi uno snack fatto solo con proteine vegetali.

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Stiamo facendo sperimentazioni anche su altre ricette speciali, con l’utilizzo di funghi e spezie.

Vi è mancata in certi momenti, anche dato il carattere inno-vativo della produzione, la possibilità di beneficiare di una guida, di consigli e riferimenti?

Sicuramente, soprattutto nei tanti momenti difficili, difficili proprio perché, per quanto sempre cresciuti nell’ambito alimentare, poi a livello di cultura e storia – mio marito lavorava in un bellissimo albergo – comunque la produzione alimentare è una cosa un po’ diversa, noi non eravamo pastai. È vero che da un lato, anche il nostro stesso mulino ci ha detto che forse era meglio così perché avreste potuto altrimenti avere preconcetti legati all’utilizzo della farina di semola che invece vi sarebbero stati di ostacolo dovendo utilizzare farine che “lavorano” in modo molto diverso. Però forse d’altra parte avremmo avuto un voca-bolario, un modo di lavorare che poteva essere improntato a.. A volte quindi ci sono mancati punti di riferimento, esperienze che servono a capire certe problematiche relative ai diversi passaggi della produzione. Piano piano però abbiamo trovato anche diverse persone a cui appog-giarci, consulenti esterni, dallo stesso mulino che ci ha “prestato” il suo consulente che è venuto qui, che ci ha seguito.. C’è stato ad esempio un momento in cui ci è arrivata una nuova fornitura di materie prime, di farine e noi non riuscivamo più a fare la pasta. Non capivamo perché, avevamo bisogno di esperienza.

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Quanti siete adesso?

Siamo sempre io e mio marito però io non entro più in produzione con lui, sto più in ufficio, mi occupo principalmente delle vendite e da pochi giorni abbiamo una persona a tempo pieno come segretaria, che gestisce tutto l’ufficio. In produzione con mio marito invece c’è una persona part time, che sta completando i suoi studi universitari. E poi abbiamo la stagista che lavora su questo nuovo prodotto.

Com’è gestire il suo ruolo imprenditoriale?

È tutto nuovo anche questo… credo che sia un altro ruolo tosto, dif-ficile, soprattutto quando non lo hai mai fatto. Probabilmente il mio stile è più aperto e familiare, anche proprio come carattere, mio marito invece che ha lavorato sempre in contesti più grandi, più strutturati e più gerarchici, dice che sono sempre troppo buona…. Forse ci bilancia-mo… sicuramente c’è tanto da imparare, è una sfida..

Prima parlava della vita personale? Come funziona l’intrec-cio tra vita familiare e professionale?

Diciamo che in questi primi dieci mesi non è stato facile, in particolare la nostra bimba, che adesso ha quasi due anni, è stata un po’ messa da parte. È vero che anche se avessi continuato a lavorare a Milano facen-do la vita del pendolare, per quanto con la tranquillità di un lavoro a tempo indeterminato (lavoravo nel dipartimento alimentazione, nel controllo qualità di una grande azienda del settore), uscivo di casa la mattina alle 6 e rientravo la sera alle 20. Qui il fatto di pensare ai

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finanziamenti, di avere tutto sulle spalle qualche pensiero in più si ha. Adesso capita raramente, ma nei primi 6 mesi si facevano le notti, fino alle 22 era comunque normale, c’erano tante cose da fare ed il tempo non bastava mai. Non è sicuramente semplice conciliare tutto insieme però bisogna poi pian piano trovare un equilibrio.La soddisfazione è però anche tanta, c’è un feedback positivo, vediamo che i clienti sono contenti, che assaggiano il prodotto, tornano, ne par-lano. Questo ti da lo stimolo, ti dici che stai facendo bene, che non devi mollare, ce la mettiamo tutta. Quando fai qualcosa per te è diverso.

Come avete trovato i clienti all’inizio? Avevate già dei con-tatti?

I più piccoli e vicini con il classico passaparola, andavo in giro in auto nei piccoli negozi qui vicino, lasciando campioni da assaggiare. I ne-gozianti stessi ci suggerivano altri negozi e così piano piano abbiamo allargato il giro.A quelli più grandi come Eataly invece abbiamo spedito campioni. Abbiamo poi partecipato a Cibus, una delle più grandi fiere del settore, insieme ad altri produttori, dato che non avevamo la forza per avere un nostro stand. Abbiamo sempre avuto un modo un po’ particolare di proporci, sia all’interno delle fiere che di altre manifestazioni, siamo abbastanza itineranti… quindi cerchiamo di contattare e distribui-re volantini ai più persone possibile e questo ci ha aiutato. Abbiamo anche predisposto volantini in diverse lingue, adesso abbiamo i primi clienti, sempre grazie a Cibus, in Olanda, Belgio e Lussemburgo. Poi abbiamo iniziato anche a collaborare con alcuni chef tra cui in par-ticolare uno che è stato nominato dalla Federazione Italiana Cuochi, ambasciatore italiano dei prodotti varesini quest’anno nel mondo, che lavora principalmente su Dubai, fa consulenza, aiuta le start up. Io l’ho

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aiutato per un suo progetto su Dubai, facendo conteggi nutrizionali di alcuni piatti, perché hanno iniziato un nuovo format che si chiama “Hundred five hundreds”, quindi tutti piatti sotto le 500 chilocalorie e lui ha voluto inserire i nostri prodotti e quindi abbiamo iniziato ad esportare anche a Dubai. Poi se un prodotto piace a qualche chef, poi loro tra di loro ne parlano e questo aiuta.

Come vede la sua azienda tra cinque anni?

Mamma mia, bella domanda. Io sicuramente credo molto nel creare un angolo Legu in tutti i negozi che adesso già ci vendono, quindi, al di là della pasta, avere un linea di sughi dedicata, e altri prodotti con questo concetto di farina di legumi. Quindi non la vedo tanto più grande, non riusciremo mai, anche per-ché probabilmente non lo vogliamo, a diventare industriali e togliere quella che è l’artigianalità del prodotto, però crescere nella gamma dei prodotti da offrire. Soprattutto far crescere nelle persone l’utilizzo dei legumi, che si era un po’ perso, mi piace sempre dire che così sia ha la possibilità di mangiare un cibo della tavola contadina più facilmente. Non ha niente di strano, ha la forma della pasta, così è facile da consu-mare però è proprio quello che mangiavano i nostri nonni tutti i gior-ni. Mia nonna lo chiama sempre la carne dei poveri. Si tratta di portare questo concetto ad essere conosciuto ed alla portata un po’ di tutti.

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Ad un/a giovane che sta pensando di aprire un’attività, non ne-cessariamente nel campo alimentare, quali consigli darebbe?

La cosa fondamentale è trovare degli ottimi partner che supportino e che conoscano il loro mestiere. Io quando ho iniziato ho avuto la fortuna di trovare un’ottima agenzia di comunicazione creativa, che ha supportato tutto un lato dell’attività che se l’avessi seguito io non avrebbe prodotto lo stesso risultato, perché io non sono esperta in quello. Bisogna veramente guardarsi allo specchio e capire fino dove si può arrivare ed anche se il progetto che si vuole sviluppare è qualcosa di serio, anche gli investimenti, tutto deve essere commisurato alle proprie potenzialità. Dare il massimo in quello che si è capaci di fare e trovare ottimi consulenti che siano in grado di supportarti in tutto il resto. Altrimenti c’è una tale miriade di cose nuove da affrontare che si rischia di perdere proprio l’obiettivo e anche le proprie forze dietro a troppe cose che poi magari non hanno il giusto riscontro. Si può anche avere fortuna e quelle cose possono magari andar bene una volta, ma senza avere la stessa forza e durata che avrebbero se realizzate da qualcuno di esperto e competente. Questo credo sia davvero importante.

Ci sono dei prerequisiti personali? Delle competenze? Come deve essere una persona per decidere di fare l’imprenditore? Essere in due aiuta?

Sicuramente non deve mancare l’ambizione ma bisogna essere anche tanto umili. E poi non bisogna avere paura, bisogna avere un po’ lo spirito di buttarsi, di rischiare.Sicuramente essere in due aiuta, specie nel supporto reciproco giornalie-ro, ci si fa più forza. Le difficoltà ci sono, i momenti di sconforto anche e quindi magari quando cede uno non cede l’altro…

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Sara Puricelli

Il Boscangolo

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Cosa facevi prima? Quando e come mai hai deciso di avvia-re l’attività?

Ho fatto il liceo linguistico, poi due anni di accademia a Brera e succes-sivamente tre anni di accademia pittura e restauro a Gallarate. L’espe-rienza mi è piaciuta moltissimo ma non vedevo sbocchi professionali. Ho completato l’accademia di naturopatia Riza a Milano (4 anni), nel frattempo ho cominciato a lavorare in un negozio di alimentazione naturale in zona Cadorna. Mio padre però ha sempre avuto la passione per gli animali, abbiamo deciso di prendere ad un certo punto 40 caprette piccole, che non da-

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vano latte e neanche molto da fare, pensando che comunque un giorno avremmo potuto decidere eventualmente di farle partorire e di vendere latte. L’attività piaceva tanto a tutta la famiglia, ai tempi c’era anche mio zio che ci aiutava, abbiamo deciso di iniziare a produrre il latte, aveva-mo trovato un caseificio a Milano che ce lo ritirava. Nel 2008 abbiamo deciso di fare un investimento ed avviare una vera e propria attività con le capre. Fino ad allora io lavoravo part time nel negozio a Milano (ci ho lavorato per un anno e mezzo), partivo alle 7 e tornavo alle 15, avevo poco tempo per aiutare mio padre e quindi, dopo un mese che mi avevano confermato con un contratto a tempo indeterminato, mi sono dimessa per dedicarmi a completamente a questa attività, che mio padre mi ha donato.

Cosa ha comportato l’apertura dell’attività? Quali sono sta-te le difficoltà? Quali le opportunità e le risorse?

Nel posto dove eravamo non ci hanno dato i permessi necessari e quindi abbiamo dedicato un anno e mezzo all’elaborazione di un progetto, con l’aiuto di un geometra, rivolto ad aprire l’attività su un terreno boschivo di nostra proprietà, sul quale sembrava non ci fossero problemi né vincoli. Quando è stato il momento del collaudo il Parco del Ticino ci ha comunicato che li non si poteva fare niente, perché era bosco, abbiamo buttato via due anni ed investito molti soldi (si tratta-va di risorse nostre, il piano era di richiedere eventualmente ulteriori finanziamenti in seguito) nell’acquisto dell’attrezzatura, oltre che nelle pratiche necessarie.Eravamo piuttosto sconfortati. In quel periodo però il latte era molto più valorizzato, era pagato molto più di adesso, pensavamo di avere in ogni caso buone prospettive e comunque non eravamo disposti a perdere tutto, anche il tipo di vita ci piaceva. Ci siamo allora messi a

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cercare un terreno, non ci abbiamo neanche messo tanto a trovarlo, tramite un’agenzia locale abbiamo trovato questo prato. Poi abbiamo scoperto che era di proprietà di un vecchio agricoltore che conosceva-mo e quindi avremmo potuto anche evitare il passaggio con l’agenzia, pazienza, è andata così. Abbiamo iniziato a costruire. Abbiamo dovuto rifare tutto il progetto da capo, tra l’altro questa è un’area ancora più tutelata, si tratta di un area considerata parco naturale nel Parco del Ticino. Comunque questo si è rivelato essere un posto stupendo, è fuori dal centro ma non troppo isolato e lontano, è tranquillissimo, il paesaggio è molto bello, si godono albe e tramonti bellissimi. Abbiamo interpellato poi un geometra della Coldiretti che ci ha segui-to anche nell’usufruire dei finanziamenti del Piano di Sviluppo Rurale 2007-13 dell’Unione Europea. In particolare abbiamo usufruito di due misure, consigliateci dalla Coldiretti (sempre con il senno di poi sarebbe stato possibile usufruire anche di altre…): una, rivolta ai gio-vani imprenditori (sotto i 40 anni), che allora erogava 26.000 euro per chi apriva una nuova attività e un’altra rivolta a chi ammodernava una struttura. Dato che io avevo aperto la PIVA quando avevamo la stalla vecchia, i nuovi acquisti rientravano in questa categoria. Quest’ulti-ma dava il 36% a fondo perduto di tutto l’investimento realizzato. Noi di questa struttura abbiamo deciso di inserire (altrimenti diventava troppo complicato) la muratura, l’impalcatura in ferro, gli impianti elettrici ed idraulici e l’attrezzatura del caseificio. Questo ci ha vincola-to a rispettare procedure burocratiche complesse, oltre che a farci fare tre preventivi da tre ditte diverse e a scegliere quello più economico o eventualmente motivare una scelta diversa e ad acquistare tutto nuovo. Anche in questo caso con il senno di poi avremmo potuto risparmiare facendo una serie di lavori più semplici per conto nostro. Anche per-ché il finanziamento è sul preventivo, ma la spesa a consuntivo risulta sempre maggiore, anche in modo consistente. La Coldiretti ci aveva dato una buona prospettiva di riuscita, ma fino alla fine non sei mai sicuro.

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In cosa consiste oggi la vostra attività? Si è evoluta rispet-to all’idea iniziale?

Noi in parte lavoriamo il latte direttamente nel nostro locale adibito a caseificio, in parte lo diamo a Latte Varese, abbiamo sempre lavorato con loro, ci hanno sempre dato sicurezza. Per rispondere alle loro esi-genze ed avere un buon quantitativo di latte tutto l’anno, noi abbiamo sempre lavorato con le capre destagionalizzate, mentre normalmente con le capre si potrebbe avere il latte solo circa da febbraio ad ottobre. Comunque non ci costava tanto, dato che comunque le luci avremmo già dovuto farle. Occorre infatti lavorare con le luci per ottenere la destagionalizzazione, oltre che con gli ormoni. All’inizio abbiamo in effetti usato anche gli ormoni (melatonina) ma poi ci siamo accorti che bastavano le luci ed i parti naturali (tra l’altro gli ormoni hanno anche un costo molto elevato e richiedono molto più lavoro). All’inizio Latte Varese ci pagava il latte 75 centesimi al litro per il latte destagionaliz-zato e 65 centesimi durante gli altri mesi dell’anno. Adesso sono 55 centesimi, è davvero troppo poco. Abbiamo quindi dovuto iniziare a differenziare un po’ l’attività, ini-ziando anche a trasformare parte del latte noi stessi. Con il latte che lavoriamo noi produciamo caciottelle e ricotte che vendiamo nel punto vendita che abbiamo qui. Faccio anche dei dessert, budini, yoghurt e d’estate il gelato, che è molto impegnativo, ma che effettivamente ci ha portato molti clienti. Mi piace anche sperimentare con le erbe, la cannella… Nel nostro negozio vendiamo anche pochi altri prodotti di altre aziende agricole.Non abbiamo avuto problemi con i permessi dell’ASL per i locali e le attrezzatture per la trasformazione. Ci siamo sempre trovati molto bene con loro, ci hanno seguito. Certo vengono spesso a fare i controlli ma questo è normale.Ci stiamo inoltre evolvendo nella direzione dell’agriturismo e dell’ac-coglienza dei bambini. Prima in effetti non sapevamo qual era il target

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di clientela che avremmo avuto, ci siamo accorti che arrivano tantissi-me famiglie con i bambini. Abbiamo allestito un’area giochi nel prato ma se fosse coperta sarebbe tutta un’altra cosa. Noi adesso vorremmo predisporre un’area coperta per le attività con i bambini, sia di tipo didattico che legate ai campi estivi e anche dedicarci ad attività legate alla ristorazione. I costi sono altissimi, se dovessi tornare indietro non so se lo rifarei. I primi anni sono stati molto belli, quando stavamo costruendo la no-stra attività, il posto, con solo la produzione di latte. Sembrava la vita ideale, anche con il freddo e la palta. Ma si vedeva, metro per metro la costruzione di quello che volevamo.Adesso la parte di accudimento degli animali e mungitura sono ridotte a vantaggio delle attività di trasformazione che non mi danno altret-tanta soddisfazione ma che sono necessarie. Gli orari sono lunghissimi, soprattutto d’estate, non si riesce a stare dietro a tutto ma d’altra parte non siamo in condizione di avere un collaboratore che invece ci servi-rebbe. Anche il sabato e la domenica siamo sempre più impegnati, con i compleanni, gli aperitivi. Da poco siamo stati autorizzati anche alla ristorazione calda, non solo fredda. La cosa è nata un po’ da sola, le famiglie vengono, i genitori chiacchie-rano e i bambini giocano.Stiamo iniziando a seminare in quest’ambito, con alcuni pomeriggi gratuiti per i bambini, insieme ad una ragazza che ha esperienza in questo ambito, vengono qui, a partire da alcune favole attiviamo dei piccoli laboratori, in attesa di fare qualcosa di maggiormente strut-turato in estate. Volevo anche un po’ vedere la reazione, non solo dei clienti ma anche la mia, si tratta di una cosa impegnativa. Per ora direi proprio che mi piace, abbiamo fatto 4 pomeriggi, non abbiamo nean-che fatto troppa pubblicità, l’ho solo scritto una volta su FB, ma con il passaparola, l’ultima volta malgrado la brutta giornata, sono arrivati 14 bambini ed è stato bello.

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Quale è stato il momento in cui avete pensato che ce la stavate facendo?

Dopo un anno che abbiamo aperto l’azienda qui a Samarate. Farsi una clientela in un posto nuovo non è stato immediato. Abbiamo fatto un po’ di volantinaggio, un po’ il sito, ma soprattutto il passa parola. Qui inizialmente non conoscevamo nessuno, avevamo anche paura che i vicini non ci accogliessero bene, anche per il tipo di attività, invece ci hanno accolto benissimo. Quando abbiamo visto che i clienti tornava-no, erano contenti, abbiamo pensato che eravamo sulla strada giusta, ma dirci proprio che ce l’avevamo fatta… ancora non ci siamo arrivati.

Quali sono le prospettive, i progetti per il futuro?

Lasciare perdere il latte perché è troppo impegnativo e poco redditizio, non ce la facciamo più. Tra l’altro ci sono anche penalizzazioni econo-miche se non si riesce a raggiungere una certa percentuale di grasso e noi per scelta non abbiamo mai spinto con l’alimentazione per aumen-tare la produzione, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Inoltre la forza lavoro siamo noi tre, io ed i miei genitori, mungere è un’attività complessa e delicata, non è neanche facile, anche potendolo pagare, trovare delle persone qualificate. Qui non ci si può ammalare, infortunare… nemmeno per qualche ora.Un po’ di capre le terremmo comunque sempre ma non da latte. Vor-remmo potenziare il negozio con animali da carne, che danno meno lavoro. Trasformare il caseificio in un laboratorio di trasformazione delle carni (non faremmo di sicuro la macellazione) e a quel punto ave-re un collaboratore che ci aiuti proprio nella trasformazione.Sviluppare inoltre l’attività didattica, anche attivando, oltre ai campi estivi, progetti formativi con le scuole e la ristorazione.

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Se dovessi dare dei consigli ad una persona che può essere interessata ad avviare un’attività autonoma?

Nel mio campo, o hai un capitale iniziale consistente e ancora meglio persone disposte a lavorare gratis, come i genitori, o non vai da nes-suna parte. Anche con i finanziamenti di cui puoi usufruire, tu devi comunque pagare tutto prima, saldare tutti i fornitori e poi aspettare il rimborso. Io ho dovuto chiedere soldi in prestito a dei familiari. Non so come si possa fare altrimenti.Non puoi pensare neanche di aprire in piccolo, occorre avere certi volumi, sia per poter essere riconosciuti come imprenditori agricoli professionali, sia per avere un minimo di mercato.È molto importante essere un gruppo forte di persone, che sia o meno una famiglia, per poter condividere tutto, non solo le fatiche e le re-sponsabilità ma anche la bellezza del lavoro. Ci sono difficoltà grosse a mantenere l’equilibrio tra vita personale e lavorativa ma il lavoro dell’agricoltura è bellissimo, tanto cielo così io non l’ho mai visto, gli animali danno tanta soddisfazione, ti riconosco-no, si vede che stanno bene e ti vogliono bene. Dei figli aiuterebbero a chiudere un po’ gli occhi di fronte ai problemi e a pensare che comunque stai facendo qualcosa che potrai poi lasciare loro, quindi penso che fare figli per un imprenditore sia importante.Molto importante inoltre è trovare qualcuno che sia in grado di aiutarti ad individuare bandi ed opportunità di finanziamento, che comun-que ci sono ma che è difficile per chi segue comunque un altro tipo di attività.Ci sono studi di consulenza che operano in questo campo, certo occor-re pagare ma se si trova quello giusto, che davvero si interessa e capisce quello che sei e che fai e che si prenda a cuore le tue esigenze, vale dav-vero la pena. Ci sono zone in cui si può trovare un’assistenza migliore, anche da parte delle associazioni di categoria.

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