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Ri-leggere i classici per leggere il presente · Erasmus+. Attività 13. Milite ignoto. Ri- leggere...

Date post: 15-Feb-2019
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Erasmus + . Attività 13. Milite ignoto. Ri- leggere i classici per leggere il presente Classe 4° A Liceo scientifico Docente Gambin Giuseppina A.s. 2016/2017
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Erasmus+. Attività 13. Milite ignoto.

Ri - leggere i classici per leggere il presente

Classe 4° A Liceo scientifico

Docente Gambin Giuseppina

A.s. 2016/2017

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Le ragioni di una scelta

I classici quale “punto di partenza” da cui iniziare, e insieme risorsa a cui attingere, per suscitare

curiositas verso i segni del passato prossimo e remoto, ha offerto agli allievi e all’insegnante, soggetti

e destinatari del progetto, l’opportunità di leggere il testo Milite ignoto da una prospettiva

straniante, quella degli Antichi.

Le ragioni di questa scelta sono dovute all’atteggiamento iniziale degli allievi sia verso i classici sia

verso il testo Milite ignoto: entrambi “monumenti” freddi, meri depositi di memoria, di exempla

privi di significato o, nel migliore dei casi, tracce di ideali altisonanti, irraggiungibili, incomprensibili,

distanti dal presente, tanto da lasciarli indifferenti.

Rilevata questa situazione di partenza, era necessario un ripensamento dell’attività progettuale: la

rilevazione dei bisogni educativo - formativi degli allievi esigeva di spostare l’attenzione, e quindi gli

interventi educativo - didattici, dallo studio del fatto storico - culturale Milite ignoto alla riflessione

su alcune parole semanticamente legate alla sfera valoriale della Memoria: monumento, sacro,

sacrificio, sepolcro, rito, patria, onore, eroismo, corpo, maschile/femminile. Nella prassi didattica,

questo orientamento pedagogico, in cui l’allievo è al centro del processo di apprendimento, ha

significato talvolta dover rinunciare al rigore scientifico di procedure e di modelli interpretativi, per

privilegiare i bisogni formativi di questi allievi. Gli alunni, ancor prima di essere informati e di

svolgere autonome e/o guidate attività di ricerca sul Milite ignoto, necessitavano di essere educati

alla Memoria, di essere guidati nel rintracciare, per poi ricostruire autonomamente, modalità,

forme, strutture, codificazioni, esempi di memoria privata e collettiva. Il lavoro sul Milite ignoto

diventava a poco a poco invasivo e invadente: da progetto a cui dedicare spazio - tempo e materiale

ben definiti si trasformava in modalità di lettura e di comprensione di testi/argomenti curriculari,

chiave di ri - lettura euristica del noto. Ri - tornare sul Milite ignoto, alla luce di scoperte testuali

sempre più consapevoli, diventava per questi nativi digitali occasione per riflettere sulle proprie

fragilità e responsabilità, scoprendo così che qualsiasi forma di memoria culturale è destinata ad

affievolirsi, per poi spegnersi del tutto, se il gruppo che la possiede non la mantiene viva nel tempo

attraverso la pratica, la trasmissione e l’insegnamento dei suoi contenuti. Così come il ricordo

individuale è sempre insidiato dalla dimenticanza, allo stesso modo la memoria culturale è soggetta

a trasformarsi in oblio culturale. Diventava chiaro, dalle letture, discussioni, scritture e numerose ri

- scritture, che la persistenza di qualsiasi tradizione, o monumento, non deriva tanto dal fatto che

essa viene dal passato del gruppo, quasi possedesse un’intrinseca durata, ma dal fatto che si

continua a diffonderne i contenuti nel presente. Una tradizione non è tanto più solida quanto più è

antica, una tradizione è tanto più solida quanto più lo è il paradigma, l’intelaiatura che la sostiene

nel presente, e quindi quanto più si continua a spiegarne il senso attraverso i suoi contenuti.

Partecipare e lavorare alla realizzazione di questa azione del progetto Erasmus+ ha significato inoltre

per questi ragazzi acquisire consapevolezza riguardo un aspetto della cultura contemporanea,

quello relativo alla sua ossessiva concentrazione sul presente; aspetto per altro da loro

sperimentato nella fase iniziale del progetto, quando si trattava di comunicare in modo evocativo le

loro attribuzioni di senso alle parole chiave dei percorsi da realizzare, o quando veniva chiesto loro

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di costruire analogie e differenze tra codici culturali. Lo studio del passato, a partire dal Milite ignoto,

ha permesso a questi allievi di conoscere alcuni aspetti del loro presente attraverso il confronto con

l’alterità del passato. Sempre più aperti alla globalizzazione spaziale e culturale, questi ragazzi hanno

capito di essere al contrario sempre più chiusi e ostili alla profondità temporale della cultura, che

esige a sua volta modalità comunicative lunghe, verticali, al contrario delle modalità rapide e

orizzontali delle forme della comunicazione contemporanea. Il testo - Antichi, come il testo - Milite

ignoto erano testi indecifrabili proprio per il fatto di essere testi comunicativi lunghi, provenienti

dalla profondità del passato.

Oggi la memoria culturale ha bisogno di sostegno, chiede di essere alimentata e sostenuta, nella

consapevolezza che ogni sezione del tempo, ogni presente che si affacci all’orizzonte della storia,

chiede al passato di rispecchiarlo almeno un po’. Questa caratteristica, inevitabilmente ricostruttiva

della memoria culturale, ha significato, nella prassi didattica, riproporla in modi più vicini alla

sensibilità culturale degli allievi, ridisegnandone i contorni, se necessario, per renderla presente,

pertinente, mai mera attualità.

Da queste riflessioni, è emersa la necessità di ritornare con un diverso livello di consapevolezza sulle

parole chiave emerse dalle evocazioni e dal brainstorming iniziali. Queste parole, a poco a poco,

sono diventate tracce semantiche della Memoria, chiave di lettura fondamentali per poter

affrontare lo studio di particolari, specifici aspetti e forme culturali del mondo classico. Erano parole

presenti nella nostra lingua, di cui gli allievi, attraverso lo studio etimologico, scoprivano origini e

significati diversi da quelli da loro attesi: sacer, monere, relegare (…). In questo modo, riflettendo

sull’etimologia e sulle diverse traduzioni di queste parole, gli allievi, nel momento della

lettura/decodifica del testo Milite ignoto, comprendevano alcune dinamiche alla base dei

cambiamenti semantici di queste parole. Il confronto continuo fra i testi, la scoperta di affinità e

differenze, diventavano momenti di verifica dei cambiamenti provocati nella nostra tradizione

culturale da due mila anni di Cristianesimo, come pure dalle manipolazioni e dall’uso in chiave

ideologica del testo classico, nobile e autorevole abito di cui si servono i regimi totalitari per

abbellire il presente. Questa continua attività inter - testuale diventava consapevole attività inter -

culturale permettendo agli allievi da un lato di recuperare valori altri, dall’altro di scoprire che la

cultura recente e passata presenta tratti di alterità rispetto alla loro, in aggiunta o in opposizione a

quelli di continuità.

La rilettura di alcuni aspetti culturali del codice classico, in funzione della lettura del monumentum

Milite ignoto, ha significato per questi ragazzi confrontarsi con un sistema di valori, dal quale

attingere strumenti culturali, simboli, valori e modalità per leggere, comprendere, semanticizzare il

testo Milite ignoto nel suo essere identico e altro da quel mondo, come già scoperto dalla

rivisitazione etimologica delle parole chiave. Dover rivolgersi all’Antico, a questo altrove nel tempo,

per comprendere e analizzare l’oggetto della loro ricerca, il testo Milite ignoto, ha significato anche

per questi giovani acquisire consapevolezza riguardo la loro identità culturale, prima incerta, avendo

sperimentato che nessuna civiltà può pensare se stessa se non dispone di altre società, di altre

culture, che servano da termine di comparazione: un altrove nel tempo, Greci e Romani, così come

un altrove nello spazio, le civiltà europee ed extraeuropee.

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Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore

Argomento Le forme della memoria nella cultura romana

Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo

Fase A: Motivazionale

Testo: citazione da E. Montale, Voce giunta con le fòlaghe, 1964

Attività: Brainstorming, riflessione individuale e collettiva sulla Memoria a partire dall’immagine montaliana

Produzione sintesi di gruppo

Fase B: Studio, lettura, analisi documenti.

Testi:

• Cicerone Philippicae, XIV, 34 - 35

• Orazio, Ode, III, 30

• Ara Pacis

• Riti augustei

• Augusto di Prima Porta

• Sarcofago dell’ex collezione Rinuccini

• Omero, Iliade, libro XXIV

Intertesti:

• Baricco, Omero, Iliade, 2015

• Brelich, Gli eroi greci, 1958

• Diotti, S. Dossi, F. Signoracci, Moenia Mundi, 2015

• Palo, La morte, i riti funebri e l’aldilà nel mondo romano, 2016

• E. Degl’Innocenti, M. Menghi, Lo sguardo di Giano, 2014

• E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, 1963

• F. Cardini, Onore, 2016

• H. Monsacrè, Le lacrime di Achille, 2003

• http://www.treccani.it/enciclopedia/lutto_(Universo-del-Corpo)/

• http://www.treccani.it/enciclopedia/riti_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/

• J. P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007

• J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995

• L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2011

• L. Garofalo, Il corpo in Roma antica, 2016

• M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011

• M. Bettini, Maschile/femminile genere e ruoli nelle culture antiche, 1993

4

• M. Centanni, Il corpo del re, tratto da Gli occhi di Alessandro di S. Bertelli e C. Grottanelli,

1990

• M. Recalcati, Le mani della madre, 2015

• O. Rossini, Ara Pacis, 2006

• Omero, Iliade, VI, XII, XIV, XXIV (640 - 670), XXIII (269 - 363)

• P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, 1989

• P. Zanker, Vivere con i miti, 2008

• R. Grave, I miti Greci, 1955

• Sarcofago delle amazzoni, 160 d.C., Museo Archeologico Regionale, Palermo

• U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807

• U. Galimberti, Orme del sacro, 2000

Attività: analisi testuale guidata e/o autonoma utilizzando i seguenti criteri:

Genere

Struttura

Sequenze / funzioni

Topic

Lessico, registro

Scelte retorico - stilistiche

Parola - chiave, campi semantici

Punto di vista

Destinatario / contesto storico - antropologico

Risultati attesi: ricostruire il passaggio del dolore dalla sfera privata alla sfera pubblica nel codice classico. Selezionare, organizzare le parole - chiave in percorsi antropologico - culturali

Fase C: Costruzione percorsi antropologico – culturali.

Ambiti di indagine:

Lutto, rito, elaborazione collettiva del lutto

Corpo, sacer

Laudatio funebris, consolatio

Funerale gentilizio (corpo, identità)

Gens, riti collettivi

Mos, trasmissione del mos, memoria

Onore vs stuprum (virtus, pietas, bellum)

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Percorso 2: Codice contemporaneo. La dimensione pubblica del dolore

Argomento Il rito del Milite Ignoto: alla ricerca delle nostre identità.

Finalità Ri - costruire le diverse codificazioni della Memoria nel rito del Milite Ignoto; Riflettere sul significato del termine Memoria nella cultura contemporanea; Riconoscere la presenza di diverse tradizioni nella codificazione del Milite Ignoto.

Fase A: Ricerca, selezione, comprensione, analisi documenti.

Verifica intermedia. Argomento: Non c’è memoria senza conservazione. Consegna: Sviluppa l'argomento in forma di saggio, dopo aver compreso e analizzato i

documenti forniti. Argomenta la tua trattazione anche con opportuni riferimenti ai percorsi riguardanti il progetto Erasmus+ - Milite ignoto. Indica il titolo del saggio.

Testo: • Milite ignoto

Intertesti:

• Gibelli, Il colpo di tuono, 2015

• BBC, Unknown Warrior, 1999

• Diacronie, Itinerari della Grande Guerra - Un viaggio nella storia, Dizionario Garzanti

Linguistica, http://www.garzantilinguistica.it/

• E. Degl’Innocenti, Lo sguardo di Giano, 2014

• E.J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra

mondiale, 1979

• Elogio a Scipione Barbato, 240 a.C. ca.

• F. Cardini, Onore, 2016

• F. Todero, Il culto del soldato caduto della Venezia Giulia, 2005

• G. Dato, Redipuglia: il sacrario e la memoria della Grande guerra 1938 – 1993, 2015

• G.L. Mosse, Le guerre Mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, 2002

• http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo - libero/2015/04/11/news/dietro-il-milite-ignoto-la-storia-

tutta-giuliana-di-antonio-bergamas-1.11215222

• http://www.difesa.it/Il_Ministro/Uffici_diretta_collaborazione/Ufficio_Cerimoniale/Vittoria

no/Pagine/default.ashh

• http://www.quirinale.it/qrnw/simboli/vittoriano/vittoriano.html

• http://www.studistorici.com/2014/08/01/itinerari-della-grande-guerra-un-viaggio-nella-

storia/

• http://www.treccani.it/enciclopedia/

• https://it.wikipedia.org/wiki/Milite_Ignoto_(Italia)

• J. Winter, Il lutto e la memoria – La Grande Guerra nella storia culturale europea, II, IV, 1998

• J.P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007

• L. Cadeddu, Alla ricerca del milite ignoto, 2011

• L. Cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria, 2001

6

• M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011

• Omero, Iliade, VI, XII, XIV, XXIV (640 - 670), XXIII (269 - 363)

• P. Fussell, La grande Guerra e la memoria moderna, 1984

• P. Nicoloso, Le pietre della memoria. Monumenti sul confine orientale, 2015

• P. Violi, Paesaggi della memoria, il trauma, lo spazio, la storia, 2014

• P. Zanker, B. C. Ewald, Vivere con i miti, 2008

• Q. Antonelli, Storia intima della Grande Guerra – Lettere, diari e memorie dei soldati dal

fronte, 2014

• S. Bertelli, Religio regis e media aetas – Tratto da Gli occhi di Alessandro, 1990

• Sacello Milite Ignoto, 1921

• U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807

• V. Labita, Il Milite Ignoto, dalle trincee all’Altare della Patria, 1989

Criteri di analisi: genere, struttura, sequenze / funzione, tesi, argomenti, lessico, registri, stile, punto di vista, destinatario / lettore

Modalità di lavoro: Raccolta, selezione documenti; Lettura, analisi, interpretazione del Milite Ignoto da una prospettiva semiotica e storico - culturale; Individuazione compresenza di codici culturali e loro ricostruzione; Confronto codice classico vs codice contemporaneo a partire dal Riconoscimento di temi/motivi; Produzione sintesi in forma saggistica del lavoro di gruppo.

Fase B: Lettura, analisi del testo Milite Ignoto. Individuare parole - chiave, ri - conoscere linguaggi e tradizioni culturali, costruire percorsi culturali a partire dalle parole - chiave.

Ambiti di indagine:

Rito

Madre

Lutto

Soldato - massa vs Eroe

Simbolo

Culto

Ordine vs Caos

Corpo

Ara

Monumento

Memoria

Senso di colpa

Ri - semanticizzazione del Classico in funzione ideologica

Fase C: Intertestualità

Attività: ri - leggere il testo Milite Ignoto alla luce delle nuove acquisizioni, evidenziando segni, simboli, permanenze di linguaggi e tradizioni culturali diversi.

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Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore

Argomento Le forme della memoria nella cultura romana

Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità

delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo

Fase A: Fase motivazionale

Attività:

1. Riflessione sulla memoria a partire dalla citazione tratta da Voce giunta con le fòlaghe di E.

Montale.

2. Produzione testuale quale sintesi del confronto all'interno del gruppo

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Testo:

cit. da E. Montale, Voce giunta con le fòlaghe, 1964

Voce giunta delle folaghe

Poiché la via percorsa, se mi volgo, è più lunga

del sentiero da capre che mi porta

dove ci scioglieremo come cera,

ed i giunchi fioriti non leniscono il cuore

ma le vermene, il sangue dei cimiteri,

eccoti fuor dal buio

che ti teneva, padre, erto ai barbagli,

senza scialle e berretto, al sordo fremito

che annunciava nell'alba

chiatte di minatori dal gran carico

semisommerse, nere sull'onde alte.

L'ombra che mi accompagna

alla tua tomba, vigile,

e posa sopra un'erma ed ha uno scarto

altero della fronte che le schiara

gli occhi ardenti e i duri sopraccigli

da un suo biocco infantile,

l'ombra non ha più peso della tua

da tanto seppellita, i primi raggi

del giorno la trafiggono, farfalle

vivaci l'attraversano, la sfiora

la sensitiva e non si rattrappisce.

L'ombra fidata e il muto che risorge,

quella che scorporò l'interno fuoco

e colui che lunghi anni d'oltretempo

(anni per me pesante) disincarnano, si

scambiano parole che interito

sul margine io non odo: l'una forse

ritroverà la forma in cui bruciava

amor di Chi la mosse e non di sè,

ma l'altro sbigottisce e teme che

la larva di memoria in cui si scalda

ai suoi figli si spenga al nuovo balzo.

- Ho pensato per te, ho ricordato

per tutti. Ancora questa rupe

tu tenta? Sì. la bàttima è la stessa

di sempre, il mare che ti univa ai miei

lidi da prima che io avessi l'ali,

non si dissolve. Io le rammento quelle

mie prode e pur son giunta con le fòlaghe

a distaccarti dalle tue. Memoria

non è peccato fin che giova. Dopo

è letargo di talpe, abiezione

che funghisce su sè... -

Il vento del giorno

confonde l'ombra viva e l'altra ancora

riluttante in un mezzo che respinge

le mie mani, e il respiro mi si rompe

nel punto dilatato, nella fossa

che circonda lo scatto del ricordo.

Così si svela prima di legarsi

a immagini, a parole, oscuro senso

reminiscente, il vuoto inabitato

che occupammo e che attende fin ch'è tempo

di colmarsi di noi, di ritrovarci…

E. Montale, Voce giunta con le fòlaghe

9

Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro

Riflessione

Nella citazione di E. Montale la parola Memoria, in prima posizione, impone

al lettore una riflessione: la Memoria ha un senso fino a quando giova, fino

a quando è utile. L'io lirico non svela la natura, i destinatari di questo

giovamento. L'io lirico lascia il lettore da solo in questa ricerca delle valenze

e dei significati della Memoria. Il dubbio e la domanda diventano per il

lettore strumento e faro della sua ricerca nell'oblio del presente, nemico

della Memoria, che per giovare pretende la permanenza di valori condivisi,

il riconoscimento del suo giovamento in quanto tradizione e non letargo di

talpe. Questa condivisione non è presente nella nostra società.

La Memoria potrebbe diventare uno spazio/tempo da cui attingere

comportamenti, idee, insegnamenti, quel luogo e quel tempo in cui poter

ancora dialogare con il passato individuale e collettivo. E saper dialogare con

il passato significherebbe imparare a riflettere sul nostro presente,

conoscerlo per la sua alterità e specificità, scoprendo di appartenergli.

Il termine talpe, presente nella seconda parte del verso, evoca miopia, cecità,

fuor di metafora l’impossibilità o la non volontà da parte nostra di “vedere”,

e quindi di comprendere, le forme e i contenuti della Memoria. Allora le

celebrazioni, le commemorazioni di alcuni eventi del passato diventano gusci

vuoti, stanchi rituali che si ripetono senza lasciare traccia, soprattutto in noi

giovani, il più delle volte spettatori passivi e superficiali. È necessario

ricordare anche periodi e fatti dolorosi, difficili da decifrare, per

comprendere la complessità umana e mantenere viva la memoria di coloro

che si sono sacrificati, consapevoli o inconsapevoli, per costruire l’identità

della nostra storia. Questa Memoria pretende cittadini, non solo capaci di

ricordare semplici date o freddi fatti, ma appassionati interpreti del loro

passato, capaci di riconoscere la loro identità culturale nelle forme e nei

contenuti della Memoria. È questo il caso del culto del Milite ignoto, simbolo

da un lato della conservazione della memoria di un evento tragico, come la

Grande Guerra, dall'altro exemplum per riappropriarsi di modalità e forme

della Memoria dimenticate, o forse mai apprese.

Dal confronto e dalle discussioni all'interno del gruppo, è emerso inoltre che

la Memoria evoca interpretazioni, discussioni, diversi punti di vista e questo

perché ricordare significa riflettere e le riflessioni, se autentiche, possono

generare punti di vista diversi. Ognuno di noi, infatti, interiorizza e ricorda

alla luce delle sue esperienze e dei contesti culturali di appartenenza.

Memoria

Memoria vs Oblio

Oblio

Funzioni

Parole chiave

10

Monumenti, riti collettivi e privati, celebrazioni possono diventare allora

occasione per imparare a “vedere” con altri occhi il nostro passato, non più

e non solo quale repertorio anacronistico di exempla, ma laboratorio di idee,

di confronto e dialogo continui.

Funzioni

monumentum

11

Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani

Riflessione

L’analisi della citazione di Eugenio Montale è stata occasione di riflessione

sul termine Memoria.

La citazione, composta di tre versi, affronta il tema della Memoria. Il testo si

può dividere in due sequenze opposte, corrispondenti alle due frasi di cui è

composta la poesia, poste in successione cronologica (come indicato

dall'avverbio “Dopo”).

La prima è caratterizzata dalla parola chiave Memoria, posta nel primo verso

e isolata. Priva di connotazioni, viene descritta nel verso successivo

attraverso la litote “Non è peccato”. Quest’ultima afferma l’importanza della

memoria attraverso una negazione, a cui viene posto un limite: “finché

giova”. La seconda parte, invece, è strettamente collegata alla prima

dall'avverbio “Dopo”, posto in rilievo alla fine del secondo verso, in quanto

veicolo della metafora finale letargo di talpe.

Quindi l'io lirico analizza due situazioni legate alla Memoria, in particolare la

prima è connotata positivamente, come indicato dalla litote e dal termine

giova. Questa condizione però è temporanea, come indicato dal connettivo

finché: vale fino a quando giova, ovvero fino a quando vale per qualcuno.

Quando non vale, quando non è più significativa “Dopo è letargo di talpe”.

In questa metafora si condensano due immagini, quella del sonno del letargo

e quella della cecità delle talpe. Sono immagini che indicano una situazione

in cui ogni traccia di umanità è sparita, l’uomo è diventato non solo cieco,

ma anche apatico, indifferente, sordo, anestetizzato, imbozzolato su sé

stesso, schiacciato su un presente privo di senso.

A questa metafora sono state date diverse interpretazioni all’interno del

gruppo. Alla fine ci siamo trovati d’accordo nell’affermare che la Memoria,

priva di un'azione che la traduca e interpreti, è inutile. Dalle nostre

riflessioni, è emerso che a questa situazione culturale, di indifferenza e

incapacità contemporanea di riconoscere il valore e il significato della

Memoria, si può giungere in diversi modi.

Secondo alcuni membri del gruppo, essa si raggiunge quando l’uomo perde

interesse verso le modalità e i contenuti della Memoria. L'uomo

contemporaneo si ritira nel suo letargo di talpa, nella sua rassicurante

routine, da cui il ri - cordo è escluso in quanto ingombrante, faticoso per il

fardello di fatti, idee e uomini da comprendere. Per alcuni di noi, questo è

dovuto alla distanza che ci separa dai fatti accaduti, e questo limita il nostro

Introduzione

Parola chiave

Memoria

Struttura

Sequenze

Topic

Punto di vista

Figure retoriche

Interpretazione

Il Ri - cordo e la

memoria

12

coinvolgimento, ci riteniamo distanti da loro e non responsabili delle loro

conseguenze. Secondo altri membri del gruppo, questo è dovuto invece

all’esasperazione della memoria. Il ri - cordo può diventare un'ossessione

quando, trattandosi di esperienze traumatiche rimosse, il soggetto non

riesce a comprenderne le cause, non riesce a far luce nell'oscurità della

Memoria. L’uomo allora si chiude in sé stesso, schiavo della solitudine,

incapace di uscire da sé stesso, incapace di partecipare a quelle forme e

modalità collettive della Memoria, in cui potrebbe ritrovare il senso del suo

particolare soffrire nella sofferenza condivisa e per questo solidale.

In conclusione, abbiamo scoperto che la Memoria è una componente

fondamentale della vita dell’uomo, ma per giovare deve valere, avere

significato, e questo dipende dall'uomo, dalla sua volontà e capacità di

comprendere forme, modalità, valori e significati tramandati dalla Memoria.

Se l'uomo non sarà capace di questo, la Memoria diventerà letargo di talpa,

guscio vuoto, oblio, che lo condannerà ad un presente indecifrabile.

Conclusione

13

Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro

Riflessione

La citazione di Montale porta il lettore a riflettere sul termine Memoria,

intesa come ricordo di fatti significativi avvenuti in un passato recente o

remoto. Nel nostro caso siamo spinti a riflettere sul culto del Milite ignoto e

la commemorazione dei caduti della Prima Guerra Mondiale.

Prima di intraprendere questo percorso, all’interno del progetto Erasmus+,

non ci eravamo mai posti il problema di capire a cosa servissero le varie

celebrazioni e commemorazioni che si fanno presso i monumenti dedicati ai

caduti in guerra, per il semplice motivo che non abbiamo avuto modo di

conoscere i fatti attraverso la viva voce di testimoni o dai racconti di parenti.

La nostra conoscenza della Grande Guerra e delle sue pesanti conseguenze

è avvenuta attraverso i libri di testo, e per questo non ci ha coinvolto o

suscitato interrogativi. Ora, invece, grazie a questo progetto, abbiamo la

possibilità di conoscere le ragioni della presenza dei monumenti, delle

epigrafi e di altri segni commemorativi nei nostri luoghi, e di conoscere le

ragioni per cui il 4 novembre è il giorno dedicato alla commemorazione e al

ricordo dei caduti.

La Memoria, come emerge dalla citazione di E. Montale, è il modo umano

per ricordare ciò che ha ancora valore, Memoria non è peccato fin che giova,

come può diventare luogo dell'indifferenza e del sonno della ragione,

quando non c'è riconoscimento dei suoi significati, Dopo è letargo di talpe.

Un esempio di Memoria, quale mezzo per ricordare, lo ritroviamo

nell’immediato dopoguerra, quando le cerimonie commemorative dei

soldati caduti per la patria erano Memoria [...] che giova, momenti in cui la

gente condivideva dolori, ricordava esperienze comuni. In questo modo la

classe dirigente formava gli italiani, dava loro le ragioni per sentirsi parte di

un tutto, il senso di unità nazionale, seppur ideale, che la popolazione agli

inizi del Novecento non conosceva. La guerra aveva lasciato dietro sé

disperazione e devastazione. L’idea della creazione di memoriali serviva

allora ad alleviare i dolori, i lutti, i problemi economici e politici della guerra,

trasferendoli nella dimensione collettiva del rito e del culto. Questa

operazione ideologica è senz'altro menzognera, illusoria, alle volte retorica

eppure etica, in quanto condivisa, sentita, partecipata, come dice l'io lirico

Memoria non è peccato fin che giova. E in questo caso giova alle madri, ai

figli, ai fratelli, alle mogli, perché lenisce il loro dolore nella e con la

condivisione. L’eticità della Memoria, dunque, consiste in questo

giovamento.

Introduzione

Significato progetto

Erasmus+

Analisi

Funzione della

Memoria

14

La seconda parte della citazione di Montale è una critica alla perdita di

significato di quei riti, di quei culti, di quei monumenti, che oggi vediamo

distrattamente, incapaci di leggerli, di interrogarli alla luce del presente.

In questo modo la Memoria perde il suo senso etico, diventando letargo di

talpe, abiezione che funghisce su sè. Conclusione

15

Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato

Riflessione

Cosa intende l'io lirico con il termine Memoria?

Per rispondere riflettiamo su alcuni aspetti del percorso appena iniziato sul

Milite ignoto. Noi, prima di iniziare questo progetto non avevamo Memoria

del Milite ignoto, ora, a poco a poco, leggendo, discutendo, confrontando

documenti, stiamo costruendo la Memoria, la nostra Memoria. A questo

punto, non siamo in grado di rispondere alla domanda iniziale, possiamo

però comunicare quello che abbiamo capito riguardo il termine Memoria,

riflettendo sul tema di cui ci stiamo occupando: Memoria non è solo un

insieme di suoni, significante privo di significati, è un insieme di azioni, di

comportamenti, di fatti che attendono di essere ri - letti ogni volta. Solo così

saremo in grado di “appropriarci “delle gesta dei soldati morti in battaglia, di

“patire” con loro attraverso il ricordo privato e collettivo.

Riteniamo, però, che per ricordare non sia strettamente necessario

partecipare alle celebrazioni pubbliche, che si svolgono ogni anno per

commemorare i defunti. Talvolta queste sono una stanca e ripetitiva parata

di personalità, dinnanzi a un popolo ormai ridotto a pubblico passivo di

eventi di cui ignora il senso. La Memoria viene così ridotta a mero spettacolo

privo di significato, se non quello della sua messa in scena, letargo di talpe,

abiezione che funghisce su sé.

Siamo convinti che sia possibile vivere diversamente la Memoria,

rintracciando i segni di questa attorno a noi, a partire dalle biografie delle

nostre famiglie, dal ricordo di un lontano parente, dalle storie sulla guerra

ascoltate nella nostra infanzia, quando le favole e i miti sono fedeli custodi

della Memoria.

Tali racconti dunque, sono la nostra Memoria, quella privata, discreta, priva

di eroi, popolata solo di figli, padri, mariti, fratelli, amici. Riteniamo che

questa Memoria privata sia il fondamento di ogni altra forma e significato di

Memoria. Solo se possediamo questa Memoria, la Memoria (...) giova. La

Memoria, perpetuata attraverso i riti collettivi, gioverà a noi, cittadini e non

più annoiati spettatori, se saremo capaci di collegarla alle tante Memorie che

ci portiamo dentro inconsapevolmente. Riflettere sul Milite ignoto, allora, è

un’occasione per costruire questo ponte tra la dimensione privata e quella

pubblica del dolore, e quindi della Memoria.

Non condanniamo le commemorazioni pubbliche, vogliamo denunciare la

nostra estraneità verso queste quando, privi di una memoria tramandata,

non abbiamo gli strumenti culturali per capirne i valori e i contenuti. Siamo

Introduzione

Parola chiave

Memoria

Memoria privata

Oblio

16

convinti che la Memoria allora diventa letargo di talpe, rito vuoto,

incomprensibile, lontano, rassicurante rifugio per talpe, incapaci di ri -

flettere, e quindi di riconoscere in quel rito anche la loro storia, la loro

Memoria.

17

Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano

Riflessione

In questo testo discuteremo la citazione proposta contenuta nel testo Voce

giunta con le folaghe di Eugenio Montale.

In questa citazione troviamo la concezione montaliana della Memoria

storica. La Memoria è da considerarsi positiva, solo quando porta

giovamento. E allora ci chiediamo quando la Memoria giova, a chi, perché?

Ci rendiamo conto che ora non possediamo né le conoscenze, né gli

strumenti per rispondere a queste domande. Lavorare a questo progetto,

affrontare il tema del Milite ignoto, sarà per noi occasione di ricerca di quei

contenuti che ci permetteranno di costruire le risposte.

Ora riflettiamo su alcuni aspetti emersi dalla riflessione all’interno del

gruppo. Il termine Memoria lo associamo all’attività del Ricordare, di cui

l’oggetto è il passato. Ci siamo chiesti quale sia il legame tra questi due

termini e quale la loro differenza. L’indagine di alcuni aspetti del codice

classico ci permetterà, attraverso lo studio di una cultura altra dalla nostra,

di raccogliere elementi utili per comprendere il senso della presenza o

assenza nella nostra cultura dei significati e valori legati all’arte della

Memoria e del Ricordo. Abbiamo utilizzato il termine “arte” perché

riteniamo che ricordare, e quindi la Memoria, non sia un’attività innata, ma

il risultato di un'educazione culturale, di un apprendimento lento, faticoso,

di linguaggi, di contenuti, di valori, di strumenti e di modalità.

La Memoria può avere diverse funzioni: catartica, quando lenisce il dolore

per la morte dei nostri cari; etica, quando aiuta l’uomo a prendere

consapevolezza di ciò che è successo, riconoscendo ideali e valori ancora

validi. Essere capaci di costruire ogni volta Memoria dei nostri passati,

rispettandone l'unicità, impone di riflettere sul presente. Un’ultima funzione

della Memoria che giova è quella collettiva. Infatti, la Memoria può unire un

popolo attraverso il riconoscimento di valori comuni. Per assolvere a questa

funzione la Memoria deve diventare occasione di dibattito costruttivo, di

confronto democratico delle diverse interpretazioni che i singoli fatti del

passato possono e debbono avere. Ad esempio, a seguito della Grande

Guerra, la classe dirigente ha cercato di riappacificare e unificare gli italiani

attraverso il ricordo del sacrificio dei caduti in battaglia. La Memoria può

diventare anche un mezzo per mistificare, illudere, nascondere certe verità.

La Memoria, dunque, come tutte le attività e forme culturali umane non è

mai neutrale o monosemantica, ogni volta per comprenderne funzioni e

significati dobbiamo contestualizzarla e incalzarla di domande. Solo così non

diventerà letargo di talpe.

Introduzione

Funzione del

progetto

Riflessione del

gruppo

Funzione della

Memoria

Conclusione

18

Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore

Argomento Le forme della memoria nella cultura romana

Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità

delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo

Fase B: Studio, lettura e analisi documenti.

Testi:

Orazio, Ode, III, 30

Ara Pacis

Riti augustei

Augusto di Prima Porta

Sarcofago dell’ex collezione Rinuccini

Omero, Iliade, libro XXIV

Cicerone, Philippicae, XIV,34 - 35, 21 aprile, 43 a.C.

Per questa fase del progetto, si è scelto di documentare le attività svolte sul testo di Cicerone,

a titolo esemplificativo del lavoro svolto anche sugli altri testi.

19

Testo: Consolazione ai parenti dei caduti, 21 aprile, 43 a.C

[34] Sed quoniam, patres conscripti, gloriae munus optimis et fortissimis civibus monumenti

honor persolvitur, consolemur eorum proximos, quibus optima est haec quidem consolatio,

parentibus, quod tanta rei publicae praesidia genuerunt, liberis, quod habebunt domestica

exempla virtutis, coniugibus, quod iis viris carebunt, quos laudare quam lugere praestabit,

fratribus, quod in se ut corporum, sic virtutis similitudinem esse confident. Atque utinam his

omnibus abstergere fletum sententiis nostris consultisque possemus vel aliqua talis iis adhiberi

publice posset oratio, qua deponerent maerorem atque luctum gauderentque potius, cum multa

et varia impenderent hominibus genera mortis, id genus, quod esset pulcherrimum suis obtigisse

eosque nec inhumatos esse nec desertos, quod tamen ipsum pro patria non miserandum putatur,

nec dispersis bustis humili sepultura crematos, sed contectos publicis operibus atque muneribus

eaque extructione, quae sit ad memoriam aeternitatis ara Virtutis. [35] Quam ob rem maximum

quidem solacium erit propinquorum eodem monumento declarari et virtutem suorum et populi

Romani pietatem et senatus fidem et crudelissimi memoriam belli; in quo nisi tanta militum virtus

exstitisset, parricidio M. Antoni nomen populi Romani occidisset.

Cicerone, Philippicae, XIV,34 - 35, 21 aprile, 43 a.C.

Attività:

1. Comprensione

a. Ricostruisci il contesto in cui l'orazione fu pronunciata

b. Genere. Argomenta con opportuni riferimenti testuali la scelta

c. Struttura, sequenze e loro funzione. Esplicita i criteri relativi alla divisione in

sequenze

d. Tesi, argomenti a sostegno

2. Analisi

a. Lessico, registro linguistico, destinatari

b. Sintassi, funzione connettivi, modi e tempi verbali

c. Livello retorico - stilistico

d. Parole chiave, costruzione relativi campi semantici

3. Interpretazione

4. Contestualizzazione

5. Produzione testuale quale sintesi del confronto all'interno del gruppo.

20

Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro

Analisi

Il 14 aprile, al Forum Gallorum, presso la Via Emilia, il console Pansa fu ferito

e sconfitto dalle truppe di Antonio; a Pansa giunse in soccorso Irzio, secondo

console in carica, che riuscì a sconfiggere Marco Antonio. La notizia della

vittoria giunse a Roma il 20 aprile del 43 a.C.: in questa giornata, venne

pronunciata la XIV Filippica scritta da Cicerone, durante un’orazione

pubblica all’interno del tempio di Giove Capitolino, in onore dei cittadini

romani che hanno combattuto nella battaglia di Modena contro Antonio ed

il suo esercito, per la salvezza della Res publica. È a questa Filippica che

appartengono i due paragrafi (34 - 35) oggetto dell'analisi.

Il testo, contenuto nelle Philippicae di Cicerone, appartiene al genere

letterario della consolatio. Questo genere ha lo scopo di offrire conforto al

dolore di un lutto.

La consolatio presa in analisi può essere divisa in tre sequenze:

1. Sed quoniam, [..] esse confident.

2. Atque utinam his [..] ara Virtutis.

3. Quam ob rem [..] Romani occidisset.

La prima sequenza ha la funzione di illustrare ai familiari dei caduti il motivo

per cui questi ultimi devono essere onorati e ricordati, invece che pianti. Ad

ognuno dei familiari, Cicerone dedica un particolare motivo di consolazione:

ai genitori, quello di aver dato alla vita dei figli che sono stati utili alla Res

publica; ai figli, quello di avere nei padri un modello di virtus; alle mogli,

quello di avere avuto un marito degno di lode ed ai fratelli quello di poter

somigliare a loro nella virtù. Il dolore privato viene così collocato in una

dimensione pubblica (“figli di valido sostegno alla repubblica”, “modello di

eroismo”, “esempi di virtù”), per cui i caduti vengono glorificati e trasformati

in eroi di fronte alla popolazione.

La sequenza successiva ha lo scopo di confortare i familiari dei caduti,

elencando i motivi per cui le lacrime vanno asciugate e per cui devono essere

fieri della morte dei loro cari. Vengono elencate le morti che non portano

onore o dignità (“insepolti o abbandonati”, “cremati e racchiusi in tombe

disperse”) e messe a confronto con l’onorevole morte dignitosa che, invece,

è riservata a coloro che si sono sacrificati per la patria: per questi ultimi,

infatti, verranno erette costruzioni in loro onore a spese dello Stato,

mausolei che manterranno vivo nel tempo il loro ricordo.

Nella terza e ultima sequenza viene definito il fine per cui lo stato erige un

monumento in onore dei caduti. Le funzioni del monumento sono quelle di

Introduzione

Contesto storico,

destinatario

Tipologia testuale

Consolatio

Struttura

funzione sequenze

Virtus

21

onorare e ricordare il valore di coloro che hanno combattuto per la patria,

di sottolineare la lealtà del senato e la pietà del popolo romano nei confronti

dei caduti, il cui sacrificio è valso a salvare la patria.

I temi presenti nel testo sono i seguenti:

• la sepoltura quale rito per preservare la dignità del defunto;

• la celebrazione pubblica del dolore come mezzo di propaganda;

• la morte per la patria come sinonimo di morte onorevole;

• il caduto per la patria come exemplum;

• il monumento quale luogo e mezzo per ricordare e mantenere viva

la memoria.

La parola chiave del testo è monumentum. Essa racchiude il significato

dell’intera consolatio: la celebrazione dei valori e della virtù dei caduti.

L’erezione del monumento è un'azione politica il cui fine è onorare coloro

che si sono sacrificati, facendo della pietra scolpita il simbolo della memoria

collettiva. Ara Virtutis, l’altare del valore.

Il lessico che Cicerone utilizza ha un significato rilevante nel sistema culturale

dell’autore, come ad esempio “honor”, “optima”, “virtus”, “fidem”,

“pietatem”, “memoriam”. Non sono presenti termini appartenenti al

registro quotidiano poiché l’occasione è formale e richiede un registro

linguistico elevato.

Dal punto di vista sintattico, Cicerone fa uso prevalentemente della forma

ipotattica. Nella prima sequenza infatti, Cicerone utilizza una serie di

proposizioni dichiarative in forma implicita introdotte dalla congiunzione

dichiarativa “quod”. La funzione di queste subordinate è quella di precisare

i diversi motivi consolatori rivolti contemporaneamente a destinatari diversi,

relativi ai diversi gradi di parentela (“quod tanta rei publicae praesidia

genuerunt”, “quod habebunt domestica exempla Virtutis”, “quod eis viris

carebunt, quos laudare quam lugere praestabit”, ”quod in se ut corporum,sic

virtutis similitudinem esse confident”). Cicerone, attraverso questi costrutti

sintattici, porta nella sfera pubblica il dolore che fino ad allora era

circoscritto alla sfera privata. In questo modo, i caduti diventano exempla

virtutis per i genitori, i fratelli, le mogli e il popolo romano; vengono inoltre

eletti optimi, in quanto si sono sacrificati per la patria.

È possibile ricostruire due campi semantici: quello relativo alla virtù

(“exempla virtutis”, “aeternatis ara virtutis”, “rei publica presidia”, …) e

quello relativo alla morte che può essere dignitosa (“contectos publicis

operibus”, “ara virtutis”) o indecorosa (“dispersis bustis”, “humili

sepoltura”). La morte dignitosa è connotata dalla sepoltura, protetta in

costruzioni innalzate a spese dello Stato, in onore dei caduti, per rendere

Temi

Parola chiave

Monumentum

Lessico

Stile

Exempla virtutis

Campi semantici

22

eterna la loro memoria; mentre la morte indecorosa è connotata

dall’insepoltura, dalla cremazione o dalla collocazione delle salme in tombe

disperse.

In conclusione, applicando il genere della consolatio privata all’oratoria,

Cicerone vuole onorare la memoria dei soldati in maniera collettiva e, allo

stesso tempo, giustificare la morte per il bene della patria. Il rito, la

sepoltura, ed il monumento diventano allora strumenti per espiare il senso

di colpa dei vivi e collocare il defunto in una dimensione pubblica del dolore.

Conclusione

23

Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani

Analisi

Il testo che analizzeremo è un estratto della quattordicesima Philippica di

Cicerone, l’ultima delle quattordici orazioni composte da Cicerone tra il 2

settembre del 44 a.C. e il 21 aprile del 43 a.C., pronunciate in senato (a

esclusione della quarta e della sesta tenute davanti al popolo e della seconda

scritta soltanto).

Il nome prende spunto dalle orazioni, Philippicae, scritte dell’ateniese

Demostene, a metà del IV secolo a.C. contro Filippo II di Macedonia,

considerato nemico della libertà greca. Cicerone, come Demostene, vuole

mettere in guardia i cittadini romani dal nemico comune: Marco Antonio.

L’estratto preso in considerazione è pronunciato il 21 aprile del 43 a.C., in

seguito alla vittoria delle forze senatoriali e ottaviane nella battaglia di

Modena contro Antonio: si tratta della consolatio finale (un genere letterario

finalizzato all’elaborazione dei lutti privati) rivolta ai parenti dei caduti.

In questo caso, l’orazione è pronunciata durante una cerimonia pubblica e lo

scopo di questo lavoro sarà quello di capire le modalità utilizzate da Cicerone

per rendere pubblico un lutto privato.

Innanzitutto esaminiamo la struttura del testo che può essere diviso in tre

sequenze.

Nella prima (“Sed quoniam […] esse confident”) Cicerone si rivolge al senato

e ai parenti dei familiari secondo i loro gradi di parentela, esortandoli ad

essere fieri dei loro congiunti.

Nella seconda sequenza (“Atque utinam […] ara Virtutis") l'io narrante

conforta i parenti dei caduti, esprimendo il desiderio di “asciugare loro le

lacrime” attraverso la parola, esortandoli a rallegrarsi in quanto ai caduti è

toccata la morte più bella poiché a loro sono riservate le tombe nell’ara

Virtutis.

Infine, nella terza sequenza, l’oratore conclude esponendo il più importante

motivo di consolazione per i parenti: l’Ara Virtutis testimonierà il valore dei

caduti, la pietà del popolo romano, la lealtà del senato e il ricordo di una

guerra che non sarebbe stata vinta senza l’eroismo dei soldati.

Il topic del testo è il valore dei caduti; questo concetto viene illustrato usando

una struttura argomentativa. In particolare la tesi sostenuta dall’oratore è

Introduzione

Genere Consolatio

Livello denotativo

Funzione Ara

Topic

24

“onorandoli con questo monumento paghiamo il tributo di gloria a cittadini

bravi e valorosi”, gli argomenti a sostegno sono:

• la consolatio non è necessaria in quanto i familiari devono essere

fieri dei loro congiunti per i motivi sopraelencati;

• ai caduti è toccata “la più bella” tra “le diverse specie di morte” e

il monumento sarà testimone del loro valore.

Questi argomenti sono rivolti ai senatori, come indicato da espressioni come

“o senatori” e “potessimo noi”, ed indirettamente ai parenti dei caduti, a cui

si rivolge con termini indicanti il loro grado di parentela con i defunti

(“parentibus”, “liberis”, “coniugibus” e “fratibus”) o con vocaboli come “loro”

e “costoro”.

I soldati invece sono connotati come exempla del mos maiorum. In

particolare l’oratore si rivolge a loro come “civibus”. Con questo termine

Cicerone vuole sottolineare la loro appartenenza alla res publica, quindi

vengono considerati prima di tutto cittadini e poi soldati. Inoltre il termine è

connotato da aggettivi quali “optimis” e “fortissimis”, volti a sottolineare la

loro superiorità etica rispetto ai loro concittadini romani, poiché hanno dato

la loro vita per il bene della Res publica.

Il compenso è costituito dalla gloria eterna, garantita dalla costruzione

dell’ara Virtutis, il monumento che preserverà il loro ricordo in eterno.

L’importanza di questo riconoscimento collettivo, connotata

dall’allitterazione presente nelle parole “munus” e “monumenti”, si

contrappone alle immagini dei cadaveri inhumatos e desertos, dei disperisis

bustis e di humil sepoltura, sottolineando così il privilegio ed il valore dei

soldati a cui è “toccata la morte più bella”, che dovrebbe essere di conforto

per i parenti.

Da questi elementi testuali e dalla loro organizzazione, comprendiamo come

Cicerone renda pubblico il lutto privato. L'attribuzione di questa doppia

funzione alla consolatio è dovuta inoltre ad una serie di motivi: il contesto in

cui è pronunciata la consolatio e, dato che il termine “patres conscripti”

indica i suoi destinatari, ovvero i senatori, questo è il senato, un luogo

pubblico; la funzione civile del monumento; la connotazione dei caduti.

Questi sono modelli di virtù, eroi morti per il bene della res publica a cui tutti

i cittadini sono debitori, quindi i valori attribuiti loro sono riconosciuti e

condivisi dalla collettività.

Questi argomenti, disposti in climax nella prima sequenza, costituiscono i

motivi per cui i parenti devono essere fieri della “bella morte” dei loro cari.

Destinatari

Livello connotativo

Motivo

Lutto

25

Il contenuto di questo argomento dimostra come il bene collettivo prevalga

su quello privato, il negotium e gli officia sull’otium. E allora i caduti sono

innanzitutto civibus al servizio della res publica, ed è questa loro funzione a

conferire valore alla loro morte, che pertanto è “la più bella”.

In conclusione, il lutto viene reso pubblico attraverso il riconoscimento

pubblico dei caduti, che perdono la loro individualità, diventando exempla

per tutta la comunità, che si sdebita nei loro confronti attraverso la memoria

eterna rappresentata dal monumento.

Conclusione

26

Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro

Analisi

La quattordicesima Philippica, l’ultima delle orazioni di Cicerone, fu

pronunciata in senato il 21 aprile del 43 a. C., appena ricevuta la notizia della

vittoria a Modena delle truppe di Ottaviano su Antonio.

È una consolatio, ovvero un genere letterario che ha come scopo principale

ricordare e consolare lutti privati, talvolta veniva applicata anche in

occasione di cerimoniali e lutti pubblici. Viene pronunciata di fronte ai

genitori dei decaduti e ai senatori riuniti per commemorare i valorosi

cittadini romani che hanno combattuto per il bene della Res publica.

Nel paragrafo 34esimo, l’autore si rivolge in prima persona ai parenti dei

caduti, cominciando dai genitori, proseguendo, poi, con mogli e fratelli,

invitandoli a non piangere per la morte dei loro cari bensì ad essere orgogliosi

di loro, in quanto si sono distinti come exemplum virtutis. Infatti, i genitori

non hanno solo generato esseri umani, ma anche cittadini validi per il

sostegno della Res publica (rei publicae praesidia); alle mogli non è concesso

piangere i mariti, ma piuttosto lodarli (laudare quam lugere); infine, i fratelli

sono invitati a emulare non solo i loro tratti fisici, ma soprattutto quelli morali

(ut corporum, sic virtutis similitudinem), in quanto siano per loro esempio di

eroismo. In questo modo l’autore trasferisce il dolore per la morte dei soldati

dalla dimensione privata alla sfera pubblica, ribadendo che quest’ultimi si

siano sacrificati per il bene della Res publica, quindi di tutti i cittadini.

A questo punto, l’autore si rivolge ai senatori, invitandoli a riflettere sul

significato della morte di questi soldati (“Atque utinam his omnibus astergere

fletum sementii nostris consolatisque possemus”). Cicerone, fiducioso nei

valori del mos maiorum, cerca di trasferire il dolore dal campo privato alla

sfera pubblica. Sostiene che tutto ciò che i soldati hanno fatto nella vita

privata è diventato funzionale alla res publica. In questa operazione

ideologica di trasformazione del dolore da privato a pubblico, l’autore trova

retoricamente il modo di operare una rimozione nei confronti dei parenti dei

caduti, utilizzando uno degli argomenti fondanti il mos maiorum: la loro

morte è stata la migliore possibile, hanno sacrificato la vita per il bene dello

Stato.

Proprio per questo motivo, Cicerone sostiene che lo Stato ha il dovere di

costruire, a sue spese, un’Ara Virtutis, all’interno della quale i corpi dei

soldati dovranno essere sepolti, in modo da concedere loro aeterna

memoria, come atto di riconoscenza nei loro confronti. In questo modo la

consolatio non è compassione, bensì una forma di negazione del dolore

Introduzione

Genere

Consolatio

Destinatario

Messaggio

Funzione

Struttura

argomentativa

Funzione

Monumentum

27

(“…cum multa et varia impenderent hominibus genera mortis, id genus quod

esset pulcherrimum”). Questa morte infatti non si accompagna alla tristezza

e all’angoscia, attributi della morte senza sepoltura, bensì è connotata da

termini appartenenti al campo semantico della serenità, dell'onore, della

dignità. È questa la miglior morte possibile, la morte che trova nella sepoltura

il riconoscimento del suo valore etico da parte della collettività. Tramite

quest’immagine, Cicerone vuole offrire ai parenti dei caduti il conforto, in

nome dell’humanitas, di un’Ara Virtutis che avrebbe dato ai loro cari eterna

memoria ed immortalità. Al contrario, rispetto a questi corpi sacralizzati, i

cadaveri inhumati e deserti, abbandonati, oggetto di stuprum, rimarranno

senza sepoltura.

La promessa di immortalità per i soldati morti per la salvezza della res publica

è presente nel paragrafo 35 ed è collegata al termine monumento, la più

grande forma di consolazione e di testimonianza del valore dei propri cari:

“Quam ob rem maximum quidem solacium erit propinquorum eodem

monumento declarari et virtutem suorum et populi Romani pietatem et

senatus fidem et crudelissimi memoriam belli”.

Da questa considerazione abbiamo dedotto che la parola chiave di questo

testo è monumento, in quanto la sua costruzione unisce la commemorazione

dei caduti di guerra al senso di appartenenza alla patria da parte dei cittadini,

in quanto quei soldati ricordati si sono sacrificati per il bene della res publica.

In altre parole il monumento è il mezzo che permette allo Stato di trasferire

il dolore da privato a pubblico, trasmettendo ai cittadini il senso di

appartenenza (mos) alla res publica.

Honor vs Stuprum

Conclusione

28

Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato

Analisi

La quattordicesima Philippica è un’orazione pronunciata da Cicerone in

seguito alla vittoria delle truppe di Ottaviano e di quelle dei consoli Irzio e

Pansa contro l’esercito privato di Antonio, il 21 aprile del 43 a.C. La

denominazione dell’opera risale allo stesso Cicerone, che la volle ricollegare

alle famose invettive pronunciate da Demostene contro Filippo di

Macedonia, le Filippiche.

Questa orazione appartiene al genere della consolatio. Cicerone, infatti,

elogia, rivolgendosi ai parenti, i soldati morti in battaglia allo scopo di

commemorarli e permettere l’elaborazione del lutto privato in forma

pubblica.

Il testo può essere suddiviso in quattro sequenze.

La prima sequenza va dal primo verso al nono. L'autore si rivolge ai parenti

dei soldati caduti, utilizzando una serie di proposizioni dichiarative, per

cercare di dare loro conforto in seguito alla perdita rispettivamente dei figli,

mariti e fratelli, modelli di eroismo “di valido sostegno alla repubblica”.

I parenti/destinatari sono ordinati secondo una climax decrescente di

parentela: in primo luogo si rivolge ai genitori, in seguito ai figli, alle mogli e

infine ai fratelli. In questa sequenza è presente il topos del sacrificio per la

patria. I familiari non devono disperarsi per la morte del proprio caro, devono

essere fieri: i genitori per aver procreato figli che si sono sacrificati per la

patria; i figli per aver avuto nei padri modelli di eroismo; le mogli per aver

perduto “uomini più degni di lode che di pianto” e i fratelli per aver

conosciuto esempi da imitare nelle virtù fisiche e morali.

La seconda sequenza va dal decimo al quindicesimo verso. In questa

sequenza l’autore dichiara di voler confortare i parenti con la parola. Il

conforto non è inteso come compassione ma come negazione del dolore: i

soldati sono caduti in battaglia per difendere la propria patria e perciò, i

parenti non devono disperarsi ma rallegrarsi in quanto è toccata loro la morte

più bella. Lo stesso topos è presente nell’Ode di Orazio, Dulce et decorum est

pro patria mori, III, 2, 13.

La terza sequenza va dal quindicesimo verso fino al venticinquesimo.

L’autore procede ad un’ulteriore rassicurazione alle famiglie dei defunti: i

corpi dei cari verranno riposti nell’ara Virtutis, quindi riceveranno sepoltura

e non verranno abbandonati. Per i Romani, infatti, seppellire il corpo

significava strapparlo all’oblio e consentirgli di passare nel mondo dell’aldilà.

Introduzione

Genere

Consolatio

Livello denotativo

Destinatari

Ara Virtutis

29

La sepoltura quindi era simbolo di appartenenza alla civitas e la mancata

inumazione sarebbe stata considerata come un oltraggio ai defunti

immolatisi per la patria.

Infine, nell’ultima sequenza, con un’iperbole, l’autore ipotizza che se non

fosse stato per l’ammirevole eroismo “militum virtus” il nome stesso del

popolo romano sarebbe stato distrutto.

All’interno della terza sequenza si trova la parola chiave del testo, ovvero

monumentum. Quest’ultimo è il mezzo attraverso il quale lo Stato riesce a

trasferire il lutto dalla sfera privata a quella pubblica poiché trasforma un rito

privato, quale il funerale, in una funzione pubblica, che ha una duplice

funzione: di propaganda e conservazione dei valori del mos maiorum, ed

eternatrice del valore della morte di quei soldati.

Nel passo analizzato i soldati anti antoniani caduti in guerra vengono

connotati con termini appartenenti al campo semantico del mos maiorum,

connessi al concetto di onore, valore e gloria (munus, optimis, fortissimis).

Questi termini vengono utilizzati per presentare i caduti come modelli di

eroismo in quanto salvatori della patria.

I, inoltre, soldati non sono connotati come viri bensì come cittadini (par. 34

civibus) utili alla salvezza della Res publica. Essi, infatti, sono considerati

cittadini romani, destinati a combattere e morire per la patria; così i caduti

vengono privati della loro identità, non sono più membri di una particolare

gens, ora sono exempla. In questo consiste la ri - semantizzazione del lutto:

esso viene trasferito dalla dimensione privata a quella pubblica e in questo

processo il corpo diventa sacer.

Militum Virtus

Parole chiave

Monumentum

Analisi connotativa

Mos maiorum

Res publica

30

Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano

Analisi

Il testo proposto fa parte della quattordicesima Philippica di Cicerone,

l’ultima delle sue orazioni, pronunciata il 21 aprile del 43 a.C. a seguito della

vittoria riportata a Modena dalle truppe di Irzio, Pansa e Ottaviano su quelle

di Antonio.

Il genere a cui appartiene questo testo è quello della consolatio, ovvero un

genere letterario codificato dalla retorica classica come un componimento

finalizzato all’elaborazione di lutti privati che veniva applicato, come forma

oratoria, in occasioni cerimoniali.

Il testo si apre con la tesi “onorandoli con questo monumento paghiamo il

tributo di gloria a cittadini bravi e valorosi”. Da questa, cogliamo il motivo

per il quale venne realizzato il monumentum, l'Ara Virtutis: per riconoscere

ai defunti il loro sacrificio e per essere stati cittadini romani valorosi.

L’estratto può essere suddiviso in due sequenze, in base alla loro funzione.

Cicerone, nella prima sequenza (“Sed quoniam […] ara Virtutis"), connota i

soldati caduti in battaglia come l’incarnazione dei valori del mos maiorum.

Per fare ciò si rivolge ai familiari dei defunti, illustrando ad ognuno le ragioni

della consolatio. I genitori sono i primi destinatari: essi non devono piangere

la morte dei loro figli, devono essere fieri di aver dato la vita a uomini che si

sono sacrificarsi per la Res Publica. I figli devono prendere esempio dai padri

come modello di eroismo. Le mogli non devono piangere i mariti, devono

lodarli per il sacrificio compiuto. Infine, per i fratelli questi caduti diventano

exempla da emulare per le loro virtù. Solo la morte per la patria, quale

officium civis, è degna di consolazione e commemorazione pubblica.

I caduti diventano in questo modo dei modelli virtuosi di comportamento

verso i quali la società si sente in debito, ne riconosce il sacrificio e vuole

“risarcirli” trasformandoli in eroi. A questo scopo costruisce loro altari e

monumenti per ricordarli in eterno, strappandoli ad una morte oscura. I

monumenti diventano quindi metonimie, simboli dei valori, in particolare

dell’onore, del sacrificio dei soldati, morti per la salvezza della patria.

Cicerone, attraverso questo discorso, abilmente costruito, ovvero la

consolatio, trasforma il dolore dei parenti in riconoscenza verso i defunti da

parte di tutti i cittadini, collocando così il dolore privato nella dimensione

pubblica. Questa operazione ideologica la realizza da un lato elevando i

soldati caduti in battaglia a valorosi eroi necessari per il mantenimento dello

stato, dall'altro sottolineando il sacrificio da loro compiuto nei confronti della

patria. Infatti, Cicerone designa i defunti con il termine cives, evidenziando

Introduzione

Genere

Consolatio

Tesi

Struttura

Destinatari

Funzione

Monumentum

Funzione rito

31

la loro appartenenza alla res publica anche, e soprattutto post mortem. Essi

non appartengono più alla gens, ora appartengono alla gens per eccellenza,

la civitas, la Res Publica, sono figli della patria. Dalla sfera privata, quindi, si

passa alla sfera pubblica in quanto i decreti della res publica possono

“asciugare le lacrime” ai familiari dei caduti e quindi alleviare il dolore e

rasserenarli al pensiero che la morte, che ha colto i loro cari, è la migliore

possibile, in nome della patria. Il passaggio del significato della loro morte

dalla sfera privata a quella pubblica avviene attraverso il rito. Il rituale della

sepoltura dei defunti, infatti, è un bisogno antropologico dell’uomo per

commemorare i propri defunti e per ricordarli. Nell'ultima sequenza vengono

illustrati i benefici della costruzione di un monumento in loro memoria:

consolazione dei congiunti, testimonianza dei valori dei propri cari,

dimostrazione della pietà del popolo romano, della lealtà del senato e il

ricordo di una guerra spietata che avrebbe distrutto il popolo romano senza

coloro che hanno combattuto.

La parola chiave, che racchiude il significato della consolatio, è

monumentum. I romani sentono l'esigenza di risarcire il sacrificio compiuto

dai soldati, caduti in battaglia, attraverso la realizzazione dell'Ara Virtutis.

Esso inoltre fa rifermento al senso di appartenenza alla Res Publica proprio

di tutti i cittadini romani.

Dalla parola chiave abbiamo costruito i campi semantici che riguardano la

memoria, la guerra e l'etica. Infatti, il lessico utilizzato nel testo è legato ai

valori del mos maiorum, in particolare l’onore, la gloria e il valore

riconosciuto ai caduti per la patria.

Per quanto riguarda la sintassi, essa è prevalentemente ipotattica. Nella

prima sequenza Cicerone utilizza delle proposizioni dichiarative, in forma

implicita e introdotte dalla congiunzione dichiarativa “quod”. Queste ultime

hanno la funzione di spiegare i motivi della consolazione per ogni grado di

parentela trattato. In ognuna di esse, Cicerone porta alla sfera pubblica il

dolore prima circoscritto solo alla sfera privata. In questo modo, i caduti

diventano exempla virtutis per i genitori, i fratelli, le mogli e il popolo.

Dopo aver discusso all'interno del gruppo, siamo giunti alla conclusione che

il testo ciceroniano ci sia servito come primo approccio per apprendere che

cosa si intenda per Memoria e culto del lutto pubblico nell'età classica.

Inoltre, dall'opera di Cicerone abbiamo tratto l'importanza che i romani

davano alla costruzione di Monumenti, ai luoghi della memoria, e l'Ara

Virtutis testimonia il riconoscimento della civitas del sacrificio compiuto dai

soldati romani per la Res Publica.

Parola chiave

Monumentum

Campi semantici

Livello sintattico

Conclusione

32

Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore

Argomento Le forme della memoria nella cultura romana

Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità

delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo

Fase C: Costruzione percorsi antropologico - culturali.

Ambiti di indagine:

Lutto, rito, elaborazione collettiva del lutto

Corpo, sacer

Laudatio funebris, consolatio

Funerale gentilizio (corpo, identità)

Gens, riti collettivi

Mos, trasmissione del mos, memoria

Onore vs stuprum (virtus, pietas, bellum)

33

Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro

Il corpo tra sacralità e onore

Il progetto Erasmus+ “Insegnare la Grande Guerra – Educare alla pace” è

stato il punto di partenza per indagare le differenze e le analogie tra la

cultura classica e quella contemporanea riguardo la parola chiave “corpo”,

simbolo antropologicamente fondamentale del nostro percorso. Questo

saggio è il risultato di un lavoro di analisi e riflessione su testi letterari e non,

finalizzato alla comprensione/ ricostruzione della concezione del corpo nella

cultura classica. La successiva riflessione sul lessico valoriale del suo campo

semantico, sacer, honor, stuprum, laudatio funebris, consolatio, ci ha

permesso di acquisire consapevolezza riguardo il significato di termini da noi

trascurati.

La nostra riflessione sul corpo nasce dall'analisi del testo di Cicerone

Philippica XIV, 34 - 35, pronunciata il 21 aprile del 43 a.C. appena ricevuta la

notizia della sconfitta di Antonio a Modena. Nella consolatio Cicerone

sottolinea l'importanza di dare degna sepoltura ai caduti ed elogia la bella

morte in nome della patria: “id genus quod esset pulcherrimum suis [...]quae

sit ad memoriam aeternitatis ara Virtutis”. Emerge quindi l'importanza della

sepoltura per consentire al defunto di trapassare nel mondo dell'aldilà: la

non sepoltura, e quindi l'abbandono del cadavere, è segno di morte

indecorosa. La sepoltura è il rito che riconosce al defunto diritto di

cittadinanza anche post mortem. Dare ai corpi sepoltura, sul piano

simbolico, significa sottrarre il corpo all’oblio della morte: in questo modo il

ricordo del defunto si mantiene vivo nel tempo. Il tema della bella morte e

dell’importanza del corpo ritorna anche nell’Ode III,2 di Orazio. L'Ode si apre

con questa immagine: Angustam amice pauperiem pati/robustus acri militia

puer/ (...). L'io lirico rivolge l'esortazione al giovane sottoposto, durante il

servizio militare, a duri esercizi e sacrifici, che temprano il corpo e il

carattere. Questo riferimento rimanda alla concezione classica del corpo,

forma di virtù. Orazio si rivolge in quest'ode di argomento civile ai giovani

ufficiali, appartenenti alla classe senatoria o equestre, che si esercitavano a

cavallo per essere pronti a combattere contro i Parti, temibili nemici di Roma

e abilissimi cavalieri. E prosegue: Dulce et decorum est pro patria mori. /Mors

et fugacem persequitur virum/nec parcit imbellis iuventae/poplitibus

timidoque tergo. In questi versi, è dolce e bello morire per la patria, Orazio

riprende Tirteo (fr. 10W) e Simonide (fr.524 P) nell’esortazione ad affrontare

con coraggio la morte che non risparmia chi vilmente volga le spalle al

nemico e fugga. Quale ricompensa attente il puer robustus? La virtù, in senso

morale e militare, è un premio di per sé. Il virtuoso non tiene in gran conto

gli onori tributati dal popolo, che volubilmente può innalzare un uomo alle

Introduzione

Corpo

34

supreme cariche, ma anche gettarlo nel fango. Alle anime di questi grandi,

di questi virtuosi, secondo gli Stoici era riservata l'immortalità. La virtù è un

dono proprio di anime privilegiate: Virtus recludens immeritis mori/caelum

negata temptat iter via/coeptusque vulgaris et udam/spernit humum

fugiente penna.

Dunque, il corpo del puer robustus è mezzo e fine della sua formazione etico

- militare. Il corpo del soldato è la sintesi della virtù militare e morale. Questa

concezione del corpo è evidente soprattutto nella statuaria greco - romana:

gli eroi, i sovrani sono rappresentati nel pieno della giovinezza, ideali corpi

atletici che lasciano trasparire le qualità del soggetto rappresentato.

A questo punto del nostro lavoro, dobbiamo restringere lo studio del tema,

oggetto della nostra analisi, il corpo, alla sua relazione con la morte. Alla luce

di questa relazione semantica, indagheremo il significato prima e le affinità

poi, di alcune parole appartenenti al campo semantico corpo - morte. I

termini oggetto della nostra indagine sono: riti collettivi, riti privati, sacer,

honor, Mater.

Il corpo ha un valore fondamentale nei riti sia collettivi che privati: era

attorno al corpo del defunto che avvenivano prima le lamentazioni delle

donne e successivamente i riti funerari collettivi. La sepoltura e i riti erano

espressione della dignità del defunto: un corpo deturpato e insepolto era un

corpo sottoposto allo stuprum, al disonore. Questo aspetto, relativo alla

degna sepoltura, è presente nell’Iliade quando Ettore chiede ad Achille di

restituire il suo corpo al popolo in caso di sconfitta. Achille non rispetta la

richiesta dell’avversario, al contrario lo deturperà per giorni. Allora Priamo

si recherà nell’accampamento acheo per chiedere ad Achille la restituzione

del corpo di Ettore e celebrare così degni funerali (“Fermeremo la guerra per

darti il tempo di onorare tuo figlio, vecchio re” risponde Achille.). Il corpo

dell'eroe è simbolo della guerra, rappresenta la forza e la potenza: non c’è

eroe di cui non si ricordino, oltre che lo splendore morale, anche quello fisico

nel momento del combattimento. “La fascinazione per le armi è costante, e

l’ammirazione per la bellezza estetica dei movimenti degli eserciti è

continua. [...] Si direbbe che tutto, dagli uomini alla terra, trovi

nell’esperienza della guerra il momento di sua più alta realizzazione, estetica

e morale”.

È doveroso, a questo punto, soffermarsi sul termine sacer, data la valenza

sacra che il corpo dell'eroe assume post mortem. La sacralizzazione del corpo

dell’eroe - soldato - milite ignoto, accomunati dalla “bella morte“, sarà una

costante del bisogno dei vivi di risarcire questi morti.

Corpo, sacer

35

Sacer, deriva dalla parola di origine indoeuropea sak che, attraverso

l’immagine del recinto, conduce al significato di “separazione”, un recinto

divide, separa, protegge. Da sacer deriva l’aggettivo sacrum, che si riferisce

a qualcosa di distinto e separato dal nostro mondo, tutto ciò che ha contatto

con una sfera superiore che l’uomo non può dominare, quella del divino.

Essendo qualcosa su cui l’uomo non ha potere e controllo, egli tende a

temere il sacro, ma nel contempo ne è attratto. Alla base di ogni religione vi

è questo rapporto. La religione tende a mettere in contatto, e allo stesso

tempo a separare, l’area divina da quella umana - terrena.1 Infatti, ci sono

tempi, luoghi e persone particolari adibiti al contatto con il sacro, separati

quindi dalla vita scandita dal lavoro. Ciò che avviene al di fuori di questi spazi

è profano, ovvero posto di fronte (pro) al tempio (fanum), non appartenente

alla divinità.

La ragione è quella che opera la divisione tra sacro e profano, basandosi su

due principi: quello di non contraddizione, secondo il quale ad esempio è

impossibile che il sacro sia e non sia allo stesso tempo, e quello di identità,

secondo il quale il sacro è il sacro e non può essere profano.1

Dall’opposizione tra sacro e profano, si delineano anche i concetti di lecito e

illecito, espressi dai termini latini fas e nefas. In particolare, la parola fas

indica la liceità di un determinato comportamento in relazione alla sfera del

sacer, mentre con nefas, gli antichi Romani indicavano tutto quello che non

fosse possibile fare senza incorrere nell'ira degli dei. Nefas è quindi l’atto di

entrare nella sfera del sacro, la quale non compete agli uomini, come scrive

Orazio (Ode i, 11 “Tu ne quaesieris, scire nefas”).

L’opposizione tra sacro e profano si sovrappone a quella tra puro e impuro,

definendo la sfera del male e quella del bene. Ciò che è male, impuro, è

contagioso: il rito ed il sacrificio servono ad allontanare le forze malefiche e

a propiziarsi quelle benefiche. Nei riti, l’uomo cerca di trovare un punto

d’incontro tra la sfera umana e quella divina, cerca cioè di avvicinarsi al

sacro.

Ad esempio, attraverso il rito funebre, l’uomo affida ad un sarcofago il

compito di proteggere e conservare il corpo del defunto, che diventa sacro.

Il termine sarcofagus deriva dal greco sarko - phàgos. È una parola composta

da sarko - da sarx, “carne”, e - phàgos da phaghein, “mangiare” con il

significato quindi di mangiatore di carne. Inizialmente, il termine indicava

una pietra calcarea che aveva la capacità di erodere un cadavere in alcuni

giorni. In seguito, passò a significare monumento funebre a forma di feretro.

Sarcofagus ricorda anche la parola sacer. La chiusura del sarcofago divide il

mondo esterno con il corpo del defunto, dividendo cioè il sacro dal profano.

36

L'altra parola, oggetto della nostra riflessione, e collegata al tema del corpo,

è honor, di cui stuprum è l'antitesi. Infatti, dall'analisi dei testi, sono emersi

elementi culturali per cui il termine honor, legato al concetto di corpo, è

collegato alla sfera semantica della morte eroica o “bella morte”, al contrario

il termine stuprum, inteso come oltraggio del corpo, è sinonimo di morte

anonima, inutile. La virtù, l'honor, sacralizzano il corpo. A tal proposito, è

significativa la scena del duello fra Achille ed Ettore. Ettore, sul punto di

morte, guarda Achille e con l'ultimo soffio di vita gli dice:” Ti supplico, non

abbandonarmi ai cani, restituisci il corpo a mio padre”. L'importanza del

corpo è presente anche nella prima fase del combattimento.

Ettore” Giurami che se vincerai prenderai le mie armi ma non il

mio corpo”3. Queste citazioni richiamano il concetto della 'bella

morte’ dell'eroe, motivo di onore e di pianto familiare durante i

rituali funebri. L'immortalità, il kleos aphthiton, è conferita dalla

morte eroica. Questa idea di immortalità è presente anche nei

riti funebri dell'Antica Roma. Infatti, come si può comprendere

dal rilievo con corte funebre da Amiternum (I secolo a.C.), il

defunto è disteso sul letto e coronato d'alloro, si sorregge il capo con la

sinistra mentre il gomito è puntellato sui cuscini. Questo atteggiamento gli

conferisce una posa da 'vivo’ e fa dubitare del fatto che sia una salma. La

questione è che senza la bella morte questa ideale immortalità non si

sarebbe verificata in quanto non avrebbe permesso l'esposizione del corpo

del defunto. “È proprio per questo che Achille vuole oltraggiare Ettore

quando lo trascina con il suo carro e si accanisce contro il cadavere affinché

non abbia una bella morte”3. L'oltraggio al cadavere è quindi la contropartita

della morte eroica. Alla morte eroica succedono funerali, che sono una

specie di apoteosi. È per questo che Ettore, una volta capito che Achille è più

forte di lui, sceglie la morte eroica. Achille vuole impedirgliela, rendendo il

suo cadavere spaventoso, sfigurandolo perché non assomigli più a niente e

non resti che un ammasso di carne. Da questa scena fra Achille ed Ettore, è

evidente come sia importante la bella morte per l'eroe - soldato - milite

ignoto. È il suo risarcimento, il senso del suo sacrificium, riconosciuto dalla

collettività nel rito funebre. Accanto a questo aspetto, vi è il desiderio, la

necessità dei familiari del defunto di onorarlo, piangerlo e dargli una degna

sepoltura.4 È proprio questo uno dei motivi alla base del riconoscimento

collettivo del valore del Milite Ignoto: egli rappresenta ogni eroe - soldato,

caduto in battaglia, dulce et decorum est pro patria mori, onorato con il rito,

il corteo funebre ed infine con la degna sepoltura.

A questo proposito, considerando il rito funebre, in particolare quello

privato, emerge con forza la presenza della figura della donna, in particolare

quello della Mater. Per rintracciare e identificare questo ruolo nel mondo

Corpo, honor vs

stuprum

Laudatio funebris,

consolatio,

funzione Mater

37

classico, prendiamo in analisi alcune delle figure femminili presenti ne

l’Iliade. Durante la guerra, ogni donna piange un figlio, un marito, un fratello

caduto combattendo: “Essendo allo stesso tempo posta da difendere e

prede da conquistare, le donne non possono che piangere quando il loro

difensore scompare”6.

In epoca classica era fondamentale la presenza dei parenti, in particolare

delle donne, che si riunivano attorno al corpo del defunto nel momento in

cui esso veniva esposto durante il rito funebre. Non avere nessuno dei

parenti attorno a sé sul letto di morte, era una sorta di disonore e non avere

un corpo su cui piangere rappresentava un dispiacere soprattutto per le

donne, come accade nell’Iliade,5 quando Achille, dopo aver ucciso Ettore,

inizialmente si rifiuta di restituire il corpo alla famiglia e al popolo,

deturpandolo e umiliandolo, come illustrato sopra.

La presenza delle donne risulta indispensabile nel primo momento dei

funerali: quello privato. Esse piangono il morto e le proprie sventure che

derivano dalla morte di quest’ultimo: egli è infatti, come già detto, il

difensore della famiglia e del popolo. I lamenti delle donne non evocano

tanto la grandezza dell’eroe quanto i mutamenti cui vanno incontro data la

sua assenza. Accanto alle donne, vi sono poi i cantori professionisti che

intonano le melodie in onore del defunto.

La donna romana aveva il compito di esternare il dolore della perdita: “si

trattava della drammatizzazione di un sentimento in cui il rituale sanciva il

passaggio del defunto dalla società dei vivi al suo nuovo status”. Attorno al

V secolo, con le leggi delle XII tavole, queste manifestazioni vennero limitate

ma le donne continuarono comunque a esprimere il dolore con gesti

eclatanti: una testimonianza è data dalle immagini raffiguranti riti funerari,

in particolare donne disperate intente a piangere, con i capelli sciolti e il

petto denudato. Motivo già presente nell’Iliade,5 quando Ecuba chiede al

figlio Ettore, piangendo e scoprendosi il seno, di non andare a combattere

con Achille, oppure quando sempre lei inveisce contro Achille per vendicare

Ettore innalzandosi, per un momento, allo stesso livello di ferocia di colui

che le ha ucciso il figlio: “potessi il suo fegato morderlo e divorarlo”. In

quanto madre, non può perdonare l’assassinio del figlio.

Dalle tre lamentazioni pronunciate rispettivamente da Andromaca, Ecuba e

Elena emergono diversi aspetti e funzioni del defunto, come pure diversi

effetti che la sua morte ha sortito su loro.

Andromaca, in quanto moglie e madre di suo figlio, evoca le atrocità della

guerra e l'inevitabile destino di Troia dopo la morte del marito: “Ettore, tu

muori giovane e mi lasci vedova nella nostra casa [...] Questa città sarà

38

distrutta, perché sei morto tu che la proteggevi [...] Ti piangono i tuoi

genitori, oggi, ti piange tutta la città, ma nessuno ti piange con tanto dolore

come la tua sposa, che mai dimenticherà che sei andato a morire lontano da

lei”.

Ecuba ricorda il favore degli dei nei confronti del figlio e quindi del suo

popolo: “Ettore, tra tutti i figli, quello più caro al mio cuore. Gli dei che tanto

ti hanno amato in vita, anche da morto non ti hanno abbandonato. [...] Ti ha

spezzato la lancia di Achille, ma di una dolce morte sembri morto, figlio mio”.

Elena ricorda le qualità di Ettore, capace di conciliare forza, coraggio,

dolcezza, philia: “Ettore, amico mio. [...] E in vent'anni mai una volta ho

sentito da te una parola cattiva, o un'offesa. E se qualcuno mi malediceva,

tu sempre mi difendevi. Io ti piango perché piango con te l'unico amico che

avevo. Te ne sei andato, lasciandomi sola in pasto all'odio di tutti”.

Il pianto della donna svolge una funzione antropologica: si tratta di colmare

la “crisi della presenza”1 causata dalla perdita di una persona cara. Il pianto

è una necessità per i vivi. Le lacrime delle donne appartengono

esclusivamente al privato in quanto il loro significato è assolutamente

affettivo, significato diverso da quello dell'elogio del morto, faccenda

esclusivamente maschile. Questo dipende anche dalla condizione della

donna in epoca classica: ella doveva generare i figli, allevarli in modo tale

che una volta adulti potessero occuparsi dei loro doveri nei confronti del

popolo. La donna, in quanto madre e sposa, doveva rimanere al suo posto.

Se dovessimo stabilire una gerarchia dei ruoli femminili, è indubbiamente la

madre che ricopre il ruolo rilevante: in quanto genitrice, il suo ruolo è quello

di crescere i figli in funzione dei loro officia futuri.

Dalla lettura e analisi dell’Iliade,5 emerge che, pur essendo questo poema

epico un “monumento” alla guerra, tra le righe è possibile leggere la volontà

e il desiderio di pace. A tal proposito è fondamentale il ruolo svolto dalla

donna nelle sue diverse funzioni. Sono, infatti, le donne a pronunciare

spesso il desiderio di pace: esse, ai margini del conflitto vero e proprio,

rappresentano una sorta di civiltà alternativa, libera dal dovere della guerra,

una civiltà che intravede un'alternativa. Un esempio sono le tre donne,

precedentemente considerate, che intonano una supplica di pace nel

momento in cui Ettore, nel sesto libro, entra in città. Come accade anche per

il lamento funebre, ogni donna si esprime con una propria “tonalità

sentimentale”5: la madre lo invita a pregare, Elena lo invita a riposarsi e

infine la moglie lo invita ad essere padre e marito prima che eroe e

combattente. La sfera famigliare e quella pubblica (figlio, padre, marito,

amico vs eroe, guerriero) seguono etiche diverse e, talvolta, inconciliabili.

39

È interessante rilevare come alla componente femminile dell’Iliade,5 sia

riservata la comunicazione dei valori della sfera affettivo - famigliare,

comunicazione, che si ritrova indirettamente anche in quelle sequenze in cui

gli eroi, invece di combattere, dialogano, quasi a voler temporeggiare: la

parola è in grado di congelare la guerra, è un modo per salvarsi

momentaneamente dall'inevitabile. Sembra quasi che quanto più si avvicini

il momento della vittoria della cultura guerriera e dell'inevitabile scontro

finale, tanto più prevalga l’inclinazione femminile alla pace (basti pensare al

dialogo tra Priamo e Achille e alla temporanea tregua per celebrare il

funerale di Ettore).

In conclusione, il ruolo della donna, in particolare quello della Mater durante

i riti funebri, era strettamente legato alla sfera privata. Nonostante questo

ruolo limitato, la donna riesce a comunicare il desiderio di pace che affiora

dal Conflitto, desiderio quasi mai espresso dalle figure maschili, che al

contrario “devono” elogiare la guerra e presentarla come necessità per

raggiungere la pace.

Oggi come ieri: due logiche diverse, due etiche inconciliabili a confronto.

Sono le donne che coraggiosamente esprimono affetti, piangono, senza

temere di essere considerate vulnerabili e deboli, stereotipo della donna

ancora presente nella nostra cultura, che utilizza, talvolta ipocritamente, in

funzione ideologica la presenza femminile nei riti collettivi proprio per la sua

valenza affettivo - famigliare. La madre diventa allora la Madre, e il suo

pianto diventa il Pianto di tutte le madri, i cui figli virtuosi vengono

sacralizzati dal pianto collettivo, perché dulce et decorum est pro patria mori.

Documenti

1. A. Baricco, Omero, Iliade, 2004

2. H. Monsacrè, Le lacrime di Achille, 2003

3. J. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia,2007

4. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011

5. Omero, Iliade, VI, XII, XIV

6. U. Galimberti, Orme del sacro, 2000

Conclusione

40

Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani

La sacralità del rito e del culto

La consegna per il seguente lavoro consiste nella scrittura di un saggio breve

riguardante alcune parole chiave ricavate dall'analisi, svolta

precedentemente, della Philippica XIV di Cicerone. A partire da queste

parole chiave e relativo campo semantico, abbiamo esaminato una serie di

fonti proposte dalla professoressa Giuseppina Gambin. Il testo

argomentativo è strutturato in base alle parole chiave, ordinate dal generale

al particolare, a partire da quella che riteniamo fondamentale: il rito.

Con il termine rito si indicano le procedure formali, gli atti di osservanza

religiosa e le cerimonie di un culto o, in un'accezione più ampia, qualunque

comportamento o attività formalizzata che si svolge secondo regole o

procedure specificate dalla società.1

In particolare, nel mondo romano, i riti si possono definire nel primo modo,

ovvero come cerimonie legate alla religione. Infatti, osservando le

celebrazioni ed i relativi rituali presenti nel calendario romano, queste sono

tutte dedicate a qualche divinità, dai Compitalia di gennaio dedicati ai Lari,

in cui le famiglie appendevano al portone della propria casa una statuetta

della dea Mania ed altre figure fabbricate con la lana rappresentanti uomini

e donne accompagnante da richieste di protezioni ai Lari, ai Saturnalia di

dicembre, dedicati a Saturno, in cui veniva sovvertito l’ordine sociale e

veniva eletto un princeps rappresentante Saturno o Plutone.

Quindi, il rituale è un modo per mettersi in contatto con la divinità attraverso

l’azione: ciò è individuabile in particolare nella religione romana, poiché in

essa il rapporto con la divinità è configurato dal rito, finalizzato ad ottenere

la pax deorum e quindi la benevolenza degli dei verso Roma.

Però il rituale indica anche il comportamento da seguire verso la sfera del

sacro, ciò è ricavabile esaminando i termini fas e nefas, rispettivamente “ciò

che è lecito” e “ciò che non è lecito” rispetto al diritto divino e quindi quali

erano i comportamenti leciti di fronte alla religione, ma anche alla morale e

al diritto.

Da ciò possiamo ricavare il “pragmatismo” della religione romana, che

possiamo definire “contrattualistica” perché basata su un foedus tra dei e

uomini finalizzato ad ottenere la pax deorum.1 Inoltre, come affermato da

Emile Durkheim nel saggio “Le forme elementari della vita religiosa”, i rituali

sono anche strumento di coesione sociale, rafforzata dalla loro periodicità e

sacralità. Attraverso essi, l'individuo si sente in contatto con forze superiori;

ma ciò che viene interpretato come influenza divina, in realtà non sarebbe

Introduzione

Definizione

Rito

Il rito e la divinità

Rito funebre

41

altro che l'esperienza dell'influenza della collettività sull’individuo.3 Quindi il

rito nell’antica Roma è un mezzo per affermare la propria religiosità e la

propria appartenenza alla comunità. Affermato ciò, andremo a trattare di un

rito particolare, quello funebre, nella civiltà romana.

Esso (per le classi più agiate) si componeva di due parti: l’esposizione del

defunto nella casa ed il funerale vero e proprio. Per la prima, il corpo veniva

preparato dalle donne della casa o dal libitinarius, che lo faceva per

professione. Il corpo veniva esposto per un paio di giorni in cui parenti e

concittadini potevano rendergli omaggio.

La seconda consisteva in una processione per le strade della città verso il

luogo di sepoltura in cui i familiari indossavano maschere di cera degli

antenati (ad indicare l’utilizzo del rito anche per esaltare la casata nobiliare).

Durante il corteo gli uomini dovevano esprimere contegno e decoro e

recitare la laudatio funebris, un’orazione dedicata al defunto, mentre le

donne dovevano manifestare il dolore della perdita con grida, graffi e

percosse al petto; anche se ciò era solitamente compito della prefica, pagata

per compiere questi gesti, dato che una delle leggi delle dodici Tavole limita

questi comportamenti. Le prefiche avevano il compito anche di intonare

canti particolari, le neniae, che, accompagnati al pianto, avevano la funzione

di far superare la “crisi della presenza”, ovvero uno stadio di incertezza

causato dalla perdita, provocando, appunto, uno stato di crisi

dell’individuo.4

La ripetizione di questi gesti rituali era finalizzata alla elaborazione del lutto.

Il termine lutto deriva dal latino luctus – us, derivante dal verbo lugere,

“piangere, essere in lutto”, e indica a un tempo la situazione di chi ha

perduto una persona amata, il lento e doloroso processo di accettazione e

interiorizzazione di un decesso, che in psicoanalisi viene definito il “lavoro

del lutto”, e l'insieme di segni esteriori, culturalmente codificati, adottati in

occasione della morte di qualcuno.5

Oltre ai gesti già esposti, solitamente uomini e donne esprimevano il lutto

attraverso posture raccolte, con una mano a supporto del mento, oppure

ripiegati su sé stessi con le mani abbracciate alle ginocchia; entrambi i

comportamenti sono presenti nel rilievo di un sarcofago del III secolo d.C.

del Muséè National du Moyen Age, rappresentante il compianto attorno al

letto funebre di una ragazza. Questa è sdraiata al centro del rilievo in una

posa che fa sembrare quasi che stia dormendo, mentre le figure che la

circondano, in particolare due sedute ai lati del letto funebre, mostrano i

gesti trattati. Entrambe hanno le gambe incrociate, ma mentre quella a

sinistra supporta il viso con una mano, l’altra abbraccia le ginocchia con le

Lutto

Dal rituale al lutto

42

mani. L’atto di intrecciare o chiudere parti del corpo era una formula di

scongiuro usata per tenere lontane le forze negative, mentre le ginocchia,

nella cultura greca e romana, erano sede dell’energia vitale. In questo caso,

quindi, questo gesto può essere interpretato come un tentativo di

proteggere la propria energia vitale, perduta a causa del dolore della perdita.

Dopo aver esaminato elementi come l’esposizione della salma, la laudatio

funebris, le neniae, i pianti, e quindi tutti i gesti finalizzati ad esprimere il

lutto, si può notare come essi siano basati soprattutto sulla memoria del

defunto.

Questo si può notare anche esaminando i rilievi di alcuni sarcofagi di bambini

di epoca romana.6 Essi rappresentano scene legate al rituale funebre, in

particolare al lamento e al lutto dei parenti.

Le poche immagini di questo tipo si trovano sui sarcofagi di bambini e quasi

sempre si tratta di bambini maschi. È interessante il fatto che in questo caso

la scena prescelta non sia l'esposizione solenne della salma, ma una scena di

lutto privato, silenzioso, nella cerchia dei familiari. Su un sarcofago di

bambino di epoca Antonina proveniente dalla necropoli di Agrigento (130 d.

C.), il bambino morto giace avvolto in una coperta su un divanetto. Non è

esposto in modo solenne su un catafalco, ma è disteso in modo tale che

sembra dormire. Ai lati del letto funebre sono seduti i genitori, addolorati.

Con un gesto tipico del lutto si sono tirati la veste sul capo per separarsi dal

mondo esterno e nascondere il volto. Dietro il lettino, invece, tre figure

sfogano i propri sentimenti: il pedagogo, la balia, che accarezza il bambino,

e un'ancella, o una prefica professionale, che si strappa i capelli in segno di

disperazione. Questa scena è accompagnata da altre, che rappresentano i

ricordi dei parenti in lutto. A sinistra della scena funebre si vede il bambino

che ascolta il pedagogo, o il maestro di grammatica. Sulla parete laterale

sinistra il bambino è seduto su un carro tirato da un caprone, un gioco molto

amato dai bambini romani. La parete laterale destra ricorda la nascita. La

balia solleva il neonato dopo il bagno. Sullo sfondo sono presenti le tre

Parche Cloto, Lachesi e Atropo, riunite attorno ad un pilastro con il globo del

mondo. Una delle tre Parche stabilisce l'oroscopo secondo l'ora della

nascita. Lo sguardo retrospettivo sulla vita del bambino ha una duplice

funzione: ricordare la felicitàà in vita del bambino, ma anche il fatto che la

sua morte era segnata fin dalla sua nascita. È notevole che la scena funebre

contenga immagini del ricordo, della memoria, che rinnovano il dolore di chi

guarda e al tempo stesso aiutano a relativizzarlo: nessuno può sottrarsi al

proprio destino.

Il sarcofago come

mezzo per ricordare

43

È interessante rilevare la presenza della Parca, segno mitico legato alla

memoria. Il mito consola il dolore, trasformandolo in memoria. Il mito

risemantizza i ricordi: dato che lo scopo del rituale è quello di consolare i

parenti, le rappresentazioni sul sarcofago comunicano un messaggio di

speranza attraverso la trasformazione mitica della memoria.

Questo si può notare anche sul sarcofago dell'ex collezione

Rinuccini, attualmente a Berlino (200 d.C.). Su questo

sarcofago singolare per la combinazione di diversi “piani

linguistici”, il carattere e i pregi del defunto vengono celebrati

in tre diverse scene: a sinistra egli appare come un buon marito

insieme alla moglie e alla dea Concordia, poi come generale,

pronto al sacrificio, e a destra nell'immagine allegorica del

cacciatore Adone, che perde la vita durante un incidente di

caccia.

Su un sarcofago proveniente da Stoccarda le persone raccolte

dietro il letto funebre sono divise in due gruppi: a destra le

prefiche piangono con le mani sollevate in segno di

disperazione, mentre sulla sinistra tre Muse accompagnate da

Hermes si stringono al giaciglio. Una Musa tende le braccia

verso il bambino. Le Muse vogliono accogliere il fanciullo nella loro cerchia

con l'aiuto di Hermes. Infatti, se guardiamo attentamente, il bambino è giàà

vestito come la Musa che si dirige verso di lui. La stessa cosa si ritrova in un

sarcofago di bambino al Museo Romano delle Terme, dove il defunto è

raffigurato due volte: sotto il letto funebre come corpo senza vita e sul letto

funebre come compagno delle Muse. In questo caso i genitori volevano

avere davanti agli occhi l'immagine del bambino risvegliato a nuova vita nella

cerchia delle Muse. In entrambi i casi il bambino per le sue doti è il

beniamino delle Muse, come narrato dalle scene retrospettive. Per gli

scultori non si trattava di reclamare per il morto una qualche forma di vita

futura, quanto piuttosto di evocare, l'una accanto all'altra, una serie di

immagini consolatorie. Nel caso del compianto per bambini morti, a

differenza delle altre molte immagini di lamento e di lutto che parlano solo

nel linguaggio del raffronto mitico - allegorico (sarcofago ex Rinuccini), la

coerenza mitologica non è un requisito. Infatti, le raffigurazioni del

compianto per i bambini morti mostrano scene della loro vita, sia pure

riprodotta in termini non realistici. Questa caratteristica del compianto

funebre dei bambini forse dipendeva dal fatto che la perdita dei bambini era

sentita come particolarmente dolorosa e li si voleva ricordare così

com'erano stati, com'erano cresciuti tra le pareti di casa. La tendenza ad

associare uno sguardo retrospettivo a immagini di speranza, proiettate in

44

avanti, si ritrova anche in molti sarcofagi con rilievi mitologici. Solo in casi

rari l'osservatore è posto di fronte alle immagini della morte e del lutto senza

nessuna idea consolatoria, fosse anche solo il ricordo delle virtù del defunto.

Ed è interessante notare che le scene funebri senza motivi consolatori sono

quelle più antiche.

Il mondo dei sarcofagi, come d’altronde quello delle epigrafi, ci offre così

un'immagine vivida ed umanissima dell'amore per la vita nella società

romana, che, si potrebbe affermare, di fronte alla morte sente il bisogno di

rimedi spirituali codificati ed accessibili a tutti (come per esempio lo

ricordano i monumenti funebri), rimedi che, come afferma Acquaviva

“rispondano in maniera semplice ed immediata all'inquietante prospettiva

del, non - essere”. Ma se ci pensiamo bene ancora oggi si ha la tendenza a

qualificare la “morte” come “santa” e parlano di “santa morte”, come è

avvenuto per esempio con il milite Ignoto. Varie fonti, come per esempio gli

annales, riportano inoltre, il fatto che la “morte”, a Roma era sentita come

evento che segna un passaggio, una mutazione di essere e di dimensione, è

il “confine ultimo”, come affermava Timeo nell’Olympionikai, valicato il

quale, si entra nell’Altro che in questo modo si viene ad identificarsi come

Sacer, ciò che è riservato esclusivamente per gli Dei.

Etimologicamente infatti sacer risale alla radice sak-, che ha numerosi

riscontri nelle lingue italiche: osco sakoro 'sacra', sacrid abl., etrusco sakrím

'hostiam', sakarater 'sacratur', anche saqāru, ovvero “invocare la

divinità”, in sakāru “sbarrare, interdire” oppure sakaraklum 'sacellum',

sakra 'sacras', sacre 'sacrum', ecc. Tra i composti e i derivati basterà

richiamare sacerdos (con la radice dhē - di tíqhmi, quindi propriamente 'colui

che compie le azioni sacrè), sacrificium 'rito sacro', sacellum (da sakro-lo-),

sacrarium, sacramentum, ecc.: come si vede, ognuna di queste parole

sviluppa solamente alcuni dei significati che sono compresenti in sacer, da

essa derivano anche termini come sarcofago, e sacrario. In latino da questa

radice abbiamo una formazione in - ro -, sakros. Lo stesso termine che si

ritrova in una famosa lapide: lapis niger, scoperto a Roma nel 1899 vicino

all’arco di trionfo di Settimio Severo, nel luogo chiamato “Tomba di Romolo”

e dato agli inizi dell’epoca dei re. Così, come afferma anche Julien Ries ne Il

senso del saco Nelle culture e nelle religioni, “fin dalla fondazione di Roma ci

troviamo in presenza della sfera e del problema del sacro”. Un vero e proprio

problema, non tanto per noi contemporanei, bensì per i Romani. Come si

ricava dall’etimologia infatti Sacer è ciò che appartiene al dio. Il seguente

esempio di Plauto (Trin., 286) chiarisce molto bene i limiti della parola:

sacrum profanum, publicum privatum habent. Nella seguente citazione

vengono impiegate delle coppie di aggettivi esprimenti l'uno l'esatto

I significati di sacer

Etimologia di sacer

La santa morte

45

contrario dell'altro per esprimere la totalità, così che il contesto viene a

significare «non rispettano proprio nulla». È chiaro che, per poter meglio

confermare quest'idea, le due coppie di aggettivi devono avere qualche

rapporto semantico fra di loro: entrambe devono indicare il tutto, ma da due

punti di prospettiva differenti e nello stesso tempo legati da qualche

relazione. Sacrum indica la sfera di ciò che ha riferimento col dio, publicum

indica la sfera dei rapporti fra gli uomini nell'ambito della collettività e della

sua organizzazione: i due piani si integrano fra di loro, e il piano dei rapporti

fra gli uomini può essere considerato solamente alla luce del piano dei

rapporti fra uomo e dio. Questo sostiene l’affermazione di Acquaviva: “la

vita sociale è basata sull’osservazione dei riti e delle tradizioni di gruppo”.

Egli però aggiunge che le azioni compiute da un individuo valgono “solo se si

trova all’interno della società (la vita al di fuori è inesistente o limitata)”. La

parola importante di questa frase è “all’interno, che sottintende il limite

della città Romana. Come infatti noto, fin dalle origini, fin cioè da quando

Romolo ha tracciato il primo solco sacro, l’urbs, dal punto di vista legale,

esisteva solo all’interno del pomerium, ovvero il confine sacro, tutto quello

che si trovava oltre il pomerium, invece, era territorio sottomesso a Roma

stessa. Da questo si può quindi capire che l’uccisione di Romolo compiuta

dal fratello Remo, in quanto aveva osato oltrepassare il confine sacro

armato, assume valenza di esecuzione capitale e giustifica il permanere di

questo fatto di sangue legato alla fondazione della città di Roma. Il

messaggio sotto questa luce acquisirebbe quindi un valore forte e

rassicurante per gli abitanti della città e potrebbe suonare come: 'sarà

punito chiunque attenti alla città e ai suoi abitanti è diventerebbe un monito

potente per i nemici.

Ma ritornando alla relazione esplicitata da Plauto tra il sacro/Divino e

l’uomo, Julien Ries argomenta la relazione, esplicitando che all’interno della

sfera sacro - religiosa “si presentano due poli: Da una parte stanno gli dei,

tra cui il personaggio principale è Jupiter (Giove), detentore della sovranità

celeste e giuridica; dall’altra c’è l’uomo, il quale vuole che la sua vita e le sue

azioni siano in perfetta conformità con la volontà degli dei”. Da questo è

possibile capire l’importanza dei romani per gli auguri (sacerdoti che

osservavano il volo degli uccelli per cogliere messaggi divini), ma anche per

il sacerdos (colui che ha a che fare con le cose sacre, compie la preghiera e il

culto) la pax deorum (situazione di concordia tra la comunità dei cives e le

divinità della religione romana), delle feste e soprattutto dei rituali. Sempre

per lo stesso motivo si riesce a capire il perché per Ottaviano fosse tanto

importante il titolo di Augustus che “gli viene conferito”. Infatti esso, fra i

vari significati, deriva del verbo augeo, che ha in latino il significato di

accrescere: dunque gli Augusti, gli imperatori, sono coloro che accrescono la

46

ricchezza, il benessere, la floridezza dello Stato, grazie al potere che

rivestono. Augusto vuol dire anche "venerabile" e, soprattutto, "protetto

dagli dei”. Inoltre Romolo fu il fondatore di Roma e proprio costui, prima di

compiere l'atto che avrebbe cambiato le sorti del mondo, aveva ricevuto un

permesso divino: un augurium augustum. Una cerimonia atta a fornire a

Ottaviano (il primo degli Augusti, come già detto) un permesso analogo a

questo, fu fatta dal Senato appunto nel 27 a.C. E questo sarebbe un altro

motivo per cui a coronare la figura dell'imperatore venne scelto il nome di

Augusto: Ottaviano, e così gli altri dopo di lui, avevano sulle loro spalle pari

merito rispetto a Romolo, perlomeno secondo il loro titolo. Avevano fondato

una nuova Roma. È in particolare un verso di Ennio a ricordarci nello

specifico questo significato. Inoltre il verbo latino augere, viene fatto risalire

ad una cerimonia etrusca che si svolgeva all'aria aperta e durante la quale la

maestà ed il potere del re venivano “accresciuti” con una sorta di investitura

o consenso degli dei.

Giunti a questo punto, possiamo affermare che il sacer è un valore

“universale” per i Romani, superiore allo ius, in quanto rientrante nella sfera

del fas. In conclusione, recuperare il significato del sacer significa riflettere

sul significato di civitas, significa costruire, in quanto soggetti di quella

comunità, forme e modalità identitarie consapevoli e plurali.

Documenti

1. E. Degl'Innocenti, M. Menghi, Lo sguardo di Giano, 2014

2. E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, 1963

3. http://www.treccani.it/enciclopedia/lutto_(Universo-del-Corpo)/

4. http://www.treccani.it/enciclopedia/riti_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/

5. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011

6. P. Zanker, V.C. Ewald, Vivere con i miti, 2008

Conclusione

47

Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro

Memoria: il luogo dell’immortalità

Abbiamo deciso di approfondire quella che, secondo noi, è la parola chiave

non solo del percorso da noi scelto, ma dell’intero progetto Erasmus+. La

parola Memoria. La scelta di questa parola deriva dal fatto che è alla base del

nostro desiderio di durare, resistere, permanere nel tempo. Come emerge

dall’opera di Ugo Foscolo, “Dei sepolcri”, l’unico modo che l’uomo ha per

garantirsi “l’immortalità” è il ricordo di sé attraverso i propri cari. Se l’uomo

vuole sconfiggere l’incombente azione distruttrice del tempo, deve

“ricorrere” alla Memoria. Un argomento significativo a sostegno di questa

tesi, lo si ritrova nel sonetto “A Zacinto”, dove l'io lirico foscoliano scrive “te

mai altro avrai che il canto del figlio”. In questi versi, è espressa l’idea dell’io

lirico riguardo la poesia, unica attività umana che conferisce a chi l'ha

composta e a chi è narrato in essa, eterno ricordo. Questo motivo è presente

anche nell'Ode III, 30, dove Orazio afferma di aver “costruito” un

monumento più duraturo persino delle piramidi: Exegi monumetum aere

peremius regolque sito pyramidum altius. Questo monumento non è

qualcosa di fisico, costruito con marmo, ferro, bronzo, è costruito con un

foglio e una penna; questo monumento è la poesia, capace di vincere il

Tempo, fuga temporum, eternatrice e custode della Memoria.

Una delle più antiche usanze, tramandate di generazione in generazione fino

ai giorni nostri, è la necessità di rendere degna sepoltura ai corpi dei propri

cari. Questa antica usanza era particolarmente sentita nella cultura classica.

Infatti, i Greci prima ed i Romani poi, avvertirono il bisogno di sacralizzare i

corpi dei capi, dei soldati e dei familiari. Da questa considerazione è possibile

comprendere l’importanza che aveva il corpo nel mondo classico, e in

particolare quale fosse il ruolo del corpo dei defunti. Studieremo quindi il

tema all'interno del contesto greco - romano.

Per quanto riguarda la cultura greca, esamineremo il passo riguardante la

restituzione del corpo di Ettore (Iliade, libro XXIV, vv. 640 - 670).

Per lui supplice io vegno, ed infiniti

Doni ti reco a riscattarlo, Achille!

Abbi ai numi rispetto, abbi pietade

Di me: ricorda il padre tuo: deh! pensa

Ch’io mi sono più misero, io che soffro

Disventura che mai altro mortale

Non soffrì, supplicante alla mia bocca

La man premendo che i miei figli uccise.

Introduzione

Cremazione VS

sepoltura

48

In questi versi l'io lirico racconta il momento nel quale Priamo, re di Troia e

padre di Ettore, si reca alla tenda di Achille, acheo e uccisore di Ettore, per

chiedere il riscatto del corpo del figlio. Priamo dovette assistere, non solo

all’uccisione del figlio, ma anche allo sfregio del suo corpo (stuprum), in

quanto Achille legò Ettore dietro la biga e lo trascinò attorno alle mura di

Troia per tre volte. La cultura greca non ammetteva tale mancanza di rispetto

nei confronti di un corpo, né tanto meno il fatto di non onorarlo con una

degna cerimonia funeraria, indipendentemente che si trattasse di un servo

o di un principe. Questo è il motivo che spinge il re di Troia a chiedere la

restituzione del corpo del figlio, non può accettare lo stuprum. Dunque, la

necessità di dare l’ultimo saluto al figlio amato porta il troiano ad

abbandonare le sue potenti mura e ad umiliarsi dinnanzi al nemico. Questo

gesto porta il lettore a riflettere sul significato del corpo nell’antica Grecia:

Priamo antepone il valore del corpo del figlio defunto, che attende una degna

sepoltura, all’esito della guerra.

Per comprendere il ruolo del corpo nella cultura romana, invece, prendiamo

in considerazione il testo Il corpo in Roma antica di L. Garofalo. Dall’analisi

emerge che i Romani non erano secondi ai Greci riguardo il rispetto del

corpo, anzi. Anche loro avevano una serie di rituali con i quali trattavano e

tutelavano i corpi dei defunti, che non venivano bruciati su pire di legno

come descrive Omero nell’Iliade, per poi conservare le ceneri dentro

un’urna: a Roma, in particolare dal II sec. D.C., la sepoltura vera e propria

incomincia a imporsi sulla cremazione. Si tratta dell’espressione di una nuova

sensibilità, per cui l’idea della cremazione e della distruzione del corpo dei

propri cari fosse insopportabile. In entrambi i casi però, il fine è il medesimo:

la sacralizzazione del corpo del defunto. La sacralizzazione del defunto è il

fulcro dell’ultima fase del rito funebre, il complesso di azioni nonché

momento civile nel quale si esprime e si condivide pubblicamente il proprio

cordoglio per la morte di una persona cara. I riti funerari consistevano in

quattro parti fondamentali:

1) L’esposizione pubblica del cadavere. Era usanza che il pater familias

venisse chiamato al cospetto del morente per compiere il gesto della

chiusura degli occhi e accogliere il suo ultimo respiro. Dopo la morte di

quest’ultimo, i familiari si riunivano attorno al defunto per invocare a gran

voce il suo nome in modo da concedergli l'ultimo saluto. Successivamente, il

corpo del morto veniva lavato, profumato con unguenti e vestito dei suoi

abiti da parata per poi essere posto nel lectus funebris, nell’atrio della casa,

sopra al quale venivano disposte delle decorazioni floreali.

2) Il corteo funerario. La processione (pompa) funeraria era di grande

magnificenza e solennità, infatti il corteo era preceduto da suonatori di

Le fasi del rito

funebre

Esposizione del

corpo

Corteo funerario

49

flauto, mimi e danzatori, ed anche da donne (Préfiche) che levavano grida e

pianti per esprimere pubblicamente il dolore dei familiari. Davanti al lectus

funebris si recava un gruppo di uomini che, solitamente, indossavano

maschere rappresentanti gli antenati del defunto (come testimoniato dal

rilievo presente sul coperchio di un sarcofago risalente al 280 d. C. custodito

nei Musei Vaticani, che raffigura sotto al ritratto del fanciullo defunto un

corteo di maschere funerarie). Immediatamente dietro le maschere seguiva

la bara con il morto, circondata da littori vestiti di nero con fasci, seguita dai

familiari in lutto. Alla fine, a chiudere il corteo, venivano i portatori di cartelli,

che ricordavano ai passanti i fatti illustri della vita del defunto.

3) Laudatio funebris. Era l'orazione che veniva pronunciata in memoria del

defunto, durante la cerimonia funebre, ed aveva la funzione di mettere in

rilievo il valore e le imprese che il morto aveva compiuto durante la vita, con

l’obiettivo di emozionare la folla, trasferendo così il lutto dalla sfera privata a

quella pubblica. Tramite le orazioni funebri, i parenti esaltavano le gloriose

azioni dei defunti, con l’intento di glorificare la propria stirpe e permettendo

che la memoria del morto permanesse nel tempo. Successivamente la salma

del defunto veniva posta sul luogo dell’estremo ufficio e il rito prevedeva che

il cadavere venisse bruciato su una pira. Un parente stretto dava fuoco alla

pira, mentre le persone in lutto gettavano balsami e fiori. Le ceneri ancora

ardenti venivano spente con il vino e collocate in un’urna. Questa veniva

depositata in un colombario con un’iscrizione che ricordava il nome del

defunto. Nei nove giorni subito successivi alla deposizione dell’urna

funeraria, la casa del defunto era considerata contaminata (funesta) e veniva

ornata di rami di cipresso o tasso perché ne fossero avvertiti i passanti, ed

alla fine del periodo, veniva spazzata e lavata nel tentativo di purificarla del

fantasma del defunto. Tale usanza viene ripresa da U. Foscolo nel carme “Dei

Sepolcri” per connotare positivamente il rito funebre pagano rispetto a

quello cristiano. Infatti, alla tradizione cristiana agl’incensi avvolto

dècadaveri il lezzo i supplicanti contaminò, l’io lirico contrappone la civiltà

classica cipressi e cedri di puri effluvi i zefiri impregnando perenne verde

protendean su l’urne per memoria perenne.

4) Deposizione della salma nel sarcofago e raccoglimento dei parenti intorno

a questo. Il sarcofago è il luogo del sacer; la sua funzione è quella di

contenere e conservare il corpo del defunto, segnando un confine

invalicabile tra la vita e la morte, tra ciò che è diventato sacro e ciò che,

ancora in vita, non lo è ancora diventato. È una promessa di eterna durata, il

segno materiale che custodisce la salma nel tempo. Il termine sarcofago

richiama foneticamente non solo sacer e sacralizzazione, legate sempre alla

sfera semantica della consacrazione del corpo, ma anche la parola sepolcro,

il luogo della commemorazione dei morti, il luogo in cui questi si pensano in

Laudatio funebris

Sarcofago luogo del

sacer

50

qualche modo come presenti. Il sepolcro non solo garantisce la

sopravvivenza della memoria del defunto, ma svolge anche una funzione

affettivo - familiare e civile: è il luogo della riflessione e del pellegrinaggio,

elementi essenziali del culto dei morti che non si concludeva quindi con la

semplice sepoltura della salma, infatti erano frequenti banchetti

commemorativi e visite al sepolcro.

Questo motivo della sepoltura legata al ricordo, lo ritroviamo in alcune

riflessioni contenute nel carme dei Sepolcri, in particolare dove l’io lirico

afferma che la memoria è legata all’eredità di affetti. Se questo non succede

la tomba diventa un anonimo marmo bianco destinato a deteriorarsi, in balia

del tempo. In particolare, l’io lirico esalta il messaggio imperituro che “esala”

dalle “urne de’ forti”, quali Machiavelli, Michelangelo. Lo scrittore Cees

Noteboom, nel suo libro Tumbas. Tombe di poeti e pensatori, ha ripreso

questo concetto, effettuando un pellegrinaggio sulle tombe degli scrittori

contemporanei al fine di recuperarne la memoria attraverso il ricordo delle

loro opere.

Tra il I e il II sec. d.C. sempre più frequenti sono i rilievi mitologici utilizzati

per decorare sepolcri e sarcofagi; si tratta di una forma allegorica di orazione

funebre, che prevede scene sia di vita quotidiana per rievocare ciò che il

defunto era e faceva in vita, preservandone quindi il ricordo “concreto”, sia

scene mitologiche, considerate espressione di appartenenza culturale. Infatti

le allegorie mitologiche non sono riferibili alla biografia, bensì alle virtù, alle

qualità e ai valori sociali del defunto. Inoltre, la presenza di ninfe o divinità

sullo sfondo ha la funzione di rassicurare i parenti del morto, in quanto ora

si trova protetto da loro, i custodi della salma nel tempo. Per quanto riguarda

l’interpretazione del mito, inoltre, era decisivo il modo in cui lo scultore lo

raffigurava perché dalla forma iconografica, era possibile riconoscere come

voleva fosse inteso quel mito. In questo modo il visitatore poteva acquisire

le chiavi di lettura che gli permettevano di decifrare il messaggio

rappresentato. Un esempio di coesistenza tra le due tipologie di scene è il

sarcofago dell’ex collezione Rinuccini, che collega le scene della vita reale con

una scena di caccia, ripresa direttamente dai sarcofagi di Adone. Il rilievo si

divide in due scomparti collegati tra loro: sul lato sinistro un uomo in toga e

una donna dalla testa velata, mentre la dea Concordia li

abbraccia entrambi. Subito accanto è raffigurato sempre lo

stesso uomo, questa volta in armatura da condottiero, intento a

celebrare una libagione e il sacrificio di un toro. Il giovane eroe

ferito a morte da un cinghiale e sopra di lui compaiono i due

Dioscuri come assistenti di caccia. Qui la morte di Adone durante

una battuta di caccia si sostituisce con una scena di battaglia.

L’immagine del cacciatore vittorioso era diffusa sui sarcofagi

Rilievi

mitologico -

funerari

51

come simbolo della virtus. Quindi l’immagine attribuisce al defunto la qualità

morale della virtus, servendosi di scene mitiche e di vita reale.

La sacralizzazione del corpo, dunque, svolge un ruolo centrale nel rito,

momento fondamentale dell'elaborazione del lutto. Si vuole preservare la

memoria del defunto, evitando la sua caduta nell’oblio. Questo rito riguarda

il ricordo dei valorosi guerrieri che persero la vita precocemente e in modo

violento per la patria, e che quindi conseguirono la cosiddetta “bella morte”,

ma i comuni cittadini. L’elaborazione del lutto attraverso una cerimonia,

semplice o maestosa che sia, rappresenta quindi una necessità che

accomuna gli uomini, indipendentemente dall'età, dal ceto sociale di

appartenenza. Diversi sono i riti con cui fin dall’antichità i corpi senza vita

vengono accompagnati e scortati durante il loro ultimo viaggio per le strade

della città natale, vengono preparati per il passaggio nell’aldilà o vengono

pianti. Le celebrazioni funerarie, la realizzazione di monumenti e memoriali

sono tutte forme di elaborazione collettiva del lutto. Omero ne fornisce una

dettagliata descrizione nel libro XXIII dell’Iliade: dopo la cremazione del

corpo di Patroclo e la raccolta delle ceneri all’interno di un’urna d’oro

vengono organizzati dei giochi in onore del defunto. Si assiste quindi ad una

dispersione dell’iniziale dolore, che sembra lasciare il posto a gioia e serenità.

Per quanto riguarda la funzione del monumento, è necessario soffermarsi

sull’etimologia della parola: dal latino monumentum, il termine possiede la

stessa radice di monere, “ricordare”, “avvisare”. Si tratta quindi di una parola

strettamente connessa alla Memoria, che in questo caso diventa memoria

visiva, accessibile a tutti. È proprio la memoria collettiva, infatti, che si vuol

sollecitare attraverso i monumenti. Il monumentum è un segno del passato,

il mezzo concreto per tramandare il ricordo (per esempio gli atti scritti), il

“testamento” a cui è affidata la memoria collettiva. Fin dall’antichità il

monumentum tende a specializzarsi in due sensi: un’opera di architettura, di

scultura a scopo commemorativo (arco di trionfo, colonna, trofeo) oppure un

monumento funebre destinato a tramandare il ricordo del defunto tramite

le preghiere e/o le invocazioni dei cari nei suoi confronti. La centralità e

l’importanza del monumento è trattato, in particolar modo, nel testo Il corpo

in Roma antica di L. Garofalo. La funzione sociale del monumento funebre è

quella di giovare ai vivi, ricordando loro la provvisorietà e precarietà della

vita umana. Ma non solo. La tomba può diventare, se luogo sacer, il luogo

ove instaurare quella corrispondenza d’amorosi sensi, cha fornisce all'uomo

l'illusione di sopravvivere nel ricordo. Il defunto, infatti, vive attraverso soavi

cure, il culto funebre. Dare degna sepoltura al defunto allora è un dovere

morale, un segno di umanità e pietà, l’unico modo per conservare la

memoria e mantenere vivo il ricordo di chi ci ha lasciato eredità d'affetti.

Memoria

Elaborazione del

lutto

Memoria -

Monumentum

52

Documenti

1. J. P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007

2. L. Garofalo, Il corpo in Roma antica, 2016

3. M. Centanni, Il corpo del re, tratto da Gli occhi di Alessandro, 1990

4. Omero, Iliade XXIV, 640 - 670

5. Omero, Iliade, XXIII, vv. 269 - 363

6. P. Zanker, Vivere con i miti, 2008

7. Sarcofago delle amazzoni, 160 d.C., Museo Archeologico Regionale, Palermo

8. U. Foscolo, Dei sepolcri, vv. 1 - 50, 1807

53

Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato

La sepoltura, la morte, la Madre

Dall’analisi intratestuale, effettuata durante la Fase A del Percorso 1, sono

emerse alcune parole chiave collegate al testo Milite ignoto, argomento

oggetto di riflessione, ricerca e interpretazione all’interno del progetto

Erasmus+ a cui abbiamo aderito. Il nostro interesse e curiosità si sono

concentrati sulla parola Corpo e, in particolare, sul suo significato in

relazione ad alcuni valori - virtù della civiltà classica, quale l’honor dell’eroe;

ma anche sul tema della figura materna in relazione alla morte dell’eroe -

figlio. Questa indagine ci ha permesso da un lato di raccogliere informazioni,

credenze, valori, motivi relativi alla civiltà classica, dall’altro di “leggere” il

testo Milite ignoto, oggetto del nostro studio, in relazione a quei valori,

diventati per noi criteri fondamentali di analisi e interpretazione della nostra

storia, altrimenti solo in parte comprensibile. Lo studio dell’Antico, in questo

modo, ci ha permesso di ritrovare e riconoscere nel nostro presente

significati, valori identitari. Solo così quel Milite, quel corpo ignoto,

quell’Altare che lo contiene, prima testi privi di senso, sono diventati segni,

simboli da decifrare alla luce di una maggiore e fondata consapevolezza

etica.

La sepoltura del corpo

In riferimento alla parola chiave Corpo, scelta dal gruppo tra le parole chiave

emerse dall’analisi dei testi effettuata durante la fase A del Percorso 1,

abbiamo deciso di studiare significati, funzione e scrivere un saggio breve

sull’onore dell’eroe classico. Inizialmente abbiamo letto i testi e, in un

secondo momento, abbiamo individuato le parti più significanti nell’ottica

del nostro percorso. Successivamente abbiamo analizzato gli estratti con

l’obiettivo di rintracciare gli elementi utili alla stesura del saggio breve. Una

volta completata l’analisi dei singoli testi, abbiamo pensato a come collegare

i risultati delle analisi tramite la stesura di una scaletta per il saggio breve.

Infine, abbiamo scritto il saggio breve.

Ti supplico, non abbandonarmi ai cani, restituisci il mio corpo a mio padre

Tali sono le parole di Ettore sul punto di morire, steso a terra, con una lancia

che trapassa da parte a parte il suo collo. Nonostante ciò, l’ultimo desiderio

del figlio di Priamo è che il suo corpo sia consegnato al padre, cosicché i

famigliari possano piangere la sua morte e rendergli gli onori funebri che gli

spettano. La necessità di avere il corpo del defunto è un elemento ricorrente

nella ritualità funebre di ogni civiltà, dai greci alla cultura contemporanea.

L’analisi - studio del Milite Ignoto sarà l’occasione per effettuare confronti

all’interno di questo tema, il rispetto e il valore del corpo del defunto, allo

Introduzione

Parola chiave

Corpo

Il corpo dell’Eroe

54

scopo di rilevare le permanenze e le differenze tra codici culturali diversi.

Nell’Iliade sono descritte grandiose cerimonie funebri, il morto

splendidamente abbigliato e adagiato su una pira, con offerte a lui dedicate,

pianti, canti funebri, giochi di abilità e destrezza, imponenti banchetti

organizzati per meglio rendere omaggio al defunto illustre.

Un esempio è la sepoltura delle spoglie di Ettore, descritto al termine

dell’opera. Nel cuore della notte Priamo abbandona il campo acheo,

conducendo il carro su cui giace il cadavere del figlio. All’aurora quando egli

giunge alla sua città, tutto il popolo, in lacrime, si affolla intorno a lui. Il re

chiede che lo si lasci passare. Per nove giorni i Troiani ammassano legna per

il rogo funebre, a cui, nel decimo, appiccano il fuoco. Infine, spente le

fiamme col vino, raccolgono le ossa di Ettore, le pongono entro un’urna

d’oro che avvolgono con stoffe pregiate. Poi l’urna viene interrata e, sopra

di essa, con pietre, innalzato un tumulo. Un altro esempio è la sepoltura del

corpo di Patroclo nel XXIII libro dell’Iliade. Il tutto inizia con Achille che si

taglia i capelli in onore di Patroclo davanti al rogo e poi dà avvio alla

cerimonia funebre, facendo predisporre sulla pira pecore, miele, olio,

quattro cavalli, due cani e dodici nobili troiani. Il fuoco viene acceso e Achille

si mette a piangere, invocando Zefiro e Borea perché soffino potenti per

alimentare il fuoco della pira. In seguito dà disposizioni su come raccogliere

le ossa di Patroclo e su dove custodirle, in attesa che l’urna funebre ospiti

anche le sue. Infine organizza delle gare in onore di Patroclo, in ordine: corsa

coi cavalli, pugilato, lotta, corsa, duello armato, lancio del giavellotto e tiro

con l’arco. I greci avevano bisogno di dare degna sepoltura al corpo per

ragioni di natura religiosa. Infatti, qualora un defunto non avesse avuto la

possibilità di riceverla, era destinato a vagare senza fine in una zona

sotterranea posta al di fuori dell'Ade vero e proprio. Questo significava

essere escluso dalla collettività anche nella condizione post mortem.

Nell'Iliade, ad esempio, Achille getterà i cadaveri di alcuni nemici nel fiume

Scamandro, proprio per impedire alle loro anime di entrare nell'Ade. Non ti

piangerà tua madre sul letto funebre, ma questo fiume ti porterà al mare a

farti divorare dai pesci disse il Pelide a Licaone, figlio di Priamo. Anche per i

Romani, le ragioni della necessità della sepoltura del corpo del defunto

vanno ricercate nell’ambito religioso e presentano caratteri simili alle

interpretazioni dei Greci, infatti le anime dei morti insepolti non potevano

entrare nell’Ade. Ora il flutto mi tiene ed i venti mi battono sul lido. Prego te

per la bella luce del cielo e per l’aria, per il padre, per la speranza di Iulo che

cresce: strappami, o invitto, dai mali: oppure buttami sopra della terra e

cerca i porti velini: o se c’è una via, se la dea madre te la indica. Concedi la

destra ad un misero e con te portami tra l’onde, perché almeno io riposi nella

morte in placidi luoghi. Virgilio, Eneide, IV. In questo passo, Enea, durante la

sua catabasi, incontra sulla soglia dell’Ade l’anima di Palinuro, timoniere

55

della sua nave, caduto in mare mentre la flotta troiana stava per toccare i

lidi dell’Italia. Raggiunta la costa a nuoto, il giovane era stato sorpreso e

ucciso da alcuni abitanti del luogo e il suo corpo giaceva insepolto sulla

spiaggia. Simile a quello greco è anche il rito funerario romano. Il rito funebre

dei personaggi illustri si svolgeva di giorno e con molto sfarzo. Si formava un

corteo funebre al quale prendevano parte, oltre ai parenti e ai congiunti del

defunto, anche altri personaggi - comparse rituali: suonatori, portatori di

fiaccole, lamentatrici pagate per ostentare dolore, mimi e attori comici che

recitavano scene di vita del defunto. I parenti indossavano delle maschere

rappresentanti i volti degli illustri antenati della famiglia. Giunto nei pressi

del Foro, un parente maschio prendeva la parola e pronunciava il discorso di

commemorazione, avente la funzione di rinsaldare il legame tra la gens e la

civitas. Seguiva la cremazione. Questa era praticata soprattutto nell’età

arcaica e repubblicana; in età imperiale questa usanza rituale lasciò

progressivamente posto alla tumulazione. In entrambi i casi le ceneri o il

corpo venivano posti in un sepolcro al di fuori della cinta muraria.

La morte eroica

La riflessione sulle valenze della parola chiave, honor, ha permesso di

costruire alcune relazioni semantiche: per l'uomo classico, greco - romano,

la spinta più forte a combattere era l'onore. L'onore della vittoria

conquistata nel combattimento si riversava sul singolo soldato, sulla falange,

sulla legione e su tutta la civitas. Già nel VII secolo a. C. lo spartano Tirteo,

nell’Elegia 6 - 7, si fa interprete di quest'ideologia, fondando il manifesto del

valente soldato: egli resiste piantato in prima fila ed è ed è vanto per la città

e per il popolo (vv. 15 - 20). Se torna vivo e coglie la gloria della battaglia,

tutti l'onorano, i giovani e i vecchi, tutti gli cedono il posto e si ritraggono

davanti a lui (vv. 35 - 42). Se muore in battaglia, assicurando con il suo

sacrificio la vittoria, viene pianto e onorato (vv. 29 - 34). Nel caso che il

soldato torni in patria senza vita si compiono sacrifici in suo onore e si

cantano canti funebri composti per l'occasione. L'encomio di Simonide per i

morti alle Termopili è tutto incentrato sulla lode dei soldati spartani morti e

di Leonida, il loro valoroso condottiero. Questo il testo:

Gloriosa è la sorte dei morti alle Termopili, / bello il destino, / ara è la tomba,

il ricordo al posto dei lamenti; il compianto è lode. / Né la muffa né il tempo

che tutto doma / fiaccherà una tale veste. / Questo sacrario di uomini

valorosi / ha voluto come abitante / la gloria della Grecia. / Lo attesta anche

Leonida, / il re di Sparta, che sommo ornamento di valore lasciò / e fama

perenne.

Introduzione

parola chiave

honor

56

Questi aspetti dell'onore legati al valore dimostrato in battaglia, il senso del

dovere che spinge il guerriero ad affrontare una prova, aspirando ad essere

il migliore, si traduce nella ricerca della superiorità fisica che

contraddistingue il guerriero - soldato. Il corpo bello e forte, plasmato e

fortificato dalla fatica e dall'esercizio, rappresenta il segno visibile di una

distinzione, di una natura fisica che si impone sulle altre e suscita

ammirazione. A tal proposito le affinità tra la classe degli eroi, che operano

agli albori della civiltà greca, dotati di qualità fisiche eccezionali e

protagonisti di imprese mitiche straordinarie, e la classe dei soldati sono

numerose e significative. Una delle più appariscenti di queste affinità è la

fisicità del corpo che, sia per l'eroe sia per il soldato, ha una rilevanza

decisiva. Il buon guerriero, al pari dell'eroe, deve poter fare affidamento su

un corpo forte, temprato alla fatica, carico di energia e di resistenza.

Guccini cantava gli eroi sono tutti giovani e belli. Effettivamente, salvo

qualche rara eccezione, l’eroe classico ferma l’immagine di sé nel mondo dei

vivi in giovane età. Prima di fare considerazioni sulla morte dell’eroe, è

necessario analizzare la categoria dell'eroico. L’eroe è un essere semidivino,

generato da un/una mortale e da un/una divinità, possiede eccezionali doti

fisiche e mentali che lo distinguono dal resto degli uomini. Pertanto, l’eroe

si configura come un uomo sopra il quale aleggia la mano divina che gli

conferisce le straordinarie qualità – l’intelligenza, l’astuzia, la resistenza

fisica e il valore militare – che lo distinguono dagli altri uomini.

L’eroe però, non è un Dio e allora, come tutti gli umani, è destinato alla

morte.

La differenza tra i mortali e gli eroi sta nel fatto che la morte di questi ultimi

ha un rilievo particolare. Pochi eroi, infatti, muoiono di morte naturale o

fulminati da Zeus, come Semele, mentre è elevato il numero di eroi che

rimangono uccisi sul campo di battaglia, in un duello o in uno scontro tra

eserciti.

Il termine “eroe”, nella nostra cultura, ha il significato di valoroso e

coraggioso combattente. I primi eroi, dunque, sono guerrieri. Esiodo limita

il concetto di heros a coloro che hanno combattuto a Troia e a Tebe.

Infatti, uno dei motivi fondamentali del culto dell’eroe è la protezione che

lui assicura alla propria città in guerra. Ad esempio, nella battaglia di

Maratona Teseo è a capo degli Ateniesi, mentre Achille combatte l’esercito

troiano capeggiando quello greco. È in battaglia che l’eroe realizza il volere

del Fato. Egli si schiera valoroso in prima linea, cercando la morte gloriosa,

in giovane età, mette in gioco tutto se stesso, dimostrando così la sua

eccezionalità in quanto uomo - eroe che non conosce né paura né codardia.

La sua morte gli vale onore e riconoscimenti degni di un eroe. Questo perché

muore nel momento di massimo splendore fisico, e quindi morale, dal

Tesi

Categoria dell’Eroe

57

momento che per i Greci un bel corpo corrispondeva a un bell’animo,

lasciando al mondo dei vivi un’immagine di sé estranea al decadimento

fisico, tipico dei mortali, simile in questo agli Dei. Pertanto, sebbene

condivida con l'uomo la morte, l’eroe diventa immortale in quanto sfugge

alle leggi del tempo, la sua gloria sarà eterna: verrà ricordato dai canti dei

poeti, dalle donne che lo venereranno e dalle future generazioni, sarà

exemplum da emulare. In particolare, anche dopo la morte, il corpo

straordinario dell’eroe acquista rilievo nella sepoltura e nel rito ad essa

legato. Ma soprattutto ciò che resta del corpo eccezionale ha per la

collettività il valore di una reliquia che la protegge e difende. Il corpo

dell'eroe protegge la città che lo ospita. Nelle epigrafi, trovano spazio le lodi

anche dell'aspetto fisico, forma, dei condottieri morti combattendo per la

patria.

Realizzando dunque il volere del Fato in battaglia, nella quale si schiera in

prima linea, l’eroe incontra quella che Orazio chiama “bella morte”. Tale

morte non è solo “bella” ma è la migliore che possa capitare ad un eroe

perché incontrata su un campo di battaglia in difesa della terra natia. Infatti,

come afferma Orazio Dulce et decorosa est pro patria mori.

Non tutti gli eroi, però, incontrano la “bella morte”: è il caso del “cadavere

oltraggiato”. Nessuno vuole il corpo del nemico. Il vincitore, oltraggiando il

corpo dell’avversario sconfitto, intende infliggere una pena al defunto

affinché abbia una morte non memorabile e l’ultimo ricordo che gli uomini

avranno di lui sarà di un corpo martoriato, deturpato, oltraggiato.

È il caso di Achille che, dopo aver sconfitto Ettore a duello, lo lega al carro e

lo trascina in modo da deturparlo, sfigurarlo.

Il culto eroico, che assegna il posto degli eroi nel mondo dei morti, si

concentra invece sulla tomba e sul rituale sacrificale. Gli eroi muoiono, la

loro tomba diventa centro di culto, dal momento che, come afferma Jean -

Pierre Vernant, la vita e la morte sono affare dei vivi. A questo proposito, è

possibile cogliere alcune affinità tra quanto rilevato a proposito

dell'eroicizzazione dei guerrieri e il culto del Milite ignoto, tema oggetto

della nostra analisi. La funzione di questo culto è duplice. In primo luogo

riguarda la sfera affettivo - familiare. Ogni famiglia può avere un luogo dove

piangere il proprio caro scomparso in territorio nemico. In secondo luogo

riguarda la sfera ideologica e politica. I governi offrono una giustificazione

della guerra, combattuta in nome di nobili ideali di pace, sui quali

costruiscono l’identità nazionale. E la figura del milite ignoto ne diventa

simbolo. È il soldato - eroe moderno, che presenta affinità con il guerriero

eroicizzato classico: il sacrificio gioverà ai vivi che devono render loro merito,

onore, gloria e gratitudine. La pace è dunque garantita da una guerra vinta

58

dagli eroici soldati ignoti che, come gli eroi - soldati classici, hanno dato la

vita per il loro paese e i loro connazionali, che in un’eventuale futura guerra,

dovranno emularli per ristabilire la pace.

La Madre

Ricostruiremo la presenza e la funzione della figura della Madre nella

relazione con la morte del figlio - eroe a partire dalla rivalutazione della dea

Madre in età augustea, come emerso dall'analisi del testo architettonico,

Ara Pacis (9 a. C.), e scultoreo, Augusto di prima porta (19 a.C.),

Durante il principato di Ottaviano Augusto (29 a.C. – 14 d.C.) la dea romana

Tellus, protettrice della fecondità e dei morti, venne associata alla figura

della dea Madre, personificazione di fertilità e pace. La

rivalutazione della figura materna in età augustea faceva

parte della politica demografica del princeps. Nelle

rappresentazioni acquisisce anche attributi di fertilità,

valore fondamentale alla base della ideologia della pax

augustea. Infatti, nel rilievo dell’Ara Pacis raffigurante Tellus,

è rappresentata la dea madre seduta al centro della

composizione. L’interpretazione di questa figura è varia: la

personificazione della dea Italia, Tellus, la Terra Madre,

Venere genitrice, la Pax Augusta e Cerere. Questa pluralità

semantica è probabilmente voluta, in quanto caratterizzante

non solo questo pannello, bensì tutti i cicli scultorei della

propaganda augustea. Infatti, la dea seduta presenta

attributi diversi: sul capo una corona di spighe e fiori

collegate all’iconografia di Cerere, dea dell’agricoltura, ma

anche di Tellus, simboleggiante abbondanza. Il capo velato

rimanda a Giunone velata, mentre la presenza di due

bambini, unita alla frutta adagiata sul grembo, evocano una

divinità genitrice. Nel complesso il rilievo rimanda alla pax e

alla fecondità che da essa ne deriva, celebrando la pienezza

dei “tempi nuovi”, di cui la figura della madre è l'elemento

fondante. La medesima figura presente sul pannello dell’Ara Pacis si ritrova

sulla corazza della statua dell’Augusto di Prima Porta, detto anche Augusto

Loricato. In basso, sulla lorica del princeps, si trova la dea Tellus semisdraiata;

questa immagine presenta svariate somiglianze con la raffigurazione

presente sull’Ara Pacis. Infatti, la dea simboleggia, allo stesso tempo, pace e

abbondanza, come testimoniato dalla presenza di una cornucopia. La figura

della madre diviene, in entrambi i testi, allegoria della pax.

Introduzione

La madre nell’età

augustea

59

Non solo durante il principato di Augusto, ma durante tutto il periodo

“classico” la madre, e più in generale la donna, rappresenta l’abbondanza, il

desiderio di pace. La figura femminile viene connessa alla sfera privata degli

affetti e dei legami familiari, in contrasto con la sfera pubblica associata al

maschile. Numerosi sono i modelli culturali di questa rivisitazione

antropologica della funzione del femminile all'interno della cultura romana.

In particolare la contrapposizione tra punto di vista femminile e quello

maschile, presente in alcune tragedie greche, quali le Troiane, Medea,

Antigone, viene ripreso da Virgilio nell’Eneide, quando nel IV libro Didone

affronta Enea. Didone ed Enea risultano portatori di valori profondamente

differenti. Questo elemento concorre a presentare Didone come un

personaggio tragico: nella tragedia greca, infatti, alla base dell'intreccio sta

spesso il confronto tra personaggi che risultano portatori di valori

inconciliabili. Tra Didone ed Enea l'opposizione fondamentale avviene su

come essi interpretano il ruolo da dare ai propri affetti rispetto alla loro

funzione di sovrani fondatori di una nuova città. Didone rinuncia al proprio

ruolo di regina in nome dei propri affetti, per Enea, invece, accade il

contrario: egli dichiara di accettare il destino, il che comporta il sacrificio dei

propri sentimenti per raggiungere l'Italia e lì divenire il re fondatore di una

città. Un esempio significativo di questa contrapposizione tragica è

l'Antigone di Sofocle. Antigone decide di dare sepoltura al cadavere del

fratello Polinice contro la volontà del re di Tebe, Creonte. Antigone compie

questa azione trasgredendo la legge, in quanto in primis è legata a suo

fratello da una relazione affettiva. Antigone antepone la sfera privata a

quella pubblica: io non sono nata per condividere l’odio, ma per condividere

l’amore. In questa tragedia ritorna quindi la visione della figura femminile

come portatrice di pace.

Anche in un “monumento alla guerra”, com’è il poema epico dell’Iliade di

Omero, il femminile è presente per affermare il desiderio di pace.

Generatrici di vita e simbolo della fecondità universale, le donne - madri, da

sempre costrette al margine dei combattimenti - eroi, diventano

personificazione e custodi di una civiltà altra, alternativa alla guerra. Sono

convinte che si potrebbe vivere diversamente e non tacciono. Infatti, nel

libro VI sono presenti tre suppliche rivolte ad Ettore da tre donne diverse: la

madre Ecuba, Elena e la moglie Andromaca. Ciascuna con una propria

tonalità, ma la supplica è la stessa: il desiderio di pace. Inoltre, nel libro XXII

vv. 103 - 115, Ecuba di fronte all’imminente scontro del figlio con Achille

cerca di dissuaderlo, rievocando immagini legate al nutrimento, quale fonte

di vita, archetipo dell'amore materno. In questo passo si ritrova sia la figura

femminile, come allegoria della pace, ma soprattutto la supplica della madre

nei confronti dell’eroe - figlio. Ettore destinato a morire per seguire i doveri

Mater

60

dell’eroe si contrappone alla madre, Ecuba, la quale, essendo affettivamente

legata a lui e dunque privilegiando l’etica fondata sul principio di Eros, cerca

di farlo tornare da lei con un’ultima disperata richiesta.

Ecuba, Antigone, l'immagine romana di Tellus, Didone, sono simbolo del

desiderio di pace, generatrici di uomini e si contrappongono in ogni loro

gesto e parola al maschile, alla guerra.

“(…) l’eredità materna implica un’iscrizione più originaria del desiderio

come fattore che installa nell’essere il desiderio stesso della vita”.

M. Recalcati, Le mani della madre

Documenti (la sepoltura del corpo):

1. A. Baricco, Omero, Iliade, 2015

2. A. Palo, La morte, i riti funebri e l’aldilà nel mondo romano, 2016

3. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2011

Documenti (la morte eroica):

1. A. Brelich, Gli eroi greci, 1958

2. J.P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007

3. R. Grave, I miti Greci, 1955

Documenti (la madre)

1. A. Baricco, Omero, Iliade, 2015

2. M. Bettini, Maschile/femminile genere e ruoli nelle culture antiche, 1993

3. M. Recalcati, Le mani della madre, 2015

4. O. Rossini, Ara Pacis, 2006

5. P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, 1989

Conclusione

61

Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano

Sacer e lutto nel codice classico

Il progetto Erasmus+ “Insegnare la Grande Guerra – Educare alla pace” è

stato il pretesto a partire dal quale abbiamo svolto un lavoro di analisi di testi

letterari, architettoniche e scultorei, finalizzato alla ricostruzione del lessico

valoriale di alcune fasi del culto dei morti per la patria nel codice classico.

Per quanto riguarda le modalità di lavoro, a partire da una discussone

all’interno del gruppo, abbiamo deciso quali fossero i testi da prendere in

considerazione. Dopo l'attività di comprensione e analisi, abbiamo

individuato alcune parole chiave significative ed esaustive del percorso

oggetto del nostro lavoro. Le parole chiave da noi scelte sono sacer e lutto.

Per sviluppare il nostro percorso siamo partiti dall’etimologia di queste

ultime.

La parola sacro deriva dal latino sacer, forma arcaica di sakros. La radice del

termine si ritrova nell’accadico (lingua o insieme di lingue dell'area semitica,

ormai estinte) saqāru, ovvero “invocare la divinità”, sakāru ovvero “sbarrare,

interdire” e saqru, ovvero “elevato”. Da esso derivano i sostantivi sacrificium

“rito sacro” e sacrarium “santuario”. Sacro, quindi riguarda tutto ciò che è

“separato”, elevato rispetto alla sfera umana. Infatti, U. Galimberti, nel libro

Orme del sacro, afferma che il termine di origine indoeuropea significa

“separato”. La sacralità, quindi, è una condizione che riguarda ciò che ha

relazione e contatto con potenze che l’uomo, non potendole dominare,

avverte come superiori a sé. Da ciò deriva una dimensione “separata” e

“altra” rispetto al mondo umano. L’uomo teme il sacro, e di conseguenza

tende a tenersi lontano da esso, ma al tempo stesso, ne è anche attratto,

come nei confronti di tutto ciò che non conosce.1

È su questo rapporto ambivalente che si basa ogni forma religiosa. La parola

“relegare”, infatti, riguarda sia la separazione sia il contatto fra l’uomo e il

sacro. L’uomo ha la necessità di trovare un punto d’unione fra la sfera umana

e quella divina. Questo avviene nei riti, la cui funzione è quella di avvicinare

l’uomo a chi ritiene essere superiore. Fin dai tempi antichi, la sepoltura dei

defunti rappresenta uno dei tanti riti che l’uomo compie per soddisfare il

bisogno antropologico di ricordare e onorare i propri cari. Essa è, inoltre,

occasione per entrare in contatto con il Divino, a cui affidare, in questo caso,

il corpo sacralizzato del defunto.

Per quanto riguarda i riti funebri nella res publica “non basta che uno muoia

per entrare a far parte degli dei Mani: il defunto deve in primo luogo ricevere

adeguati funerali, delle dovute esequie”, questo è quanto sostiene L.

Introduzione

Modalità di lavoro

Parola chiave

Sacer

Funzione del rito

62

Garofalo nel testo Il corpo in Roma antica.2 Il defunto veniva trasformato in

una sorta di divinità dalla gens di appartenenza, ciò avveniva pubblicamente,

davanti a tutti i cittadini. A Roma veniva data particolare importanza alla

sepoltura dei cadaveri. Infatti, come si legge nella XIV Philippica di Cicerone

“...che questi non siano rimasti insepolti o abbandonati – che sarebbe sorte

infelice, se sofferta per la patria – o cremati e poveramente racchiusi in

tombe disperse”. Ricevere una sepoltura era considerato l’evento che

concludeva la vita degli uomini e in quanto tale, era ritenuto un diritto. Le

morti che non ricevevano sepoltura erano considerate “indegne” in quanto i

corpi rimanevano fantasmi e ciò avrebbe causato ripercussioni spiacevoli sul

destino dell’anima del defunto.

Il rito funebre privato si componeva di diverse fasi. Inizialmente, l’uomo più

anziano della famiglia, il pater familias, si recava al capezzale del defunto con

il compito di chiudergli gli occhi. Seguiva la conclamatio, ovvero il lamento

funebre intonato dai parenti nel quale invocavano il nome del deceduto per

dargli l’ultimo saluto. Successivamente i libitinari (coloro i quali si

occupavano di preparare la salma per il rito), lavavano, profumavano e

vestivano il corpo con una toga e lo ponevano nell’atrio della casa.

L’esposizione durava alcuni giorni, durante i quali le donne piangevano il

defunto ed esternavano il loro dolore per la perdita attraverso un codice

gestuale. Esso rappresentava il tentativo di rimanere in contatto con la

vitalitas, ovvero l'energia vitale del defunto, durante il quale le donne

piangevano, si scioglievano i capelli e si denudavano il petto. Esse non solo

piangevano il morto, ma anche le sventure che derivavano dalla morte di

quest’ultimo, in quanto era il difensore della famiglia. Quindi, il lamento delle

donne non evocava soltanto la grandezza del deceduto, ma anche i

mutamenti a cui andava incontro la famiglia dopo la sua perdita.

Gli uomini invece mantenevano la compostezza, la dignitas, uno dei valori

del mos maiorum: quest’ultima consiste nell’onore inteso come “specchio

della reputazione”. Inoltre, essi, celebravano i meriti civili del defunto con

orazioni commemorative.

Dopo l’esposizione, aveva luogo una processione pubblica alla tomba o alla

pira funeraria durante la quale il corteo indossava delle maschere con le

fattezze del defunto. A quest’ultima seguiva la laudatio funebris, un’orazione

pronunciata in memoria del defunto. Il feretro, in cui il defunto era adagiato

scoperto, veniva trasportato a spalla dai congiunti o dai liberti, in casi

particolari da senatori o cavalieri. Mimi, danzatori e suonatori di corno o di

tibia aprivano il corteo seguiti dai portatori di fiaccole e dalle préfiche, donne

che cantavano a pagamento lamenti funebri e lodi all’estinto. Parenti e amici

seguivano la bara fino al momento della cremazione o dell’inumazione. Essa

Le fasi del rito

63

era regolamentata dallo ius sacrum, il quale ne sanciva i requisiti, pena, in

presenza di difetti e irregolarità, l’eterno vagare dello spirito del defunto.

Come sancivano le XII Tavole, le salme dovevano essere inumate all’esterno

delle mura cittadine come allo stesso modo anche le cremazioni.

Dai testi in nostro possesso, abbiamo compreso che la morte di una persona

cara destabilizza chi rimane in vita. Il sopravvissuto sente la sua fine più

concreta e vicina. Dare sepoltura ai cadaveri, quindi, rappresenta un dovere

morale, è un gesto che rientra nella sfera semantica dell'humanitas e della

pietas verso i defunti. È anche una necessità, un bisogno insito nell’essere

umano. Da ciò comprendiamo la funzione dei riti nel codice classico,

consistente nel sancire il passaggio del defunto dalla società dei vivi ad una

dimensione ignota, ipotizzata e mitizzata permettendo, perciò, ai cari di

elaborare il lutto.

Il termine lutto deriva dal latino luctus, che a sua volta proviene dal verbo

lugere, “piangere”. Dall’etimologia deriva che il lutto si riconosce nel dolore,

visibile nella fisicità delle lacrime di coloro che hanno perso una persona

cara. Quindi le lacrime, come afferma U. Foscolo, nella sua opera Dei

Sepolcri, “E voi, palme e cipressi, che le nuore piantan di Priamo, e crescete,

ahi presto! Di vedovili lagrime innaffiati, proteggete i miei padri”3, avevano

la funzione di colmare la perdita di un caro. L’io lirico si rivolge alle piante

personificate, bagnate dalle lacrime delle vedove troiane, esortandole a

crescere in fretta per proteggere i defunti. Le piante a cui Foscolo fa

riferimento sono palme e cipressi, simbolo rispettivamente di gloria e di

morte. Quindi, chi avrà cura di tali piante, manifesterà pietas nei confronti di

chi ha dato la vita per la patria. Le nuore, invece, rappresentano la sfera

privata e affettiva del rito, mentre le lacrime esprimono la loro pietas nei

confronti del defunto. Il lutto, quindi, come sostiene J. Winter in Il lutto e la

memoria, consiste in azioni e gesti tramite i quali chi sopravvive esprime la

sua pena e passa attraverso le varie fasi della privazione: negazione della

morte come meccanismo di difesa, rabbia provocata dal dolore,

negoziazione come reazione dell’uomo impotente nei confronti della morte,

depressione ed accettazione del lutto. In queste fasi l’uomo ricerca un senso

e una giustificazione alla morte.4

Come le tombe assolvono ad una funzione consolatrice e riparatrice nella

sfera affettivo - familiare, così le commemorazioni ufficiali, la creazione di

memoriali e l’edificazione di monumenti da parte delle istituzioni, hanno una

funzione consolatoria per i cittadini, permettendo loro di elaborare il lutto

collettivo e legittimare, onorare e giustificare le morti dei figli della patria.

Come sostiene Orazio, Dulce et decorum est pro patria mori, la morte

Parola chiave

Lutto

Funzione memoriali

64

valorosa è quella per la patria: nel codice classico questa è la suprema

valorizzazione della guerra.

In conclusione, la riflessione su alcune parole chiave del codice classico, quali

sacer e lutto, ci ha permesso da un lato di scoprire, dietro simbologie diverse,

affinità antropologiche tra passato e presente, dall'altro di ri - scoprire il

valore della sepoltura dei defunti. Questa maggiore consapevolezza riguardo

le permanenze della civiltà classica nel presente ha cambiato il nostro

atteggiamento frettoloso, se non indifferente, verso le tombe dei nostri cari,

ora luoghi ove instaurare quella corrispondenza d’amorosi sensi, (...) spesso

per lei si vive con l'amico estinto, e l'estinto con noi.

Documenti

1. U. Galimberti, Orme del Sacro, 2000

2. L. Garofalo, Il corpo in Roma antica, 2016

3. U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1806

4. J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995

5. F. Cardini, Onore, 2016

6. A. Diotti, S. Dossi, F. Signoracci, Moenia Mundi (pagine 342 – 343), 2015

7. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011

Conclusione

65

Percorso 2: Codice contemporaneo. La dimensione pubblica del dolore

Argomento Il rito del Milite Ignoto: alla ricerca delle nostre identità.

Finalità Ri - costruire le diverse codificazioni della Memoria nel rito del Milite Ignoto; Riflettere sul significato del termine Memoria nella cultura contemporanea; Riconoscere la presenza di diverse tradizioni nella codificazione del Milite Ignoto.

Testo: Milite Ignoto

Fase A: Ricerca di documenti

Fase B: Lettura, analisi del testo Milite Ignoto. Individuare parole - chiave, ri - conoscere linguaggi e tradizioni culturali, costruire percorsi culturali a partire dalle parole - chiave.

Ambiti di indagine:

Rito

Madre

Lutto

Soldato - massa vs Eroe

Simbolo

Culto

Ordine vs Caos

Corpo

Ara

Monumento

Memoria

Senso di colpa

Ri - semanticizzazione del Classico in funzione ideologica

Fase C: Intertestualità

Attività: Ri - leggere il testo Milite Ignoto alla luce delle nuove acquisizioni, evidenziando segni, simboli, permanenze di linguaggi e tradizioni culturali diversi.

66

Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro

Milite Ignoto: il Classico nel Contemporaneo

Nella fase precedente del percorso, abbiamo ricostruito la concezione

classica della parola “corpo” partendo da un lavoro di analisi e riflessione su

testi letterari e non. Ciò ci ha permesso di acquisire consapevolezza sul

significato di alcuni concetti – valori da noi trascurati, ossia honor, stuprum,

laudatio funebris, consolatio. In questa seconda fase del percorso, ci

serviremo di tale lessico valoriale per rileggere il testo Milite Ignoto allo

scopo di ricercare le tracce di quei concetti/valori nella cultura

contemporanea. In particolare, la ricerca sarà orientata nei seguenti campi

d’indagine: la funzione – utilità del rito del Milite Ignoto,

l’interpretazione/rilettura in chiave retorica da parte del potere, il motivo

della bella morte, la figura della madre del Milite ignoto nel rito ed infine la

figura della donna e il suo ruolo durante la guerra.

Come in epoca classica, anche oggi, la presenza del corpo è fondamentale

nel rito, soprattutto per poter elaborare il lutto: avere una tomba su cui

piangere, un luogo dove poter perpetuare il legame con il defunto, instaurare

quella corrispondenza “d’amorosi sensi”, è un bisogno antropologico. È

questo uno dei principali propositi che, dopo la fine della Grande Guerra,

porta l’Italia e tanti altri paesi all’ideazione e costruzione del culto del Milite

Ignoto.

Dopo la fine del primo conflitto mondiale, gli stati vittoriosi avvertono

l’esigenza di rendere onore alle persone cadute. Di conseguenza, tra il 1920

ed il 1921, le autorità si recarono sui sanguinosi campi da battaglia per

scegliere una salma di un soldato sconosciuto, che sarebbe diventato il

nuovo simbolo del Milite Ignoto.

Il conflitto aveva lasciato l’Italia nel profondo di una crisi sociale generale:

600.000 furono le vittime civili, ed altrettante furono le morti di militari, per

un totale di circa 1.200.000 persone.2 I commilitoni dei caduti parteciparono

alle ribellioni, guidati dalla rabbia per essersi immolati secondo un ideale

comunitario che non si era concretizzato. Inoltre, la crisi era caratterizzata da

un grave senso di perdita, dovuto al fatto che molti dei soldati caduti furono

dati per dispersi o scomparsi.2

Dalla necessità di superare questo trauma sociale e dalla volontà di un

riconoscimento collettivo a tutti i caduti, i cui corpi giacevano nell’oblio

dell’anonimato, nasce l’idea di fare di un corpo “il corpo”, simbolo del

sacrificio di tutti i milites. In particolare, la proposta venne lanciata dal

combattente Giulio Douhet, il quale propose un rito collettivo che segnasse

Introduzione

Simbolismo

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la conclusione simbolica della guerra3, fungendo da spartiacque tra la guerra

e la pace. Il rituale avrebbe dovuto creare nei cittadini un senso religioso

della patria e giustificare, in quest’ottica, il sacrificio dei soldati.

Il 28 ottobre 1921, ad Aquileia fu scelta, in modo casuale, una delle undici

bare contenenti altrettante salme di soldati non identificati, provenienti dai

principali fronti italiani della guerra.4 Occorre prestare particolare attenzione

alle modalità con cui questa scelta avviene per ricostruire alcuni valori

attribuiti al Milite ignoto.

Si consideri innanzitutto che le salme vennero racchiuse in bare

identiche tra loro, in modo da essere indistinguibili. Si attua, In

questo modo, la spersonalizzazione del soldato, processo

necessario per favorire da parte dei militari sopravvissuti

l’identificazione con quello sconosciuto, poiché “solo un ignoto

può essere il rappresentante di tutti”, secondo Douhet.3

In secondo luogo, occorre discutere la casualità della scelta del defunto. La

scelta casuale ha la funzione di ribadire la comune identità dei soldati, che

nelle trincee avevano condiviso lo stesso destino, fino a sperimentare quella

che doveva essere per la maggior parte di loro l’esperienza della

massificazione. Il simbolismo del Milite Ignoto si arricchisce così del senso di

appartenenza, di uguaglianza ed unità.

Per queste connotazioni simboliche, in particolare per quella relativa al suo

essere “ignoto”, il Milite ignoto diventa il pretesto ideologico per offrire una

lettura etico – civile della guerra.3 Il suo “essere tutti”, la sua

spersonalizzazione sposta il focus ricettivo dei destinatari dal fatto tragico

della morte, ignota e quindi anonima, non identificabile e collocabile nello

spazio - tempo, al soggetto/sostantivo “milite”, che diventa evocativo di

militanza, strenuo senso del dovere, disciplina, sacrificio.

La morte del fante diventa il sacrificio paradigmatico, l’offerta della vita

sull’altare della Patria per adempire al dovere verso la comunità Per questo

motivo, l’umile fante diventa eroe - exemplum al quale saranno riservati i

“sommi onori”, onori che per Douhet dovevano concretizzarsi nella sepoltura

delle spoglie a Roma, nel Pantheon, al fianco dei Re.

La proposta di un sepolcro fu accolta favorevolmente dallo Stato, poiché

avrebbe potuto trarne molti vantaggi. La creazione di una tomba avrebbe in

parte colmato nei familiari quel vuoto lasciato dalla scomparsa dei cari: “da

quella tomba trarranno maggior consolazione le più infelici: quelle che non

seppero più nulla del loro nato, che sembrò vanire nella bufera”.3 La

sepoltura della salma a Roma avrebbe creato una condizione favorevole alla

La scelta del luogo

di sepoltura

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nazionalizzazione del simbolo. Nonostante ciò, la proposta di Douhet venne

respinta: il luogo di sepoltura divenne il Monumento nazionale a Vittorio

Emanuele II. La motivazione che lo stato fornì rispetto a questo cambio, è

che, essendo il Milite Ignoto un simbolo destinato al popolo, egli doveva

mantenere questa destinazione e collocazione sociale anche post mortem.

Questa scelta inoltre è mirata ad evitare che l’umile fante venga posto

all’altezza del Re. Se il Milite Ignoto, simbolo delle virtù popolari, venisse

posto alla pari di un sovrano, si sovvertirebbe la relazione tra il potere ed il

popolo. Così, egli viene sepolto ai piedi della statua di Vittorio Emanuele II in

modo da mantenere il rapporto di leale subordinazione.

Il 4 novembre 1921, viene sigillata la tomba del guerriero sconosciuto nel

rinominato “Altare della Patria”. Per approfondire l’utilizzo strumentale e

retorico del Milite Ignoto da parte dello stato, considereremo l’epigrafe

funeraria posta all’interno del Sacello del Milite Ignoto nel Vittoriano.

«SOLDATO · IGNOTO DEGNO · FIGLIO · DI · VNA · STIRPE · PRODE

E · DI · VNA · MILLENARIA · CIVILTÀ · RESISTETTE INFLESSIBILE · NELLE · TRINCEE · PIV’· CONTESE PRODIGÒ · IL · SVO · CORAGGIO · NELLE · PIV’·

CRVENTI · BATTAGLIE · E · CADDE · COMBATTENDO SENZ’ALTRO · PREMIO · SPERARE · CHE · LA

VITTORIA · E · LA · GRANDEZZA · DELLA · PATRIA XXIV · MAGGIO · MCMXV · IV · NOVEMBRE · MCMXVIII»5

Epigrafe funeraria posta all’interno del Sacello del Milite Ignoto nell’Altare della Patria

L’iscrizione presenta simboli e motivi della cultura classica, repertorio che il

fascismo recupera e ripropone come di valori assoluti, per abbellire e

nobilitare la morte, giustificando così l’enorme sacrificio di vite umane (per

un totale di circa 16 milioni di morti, senza contare i feriti, tra militari e civili)

durante il primo conflitto mondiale.

Riconosciamo nell’epigrafe funeraria al Soldato Ignoto, la struttura

dell’elogium, iscrizione epigrafica sepolcrale con funzione celebrativa,

finalizzata all’esaltazione delle gesta del defunto o di autocelebrazione della

gens di appartenenza, con la trasmissione dei valori ideologici e politici che

la caratterizzavano.6 Noi, in particolare, abbiamo confrontato

l’epigrafe al Milite Ignoto, situata nel Sacello a lui dedicato all’interno

del Vittoriano, con l’elogium a Scipione Barbato (iscrizione sepolcrale

rinvenuta sulla via Appia durante uno scavo archeologico nel 1780),

modello di elogium classico scritto in latino arcaico in versi saturni.

Entrambi i testi presentano una struttura comune.

Codice classico

nell’epigrafe

funeraria del Milite

Ignoto

«CORNELIVS·LVCIVS SCIPIO·BARBATVS GNAIVOD·PATRE·PROGNATVS FORTIS·VIR·SAPIENSQVE

QVOIVS·FORMA·VIRTVTEI PARISVMA·FVIT CONSOL CENSOR·AIDILIS QVEI·FVIT·APVD·VOS

TAVRASIA·CISAVNA SAMNIO·CEPIT SVBIGIT·OMNE·LOVCANAM OPSIDESQVE·ABDOVCIT»

«Cornelio Lucio Scipione Barbato, nato dal padre Gneo, uomo forte e saggio,

la cui bellezza fu del tutto pari al valore, fu presso di voi console, censore, edile, conquistò Taurasia, Cisauna e Samnio,

sottomise tutta la Lucania e ne trasse ostaggi»7 Elogio a Scipione Barbato

La struttura delle due epigrafi è pressappoco la stessa, cambia il lessico.

L'epigrafe di Scipione si articola in nome del defunto, stirpe, virtù, carriera

politica (cursus honorum): tutti elementi che rimandano all'appartenenza,

all'identità del defunto. Viceversa, nel caso del Milite ignoto, queste

informazioni non compaiono perché irrilevanti, il lessico riguarda

esclusivamente il campo semantico delle res gestae militari.

Le virtù, elencate nell'epigrafe, connotano il Soldato Ignoto con aggettivi

presenti in molti slogan retorici di stampo fascista. Troviamo “inflessibile”,

dal latino inflexibile, composto dal prefisso in, che indica negazione,

e flexibilis, “flessibile”, derivato di flectere, “piegare”, “che può variare,

modificarsi, adattarsi a condizioni diverse”. Spesso usato nella sfera politico -

legislativa, qui indica l’attitudine del soldato modello capace di sopportare e

adattarsi alla durezza della vita in trincea. “Degno”, dal latino dignus,

“degno”, “condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado,

dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il

rispetto che per tale condizione gli è dovuto e “ch’egli deve a sé stesso”. La

dignità è innanzitutto il valore peculiare della civiltà a cui il Milite appartiene,

valore deterministicamente ereditato dal Milite, celebrato come meritevole

“figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà”. Interessante rilevare la

presenza del termine “stirpe” per indicare l'origine, la radice, la discendenza

del Milite, di cui si evidenzia e connota l'appartenenza ad un'etnia, ad una

civiltà. Il Milite è connotato come “prode”, derivato da prodest, prodesse;

pro, prefisso presente anche in prodigo, “giovamento, utilità, vantaggio”.

Nella sfera militare diventa “valoroso, coraggioso, intrepido”. Dunque il

comportamento valoroso del Milite intrepido ha giovato, ha recato vantaggio

alla Patria. La celebrazione del Soldato Ignoto è compiuta.

L'epigrafe presenta inoltre alcuni caratteri dell'alfabeto latino, che rivelano

l'intento, da parte della classe politica, di utilizzare la cultura classica, nei

70

modi del citazionismo, per nobilitare i messaggi in essa contenuti. Questi

elementi sono: l’uso della lettera “v” che sostituisce la “u”, la presenza del

punto intermedio tra parola e parola e l’utilizzo dei numeri romani anziché i

numeri indo - arabici, trasmessi in Europa attorno al X secolo, per indicare le

date di entrata in guerra dell’Italia e di fine conflitto mondiale.

In conclusione, abbiamo scoperto e compreso che il modello dell’elogium

classico è la forma testuale ripresa dal governo fascista per nobilitare ed

elogiare le gesta del milite ignoto, simbolo di tutti i militari morti per la

“grandezza della patria”.

In conclusione, la funzione del rito del Milite Ignoto è quella di onorare e

“raccontare le morti di massa, le morti di tutti quei soldati senza identità,

molto spesso senza più un volto che ne permetta l’identificazione”.11

Da questa citazione si può comprendere come sia fondamentale, per rendere

onore ai caduti la presenza materiale del corpo; corpo su cui parenti e

familiari possano piangere. Questo aspetto del rito funebre presenta affinità

con il relativo percorso svolto all'interno del Codice Classico. Infatti, come

abbiamo visto nella scena fra Achille ed Ettore, quest’ultimo, riconosciuta la

propria inferiorità, chiede ad Achille di consegnare il corpo intatto ai familiari

senza oltraggiarlo e quindi consentendogli una “bella morte”10 affinché i

familiari possano omaggiarlo con un rito funebre e donargli degna sepoltura.

Achille ed Ettore, ricordiamolo, si confrontano in un duello, e questo spiega

la possibilità di recuperare il corpo del vinto. La guerra, di cui è protagonista

il Milite ignoto è totale, è una guerra - massacro, in cui le masse hanno

sostituito gli eroi. La conseguenza di questo dato storico è il maggior numero

di morti sul campo di battaglia. L’altissimo numero di morti e l’impegno della

guerra rendono impossibile prendersi cura dei cadaveri, conservarli, per poi

tornare in patria ed onorarli. I morti sul campo di battaglia sono trascurati,

talvolta “ammucchiati” a parte, soggetti alle leggi del tempo. Risultato finale:

al termine della guerra non si riconoscono più e non è quindi possibile

identificarli. Questo è solo uno dei motivi per il quale è impossibile

identificare i cadaveri, forse il meno atroce: talvolta, come nell'Iliade, i

cadaveri venivano oltraggiati o sfigurati, mutilati dalle potenti armi del

Novecento.

Allora, per consentire alle famiglie, alle quali non è stata restituita nemmeno

la salma, di poter ricordare il proprio caro, vennero costruiti monumenti e

luoghi della memoria. “Si creò insomma una religione civile, fatta di miti e

simboli, bandiere, inni, cerimonie e commemorazioni. Tutti elementi

necessari affinché il lutto venisse elaborato, per permettere a chi fosse

rimasto in vita di poter materializzare la morte con l'aiuto di riferimenti

Parole chiave

Corpo

Bella morte

71

materiali (una tomba, un’iscrizione, ...)” J. Winter. Questa è la ragione e lo

scopo dell'istituzione del rito del Milite Ignoto: un corpo, sconosciuto,

appunto “ignoto”, scelto a caso fra altri corpi doveva rappresentare un’intera

nazione, per onorare il gesto compiuto da tutti coloro che avevano sacrificato

la vita per il bene della patria.

Sono molti i soldati mai tornati dalla guerra e di cui non si è mai saputo

niente: morti sul campo di battaglia non sono mai stati identificati e riposano

nell'anonimato nei cimiteri improvvisati durante il conflitto. Sono altrettante

le famiglie che non hanno mai avuto un corpo su cui piangere e che si

interrogano sul destino toccato ai propri cari. Il culto del Milite Ignoto

assolve, a questo proposito, il suo compito nella dimensione privato -

affettiva. Al di là dell'uso propagandistico e di giustificazione della guerra che

si è fatto del Milite egli diventa Il Soldato, simbolo di tutti coloro che sono

caduti per la patria. Nella figura del Soldato sconosciuto, tutti coloro che

hanno subito una perdita riconoscono il proprio caro avendo, in questo

modo, un luogo sul cui poter piangere e in cui poter ricordare i propri cari.

Nella sacralizzazione delle imprese e del sacrificio dei soldati italiani non

poteva mancare la dimensione privata del lutto: la madre del Milite Ignoto è

quindi una madre “spirituale” che rappresenta nella dimensione pubblica

quella privata e famigliare. Ella aveva il compito di scegliere colui che sarebbe

diventato il Milite Ignoto italiano tra undici corpi prelevati dai diversi campi

di battaglia scelti da una commissione. Riteniamo doveroso soffermarci sulla

presenza della Madre, in quanto figura essenziale nel rito per il simbolismo

da essa evocato. Infatti, nel rito del Milite ignoto, come nel rito classico

precedentemente analizzato nel Percorso 1, la donna, in particolare la

madre, appartiene ad un’altra dimensione rispetto a quella eroica del

maschile, femminile e maschile sono paradigmi antitetici, eros e thanathos.

Qual è allora la funzione della presenza femminile in questo contesto e sulla

base di quali criteri è stata scelta questa donna, simbolo della maternità,

principio di vita?

L. Cadeddu risponde a questa domanda riportando una citazione del Diario

di Tognasso: “Chi doveva fare questa scelta se non una mamma che non sa

dove riposa il corpo della creatura nata dalle sue viscere, alimentata dal suo

seno, educata al suo amore, alla sua fede? L'Italia conta a migliaia di queste

eroine del focolare. A quale fra esse, il compito della scelta? [...] tutte

portano con orgoglio la croce del loro martirio ornata dai colori della Patria

e dalle insegne del valore dei figli perduti.”13

Come nel caso della selezione dei corpi dei soldati sconosciuti, è toccata ad

una commissione la scelta della madre spirituale del Milite. Le cosiddette

La figura della

madre del Milite

Ignoto

72

“eroine del focolare” al termine della grande guerra erano tante:

madri che avevano perso i figli e non solo nei modi più cruenti e

atroci, madri come una vecchia donna di Lavarone che pur di

deporre le spoglie del figlio nel cimitero del paese, “esumò da sola

le ossa della sua creatura, ponendosela in grembo dopo averle

legate con un nastro tricolore.” L. Cadeddu. Alla fine fu scelta una

donna del popolo, originaria di Gradisca: Maria Bergamas, madre

di Antonio Bergamas, disertore dell’esercito austroungarico, che

durante la Grande Guerra combatté con l’esercito italiano. Maria

Bergamas è stata scelta come rappresentante, simbolo di tutte

quelle madri, mogli, sorelle che hanno un figlio, marito, fratello che

non ha mai fatto ritorno dal fronte. Maria Bergamas è anche la

madre di un “figlio della Patria”, degno discendente della gloriosa

stirpe italica, come ricordato nell'epigrafe, che in virtù di questi

valori riconosce la sua appartenenza, la sua identità, la sua italianità.

Se in epoca classica il ruolo della donna nel rito funebre, restava circoscritto

alla sfera privata, durante le celebrazioni in onore del Milite ignoto, essa

ricopre un ruolo anche nella sfera pubblica. La Madre viene strumentalizzata

dalla retorica e dalla propaganda post bellica. Il suo ruolo di

portatrice del desiderio di pace, di portavoce di quella civiltà

estranea al dovere della guerra, viene sfruttato per creare il senso

di appartenenza collettivo al lutto, un'identità comune nella quale

identificarsi.

Maria Bergamas il 28 ottobre 1921 ebbe il compito di scegliere colui

che sarebbe diventato il Milite ignoto italiano tra undici corpi

disposti lungo la navata centrale della basilica di Aquileia. Dalle foto

e dai racconti, la donna ci appare vestita con abiti scuri, col capo

coperto e in mano un mazzo di fiori come erano solite atteggiarsi le

donne in lutto. L'analisi dei gesti della donna durante la scelta del

Milite ignoto permette di cogliere alcune affinità con la figura

femminile presente nei riti funebri in epoca classica. Maria

Bergamas si toglie il velo e cade piangendo disperata ai piedi della bara

prescelta, pronunciando il nome del figlio scomparso. Questa immagine

rimanda alle rappresentazioni dei rilievi risalenti all’epoca classica, o alla

reazione di Ecuba alla morte del figlio Ettore.14 Il pianto resta il simbolo

universale del dolore e della perdita, svolge una funzione antropologica,

serve a colmare “la crisi della presenza”15, il vuoto lasciato dalla perdita della

persona cara.

La Madre del milite ignoto non era l’unica donna presente durante la

cerimonia, un posto d’onore venne riservato a tutte le donne che durante il

Figura e ruolo della

donna

73

conflitto persero un familiare. Accanto alle madri vi sono quindi anche le

figlie e le mogli, ora vedove. Tutte queste donne, assieme agli orfani, sono le

vittime indirette della guerra.

Procedendo nella nostra ricerca, ci siamo resi conto che la figura della donna,

all’interno del testo e del co - testo Milite ignoto, è pervasiva, onnipresente

in modo esplicito o implicito. In particolare, la Madre è una costante

all'interno dei percorsi da noi indagati. E le madri sono anche le principali

destinatarie delle lettere che i soldati/figli scrivevano: “Di fronte a un

universo in cui la violenza era l'unica chance per tentare di sopravvivere nel

massacro tecnicizzato, la mamma rappresentava la necessaria immagine di

dolcezza che impediva di impazzire”.13

La scrittura della lettera per il soldato è un momento di estraniamento dal

conflitto, in cui concentrarsi su sé stesso: la scrittura soddisfa la necessità di

ritrovare la propria identità, messa in crisi dal conflitto e dalle condizioni in

cui si trova.

L'arrivo delle lettere e degli scritti direttamente dal fronte “sembra non già

l'ingenua illusione di trovare le testimonianze incontaminate della storia,

quanto la riscoperta della dimensione di soggettività nella storia [...] la

riscoperta insomma del fatto che la storia si riverbera e si moltiplica nella

varietà dei percorsi individuali e collettivi, antropologici e mentali di milioni

di uomini comuni, e che senza tener conto di questa dimensione la nostra

cognizione può essere mutila, atrofizzata e priva di vita”.17

Le lettere costituivano il legame con la quotidianità, con la vita di sempre,

erano il momento in cui il soldato si riconosceva, in cui riacquistava la sua

identità. Ne è un esempio la lettera scritta da Efisio Atzori (alpino che

combatté sul fronte trentino) per i genitori: “Carissimi, [...] state sempre

tranquilli e allegri io son sempre lo stesso, sto bene e sono contento. Voi non

vi immaginate l’allegria che regna specialmente quando mangiamo. [...]

Della gente che mangia, beve canta, ride non può che stare bene ed io coi

miei colleghi siamo così. Quindi anche voi sempre allegri, non pensate mai a

i pericoli della guerra, [...]”. Efisio, semplice alpino costretto a combattere

con ferocia i nemici, dopo aver raccontato delle sue giornate in trincea e delle

battaglie cruente a cui ha preso parte, rassicura i suoi cari sul fatto che lui sia

sempre lo stesso nonostante in battaglia si ritrovi ad essere qualcun altro.

Nel raccontarsi ritrova per un attimo la sua umanità. Egli rappresenta tutti

quei soldati che sono stati trasformati dalla guerra in vittime e, allo stesso

tempo, in carnefici. Come dichiara Secondo Gabanini, bracciante arruolate

nel 29° reggimento di fanteria: “Carissimi genitori, [...] ma voi altri poi non vi

dovete fare niente impressione che io o fatto per raccontarvi un po’di quello

74

che o visto e niente di più [...] a me mi piace dire la verità, poi lo sapete che

persona che tipo sono io siccome voialtri avete molto piacere di saperlo

come vado e come mi trovo e io quando posso vi faccio sapere tutto ogni

cosa cosi credo che di me sarete contenti.”18

E ancora: “Cara Madre ti faccio sapere che ò già fatto un giorno e una notte

in trincea se vedeste che divertimento quando si vede qualche austriaco

alzar la testa e delle sue trincee gli facciamo tutti fuoco contro di lui.” Le

madri diventano anche le confidenti delle atrocità di guerra. È sempre la

figura della madre / donna che viene evocata nei momenti di difficoltà: è la

donna, capace di prendersi cura e di consolare, che diventa un’ancora alla

quale attaccarsi per non sprofondare nella crudeltà della guerra. Come

accade nell’Iliade14, anche i soldati, protagonisti della Grande Guerra,

recuperano l'humanitas grazie alla mediazione dell'elemento femminile.

Così scrive alla sorella Maria, in una lettera, l’ufficiale dei bersaglieri Nunzio

Coppola “[…] Forse quest’azione che eticamente mi ha allontanato dalle

creature umane, mi fa sentir più vivo il desiderio d’esser amato e di voler

bene. Ma perché ti dico questo? Non lo so. Per parlare, per dirti che

italianamente e militarmente mi piace la guerra, ma che come uomo, utopia

del secolo ventesimo! mi fa orrore.”

Maria Bergamas, Madre del Milite ignoto, è allora la sintesi di

tutti questi attributi, ruoli, aspetti, codificazioni, significati del

femminile, che le conferisce il carattere di esemplarità, come si

legge sull'iscrizione della tomba “Maria Bergamas, Per tutte le

madri”.

Attraverso questo progetto, abbiamo avuto modo di recuperare alcuni valori

che avevamo dimenticato. In particolare, lo studio di alcuni aspetti della

civiltà classica, ci ha permesso di comprendere la distanza tra la nostra

cultura e quella passata, mentre con lo studio del testo Milite abbiamo

compreso come talvolta la cultura classica venga strumentalizzata per scopi

propagandistici finalizzati a costruire il consenso popolare attorno a precisi

programmi politici. Nel caso da noi studiato, i segni del passato, come

abbiamo visto, vengono utilizzati per nobilitare e giustificare la guerra. In

questo modo, il fascismo “abbelliva”, mascherandola di Antico, la morte.

Nei tempi antichi è stato scritto che è dolce e decoroso morire per la propria

patria. Ma nella guerra moderna non c’è niente di dolce e opportuno nella

morte. Si muore come cani senza un valido motivo.

E. Hemingway

Conclusione

75

Documenti

1. BBC, Unknown Warrior, 1999

2. Diacronie, Itinerari della Grande Guerra - Un viaggio nella storia,

http://www.studistorici.com/2014/08/01/itinerari-della-grande-guerra-un-viaggio-nella-

storia/

3. Dizionario Garzanti Linguistica, http://www.garzantilinguistica.it/

4. E. Degl’Innocenti, Lo sguardo di Giano, 2014

5. Elogio a Scipione Barbato, 240 a.C. ca.

6. Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/

7. F. Cardini, Onore, 2016

8. Gibelli, Il colpo di tuono, 2015

9. J. Winter, Il lutto e la memoria – La Grande Guerra nella storia culturale europea, II, IV, 1998

10. J.P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007

11. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2004

12. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011

13. Omero, Iliade, 750 a.C. ca.

14. Q. Antonelli, Storia intima della Grande Guerra – Lettere, diari e memorie dei soldati dal

fronte, 2014

15. Sacello Milite Ignoto, 1921

16. U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807

17. V. Labita, Il Milite Ignoto, dalle trincee all’Altare della Patria, 1989

18. Wikipedia, Milite Ignoto (Italia), https://it.wikipedia.org/wiki/Milite_Ignoto_(Italia)

76

Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani

Milite ignoto: simboli e significati.

Il seguente saggio breve riguarda l’attività 13 - Milite ignoto del progetto

Erasmus+ “Insegnare la Grande guerra - Educare alla pace”.

Nel seguente lavoro abbiamo analizzato alcuni aspetti della figura del Milite

Ignoto, quali il contesto storico, la figura della Madre, il luogo della sepoltura,

il significato simbolico e la funzione ideologica della cerimonia del Milite

Ignoto. Per realizzare questi obiettivi, ci siamo serviti delle parole - chiave e

dei concetti precedentemente ricavati, esaminando il rito funebre nel codice

classico: lutto, memoria, sacer. A partire da queste parole - chiave, e dal

relativo campo semantico, abbiamo esaminato una serie di saggi riguardanti

l’argomento oggetto del nostro lavoro.

Introduciamo ora la figura del Milite ignoto inserendolo nel contesto storico

di riferimento.

Dopo la fine della Grande Guerra, che portò alla morte milioni di persone,

alcuni paesi come la Francia e l’Inghilterra per prime, e l’Italia poi, crearono

dei monumenti nazionali con la funzione di “risarcire” una popolazione

martoriata dal conflitto e che, come in Italia, doveva affrontare diverse spese,

tra le quali “una vertiginosa crescita dell’inflazione e del costo della vita e

una profonda crisi industriale”1. A seguito della morte di circa 650.000

caduti, tra cui soldati non identificati, il colonnello Giulio Douhet propose

l’idea di onorare i sacrifici e gli eroismi della collettività nazionale nella salma

di un Soldato sconosciuto. La sua proposta venne subito accolta dalle

organizzazioni patriottiche “che vedevano nel caduto senza nome il simbolo

che poteva rappresentare il marito, il padre o il figlio di quanti non avevano

la possibilità di onorare le spoglie del familiare disperso”1.

Come afferma S. Luzzato, la tumulazione del Milite Ignoto, nel novembre

1921, è stata con ogni probabilità la più importante cerimonia nazionale nella

storia dell’Italia unita. Le spoglie anonime di un soldato caduto e rimasto

privo di riconoscimento, uno su circa duecentomila, viaggiarono in treno

dalla basilica di Aquileia fino a Roma, tra la folla raccolta lungo i binari, e

trovarono ricovero nella capitale fra i marmi dell’Altare della Patria. Quelle

spoglie divennero per gli Italiani, allora, il simbolo stesso della Grande

guerra: segno doloroso della vittoria, della memoria, del lutto. Intorno alla

tomba del Milite Ignoto Benito Mussolini avrebbe costruito, durante il

Ventennio, parte dell’immaginario fascista. E ancora oggi l’omaggio al Milite

Storia del Milite

Ignoto

Introduzione

77

Ignoto costituisce il momento culminante di ogni cerimoniale della

Repubblica.

Il rituale del Milite ignoto non aveva solo la funzione pubblica di costruire

un’identità nazionale attraverso la propaganda di valori come il sacrifico per

la patria, ma anche lo scopo di permettere di esprimere il proprio dolore ai

famigliari che non avevano ricevuto il corpo del defunto; perciò “fondendo

tradizione cristiana e imprese sui campi di battaglia, sorsero nuovi luoghi di

culto […], modelli di vita in un’epoca che esaltava l’eroismo e il sacrificio”2.

Si procedette ad una costruzione sia ideologica che politica, perché di fronte

ad un evento senza precedenti come la Grande Guerra “sia le classi dirigenti,

sia gli strati più bassi della società avevano dunque bisogno di comprendere

quel massacro”2.

Esaminiamo ora l’elemento del lutto, fondamentale per “comprendere il

massacro” e superare la perdita dei propri cari. Il termine lutto deriva dal

latino luctus, derivante dal verbo lugere, “piangere, essere in lutto”, e indica

a un tempo la situazione di chi ha perduto una persona amata, il lento e

doloroso processo di accettazione e interiorizzazione di un decesso.

In particolare quello relativo al Milite ignoto fu un lutto collettivo, poiché il

soldato ignoto rappresentava tutte le perdite umane causate dal conflitto; la

cerimonia del culto del milite ignoto era un mezzo per fondere il dolore

collettivo della nazione a quello privato delle famiglie dei soldati caduti.

Un ruolo centrale in questo rito era occupato dalla figura della madre. Come

afferma L. Cadeddu “[…] erano le centinaia di madri che rappresentavano

tangibilmente il lutto collettivo della nazione, e l’attento cerimoniale che

mirava a coinvolgere tutto il popolo nella sacralizzazione del suo ignoto figlio

morto per la patria doveva trovare una rappresentante del dolore collettivo

che assolvesse il ruolo di tutte le madri private dei loro affetti”. Non è un caso

se venne nominata una Commissione apposita per scegliere accuratamente

la Madre tra le popolane più provate dal calvario che era stato la prima

guerra mondiale. Tra le varie candidate venne scelta Maria Bergamas: “umile

popolana, semplice e modesta come tante donne […] Il più grande amore

della donna era suo figlio Antonio […] ricordato da molti per il suo impeto e

la sua passione politica e il suo ardore, era un autentico mazziniano […].

Come aveva sempre sostenuto, si era sacrificato per il suo ideale […]: come

sia bello morire per le proprie idee.”3

Già da questa descrizione si può capire come il lutto venne strumentalizzato

ideologicamente: Antonio Bergamas, nato nel 1891, era un disertore

dell’esercito austro - ungarico, fervente patriota, rappresentante di tutta la

storia dell’irredentismo nella Grande Guerra e, in quanto tale, consapevole

Funzione rituale

del lutto

Madre

Funzione

ideologica del lutto

78

della sua futura morte. «Bergamas non condivideva soltanto la condizione,

particolarmente arrischiata, dei volontari trentini, giuliani e istriani, alla

Cesare Battisti o alla Nazario Sauro. Condivideva anche l’intrinseca tragicità

di una vocazione già segnata, potremmo dire, dal senno del poi. Ammaestrati

dai primi mesi della Grande guerra, dalla carneficina dei loro stessi fratelli o

cugini o compagni di scuola mobilitati nell’esercito austro - ungarico, i

volontari irredenti sapevano che cosa li aspettava: non si nascondevano che

sarebbe stata una carneficina. Ne fa testimonianza una magnifica lettera di

Antonio (“Tonin”) alla madre Maria: dove il figlio già si rivolge alla mamma

come a una Mater Dolorosa».4 Da irredentista a Milite ignoto, testimone di

come sia dulce et decorum est pro patria mori. Il Milite diventa così simbolo,

perdendo la sua identità, ma l’istituzione di una madre in carne ed ossa,

come simbolica madre della patria, implica anche un figlio in carne ed ossa,

che rivive nella storicità della funzione della madre.

In ogni caso, la cerimonia del Milite ignoto verteva sul simbolismo e

l’anonimato: «Per rappresentare tutti i caduti, il Milite doveva restare Ignoto.

E per incarnare tutte le Addolorate, Maria doveva cancellarsi come madre»

afferma Luzzatto. A questo proposito, i filmati, riguardanti in particolare il

momento della scelta della salma del figlio da parte di Maria Bergamas,

offrono la visione della madre cristiana, modello di comportamento,

misurata nel cordoglio, lontana da quella antica, dominata dal planctus e

dalle lamentazioni. Due concezioni della morte a confronto, quella pagana -

il lamento funebre e la concezione cristiana della morte, diventata

apparente, in virtù della passione e della risurrezione dell'Uomo - Dio.

Durante l'ascesa al Calvario le donne intonano i tradizionali lamenti, ma

Cristo li respinge: “Molta folla lo seguiva, anche di donne, le quali si

percuotevano il petto ed eseguivano lamentazioni per lui. Ma Gesù si rivolse

loro e disse: - Figlie di Gerusalemme, non fate lamenti su di me, ma su voi

stesse e sopra i vostri figli...” Luca,23, 27 - 29. Ecco allora l'esemplarità della

Mater dolorosa nella scena della passione, coerente con l'affermazione della

vittoria di Cristo sulla morte e con la polemica cristiana sulla lamentazione

pagana. Il Nuovo Testamento non conosce un pianto di Maria, rappresentata

in atto di stare davanti alla croce, chiusa in un patire interiore e raccolto.

Maria Bergamas davanti alla bara grida, il suo dolore si fa umano, segno

dell'antico lamento funebre rituale. Anche Maria, come si legge negli apocrifi

Acta Pilati (prima metà del quinto secolo), alla vista del figlio coronato di

spine, non sa trattenere il dolore e perde coscienza, giace esamine a terra,

quindi tornata in sé entra nella vicenda della lamentazione, percuotendosi il

petto e innalzando un lamento che in più punti ricorda, per il suo contenuto,

una comune lamentazione pagana resa da madre a figlio. Solo così,

affrontando, assorbendo e trasfigurando le tecniche pagane di controllo, la

79

Mater Dolorosa, modello del dolore cristiano, poteva operare realmente

nella storia e svolgere la sua funzione pedagogica dell'umano cordoglio.

Maria Bergamas, nei suoi gesti e nel suo incedere rituale, è questa Mater

Dolorosa, capace di lamento, composta nel suo dolore, ma non pietrificata

dallo stesso, capace di contenerlo e trasfigurarlo entro la visione escatologica

cristiana.5

Prendiamo ora in considerazione l’Altare della Patria, la tomba del Milite

ignoto. Questo è un monumento, dal latino monumentum «ricordo,

monumento», a sua volta derivato di monere «ricordare», quindi luogo della

memoria. In particolare il monumento, come sostenuto da J. Winter6, è il

luogo della commemorazione, dal latino cum “insieme a”

e memorare “ricordare”. Il prefisso cum rimanda ad una memoria condivisa,

quindi il monumento è il luogo ove è possibile mantenere viva la memoria

pubblica. Nel caso particolare, esso diventa il luogo dove la collettività

esprime pubblicamente il suo cordoglio.

Il monumento ha pure una funzione politica finalizzata alla ricostruzione

dell'identità nazionale dopo gli eventi traumatici della Prima guerra

mondiale.

Questo aspetto lo si può evincere già dall’espressione “Altare della Patria”. Il

termine “altare” deriva dal latino altare, accostabile per la radice

ad abdolere, far bruciare, oppure da altus, alto, quindi il luogo dove

mediante il fuoco si consuma un sacrificio oppure un luogo d’incontro con la

divinità poiché sopraelevato. La parola “altare” è accostato alla “Patria”,

elevata e sacralizzata. Quindi l’aspetto patriottico - sacrale è prevalente

rispetto a quello commemorativo.

Questo è provato anche dalla sua collocazione. Esso è parte del Vittoriano,

costruito con il proposito di “rammentare con l'arte […] gli uomini e gli

avvenimenti che, sempre in relazione a Vittorio Emanuele, Padre della Patria,

meglio cooperarono alla indipendenza e libertà nazionale”7. In questo modo

il Milite ignoto è collegato al Risorgimento e ai suoi valori.

Esaminiamo la struttura dell’Altare della patria.

L’altare è costituito dall'altare vero e proprio, sovrastato da una statua della

dea Roma che emerge da uno sfondo dorato, e due rilievi marmorei laterali

convergenti verso di esso, raffiguranti i cortei del Lavoro e dell'Amor di Patria.

Nel primo, a sinistra della statua, sono raffigurate una serie di allegorie

rappresentanti il mondo agrario (l’Allevamento, la Mietitura, la Vendemmia

e l’Irrigazione) e l’Industria: “dalla lunga trave, sorretta dall'homo faber,

pende la pesante incudine. Una mano femminile poggia sull'incudine una

corona di quercia, simbolo della forza. Il genio alato del Lavoro, poggiandosi

Monumentum

Altare della Patria

Struttura Altare

della Patria

80

sulla fatica umana, sta per salire vittorioso sul grande aratro trionfale”8. Nel

secondo, a destra, invece “tre figure femminili offrono a Roma corone

onorarie, seguite dai labari, le insegne delle legioni. Sulla biga trionfale

stanno il genio vittorioso dell'Amore di Patria e l'Eroe, appoggiato alla

grande spada dei Titani. Due donne tengono in mano il suo mantello. Anche

in questo ciclo troviamo il motivo della lunga trave, dalla quale pende il

braciere del fuoco sacro.”8

La statua è il fulcro del monumento ed è posta sotto un’edicola marmorea.

La dea indossa una tunica e le insegne imperiali, che sono la lancia, il globo,

ornato da un angelo che porta una corona d’alloro, e la “corona” simile ad

un elmo ed ornata da una serie di lupe. Roma, così personificata, presenta

un atteggiamento fiero, trionfale, “matronale e fedele alla tradizione” come

descritto sul Giornale d’Italia del 27 febbraio 1925. Tutti gli elementi

presentano un rimando all’età classica, in particolare al principato augusteo

e alla successiva età imperiale.

In particolare, il motivo della dea Roma è presente anche in un pannello

dell’Ara pacis. Anche in questo caso, Roma è vestita con una tunica ed

indossa l’elmo, al posto della lancia tiene un bastone ed è seduta su una

catasta d’armi a simboleggiare come la pace è stata ottenuta dal princeps

Augusto solo attraverso la guerra. Entrambi i pannelli, quello dell'Altare e

quello dell'Ara pacis, richiamano la tradizione nella figura della lupa. Nell’ara

pacis, essa è raffigurata nel pannello dedicato al lupercale, che

indica le origini “divine” della gens Iulia, a cui appartiene Augusto.

Nella statua della dea Roma dell'Altare della patria, invece, la lupa

richiama il glorioso passato della città, a cui la contemporaneità

aspira, come indicato da un’espressione dello stesso articolo di

prima: “La Metropoli ritorna alla mirabilia alle quali l’aveva abituata

l’Impero”

Osservando il corteo, si riconoscono anche altri elementi dell’ara

pacis, presenti in particolare nel pannello della dea Tellus. Le

allegorie del mondo agrario, infatti, presentano separatamente le

caratteristiche riassunte dalla dea. Infatti in entrambe le opere si

possono ritrovare elementi riguardanti la fertilità e la vita agreste,

simboleggiate dai pueri che giocano in braccio alla donna, dai buoi

che pascolano e dall’acqua simboleggiata da un vaso. Inoltre

entrambe le rappresentazioni sono collocate in uno spazio

simbolico, che nell’Altare della Patria è delimitato dal terreno dove

poggiano le figure, mentre nell’ara pacis sono raffigurate delle

piante. Nella scenografia dell'Altare della patria è presente un

elemento, l'incudine, che rimanda al settore dell’industria ed

81

affermare così il fatto che anche l'Italia ormai è una potenza industriale. Essa

è sostenuta da grandi catene ed un lungo palo sostenuto a spalla da uomini,

dei quali sono messi in evidenza i muscoli, e quindi la forza e l’atleticità.

Nonostante questo, prevale l'esaltazione dell’elemento agreste: il genio

alato del Lavoro, con in mano lo stesso globo della dea Roma, sale su un

“aratro trionfale”.

Il secondo bassorilievo presenta un’immagine di compostezza

e maestosità. Tutte le figure sono serie e contenute, anche gli

uomini che reggono i cavalli imbizzarriti, unici personaggi non

statici, posti simmetricamente ai buoi che tirano l’aratro

trionfale del genio del Lavoro. I cavalli traggono l’Eroe e l’Amor

di Patria, simmetrici rispetto al genio alato del Lavoro. Il genio

è dotato dello stesso globo della dea Roma e tiene l’Eroe per il

braccio con cui quest’ultimo sta tenendo la spada, quindi

l’azione dell’Eroe è subordinata all’Amor di Patria.

Simmetricamente rispetto all’altro bassorilievo è posta anche la

lunga trave, che stavolta regge attraverso delle corde un

braciere sostenuto dalle sfingi. Tutti gli elementi di questa scena

rimandano al contesto classico, dalle corone di alloro ai labari,

dalla biga al braciere contenente il fuoco sacro, riferimento a

quello delle vestali.

Quindi i valori del “popolo italiano” sono il lavoro, sostenuto dalla fatica,

l’amore della patria, su cui poggiano gli atti di eroismo. Questi valori sono

tramandati, sono la tradizione, come viene sottolineato dai riferimenti al

contesto classico, che convergono verso la grande dea Roma, rappresentante

la patria vittoriosa.

Collocato in questo contesto, il Milite ignoto diventa sia oggetto che soggetto

del monumento. Oggetto perché la scena è dominata dalla dea Roma

soprastante ad esso e tutte le figure rappresentate danno un’idea di trionfo

ed eroismo mentre la morte non è nemmeno presa in considerazione,

soggetto del monumento, dato che tutti i valori raffigurati nei bassorilievi

diventano suoi attributi. In questo modo, il Milite ignoto si ricollega

idealmente ai soldati a cui Cicerone dedica la quattordicesima Philippica: un

modello di eroismo per i vivi, che lo ripagano del suo sacrificio con il

monumento, che gli garantirà la gloria eterna.

Giunti a questo punto, possiamo affermare che il Milite Ignoto diventa il

Simbolo delle virtù etico - civili, disposto a sacrificare la vita per affermarle.

Queste parole ci fanno riflettere e ci chiediamo se noi oggi crediamo in

qualcosa di simile, in valori che possano avvicinarsi al significato di quelle

virtù. Stiamo ancora cercando la risposta, forse quelle virtù sono “le

82

competenze di cittadinanza”, riviste e corrette, di cui ci parlano gli insegnanti

e che tuttavia sentiamo distanti dall'idealità ed eticità del Milite ignoto.

Dopo la prima guerra mondiale tutti gli stati coinvolti nella guerra si trovano

di fronte a una immensità di problemi, politici, economici sociali, ma tra

questi uno spicca: “l’immensità di morti” come spiega Winter, a cui consegue

“la necessità di commemorarli in qualche modo, dare un luogo in cui i loro

famigliari”, che non avrebbero più potuto riabbracciare, “possano piangerli e

commemorarli.” L’Altare della Patria diventa questo luogo della memoria.

L'Altare della Patria non è l'unico luogo della memoria collettiva. In tutti i

paesi, che avevano preso parte al conflitto, le famiglie direttamente coinvolte

sentono la necessità di ricordare. Tanto importante e forte fu questo

depositarsi della memoria che esso dura ancora oggi, a quasi un secolo dalla

fine di quella tragica “epopea”, come testimoniato dalle feste nazionali, le

annuali commemorazioni svolte nei diversi cimiteri di guerra.

L’Italia, come anche gli altri stati, aveva bisogno di luoghi - simbolo da

frequentare, proprio per continuare a ricordare tutti coloro che avevano

perso la vita per la patria. Dapprima divennero luoghi del ricordo i posti

costati decine di migliaia di morti, il monte Calvario, il San Michele, poi si

progettarono ed edificarono monumenti e sacrari, come Medea e

Redipuglia.

È chiaro come la necessità individuale di ricordare i caduti si leghi al bisogno

degli stati di riacquistare il consenso dei propri cittadini: “Commemorare era

un gesto politico (…) non poteva essere un atto neutrale, e i monumenti ai

caduti si fecero portatori di messaggi politici sin dai primi giorni di guerra.”

Paul Fussell 9

E ancora, a questo proposito, George L. Mosse10 “La necessità di costruire

dei cimiteri di guerra in cui far riposare i soldati caduti si presentò già dal

primo anno di guerra come una necessità, entro il 1915 vennero approvate

leggi per la creazione di cimiteri di guerra e la raccolta dei caduti nel campi

di battaglia.”

Il culto dei morti in guerra si collegò all’auto rappresentazione della nazione.

Per proiettare la sua immagine, il nazionalismo utilizzò temi classi e cristiani.

È attraverso l’uso strumentale dei caduti che si rafforza il consenso intorno

alle necessità della guerra e alla sopportazione delle sofferenze ad esso

annesse.

I defunti diventano dei martiri, sono lo spirito della redenzione nazionale, a

loro si rivolge la stessa nazione per risolvere i problemi, per salvaguardare il

loro sacrificio e i valori riscoperti attraverso la guerra. I caduti assolvono ad

83

una duplice funzione: da una parte essere il cittadino esemplare, dall’altra

rappresentare i nuovi valori nati con la guerra.

Da questo duplice significato loro attribuito, si comprende la tipizzazione

della loro rappresentazione. I soldati sono figure virili, tranquille, equilibrate,

composte per rasserenare chi era stato colpito dal lutto e allo stesso tempo

creare nell'immaginario collettivo l’ideale di un cittadino valoroso. Questo

richiamo alle virtù etico - militari, che si traducono in un corpo idealmente

virile, come già visto nella statuaria romana (Augusto Loricato), e presente in

tutta la commemorazione di guerra e spesso avviene attraverso la citazione

di alcuni elementi significativi sul piano simbolico, quali la spada, come

affermato da Eric J. Leed11:“Attraverso questa figura e l’implicita associazione

mentale a dei guerrieri nell’atto di combattere si esplicano tutte quelle che

sono le caratteristiche principali di un soldato: valore, eroismo, onore,

sacrificio, forza, e coraggio. Queste sono anche i canoni a cui tutte le potenze

europee si ispirano per la rigenerazione dei propri cittadini.”

Concetti come redenzione, sacrificio, morte sono presenti nell’immaginario

collettivo dei combattenti. E nei monumenti commemorativi ai soldati

venivano utilizzate sculture, motivi mitologici e divinità classiche, come la

dea pietà o la vittoria alata, per evidenziare la relazione tra il soldato e la

tradizione, il glorioso passato.

Le forme maggiormente utilizzate per la commemorazione sono croci di

guerra, palme, piccolo statue, talvolta immagini del soldato, iscrizioni sulle

tombe dei soldati morti. Le iscrizioni piu ricorrenti sono: enfants, they

answered the call, morts, heros, caduti per la patria, guerre, Fallen Heroes,

1914 - 1918, devoir, sacrifice, martyrs, memoire.

In tutti i paesi e assai spesso la retorica della “High Diction” – con

l’onnipresente dulce et decorum est patria mori di Orazio a dettare la scelta

delle parole.”6

I monumenti dovevano essere tutti diversi poiché, come afferma Eric J. Leed

la costruzione di forme uguali era vista come una profanazione e una

violazione del rispetto dovuto ai caduti. L’unicità di quella persona non

poteva essere rappresentata attraverso un oggetto comune e standardizzato,

il culto dei caduti non si poteva esprimere semplicemente scegliendo una

statua o un ornamento all’interno di uno dei numerosi cataloghi delle

imprese funebri. Solo la mano di uno scalpellino, di un marmista o di un

artigiano era in grado di creare quell’unicità necessaria per rendere onore

alla sua memoria.

Particolarmente usati sono le decorazioni con temi medievali (come accade

nel monumento al milite ignoto a Monaco), e la riscoperta della sua

Forme della

commemorazione

84

mitologia come le figure di San Giorgio, indistintamente usata da tedeschi o

inglesi, in cui spesso il drago era trasfigurato in immagine nemica. Nei

bassorilievi dei monumenti venivano riprese immagini classiche soprattutto

per riprendere ideali di virilità, tranquillità e forza. Talvolta riprendevano

immagini greche, talvolta scavavano nella storia antica del paese, come in

Germania, con l’uso della figura dell’eroe Arminio.

“Anche sui monumenti conformi alla tradizione classica, il più delle volte i

soldati erano vestiti di tutto punto; ma talvolta erano invece la copia diretta

di modelli greci: guerrieri nudi in cui s’incarnava una tipologia senza

tempo”.10

In conclusione, tutti i governi degli stati che avevano partecipato al conflitto

mondiale, vincitori e vinti, risposero all’esigenza di ricordare l’evento della

guerra, consacrando ai posteri la memoria dei caduti e creando un’aura di

sacralità attorno ai luoghi delle battaglie.

Di particolare effetto fu, come analizzato, il rito della sepoltura del milite

ignoto, occasione e luogo, il monumento, che riunì ideologie e partiti diversi,

posto in un contesto storico significativo: in Italia, ad esempio, l’Altare della

Patria fu inserito all’interno del Vittoriano al fine di richiamare e rievocare il

percorso risorgimentale (una delle mancanze del ventennio precedente e ora

una delle cause di critica all’establishment politico), che effettivamente

aveva visto la conclusione con le annessioni territoriali fatte proprio con

l’armistizio della grande guerra.

Possiamo quindi concludere affermando che la commemorazione permise di

riunire il paese sotto la comune bandiera nazionale. I simboli usati nella

decorazione dei monumenti, la struttura utilizzata nella costruzione dei

cimiteri militari e la ritualistica nel ricordare i caduti rappresentavano

elementi fondamentali per formare una “religione civile” in tutti gli stati

europei, anche se essa si presentava in forme singolari in ogni nazione.

Fu la figura del Milite ignoto a conciliare tutti. L’Ignoto, senza riguardo al

grado militare, alla religione o all’appartenenza politica, riesci a pacificare e

unire ogni strato sociale. In questa comune concordia la nazione ritrovava la

sua identità attorno alle parole - chiave del consenso, pace, riconciliazione,

passato nobile e glorioso, eredi, virtù, gloria, morte eroica.

Conclusione

85

Documenti

1. E. J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra

mondiale, 1979

2. E. De Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di

Maria, 1958

3. G. Dato, Redipuglia: il sacrario e la memoria della Grande guerra 1938 - 1993, 2015

4. G. L. Mosse, Le guerre Mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti 2005

5. http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2015/04/11/news/dietro-il-milite-ignoto-la-storia-

tutta-giuliana-di-antonio-bergamas-1.11215222

6. http://www.difesa.it/Il_Ministro/Uffici_diretta_collaborazione/Ufficio_Cerimoniale/Vittoria

no/Pagine/default.aspx

7. http://www.quirinale.it/qrnw/simboli/vittoriano/vittoriano.html

8. J. Winter, Il lutto e la memoria, La grande guerra nella storia culturale europea, 1998

9. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, Aquileia, Redipuglia, Altare della patria, i luoghi

della memoria e dell’identità italiana, 2011

10. L. Cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria, 2001

11. P. Fussell, La grande Guerra e la memoria moderna, 1984

86

Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro

Aemulatio: noi e gli antichi

Al termine della Grande Guerra (1914 – 1918), la maggior parte degli stati,

che vi hanno preso parte, organizzano, chi prima chi dopo, una serie di

commemorazioni, culminanti nel culto del Milite Ignoto. Le forme di

commemorazioni erano fondamentali: all’inizio i familiari partecipavano

nella speranza di avere notizie dei propri cari. Madri, padri, mogli, figli “ogni

giorno, ogni ora… sondano l’ignoto”, come afferma J. Winter, attendono di

ricevere qualche informazione da parte delle autorità, con la speranza di

recuperare il corpo del proprio caro per poter dargli degna sepoltura.

A questo proposito, gli stati si fecero carico di costruire dei monumenti allo

scopo di creare luoghi di commemorazione utili alla comunità. In realtà

l’esigenza individuale, riguardante la sfera affettiva del ricordo dei caduti in

guerra, diventò un’esigenza politica degli stati, ovvero ottenere il consenso

dei cittadini, stanchi, delusi, distrutti nei loro affetti come nei loro ideali.

Divenne anche un modo per riunire il paese attorno ad un comune sentire,

dal momento che ogni famiglia direttamente o indirettamente aveva dato il

suo contributo, in termini di vite umane e sacrifici, alla causa della guerra. Al

termine della prima guerra mondiale, quindi, in tutte le nazioni vincitrici o

sconfitte, si procedette all’opera di ricerca delle salme dei caduti e alla loro

dignitosa tumulazione. Dunque, i riti commemorativi, culminanti con il culto

del Milite Ignoto, in questo contesto hanno la funzione collettiva di riportare,

dopo il caos, la pax, l'ordine, l'equilibrio. Nell’enorme numero di monumenti

costruiti dopo la guerra, il Milite Ignoto è la forma di commemorazione ai

caduti più rappresentativa. In particolare, in Italia, l’ufficiale dell’esercito

Giulio Douhet, ebbe l’idea di onorare i sacrifici e gli eroismi della collettività

nazionale nella salma di un soldato sconosciuto da collocare in un

monumento. Nell’agosto del 1915, la proposta di legge relativa alla

costruzione di un monumento unificante venne presentata al Parlamento.

L’11 agosto il provvedimento venne promulgato diventando quindi operante.

Il monumento del milite ignoto fu chiamato “Altare della Patria” e situato

all’interno del Vittoriano, costruito vent’anni prima per celebrare Vittorio

Emanuele II e l’unità d’Italia. In questo modo si creava un legame ideale tra

il processo di unificazione dell’Italia e il sacrificio compiuto dagli italiani

durante la prima guerra mondiale, rappresentato dal Milite ignoto.

A questo culto sono state attribuite interpretazioni diverse: un modo per

esorcizzare la disumanità della guerra da parte della collettività, un modo per

risarcire la collettività dei sacrifici e dei lutti da parte delle classi dirigenti,

sublimazione eroica di una guerra, attraverso la sua ritualizzazione e il

Introduzione

Memoria

monumento

Miles ig - notus

87

riconoscimento pubblico del suo valore. Noi pensiamo che per tutte queste

ragioni il Milite ignoto diventa il simbolo del sacrificio di tutti i soldati che

avevano perso la vita durante la guerra.

Ora ci soffermeremo sull’etimologia dei termini “milite” ed “ignoto”, per

recuperare significati da noi perduti al fine di comprendere meglio il tema

oggetto del nostro lavoro. Entrambe le parole sono di derivazione latina,

rispettivamente miles ed ig - notus. Con il termine gnotus, forma antica di

notus, i Romani erano soliti indicare qualcosa di conosciuto, il prefisso in ne

cambia il significato nel suo opposto. Quindi il Milite ignoto, letteralmente, è

un soldato che nessuno conosce. Con il termine miles, invece, i Romani erano

soliti indicare la categoria più numerosa dell'esercito, il legionario. I legionari

erano soldati semplici che nelle campagne militari viaggiavano a piedi. Gli

eserciti moderni sono formati da milites di mestiere e non più da mercenari,

così si comincia ad indicare i membri dell'esercito con la parola "soldati". Di

conseguenza la parola miles perde il suo significato originale e diventa il

termine con il quale veniva indicata una categoria di soldati più nobile

rispetto al semplice legionario. È possibile che derivi proprio da qui l'idea di

chiamare milite e non soldato il Milite ignoto. Il termine “milite”, inoltre, di

chiara derivazione latina, evoca l'antico, e quindi autorevolezza, sacralità. Il

motivo è presto detto, un soldato che muore, sacrificandosi per la patria, non

poteva essere ricordato e connotato come un soldato semplice, perché, in

maniera simile a quello che avevano fatto i Romani con i miti di fondazione,

la sua figura doveva avere la funzione di nobilitare tutti coloro che avevano

dato la vita per la Patria. Considerando le trasformazioni semantiche della

parola miles, abbiamo compreso che la cultura contemporanea, nei suoi

diversi linguaggi, è intessuta di riferimenti a quella classica, riferimenti di cui

però abbiamo perduto il significato. La parola “antica” pur evocando in noi

stupore, distacco, rispetto, rimane un significante vuoto. La ricerca

etimologica ha significato invece dover ricostruire contesti e co - testi. In

questo modo, diventava chiaro che la “classe dirigente”, chiamando il Milite

ignoto "milite" e non "soldato", voleva elevare, nobilitare con un termine

percepito nell'immaginario come aulico, in quanto antico, questa figura. Lo

studio del termine invece permetterebbe di comprendere che con questa

parola i Romani chiamavano i soldati semplici e che solo in tempi recenti il

termine viene usato per designare i soldati più nobili. Quindi da questa

considerazione possiamo ricavare la nostra tesi, ovvero che la civiltà

contemporanea, convinta di recuperare i valori classici attraverso i termini

latini, non fa altro che proporre “gusci” vuoti. Il culto del Milite ignoto

avrebbe permesso alla classe politica di “manipolare”, già a partire dal

significante, coloro che avevano subito dolorosi lutti dalla guerra per

costruire, anche attorno al richiamo di un eroico e comune passato, l'unità

88

del Paese. A questo punto, riteniamo di aver raccolto sufficienti elementi per

analizzare il testo Milite ignoto nel suo contesto, utilizzando i criteri che

abbiamo ricavato dallo studio di alcuni aspetti della civiltà greco - romana.

Dopo la fine della Grande Guerra tutto ciò che era rimasto nelle città e nei

Paesi, colpiti dalla guerra, era desolazione e distruzione, sul piano fisico,

mentre disperazione e dolore capeggiavano sul piano emotivo. Le madri

aspettavano il più delle volte invano i propri figli, altre dovevano sopportare

il supplizio di vederli morire sotto i loro occhi, dopo essere tornati dal fronte;

mentre coloro che, come gli anziani o le madri di famiglia, erano riusciti a

scampare alla guerra diretta sul fronte, dovevano fare i conti con le sue

conseguenze psicologiche, economiche, e altro.

Mentre migliaia di uomini subivano quest’esperienza traumatica, le donne

supplivano alla loro assenza lavorando, gestendo la famiglia, tenendo i

rapporti con l’esterno.

Tra le tante possibili immagini femminili, quella rassicurante della madre ha

assunto un ruolo importante nella propaganda bellica. La rispettabilità

garantita alle donne, impegnate nell’assistenza, era anche frutto del ruolo di

“madri di tutti”, per usare l'espressione assegnato loro da Gibelli. Ma

l’immagine della madre non mancava di essere sfruttata dalla propaganda

stessa. Indicativi sono a questo proposito i giornali di trincea, che videro una

grande fioritura dopo la rotta di Caporetto. In queste pubblicazioni la

rassicurante autorità materna e familiare, veniva a volte “usata” per

spronare i soldati a compiere il proprio dovere. Nel dopoguerra, vennero

consegnati degli omaggi e dei riconoscimenti al ruolo svolto dalle madri dei

caduti durante il conflitto. Nel 1926 si costruì nella chiesa di

Santa Croce a Firenze un monumento alla madre italiana, che la

rappresentava attraverso la figura della Pietà. La cerimonia

pubblica del Milite ignoto in Italia fu caratterizzata dalla

presenza centrale della madre di un soldato di Gradisca, Maria

Bergamas. Il suo ruolo veniva esaltato negli opuscoli

commemorativi, un genere di celebrazione del lutto sia

pubblico che privato.

Dopo la guerra, si diffuse in Italia la pratica di pubblicare opuscoli in memoria

di un soldato caduto. Il successo e l'affermarsi di questa pratica sono dovuti

a diversi fattori: il primo è la diffusione su larga scala della morte provocata

dal conflitto in un momento nel quale i progressi in molti campi ne aveva

allontanato lo spettro dalla vita quotidiana; il secondo è l’orrore della morte

in guerra, che riguarda per lo più i giovani soldati; infine la necessità di

elaborare il lutto privato al di fuori delle commemorazioni pubbliche dei

Il ruolo della donna

simbolo di pietas

Memoria

divulgazione

89

caduti. Gli opuscoli raccolgono prevalentemente lettere, testi poetici o diari

dell’estinto, discorsi e scritti commemorativi di parenti e amici, messaggi di

condoglianze inviati ai parenti del defunto oppure articoli di giornale che ne

segnalano la morte: tutto ciò, insomma, che potesse ricordare il caduto e il

suo sacrificio per la patria. Questa messe di scritti della più diversa natura è,

inoltre, spesso accompagnata da una biografia del defunto che, in alcuni casi,

fa da filo conduttore dei diversi testi.

Gli opuscoli dedicati a defunti ignoti al grande pubblico sono per lo più curati

dalla famiglia oppure da amici, a cui il soldato era legato. La famiglia è, infatti,

il perno di questi opuscoli: se commemorano e glorificano il caduto e il suo

sacrificio per la patria, essi hanno anche il compito di celebrare il nucleo

familiare. Infatti, il fatto di aver creato e poi donato un figlio per salvare la

patria, era considerato un punto di merito per la famiglia, che veniva risarcita

della perdita attraverso un pubblico riconoscimento.

Un esempio di discorso commemorativo di un sacerdote rivolto ai genitori di

un caduto, tratto dall’anniversario dell’eroica morte di Modestino Acone, è

il seguente:

“O genitori, voi, straziati nel più puro affetto ma calmi perché alla Patria

avete offerte le vostre lacrime e i vostri singulti, voi passerete abbrunati

innanzi a noi, in mezzo a noi, e noi abbiamo il dovere d’inchinarci. Voi, o

genitori, rappresentate l’olocausto dell’affetto egoista al grande ideale, allo

sconfinato sacrifizio umano per il progresso, la libertà e la redenzione”

Ma il ruolo più importante in tutte le forme commemorative era quello della

madre, la prima persona ad essere consolata per la perdita, per l’amore che

la legava al figlio e nella maggior parte dei discorsi commemorativi è

l’interlocutrice privilegiata delle lettere del defunto. Infatti, è soprattutto

l’amore del soldato per la madre ad essere celebrato e glorificato. La maggior

parte degli opuscoli è, dunque, la rappresentazione della relazione che lega

la madre al proprio figlio, raccontata direttamente attraverso le lettere del

figlio stesso o indirettamente attraverso i discorsi dei familiari e degli amici.

Dopo questa parentesi sul ruolo femminile, riprendiamo il discorso iniziato

precedentemente riguardante la ricerca delle modalità con cui il potere

politico ha utilizzato il culto del Milite ignoto per riappacificare e rifondare la

civitas, devastata dalla guerra, al fine di ricostruire un senso di unità e

appartenenza. In questa operazione ideologica, abbiamo riconosciuto alcune

affinità con il programma politico attuato da Ottaviano Augusto, finalizzato

alla restaurazione, apparente, della res publica, in realtà all'istituzione del

principato. E questo attraverso un'attenta costruzione del consenso,

Gli opuscoli

commemorativi

90

diffondendo le parole d'ordine del mos maiorum, tra le quali spiccava, dopo

un secolo di guerre civili, la parola Pax.

La guerra ha avuto delle ripercussioni gravissime su tutti i fronti: a morte e

dolore si aggiungeva la fame da parte di una grande porzione di popolo, che

a causa di case distrutte, cittadine razziate e campi distrutti non aveva più

alcuna fonte di sostentamento. A questo punto i governi, i principali

sostenitori della guerra, avevano bisogno di trovare un “capro espiatorio” sul

quale riversare il dolore della gente, cancellando così l’odio che si era creato

nei loro confronti e le decisioni sbagliate che avevano portato a tutto ciò.

Proprio a questo doveva servire il culto del Milite ignoto. Chiaramente non è

possibile cancellare l’esito e tutte le varie conseguenze provocati della guerra

ma è stato possibile, “colpendo” la gente emotivamente, alleviare la

diffidenza che si era o che si sarebbe creata nei confronti dei “potenti”, di

coloro che avevano assistito alla guerra dalle loro poltrone. Per colpire

emotivamente le persone, però, serviva un luogo dove, come scrive Patrizia

Violi in “Paesaggi della memoria”, si materializzasse il trauma, ovvero

occorreva un luogo dove la gente potesse ricordare la Grande Guerra ed

esprimere il proprio dolore privato focalizzando il lutto su un singolo corpo.

Notevoli sono le affinità tra questa operazione culturale e i messaggi presenti

nel testo di Cicerone, Philippica XIV, in particolare il motivo del trasferimento

del lutto dalla sfera privata a quella pubblica tramite la costruzione di un

monumento, simbolo della ri - costruzione del senso di unità del Paese.

A questo proposito, Patrizia Violi, nel suo libro “Paesaggi della memoria”,

riporta una frase del sociologo inglese Jeffrey Alexander che dice "il trauma

non è qualcosa che esiste in modo naturale, è qualcosa di costruito dalla

società". Il Milite ignoto è una costruzione sociale, e Patrizia Violi aggiunge

“lo Stato è il destinante della memoria pubblica che ne decide i contenuti”.

Infatti, in questo caso, lo Stato ha deciso di sfruttare l’ignoranza e l’innocenza

della gente, la quale dopo ciò che aveva passato e per rispetto dei caduti,

non avrebbe avuto la forza di ribellarsi o di rifiutare le commemorazioni

proposte, alla rassegnazione subentrò la fiducia che veramente la Grande

Guerra avesse segnato una svolta orientata solo ed esclusivamente ad un

futuro migliore. In altre parole la cittadinanza, nel Milite ignoto, aveva modo

di ricordare, rivivere l’atroce passato che aveva dovuto sopportare e, grazie

a questo processo di elaborazione del lutto, poteva sperare e costruire un

futuro nuovo, migliore dove la guerra sarebbe stato solo un brutto ricordo.

Così, indirettamente, si formò quel senso di unità e di attaccamento alla

patria che lo Stato voleva realizzare con l'offerta di questo culto: “Nel caso

del milite ignoto, il trauma è il mezzo per riunire attorno ad un luogo comune

la popolazione e dirottare l'attenzione dei cittadini dalla guerra alla patria,

Culto come

strumento di

risarcimento

Creazione senso di

Unità Nazionale

91

infatti l'esito della Grande Guerra deve essere un punto di ri - partenza”. P.

Violi, cit.

Anche dalla lettura del testo di F. Todero, “Il culto del soldato

caduto della Venezia - Giulia”, è possibile comprendere che il

culto del Milite ignoto altro non era che un manifesto di

propaganda politica. Per meglio spiegare, la politica si basa sulle

promesse fatte dai politici alla comunità, che in cambio del suo

voto di sostegno chiede il mantenimento di tali promesse.

Ebbene il Milite ignoto per l’Italia del dopo guerra era proprio questo, una

promessa di un’Italia unita, in pace, per il semplice motivo che, afferma lo

storico F. Todero, molti credevano che la Grande Guerra fosse stata la quarta

guerra del Risorgimento, la decisiva, quella che avrebbe finalmente

riconosciuto l’Italia come nazione libera, unita ed indipendente.

Tecnicamente è sbagliato definire tale la Prima Guerra Mondiale, però il

senso di patriottismo evocato dall'immaginario risorgimentale, aveva spinto

le persone a considerare questa guerra come la promessa mantenuta dallo

Stato.

Come già affermato in precedenza, questo culto aveva soprattutto finalità

politiche; avrebbe dovuto infatti comunicare e convincere gli italiani che la

Grande Guerra era l'ultima fase dell’unificazione d'Italia, raccogliendosi

attorno alla commemorazione di un eroe morto per la Patria. Al termine della

guerra, il problema, di fronte al quale si sono trovati i governanti italiani, era

quello di trovare un veicolo in grado di rimediare alle guerre ed allo stesso

tempo di dare un segnale tangibile alla popolazione di vicinanza nei loro

confronti. Come più volte ribadito, questo segnale è il Milite ignoto, però il

problema vero era quello di proporlo ai cittadini.

La questione principale era la scelta della salma, il corpo del

Milite ignoto italiano doveva essere quello di Antonio

Bergamas, il quale non tornò mai dal fronte e venne dato per

disperso. Antonio Bergamas era un soldato semplice come molti

altri, ma la sua unicità stava nel fatto che fosse un disertore:

disertò la chiamata dell’esercito austriaco per accettare di arruolarsi in

quello italiano, in quanto cittadino di Gradisca d’Isonzo. É questo il motivo

per il quale proprio lui, tra tanti altri, sia stato scelto per “dare il nome ed il

corpo” al Milite ignoto, diventando così il simbolo della Patria italiana.

Si spiega in questo modo il successo da parte dello Stato nella sua azione

propagandistica, la scelta oculata del milite ignoto Antonio Bergamas, colui

che ha deciso di difendere la Patria italiana, rifiutando quella austriaca. In

questo modo, i governanti hanno ottenuto il consenso popolare.

La risposta del

popolo

92

Si è deciso di tenere nascosta l’identità del corpo, nonostante la salma

riesumata dai principali campi di battaglia italiani e destinata alla sepoltura

al Vittoriano avesse un nome. In questo modo, quel corpo diventa simbolo

di tutte le vittime che morirono eroicamente per la propria nazione.

L’anonimato del milite è strumentale per la costruzione di un simbolo,

rappresentante l’intero popolo. È un modo per coinvolgere tutta la nazione

e per evocare la grandezza del sacrificio collettivo. L’anonimato della salma

consentì dunque una maggior vicinanza tra i cittadini e il rito, perché

riguardava tutti: la bara poteva contenere il proprio marito, figlio o padre;

tutto il popolo era coinvolto, senza distinzioni di professione, provenienza o

reddito, perché la morte annulla qualsiasi distinzione sociale. La morte rende

uguali, livella i cittadini e diventa il mezzo ideologico per pensare la storia

collettiva della guerra. Il rito collettivo attorno alla salma del Soldato Ignoto

sanava il trauma sociale dovuto alla morte di massa, che aveva causato un

enorme numero di morti non identificati: l’obiettivo era quello di trasferire il

lutto dalla sfera privata a quella pubblica. Il dolore diventava così pretesto

per realizzare l’unità nazionale, l’elemento che accomunava tutti cittadini. È

a partire da ciò che, ieri come oggi, nascono memorie collettive che creano

l’identità del popolo.

Il lutto è un modo per ricostruire sia l’unità nazionale, sia internazionale. Tutti

gli stati europei coinvolti uscirono dal conflitto mondiale distrutti, e fu

proprio dal trauma della guerra che si ritrovavano accumunati. Nacque la

necessità in tutti i paesi, che parteciparono alla prima guerra mondiale,

dall’Europa agli Stati Uniti, di rendere onore ai milioni di caduti; la

dimensione della morte di massa, che caratterizzò il primo conflitto

mondiale, rappresentò un gigantesco fatto sociale e un trauma difficile da

esprimere con tradizionali riti funebri. Così in quasi ogni paese, alla fine del

conflitto, seguì una grande cerimonia di commemorazione, accompagnata

dalla realizzazione di memoriali e monumenti destinati alla sepoltura dei

corpi, come l’Altare della patria o il sacrario di Redipuglia in Italia, l’arco del

Trionfo a Parigi o il cimitero nazionale di Arlington a Washington. Questi

segni/luoghi materiali diventano custodi nel tempo delle migliaia di vittime

della guerra, impedendo la loro caduta nell’oblio della morte. Come per i

sepolcri, di cui si è parlato nel percorso sul codice classico, il monumento

serve ai vivi a mantenere in vita il ricordo, grazie alla “corrispondenza

d’amorosi sensi” di cui parla U. Foscolo. Garantita dalla realizzazione di

memoriali o da riti celebrativi, la sopravvivenza della memoria determina la

continuità tra le generazioni.

Questo continuum tra antichità e contemporaneità emerge anche dalla

struttura e dalle decorazioni dei numerosi monumenti commemorativi. A

Un eroe senza

nome

Dolore pretesto per

unità nazionale ed

internazionale

Continuum

passato presente

93

questo proposito, riteniamo significativo il monumento dell’Ara patriae,

dove il 4 novembre del 1921 il milite ignoto fu tumulato. L’altare è sovrastato

da una grande statua della dea Roma, che emerge da uno sfondo dorato. La

realizzazione di statue di divinità o di bassorilievi, raffigurati dei o ninfe con

cui decorare il sepolcro del defunto, era tipico dell’età classica. I Romani in

particolare, a partire dal II secolo a.C., ornavano le tombe dei defunti con

immagini sacre, in quanto la presenza delle divinità sullo sfondo aveva la

funzione di rassicurare i parenti del morto, ora protetto da questi custodi

immortali. La scelta di posizionare sopra la tomba del Milite ignoto la statua

della dea Roma non è casuale. Una delle tante leggende, sull'origine del

nome dell'Urbe, narra che l’equipaggio di Ulisse in cui si trovava Roma

assieme alle altre prigioniere di guerra, fu travolto da una tempesta che lo

scaraventò sulle coste del Lazio. Fu così che le schiave imprigionate,

capeggiate da Roma, decisero di dare fuoco alle navi, stanche della

peregrinazione. Ne conseguì che i compagni di Ulisse si stabilirono sul

Palatino, dove fondarono una città a cui diedero il nome dell’eroina che

aveva deciso le sorti di un popolo e dato origine ad una nuova

civiltà. La dea Roma era considerata quindi la divinità che

personificava lo stato, simbolo del popolo romano. Allo stesso

modo, il Milite ignoto, sepolto al Vittoriano, rappresenta tutti gli

uomini che presero parte alla prima Guerra Mondiale, perdendo la

vita per la Patria. E ancora, i bassorilievi laterali raffigurano scene di

pastorizia e di lavoro nei campi, parole d'ordine della propaganda

augustea e presenti nelle Georgiche di Virgilio. Sono presenti anche

iscrizioni in lingua latina: la scritta “ignoto militi” è riportata

sull’epigrafe della tomba del Milite Ignoto, accompagnata dalle

date espresse in numeri romani, relativi all'inizio e alla fine del

primo conflitto mondiale (XXIV MAGGIO MCMXV e IV NOVEMBRE

MCMXVIII). Ancora una volta, il passato diventa mezzo privilegiato

della propaganda, repertorio di valori assoluti con cui abbellire e

nobilitare il presente. La presenza di alcuni simboli della cultura

classica nella codificazione del Milite ignoto, permette di

comprendere questa operazione ideologica. Il Milite ignoto è un

exemplum del riuso del classico per nobilitare e nascondere la

tragicità della guerra. Questa rilettura del classico ha quindi la

funzione di giustificare e nobilitare un conflitto che causò enormi

perdite, strumento di cui la classe dirigente fascista si servì per

risarcire il popolo italiano delle innumerevoli perdite, dei lutti, delle

migliaia di morti.

In conclusione il progetto Erasmus+ ci ha permesso di comprendere diversi

aspetti del culto del Milite ignoto a noi prima sconosciuti, in quanto non ci

Milite ignoto

exemplum

Conclusione

94

eravamo mai interrogati sulla funzione delle varie celebrazioni dedicate al

ricordo dei caduti in guerra. Innanzi tutto, durante la prima fase del percorso

abbiamo capito che le origini di questi riti vanno ricercate nel passato,

pretesto e chiave di lettura per comprendere il nostro presente. Da questo

presupposto ci è stato possibile riflettere sulla costante che accomuna tutti i

riti commemorativi o funerari, indipendentemente da cultura o periodo

storico di appartenenza: si tratta del trasferimento del lutto dalla sfera

privata alla sfera pubblica, al fine di trasformare il conseguente dolore in un

elemento di unità significativo per la comunità. Il progetto è stato, poi, uno

spunto di riflessione anche sul significato di sacrificio per la patria, in quanto

attraverso lo studio e l’analisi di documenti di vario tipo abbiamo partecipato

al rito del Milite Ignoto in prima persona, seppur nel nostro piccolo. Inoltre,

è stata un’opportunità per aprire gli occhi sulla Grande Guerra, sul suo

significato, sul suo costo e sulle sue immediate conseguenze, delle quali il

Milite ignoto è la sintesi: egli non è solamente lo exemplum di sacrificio per

la patria, ma è soprattutto il mezzo per ricordare e mantenere viva la

memoria degli avvenimenti della Prima Guerra Mondiale, lasciando un segno

indelebile alle generazioni future affinché esse, forti degli insegnamenti del

passato, siano capaci di evitare di commettere gli stessi errori fatti dai loro

antenati.

Documenti

1. F. Todero, Il culto del soldato caduto della Venezia Giulia, 2005

2. G. Dato, Redipuglia: il Sacrario e la memoria della Grande guerra 1938 - 1993

3. J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995

4. L. Cadeddu, Alla ricerca del milite ignoto, 2011

5. P. Nicoloso, Le pietre della memoria. Monumenti sul confine orientale, 2015

6. P. Violi, Paesaggi della memoria, il trauma, lo spazio, la storia, 2014

7. P. Zanker, B. C. Ewald, Vivere con i miti, 2008

8. S. Bertelli, Religio regis e media aetas – Tratto da Gli occhi di Alessandro, 1990

9. V. Lebita, Il Milite ignoto - Dalle trincee all’altare della patria, 201

95

Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato

Il soldato - eroe

Durante la raccolta di informazioni, relativa alla morte eroica nel codice greco

- romano, sono emerse affinità tra l'eroe classico e il soldato - eroe proposto

dal governo italiano all'indomani della prima Guerra Mondiale.

Ora intendiamo riprendere questi dati, interpretarli alla luce delle nostre

conoscenze per approfondire alcune caratteristiche e funzioni del soldato -

eroe, evidenziandone analogie e differenze con l'archetipo dell'eroe classico.

La funzione di questo approfondimento tematico è quella di fornire la

cornice - contesto in cui inserire la vicenda del Milite ignoto e, allo stesso

tempo, di offrire la chiave di lettura per comprenderne alcuni aspetti

problematici. Noi crediamo infatti che il Milite ignoto sia stato uno di quei

soldati - massa, anonimi, mitizzati post mortem, per ragioni che

indagheremo, e che la sua morte non abbia nulla di eroico.

L’incubo non è nella morte ma nel morire cui ci condannano. È da questa

frase di Luca Coscioni che intendiamo iniziare l’analisi della categoria del

soldato - eroe italiano della Grande Guerra. Prima di fare questo,

consideriamo le modalità con cui il governo italiano esaltava e costruiva il

consenso attorno alla guerra, mobilitando grandi masse affinché

prendessero parte al conflitto. Le forme testuali maggiormente utilizzate per

questo scopo, data la loro immediatezza e capacità di raggiungere un

pubblico ampio ed eterogeneo, sono la vignettistica e i manifesti pubblicitari,

come Il fante di Mauzan, usato dal Credito Italiano per propagandare il

prestito di guerra nel 1917. Il soldato italiano, con il dito e lo sguardo puntati

verso lo spettatore, ha la capacità di catturarne l’attenzione, quasi di

raggiungerlo e afferrarlo. Inoltre, il carattere imperativo della didascalia “Tu

devi!” e il dilagare massiccio di quest’immagine – presente sui muri delle

case, nelle strade e nelle piazze – trasforma il messaggio in un’imposizione.

Di conseguenza, questo soldato così idealizzato, circondato da un’aura che

gli conferisce sacralità, è capace di mobilitare le masse e indurre un

contadino, per esempio, ad arruolarsi come volontario – nel caso non sia già

stato obbligato dal governo italiano – o a sottoscrivere il prestito, tanta era

la forza persuasiva di questi manifesti. D'altronde poco si sapeva delle reali

condizioni di chi combatteva al fronte, anche per l'azione della censura

esercitata sulle lettere inviate dal fronte. Questo controllo ne annullava la

funzione di documenti - narrazioni della vita in trincea. A questa,

aggiungiamo la reticenza dei soldati a raccontare gli orrori della guerra per

non far soffrire e preoccupare i famigliari, soprattutto le donne, confinate nei

recinti di casa e già abbastanza impegnate a dover sopperire alla mancanza

di braccia nei lavori agricoli. “Si dava sempre buone notizie, non era il caso di

Introduzione

Creazione del

consenso popolare

Lettere censurate e

visione della guerra

96

dare pensieri a casa. […] A loro non raccontavo mai il vero”, recita una lettera

contenuta in A. Gibelli, L’officina della guerra. Si diffonderà la visione

ufficiale di una guerra “bella”, combattuta da uomini coraggiosi guidati dalla

Patria, personificazione retorica della Grande Madre, che cura i propri figli, li

nutre, li ripara dal freddo e dai proiettili nemici. Questi figli, combattendo

per la madre - patria e per gli ideali di pace e libertà, nell'immaginario

collettivo diventano eroi. In realtà, questi uomini di eroico non hanno nulla,

sono mandati allo sbaraglio contro il “nemico invasore”, ignari del pericolo.

Il soldato reale deve essere l'anti - eroe, necessariamente senza qualità:

l’essere rozzo, passivo e ignorante rappresenta la sua miglior qualità. Solo

così è possibile plasmare e trasformare la sua personalità. Egli, diviene una

macchina capace di adattarsi alla trincea, all’assalto e al nuovo scenario nel

quale si trova. Nella realtà viene così sfatato il mito del soldato - eroe,

sostituito dal soldato - massa, capace di adattarsi a qualsiasi compito, di

obbedire, privo di capacità psico - fisiche superiori a quelle degli altri.

Egli è forgiato dalle logiche belliche e diventa parte infinitesima di un

meccanismo che prescinde da lui, facilmente sostituibile con un altro soldato

- massa. Inoltre, un qualsiasi soldato o volontario italiano quando arriva al

fronte entra in una dimensione a lui completamente estranea. Catapultato

in una trincea con in mano un fucile, inizia per il soldato un’altra vita che non

ha nulla a che fare con la precedente, fatta di terra, di raccolti, di aratri, di

mandrie, di greggi. Il soldato, arrivato al fronte, cessa di essere uomo e

diventa soldato, apre una nuova parentesi della sua vita che non è più la sua

vita.

Da quanto detto, si evincono le prime differenze con l’eroe classico. L'eroe

classico è un essere semi - divino, dotato di eccezionali capacità psico - fisiche

che spiccano su quelle degli altri, che lo rendono leader indiscusso di un

esercito in guerra. E nella guerra l’eroe realizza il suo essere. Egli, infatti,

lavora e si allena duramente per presentarsi nelle migliori condizioni psico -

fisiche in guerra e, di conseguenza, dinnanzi alla morte. Un volontario

dell’esercito o un qualunque soldato italiano, invece, non sarà mai pronto né

alla guerra, perché avrà vissuto la sua vita in un contesto ad essa totalmente

estraneo, né alla morte, vissuta come un’ombra in perenne ricerca di nuove

anime di cui nutrirsi, come testimoniano alcuni passi del diario di Roberto

Gandini e altre lettere:

“La morte è sempre lì, pronta a capitare”; “Tornato su poi trovai sul letto ove

dormivo alcune schegge che conserverò, una delle quali mi bucò la coperta

che mi copriva. Tutto passò bene, ma la morte così vicina non l’ho mai

avuta”; “Oggi che è una festa del Carnevale, che gli anni scorsi ho passato a

ballare, mi trovo qui vicino alla morte, che ad ogni momento mi passa vicino”.

Soldato - massa

Soldato - massa vs

eroe classico

97

Dalle parole di uno dei tanti soldato - eroe italiani emerge la paura. La paura

di un precoce sopraggiungere della morte. L’eroe - soldato non possiede le

virtù eroiche. Egli, a differenza dell'eroe classico, esprime paura, nostalgia,

attaccamento alla vita nelle sue più semplici forme, non campeggia per le

sue doti psico - fisiche sui mortali. L’unica azione coraggiosa che egli compie

è quella di eseguire gli ordini, scagliandosi alla cieca contro le trincee

nemiche per poi cadere sotto il fuoco incessante nello spazio compreso tra i

due schieramenti opposti, chiamato “terra di nessuno”.

Il soldato - massa sa che la sua azione non è guidata dagli Dei per volere del

Fato, il soldato - massa sa che la sua vita o la sua morte sono decise da un

generale che, talvolta, ha dato prova di pazzia nello spedire al macello

migliaia di uomini, per spostare, anche solo di qualche metro, il confine

italiano. Il General Luigi Cadorna, per esempio, per due anni continuò a

sferrare sanguinose “spallate” – offensive frontali ai danni delle linee

nemiche – che causarono migliaia di morti e lo scontento generale dei

militari, come attestato dalla canzone scritta per protesta: “Il General

Cadorna si mangia le bistecche e a noi dà castagne secche; ha perso

l’intelletto e fa ancor pipì nel letto; ‘l mangia ‘l beve ‘l dorma e il povero

soldato va in guerra e non ritorna”. Il soldato non ritorna, il soldato muore e

in questo non c'è nulla di eroico se non l'esecuzione di un ordine, pena la

fucilazione. Il suo eroismo, dunque, è una categoria post mortem: il soldato

- eroe muore per la patria e per dare ai posteri pace e stabilità. Questa

trasformazione del semplice soldato in eroe è un'operazione

propagandistica, realizzata utilizzando temi e motivi del codice classico, in

particolare del repertorio retorico - propagandistico augusteo: Dulce et

decorum est pro patria mori. L’eroe classico affronta la “bella morte” – la

migliore delle morti – perché così realizza il volere del Fato. Il soldato - massa

invece, muore per volere di qualche scellerato generale e viene abbandonato

nella “terra di nessuno”, il suo cadavere viene oltraggiato perché nessuno lo

degna di una qualche forma di sepoltura. Alcuni cadaveri diventano perfino

uno scudo contro i proiettili nemici come attestato da alcune lettere: “Ero in

un posto scoperto e, visti due cadaveri austriaci, li ho messi per riparo

davanti a me”; “Credevo di essere riparato da un sasso e invece erano due

morti austriaci” racconta Carlo Verano. Tra vivi e morti inoltre vige la

promiscuità. Con i morti si mangia, si dorme e si beve: “Sopra un morto ho

dormito”; “Il sottotenente morto dorme accanto a me, immobile e

indifferente ricorda Paolo Monelli. L'eroe Achille invece, morto Patroclo,

ordina che si fermi la guerra per dare degna sepoltura al cadavere dell'amico

per onorarne così il nome.

Virtù del

Soldato - massa

Morte del

Soldato - massa

98

Consapevoli delle differenze culturali tra le situazioni e della a - storicità del

paragone, riteniamo questa scena dell'Iliade paradigmatica del valore della

persona, del rispetto dovuto al corpo, quale segno di civiltà, contrastante con

la carneficina di corpi sopra descritta. La morte probabilmente

rappresentava per i soldati - massa la migliore via d’uscita dall’orrore della

guerra. Molti soldati infatti furono costretti a incredibili amputazioni o

storpiature che li resero pazzi o inadatti alle attività lavorative che erano soliti

svolgere. È il caso di alcuni soldati che, di ritorno sul vagone di un treno,

urlano e imprecano contro i soccorritori: “Si fecero così numerosi che tutta la

via ferrata e i campi risuonavano di grida, di lamenti, di maledizioni. Fasci di

membra umane si agitavano e si arrampicavano […] Gli uni stavano immobili,

gli altri urlavano e imprecavano contro di noi, che li salvavamo: imprecavano

con tanta violenza, che si sarebbe detto fossimo stati noi a creare quella notte

sanguinosa.” racconta L. Andreev ne Il riso rosso. In conclusione, lo studio di

alcuni aspetti della vita di trincea ci ha permesso di comprendere come non

ci fosse nulla di eroico nel soldato della Grande Guerra, nonostante i tentativi

di rendere plausibile tale analogia per creare consenso popolare a favore

della guerra, rivestendola di belle immagini, tratte da un passato mitizzato e,

forse, mai esistito.

Il vocabolario della guerra è fatto dai diplomatici, dai militari, dai potenti.

Dovrebbe essere corretto dai reduci, dalle vedove, dagli orfani, dai medici e

dai poeti. Si dice: è morto da eroe. Perché non si dice mai: ha subito una

splendida, eroica mutilazione? Si dice: è caduto per la patria. Perché non si

dice: si è fatto amputare entrambe le gambe per la patria? (L’etimologia dei

potenti!). A. Schnitzler, Pensieri sulla vita e sull’arte, 1914

I morti rimasti insepolti, durante e dopo il conflitto, furono centinaia di

migliaia e altrettanti erano quelli che venivano sepolti ma non erano stati

riconosciuti e quindi non avevano un nome. Molte famiglie di conseguenza

non avevano il corpo del loro parente su cui poter piangere, una necessità

insita nell’uomo. Quindi vista l’impossibilità di poter dare sepoltura a tutti i

caduti, è stato simbolicamente e casualmente scelto un corpo, simbolo di

tutti i morti, sul quale chiunque poteva piangere la scomparsa dei suoi cari.

Da aggiungere a questa prima motivazione, il bisogno di commemorare il

sacrificio dei combattenti morti per la patria, rendendo l’onore che spettava

loro. Giulio Douhet, il colonnello che ideò il culto del Milite Ignoto, disse “In

qualsiasi società vi saranno sempre dei doveri che esigono di essere compiuti

fino alla morte. Chiunque sacrifica sé stesso per l’esplicazione di un dovere

è degno di onore”. La cerimonia del Milite Ignoto venne officiata da Mons.

Angelo Bartolomasi, Vescovo di Trieste e primo Vescovo castrense alle ore

11.00 del 28 ottobre 1921 presso la Basilica di Aquileia. Al centro della navata

Anti - eroe

Forme della

memoria

Descrizione

cerimonia

99

è stato approntato un cenotafio sul quale viene posta la bara prescelta. Su

un rudere di colonna romana era posta un'anfora contenente l'acqua del

fiume Timavo. Sull'anfora, un nastro bianco recava la scritta imo ex corde

Timavi, la stessa frase dettata da Gabriele D'Annunzio per la sepoltura del

fraterno compagno Magg. Giovanni Randaccio, caduto alle sorgenti del

fiume durante un attacco verso Duino. All'ora fissata vennero aperti i portoni

della basilica, le autorità politiche e militari, come pure semplici cittadini,

vennero ammessi all'interno. Alle madri e vedove di guerra presenti venne

riservato un palco allestito a destra dell'altare. Al termine del rito funebre di

suffragio, dopo che l'officiante ebbe asperso le bare con l'acqua del Timavo,

quattro decorati di Medaglia d'Oro, gen. Paolini, Col. Marinetti, on. Paolucci

e Ten. Baruzzi, si avvicinarono a Maria Bergamas porgendole il braccio. La

donna mosse verso i feretri. Nel silenzio della basilica si udivano le

espressioni di cordoglio composto degli astanti. Lo stesso Duca d' Aosta ed il

Ministro Gasparotto avevano gli occhi umidi di pianto. Maria Bergamas

s'inginocchiò davanti all'altare. Quindi, volto lo sguardo alle altre mamme,

con gli occhi sbarrati, fissi verso i feretri, s’incamminava verso le bare.

Trattenendo il respiro, giunse di fronte alla penultima bara davanti alla quale,

oscillando sul corpo e lanciando un grido, invocante il figliolo, si piegò, cadde

in ginocchio abbracciando quel feretro. Le campane suonarono a tocchi gravi

mentre alcune batterie d'artiglieria, posizionate nelle campagne adiacenti,

esplodevano salve d'onore. Sul sagrato, la banda della Brigata "Sassari"

intonò per la prima volta in modo ufficiale l'inno che sarebbe divenuto il

simbolo di tutte le cerimonie dedicate ai caduti: "La leggenda del Piave". La

salma prescelta venne sollevata da quattro decorati e la cassa venne posta

all'interno di un'altra cassa in legno massiccio rivestita all'interno di zinco.

Sul coperchio venne fissata una teca in argento lavorato a sbalzo, opera

dell'artista udinese Calligaris, dentro la quale era stata fissata la medaglia

commemorativa fatta coniare dai comuni di Udine, Gorizia e Aquileia.

Sempre sul coperchio della cassa venne fissata una alabarda in argento, dono

della città di Trieste. Il rito terminò alle 12:20 e, al termine, il tempio venne

aperto all'omaggio del popolo. Alle 15:00 il Duca d'Aosta, unitamente al

Ministro della Guerra ed alle altre autorità, giunsero sul piazzale antistante

la basilica. Il sarcofago venne posto sull’affusto di un cannone trainato da sei

cavalli bianchi bardati a lutto. Il corteo, formatosi spontaneamente, mosse

verso la stazione ferroviaria.

A questo punto, il simbolismo di alcuni elementi della cerimonia richiama la

nostra attenzione. Innanzitutto il culto del Milite ignoto avviene secondo

regole e stilemi propri del Cristianesimo. Il corpo non è esposto, come invece

avveniva nel rito classico, è chiuso all’interno della bara, ricomposto, in pace,

viene bagnato con l’acqua del Timavo. Il fiume Timavo simboleggia il legame

Simbolo

acqua

100

tra il campo di battaglia e il Milite, mentre l’acqua è simbolo di nuova vita,

come avviene nel sacramento del Battesimo. Dunque, l’acqua è l’elemento

presente sia nel rito funebre sia nel Battesimo, quale simbolo di ingresso

dell’uomo nella vera vita, quella ultraterrena e all’insegna della fede

cristiana. Nel rito classico invece il corpo veniva bruciato poiché si credeva in

questo modo di favorire la separazione dell’anima dal corpo.

Da questa riflessione sulla presenza e sul significato dell’acqua nel rito

cristiano, emergono alcuni aspetti relativi alla concezione della morte: per il

Cristianesimo la morte è l’inizio della vera vita, legata alla fiducia nella

sopravvivenza dell’anima, per la religione pagana la morte è la fine della vita

e l’inizio dell’oblio.

Grazie al progetto Erasmus+ – Insegnare la guerra per educare alla pace,

abbiamo avuto l’occasione di riflettere su argomenti che, altrimenti, non

avremmo mai considerato. Sono argomenti che ci riguardano da vicino in

quanto fanno parte della storia del nostro Paese e dell'esistenza di ognuno

di noi, in quanto prima o poi dovremmo affrontare una perdita. Il percorso ci

ha inoltre permesso di indagare alcuni aspetti della cultura classica, di cui

abbiamo ricostruito alcuni valori attraverso l’analisi della categoria dell’eroe

e del suo culto. Queste categorie, successivamente, sono state da noi

utilizzate quali criteri di analisi dell'argomento Milite ignoto, oggetto del

nostro lavoro. In questo modo, i valori della civiltà classica ci hanno permesso

di recuperare il significato storico ed etico del Milite ignoto. Durante la

realizzazione di questo progetto, abbiamo incontrato numerose difficoltà.

Prima di tutto, abbiamo dovuto confrontare punti di vista diversi e operare

una sintesi delle idee che emergevano di volta in volta dalle discussioni. Dal

punto di vista operativo, la realizzazione del percorso ha significato prestare

molta attenzione non solo ai contenuti dei vari saggi consultati, ma

soprattutto alla loro struttura logico - sintattica, dal momento che essi

presentavano tesi diverse, sostenute da argomenti non sempre di facile

comprensione. Lavorare in gruppo ha significato, inoltre, comprendere

l'importanza del rispetto di scadenze e impegni presi, dal momento che la

riuscita e la realizzazione del progetto dipende dalle scelte e dalle azioni di

tutti i componenti del gruppo stesso.

Cristianesimo vs

Paganesimo

Conclusione

101

Documenti

1. A. Gibelli, L’officina della guerra, 1991

2. A. L. Mauzan, Il fante di Mauzan, 1917

3. A. Schnitzler, Pensieri sulla vita e sull’arte, 1914

4. Anonimo, Il General Cadorna

5. L. Andreev, Il riso rosso, 1905

6. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2011

102

Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano

Il sacrificio del Milite Ignoto

Nel seguente saggio eseguiremo un confronto fra il codice classico e quello

contemporaneo per quanto riguarda i concetti di sacer e lutto.

Dopo aver analizzato i testi in nostro possesso, abbiamo riflettuto sulla

funzione e trasformazioni di queste parole - chiave, scelte nell’attività

precedente, all’interno della sfera semantica del rito del Milite Ignoto.

Questa riflessione ci ha permesso di raccogliere informazioni, temi e valori

relativi al codice contemporaneo e, in particolare, studiare il rituale del Milite

Ignoto alla luce di queste informazioni.

Siamo partiti chiedendoci che cosa significasse il termine lutto. Esso consiste

in una serie di azioni e gesti tramite i quali chi rimane in vita esprime la sua

pena e, come sostiene J. Winter1, passa attraverso determinate fasi. Al

termine della Prima Guerra Mondiale, le famiglie in lutto vissero queste fasi

di accettazione della perdita. La prima reazione dei famigliari, alla rivelazione

della morte del proprio caro, riguarda la ricerca di informazioni al riguardo,

ricerca sostenuta prima da gruppi e associazioni spontanee, poi ufficiali, che

fornivano dati, tracce, e qualsiasi elemento utile a trarre dall’oblio, almeno

idealmente, quei corpi. La fase successiva dell’elaborazione del lutto

riguarda i valori, all'insegna dell'altruismo e della solidarietà, di cui i

famigliari si fanno interpreti. Ci furono, a questo proposito, casi di adozione

simbolica di soldati feriti da parte di molte famiglie. Si creò così una sorta di

fratellanza ideale: aiutarsi e sostenersi in seguito al lutto diventava un dovere

morale delle famiglie nei confronti di coloro che si erano sacrificati per la

patria. Questa etica della generosità, per la quale le famiglie si sentivano

unite dal comune lutto, era dovuta anche all’influenza della religione

cristiana con i suoi valori di carità e solidarietà. L’ultima fase

dell’elaborazione del lutto consiste nella consolazione attraverso la

commemorazione. Da questa premessa, si evince il contesto in cui viene

ideato il culto del Milite Ignoto. La collettività aveva bisogno di comprendere,

di dare un senso alla morte dei suoi figli, mariti, padri per affrontare insieme

il vuoto lasciato dalla perdita dei propri cari.

Intendiamo ora analizzare il rito del Milite ignoto, evidenziandone fasi,

lessico, simboli. Lo studio del Milite ignoto, secondo i criteri esplicitati, ci

permetterà, successivamente, di raccogliere elementi utili, in termini lessicali

e culturali, per confrontare sistemi di valori diversi, relativi al codice classico

e contemporaneo. La prima domanda sorta spontanea all'interno del gruppo

durante le discussioni e riflessioni è questa: “Qual è la funzione dell'aggettivo

Ignoto?”. Per rispondere siamo partiti dalla categoria semantica a cui

Introduzione

Funzione rituale del Lutto

Fasi del lutto

Analisi testo Milite

Ignoto

103

l'aggettivo “ignoto” rimanda, funzionale alla costruzione di un simbolo che

possa rappresentare tutti i soldati morti in guerra. Per soddisfare questo

requisito, la connotazione principale di questo milite doveva essere l'assenza

di elementi identitari, doveva presentarsi sciolto da qualsiasi legame

familiare. Solo così, per queste sue caratteristiche, poteva diventare il figlio

di tutti gli Italiani. Il suo anonimato è determinato anche dal fatto che la

morte lo accomuna a tutti i caduti, resi uguali, privati dell'identità, del nome.

In questo modo il sacrificio anonimo diventa sacrificio collettivo.

Il rito del Milite Ignoto ha inizio al termine della Prima Guerra Mondiale,

quando, il colonnello d’artiglieria Giulio Douhet, nel 1920, ebbe l’idea di

onorare i sacrifici e gli eroismi di tutti i soldati morti per la patria attraverso

la salma di un soldato sconosciuto, che doveva rappresentare il padre, il

figlio, il marito di tutti quelli che non avevano la possibilità di celebrare le

spoglie, mai ritrovate, del familiare disperso. La proposta di Douhet venne

accolta dal Governo, che costituì una commissione a cui fu dato l'incarico di

individuare undici salme di soldati italiani non identificati, tra le quali si

sarebbe scelta quella del Milite Ignoto.

I corpi tra i quali venne scelto quello del Milite Ignoto, vennero riesumati dai

principali campi di battaglia: san Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto

Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Caposile.

Successivamente le undici salme vennero portate nella Basilica di Aquileia

dove avvenne la sacralizzazione del sacrificio di tutti i soldati morti per la

patria. Mons. Angelo Bartolomasi, Vescovo di Trieste, bagnò le bare con

acqua proveniente dal fiume sotterraneo Timavo, che, per le sue numerose

risorgive, è stato un luogo di culto fin dall’antichità.

La scelta del corpo del Milite Ignoto fu assegnata a Maria Bergamas, madre

di un volontario giuliano, disertore dall’esercito austriaco. La cerimonia del

Milite Ignoto ebbe luogo la mattina del 28 agosto nella Basilica di Aquileia,

nella quale venne posizionato un cenotafio sul quale sarebbe stata posta la

bara del soldato. Alla celebrazione parteciparono centinaia di persone, fra le

quali tutte le massime autorità politiche e militari. Inoltre, venne riservato

un palco a destra dell’altare alle madri e vedove di guerra. Maria Bergamas,

nel momento della scelta della salma del Milite Ignoto, si inginocchiò,

piangendo, davanti alla salma che sarebbe diventata il simbolo di tutti i

caduti in guerra.

Conclusa la cerimonia, il convoglio funebre, contenente la salma

del Milite Ignoto, partì lentamente dalla stazione di Cervignano del

Friuli con direzione Roma, seguito da automobili militari e non, e

sorvolato da velivoli dell’aviazione militare.

Fasi del rito

104

Intendiamo soffermarci su questo aspetto del rito, ovvero il tragitto della

salma da Aquileia a Roma, certi di poter riconoscere e ricostruire alcune

valenze mitico - simboliche attribuite al Viaggio nella nostra cultura. Il viaggio

del Milite Ignoto è il “Viaggio di ritorno” di tutti coloro che sono partiti. Al

passaggio del treno, le persone reagiscono sia con comportamenti collettivi

legati alla pietà, sia con comportamenti legati alle partenze, alla separazione.

Il treno e il viaggio evocano infatti vissuti e memorie. Il Viaggio del Milite

ignoto, fisicamente visibile nel suo divenire, assicura il contatto fra il simbolo

- milite ignoto e il popolo. Ed è proprio questo contatto fisico con “l’Ignoto”

che permette alle persone di appropriarsi del Milite come simbolo collettivo

e concreto del sacrificio. Questo processo di mitizzazione del milite, il cui

corpo è ben protetto e celato dalla bara, viene accentuato dalla successione

di omaggi e tributi, in un crescendo di solennità verso Roma2.

La prima tappa del treno fu alla stazione ferroviaria di Udine,

seguita dalle stazioni di Codroipo e Pordenone. Quando, dopo

Sacile e Conegliano, arriva al ponte della Priula, dalle carrozze

vengono lanciati fiori nelle acque del Piave. Durante la sosta a

Venezia, una corona d’alloro viene calata in mare, simbolo di

tutti i marinai morti in guerra. Successivamente, il viaggio della

salma del Milite Ignoto continua attraverso Mestre, Padova,

Monselice, Ferrara, Bologna, l’Appennino, Firenze, Arezzo,

Orvieto, per poi sostare, durante la notte, a Portonaccio, nella

periferia Nord di Roma.

Il giorno successivo, il treno, contenente la salma del Milite Ignoto, fu accolto

nella capitale con uno striscione nel quale apparivano versi di D’Annunzio:

La Madre chiama: in te comincia il pianto, nel profondo di te comincia il

canto, l’inno comincia degli imperituri.

In questi versi è presente la personificazione della Patria - Madre, il Figlio

della Patria - Madre, che con il suo sacrificio aveva dato la libertà alle terre

circostanti di Aquileia e che ora ritorna glorioso alla capitale, Roma. In

particolare, parole quali “canto” e “inno” ricordano la funzione del poeta

vate, che con la sua poesia eternerà le nobili imprese dell'eroe - salvatore

della Patria.

Da questi elementi, si evince che il culto del Milite Ignoto fu una delle più

grandi manifestazioni patriottiche italiane, simbolo del ricostituito legame

tra i cittadini e la loro Patria. L’intera collettività, infatti, partecipa alla

cerimonia, riconoscendo nel rito del Milite Ignoto valori, significati e virtù

legati al sacrifico dei propri cari.

105

Il rito del Milite Ignoto è, quindi, strettamente legato sia al concetto di

sacrificio, sacrum facere, classico per l'idea di offerta, dono della vita agli dei,

sia all'idea del martirio cristiano, evocato dalla presenza dei simboli religiosi,

che accompagnano la bara. Uno dei simboli religiosi che ricorre più

frequentemente nel rito del Milite Ignoto è la croce. Essa assume due diversi

significati: simbolo di speranza e di "negazione delle immagini sbagliate”, ma

anche segno della morte vinta attraverso il sacrificio.

Il culto del sacrificio del soldato svolge un ruolo fondamentale nel processo

di sacralizzazione del Milite Ignoto, che diventa così patrimonio condiviso,

luogo di riconoscimento di valori, di virtù collettive. Il sacrificio diventa così

simbolo di una nazione unita e vittoriosa.

Il soldato è colui che si è scarificato per una causa comune. Chiunque

sacrifica sé stesso per assolvere al proprio dovere è degno di onore:

E tu onore di pianti, Ettore, avrai/ove fia santo e lagrimato il sangue/per la

patria versato, e finché il Sole/risplenderà su le sciagure umane3.

Lo studio del testo Milite Ignoto ci ha permesso di comprendere la funzione

del “sacrifico” compiuto da soldati, giovani come noi, padri come i nostri

padri, fratelli come i nostri fratelli. Dopo questo lavoro, non sono più lontani

e anonimi, ora li sentiamo vicini e, consapevoli del valore dei loro sacrifici,

riteniamo doveroso ringraziarli4.

Dopo aver analizzato, nella prima parte del progetto, il rituale classico siamo

passati a confrontarlo con quello del Milite Ignoto. Nell’età classica ricevere

una sepoltura era considerato un diritto che spettava al defunto, non

riceverne era considerato indegno. Questo avrebbe comportato

conseguenze negative sul destino dell’anima del defunto. Dare sepoltura ai

defunti era un dovere morale dei vivi in quanto gesto che rientrava nella sfera

dell’humanitas e della pietas. L’humanitas è un insieme di valori e

comportamenti assimilabile alla filantropia greca. Con il termine humanitas

si intende la comprensione e l'aiuto, attraverso il dialogo, verso gli altri in

quanto uomini. Da ciò si comprende che il mos maiorum prescriveva di

prendersi cura dei propri simili anche dopo la loro morte, dando loro una

degna sepoltura. Il termine pietas rimanda al rispetto e affetto che si deve

agli dei e ai membri familiari, onorandoli con gli officia a loro dedicati. In

questo modo, il civis pius manteneva buone relazioni sia con gli dei sia con

gli antenati della gens. La pietas dei parenti del defunto veniva espressa nel

rispetto del corpo del deceduto, simbolo del legame che c’era tra loro e il

deceduto.

Sacrificio

Confronto

passato presente

Humanitas

pietas

106

Nel mondo classico dare sepoltura al corpo era una necessità, un dovere, un

segno di civiltà che delimitava lo spazio della civitas.

Questo aspetto presenta delle affinità con il contesto del Milite ignoto. In

particolare, alla fine della Prima Guerra Mondiale anche i famigliari dei

soldati caduti in guerra sentivano il bisogno di ritrovare i corpi dei propri cari

per onorare il loro sacrificio con una degna sepoltura. Come abbiamo

precedentemente detto, durante e dopo il conflitto mondiale, molte furono

le famiglie, i padri e le madri che non ebbero l’opportunità di conoscere il

luogo ove fosse il corpo del figlio. Gran parte dei giovani soldati che si

arruolarono vennero ritenuti dispersi in battaglia; non si sapeva dove

avessero trascorso i loro ultimi giorni o se, qualche loro commilitone, mosso

da pietas, avesse dato loro una sepoltura sul campo di battaglia. Questo

spiega perché le madri e i famigliari dei caduti vedevano nel Milite Ignoto il

corpo del loro figlio o caro. Questa identificazione permetteva ai vivi di

superare la perdita e di elaborare il lutto in modo tale da accettare la perdita

e prendere coscienza dell’assenza del caro. La realizzazione di una sepoltura,

quella del Milite ignoto, quindi, era una necessità riguardante i vivi e

permetteva loro di elaborare il lutto e accettare la scomparsa del proprio

caro.

Per quanto riguarda la funzione collettiva del rito, nel mondo classico essa si

realizzava nel passaggio del dolore dalla sfera privata a quella pubblica, che

avveniva nel momento in cui la salma del defunto veniva portata nel luogo

della sepoltura tramite una processione alla quale prendevano parte, oltre

ai familiari, i conoscenti, i cittadini e i senatori, nel caso di uomini illustri o di

soldati - eroi da venerare in quanto salvatori della patria. Il dolore della

famiglia veniva trasmesso anche al pubblico e il defunto veniva onorato da

tutto il popolo.

Il rito del Milite Ignoto presenta questa affinità con il rito romano sopra

descritto, ovvero quella di essere collocato in una dimensione pubblica, di

aver ricevuto una degna sepoltura, l'altare innalzato dallo stato a sua eterna

memoria.

Il corpo del Milite e la sua sepoltura divennero luogo di identificazione per

coloro che avevano perso un caro, per coloro che combatterono in guerra e

sacrificarono la vita per il Paese, per coloro che ricordavano quanto vissuto

e sopportato durante la guerra anche se non vi parteciparono direttamente.

Un altro aspetto della funzione collettiva del culto del Milite Ignoto riguarda

l'esigenza del Governo italiano di ritrovare e ridare al popolo italiano una

qualche forma identitaria. Il Governo volle costruire un senso di unità e di

Oblio

107

appartenenza alla Patria attraverso il rituale del Milite Ignoto. Dal momento

che, tutti i cittadini italiani vissero direttamente o indirettamente e in modi

diversi la Guerra, il rito del Milite Ignoto divenne un pretesto per creare una

nuova Italia caratterizzata da valori etici e normativi che gli italiani fecero

propri. A questo proposito, Cadeddu afferma: “Iniziava così la fase della

rappresentazione dell’eroismo anonimo del soldato - popolo italiano. La

ricerca del Soldato sconosciuto era già di per sé un rito collettivo che si

realizzava attraverso i membri della Commissione: la memoria storico -

sacrificale dell’intero popolo italiano, sublimata simbolicamente nell’epos,

iniziava il cammino rituale per diventare il fondamento dell’identità del

popolo come nazione, trovando alimento nei valori normativi, etici, assunti

dal popolo armato nel momento del sacrificio supremo per la Patria. Le

componenti dell’epica e dell’etica civile diventavano così le colonne portanti

della nuova Italia uscita dalla guerra di massa.” Il culto del Milite Ignoto allora

è la ritualizzazione di uno dei miti fondanti della nuova Italia uscita dalla

Guerra5.

In conclusione, al termine di queste riflessioni, frutto di numerose attività di

analisi sui testi scelti, abbiamo ampliato le nostre conoscenze sul nostro

passato recente e contemporaneamente compreso come i valori che il

passato ci tramanda, sacer, lutto, pietas, humanitas, non sono immutabili.

Grazie al progetto Erasmus+ – Insegnare la guerra per educare alla pace,

abbiamo compreso le motivazioni alla base della nascita del rituale del Milite

Ignoto, la sua funzione e le sue relazioni con alcune parole – chiave della

civiltà classica. Studiare il mondo antico per cercare “appigli”, valori, per

trasformarli in strumenti di lettura del testo Milite ignoto, oggetto della

nostra analisi, ha significato scoprire prima e confrontarsi poi con le

migrazioni semantiche dei termini, tracce di una civiltà altra dalla nostra,

risultato, precario e mai definitivo, del contatto tra diverse popolazioni e

culture. Questo ha significato riflettere e interrogarci sul presente: noi siamo

questo “meticciamento”, viviamo nella con - fusione culturale ed è per

questo che non dobbiamo temere i contatti, le intrusioni, le relazioni con gli

altri.

Documenti

1. J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995

2. L. Cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’altare della patria, 2001

3. U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1806

4. U. Galimberti, Orme del Sacro, 2000

5. V. Labita, Il Milite Ignoto, Gli occhi di Alessandro, 1990

Conclusione

108

Sommario

Le ragioni di una scelta ...................................................................................................................................... 1

Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore ...................................................................... 7

Fase A............................................................................................................................................................. 7

Fase B ........................................................................................................................................................... 18

Fase C ........................................................................................................................................................... 32

Percorso 2: Codice contemporaneo. La dimensione pubblica del dolore ....................................................... 65


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