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Erasmus+. Attività 13. Milite ignoto.
Ri - leggere i classici per leggere il presente
Classe 4° A Liceo scientifico
Docente Gambin Giuseppina
A.s. 2016/2017
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Le ragioni di una scelta
I classici quale “punto di partenza” da cui iniziare, e insieme risorsa a cui attingere, per suscitare
curiositas verso i segni del passato prossimo e remoto, ha offerto agli allievi e all’insegnante, soggetti
e destinatari del progetto, l’opportunità di leggere il testo Milite ignoto da una prospettiva
straniante, quella degli Antichi.
Le ragioni di questa scelta sono dovute all’atteggiamento iniziale degli allievi sia verso i classici sia
verso il testo Milite ignoto: entrambi “monumenti” freddi, meri depositi di memoria, di exempla
privi di significato o, nel migliore dei casi, tracce di ideali altisonanti, irraggiungibili, incomprensibili,
distanti dal presente, tanto da lasciarli indifferenti.
Rilevata questa situazione di partenza, era necessario un ripensamento dell’attività progettuale: la
rilevazione dei bisogni educativo - formativi degli allievi esigeva di spostare l’attenzione, e quindi gli
interventi educativo - didattici, dallo studio del fatto storico - culturale Milite ignoto alla riflessione
su alcune parole semanticamente legate alla sfera valoriale della Memoria: monumento, sacro,
sacrificio, sepolcro, rito, patria, onore, eroismo, corpo, maschile/femminile. Nella prassi didattica,
questo orientamento pedagogico, in cui l’allievo è al centro del processo di apprendimento, ha
significato talvolta dover rinunciare al rigore scientifico di procedure e di modelli interpretativi, per
privilegiare i bisogni formativi di questi allievi. Gli alunni, ancor prima di essere informati e di
svolgere autonome e/o guidate attività di ricerca sul Milite ignoto, necessitavano di essere educati
alla Memoria, di essere guidati nel rintracciare, per poi ricostruire autonomamente, modalità,
forme, strutture, codificazioni, esempi di memoria privata e collettiva. Il lavoro sul Milite ignoto
diventava a poco a poco invasivo e invadente: da progetto a cui dedicare spazio - tempo e materiale
ben definiti si trasformava in modalità di lettura e di comprensione di testi/argomenti curriculari,
chiave di ri - lettura euristica del noto. Ri - tornare sul Milite ignoto, alla luce di scoperte testuali
sempre più consapevoli, diventava per questi nativi digitali occasione per riflettere sulle proprie
fragilità e responsabilità, scoprendo così che qualsiasi forma di memoria culturale è destinata ad
affievolirsi, per poi spegnersi del tutto, se il gruppo che la possiede non la mantiene viva nel tempo
attraverso la pratica, la trasmissione e l’insegnamento dei suoi contenuti. Così come il ricordo
individuale è sempre insidiato dalla dimenticanza, allo stesso modo la memoria culturale è soggetta
a trasformarsi in oblio culturale. Diventava chiaro, dalle letture, discussioni, scritture e numerose ri
- scritture, che la persistenza di qualsiasi tradizione, o monumento, non deriva tanto dal fatto che
essa viene dal passato del gruppo, quasi possedesse un’intrinseca durata, ma dal fatto che si
continua a diffonderne i contenuti nel presente. Una tradizione non è tanto più solida quanto più è
antica, una tradizione è tanto più solida quanto più lo è il paradigma, l’intelaiatura che la sostiene
nel presente, e quindi quanto più si continua a spiegarne il senso attraverso i suoi contenuti.
Partecipare e lavorare alla realizzazione di questa azione del progetto Erasmus+ ha significato inoltre
per questi ragazzi acquisire consapevolezza riguardo un aspetto della cultura contemporanea,
quello relativo alla sua ossessiva concentrazione sul presente; aspetto per altro da loro
sperimentato nella fase iniziale del progetto, quando si trattava di comunicare in modo evocativo le
loro attribuzioni di senso alle parole chiave dei percorsi da realizzare, o quando veniva chiesto loro
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di costruire analogie e differenze tra codici culturali. Lo studio del passato, a partire dal Milite ignoto,
ha permesso a questi allievi di conoscere alcuni aspetti del loro presente attraverso il confronto con
l’alterità del passato. Sempre più aperti alla globalizzazione spaziale e culturale, questi ragazzi hanno
capito di essere al contrario sempre più chiusi e ostili alla profondità temporale della cultura, che
esige a sua volta modalità comunicative lunghe, verticali, al contrario delle modalità rapide e
orizzontali delle forme della comunicazione contemporanea. Il testo - Antichi, come il testo - Milite
ignoto erano testi indecifrabili proprio per il fatto di essere testi comunicativi lunghi, provenienti
dalla profondità del passato.
Oggi la memoria culturale ha bisogno di sostegno, chiede di essere alimentata e sostenuta, nella
consapevolezza che ogni sezione del tempo, ogni presente che si affacci all’orizzonte della storia,
chiede al passato di rispecchiarlo almeno un po’. Questa caratteristica, inevitabilmente ricostruttiva
della memoria culturale, ha significato, nella prassi didattica, riproporla in modi più vicini alla
sensibilità culturale degli allievi, ridisegnandone i contorni, se necessario, per renderla presente,
pertinente, mai mera attualità.
Da queste riflessioni, è emersa la necessità di ritornare con un diverso livello di consapevolezza sulle
parole chiave emerse dalle evocazioni e dal brainstorming iniziali. Queste parole, a poco a poco,
sono diventate tracce semantiche della Memoria, chiave di lettura fondamentali per poter
affrontare lo studio di particolari, specifici aspetti e forme culturali del mondo classico. Erano parole
presenti nella nostra lingua, di cui gli allievi, attraverso lo studio etimologico, scoprivano origini e
significati diversi da quelli da loro attesi: sacer, monere, relegare (…). In questo modo, riflettendo
sull’etimologia e sulle diverse traduzioni di queste parole, gli allievi, nel momento della
lettura/decodifica del testo Milite ignoto, comprendevano alcune dinamiche alla base dei
cambiamenti semantici di queste parole. Il confronto continuo fra i testi, la scoperta di affinità e
differenze, diventavano momenti di verifica dei cambiamenti provocati nella nostra tradizione
culturale da due mila anni di Cristianesimo, come pure dalle manipolazioni e dall’uso in chiave
ideologica del testo classico, nobile e autorevole abito di cui si servono i regimi totalitari per
abbellire il presente. Questa continua attività inter - testuale diventava consapevole attività inter -
culturale permettendo agli allievi da un lato di recuperare valori altri, dall’altro di scoprire che la
cultura recente e passata presenta tratti di alterità rispetto alla loro, in aggiunta o in opposizione a
quelli di continuità.
La rilettura di alcuni aspetti culturali del codice classico, in funzione della lettura del monumentum
Milite ignoto, ha significato per questi ragazzi confrontarsi con un sistema di valori, dal quale
attingere strumenti culturali, simboli, valori e modalità per leggere, comprendere, semanticizzare il
testo Milite ignoto nel suo essere identico e altro da quel mondo, come già scoperto dalla
rivisitazione etimologica delle parole chiave. Dover rivolgersi all’Antico, a questo altrove nel tempo,
per comprendere e analizzare l’oggetto della loro ricerca, il testo Milite ignoto, ha significato anche
per questi giovani acquisire consapevolezza riguardo la loro identità culturale, prima incerta, avendo
sperimentato che nessuna civiltà può pensare se stessa se non dispone di altre società, di altre
culture, che servano da termine di comparazione: un altrove nel tempo, Greci e Romani, così come
un altrove nello spazio, le civiltà europee ed extraeuropee.
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Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore
Argomento Le forme della memoria nella cultura romana
Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo
Fase A: Motivazionale
Testo: citazione da E. Montale, Voce giunta con le fòlaghe, 1964
Attività: Brainstorming, riflessione individuale e collettiva sulla Memoria a partire dall’immagine montaliana
Produzione sintesi di gruppo
Fase B: Studio, lettura, analisi documenti.
Testi:
• Cicerone Philippicae, XIV, 34 - 35
• Orazio, Ode, III, 30
• Ara Pacis
• Riti augustei
• Augusto di Prima Porta
• Sarcofago dell’ex collezione Rinuccini
• Omero, Iliade, libro XXIV
Intertesti:
• Baricco, Omero, Iliade, 2015
• Brelich, Gli eroi greci, 1958
• Diotti, S. Dossi, F. Signoracci, Moenia Mundi, 2015
• Palo, La morte, i riti funebri e l’aldilà nel mondo romano, 2016
• E. Degl’Innocenti, M. Menghi, Lo sguardo di Giano, 2014
• E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, 1963
• F. Cardini, Onore, 2016
• H. Monsacrè, Le lacrime di Achille, 2003
• http://www.treccani.it/enciclopedia/lutto_(Universo-del-Corpo)/
• http://www.treccani.it/enciclopedia/riti_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/
• J. P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007
• J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995
• L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2011
• L. Garofalo, Il corpo in Roma antica, 2016
• M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011
• M. Bettini, Maschile/femminile genere e ruoli nelle culture antiche, 1993
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• M. Centanni, Il corpo del re, tratto da Gli occhi di Alessandro di S. Bertelli e C. Grottanelli,
1990
• M. Recalcati, Le mani della madre, 2015
• O. Rossini, Ara Pacis, 2006
• Omero, Iliade, VI, XII, XIV, XXIV (640 - 670), XXIII (269 - 363)
• P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, 1989
• P. Zanker, Vivere con i miti, 2008
• R. Grave, I miti Greci, 1955
• Sarcofago delle amazzoni, 160 d.C., Museo Archeologico Regionale, Palermo
• U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807
• U. Galimberti, Orme del sacro, 2000
Attività: analisi testuale guidata e/o autonoma utilizzando i seguenti criteri:
Genere
Struttura
Sequenze / funzioni
Topic
Lessico, registro
Scelte retorico - stilistiche
Parola - chiave, campi semantici
Punto di vista
Destinatario / contesto storico - antropologico
Risultati attesi: ricostruire il passaggio del dolore dalla sfera privata alla sfera pubblica nel codice classico. Selezionare, organizzare le parole - chiave in percorsi antropologico - culturali
Fase C: Costruzione percorsi antropologico – culturali.
Ambiti di indagine:
Lutto, rito, elaborazione collettiva del lutto
Corpo, sacer
Laudatio funebris, consolatio
Funerale gentilizio (corpo, identità)
Gens, riti collettivi
Mos, trasmissione del mos, memoria
Onore vs stuprum (virtus, pietas, bellum)
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Percorso 2: Codice contemporaneo. La dimensione pubblica del dolore
Argomento Il rito del Milite Ignoto: alla ricerca delle nostre identità.
Finalità Ri - costruire le diverse codificazioni della Memoria nel rito del Milite Ignoto; Riflettere sul significato del termine Memoria nella cultura contemporanea; Riconoscere la presenza di diverse tradizioni nella codificazione del Milite Ignoto.
Fase A: Ricerca, selezione, comprensione, analisi documenti.
Verifica intermedia. Argomento: Non c’è memoria senza conservazione. Consegna: Sviluppa l'argomento in forma di saggio, dopo aver compreso e analizzato i
documenti forniti. Argomenta la tua trattazione anche con opportuni riferimenti ai percorsi riguardanti il progetto Erasmus+ - Milite ignoto. Indica il titolo del saggio.
Testo: • Milite ignoto
Intertesti:
• Gibelli, Il colpo di tuono, 2015
• BBC, Unknown Warrior, 1999
• Diacronie, Itinerari della Grande Guerra - Un viaggio nella storia, Dizionario Garzanti
Linguistica, http://www.garzantilinguistica.it/
• E. Degl’Innocenti, Lo sguardo di Giano, 2014
• E.J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra
mondiale, 1979
• Elogio a Scipione Barbato, 240 a.C. ca.
• F. Cardini, Onore, 2016
• F. Todero, Il culto del soldato caduto della Venezia Giulia, 2005
• G. Dato, Redipuglia: il sacrario e la memoria della Grande guerra 1938 – 1993, 2015
• G.L. Mosse, Le guerre Mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, 2002
• http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo - libero/2015/04/11/news/dietro-il-milite-ignoto-la-storia-
tutta-giuliana-di-antonio-bergamas-1.11215222
• http://www.difesa.it/Il_Ministro/Uffici_diretta_collaborazione/Ufficio_Cerimoniale/Vittoria
no/Pagine/default.ashh
• http://www.quirinale.it/qrnw/simboli/vittoriano/vittoriano.html
• http://www.studistorici.com/2014/08/01/itinerari-della-grande-guerra-un-viaggio-nella-
storia/
• http://www.treccani.it/enciclopedia/
• https://it.wikipedia.org/wiki/Milite_Ignoto_(Italia)
• J. Winter, Il lutto e la memoria – La Grande Guerra nella storia culturale europea, II, IV, 1998
• J.P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007
• L. Cadeddu, Alla ricerca del milite ignoto, 2011
• L. Cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria, 2001
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• M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011
• Omero, Iliade, VI, XII, XIV, XXIV (640 - 670), XXIII (269 - 363)
• P. Fussell, La grande Guerra e la memoria moderna, 1984
• P. Nicoloso, Le pietre della memoria. Monumenti sul confine orientale, 2015
• P. Violi, Paesaggi della memoria, il trauma, lo spazio, la storia, 2014
• P. Zanker, B. C. Ewald, Vivere con i miti, 2008
• Q. Antonelli, Storia intima della Grande Guerra – Lettere, diari e memorie dei soldati dal
fronte, 2014
• S. Bertelli, Religio regis e media aetas – Tratto da Gli occhi di Alessandro, 1990
• Sacello Milite Ignoto, 1921
• U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807
• V. Labita, Il Milite Ignoto, dalle trincee all’Altare della Patria, 1989
Criteri di analisi: genere, struttura, sequenze / funzione, tesi, argomenti, lessico, registri, stile, punto di vista, destinatario / lettore
Modalità di lavoro: Raccolta, selezione documenti; Lettura, analisi, interpretazione del Milite Ignoto da una prospettiva semiotica e storico - culturale; Individuazione compresenza di codici culturali e loro ricostruzione; Confronto codice classico vs codice contemporaneo a partire dal Riconoscimento di temi/motivi; Produzione sintesi in forma saggistica del lavoro di gruppo.
Fase B: Lettura, analisi del testo Milite Ignoto. Individuare parole - chiave, ri - conoscere linguaggi e tradizioni culturali, costruire percorsi culturali a partire dalle parole - chiave.
Ambiti di indagine:
Rito
Madre
Lutto
Soldato - massa vs Eroe
Simbolo
Culto
Ordine vs Caos
Corpo
Ara
Monumento
Memoria
Senso di colpa
Ri - semanticizzazione del Classico in funzione ideologica
Fase C: Intertestualità
Attività: ri - leggere il testo Milite Ignoto alla luce delle nuove acquisizioni, evidenziando segni, simboli, permanenze di linguaggi e tradizioni culturali diversi.
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Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore
Argomento Le forme della memoria nella cultura romana
Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità
delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo
Fase A: Fase motivazionale
Attività:
1. Riflessione sulla memoria a partire dalla citazione tratta da Voce giunta con le fòlaghe di E.
Montale.
2. Produzione testuale quale sintesi del confronto all'interno del gruppo
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Testo:
cit. da E. Montale, Voce giunta con le fòlaghe, 1964
Voce giunta delle folaghe
Poiché la via percorsa, se mi volgo, è più lunga
del sentiero da capre che mi porta
dove ci scioglieremo come cera,
ed i giunchi fioriti non leniscono il cuore
ma le vermene, il sangue dei cimiteri,
eccoti fuor dal buio
che ti teneva, padre, erto ai barbagli,
senza scialle e berretto, al sordo fremito
che annunciava nell'alba
chiatte di minatori dal gran carico
semisommerse, nere sull'onde alte.
L'ombra che mi accompagna
alla tua tomba, vigile,
e posa sopra un'erma ed ha uno scarto
altero della fronte che le schiara
gli occhi ardenti e i duri sopraccigli
da un suo biocco infantile,
l'ombra non ha più peso della tua
da tanto seppellita, i primi raggi
del giorno la trafiggono, farfalle
vivaci l'attraversano, la sfiora
la sensitiva e non si rattrappisce.
L'ombra fidata e il muto che risorge,
quella che scorporò l'interno fuoco
e colui che lunghi anni d'oltretempo
(anni per me pesante) disincarnano, si
scambiano parole che interito
sul margine io non odo: l'una forse
ritroverà la forma in cui bruciava
amor di Chi la mosse e non di sè,
ma l'altro sbigottisce e teme che
la larva di memoria in cui si scalda
ai suoi figli si spenga al nuovo balzo.
- Ho pensato per te, ho ricordato
per tutti. Ancora questa rupe
tu tenta? Sì. la bàttima è la stessa
di sempre, il mare che ti univa ai miei
lidi da prima che io avessi l'ali,
non si dissolve. Io le rammento quelle
mie prode e pur son giunta con le fòlaghe
a distaccarti dalle tue. Memoria
non è peccato fin che giova. Dopo
è letargo di talpe, abiezione
che funghisce su sè... -
Il vento del giorno
confonde l'ombra viva e l'altra ancora
riluttante in un mezzo che respinge
le mie mani, e il respiro mi si rompe
nel punto dilatato, nella fossa
che circonda lo scatto del ricordo.
Così si svela prima di legarsi
a immagini, a parole, oscuro senso
reminiscente, il vuoto inabitato
che occupammo e che attende fin ch'è tempo
di colmarsi di noi, di ritrovarci…
E. Montale, Voce giunta con le fòlaghe
9
Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro
Riflessione
Nella citazione di E. Montale la parola Memoria, in prima posizione, impone
al lettore una riflessione: la Memoria ha un senso fino a quando giova, fino
a quando è utile. L'io lirico non svela la natura, i destinatari di questo
giovamento. L'io lirico lascia il lettore da solo in questa ricerca delle valenze
e dei significati della Memoria. Il dubbio e la domanda diventano per il
lettore strumento e faro della sua ricerca nell'oblio del presente, nemico
della Memoria, che per giovare pretende la permanenza di valori condivisi,
il riconoscimento del suo giovamento in quanto tradizione e non letargo di
talpe. Questa condivisione non è presente nella nostra società.
La Memoria potrebbe diventare uno spazio/tempo da cui attingere
comportamenti, idee, insegnamenti, quel luogo e quel tempo in cui poter
ancora dialogare con il passato individuale e collettivo. E saper dialogare con
il passato significherebbe imparare a riflettere sul nostro presente,
conoscerlo per la sua alterità e specificità, scoprendo di appartenergli.
Il termine talpe, presente nella seconda parte del verso, evoca miopia, cecità,
fuor di metafora l’impossibilità o la non volontà da parte nostra di “vedere”,
e quindi di comprendere, le forme e i contenuti della Memoria. Allora le
celebrazioni, le commemorazioni di alcuni eventi del passato diventano gusci
vuoti, stanchi rituali che si ripetono senza lasciare traccia, soprattutto in noi
giovani, il più delle volte spettatori passivi e superficiali. È necessario
ricordare anche periodi e fatti dolorosi, difficili da decifrare, per
comprendere la complessità umana e mantenere viva la memoria di coloro
che si sono sacrificati, consapevoli o inconsapevoli, per costruire l’identità
della nostra storia. Questa Memoria pretende cittadini, non solo capaci di
ricordare semplici date o freddi fatti, ma appassionati interpreti del loro
passato, capaci di riconoscere la loro identità culturale nelle forme e nei
contenuti della Memoria. È questo il caso del culto del Milite ignoto, simbolo
da un lato della conservazione della memoria di un evento tragico, come la
Grande Guerra, dall'altro exemplum per riappropriarsi di modalità e forme
della Memoria dimenticate, o forse mai apprese.
Dal confronto e dalle discussioni all'interno del gruppo, è emerso inoltre che
la Memoria evoca interpretazioni, discussioni, diversi punti di vista e questo
perché ricordare significa riflettere e le riflessioni, se autentiche, possono
generare punti di vista diversi. Ognuno di noi, infatti, interiorizza e ricorda
alla luce delle sue esperienze e dei contesti culturali di appartenenza.
Memoria
Memoria vs Oblio
Oblio
Funzioni
Parole chiave
10
Monumenti, riti collettivi e privati, celebrazioni possono diventare allora
occasione per imparare a “vedere” con altri occhi il nostro passato, non più
e non solo quale repertorio anacronistico di exempla, ma laboratorio di idee,
di confronto e dialogo continui.
Funzioni
monumentum
11
Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani
Riflessione
L’analisi della citazione di Eugenio Montale è stata occasione di riflessione
sul termine Memoria.
La citazione, composta di tre versi, affronta il tema della Memoria. Il testo si
può dividere in due sequenze opposte, corrispondenti alle due frasi di cui è
composta la poesia, poste in successione cronologica (come indicato
dall'avverbio “Dopo”).
La prima è caratterizzata dalla parola chiave Memoria, posta nel primo verso
e isolata. Priva di connotazioni, viene descritta nel verso successivo
attraverso la litote “Non è peccato”. Quest’ultima afferma l’importanza della
memoria attraverso una negazione, a cui viene posto un limite: “finché
giova”. La seconda parte, invece, è strettamente collegata alla prima
dall'avverbio “Dopo”, posto in rilievo alla fine del secondo verso, in quanto
veicolo della metafora finale letargo di talpe.
Quindi l'io lirico analizza due situazioni legate alla Memoria, in particolare la
prima è connotata positivamente, come indicato dalla litote e dal termine
giova. Questa condizione però è temporanea, come indicato dal connettivo
finché: vale fino a quando giova, ovvero fino a quando vale per qualcuno.
Quando non vale, quando non è più significativa “Dopo è letargo di talpe”.
In questa metafora si condensano due immagini, quella del sonno del letargo
e quella della cecità delle talpe. Sono immagini che indicano una situazione
in cui ogni traccia di umanità è sparita, l’uomo è diventato non solo cieco,
ma anche apatico, indifferente, sordo, anestetizzato, imbozzolato su sé
stesso, schiacciato su un presente privo di senso.
A questa metafora sono state date diverse interpretazioni all’interno del
gruppo. Alla fine ci siamo trovati d’accordo nell’affermare che la Memoria,
priva di un'azione che la traduca e interpreti, è inutile. Dalle nostre
riflessioni, è emerso che a questa situazione culturale, di indifferenza e
incapacità contemporanea di riconoscere il valore e il significato della
Memoria, si può giungere in diversi modi.
Secondo alcuni membri del gruppo, essa si raggiunge quando l’uomo perde
interesse verso le modalità e i contenuti della Memoria. L'uomo
contemporaneo si ritira nel suo letargo di talpa, nella sua rassicurante
routine, da cui il ri - cordo è escluso in quanto ingombrante, faticoso per il
fardello di fatti, idee e uomini da comprendere. Per alcuni di noi, questo è
dovuto alla distanza che ci separa dai fatti accaduti, e questo limita il nostro
Introduzione
Parola chiave
Memoria
Struttura
Sequenze
Topic
Punto di vista
Figure retoriche
Interpretazione
Il Ri - cordo e la
memoria
12
coinvolgimento, ci riteniamo distanti da loro e non responsabili delle loro
conseguenze. Secondo altri membri del gruppo, questo è dovuto invece
all’esasperazione della memoria. Il ri - cordo può diventare un'ossessione
quando, trattandosi di esperienze traumatiche rimosse, il soggetto non
riesce a comprenderne le cause, non riesce a far luce nell'oscurità della
Memoria. L’uomo allora si chiude in sé stesso, schiavo della solitudine,
incapace di uscire da sé stesso, incapace di partecipare a quelle forme e
modalità collettive della Memoria, in cui potrebbe ritrovare il senso del suo
particolare soffrire nella sofferenza condivisa e per questo solidale.
In conclusione, abbiamo scoperto che la Memoria è una componente
fondamentale della vita dell’uomo, ma per giovare deve valere, avere
significato, e questo dipende dall'uomo, dalla sua volontà e capacità di
comprendere forme, modalità, valori e significati tramandati dalla Memoria.
Se l'uomo non sarà capace di questo, la Memoria diventerà letargo di talpa,
guscio vuoto, oblio, che lo condannerà ad un presente indecifrabile.
Conclusione
13
Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro
Riflessione
La citazione di Montale porta il lettore a riflettere sul termine Memoria,
intesa come ricordo di fatti significativi avvenuti in un passato recente o
remoto. Nel nostro caso siamo spinti a riflettere sul culto del Milite ignoto e
la commemorazione dei caduti della Prima Guerra Mondiale.
Prima di intraprendere questo percorso, all’interno del progetto Erasmus+,
non ci eravamo mai posti il problema di capire a cosa servissero le varie
celebrazioni e commemorazioni che si fanno presso i monumenti dedicati ai
caduti in guerra, per il semplice motivo che non abbiamo avuto modo di
conoscere i fatti attraverso la viva voce di testimoni o dai racconti di parenti.
La nostra conoscenza della Grande Guerra e delle sue pesanti conseguenze
è avvenuta attraverso i libri di testo, e per questo non ci ha coinvolto o
suscitato interrogativi. Ora, invece, grazie a questo progetto, abbiamo la
possibilità di conoscere le ragioni della presenza dei monumenti, delle
epigrafi e di altri segni commemorativi nei nostri luoghi, e di conoscere le
ragioni per cui il 4 novembre è il giorno dedicato alla commemorazione e al
ricordo dei caduti.
La Memoria, come emerge dalla citazione di E. Montale, è il modo umano
per ricordare ciò che ha ancora valore, Memoria non è peccato fin che giova,
come può diventare luogo dell'indifferenza e del sonno della ragione,
quando non c'è riconoscimento dei suoi significati, Dopo è letargo di talpe.
Un esempio di Memoria, quale mezzo per ricordare, lo ritroviamo
nell’immediato dopoguerra, quando le cerimonie commemorative dei
soldati caduti per la patria erano Memoria [...] che giova, momenti in cui la
gente condivideva dolori, ricordava esperienze comuni. In questo modo la
classe dirigente formava gli italiani, dava loro le ragioni per sentirsi parte di
un tutto, il senso di unità nazionale, seppur ideale, che la popolazione agli
inizi del Novecento non conosceva. La guerra aveva lasciato dietro sé
disperazione e devastazione. L’idea della creazione di memoriali serviva
allora ad alleviare i dolori, i lutti, i problemi economici e politici della guerra,
trasferendoli nella dimensione collettiva del rito e del culto. Questa
operazione ideologica è senz'altro menzognera, illusoria, alle volte retorica
eppure etica, in quanto condivisa, sentita, partecipata, come dice l'io lirico
Memoria non è peccato fin che giova. E in questo caso giova alle madri, ai
figli, ai fratelli, alle mogli, perché lenisce il loro dolore nella e con la
condivisione. L’eticità della Memoria, dunque, consiste in questo
giovamento.
Introduzione
Significato progetto
Erasmus+
Analisi
Funzione della
Memoria
14
La seconda parte della citazione di Montale è una critica alla perdita di
significato di quei riti, di quei culti, di quei monumenti, che oggi vediamo
distrattamente, incapaci di leggerli, di interrogarli alla luce del presente.
In questo modo la Memoria perde il suo senso etico, diventando letargo di
talpe, abiezione che funghisce su sè. Conclusione
15
Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato
Riflessione
Cosa intende l'io lirico con il termine Memoria?
Per rispondere riflettiamo su alcuni aspetti del percorso appena iniziato sul
Milite ignoto. Noi, prima di iniziare questo progetto non avevamo Memoria
del Milite ignoto, ora, a poco a poco, leggendo, discutendo, confrontando
documenti, stiamo costruendo la Memoria, la nostra Memoria. A questo
punto, non siamo in grado di rispondere alla domanda iniziale, possiamo
però comunicare quello che abbiamo capito riguardo il termine Memoria,
riflettendo sul tema di cui ci stiamo occupando: Memoria non è solo un
insieme di suoni, significante privo di significati, è un insieme di azioni, di
comportamenti, di fatti che attendono di essere ri - letti ogni volta. Solo così
saremo in grado di “appropriarci “delle gesta dei soldati morti in battaglia, di
“patire” con loro attraverso il ricordo privato e collettivo.
Riteniamo, però, che per ricordare non sia strettamente necessario
partecipare alle celebrazioni pubbliche, che si svolgono ogni anno per
commemorare i defunti. Talvolta queste sono una stanca e ripetitiva parata
di personalità, dinnanzi a un popolo ormai ridotto a pubblico passivo di
eventi di cui ignora il senso. La Memoria viene così ridotta a mero spettacolo
privo di significato, se non quello della sua messa in scena, letargo di talpe,
abiezione che funghisce su sé.
Siamo convinti che sia possibile vivere diversamente la Memoria,
rintracciando i segni di questa attorno a noi, a partire dalle biografie delle
nostre famiglie, dal ricordo di un lontano parente, dalle storie sulla guerra
ascoltate nella nostra infanzia, quando le favole e i miti sono fedeli custodi
della Memoria.
Tali racconti dunque, sono la nostra Memoria, quella privata, discreta, priva
di eroi, popolata solo di figli, padri, mariti, fratelli, amici. Riteniamo che
questa Memoria privata sia il fondamento di ogni altra forma e significato di
Memoria. Solo se possediamo questa Memoria, la Memoria (...) giova. La
Memoria, perpetuata attraverso i riti collettivi, gioverà a noi, cittadini e non
più annoiati spettatori, se saremo capaci di collegarla alle tante Memorie che
ci portiamo dentro inconsapevolmente. Riflettere sul Milite ignoto, allora, è
un’occasione per costruire questo ponte tra la dimensione privata e quella
pubblica del dolore, e quindi della Memoria.
Non condanniamo le commemorazioni pubbliche, vogliamo denunciare la
nostra estraneità verso queste quando, privi di una memoria tramandata,
non abbiamo gli strumenti culturali per capirne i valori e i contenuti. Siamo
Introduzione
Parola chiave
Memoria
Memoria privata
Oblio
16
convinti che la Memoria allora diventa letargo di talpe, rito vuoto,
incomprensibile, lontano, rassicurante rifugio per talpe, incapaci di ri -
flettere, e quindi di riconoscere in quel rito anche la loro storia, la loro
Memoria.
17
Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano
Riflessione
In questo testo discuteremo la citazione proposta contenuta nel testo Voce
giunta con le folaghe di Eugenio Montale.
In questa citazione troviamo la concezione montaliana della Memoria
storica. La Memoria è da considerarsi positiva, solo quando porta
giovamento. E allora ci chiediamo quando la Memoria giova, a chi, perché?
Ci rendiamo conto che ora non possediamo né le conoscenze, né gli
strumenti per rispondere a queste domande. Lavorare a questo progetto,
affrontare il tema del Milite ignoto, sarà per noi occasione di ricerca di quei
contenuti che ci permetteranno di costruire le risposte.
Ora riflettiamo su alcuni aspetti emersi dalla riflessione all’interno del
gruppo. Il termine Memoria lo associamo all’attività del Ricordare, di cui
l’oggetto è il passato. Ci siamo chiesti quale sia il legame tra questi due
termini e quale la loro differenza. L’indagine di alcuni aspetti del codice
classico ci permetterà, attraverso lo studio di una cultura altra dalla nostra,
di raccogliere elementi utili per comprendere il senso della presenza o
assenza nella nostra cultura dei significati e valori legati all’arte della
Memoria e del Ricordo. Abbiamo utilizzato il termine “arte” perché
riteniamo che ricordare, e quindi la Memoria, non sia un’attività innata, ma
il risultato di un'educazione culturale, di un apprendimento lento, faticoso,
di linguaggi, di contenuti, di valori, di strumenti e di modalità.
La Memoria può avere diverse funzioni: catartica, quando lenisce il dolore
per la morte dei nostri cari; etica, quando aiuta l’uomo a prendere
consapevolezza di ciò che è successo, riconoscendo ideali e valori ancora
validi. Essere capaci di costruire ogni volta Memoria dei nostri passati,
rispettandone l'unicità, impone di riflettere sul presente. Un’ultima funzione
della Memoria che giova è quella collettiva. Infatti, la Memoria può unire un
popolo attraverso il riconoscimento di valori comuni. Per assolvere a questa
funzione la Memoria deve diventare occasione di dibattito costruttivo, di
confronto democratico delle diverse interpretazioni che i singoli fatti del
passato possono e debbono avere. Ad esempio, a seguito della Grande
Guerra, la classe dirigente ha cercato di riappacificare e unificare gli italiani
attraverso il ricordo del sacrificio dei caduti in battaglia. La Memoria può
diventare anche un mezzo per mistificare, illudere, nascondere certe verità.
La Memoria, dunque, come tutte le attività e forme culturali umane non è
mai neutrale o monosemantica, ogni volta per comprenderne funzioni e
significati dobbiamo contestualizzarla e incalzarla di domande. Solo così non
diventerà letargo di talpe.
Introduzione
Funzione del
progetto
Riflessione del
gruppo
Funzione della
Memoria
Conclusione
18
Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore
Argomento Le forme della memoria nella cultura romana
Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità
delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo
Fase B: Studio, lettura e analisi documenti.
Testi:
Orazio, Ode, III, 30
Ara Pacis
Riti augustei
Augusto di Prima Porta
Sarcofago dell’ex collezione Rinuccini
Omero, Iliade, libro XXIV
Cicerone, Philippicae, XIV,34 - 35, 21 aprile, 43 a.C.
Per questa fase del progetto, si è scelto di documentare le attività svolte sul testo di Cicerone,
a titolo esemplificativo del lavoro svolto anche sugli altri testi.
19
Testo: Consolazione ai parenti dei caduti, 21 aprile, 43 a.C
[34] Sed quoniam, patres conscripti, gloriae munus optimis et fortissimis civibus monumenti
honor persolvitur, consolemur eorum proximos, quibus optima est haec quidem consolatio,
parentibus, quod tanta rei publicae praesidia genuerunt, liberis, quod habebunt domestica
exempla virtutis, coniugibus, quod iis viris carebunt, quos laudare quam lugere praestabit,
fratribus, quod in se ut corporum, sic virtutis similitudinem esse confident. Atque utinam his
omnibus abstergere fletum sententiis nostris consultisque possemus vel aliqua talis iis adhiberi
publice posset oratio, qua deponerent maerorem atque luctum gauderentque potius, cum multa
et varia impenderent hominibus genera mortis, id genus, quod esset pulcherrimum suis obtigisse
eosque nec inhumatos esse nec desertos, quod tamen ipsum pro patria non miserandum putatur,
nec dispersis bustis humili sepultura crematos, sed contectos publicis operibus atque muneribus
eaque extructione, quae sit ad memoriam aeternitatis ara Virtutis. [35] Quam ob rem maximum
quidem solacium erit propinquorum eodem monumento declarari et virtutem suorum et populi
Romani pietatem et senatus fidem et crudelissimi memoriam belli; in quo nisi tanta militum virtus
exstitisset, parricidio M. Antoni nomen populi Romani occidisset.
Cicerone, Philippicae, XIV,34 - 35, 21 aprile, 43 a.C.
Attività:
1. Comprensione
a. Ricostruisci il contesto in cui l'orazione fu pronunciata
b. Genere. Argomenta con opportuni riferimenti testuali la scelta
c. Struttura, sequenze e loro funzione. Esplicita i criteri relativi alla divisione in
sequenze
d. Tesi, argomenti a sostegno
2. Analisi
a. Lessico, registro linguistico, destinatari
b. Sintassi, funzione connettivi, modi e tempi verbali
c. Livello retorico - stilistico
d. Parole chiave, costruzione relativi campi semantici
3. Interpretazione
4. Contestualizzazione
5. Produzione testuale quale sintesi del confronto all'interno del gruppo.
20
Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro
Analisi
Il 14 aprile, al Forum Gallorum, presso la Via Emilia, il console Pansa fu ferito
e sconfitto dalle truppe di Antonio; a Pansa giunse in soccorso Irzio, secondo
console in carica, che riuscì a sconfiggere Marco Antonio. La notizia della
vittoria giunse a Roma il 20 aprile del 43 a.C.: in questa giornata, venne
pronunciata la XIV Filippica scritta da Cicerone, durante un’orazione
pubblica all’interno del tempio di Giove Capitolino, in onore dei cittadini
romani che hanno combattuto nella battaglia di Modena contro Antonio ed
il suo esercito, per la salvezza della Res publica. È a questa Filippica che
appartengono i due paragrafi (34 - 35) oggetto dell'analisi.
Il testo, contenuto nelle Philippicae di Cicerone, appartiene al genere
letterario della consolatio. Questo genere ha lo scopo di offrire conforto al
dolore di un lutto.
La consolatio presa in analisi può essere divisa in tre sequenze:
1. Sed quoniam, [..] esse confident.
2. Atque utinam his [..] ara Virtutis.
3. Quam ob rem [..] Romani occidisset.
La prima sequenza ha la funzione di illustrare ai familiari dei caduti il motivo
per cui questi ultimi devono essere onorati e ricordati, invece che pianti. Ad
ognuno dei familiari, Cicerone dedica un particolare motivo di consolazione:
ai genitori, quello di aver dato alla vita dei figli che sono stati utili alla Res
publica; ai figli, quello di avere nei padri un modello di virtus; alle mogli,
quello di avere avuto un marito degno di lode ed ai fratelli quello di poter
somigliare a loro nella virtù. Il dolore privato viene così collocato in una
dimensione pubblica (“figli di valido sostegno alla repubblica”, “modello di
eroismo”, “esempi di virtù”), per cui i caduti vengono glorificati e trasformati
in eroi di fronte alla popolazione.
La sequenza successiva ha lo scopo di confortare i familiari dei caduti,
elencando i motivi per cui le lacrime vanno asciugate e per cui devono essere
fieri della morte dei loro cari. Vengono elencate le morti che non portano
onore o dignità (“insepolti o abbandonati”, “cremati e racchiusi in tombe
disperse”) e messe a confronto con l’onorevole morte dignitosa che, invece,
è riservata a coloro che si sono sacrificati per la patria: per questi ultimi,
infatti, verranno erette costruzioni in loro onore a spese dello Stato,
mausolei che manterranno vivo nel tempo il loro ricordo.
Nella terza e ultima sequenza viene definito il fine per cui lo stato erige un
monumento in onore dei caduti. Le funzioni del monumento sono quelle di
Introduzione
Contesto storico,
destinatario
Tipologia testuale
Consolatio
Struttura
funzione sequenze
Virtus
21
onorare e ricordare il valore di coloro che hanno combattuto per la patria,
di sottolineare la lealtà del senato e la pietà del popolo romano nei confronti
dei caduti, il cui sacrificio è valso a salvare la patria.
I temi presenti nel testo sono i seguenti:
• la sepoltura quale rito per preservare la dignità del defunto;
• la celebrazione pubblica del dolore come mezzo di propaganda;
• la morte per la patria come sinonimo di morte onorevole;
• il caduto per la patria come exemplum;
• il monumento quale luogo e mezzo per ricordare e mantenere viva
la memoria.
La parola chiave del testo è monumentum. Essa racchiude il significato
dell’intera consolatio: la celebrazione dei valori e della virtù dei caduti.
L’erezione del monumento è un'azione politica il cui fine è onorare coloro
che si sono sacrificati, facendo della pietra scolpita il simbolo della memoria
collettiva. Ara Virtutis, l’altare del valore.
Il lessico che Cicerone utilizza ha un significato rilevante nel sistema culturale
dell’autore, come ad esempio “honor”, “optima”, “virtus”, “fidem”,
“pietatem”, “memoriam”. Non sono presenti termini appartenenti al
registro quotidiano poiché l’occasione è formale e richiede un registro
linguistico elevato.
Dal punto di vista sintattico, Cicerone fa uso prevalentemente della forma
ipotattica. Nella prima sequenza infatti, Cicerone utilizza una serie di
proposizioni dichiarative in forma implicita introdotte dalla congiunzione
dichiarativa “quod”. La funzione di queste subordinate è quella di precisare
i diversi motivi consolatori rivolti contemporaneamente a destinatari diversi,
relativi ai diversi gradi di parentela (“quod tanta rei publicae praesidia
genuerunt”, “quod habebunt domestica exempla Virtutis”, “quod eis viris
carebunt, quos laudare quam lugere praestabit”, ”quod in se ut corporum,sic
virtutis similitudinem esse confident”). Cicerone, attraverso questi costrutti
sintattici, porta nella sfera pubblica il dolore che fino ad allora era
circoscritto alla sfera privata. In questo modo, i caduti diventano exempla
virtutis per i genitori, i fratelli, le mogli e il popolo romano; vengono inoltre
eletti optimi, in quanto si sono sacrificati per la patria.
È possibile ricostruire due campi semantici: quello relativo alla virtù
(“exempla virtutis”, “aeternatis ara virtutis”, “rei publica presidia”, …) e
quello relativo alla morte che può essere dignitosa (“contectos publicis
operibus”, “ara virtutis”) o indecorosa (“dispersis bustis”, “humili
sepoltura”). La morte dignitosa è connotata dalla sepoltura, protetta in
costruzioni innalzate a spese dello Stato, in onore dei caduti, per rendere
Temi
Parola chiave
Monumentum
Lessico
Stile
Exempla virtutis
Campi semantici
22
eterna la loro memoria; mentre la morte indecorosa è connotata
dall’insepoltura, dalla cremazione o dalla collocazione delle salme in tombe
disperse.
In conclusione, applicando il genere della consolatio privata all’oratoria,
Cicerone vuole onorare la memoria dei soldati in maniera collettiva e, allo
stesso tempo, giustificare la morte per il bene della patria. Il rito, la
sepoltura, ed il monumento diventano allora strumenti per espiare il senso
di colpa dei vivi e collocare il defunto in una dimensione pubblica del dolore.
Conclusione
23
Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani
Analisi
Il testo che analizzeremo è un estratto della quattordicesima Philippica di
Cicerone, l’ultima delle quattordici orazioni composte da Cicerone tra il 2
settembre del 44 a.C. e il 21 aprile del 43 a.C., pronunciate in senato (a
esclusione della quarta e della sesta tenute davanti al popolo e della seconda
scritta soltanto).
Il nome prende spunto dalle orazioni, Philippicae, scritte dell’ateniese
Demostene, a metà del IV secolo a.C. contro Filippo II di Macedonia,
considerato nemico della libertà greca. Cicerone, come Demostene, vuole
mettere in guardia i cittadini romani dal nemico comune: Marco Antonio.
L’estratto preso in considerazione è pronunciato il 21 aprile del 43 a.C., in
seguito alla vittoria delle forze senatoriali e ottaviane nella battaglia di
Modena contro Antonio: si tratta della consolatio finale (un genere letterario
finalizzato all’elaborazione dei lutti privati) rivolta ai parenti dei caduti.
In questo caso, l’orazione è pronunciata durante una cerimonia pubblica e lo
scopo di questo lavoro sarà quello di capire le modalità utilizzate da Cicerone
per rendere pubblico un lutto privato.
Innanzitutto esaminiamo la struttura del testo che può essere diviso in tre
sequenze.
Nella prima (“Sed quoniam […] esse confident”) Cicerone si rivolge al senato
e ai parenti dei familiari secondo i loro gradi di parentela, esortandoli ad
essere fieri dei loro congiunti.
Nella seconda sequenza (“Atque utinam […] ara Virtutis") l'io narrante
conforta i parenti dei caduti, esprimendo il desiderio di “asciugare loro le
lacrime” attraverso la parola, esortandoli a rallegrarsi in quanto ai caduti è
toccata la morte più bella poiché a loro sono riservate le tombe nell’ara
Virtutis.
Infine, nella terza sequenza, l’oratore conclude esponendo il più importante
motivo di consolazione per i parenti: l’Ara Virtutis testimonierà il valore dei
caduti, la pietà del popolo romano, la lealtà del senato e il ricordo di una
guerra che non sarebbe stata vinta senza l’eroismo dei soldati.
Il topic del testo è il valore dei caduti; questo concetto viene illustrato usando
una struttura argomentativa. In particolare la tesi sostenuta dall’oratore è
Introduzione
Genere Consolatio
Livello denotativo
Funzione Ara
Topic
24
“onorandoli con questo monumento paghiamo il tributo di gloria a cittadini
bravi e valorosi”, gli argomenti a sostegno sono:
• la consolatio non è necessaria in quanto i familiari devono essere
fieri dei loro congiunti per i motivi sopraelencati;
• ai caduti è toccata “la più bella” tra “le diverse specie di morte” e
il monumento sarà testimone del loro valore.
Questi argomenti sono rivolti ai senatori, come indicato da espressioni come
“o senatori” e “potessimo noi”, ed indirettamente ai parenti dei caduti, a cui
si rivolge con termini indicanti il loro grado di parentela con i defunti
(“parentibus”, “liberis”, “coniugibus” e “fratibus”) o con vocaboli come “loro”
e “costoro”.
I soldati invece sono connotati come exempla del mos maiorum. In
particolare l’oratore si rivolge a loro come “civibus”. Con questo termine
Cicerone vuole sottolineare la loro appartenenza alla res publica, quindi
vengono considerati prima di tutto cittadini e poi soldati. Inoltre il termine è
connotato da aggettivi quali “optimis” e “fortissimis”, volti a sottolineare la
loro superiorità etica rispetto ai loro concittadini romani, poiché hanno dato
la loro vita per il bene della Res publica.
Il compenso è costituito dalla gloria eterna, garantita dalla costruzione
dell’ara Virtutis, il monumento che preserverà il loro ricordo in eterno.
L’importanza di questo riconoscimento collettivo, connotata
dall’allitterazione presente nelle parole “munus” e “monumenti”, si
contrappone alle immagini dei cadaveri inhumatos e desertos, dei disperisis
bustis e di humil sepoltura, sottolineando così il privilegio ed il valore dei
soldati a cui è “toccata la morte più bella”, che dovrebbe essere di conforto
per i parenti.
Da questi elementi testuali e dalla loro organizzazione, comprendiamo come
Cicerone renda pubblico il lutto privato. L'attribuzione di questa doppia
funzione alla consolatio è dovuta inoltre ad una serie di motivi: il contesto in
cui è pronunciata la consolatio e, dato che il termine “patres conscripti”
indica i suoi destinatari, ovvero i senatori, questo è il senato, un luogo
pubblico; la funzione civile del monumento; la connotazione dei caduti.
Questi sono modelli di virtù, eroi morti per il bene della res publica a cui tutti
i cittadini sono debitori, quindi i valori attribuiti loro sono riconosciuti e
condivisi dalla collettività.
Questi argomenti, disposti in climax nella prima sequenza, costituiscono i
motivi per cui i parenti devono essere fieri della “bella morte” dei loro cari.
Destinatari
Livello connotativo
Motivo
Lutto
25
Il contenuto di questo argomento dimostra come il bene collettivo prevalga
su quello privato, il negotium e gli officia sull’otium. E allora i caduti sono
innanzitutto civibus al servizio della res publica, ed è questa loro funzione a
conferire valore alla loro morte, che pertanto è “la più bella”.
In conclusione, il lutto viene reso pubblico attraverso il riconoscimento
pubblico dei caduti, che perdono la loro individualità, diventando exempla
per tutta la comunità, che si sdebita nei loro confronti attraverso la memoria
eterna rappresentata dal monumento.
Conclusione
26
Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro
Analisi
La quattordicesima Philippica, l’ultima delle orazioni di Cicerone, fu
pronunciata in senato il 21 aprile del 43 a. C., appena ricevuta la notizia della
vittoria a Modena delle truppe di Ottaviano su Antonio.
È una consolatio, ovvero un genere letterario che ha come scopo principale
ricordare e consolare lutti privati, talvolta veniva applicata anche in
occasione di cerimoniali e lutti pubblici. Viene pronunciata di fronte ai
genitori dei decaduti e ai senatori riuniti per commemorare i valorosi
cittadini romani che hanno combattuto per il bene della Res publica.
Nel paragrafo 34esimo, l’autore si rivolge in prima persona ai parenti dei
caduti, cominciando dai genitori, proseguendo, poi, con mogli e fratelli,
invitandoli a non piangere per la morte dei loro cari bensì ad essere orgogliosi
di loro, in quanto si sono distinti come exemplum virtutis. Infatti, i genitori
non hanno solo generato esseri umani, ma anche cittadini validi per il
sostegno della Res publica (rei publicae praesidia); alle mogli non è concesso
piangere i mariti, ma piuttosto lodarli (laudare quam lugere); infine, i fratelli
sono invitati a emulare non solo i loro tratti fisici, ma soprattutto quelli morali
(ut corporum, sic virtutis similitudinem), in quanto siano per loro esempio di
eroismo. In questo modo l’autore trasferisce il dolore per la morte dei soldati
dalla dimensione privata alla sfera pubblica, ribadendo che quest’ultimi si
siano sacrificati per il bene della Res publica, quindi di tutti i cittadini.
A questo punto, l’autore si rivolge ai senatori, invitandoli a riflettere sul
significato della morte di questi soldati (“Atque utinam his omnibus astergere
fletum sementii nostris consolatisque possemus”). Cicerone, fiducioso nei
valori del mos maiorum, cerca di trasferire il dolore dal campo privato alla
sfera pubblica. Sostiene che tutto ciò che i soldati hanno fatto nella vita
privata è diventato funzionale alla res publica. In questa operazione
ideologica di trasformazione del dolore da privato a pubblico, l’autore trova
retoricamente il modo di operare una rimozione nei confronti dei parenti dei
caduti, utilizzando uno degli argomenti fondanti il mos maiorum: la loro
morte è stata la migliore possibile, hanno sacrificato la vita per il bene dello
Stato.
Proprio per questo motivo, Cicerone sostiene che lo Stato ha il dovere di
costruire, a sue spese, un’Ara Virtutis, all’interno della quale i corpi dei
soldati dovranno essere sepolti, in modo da concedere loro aeterna
memoria, come atto di riconoscenza nei loro confronti. In questo modo la
consolatio non è compassione, bensì una forma di negazione del dolore
Introduzione
Genere
Consolatio
Destinatario
Messaggio
Funzione
Struttura
argomentativa
Funzione
Monumentum
27
(“…cum multa et varia impenderent hominibus genera mortis, id genus quod
esset pulcherrimum”). Questa morte infatti non si accompagna alla tristezza
e all’angoscia, attributi della morte senza sepoltura, bensì è connotata da
termini appartenenti al campo semantico della serenità, dell'onore, della
dignità. È questa la miglior morte possibile, la morte che trova nella sepoltura
il riconoscimento del suo valore etico da parte della collettività. Tramite
quest’immagine, Cicerone vuole offrire ai parenti dei caduti il conforto, in
nome dell’humanitas, di un’Ara Virtutis che avrebbe dato ai loro cari eterna
memoria ed immortalità. Al contrario, rispetto a questi corpi sacralizzati, i
cadaveri inhumati e deserti, abbandonati, oggetto di stuprum, rimarranno
senza sepoltura.
La promessa di immortalità per i soldati morti per la salvezza della res publica
è presente nel paragrafo 35 ed è collegata al termine monumento, la più
grande forma di consolazione e di testimonianza del valore dei propri cari:
“Quam ob rem maximum quidem solacium erit propinquorum eodem
monumento declarari et virtutem suorum et populi Romani pietatem et
senatus fidem et crudelissimi memoriam belli”.
Da questa considerazione abbiamo dedotto che la parola chiave di questo
testo è monumento, in quanto la sua costruzione unisce la commemorazione
dei caduti di guerra al senso di appartenenza alla patria da parte dei cittadini,
in quanto quei soldati ricordati si sono sacrificati per il bene della res publica.
In altre parole il monumento è il mezzo che permette allo Stato di trasferire
il dolore da privato a pubblico, trasmettendo ai cittadini il senso di
appartenenza (mos) alla res publica.
Honor vs Stuprum
Conclusione
28
Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato
Analisi
La quattordicesima Philippica è un’orazione pronunciata da Cicerone in
seguito alla vittoria delle truppe di Ottaviano e di quelle dei consoli Irzio e
Pansa contro l’esercito privato di Antonio, il 21 aprile del 43 a.C. La
denominazione dell’opera risale allo stesso Cicerone, che la volle ricollegare
alle famose invettive pronunciate da Demostene contro Filippo di
Macedonia, le Filippiche.
Questa orazione appartiene al genere della consolatio. Cicerone, infatti,
elogia, rivolgendosi ai parenti, i soldati morti in battaglia allo scopo di
commemorarli e permettere l’elaborazione del lutto privato in forma
pubblica.
Il testo può essere suddiviso in quattro sequenze.
La prima sequenza va dal primo verso al nono. L'autore si rivolge ai parenti
dei soldati caduti, utilizzando una serie di proposizioni dichiarative, per
cercare di dare loro conforto in seguito alla perdita rispettivamente dei figli,
mariti e fratelli, modelli di eroismo “di valido sostegno alla repubblica”.
I parenti/destinatari sono ordinati secondo una climax decrescente di
parentela: in primo luogo si rivolge ai genitori, in seguito ai figli, alle mogli e
infine ai fratelli. In questa sequenza è presente il topos del sacrificio per la
patria. I familiari non devono disperarsi per la morte del proprio caro, devono
essere fieri: i genitori per aver procreato figli che si sono sacrificati per la
patria; i figli per aver avuto nei padri modelli di eroismo; le mogli per aver
perduto “uomini più degni di lode che di pianto” e i fratelli per aver
conosciuto esempi da imitare nelle virtù fisiche e morali.
La seconda sequenza va dal decimo al quindicesimo verso. In questa
sequenza l’autore dichiara di voler confortare i parenti con la parola. Il
conforto non è inteso come compassione ma come negazione del dolore: i
soldati sono caduti in battaglia per difendere la propria patria e perciò, i
parenti non devono disperarsi ma rallegrarsi in quanto è toccata loro la morte
più bella. Lo stesso topos è presente nell’Ode di Orazio, Dulce et decorum est
pro patria mori, III, 2, 13.
La terza sequenza va dal quindicesimo verso fino al venticinquesimo.
L’autore procede ad un’ulteriore rassicurazione alle famiglie dei defunti: i
corpi dei cari verranno riposti nell’ara Virtutis, quindi riceveranno sepoltura
e non verranno abbandonati. Per i Romani, infatti, seppellire il corpo
significava strapparlo all’oblio e consentirgli di passare nel mondo dell’aldilà.
Introduzione
Genere
Consolatio
Livello denotativo
Destinatari
Ara Virtutis
29
La sepoltura quindi era simbolo di appartenenza alla civitas e la mancata
inumazione sarebbe stata considerata come un oltraggio ai defunti
immolatisi per la patria.
Infine, nell’ultima sequenza, con un’iperbole, l’autore ipotizza che se non
fosse stato per l’ammirevole eroismo “militum virtus” il nome stesso del
popolo romano sarebbe stato distrutto.
All’interno della terza sequenza si trova la parola chiave del testo, ovvero
monumentum. Quest’ultimo è il mezzo attraverso il quale lo Stato riesce a
trasferire il lutto dalla sfera privata a quella pubblica poiché trasforma un rito
privato, quale il funerale, in una funzione pubblica, che ha una duplice
funzione: di propaganda e conservazione dei valori del mos maiorum, ed
eternatrice del valore della morte di quei soldati.
Nel passo analizzato i soldati anti antoniani caduti in guerra vengono
connotati con termini appartenenti al campo semantico del mos maiorum,
connessi al concetto di onore, valore e gloria (munus, optimis, fortissimis).
Questi termini vengono utilizzati per presentare i caduti come modelli di
eroismo in quanto salvatori della patria.
I, inoltre, soldati non sono connotati come viri bensì come cittadini (par. 34
civibus) utili alla salvezza della Res publica. Essi, infatti, sono considerati
cittadini romani, destinati a combattere e morire per la patria; così i caduti
vengono privati della loro identità, non sono più membri di una particolare
gens, ora sono exempla. In questo consiste la ri - semantizzazione del lutto:
esso viene trasferito dalla dimensione privata a quella pubblica e in questo
processo il corpo diventa sacer.
Militum Virtus
Parole chiave
Monumentum
Analisi connotativa
Mos maiorum
Res publica
30
Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano
Analisi
Il testo proposto fa parte della quattordicesima Philippica di Cicerone,
l’ultima delle sue orazioni, pronunciata il 21 aprile del 43 a.C. a seguito della
vittoria riportata a Modena dalle truppe di Irzio, Pansa e Ottaviano su quelle
di Antonio.
Il genere a cui appartiene questo testo è quello della consolatio, ovvero un
genere letterario codificato dalla retorica classica come un componimento
finalizzato all’elaborazione di lutti privati che veniva applicato, come forma
oratoria, in occasioni cerimoniali.
Il testo si apre con la tesi “onorandoli con questo monumento paghiamo il
tributo di gloria a cittadini bravi e valorosi”. Da questa, cogliamo il motivo
per il quale venne realizzato il monumentum, l'Ara Virtutis: per riconoscere
ai defunti il loro sacrificio e per essere stati cittadini romani valorosi.
L’estratto può essere suddiviso in due sequenze, in base alla loro funzione.
Cicerone, nella prima sequenza (“Sed quoniam […] ara Virtutis"), connota i
soldati caduti in battaglia come l’incarnazione dei valori del mos maiorum.
Per fare ciò si rivolge ai familiari dei defunti, illustrando ad ognuno le ragioni
della consolatio. I genitori sono i primi destinatari: essi non devono piangere
la morte dei loro figli, devono essere fieri di aver dato la vita a uomini che si
sono sacrificarsi per la Res Publica. I figli devono prendere esempio dai padri
come modello di eroismo. Le mogli non devono piangere i mariti, devono
lodarli per il sacrificio compiuto. Infine, per i fratelli questi caduti diventano
exempla da emulare per le loro virtù. Solo la morte per la patria, quale
officium civis, è degna di consolazione e commemorazione pubblica.
I caduti diventano in questo modo dei modelli virtuosi di comportamento
verso i quali la società si sente in debito, ne riconosce il sacrificio e vuole
“risarcirli” trasformandoli in eroi. A questo scopo costruisce loro altari e
monumenti per ricordarli in eterno, strappandoli ad una morte oscura. I
monumenti diventano quindi metonimie, simboli dei valori, in particolare
dell’onore, del sacrificio dei soldati, morti per la salvezza della patria.
Cicerone, attraverso questo discorso, abilmente costruito, ovvero la
consolatio, trasforma il dolore dei parenti in riconoscenza verso i defunti da
parte di tutti i cittadini, collocando così il dolore privato nella dimensione
pubblica. Questa operazione ideologica la realizza da un lato elevando i
soldati caduti in battaglia a valorosi eroi necessari per il mantenimento dello
stato, dall'altro sottolineando il sacrificio da loro compiuto nei confronti della
patria. Infatti, Cicerone designa i defunti con il termine cives, evidenziando
Introduzione
Genere
Consolatio
Tesi
Struttura
Destinatari
Funzione
Monumentum
Funzione rito
31
la loro appartenenza alla res publica anche, e soprattutto post mortem. Essi
non appartengono più alla gens, ora appartengono alla gens per eccellenza,
la civitas, la Res Publica, sono figli della patria. Dalla sfera privata, quindi, si
passa alla sfera pubblica in quanto i decreti della res publica possono
“asciugare le lacrime” ai familiari dei caduti e quindi alleviare il dolore e
rasserenarli al pensiero che la morte, che ha colto i loro cari, è la migliore
possibile, in nome della patria. Il passaggio del significato della loro morte
dalla sfera privata a quella pubblica avviene attraverso il rito. Il rituale della
sepoltura dei defunti, infatti, è un bisogno antropologico dell’uomo per
commemorare i propri defunti e per ricordarli. Nell'ultima sequenza vengono
illustrati i benefici della costruzione di un monumento in loro memoria:
consolazione dei congiunti, testimonianza dei valori dei propri cari,
dimostrazione della pietà del popolo romano, della lealtà del senato e il
ricordo di una guerra spietata che avrebbe distrutto il popolo romano senza
coloro che hanno combattuto.
La parola chiave, che racchiude il significato della consolatio, è
monumentum. I romani sentono l'esigenza di risarcire il sacrificio compiuto
dai soldati, caduti in battaglia, attraverso la realizzazione dell'Ara Virtutis.
Esso inoltre fa rifermento al senso di appartenenza alla Res Publica proprio
di tutti i cittadini romani.
Dalla parola chiave abbiamo costruito i campi semantici che riguardano la
memoria, la guerra e l'etica. Infatti, il lessico utilizzato nel testo è legato ai
valori del mos maiorum, in particolare l’onore, la gloria e il valore
riconosciuto ai caduti per la patria.
Per quanto riguarda la sintassi, essa è prevalentemente ipotattica. Nella
prima sequenza Cicerone utilizza delle proposizioni dichiarative, in forma
implicita e introdotte dalla congiunzione dichiarativa “quod”. Queste ultime
hanno la funzione di spiegare i motivi della consolazione per ogni grado di
parentela trattato. In ognuna di esse, Cicerone porta alla sfera pubblica il
dolore prima circoscritto solo alla sfera privata. In questo modo, i caduti
diventano exempla virtutis per i genitori, i fratelli, le mogli e il popolo.
Dopo aver discusso all'interno del gruppo, siamo giunti alla conclusione che
il testo ciceroniano ci sia servito come primo approccio per apprendere che
cosa si intenda per Memoria e culto del lutto pubblico nell'età classica.
Inoltre, dall'opera di Cicerone abbiamo tratto l'importanza che i romani
davano alla costruzione di Monumenti, ai luoghi della memoria, e l'Ara
Virtutis testimonia il riconoscimento della civitas del sacrificio compiuto dai
soldati romani per la Res Publica.
Parola chiave
Monumentum
Campi semantici
Livello sintattico
Conclusione
32
Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore
Argomento Le forme della memoria nella cultura romana
Finalità Ri - costruire le forme della memoria Acquisire consapevolezza riguardo la storicità
delle modalità di codificazione e trasmissione del dolore collettivo
Fase C: Costruzione percorsi antropologico - culturali.
Ambiti di indagine:
Lutto, rito, elaborazione collettiva del lutto
Corpo, sacer
Laudatio funebris, consolatio
Funerale gentilizio (corpo, identità)
Gens, riti collettivi
Mos, trasmissione del mos, memoria
Onore vs stuprum (virtus, pietas, bellum)
33
Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro
Il corpo tra sacralità e onore
Il progetto Erasmus+ “Insegnare la Grande Guerra – Educare alla pace” è
stato il punto di partenza per indagare le differenze e le analogie tra la
cultura classica e quella contemporanea riguardo la parola chiave “corpo”,
simbolo antropologicamente fondamentale del nostro percorso. Questo
saggio è il risultato di un lavoro di analisi e riflessione su testi letterari e non,
finalizzato alla comprensione/ ricostruzione della concezione del corpo nella
cultura classica. La successiva riflessione sul lessico valoriale del suo campo
semantico, sacer, honor, stuprum, laudatio funebris, consolatio, ci ha
permesso di acquisire consapevolezza riguardo il significato di termini da noi
trascurati.
La nostra riflessione sul corpo nasce dall'analisi del testo di Cicerone
Philippica XIV, 34 - 35, pronunciata il 21 aprile del 43 a.C. appena ricevuta la
notizia della sconfitta di Antonio a Modena. Nella consolatio Cicerone
sottolinea l'importanza di dare degna sepoltura ai caduti ed elogia la bella
morte in nome della patria: “id genus quod esset pulcherrimum suis [...]quae
sit ad memoriam aeternitatis ara Virtutis”. Emerge quindi l'importanza della
sepoltura per consentire al defunto di trapassare nel mondo dell'aldilà: la
non sepoltura, e quindi l'abbandono del cadavere, è segno di morte
indecorosa. La sepoltura è il rito che riconosce al defunto diritto di
cittadinanza anche post mortem. Dare ai corpi sepoltura, sul piano
simbolico, significa sottrarre il corpo all’oblio della morte: in questo modo il
ricordo del defunto si mantiene vivo nel tempo. Il tema della bella morte e
dell’importanza del corpo ritorna anche nell’Ode III,2 di Orazio. L'Ode si apre
con questa immagine: Angustam amice pauperiem pati/robustus acri militia
puer/ (...). L'io lirico rivolge l'esortazione al giovane sottoposto, durante il
servizio militare, a duri esercizi e sacrifici, che temprano il corpo e il
carattere. Questo riferimento rimanda alla concezione classica del corpo,
forma di virtù. Orazio si rivolge in quest'ode di argomento civile ai giovani
ufficiali, appartenenti alla classe senatoria o equestre, che si esercitavano a
cavallo per essere pronti a combattere contro i Parti, temibili nemici di Roma
e abilissimi cavalieri. E prosegue: Dulce et decorum est pro patria mori. /Mors
et fugacem persequitur virum/nec parcit imbellis iuventae/poplitibus
timidoque tergo. In questi versi, è dolce e bello morire per la patria, Orazio
riprende Tirteo (fr. 10W) e Simonide (fr.524 P) nell’esortazione ad affrontare
con coraggio la morte che non risparmia chi vilmente volga le spalle al
nemico e fugga. Quale ricompensa attente il puer robustus? La virtù, in senso
morale e militare, è un premio di per sé. Il virtuoso non tiene in gran conto
gli onori tributati dal popolo, che volubilmente può innalzare un uomo alle
Introduzione
Corpo
34
supreme cariche, ma anche gettarlo nel fango. Alle anime di questi grandi,
di questi virtuosi, secondo gli Stoici era riservata l'immortalità. La virtù è un
dono proprio di anime privilegiate: Virtus recludens immeritis mori/caelum
negata temptat iter via/coeptusque vulgaris et udam/spernit humum
fugiente penna.
Dunque, il corpo del puer robustus è mezzo e fine della sua formazione etico
- militare. Il corpo del soldato è la sintesi della virtù militare e morale. Questa
concezione del corpo è evidente soprattutto nella statuaria greco - romana:
gli eroi, i sovrani sono rappresentati nel pieno della giovinezza, ideali corpi
atletici che lasciano trasparire le qualità del soggetto rappresentato.
A questo punto del nostro lavoro, dobbiamo restringere lo studio del tema,
oggetto della nostra analisi, il corpo, alla sua relazione con la morte. Alla luce
di questa relazione semantica, indagheremo il significato prima e le affinità
poi, di alcune parole appartenenti al campo semantico corpo - morte. I
termini oggetto della nostra indagine sono: riti collettivi, riti privati, sacer,
honor, Mater.
Il corpo ha un valore fondamentale nei riti sia collettivi che privati: era
attorno al corpo del defunto che avvenivano prima le lamentazioni delle
donne e successivamente i riti funerari collettivi. La sepoltura e i riti erano
espressione della dignità del defunto: un corpo deturpato e insepolto era un
corpo sottoposto allo stuprum, al disonore. Questo aspetto, relativo alla
degna sepoltura, è presente nell’Iliade quando Ettore chiede ad Achille di
restituire il suo corpo al popolo in caso di sconfitta. Achille non rispetta la
richiesta dell’avversario, al contrario lo deturperà per giorni. Allora Priamo
si recherà nell’accampamento acheo per chiedere ad Achille la restituzione
del corpo di Ettore e celebrare così degni funerali (“Fermeremo la guerra per
darti il tempo di onorare tuo figlio, vecchio re” risponde Achille.). Il corpo
dell'eroe è simbolo della guerra, rappresenta la forza e la potenza: non c’è
eroe di cui non si ricordino, oltre che lo splendore morale, anche quello fisico
nel momento del combattimento. “La fascinazione per le armi è costante, e
l’ammirazione per la bellezza estetica dei movimenti degli eserciti è
continua. [...] Si direbbe che tutto, dagli uomini alla terra, trovi
nell’esperienza della guerra il momento di sua più alta realizzazione, estetica
e morale”.
È doveroso, a questo punto, soffermarsi sul termine sacer, data la valenza
sacra che il corpo dell'eroe assume post mortem. La sacralizzazione del corpo
dell’eroe - soldato - milite ignoto, accomunati dalla “bella morte“, sarà una
costante del bisogno dei vivi di risarcire questi morti.
Corpo, sacer
35
Sacer, deriva dalla parola di origine indoeuropea sak che, attraverso
l’immagine del recinto, conduce al significato di “separazione”, un recinto
divide, separa, protegge. Da sacer deriva l’aggettivo sacrum, che si riferisce
a qualcosa di distinto e separato dal nostro mondo, tutto ciò che ha contatto
con una sfera superiore che l’uomo non può dominare, quella del divino.
Essendo qualcosa su cui l’uomo non ha potere e controllo, egli tende a
temere il sacro, ma nel contempo ne è attratto. Alla base di ogni religione vi
è questo rapporto. La religione tende a mettere in contatto, e allo stesso
tempo a separare, l’area divina da quella umana - terrena.1 Infatti, ci sono
tempi, luoghi e persone particolari adibiti al contatto con il sacro, separati
quindi dalla vita scandita dal lavoro. Ciò che avviene al di fuori di questi spazi
è profano, ovvero posto di fronte (pro) al tempio (fanum), non appartenente
alla divinità.
La ragione è quella che opera la divisione tra sacro e profano, basandosi su
due principi: quello di non contraddizione, secondo il quale ad esempio è
impossibile che il sacro sia e non sia allo stesso tempo, e quello di identità,
secondo il quale il sacro è il sacro e non può essere profano.1
Dall’opposizione tra sacro e profano, si delineano anche i concetti di lecito e
illecito, espressi dai termini latini fas e nefas. In particolare, la parola fas
indica la liceità di un determinato comportamento in relazione alla sfera del
sacer, mentre con nefas, gli antichi Romani indicavano tutto quello che non
fosse possibile fare senza incorrere nell'ira degli dei. Nefas è quindi l’atto di
entrare nella sfera del sacro, la quale non compete agli uomini, come scrive
Orazio (Ode i, 11 “Tu ne quaesieris, scire nefas”).
L’opposizione tra sacro e profano si sovrappone a quella tra puro e impuro,
definendo la sfera del male e quella del bene. Ciò che è male, impuro, è
contagioso: il rito ed il sacrificio servono ad allontanare le forze malefiche e
a propiziarsi quelle benefiche. Nei riti, l’uomo cerca di trovare un punto
d’incontro tra la sfera umana e quella divina, cerca cioè di avvicinarsi al
sacro.
Ad esempio, attraverso il rito funebre, l’uomo affida ad un sarcofago il
compito di proteggere e conservare il corpo del defunto, che diventa sacro.
Il termine sarcofagus deriva dal greco sarko - phàgos. È una parola composta
da sarko - da sarx, “carne”, e - phàgos da phaghein, “mangiare” con il
significato quindi di mangiatore di carne. Inizialmente, il termine indicava
una pietra calcarea che aveva la capacità di erodere un cadavere in alcuni
giorni. In seguito, passò a significare monumento funebre a forma di feretro.
Sarcofagus ricorda anche la parola sacer. La chiusura del sarcofago divide il
mondo esterno con il corpo del defunto, dividendo cioè il sacro dal profano.
36
L'altra parola, oggetto della nostra riflessione, e collegata al tema del corpo,
è honor, di cui stuprum è l'antitesi. Infatti, dall'analisi dei testi, sono emersi
elementi culturali per cui il termine honor, legato al concetto di corpo, è
collegato alla sfera semantica della morte eroica o “bella morte”, al contrario
il termine stuprum, inteso come oltraggio del corpo, è sinonimo di morte
anonima, inutile. La virtù, l'honor, sacralizzano il corpo. A tal proposito, è
significativa la scena del duello fra Achille ed Ettore. Ettore, sul punto di
morte, guarda Achille e con l'ultimo soffio di vita gli dice:” Ti supplico, non
abbandonarmi ai cani, restituisci il corpo a mio padre”. L'importanza del
corpo è presente anche nella prima fase del combattimento.
Ettore” Giurami che se vincerai prenderai le mie armi ma non il
mio corpo”3. Queste citazioni richiamano il concetto della 'bella
morte’ dell'eroe, motivo di onore e di pianto familiare durante i
rituali funebri. L'immortalità, il kleos aphthiton, è conferita dalla
morte eroica. Questa idea di immortalità è presente anche nei
riti funebri dell'Antica Roma. Infatti, come si può comprendere
dal rilievo con corte funebre da Amiternum (I secolo a.C.), il
defunto è disteso sul letto e coronato d'alloro, si sorregge il capo con la
sinistra mentre il gomito è puntellato sui cuscini. Questo atteggiamento gli
conferisce una posa da 'vivo’ e fa dubitare del fatto che sia una salma. La
questione è che senza la bella morte questa ideale immortalità non si
sarebbe verificata in quanto non avrebbe permesso l'esposizione del corpo
del defunto. “È proprio per questo che Achille vuole oltraggiare Ettore
quando lo trascina con il suo carro e si accanisce contro il cadavere affinché
non abbia una bella morte”3. L'oltraggio al cadavere è quindi la contropartita
della morte eroica. Alla morte eroica succedono funerali, che sono una
specie di apoteosi. È per questo che Ettore, una volta capito che Achille è più
forte di lui, sceglie la morte eroica. Achille vuole impedirgliela, rendendo il
suo cadavere spaventoso, sfigurandolo perché non assomigli più a niente e
non resti che un ammasso di carne. Da questa scena fra Achille ed Ettore, è
evidente come sia importante la bella morte per l'eroe - soldato - milite
ignoto. È il suo risarcimento, il senso del suo sacrificium, riconosciuto dalla
collettività nel rito funebre. Accanto a questo aspetto, vi è il desiderio, la
necessità dei familiari del defunto di onorarlo, piangerlo e dargli una degna
sepoltura.4 È proprio questo uno dei motivi alla base del riconoscimento
collettivo del valore del Milite Ignoto: egli rappresenta ogni eroe - soldato,
caduto in battaglia, dulce et decorum est pro patria mori, onorato con il rito,
il corteo funebre ed infine con la degna sepoltura.
A questo proposito, considerando il rito funebre, in particolare quello
privato, emerge con forza la presenza della figura della donna, in particolare
quello della Mater. Per rintracciare e identificare questo ruolo nel mondo
Corpo, honor vs
stuprum
Laudatio funebris,
consolatio,
funzione Mater
37
classico, prendiamo in analisi alcune delle figure femminili presenti ne
l’Iliade. Durante la guerra, ogni donna piange un figlio, un marito, un fratello
caduto combattendo: “Essendo allo stesso tempo posta da difendere e
prede da conquistare, le donne non possono che piangere quando il loro
difensore scompare”6.
In epoca classica era fondamentale la presenza dei parenti, in particolare
delle donne, che si riunivano attorno al corpo del defunto nel momento in
cui esso veniva esposto durante il rito funebre. Non avere nessuno dei
parenti attorno a sé sul letto di morte, era una sorta di disonore e non avere
un corpo su cui piangere rappresentava un dispiacere soprattutto per le
donne, come accade nell’Iliade,5 quando Achille, dopo aver ucciso Ettore,
inizialmente si rifiuta di restituire il corpo alla famiglia e al popolo,
deturpandolo e umiliandolo, come illustrato sopra.
La presenza delle donne risulta indispensabile nel primo momento dei
funerali: quello privato. Esse piangono il morto e le proprie sventure che
derivano dalla morte di quest’ultimo: egli è infatti, come già detto, il
difensore della famiglia e del popolo. I lamenti delle donne non evocano
tanto la grandezza dell’eroe quanto i mutamenti cui vanno incontro data la
sua assenza. Accanto alle donne, vi sono poi i cantori professionisti che
intonano le melodie in onore del defunto.
La donna romana aveva il compito di esternare il dolore della perdita: “si
trattava della drammatizzazione di un sentimento in cui il rituale sanciva il
passaggio del defunto dalla società dei vivi al suo nuovo status”. Attorno al
V secolo, con le leggi delle XII tavole, queste manifestazioni vennero limitate
ma le donne continuarono comunque a esprimere il dolore con gesti
eclatanti: una testimonianza è data dalle immagini raffiguranti riti funerari,
in particolare donne disperate intente a piangere, con i capelli sciolti e il
petto denudato. Motivo già presente nell’Iliade,5 quando Ecuba chiede al
figlio Ettore, piangendo e scoprendosi il seno, di non andare a combattere
con Achille, oppure quando sempre lei inveisce contro Achille per vendicare
Ettore innalzandosi, per un momento, allo stesso livello di ferocia di colui
che le ha ucciso il figlio: “potessi il suo fegato morderlo e divorarlo”. In
quanto madre, non può perdonare l’assassinio del figlio.
Dalle tre lamentazioni pronunciate rispettivamente da Andromaca, Ecuba e
Elena emergono diversi aspetti e funzioni del defunto, come pure diversi
effetti che la sua morte ha sortito su loro.
Andromaca, in quanto moglie e madre di suo figlio, evoca le atrocità della
guerra e l'inevitabile destino di Troia dopo la morte del marito: “Ettore, tu
muori giovane e mi lasci vedova nella nostra casa [...] Questa città sarà
38
distrutta, perché sei morto tu che la proteggevi [...] Ti piangono i tuoi
genitori, oggi, ti piange tutta la città, ma nessuno ti piange con tanto dolore
come la tua sposa, che mai dimenticherà che sei andato a morire lontano da
lei”.
Ecuba ricorda il favore degli dei nei confronti del figlio e quindi del suo
popolo: “Ettore, tra tutti i figli, quello più caro al mio cuore. Gli dei che tanto
ti hanno amato in vita, anche da morto non ti hanno abbandonato. [...] Ti ha
spezzato la lancia di Achille, ma di una dolce morte sembri morto, figlio mio”.
Elena ricorda le qualità di Ettore, capace di conciliare forza, coraggio,
dolcezza, philia: “Ettore, amico mio. [...] E in vent'anni mai una volta ho
sentito da te una parola cattiva, o un'offesa. E se qualcuno mi malediceva,
tu sempre mi difendevi. Io ti piango perché piango con te l'unico amico che
avevo. Te ne sei andato, lasciandomi sola in pasto all'odio di tutti”.
Il pianto della donna svolge una funzione antropologica: si tratta di colmare
la “crisi della presenza”1 causata dalla perdita di una persona cara. Il pianto
è una necessità per i vivi. Le lacrime delle donne appartengono
esclusivamente al privato in quanto il loro significato è assolutamente
affettivo, significato diverso da quello dell'elogio del morto, faccenda
esclusivamente maschile. Questo dipende anche dalla condizione della
donna in epoca classica: ella doveva generare i figli, allevarli in modo tale
che una volta adulti potessero occuparsi dei loro doveri nei confronti del
popolo. La donna, in quanto madre e sposa, doveva rimanere al suo posto.
Se dovessimo stabilire una gerarchia dei ruoli femminili, è indubbiamente la
madre che ricopre il ruolo rilevante: in quanto genitrice, il suo ruolo è quello
di crescere i figli in funzione dei loro officia futuri.
Dalla lettura e analisi dell’Iliade,5 emerge che, pur essendo questo poema
epico un “monumento” alla guerra, tra le righe è possibile leggere la volontà
e il desiderio di pace. A tal proposito è fondamentale il ruolo svolto dalla
donna nelle sue diverse funzioni. Sono, infatti, le donne a pronunciare
spesso il desiderio di pace: esse, ai margini del conflitto vero e proprio,
rappresentano una sorta di civiltà alternativa, libera dal dovere della guerra,
una civiltà che intravede un'alternativa. Un esempio sono le tre donne,
precedentemente considerate, che intonano una supplica di pace nel
momento in cui Ettore, nel sesto libro, entra in città. Come accade anche per
il lamento funebre, ogni donna si esprime con una propria “tonalità
sentimentale”5: la madre lo invita a pregare, Elena lo invita a riposarsi e
infine la moglie lo invita ad essere padre e marito prima che eroe e
combattente. La sfera famigliare e quella pubblica (figlio, padre, marito,
amico vs eroe, guerriero) seguono etiche diverse e, talvolta, inconciliabili.
39
È interessante rilevare come alla componente femminile dell’Iliade,5 sia
riservata la comunicazione dei valori della sfera affettivo - famigliare,
comunicazione, che si ritrova indirettamente anche in quelle sequenze in cui
gli eroi, invece di combattere, dialogano, quasi a voler temporeggiare: la
parola è in grado di congelare la guerra, è un modo per salvarsi
momentaneamente dall'inevitabile. Sembra quasi che quanto più si avvicini
il momento della vittoria della cultura guerriera e dell'inevitabile scontro
finale, tanto più prevalga l’inclinazione femminile alla pace (basti pensare al
dialogo tra Priamo e Achille e alla temporanea tregua per celebrare il
funerale di Ettore).
In conclusione, il ruolo della donna, in particolare quello della Mater durante
i riti funebri, era strettamente legato alla sfera privata. Nonostante questo
ruolo limitato, la donna riesce a comunicare il desiderio di pace che affiora
dal Conflitto, desiderio quasi mai espresso dalle figure maschili, che al
contrario “devono” elogiare la guerra e presentarla come necessità per
raggiungere la pace.
Oggi come ieri: due logiche diverse, due etiche inconciliabili a confronto.
Sono le donne che coraggiosamente esprimono affetti, piangono, senza
temere di essere considerate vulnerabili e deboli, stereotipo della donna
ancora presente nella nostra cultura, che utilizza, talvolta ipocritamente, in
funzione ideologica la presenza femminile nei riti collettivi proprio per la sua
valenza affettivo - famigliare. La madre diventa allora la Madre, e il suo
pianto diventa il Pianto di tutte le madri, i cui figli virtuosi vengono
sacralizzati dal pianto collettivo, perché dulce et decorum est pro patria mori.
Documenti
1. A. Baricco, Omero, Iliade, 2004
2. H. Monsacrè, Le lacrime di Achille, 2003
3. J. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia,2007
4. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011
5. Omero, Iliade, VI, XII, XIV
6. U. Galimberti, Orme del sacro, 2000
Conclusione
40
Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani
La sacralità del rito e del culto
La consegna per il seguente lavoro consiste nella scrittura di un saggio breve
riguardante alcune parole chiave ricavate dall'analisi, svolta
precedentemente, della Philippica XIV di Cicerone. A partire da queste
parole chiave e relativo campo semantico, abbiamo esaminato una serie di
fonti proposte dalla professoressa Giuseppina Gambin. Il testo
argomentativo è strutturato in base alle parole chiave, ordinate dal generale
al particolare, a partire da quella che riteniamo fondamentale: il rito.
Con il termine rito si indicano le procedure formali, gli atti di osservanza
religiosa e le cerimonie di un culto o, in un'accezione più ampia, qualunque
comportamento o attività formalizzata che si svolge secondo regole o
procedure specificate dalla società.1
In particolare, nel mondo romano, i riti si possono definire nel primo modo,
ovvero come cerimonie legate alla religione. Infatti, osservando le
celebrazioni ed i relativi rituali presenti nel calendario romano, queste sono
tutte dedicate a qualche divinità, dai Compitalia di gennaio dedicati ai Lari,
in cui le famiglie appendevano al portone della propria casa una statuetta
della dea Mania ed altre figure fabbricate con la lana rappresentanti uomini
e donne accompagnante da richieste di protezioni ai Lari, ai Saturnalia di
dicembre, dedicati a Saturno, in cui veniva sovvertito l’ordine sociale e
veniva eletto un princeps rappresentante Saturno o Plutone.
Quindi, il rituale è un modo per mettersi in contatto con la divinità attraverso
l’azione: ciò è individuabile in particolare nella religione romana, poiché in
essa il rapporto con la divinità è configurato dal rito, finalizzato ad ottenere
la pax deorum e quindi la benevolenza degli dei verso Roma.
Però il rituale indica anche il comportamento da seguire verso la sfera del
sacro, ciò è ricavabile esaminando i termini fas e nefas, rispettivamente “ciò
che è lecito” e “ciò che non è lecito” rispetto al diritto divino e quindi quali
erano i comportamenti leciti di fronte alla religione, ma anche alla morale e
al diritto.
Da ciò possiamo ricavare il “pragmatismo” della religione romana, che
possiamo definire “contrattualistica” perché basata su un foedus tra dei e
uomini finalizzato ad ottenere la pax deorum.1 Inoltre, come affermato da
Emile Durkheim nel saggio “Le forme elementari della vita religiosa”, i rituali
sono anche strumento di coesione sociale, rafforzata dalla loro periodicità e
sacralità. Attraverso essi, l'individuo si sente in contatto con forze superiori;
ma ciò che viene interpretato come influenza divina, in realtà non sarebbe
Introduzione
Definizione
Rito
Il rito e la divinità
Rito funebre
41
altro che l'esperienza dell'influenza della collettività sull’individuo.3 Quindi il
rito nell’antica Roma è un mezzo per affermare la propria religiosità e la
propria appartenenza alla comunità. Affermato ciò, andremo a trattare di un
rito particolare, quello funebre, nella civiltà romana.
Esso (per le classi più agiate) si componeva di due parti: l’esposizione del
defunto nella casa ed il funerale vero e proprio. Per la prima, il corpo veniva
preparato dalle donne della casa o dal libitinarius, che lo faceva per
professione. Il corpo veniva esposto per un paio di giorni in cui parenti e
concittadini potevano rendergli omaggio.
La seconda consisteva in una processione per le strade della città verso il
luogo di sepoltura in cui i familiari indossavano maschere di cera degli
antenati (ad indicare l’utilizzo del rito anche per esaltare la casata nobiliare).
Durante il corteo gli uomini dovevano esprimere contegno e decoro e
recitare la laudatio funebris, un’orazione dedicata al defunto, mentre le
donne dovevano manifestare il dolore della perdita con grida, graffi e
percosse al petto; anche se ciò era solitamente compito della prefica, pagata
per compiere questi gesti, dato che una delle leggi delle dodici Tavole limita
questi comportamenti. Le prefiche avevano il compito anche di intonare
canti particolari, le neniae, che, accompagnati al pianto, avevano la funzione
di far superare la “crisi della presenza”, ovvero uno stadio di incertezza
causato dalla perdita, provocando, appunto, uno stato di crisi
dell’individuo.4
La ripetizione di questi gesti rituali era finalizzata alla elaborazione del lutto.
Il termine lutto deriva dal latino luctus – us, derivante dal verbo lugere,
“piangere, essere in lutto”, e indica a un tempo la situazione di chi ha
perduto una persona amata, il lento e doloroso processo di accettazione e
interiorizzazione di un decesso, che in psicoanalisi viene definito il “lavoro
del lutto”, e l'insieme di segni esteriori, culturalmente codificati, adottati in
occasione della morte di qualcuno.5
Oltre ai gesti già esposti, solitamente uomini e donne esprimevano il lutto
attraverso posture raccolte, con una mano a supporto del mento, oppure
ripiegati su sé stessi con le mani abbracciate alle ginocchia; entrambi i
comportamenti sono presenti nel rilievo di un sarcofago del III secolo d.C.
del Muséè National du Moyen Age, rappresentante il compianto attorno al
letto funebre di una ragazza. Questa è sdraiata al centro del rilievo in una
posa che fa sembrare quasi che stia dormendo, mentre le figure che la
circondano, in particolare due sedute ai lati del letto funebre, mostrano i
gesti trattati. Entrambe hanno le gambe incrociate, ma mentre quella a
sinistra supporta il viso con una mano, l’altra abbraccia le ginocchia con le
Lutto
Dal rituale al lutto
42
mani. L’atto di intrecciare o chiudere parti del corpo era una formula di
scongiuro usata per tenere lontane le forze negative, mentre le ginocchia,
nella cultura greca e romana, erano sede dell’energia vitale. In questo caso,
quindi, questo gesto può essere interpretato come un tentativo di
proteggere la propria energia vitale, perduta a causa del dolore della perdita.
Dopo aver esaminato elementi come l’esposizione della salma, la laudatio
funebris, le neniae, i pianti, e quindi tutti i gesti finalizzati ad esprimere il
lutto, si può notare come essi siano basati soprattutto sulla memoria del
defunto.
Questo si può notare anche esaminando i rilievi di alcuni sarcofagi di bambini
di epoca romana.6 Essi rappresentano scene legate al rituale funebre, in
particolare al lamento e al lutto dei parenti.
Le poche immagini di questo tipo si trovano sui sarcofagi di bambini e quasi
sempre si tratta di bambini maschi. È interessante il fatto che in questo caso
la scena prescelta non sia l'esposizione solenne della salma, ma una scena di
lutto privato, silenzioso, nella cerchia dei familiari. Su un sarcofago di
bambino di epoca Antonina proveniente dalla necropoli di Agrigento (130 d.
C.), il bambino morto giace avvolto in una coperta su un divanetto. Non è
esposto in modo solenne su un catafalco, ma è disteso in modo tale che
sembra dormire. Ai lati del letto funebre sono seduti i genitori, addolorati.
Con un gesto tipico del lutto si sono tirati la veste sul capo per separarsi dal
mondo esterno e nascondere il volto. Dietro il lettino, invece, tre figure
sfogano i propri sentimenti: il pedagogo, la balia, che accarezza il bambino,
e un'ancella, o una prefica professionale, che si strappa i capelli in segno di
disperazione. Questa scena è accompagnata da altre, che rappresentano i
ricordi dei parenti in lutto. A sinistra della scena funebre si vede il bambino
che ascolta il pedagogo, o il maestro di grammatica. Sulla parete laterale
sinistra il bambino è seduto su un carro tirato da un caprone, un gioco molto
amato dai bambini romani. La parete laterale destra ricorda la nascita. La
balia solleva il neonato dopo il bagno. Sullo sfondo sono presenti le tre
Parche Cloto, Lachesi e Atropo, riunite attorno ad un pilastro con il globo del
mondo. Una delle tre Parche stabilisce l'oroscopo secondo l'ora della
nascita. Lo sguardo retrospettivo sulla vita del bambino ha una duplice
funzione: ricordare la felicitàà in vita del bambino, ma anche il fatto che la
sua morte era segnata fin dalla sua nascita. È notevole che la scena funebre
contenga immagini del ricordo, della memoria, che rinnovano il dolore di chi
guarda e al tempo stesso aiutano a relativizzarlo: nessuno può sottrarsi al
proprio destino.
Il sarcofago come
mezzo per ricordare
43
È interessante rilevare la presenza della Parca, segno mitico legato alla
memoria. Il mito consola il dolore, trasformandolo in memoria. Il mito
risemantizza i ricordi: dato che lo scopo del rituale è quello di consolare i
parenti, le rappresentazioni sul sarcofago comunicano un messaggio di
speranza attraverso la trasformazione mitica della memoria.
Questo si può notare anche sul sarcofago dell'ex collezione
Rinuccini, attualmente a Berlino (200 d.C.). Su questo
sarcofago singolare per la combinazione di diversi “piani
linguistici”, il carattere e i pregi del defunto vengono celebrati
in tre diverse scene: a sinistra egli appare come un buon marito
insieme alla moglie e alla dea Concordia, poi come generale,
pronto al sacrificio, e a destra nell'immagine allegorica del
cacciatore Adone, che perde la vita durante un incidente di
caccia.
Su un sarcofago proveniente da Stoccarda le persone raccolte
dietro il letto funebre sono divise in due gruppi: a destra le
prefiche piangono con le mani sollevate in segno di
disperazione, mentre sulla sinistra tre Muse accompagnate da
Hermes si stringono al giaciglio. Una Musa tende le braccia
verso il bambino. Le Muse vogliono accogliere il fanciullo nella loro cerchia
con l'aiuto di Hermes. Infatti, se guardiamo attentamente, il bambino è giàà
vestito come la Musa che si dirige verso di lui. La stessa cosa si ritrova in un
sarcofago di bambino al Museo Romano delle Terme, dove il defunto è
raffigurato due volte: sotto il letto funebre come corpo senza vita e sul letto
funebre come compagno delle Muse. In questo caso i genitori volevano
avere davanti agli occhi l'immagine del bambino risvegliato a nuova vita nella
cerchia delle Muse. In entrambi i casi il bambino per le sue doti è il
beniamino delle Muse, come narrato dalle scene retrospettive. Per gli
scultori non si trattava di reclamare per il morto una qualche forma di vita
futura, quanto piuttosto di evocare, l'una accanto all'altra, una serie di
immagini consolatorie. Nel caso del compianto per bambini morti, a
differenza delle altre molte immagini di lamento e di lutto che parlano solo
nel linguaggio del raffronto mitico - allegorico (sarcofago ex Rinuccini), la
coerenza mitologica non è un requisito. Infatti, le raffigurazioni del
compianto per i bambini morti mostrano scene della loro vita, sia pure
riprodotta in termini non realistici. Questa caratteristica del compianto
funebre dei bambini forse dipendeva dal fatto che la perdita dei bambini era
sentita come particolarmente dolorosa e li si voleva ricordare così
com'erano stati, com'erano cresciuti tra le pareti di casa. La tendenza ad
associare uno sguardo retrospettivo a immagini di speranza, proiettate in
44
avanti, si ritrova anche in molti sarcofagi con rilievi mitologici. Solo in casi
rari l'osservatore è posto di fronte alle immagini della morte e del lutto senza
nessuna idea consolatoria, fosse anche solo il ricordo delle virtù del defunto.
Ed è interessante notare che le scene funebri senza motivi consolatori sono
quelle più antiche.
Il mondo dei sarcofagi, come d’altronde quello delle epigrafi, ci offre così
un'immagine vivida ed umanissima dell'amore per la vita nella società
romana, che, si potrebbe affermare, di fronte alla morte sente il bisogno di
rimedi spirituali codificati ed accessibili a tutti (come per esempio lo
ricordano i monumenti funebri), rimedi che, come afferma Acquaviva
“rispondano in maniera semplice ed immediata all'inquietante prospettiva
del, non - essere”. Ma se ci pensiamo bene ancora oggi si ha la tendenza a
qualificare la “morte” come “santa” e parlano di “santa morte”, come è
avvenuto per esempio con il milite Ignoto. Varie fonti, come per esempio gli
annales, riportano inoltre, il fatto che la “morte”, a Roma era sentita come
evento che segna un passaggio, una mutazione di essere e di dimensione, è
il “confine ultimo”, come affermava Timeo nell’Olympionikai, valicato il
quale, si entra nell’Altro che in questo modo si viene ad identificarsi come
Sacer, ciò che è riservato esclusivamente per gli Dei.
Etimologicamente infatti sacer risale alla radice sak-, che ha numerosi
riscontri nelle lingue italiche: osco sakoro 'sacra', sacrid abl., etrusco sakrím
'hostiam', sakarater 'sacratur', anche saqāru, ovvero “invocare la
divinità”, in sakāru “sbarrare, interdire” oppure sakaraklum 'sacellum',
sakra 'sacras', sacre 'sacrum', ecc. Tra i composti e i derivati basterà
richiamare sacerdos (con la radice dhē - di tíqhmi, quindi propriamente 'colui
che compie le azioni sacrè), sacrificium 'rito sacro', sacellum (da sakro-lo-),
sacrarium, sacramentum, ecc.: come si vede, ognuna di queste parole
sviluppa solamente alcuni dei significati che sono compresenti in sacer, da
essa derivano anche termini come sarcofago, e sacrario. In latino da questa
radice abbiamo una formazione in - ro -, sakros. Lo stesso termine che si
ritrova in una famosa lapide: lapis niger, scoperto a Roma nel 1899 vicino
all’arco di trionfo di Settimio Severo, nel luogo chiamato “Tomba di Romolo”
e dato agli inizi dell’epoca dei re. Così, come afferma anche Julien Ries ne Il
senso del saco Nelle culture e nelle religioni, “fin dalla fondazione di Roma ci
troviamo in presenza della sfera e del problema del sacro”. Un vero e proprio
problema, non tanto per noi contemporanei, bensì per i Romani. Come si
ricava dall’etimologia infatti Sacer è ciò che appartiene al dio. Il seguente
esempio di Plauto (Trin., 286) chiarisce molto bene i limiti della parola:
sacrum profanum, publicum privatum habent. Nella seguente citazione
vengono impiegate delle coppie di aggettivi esprimenti l'uno l'esatto
I significati di sacer
Etimologia di sacer
La santa morte
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contrario dell'altro per esprimere la totalità, così che il contesto viene a
significare «non rispettano proprio nulla». È chiaro che, per poter meglio
confermare quest'idea, le due coppie di aggettivi devono avere qualche
rapporto semantico fra di loro: entrambe devono indicare il tutto, ma da due
punti di prospettiva differenti e nello stesso tempo legati da qualche
relazione. Sacrum indica la sfera di ciò che ha riferimento col dio, publicum
indica la sfera dei rapporti fra gli uomini nell'ambito della collettività e della
sua organizzazione: i due piani si integrano fra di loro, e il piano dei rapporti
fra gli uomini può essere considerato solamente alla luce del piano dei
rapporti fra uomo e dio. Questo sostiene l’affermazione di Acquaviva: “la
vita sociale è basata sull’osservazione dei riti e delle tradizioni di gruppo”.
Egli però aggiunge che le azioni compiute da un individuo valgono “solo se si
trova all’interno della società (la vita al di fuori è inesistente o limitata)”. La
parola importante di questa frase è “all’interno, che sottintende il limite
della città Romana. Come infatti noto, fin dalle origini, fin cioè da quando
Romolo ha tracciato il primo solco sacro, l’urbs, dal punto di vista legale,
esisteva solo all’interno del pomerium, ovvero il confine sacro, tutto quello
che si trovava oltre il pomerium, invece, era territorio sottomesso a Roma
stessa. Da questo si può quindi capire che l’uccisione di Romolo compiuta
dal fratello Remo, in quanto aveva osato oltrepassare il confine sacro
armato, assume valenza di esecuzione capitale e giustifica il permanere di
questo fatto di sangue legato alla fondazione della città di Roma. Il
messaggio sotto questa luce acquisirebbe quindi un valore forte e
rassicurante per gli abitanti della città e potrebbe suonare come: 'sarà
punito chiunque attenti alla città e ai suoi abitanti è diventerebbe un monito
potente per i nemici.
Ma ritornando alla relazione esplicitata da Plauto tra il sacro/Divino e
l’uomo, Julien Ries argomenta la relazione, esplicitando che all’interno della
sfera sacro - religiosa “si presentano due poli: Da una parte stanno gli dei,
tra cui il personaggio principale è Jupiter (Giove), detentore della sovranità
celeste e giuridica; dall’altra c’è l’uomo, il quale vuole che la sua vita e le sue
azioni siano in perfetta conformità con la volontà degli dei”. Da questo è
possibile capire l’importanza dei romani per gli auguri (sacerdoti che
osservavano il volo degli uccelli per cogliere messaggi divini), ma anche per
il sacerdos (colui che ha a che fare con le cose sacre, compie la preghiera e il
culto) la pax deorum (situazione di concordia tra la comunità dei cives e le
divinità della religione romana), delle feste e soprattutto dei rituali. Sempre
per lo stesso motivo si riesce a capire il perché per Ottaviano fosse tanto
importante il titolo di Augustus che “gli viene conferito”. Infatti esso, fra i
vari significati, deriva del verbo augeo, che ha in latino il significato di
accrescere: dunque gli Augusti, gli imperatori, sono coloro che accrescono la
46
ricchezza, il benessere, la floridezza dello Stato, grazie al potere che
rivestono. Augusto vuol dire anche "venerabile" e, soprattutto, "protetto
dagli dei”. Inoltre Romolo fu il fondatore di Roma e proprio costui, prima di
compiere l'atto che avrebbe cambiato le sorti del mondo, aveva ricevuto un
permesso divino: un augurium augustum. Una cerimonia atta a fornire a
Ottaviano (il primo degli Augusti, come già detto) un permesso analogo a
questo, fu fatta dal Senato appunto nel 27 a.C. E questo sarebbe un altro
motivo per cui a coronare la figura dell'imperatore venne scelto il nome di
Augusto: Ottaviano, e così gli altri dopo di lui, avevano sulle loro spalle pari
merito rispetto a Romolo, perlomeno secondo il loro titolo. Avevano fondato
una nuova Roma. È in particolare un verso di Ennio a ricordarci nello
specifico questo significato. Inoltre il verbo latino augere, viene fatto risalire
ad una cerimonia etrusca che si svolgeva all'aria aperta e durante la quale la
maestà ed il potere del re venivano “accresciuti” con una sorta di investitura
o consenso degli dei.
Giunti a questo punto, possiamo affermare che il sacer è un valore
“universale” per i Romani, superiore allo ius, in quanto rientrante nella sfera
del fas. In conclusione, recuperare il significato del sacer significa riflettere
sul significato di civitas, significa costruire, in quanto soggetti di quella
comunità, forme e modalità identitarie consapevoli e plurali.
Documenti
1. E. Degl'Innocenti, M. Menghi, Lo sguardo di Giano, 2014
2. E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, 1963
3. http://www.treccani.it/enciclopedia/lutto_(Universo-del-Corpo)/
4. http://www.treccani.it/enciclopedia/riti_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/
5. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011
6. P. Zanker, V.C. Ewald, Vivere con i miti, 2008
Conclusione
47
Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro
Memoria: il luogo dell’immortalità
Abbiamo deciso di approfondire quella che, secondo noi, è la parola chiave
non solo del percorso da noi scelto, ma dell’intero progetto Erasmus+. La
parola Memoria. La scelta di questa parola deriva dal fatto che è alla base del
nostro desiderio di durare, resistere, permanere nel tempo. Come emerge
dall’opera di Ugo Foscolo, “Dei sepolcri”, l’unico modo che l’uomo ha per
garantirsi “l’immortalità” è il ricordo di sé attraverso i propri cari. Se l’uomo
vuole sconfiggere l’incombente azione distruttrice del tempo, deve
“ricorrere” alla Memoria. Un argomento significativo a sostegno di questa
tesi, lo si ritrova nel sonetto “A Zacinto”, dove l'io lirico foscoliano scrive “te
mai altro avrai che il canto del figlio”. In questi versi, è espressa l’idea dell’io
lirico riguardo la poesia, unica attività umana che conferisce a chi l'ha
composta e a chi è narrato in essa, eterno ricordo. Questo motivo è presente
anche nell'Ode III, 30, dove Orazio afferma di aver “costruito” un
monumento più duraturo persino delle piramidi: Exegi monumetum aere
peremius regolque sito pyramidum altius. Questo monumento non è
qualcosa di fisico, costruito con marmo, ferro, bronzo, è costruito con un
foglio e una penna; questo monumento è la poesia, capace di vincere il
Tempo, fuga temporum, eternatrice e custode della Memoria.
Una delle più antiche usanze, tramandate di generazione in generazione fino
ai giorni nostri, è la necessità di rendere degna sepoltura ai corpi dei propri
cari. Questa antica usanza era particolarmente sentita nella cultura classica.
Infatti, i Greci prima ed i Romani poi, avvertirono il bisogno di sacralizzare i
corpi dei capi, dei soldati e dei familiari. Da questa considerazione è possibile
comprendere l’importanza che aveva il corpo nel mondo classico, e in
particolare quale fosse il ruolo del corpo dei defunti. Studieremo quindi il
tema all'interno del contesto greco - romano.
Per quanto riguarda la cultura greca, esamineremo il passo riguardante la
restituzione del corpo di Ettore (Iliade, libro XXIV, vv. 640 - 670).
Per lui supplice io vegno, ed infiniti
Doni ti reco a riscattarlo, Achille!
Abbi ai numi rispetto, abbi pietade
Di me: ricorda il padre tuo: deh! pensa
Ch’io mi sono più misero, io che soffro
Disventura che mai altro mortale
Non soffrì, supplicante alla mia bocca
La man premendo che i miei figli uccise.
Introduzione
Cremazione VS
sepoltura
48
In questi versi l'io lirico racconta il momento nel quale Priamo, re di Troia e
padre di Ettore, si reca alla tenda di Achille, acheo e uccisore di Ettore, per
chiedere il riscatto del corpo del figlio. Priamo dovette assistere, non solo
all’uccisione del figlio, ma anche allo sfregio del suo corpo (stuprum), in
quanto Achille legò Ettore dietro la biga e lo trascinò attorno alle mura di
Troia per tre volte. La cultura greca non ammetteva tale mancanza di rispetto
nei confronti di un corpo, né tanto meno il fatto di non onorarlo con una
degna cerimonia funeraria, indipendentemente che si trattasse di un servo
o di un principe. Questo è il motivo che spinge il re di Troia a chiedere la
restituzione del corpo del figlio, non può accettare lo stuprum. Dunque, la
necessità di dare l’ultimo saluto al figlio amato porta il troiano ad
abbandonare le sue potenti mura e ad umiliarsi dinnanzi al nemico. Questo
gesto porta il lettore a riflettere sul significato del corpo nell’antica Grecia:
Priamo antepone il valore del corpo del figlio defunto, che attende una degna
sepoltura, all’esito della guerra.
Per comprendere il ruolo del corpo nella cultura romana, invece, prendiamo
in considerazione il testo Il corpo in Roma antica di L. Garofalo. Dall’analisi
emerge che i Romani non erano secondi ai Greci riguardo il rispetto del
corpo, anzi. Anche loro avevano una serie di rituali con i quali trattavano e
tutelavano i corpi dei defunti, che non venivano bruciati su pire di legno
come descrive Omero nell’Iliade, per poi conservare le ceneri dentro
un’urna: a Roma, in particolare dal II sec. D.C., la sepoltura vera e propria
incomincia a imporsi sulla cremazione. Si tratta dell’espressione di una nuova
sensibilità, per cui l’idea della cremazione e della distruzione del corpo dei
propri cari fosse insopportabile. In entrambi i casi però, il fine è il medesimo:
la sacralizzazione del corpo del defunto. La sacralizzazione del defunto è il
fulcro dell’ultima fase del rito funebre, il complesso di azioni nonché
momento civile nel quale si esprime e si condivide pubblicamente il proprio
cordoglio per la morte di una persona cara. I riti funerari consistevano in
quattro parti fondamentali:
1) L’esposizione pubblica del cadavere. Era usanza che il pater familias
venisse chiamato al cospetto del morente per compiere il gesto della
chiusura degli occhi e accogliere il suo ultimo respiro. Dopo la morte di
quest’ultimo, i familiari si riunivano attorno al defunto per invocare a gran
voce il suo nome in modo da concedergli l'ultimo saluto. Successivamente, il
corpo del morto veniva lavato, profumato con unguenti e vestito dei suoi
abiti da parata per poi essere posto nel lectus funebris, nell’atrio della casa,
sopra al quale venivano disposte delle decorazioni floreali.
2) Il corteo funerario. La processione (pompa) funeraria era di grande
magnificenza e solennità, infatti il corteo era preceduto da suonatori di
Le fasi del rito
funebre
Esposizione del
corpo
Corteo funerario
49
flauto, mimi e danzatori, ed anche da donne (Préfiche) che levavano grida e
pianti per esprimere pubblicamente il dolore dei familiari. Davanti al lectus
funebris si recava un gruppo di uomini che, solitamente, indossavano
maschere rappresentanti gli antenati del defunto (come testimoniato dal
rilievo presente sul coperchio di un sarcofago risalente al 280 d. C. custodito
nei Musei Vaticani, che raffigura sotto al ritratto del fanciullo defunto un
corteo di maschere funerarie). Immediatamente dietro le maschere seguiva
la bara con il morto, circondata da littori vestiti di nero con fasci, seguita dai
familiari in lutto. Alla fine, a chiudere il corteo, venivano i portatori di cartelli,
che ricordavano ai passanti i fatti illustri della vita del defunto.
3) Laudatio funebris. Era l'orazione che veniva pronunciata in memoria del
defunto, durante la cerimonia funebre, ed aveva la funzione di mettere in
rilievo il valore e le imprese che il morto aveva compiuto durante la vita, con
l’obiettivo di emozionare la folla, trasferendo così il lutto dalla sfera privata a
quella pubblica. Tramite le orazioni funebri, i parenti esaltavano le gloriose
azioni dei defunti, con l’intento di glorificare la propria stirpe e permettendo
che la memoria del morto permanesse nel tempo. Successivamente la salma
del defunto veniva posta sul luogo dell’estremo ufficio e il rito prevedeva che
il cadavere venisse bruciato su una pira. Un parente stretto dava fuoco alla
pira, mentre le persone in lutto gettavano balsami e fiori. Le ceneri ancora
ardenti venivano spente con il vino e collocate in un’urna. Questa veniva
depositata in un colombario con un’iscrizione che ricordava il nome del
defunto. Nei nove giorni subito successivi alla deposizione dell’urna
funeraria, la casa del defunto era considerata contaminata (funesta) e veniva
ornata di rami di cipresso o tasso perché ne fossero avvertiti i passanti, ed
alla fine del periodo, veniva spazzata e lavata nel tentativo di purificarla del
fantasma del defunto. Tale usanza viene ripresa da U. Foscolo nel carme “Dei
Sepolcri” per connotare positivamente il rito funebre pagano rispetto a
quello cristiano. Infatti, alla tradizione cristiana agl’incensi avvolto
dècadaveri il lezzo i supplicanti contaminò, l’io lirico contrappone la civiltà
classica cipressi e cedri di puri effluvi i zefiri impregnando perenne verde
protendean su l’urne per memoria perenne.
4) Deposizione della salma nel sarcofago e raccoglimento dei parenti intorno
a questo. Il sarcofago è il luogo del sacer; la sua funzione è quella di
contenere e conservare il corpo del defunto, segnando un confine
invalicabile tra la vita e la morte, tra ciò che è diventato sacro e ciò che,
ancora in vita, non lo è ancora diventato. È una promessa di eterna durata, il
segno materiale che custodisce la salma nel tempo. Il termine sarcofago
richiama foneticamente non solo sacer e sacralizzazione, legate sempre alla
sfera semantica della consacrazione del corpo, ma anche la parola sepolcro,
il luogo della commemorazione dei morti, il luogo in cui questi si pensano in
Laudatio funebris
Sarcofago luogo del
sacer
50
qualche modo come presenti. Il sepolcro non solo garantisce la
sopravvivenza della memoria del defunto, ma svolge anche una funzione
affettivo - familiare e civile: è il luogo della riflessione e del pellegrinaggio,
elementi essenziali del culto dei morti che non si concludeva quindi con la
semplice sepoltura della salma, infatti erano frequenti banchetti
commemorativi e visite al sepolcro.
Questo motivo della sepoltura legata al ricordo, lo ritroviamo in alcune
riflessioni contenute nel carme dei Sepolcri, in particolare dove l’io lirico
afferma che la memoria è legata all’eredità di affetti. Se questo non succede
la tomba diventa un anonimo marmo bianco destinato a deteriorarsi, in balia
del tempo. In particolare, l’io lirico esalta il messaggio imperituro che “esala”
dalle “urne de’ forti”, quali Machiavelli, Michelangelo. Lo scrittore Cees
Noteboom, nel suo libro Tumbas. Tombe di poeti e pensatori, ha ripreso
questo concetto, effettuando un pellegrinaggio sulle tombe degli scrittori
contemporanei al fine di recuperarne la memoria attraverso il ricordo delle
loro opere.
Tra il I e il II sec. d.C. sempre più frequenti sono i rilievi mitologici utilizzati
per decorare sepolcri e sarcofagi; si tratta di una forma allegorica di orazione
funebre, che prevede scene sia di vita quotidiana per rievocare ciò che il
defunto era e faceva in vita, preservandone quindi il ricordo “concreto”, sia
scene mitologiche, considerate espressione di appartenenza culturale. Infatti
le allegorie mitologiche non sono riferibili alla biografia, bensì alle virtù, alle
qualità e ai valori sociali del defunto. Inoltre, la presenza di ninfe o divinità
sullo sfondo ha la funzione di rassicurare i parenti del morto, in quanto ora
si trova protetto da loro, i custodi della salma nel tempo. Per quanto riguarda
l’interpretazione del mito, inoltre, era decisivo il modo in cui lo scultore lo
raffigurava perché dalla forma iconografica, era possibile riconoscere come
voleva fosse inteso quel mito. In questo modo il visitatore poteva acquisire
le chiavi di lettura che gli permettevano di decifrare il messaggio
rappresentato. Un esempio di coesistenza tra le due tipologie di scene è il
sarcofago dell’ex collezione Rinuccini, che collega le scene della vita reale con
una scena di caccia, ripresa direttamente dai sarcofagi di Adone. Il rilievo si
divide in due scomparti collegati tra loro: sul lato sinistro un uomo in toga e
una donna dalla testa velata, mentre la dea Concordia li
abbraccia entrambi. Subito accanto è raffigurato sempre lo
stesso uomo, questa volta in armatura da condottiero, intento a
celebrare una libagione e il sacrificio di un toro. Il giovane eroe
ferito a morte da un cinghiale e sopra di lui compaiono i due
Dioscuri come assistenti di caccia. Qui la morte di Adone durante
una battuta di caccia si sostituisce con una scena di battaglia.
L’immagine del cacciatore vittorioso era diffusa sui sarcofagi
Rilievi
mitologico -
funerari
51
come simbolo della virtus. Quindi l’immagine attribuisce al defunto la qualità
morale della virtus, servendosi di scene mitiche e di vita reale.
La sacralizzazione del corpo, dunque, svolge un ruolo centrale nel rito,
momento fondamentale dell'elaborazione del lutto. Si vuole preservare la
memoria del defunto, evitando la sua caduta nell’oblio. Questo rito riguarda
il ricordo dei valorosi guerrieri che persero la vita precocemente e in modo
violento per la patria, e che quindi conseguirono la cosiddetta “bella morte”,
ma i comuni cittadini. L’elaborazione del lutto attraverso una cerimonia,
semplice o maestosa che sia, rappresenta quindi una necessità che
accomuna gli uomini, indipendentemente dall'età, dal ceto sociale di
appartenenza. Diversi sono i riti con cui fin dall’antichità i corpi senza vita
vengono accompagnati e scortati durante il loro ultimo viaggio per le strade
della città natale, vengono preparati per il passaggio nell’aldilà o vengono
pianti. Le celebrazioni funerarie, la realizzazione di monumenti e memoriali
sono tutte forme di elaborazione collettiva del lutto. Omero ne fornisce una
dettagliata descrizione nel libro XXIII dell’Iliade: dopo la cremazione del
corpo di Patroclo e la raccolta delle ceneri all’interno di un’urna d’oro
vengono organizzati dei giochi in onore del defunto. Si assiste quindi ad una
dispersione dell’iniziale dolore, che sembra lasciare il posto a gioia e serenità.
Per quanto riguarda la funzione del monumento, è necessario soffermarsi
sull’etimologia della parola: dal latino monumentum, il termine possiede la
stessa radice di monere, “ricordare”, “avvisare”. Si tratta quindi di una parola
strettamente connessa alla Memoria, che in questo caso diventa memoria
visiva, accessibile a tutti. È proprio la memoria collettiva, infatti, che si vuol
sollecitare attraverso i monumenti. Il monumentum è un segno del passato,
il mezzo concreto per tramandare il ricordo (per esempio gli atti scritti), il
“testamento” a cui è affidata la memoria collettiva. Fin dall’antichità il
monumentum tende a specializzarsi in due sensi: un’opera di architettura, di
scultura a scopo commemorativo (arco di trionfo, colonna, trofeo) oppure un
monumento funebre destinato a tramandare il ricordo del defunto tramite
le preghiere e/o le invocazioni dei cari nei suoi confronti. La centralità e
l’importanza del monumento è trattato, in particolar modo, nel testo Il corpo
in Roma antica di L. Garofalo. La funzione sociale del monumento funebre è
quella di giovare ai vivi, ricordando loro la provvisorietà e precarietà della
vita umana. Ma non solo. La tomba può diventare, se luogo sacer, il luogo
ove instaurare quella corrispondenza d’amorosi sensi, cha fornisce all'uomo
l'illusione di sopravvivere nel ricordo. Il defunto, infatti, vive attraverso soavi
cure, il culto funebre. Dare degna sepoltura al defunto allora è un dovere
morale, un segno di umanità e pietà, l’unico modo per conservare la
memoria e mantenere vivo il ricordo di chi ci ha lasciato eredità d'affetti.
Memoria
Elaborazione del
lutto
Memoria -
Monumentum
52
Documenti
1. J. P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007
2. L. Garofalo, Il corpo in Roma antica, 2016
3. M. Centanni, Il corpo del re, tratto da Gli occhi di Alessandro, 1990
4. Omero, Iliade XXIV, 640 - 670
5. Omero, Iliade, XXIII, vv. 269 - 363
6. P. Zanker, Vivere con i miti, 2008
7. Sarcofago delle amazzoni, 160 d.C., Museo Archeologico Regionale, Palermo
8. U. Foscolo, Dei sepolcri, vv. 1 - 50, 1807
53
Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato
La sepoltura, la morte, la Madre
Dall’analisi intratestuale, effettuata durante la Fase A del Percorso 1, sono
emerse alcune parole chiave collegate al testo Milite ignoto, argomento
oggetto di riflessione, ricerca e interpretazione all’interno del progetto
Erasmus+ a cui abbiamo aderito. Il nostro interesse e curiosità si sono
concentrati sulla parola Corpo e, in particolare, sul suo significato in
relazione ad alcuni valori - virtù della civiltà classica, quale l’honor dell’eroe;
ma anche sul tema della figura materna in relazione alla morte dell’eroe -
figlio. Questa indagine ci ha permesso da un lato di raccogliere informazioni,
credenze, valori, motivi relativi alla civiltà classica, dall’altro di “leggere” il
testo Milite ignoto, oggetto del nostro studio, in relazione a quei valori,
diventati per noi criteri fondamentali di analisi e interpretazione della nostra
storia, altrimenti solo in parte comprensibile. Lo studio dell’Antico, in questo
modo, ci ha permesso di ritrovare e riconoscere nel nostro presente
significati, valori identitari. Solo così quel Milite, quel corpo ignoto,
quell’Altare che lo contiene, prima testi privi di senso, sono diventati segni,
simboli da decifrare alla luce di una maggiore e fondata consapevolezza
etica.
La sepoltura del corpo
In riferimento alla parola chiave Corpo, scelta dal gruppo tra le parole chiave
emerse dall’analisi dei testi effettuata durante la fase A del Percorso 1,
abbiamo deciso di studiare significati, funzione e scrivere un saggio breve
sull’onore dell’eroe classico. Inizialmente abbiamo letto i testi e, in un
secondo momento, abbiamo individuato le parti più significanti nell’ottica
del nostro percorso. Successivamente abbiamo analizzato gli estratti con
l’obiettivo di rintracciare gli elementi utili alla stesura del saggio breve. Una
volta completata l’analisi dei singoli testi, abbiamo pensato a come collegare
i risultati delle analisi tramite la stesura di una scaletta per il saggio breve.
Infine, abbiamo scritto il saggio breve.
Ti supplico, non abbandonarmi ai cani, restituisci il mio corpo a mio padre
Tali sono le parole di Ettore sul punto di morire, steso a terra, con una lancia
che trapassa da parte a parte il suo collo. Nonostante ciò, l’ultimo desiderio
del figlio di Priamo è che il suo corpo sia consegnato al padre, cosicché i
famigliari possano piangere la sua morte e rendergli gli onori funebri che gli
spettano. La necessità di avere il corpo del defunto è un elemento ricorrente
nella ritualità funebre di ogni civiltà, dai greci alla cultura contemporanea.
L’analisi - studio del Milite Ignoto sarà l’occasione per effettuare confronti
all’interno di questo tema, il rispetto e il valore del corpo del defunto, allo
Introduzione
Parola chiave
Corpo
Il corpo dell’Eroe
54
scopo di rilevare le permanenze e le differenze tra codici culturali diversi.
Nell’Iliade sono descritte grandiose cerimonie funebri, il morto
splendidamente abbigliato e adagiato su una pira, con offerte a lui dedicate,
pianti, canti funebri, giochi di abilità e destrezza, imponenti banchetti
organizzati per meglio rendere omaggio al defunto illustre.
Un esempio è la sepoltura delle spoglie di Ettore, descritto al termine
dell’opera. Nel cuore della notte Priamo abbandona il campo acheo,
conducendo il carro su cui giace il cadavere del figlio. All’aurora quando egli
giunge alla sua città, tutto il popolo, in lacrime, si affolla intorno a lui. Il re
chiede che lo si lasci passare. Per nove giorni i Troiani ammassano legna per
il rogo funebre, a cui, nel decimo, appiccano il fuoco. Infine, spente le
fiamme col vino, raccolgono le ossa di Ettore, le pongono entro un’urna
d’oro che avvolgono con stoffe pregiate. Poi l’urna viene interrata e, sopra
di essa, con pietre, innalzato un tumulo. Un altro esempio è la sepoltura del
corpo di Patroclo nel XXIII libro dell’Iliade. Il tutto inizia con Achille che si
taglia i capelli in onore di Patroclo davanti al rogo e poi dà avvio alla
cerimonia funebre, facendo predisporre sulla pira pecore, miele, olio,
quattro cavalli, due cani e dodici nobili troiani. Il fuoco viene acceso e Achille
si mette a piangere, invocando Zefiro e Borea perché soffino potenti per
alimentare il fuoco della pira. In seguito dà disposizioni su come raccogliere
le ossa di Patroclo e su dove custodirle, in attesa che l’urna funebre ospiti
anche le sue. Infine organizza delle gare in onore di Patroclo, in ordine: corsa
coi cavalli, pugilato, lotta, corsa, duello armato, lancio del giavellotto e tiro
con l’arco. I greci avevano bisogno di dare degna sepoltura al corpo per
ragioni di natura religiosa. Infatti, qualora un defunto non avesse avuto la
possibilità di riceverla, era destinato a vagare senza fine in una zona
sotterranea posta al di fuori dell'Ade vero e proprio. Questo significava
essere escluso dalla collettività anche nella condizione post mortem.
Nell'Iliade, ad esempio, Achille getterà i cadaveri di alcuni nemici nel fiume
Scamandro, proprio per impedire alle loro anime di entrare nell'Ade. Non ti
piangerà tua madre sul letto funebre, ma questo fiume ti porterà al mare a
farti divorare dai pesci disse il Pelide a Licaone, figlio di Priamo. Anche per i
Romani, le ragioni della necessità della sepoltura del corpo del defunto
vanno ricercate nell’ambito religioso e presentano caratteri simili alle
interpretazioni dei Greci, infatti le anime dei morti insepolti non potevano
entrare nell’Ade. Ora il flutto mi tiene ed i venti mi battono sul lido. Prego te
per la bella luce del cielo e per l’aria, per il padre, per la speranza di Iulo che
cresce: strappami, o invitto, dai mali: oppure buttami sopra della terra e
cerca i porti velini: o se c’è una via, se la dea madre te la indica. Concedi la
destra ad un misero e con te portami tra l’onde, perché almeno io riposi nella
morte in placidi luoghi. Virgilio, Eneide, IV. In questo passo, Enea, durante la
sua catabasi, incontra sulla soglia dell’Ade l’anima di Palinuro, timoniere
55
della sua nave, caduto in mare mentre la flotta troiana stava per toccare i
lidi dell’Italia. Raggiunta la costa a nuoto, il giovane era stato sorpreso e
ucciso da alcuni abitanti del luogo e il suo corpo giaceva insepolto sulla
spiaggia. Simile a quello greco è anche il rito funerario romano. Il rito funebre
dei personaggi illustri si svolgeva di giorno e con molto sfarzo. Si formava un
corteo funebre al quale prendevano parte, oltre ai parenti e ai congiunti del
defunto, anche altri personaggi - comparse rituali: suonatori, portatori di
fiaccole, lamentatrici pagate per ostentare dolore, mimi e attori comici che
recitavano scene di vita del defunto. I parenti indossavano delle maschere
rappresentanti i volti degli illustri antenati della famiglia. Giunto nei pressi
del Foro, un parente maschio prendeva la parola e pronunciava il discorso di
commemorazione, avente la funzione di rinsaldare il legame tra la gens e la
civitas. Seguiva la cremazione. Questa era praticata soprattutto nell’età
arcaica e repubblicana; in età imperiale questa usanza rituale lasciò
progressivamente posto alla tumulazione. In entrambi i casi le ceneri o il
corpo venivano posti in un sepolcro al di fuori della cinta muraria.
La morte eroica
La riflessione sulle valenze della parola chiave, honor, ha permesso di
costruire alcune relazioni semantiche: per l'uomo classico, greco - romano,
la spinta più forte a combattere era l'onore. L'onore della vittoria
conquistata nel combattimento si riversava sul singolo soldato, sulla falange,
sulla legione e su tutta la civitas. Già nel VII secolo a. C. lo spartano Tirteo,
nell’Elegia 6 - 7, si fa interprete di quest'ideologia, fondando il manifesto del
valente soldato: egli resiste piantato in prima fila ed è ed è vanto per la città
e per il popolo (vv. 15 - 20). Se torna vivo e coglie la gloria della battaglia,
tutti l'onorano, i giovani e i vecchi, tutti gli cedono il posto e si ritraggono
davanti a lui (vv. 35 - 42). Se muore in battaglia, assicurando con il suo
sacrificio la vittoria, viene pianto e onorato (vv. 29 - 34). Nel caso che il
soldato torni in patria senza vita si compiono sacrifici in suo onore e si
cantano canti funebri composti per l'occasione. L'encomio di Simonide per i
morti alle Termopili è tutto incentrato sulla lode dei soldati spartani morti e
di Leonida, il loro valoroso condottiero. Questo il testo:
Gloriosa è la sorte dei morti alle Termopili, / bello il destino, / ara è la tomba,
il ricordo al posto dei lamenti; il compianto è lode. / Né la muffa né il tempo
che tutto doma / fiaccherà una tale veste. / Questo sacrario di uomini
valorosi / ha voluto come abitante / la gloria della Grecia. / Lo attesta anche
Leonida, / il re di Sparta, che sommo ornamento di valore lasciò / e fama
perenne.
Introduzione
parola chiave
honor
56
Questi aspetti dell'onore legati al valore dimostrato in battaglia, il senso del
dovere che spinge il guerriero ad affrontare una prova, aspirando ad essere
il migliore, si traduce nella ricerca della superiorità fisica che
contraddistingue il guerriero - soldato. Il corpo bello e forte, plasmato e
fortificato dalla fatica e dall'esercizio, rappresenta il segno visibile di una
distinzione, di una natura fisica che si impone sulle altre e suscita
ammirazione. A tal proposito le affinità tra la classe degli eroi, che operano
agli albori della civiltà greca, dotati di qualità fisiche eccezionali e
protagonisti di imprese mitiche straordinarie, e la classe dei soldati sono
numerose e significative. Una delle più appariscenti di queste affinità è la
fisicità del corpo che, sia per l'eroe sia per il soldato, ha una rilevanza
decisiva. Il buon guerriero, al pari dell'eroe, deve poter fare affidamento su
un corpo forte, temprato alla fatica, carico di energia e di resistenza.
Guccini cantava gli eroi sono tutti giovani e belli. Effettivamente, salvo
qualche rara eccezione, l’eroe classico ferma l’immagine di sé nel mondo dei
vivi in giovane età. Prima di fare considerazioni sulla morte dell’eroe, è
necessario analizzare la categoria dell'eroico. L’eroe è un essere semidivino,
generato da un/una mortale e da un/una divinità, possiede eccezionali doti
fisiche e mentali che lo distinguono dal resto degli uomini. Pertanto, l’eroe
si configura come un uomo sopra il quale aleggia la mano divina che gli
conferisce le straordinarie qualità – l’intelligenza, l’astuzia, la resistenza
fisica e il valore militare – che lo distinguono dagli altri uomini.
L’eroe però, non è un Dio e allora, come tutti gli umani, è destinato alla
morte.
La differenza tra i mortali e gli eroi sta nel fatto che la morte di questi ultimi
ha un rilievo particolare. Pochi eroi, infatti, muoiono di morte naturale o
fulminati da Zeus, come Semele, mentre è elevato il numero di eroi che
rimangono uccisi sul campo di battaglia, in un duello o in uno scontro tra
eserciti.
Il termine “eroe”, nella nostra cultura, ha il significato di valoroso e
coraggioso combattente. I primi eroi, dunque, sono guerrieri. Esiodo limita
il concetto di heros a coloro che hanno combattuto a Troia e a Tebe.
Infatti, uno dei motivi fondamentali del culto dell’eroe è la protezione che
lui assicura alla propria città in guerra. Ad esempio, nella battaglia di
Maratona Teseo è a capo degli Ateniesi, mentre Achille combatte l’esercito
troiano capeggiando quello greco. È in battaglia che l’eroe realizza il volere
del Fato. Egli si schiera valoroso in prima linea, cercando la morte gloriosa,
in giovane età, mette in gioco tutto se stesso, dimostrando così la sua
eccezionalità in quanto uomo - eroe che non conosce né paura né codardia.
La sua morte gli vale onore e riconoscimenti degni di un eroe. Questo perché
muore nel momento di massimo splendore fisico, e quindi morale, dal
Tesi
Categoria dell’Eroe
57
momento che per i Greci un bel corpo corrispondeva a un bell’animo,
lasciando al mondo dei vivi un’immagine di sé estranea al decadimento
fisico, tipico dei mortali, simile in questo agli Dei. Pertanto, sebbene
condivida con l'uomo la morte, l’eroe diventa immortale in quanto sfugge
alle leggi del tempo, la sua gloria sarà eterna: verrà ricordato dai canti dei
poeti, dalle donne che lo venereranno e dalle future generazioni, sarà
exemplum da emulare. In particolare, anche dopo la morte, il corpo
straordinario dell’eroe acquista rilievo nella sepoltura e nel rito ad essa
legato. Ma soprattutto ciò che resta del corpo eccezionale ha per la
collettività il valore di una reliquia che la protegge e difende. Il corpo
dell'eroe protegge la città che lo ospita. Nelle epigrafi, trovano spazio le lodi
anche dell'aspetto fisico, forma, dei condottieri morti combattendo per la
patria.
Realizzando dunque il volere del Fato in battaglia, nella quale si schiera in
prima linea, l’eroe incontra quella che Orazio chiama “bella morte”. Tale
morte non è solo “bella” ma è la migliore che possa capitare ad un eroe
perché incontrata su un campo di battaglia in difesa della terra natia. Infatti,
come afferma Orazio Dulce et decorosa est pro patria mori.
Non tutti gli eroi, però, incontrano la “bella morte”: è il caso del “cadavere
oltraggiato”. Nessuno vuole il corpo del nemico. Il vincitore, oltraggiando il
corpo dell’avversario sconfitto, intende infliggere una pena al defunto
affinché abbia una morte non memorabile e l’ultimo ricordo che gli uomini
avranno di lui sarà di un corpo martoriato, deturpato, oltraggiato.
È il caso di Achille che, dopo aver sconfitto Ettore a duello, lo lega al carro e
lo trascina in modo da deturparlo, sfigurarlo.
Il culto eroico, che assegna il posto degli eroi nel mondo dei morti, si
concentra invece sulla tomba e sul rituale sacrificale. Gli eroi muoiono, la
loro tomba diventa centro di culto, dal momento che, come afferma Jean -
Pierre Vernant, la vita e la morte sono affare dei vivi. A questo proposito, è
possibile cogliere alcune affinità tra quanto rilevato a proposito
dell'eroicizzazione dei guerrieri e il culto del Milite ignoto, tema oggetto
della nostra analisi. La funzione di questo culto è duplice. In primo luogo
riguarda la sfera affettivo - familiare. Ogni famiglia può avere un luogo dove
piangere il proprio caro scomparso in territorio nemico. In secondo luogo
riguarda la sfera ideologica e politica. I governi offrono una giustificazione
della guerra, combattuta in nome di nobili ideali di pace, sui quali
costruiscono l’identità nazionale. E la figura del milite ignoto ne diventa
simbolo. È il soldato - eroe moderno, che presenta affinità con il guerriero
eroicizzato classico: il sacrificio gioverà ai vivi che devono render loro merito,
onore, gloria e gratitudine. La pace è dunque garantita da una guerra vinta
58
dagli eroici soldati ignoti che, come gli eroi - soldati classici, hanno dato la
vita per il loro paese e i loro connazionali, che in un’eventuale futura guerra,
dovranno emularli per ristabilire la pace.
La Madre
Ricostruiremo la presenza e la funzione della figura della Madre nella
relazione con la morte del figlio - eroe a partire dalla rivalutazione della dea
Madre in età augustea, come emerso dall'analisi del testo architettonico,
Ara Pacis (9 a. C.), e scultoreo, Augusto di prima porta (19 a.C.),
Durante il principato di Ottaviano Augusto (29 a.C. – 14 d.C.) la dea romana
Tellus, protettrice della fecondità e dei morti, venne associata alla figura
della dea Madre, personificazione di fertilità e pace. La
rivalutazione della figura materna in età augustea faceva
parte della politica demografica del princeps. Nelle
rappresentazioni acquisisce anche attributi di fertilità,
valore fondamentale alla base della ideologia della pax
augustea. Infatti, nel rilievo dell’Ara Pacis raffigurante Tellus,
è rappresentata la dea madre seduta al centro della
composizione. L’interpretazione di questa figura è varia: la
personificazione della dea Italia, Tellus, la Terra Madre,
Venere genitrice, la Pax Augusta e Cerere. Questa pluralità
semantica è probabilmente voluta, in quanto caratterizzante
non solo questo pannello, bensì tutti i cicli scultorei della
propaganda augustea. Infatti, la dea seduta presenta
attributi diversi: sul capo una corona di spighe e fiori
collegate all’iconografia di Cerere, dea dell’agricoltura, ma
anche di Tellus, simboleggiante abbondanza. Il capo velato
rimanda a Giunone velata, mentre la presenza di due
bambini, unita alla frutta adagiata sul grembo, evocano una
divinità genitrice. Nel complesso il rilievo rimanda alla pax e
alla fecondità che da essa ne deriva, celebrando la pienezza
dei “tempi nuovi”, di cui la figura della madre è l'elemento
fondante. La medesima figura presente sul pannello dell’Ara Pacis si ritrova
sulla corazza della statua dell’Augusto di Prima Porta, detto anche Augusto
Loricato. In basso, sulla lorica del princeps, si trova la dea Tellus semisdraiata;
questa immagine presenta svariate somiglianze con la raffigurazione
presente sull’Ara Pacis. Infatti, la dea simboleggia, allo stesso tempo, pace e
abbondanza, come testimoniato dalla presenza di una cornucopia. La figura
della madre diviene, in entrambi i testi, allegoria della pax.
Introduzione
La madre nell’età
augustea
59
Non solo durante il principato di Augusto, ma durante tutto il periodo
“classico” la madre, e più in generale la donna, rappresenta l’abbondanza, il
desiderio di pace. La figura femminile viene connessa alla sfera privata degli
affetti e dei legami familiari, in contrasto con la sfera pubblica associata al
maschile. Numerosi sono i modelli culturali di questa rivisitazione
antropologica della funzione del femminile all'interno della cultura romana.
In particolare la contrapposizione tra punto di vista femminile e quello
maschile, presente in alcune tragedie greche, quali le Troiane, Medea,
Antigone, viene ripreso da Virgilio nell’Eneide, quando nel IV libro Didone
affronta Enea. Didone ed Enea risultano portatori di valori profondamente
differenti. Questo elemento concorre a presentare Didone come un
personaggio tragico: nella tragedia greca, infatti, alla base dell'intreccio sta
spesso il confronto tra personaggi che risultano portatori di valori
inconciliabili. Tra Didone ed Enea l'opposizione fondamentale avviene su
come essi interpretano il ruolo da dare ai propri affetti rispetto alla loro
funzione di sovrani fondatori di una nuova città. Didone rinuncia al proprio
ruolo di regina in nome dei propri affetti, per Enea, invece, accade il
contrario: egli dichiara di accettare il destino, il che comporta il sacrificio dei
propri sentimenti per raggiungere l'Italia e lì divenire il re fondatore di una
città. Un esempio significativo di questa contrapposizione tragica è
l'Antigone di Sofocle. Antigone decide di dare sepoltura al cadavere del
fratello Polinice contro la volontà del re di Tebe, Creonte. Antigone compie
questa azione trasgredendo la legge, in quanto in primis è legata a suo
fratello da una relazione affettiva. Antigone antepone la sfera privata a
quella pubblica: io non sono nata per condividere l’odio, ma per condividere
l’amore. In questa tragedia ritorna quindi la visione della figura femminile
come portatrice di pace.
Anche in un “monumento alla guerra”, com’è il poema epico dell’Iliade di
Omero, il femminile è presente per affermare il desiderio di pace.
Generatrici di vita e simbolo della fecondità universale, le donne - madri, da
sempre costrette al margine dei combattimenti - eroi, diventano
personificazione e custodi di una civiltà altra, alternativa alla guerra. Sono
convinte che si potrebbe vivere diversamente e non tacciono. Infatti, nel
libro VI sono presenti tre suppliche rivolte ad Ettore da tre donne diverse: la
madre Ecuba, Elena e la moglie Andromaca. Ciascuna con una propria
tonalità, ma la supplica è la stessa: il desiderio di pace. Inoltre, nel libro XXII
vv. 103 - 115, Ecuba di fronte all’imminente scontro del figlio con Achille
cerca di dissuaderlo, rievocando immagini legate al nutrimento, quale fonte
di vita, archetipo dell'amore materno. In questo passo si ritrova sia la figura
femminile, come allegoria della pace, ma soprattutto la supplica della madre
nei confronti dell’eroe - figlio. Ettore destinato a morire per seguire i doveri
Mater
60
dell’eroe si contrappone alla madre, Ecuba, la quale, essendo affettivamente
legata a lui e dunque privilegiando l’etica fondata sul principio di Eros, cerca
di farlo tornare da lei con un’ultima disperata richiesta.
Ecuba, Antigone, l'immagine romana di Tellus, Didone, sono simbolo del
desiderio di pace, generatrici di uomini e si contrappongono in ogni loro
gesto e parola al maschile, alla guerra.
“(…) l’eredità materna implica un’iscrizione più originaria del desiderio
come fattore che installa nell’essere il desiderio stesso della vita”.
M. Recalcati, Le mani della madre
Documenti (la sepoltura del corpo):
1. A. Baricco, Omero, Iliade, 2015
2. A. Palo, La morte, i riti funebri e l’aldilà nel mondo romano, 2016
3. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2011
Documenti (la morte eroica):
1. A. Brelich, Gli eroi greci, 1958
2. J.P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007
3. R. Grave, I miti Greci, 1955
Documenti (la madre)
1. A. Baricco, Omero, Iliade, 2015
2. M. Bettini, Maschile/femminile genere e ruoli nelle culture antiche, 1993
3. M. Recalcati, Le mani della madre, 2015
4. O. Rossini, Ara Pacis, 2006
5. P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, 1989
Conclusione
61
Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano
Sacer e lutto nel codice classico
Il progetto Erasmus+ “Insegnare la Grande Guerra – Educare alla pace” è
stato il pretesto a partire dal quale abbiamo svolto un lavoro di analisi di testi
letterari, architettoniche e scultorei, finalizzato alla ricostruzione del lessico
valoriale di alcune fasi del culto dei morti per la patria nel codice classico.
Per quanto riguarda le modalità di lavoro, a partire da una discussone
all’interno del gruppo, abbiamo deciso quali fossero i testi da prendere in
considerazione. Dopo l'attività di comprensione e analisi, abbiamo
individuato alcune parole chiave significative ed esaustive del percorso
oggetto del nostro lavoro. Le parole chiave da noi scelte sono sacer e lutto.
Per sviluppare il nostro percorso siamo partiti dall’etimologia di queste
ultime.
La parola sacro deriva dal latino sacer, forma arcaica di sakros. La radice del
termine si ritrova nell’accadico (lingua o insieme di lingue dell'area semitica,
ormai estinte) saqāru, ovvero “invocare la divinità”, sakāru ovvero “sbarrare,
interdire” e saqru, ovvero “elevato”. Da esso derivano i sostantivi sacrificium
“rito sacro” e sacrarium “santuario”. Sacro, quindi riguarda tutto ciò che è
“separato”, elevato rispetto alla sfera umana. Infatti, U. Galimberti, nel libro
Orme del sacro, afferma che il termine di origine indoeuropea significa
“separato”. La sacralità, quindi, è una condizione che riguarda ciò che ha
relazione e contatto con potenze che l’uomo, non potendole dominare,
avverte come superiori a sé. Da ciò deriva una dimensione “separata” e
“altra” rispetto al mondo umano. L’uomo teme il sacro, e di conseguenza
tende a tenersi lontano da esso, ma al tempo stesso, ne è anche attratto,
come nei confronti di tutto ciò che non conosce.1
È su questo rapporto ambivalente che si basa ogni forma religiosa. La parola
“relegare”, infatti, riguarda sia la separazione sia il contatto fra l’uomo e il
sacro. L’uomo ha la necessità di trovare un punto d’unione fra la sfera umana
e quella divina. Questo avviene nei riti, la cui funzione è quella di avvicinare
l’uomo a chi ritiene essere superiore. Fin dai tempi antichi, la sepoltura dei
defunti rappresenta uno dei tanti riti che l’uomo compie per soddisfare il
bisogno antropologico di ricordare e onorare i propri cari. Essa è, inoltre,
occasione per entrare in contatto con il Divino, a cui affidare, in questo caso,
il corpo sacralizzato del defunto.
Per quanto riguarda i riti funebri nella res publica “non basta che uno muoia
per entrare a far parte degli dei Mani: il defunto deve in primo luogo ricevere
adeguati funerali, delle dovute esequie”, questo è quanto sostiene L.
Introduzione
Modalità di lavoro
Parola chiave
Sacer
Funzione del rito
62
Garofalo nel testo Il corpo in Roma antica.2 Il defunto veniva trasformato in
una sorta di divinità dalla gens di appartenenza, ciò avveniva pubblicamente,
davanti a tutti i cittadini. A Roma veniva data particolare importanza alla
sepoltura dei cadaveri. Infatti, come si legge nella XIV Philippica di Cicerone
“...che questi non siano rimasti insepolti o abbandonati – che sarebbe sorte
infelice, se sofferta per la patria – o cremati e poveramente racchiusi in
tombe disperse”. Ricevere una sepoltura era considerato l’evento che
concludeva la vita degli uomini e in quanto tale, era ritenuto un diritto. Le
morti che non ricevevano sepoltura erano considerate “indegne” in quanto i
corpi rimanevano fantasmi e ciò avrebbe causato ripercussioni spiacevoli sul
destino dell’anima del defunto.
Il rito funebre privato si componeva di diverse fasi. Inizialmente, l’uomo più
anziano della famiglia, il pater familias, si recava al capezzale del defunto con
il compito di chiudergli gli occhi. Seguiva la conclamatio, ovvero il lamento
funebre intonato dai parenti nel quale invocavano il nome del deceduto per
dargli l’ultimo saluto. Successivamente i libitinari (coloro i quali si
occupavano di preparare la salma per il rito), lavavano, profumavano e
vestivano il corpo con una toga e lo ponevano nell’atrio della casa.
L’esposizione durava alcuni giorni, durante i quali le donne piangevano il
defunto ed esternavano il loro dolore per la perdita attraverso un codice
gestuale. Esso rappresentava il tentativo di rimanere in contatto con la
vitalitas, ovvero l'energia vitale del defunto, durante il quale le donne
piangevano, si scioglievano i capelli e si denudavano il petto. Esse non solo
piangevano il morto, ma anche le sventure che derivavano dalla morte di
quest’ultimo, in quanto era il difensore della famiglia. Quindi, il lamento delle
donne non evocava soltanto la grandezza del deceduto, ma anche i
mutamenti a cui andava incontro la famiglia dopo la sua perdita.
Gli uomini invece mantenevano la compostezza, la dignitas, uno dei valori
del mos maiorum: quest’ultima consiste nell’onore inteso come “specchio
della reputazione”. Inoltre, essi, celebravano i meriti civili del defunto con
orazioni commemorative.
Dopo l’esposizione, aveva luogo una processione pubblica alla tomba o alla
pira funeraria durante la quale il corteo indossava delle maschere con le
fattezze del defunto. A quest’ultima seguiva la laudatio funebris, un’orazione
pronunciata in memoria del defunto. Il feretro, in cui il defunto era adagiato
scoperto, veniva trasportato a spalla dai congiunti o dai liberti, in casi
particolari da senatori o cavalieri. Mimi, danzatori e suonatori di corno o di
tibia aprivano il corteo seguiti dai portatori di fiaccole e dalle préfiche, donne
che cantavano a pagamento lamenti funebri e lodi all’estinto. Parenti e amici
seguivano la bara fino al momento della cremazione o dell’inumazione. Essa
Le fasi del rito
63
era regolamentata dallo ius sacrum, il quale ne sanciva i requisiti, pena, in
presenza di difetti e irregolarità, l’eterno vagare dello spirito del defunto.
Come sancivano le XII Tavole, le salme dovevano essere inumate all’esterno
delle mura cittadine come allo stesso modo anche le cremazioni.
Dai testi in nostro possesso, abbiamo compreso che la morte di una persona
cara destabilizza chi rimane in vita. Il sopravvissuto sente la sua fine più
concreta e vicina. Dare sepoltura ai cadaveri, quindi, rappresenta un dovere
morale, è un gesto che rientra nella sfera semantica dell'humanitas e della
pietas verso i defunti. È anche una necessità, un bisogno insito nell’essere
umano. Da ciò comprendiamo la funzione dei riti nel codice classico,
consistente nel sancire il passaggio del defunto dalla società dei vivi ad una
dimensione ignota, ipotizzata e mitizzata permettendo, perciò, ai cari di
elaborare il lutto.
Il termine lutto deriva dal latino luctus, che a sua volta proviene dal verbo
lugere, “piangere”. Dall’etimologia deriva che il lutto si riconosce nel dolore,
visibile nella fisicità delle lacrime di coloro che hanno perso una persona
cara. Quindi le lacrime, come afferma U. Foscolo, nella sua opera Dei
Sepolcri, “E voi, palme e cipressi, che le nuore piantan di Priamo, e crescete,
ahi presto! Di vedovili lagrime innaffiati, proteggete i miei padri”3, avevano
la funzione di colmare la perdita di un caro. L’io lirico si rivolge alle piante
personificate, bagnate dalle lacrime delle vedove troiane, esortandole a
crescere in fretta per proteggere i defunti. Le piante a cui Foscolo fa
riferimento sono palme e cipressi, simbolo rispettivamente di gloria e di
morte. Quindi, chi avrà cura di tali piante, manifesterà pietas nei confronti di
chi ha dato la vita per la patria. Le nuore, invece, rappresentano la sfera
privata e affettiva del rito, mentre le lacrime esprimono la loro pietas nei
confronti del defunto. Il lutto, quindi, come sostiene J. Winter in Il lutto e la
memoria, consiste in azioni e gesti tramite i quali chi sopravvive esprime la
sua pena e passa attraverso le varie fasi della privazione: negazione della
morte come meccanismo di difesa, rabbia provocata dal dolore,
negoziazione come reazione dell’uomo impotente nei confronti della morte,
depressione ed accettazione del lutto. In queste fasi l’uomo ricerca un senso
e una giustificazione alla morte.4
Come le tombe assolvono ad una funzione consolatrice e riparatrice nella
sfera affettivo - familiare, così le commemorazioni ufficiali, la creazione di
memoriali e l’edificazione di monumenti da parte delle istituzioni, hanno una
funzione consolatoria per i cittadini, permettendo loro di elaborare il lutto
collettivo e legittimare, onorare e giustificare le morti dei figli della patria.
Come sostiene Orazio, Dulce et decorum est pro patria mori, la morte
Parola chiave
Lutto
Funzione memoriali
64
valorosa è quella per la patria: nel codice classico questa è la suprema
valorizzazione della guerra.
In conclusione, la riflessione su alcune parole chiave del codice classico, quali
sacer e lutto, ci ha permesso da un lato di scoprire, dietro simbologie diverse,
affinità antropologiche tra passato e presente, dall'altro di ri - scoprire il
valore della sepoltura dei defunti. Questa maggiore consapevolezza riguardo
le permanenze della civiltà classica nel presente ha cambiato il nostro
atteggiamento frettoloso, se non indifferente, verso le tombe dei nostri cari,
ora luoghi ove instaurare quella corrispondenza d’amorosi sensi, (...) spesso
per lei si vive con l'amico estinto, e l'estinto con noi.
Documenti
1. U. Galimberti, Orme del Sacro, 2000
2. L. Garofalo, Il corpo in Roma antica, 2016
3. U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1806
4. J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995
5. F. Cardini, Onore, 2016
6. A. Diotti, S. Dossi, F. Signoracci, Moenia Mundi (pagine 342 – 343), 2015
7. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011
Conclusione
65
Percorso 2: Codice contemporaneo. La dimensione pubblica del dolore
Argomento Il rito del Milite Ignoto: alla ricerca delle nostre identità.
Finalità Ri - costruire le diverse codificazioni della Memoria nel rito del Milite Ignoto; Riflettere sul significato del termine Memoria nella cultura contemporanea; Riconoscere la presenza di diverse tradizioni nella codificazione del Milite Ignoto.
Testo: Milite Ignoto
Fase A: Ricerca di documenti
Fase B: Lettura, analisi del testo Milite Ignoto. Individuare parole - chiave, ri - conoscere linguaggi e tradizioni culturali, costruire percorsi culturali a partire dalle parole - chiave.
Ambiti di indagine:
Rito
Madre
Lutto
Soldato - massa vs Eroe
Simbolo
Culto
Ordine vs Caos
Corpo
Ara
Monumento
Memoria
Senso di colpa
Ri - semanticizzazione del Classico in funzione ideologica
Fase C: Intertestualità
Attività: Ri - leggere il testo Milite Ignoto alla luce delle nuove acquisizioni, evidenziando segni, simboli, permanenze di linguaggi e tradizioni culturali diversi.
66
Gruppo 1: S. Baldan, L. Contin, A. Mauri, E. Scolaro
Milite Ignoto: il Classico nel Contemporaneo
Nella fase precedente del percorso, abbiamo ricostruito la concezione
classica della parola “corpo” partendo da un lavoro di analisi e riflessione su
testi letterari e non. Ciò ci ha permesso di acquisire consapevolezza sul
significato di alcuni concetti – valori da noi trascurati, ossia honor, stuprum,
laudatio funebris, consolatio. In questa seconda fase del percorso, ci
serviremo di tale lessico valoriale per rileggere il testo Milite Ignoto allo
scopo di ricercare le tracce di quei concetti/valori nella cultura
contemporanea. In particolare, la ricerca sarà orientata nei seguenti campi
d’indagine: la funzione – utilità del rito del Milite Ignoto,
l’interpretazione/rilettura in chiave retorica da parte del potere, il motivo
della bella morte, la figura della madre del Milite ignoto nel rito ed infine la
figura della donna e il suo ruolo durante la guerra.
Come in epoca classica, anche oggi, la presenza del corpo è fondamentale
nel rito, soprattutto per poter elaborare il lutto: avere una tomba su cui
piangere, un luogo dove poter perpetuare il legame con il defunto, instaurare
quella corrispondenza “d’amorosi sensi”, è un bisogno antropologico. È
questo uno dei principali propositi che, dopo la fine della Grande Guerra,
porta l’Italia e tanti altri paesi all’ideazione e costruzione del culto del Milite
Ignoto.
Dopo la fine del primo conflitto mondiale, gli stati vittoriosi avvertono
l’esigenza di rendere onore alle persone cadute. Di conseguenza, tra il 1920
ed il 1921, le autorità si recarono sui sanguinosi campi da battaglia per
scegliere una salma di un soldato sconosciuto, che sarebbe diventato il
nuovo simbolo del Milite Ignoto.
Il conflitto aveva lasciato l’Italia nel profondo di una crisi sociale generale:
600.000 furono le vittime civili, ed altrettante furono le morti di militari, per
un totale di circa 1.200.000 persone.2 I commilitoni dei caduti parteciparono
alle ribellioni, guidati dalla rabbia per essersi immolati secondo un ideale
comunitario che non si era concretizzato. Inoltre, la crisi era caratterizzata da
un grave senso di perdita, dovuto al fatto che molti dei soldati caduti furono
dati per dispersi o scomparsi.2
Dalla necessità di superare questo trauma sociale e dalla volontà di un
riconoscimento collettivo a tutti i caduti, i cui corpi giacevano nell’oblio
dell’anonimato, nasce l’idea di fare di un corpo “il corpo”, simbolo del
sacrificio di tutti i milites. In particolare, la proposta venne lanciata dal
combattente Giulio Douhet, il quale propose un rito collettivo che segnasse
Introduzione
Simbolismo
67
la conclusione simbolica della guerra3, fungendo da spartiacque tra la guerra
e la pace. Il rituale avrebbe dovuto creare nei cittadini un senso religioso
della patria e giustificare, in quest’ottica, il sacrificio dei soldati.
Il 28 ottobre 1921, ad Aquileia fu scelta, in modo casuale, una delle undici
bare contenenti altrettante salme di soldati non identificati, provenienti dai
principali fronti italiani della guerra.4 Occorre prestare particolare attenzione
alle modalità con cui questa scelta avviene per ricostruire alcuni valori
attribuiti al Milite ignoto.
Si consideri innanzitutto che le salme vennero racchiuse in bare
identiche tra loro, in modo da essere indistinguibili. Si attua, In
questo modo, la spersonalizzazione del soldato, processo
necessario per favorire da parte dei militari sopravvissuti
l’identificazione con quello sconosciuto, poiché “solo un ignoto
può essere il rappresentante di tutti”, secondo Douhet.3
In secondo luogo, occorre discutere la casualità della scelta del defunto. La
scelta casuale ha la funzione di ribadire la comune identità dei soldati, che
nelle trincee avevano condiviso lo stesso destino, fino a sperimentare quella
che doveva essere per la maggior parte di loro l’esperienza della
massificazione. Il simbolismo del Milite Ignoto si arricchisce così del senso di
appartenenza, di uguaglianza ed unità.
Per queste connotazioni simboliche, in particolare per quella relativa al suo
essere “ignoto”, il Milite ignoto diventa il pretesto ideologico per offrire una
lettura etico – civile della guerra.3 Il suo “essere tutti”, la sua
spersonalizzazione sposta il focus ricettivo dei destinatari dal fatto tragico
della morte, ignota e quindi anonima, non identificabile e collocabile nello
spazio - tempo, al soggetto/sostantivo “milite”, che diventa evocativo di
militanza, strenuo senso del dovere, disciplina, sacrificio.
La morte del fante diventa il sacrificio paradigmatico, l’offerta della vita
sull’altare della Patria per adempire al dovere verso la comunità Per questo
motivo, l’umile fante diventa eroe - exemplum al quale saranno riservati i
“sommi onori”, onori che per Douhet dovevano concretizzarsi nella sepoltura
delle spoglie a Roma, nel Pantheon, al fianco dei Re.
La proposta di un sepolcro fu accolta favorevolmente dallo Stato, poiché
avrebbe potuto trarne molti vantaggi. La creazione di una tomba avrebbe in
parte colmato nei familiari quel vuoto lasciato dalla scomparsa dei cari: “da
quella tomba trarranno maggior consolazione le più infelici: quelle che non
seppero più nulla del loro nato, che sembrò vanire nella bufera”.3 La
sepoltura della salma a Roma avrebbe creato una condizione favorevole alla
La scelta del luogo
di sepoltura
68
nazionalizzazione del simbolo. Nonostante ciò, la proposta di Douhet venne
respinta: il luogo di sepoltura divenne il Monumento nazionale a Vittorio
Emanuele II. La motivazione che lo stato fornì rispetto a questo cambio, è
che, essendo il Milite Ignoto un simbolo destinato al popolo, egli doveva
mantenere questa destinazione e collocazione sociale anche post mortem.
Questa scelta inoltre è mirata ad evitare che l’umile fante venga posto
all’altezza del Re. Se il Milite Ignoto, simbolo delle virtù popolari, venisse
posto alla pari di un sovrano, si sovvertirebbe la relazione tra il potere ed il
popolo. Così, egli viene sepolto ai piedi della statua di Vittorio Emanuele II in
modo da mantenere il rapporto di leale subordinazione.
Il 4 novembre 1921, viene sigillata la tomba del guerriero sconosciuto nel
rinominato “Altare della Patria”. Per approfondire l’utilizzo strumentale e
retorico del Milite Ignoto da parte dello stato, considereremo l’epigrafe
funeraria posta all’interno del Sacello del Milite Ignoto nel Vittoriano.
«SOLDATO · IGNOTO DEGNO · FIGLIO · DI · VNA · STIRPE · PRODE
E · DI · VNA · MILLENARIA · CIVILTÀ · RESISTETTE INFLESSIBILE · NELLE · TRINCEE · PIV’· CONTESE PRODIGÒ · IL · SVO · CORAGGIO · NELLE · PIV’·
CRVENTI · BATTAGLIE · E · CADDE · COMBATTENDO SENZ’ALTRO · PREMIO · SPERARE · CHE · LA
VITTORIA · E · LA · GRANDEZZA · DELLA · PATRIA XXIV · MAGGIO · MCMXV · IV · NOVEMBRE · MCMXVIII»5
Epigrafe funeraria posta all’interno del Sacello del Milite Ignoto nell’Altare della Patria
L’iscrizione presenta simboli e motivi della cultura classica, repertorio che il
fascismo recupera e ripropone come di valori assoluti, per abbellire e
nobilitare la morte, giustificando così l’enorme sacrificio di vite umane (per
un totale di circa 16 milioni di morti, senza contare i feriti, tra militari e civili)
durante il primo conflitto mondiale.
Riconosciamo nell’epigrafe funeraria al Soldato Ignoto, la struttura
dell’elogium, iscrizione epigrafica sepolcrale con funzione celebrativa,
finalizzata all’esaltazione delle gesta del defunto o di autocelebrazione della
gens di appartenenza, con la trasmissione dei valori ideologici e politici che
la caratterizzavano.6 Noi, in particolare, abbiamo confrontato
l’epigrafe al Milite Ignoto, situata nel Sacello a lui dedicato all’interno
del Vittoriano, con l’elogium a Scipione Barbato (iscrizione sepolcrale
rinvenuta sulla via Appia durante uno scavo archeologico nel 1780),
modello di elogium classico scritto in latino arcaico in versi saturni.
Entrambi i testi presentano una struttura comune.
Codice classico
nell’epigrafe
funeraria del Milite
Ignoto
«CORNELIVS·LVCIVS SCIPIO·BARBATVS GNAIVOD·PATRE·PROGNATVS FORTIS·VIR·SAPIENSQVE
QVOIVS·FORMA·VIRTVTEI PARISVMA·FVIT CONSOL CENSOR·AIDILIS QVEI·FVIT·APVD·VOS
TAVRASIA·CISAVNA SAMNIO·CEPIT SVBIGIT·OMNE·LOVCANAM OPSIDESQVE·ABDOVCIT»
«Cornelio Lucio Scipione Barbato, nato dal padre Gneo, uomo forte e saggio,
la cui bellezza fu del tutto pari al valore, fu presso di voi console, censore, edile, conquistò Taurasia, Cisauna e Samnio,
sottomise tutta la Lucania e ne trasse ostaggi»7 Elogio a Scipione Barbato
La struttura delle due epigrafi è pressappoco la stessa, cambia il lessico.
L'epigrafe di Scipione si articola in nome del defunto, stirpe, virtù, carriera
politica (cursus honorum): tutti elementi che rimandano all'appartenenza,
all'identità del defunto. Viceversa, nel caso del Milite ignoto, queste
informazioni non compaiono perché irrilevanti, il lessico riguarda
esclusivamente il campo semantico delle res gestae militari.
Le virtù, elencate nell'epigrafe, connotano il Soldato Ignoto con aggettivi
presenti in molti slogan retorici di stampo fascista. Troviamo “inflessibile”,
dal latino inflexibile, composto dal prefisso in, che indica negazione,
e flexibilis, “flessibile”, derivato di flectere, “piegare”, “che può variare,
modificarsi, adattarsi a condizioni diverse”. Spesso usato nella sfera politico -
legislativa, qui indica l’attitudine del soldato modello capace di sopportare e
adattarsi alla durezza della vita in trincea. “Degno”, dal latino dignus,
“degno”, “condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado,
dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il
rispetto che per tale condizione gli è dovuto e “ch’egli deve a sé stesso”. La
dignità è innanzitutto il valore peculiare della civiltà a cui il Milite appartiene,
valore deterministicamente ereditato dal Milite, celebrato come meritevole
“figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà”. Interessante rilevare la
presenza del termine “stirpe” per indicare l'origine, la radice, la discendenza
del Milite, di cui si evidenzia e connota l'appartenenza ad un'etnia, ad una
civiltà. Il Milite è connotato come “prode”, derivato da prodest, prodesse;
pro, prefisso presente anche in prodigo, “giovamento, utilità, vantaggio”.
Nella sfera militare diventa “valoroso, coraggioso, intrepido”. Dunque il
comportamento valoroso del Milite intrepido ha giovato, ha recato vantaggio
alla Patria. La celebrazione del Soldato Ignoto è compiuta.
L'epigrafe presenta inoltre alcuni caratteri dell'alfabeto latino, che rivelano
l'intento, da parte della classe politica, di utilizzare la cultura classica, nei
70
modi del citazionismo, per nobilitare i messaggi in essa contenuti. Questi
elementi sono: l’uso della lettera “v” che sostituisce la “u”, la presenza del
punto intermedio tra parola e parola e l’utilizzo dei numeri romani anziché i
numeri indo - arabici, trasmessi in Europa attorno al X secolo, per indicare le
date di entrata in guerra dell’Italia e di fine conflitto mondiale.
In conclusione, abbiamo scoperto e compreso che il modello dell’elogium
classico è la forma testuale ripresa dal governo fascista per nobilitare ed
elogiare le gesta del milite ignoto, simbolo di tutti i militari morti per la
“grandezza della patria”.
In conclusione, la funzione del rito del Milite Ignoto è quella di onorare e
“raccontare le morti di massa, le morti di tutti quei soldati senza identità,
molto spesso senza più un volto che ne permetta l’identificazione”.11
Da questa citazione si può comprendere come sia fondamentale, per rendere
onore ai caduti la presenza materiale del corpo; corpo su cui parenti e
familiari possano piangere. Questo aspetto del rito funebre presenta affinità
con il relativo percorso svolto all'interno del Codice Classico. Infatti, come
abbiamo visto nella scena fra Achille ed Ettore, quest’ultimo, riconosciuta la
propria inferiorità, chiede ad Achille di consegnare il corpo intatto ai familiari
senza oltraggiarlo e quindi consentendogli una “bella morte”10 affinché i
familiari possano omaggiarlo con un rito funebre e donargli degna sepoltura.
Achille ed Ettore, ricordiamolo, si confrontano in un duello, e questo spiega
la possibilità di recuperare il corpo del vinto. La guerra, di cui è protagonista
il Milite ignoto è totale, è una guerra - massacro, in cui le masse hanno
sostituito gli eroi. La conseguenza di questo dato storico è il maggior numero
di morti sul campo di battaglia. L’altissimo numero di morti e l’impegno della
guerra rendono impossibile prendersi cura dei cadaveri, conservarli, per poi
tornare in patria ed onorarli. I morti sul campo di battaglia sono trascurati,
talvolta “ammucchiati” a parte, soggetti alle leggi del tempo. Risultato finale:
al termine della guerra non si riconoscono più e non è quindi possibile
identificarli. Questo è solo uno dei motivi per il quale è impossibile
identificare i cadaveri, forse il meno atroce: talvolta, come nell'Iliade, i
cadaveri venivano oltraggiati o sfigurati, mutilati dalle potenti armi del
Novecento.
Allora, per consentire alle famiglie, alle quali non è stata restituita nemmeno
la salma, di poter ricordare il proprio caro, vennero costruiti monumenti e
luoghi della memoria. “Si creò insomma una religione civile, fatta di miti e
simboli, bandiere, inni, cerimonie e commemorazioni. Tutti elementi
necessari affinché il lutto venisse elaborato, per permettere a chi fosse
rimasto in vita di poter materializzare la morte con l'aiuto di riferimenti
Parole chiave
Corpo
Bella morte
71
materiali (una tomba, un’iscrizione, ...)” J. Winter. Questa è la ragione e lo
scopo dell'istituzione del rito del Milite Ignoto: un corpo, sconosciuto,
appunto “ignoto”, scelto a caso fra altri corpi doveva rappresentare un’intera
nazione, per onorare il gesto compiuto da tutti coloro che avevano sacrificato
la vita per il bene della patria.
Sono molti i soldati mai tornati dalla guerra e di cui non si è mai saputo
niente: morti sul campo di battaglia non sono mai stati identificati e riposano
nell'anonimato nei cimiteri improvvisati durante il conflitto. Sono altrettante
le famiglie che non hanno mai avuto un corpo su cui piangere e che si
interrogano sul destino toccato ai propri cari. Il culto del Milite Ignoto
assolve, a questo proposito, il suo compito nella dimensione privato -
affettiva. Al di là dell'uso propagandistico e di giustificazione della guerra che
si è fatto del Milite egli diventa Il Soldato, simbolo di tutti coloro che sono
caduti per la patria. Nella figura del Soldato sconosciuto, tutti coloro che
hanno subito una perdita riconoscono il proprio caro avendo, in questo
modo, un luogo sul cui poter piangere e in cui poter ricordare i propri cari.
Nella sacralizzazione delle imprese e del sacrificio dei soldati italiani non
poteva mancare la dimensione privata del lutto: la madre del Milite Ignoto è
quindi una madre “spirituale” che rappresenta nella dimensione pubblica
quella privata e famigliare. Ella aveva il compito di scegliere colui che sarebbe
diventato il Milite Ignoto italiano tra undici corpi prelevati dai diversi campi
di battaglia scelti da una commissione. Riteniamo doveroso soffermarci sulla
presenza della Madre, in quanto figura essenziale nel rito per il simbolismo
da essa evocato. Infatti, nel rito del Milite ignoto, come nel rito classico
precedentemente analizzato nel Percorso 1, la donna, in particolare la
madre, appartiene ad un’altra dimensione rispetto a quella eroica del
maschile, femminile e maschile sono paradigmi antitetici, eros e thanathos.
Qual è allora la funzione della presenza femminile in questo contesto e sulla
base di quali criteri è stata scelta questa donna, simbolo della maternità,
principio di vita?
L. Cadeddu risponde a questa domanda riportando una citazione del Diario
di Tognasso: “Chi doveva fare questa scelta se non una mamma che non sa
dove riposa il corpo della creatura nata dalle sue viscere, alimentata dal suo
seno, educata al suo amore, alla sua fede? L'Italia conta a migliaia di queste
eroine del focolare. A quale fra esse, il compito della scelta? [...] tutte
portano con orgoglio la croce del loro martirio ornata dai colori della Patria
e dalle insegne del valore dei figli perduti.”13
Come nel caso della selezione dei corpi dei soldati sconosciuti, è toccata ad
una commissione la scelta della madre spirituale del Milite. Le cosiddette
La figura della
madre del Milite
Ignoto
72
“eroine del focolare” al termine della grande guerra erano tante:
madri che avevano perso i figli e non solo nei modi più cruenti e
atroci, madri come una vecchia donna di Lavarone che pur di
deporre le spoglie del figlio nel cimitero del paese, “esumò da sola
le ossa della sua creatura, ponendosela in grembo dopo averle
legate con un nastro tricolore.” L. Cadeddu. Alla fine fu scelta una
donna del popolo, originaria di Gradisca: Maria Bergamas, madre
di Antonio Bergamas, disertore dell’esercito austroungarico, che
durante la Grande Guerra combatté con l’esercito italiano. Maria
Bergamas è stata scelta come rappresentante, simbolo di tutte
quelle madri, mogli, sorelle che hanno un figlio, marito, fratello che
non ha mai fatto ritorno dal fronte. Maria Bergamas è anche la
madre di un “figlio della Patria”, degno discendente della gloriosa
stirpe italica, come ricordato nell'epigrafe, che in virtù di questi
valori riconosce la sua appartenenza, la sua identità, la sua italianità.
Se in epoca classica il ruolo della donna nel rito funebre, restava circoscritto
alla sfera privata, durante le celebrazioni in onore del Milite ignoto, essa
ricopre un ruolo anche nella sfera pubblica. La Madre viene strumentalizzata
dalla retorica e dalla propaganda post bellica. Il suo ruolo di
portatrice del desiderio di pace, di portavoce di quella civiltà
estranea al dovere della guerra, viene sfruttato per creare il senso
di appartenenza collettivo al lutto, un'identità comune nella quale
identificarsi.
Maria Bergamas il 28 ottobre 1921 ebbe il compito di scegliere colui
che sarebbe diventato il Milite ignoto italiano tra undici corpi
disposti lungo la navata centrale della basilica di Aquileia. Dalle foto
e dai racconti, la donna ci appare vestita con abiti scuri, col capo
coperto e in mano un mazzo di fiori come erano solite atteggiarsi le
donne in lutto. L'analisi dei gesti della donna durante la scelta del
Milite ignoto permette di cogliere alcune affinità con la figura
femminile presente nei riti funebri in epoca classica. Maria
Bergamas si toglie il velo e cade piangendo disperata ai piedi della bara
prescelta, pronunciando il nome del figlio scomparso. Questa immagine
rimanda alle rappresentazioni dei rilievi risalenti all’epoca classica, o alla
reazione di Ecuba alla morte del figlio Ettore.14 Il pianto resta il simbolo
universale del dolore e della perdita, svolge una funzione antropologica,
serve a colmare “la crisi della presenza”15, il vuoto lasciato dalla perdita della
persona cara.
La Madre del milite ignoto non era l’unica donna presente durante la
cerimonia, un posto d’onore venne riservato a tutte le donne che durante il
Figura e ruolo della
donna
73
conflitto persero un familiare. Accanto alle madri vi sono quindi anche le
figlie e le mogli, ora vedove. Tutte queste donne, assieme agli orfani, sono le
vittime indirette della guerra.
Procedendo nella nostra ricerca, ci siamo resi conto che la figura della donna,
all’interno del testo e del co - testo Milite ignoto, è pervasiva, onnipresente
in modo esplicito o implicito. In particolare, la Madre è una costante
all'interno dei percorsi da noi indagati. E le madri sono anche le principali
destinatarie delle lettere che i soldati/figli scrivevano: “Di fronte a un
universo in cui la violenza era l'unica chance per tentare di sopravvivere nel
massacro tecnicizzato, la mamma rappresentava la necessaria immagine di
dolcezza che impediva di impazzire”.13
La scrittura della lettera per il soldato è un momento di estraniamento dal
conflitto, in cui concentrarsi su sé stesso: la scrittura soddisfa la necessità di
ritrovare la propria identità, messa in crisi dal conflitto e dalle condizioni in
cui si trova.
L'arrivo delle lettere e degli scritti direttamente dal fronte “sembra non già
l'ingenua illusione di trovare le testimonianze incontaminate della storia,
quanto la riscoperta della dimensione di soggettività nella storia [...] la
riscoperta insomma del fatto che la storia si riverbera e si moltiplica nella
varietà dei percorsi individuali e collettivi, antropologici e mentali di milioni
di uomini comuni, e che senza tener conto di questa dimensione la nostra
cognizione può essere mutila, atrofizzata e priva di vita”.17
Le lettere costituivano il legame con la quotidianità, con la vita di sempre,
erano il momento in cui il soldato si riconosceva, in cui riacquistava la sua
identità. Ne è un esempio la lettera scritta da Efisio Atzori (alpino che
combatté sul fronte trentino) per i genitori: “Carissimi, [...] state sempre
tranquilli e allegri io son sempre lo stesso, sto bene e sono contento. Voi non
vi immaginate l’allegria che regna specialmente quando mangiamo. [...]
Della gente che mangia, beve canta, ride non può che stare bene ed io coi
miei colleghi siamo così. Quindi anche voi sempre allegri, non pensate mai a
i pericoli della guerra, [...]”. Efisio, semplice alpino costretto a combattere
con ferocia i nemici, dopo aver raccontato delle sue giornate in trincea e delle
battaglie cruente a cui ha preso parte, rassicura i suoi cari sul fatto che lui sia
sempre lo stesso nonostante in battaglia si ritrovi ad essere qualcun altro.
Nel raccontarsi ritrova per un attimo la sua umanità. Egli rappresenta tutti
quei soldati che sono stati trasformati dalla guerra in vittime e, allo stesso
tempo, in carnefici. Come dichiara Secondo Gabanini, bracciante arruolate
nel 29° reggimento di fanteria: “Carissimi genitori, [...] ma voi altri poi non vi
dovete fare niente impressione che io o fatto per raccontarvi un po’di quello
74
che o visto e niente di più [...] a me mi piace dire la verità, poi lo sapete che
persona che tipo sono io siccome voialtri avete molto piacere di saperlo
come vado e come mi trovo e io quando posso vi faccio sapere tutto ogni
cosa cosi credo che di me sarete contenti.”18
E ancora: “Cara Madre ti faccio sapere che ò già fatto un giorno e una notte
in trincea se vedeste che divertimento quando si vede qualche austriaco
alzar la testa e delle sue trincee gli facciamo tutti fuoco contro di lui.” Le
madri diventano anche le confidenti delle atrocità di guerra. È sempre la
figura della madre / donna che viene evocata nei momenti di difficoltà: è la
donna, capace di prendersi cura e di consolare, che diventa un’ancora alla
quale attaccarsi per non sprofondare nella crudeltà della guerra. Come
accade nell’Iliade14, anche i soldati, protagonisti della Grande Guerra,
recuperano l'humanitas grazie alla mediazione dell'elemento femminile.
Così scrive alla sorella Maria, in una lettera, l’ufficiale dei bersaglieri Nunzio
Coppola “[…] Forse quest’azione che eticamente mi ha allontanato dalle
creature umane, mi fa sentir più vivo il desiderio d’esser amato e di voler
bene. Ma perché ti dico questo? Non lo so. Per parlare, per dirti che
italianamente e militarmente mi piace la guerra, ma che come uomo, utopia
del secolo ventesimo! mi fa orrore.”
Maria Bergamas, Madre del Milite ignoto, è allora la sintesi di
tutti questi attributi, ruoli, aspetti, codificazioni, significati del
femminile, che le conferisce il carattere di esemplarità, come si
legge sull'iscrizione della tomba “Maria Bergamas, Per tutte le
madri”.
Attraverso questo progetto, abbiamo avuto modo di recuperare alcuni valori
che avevamo dimenticato. In particolare, lo studio di alcuni aspetti della
civiltà classica, ci ha permesso di comprendere la distanza tra la nostra
cultura e quella passata, mentre con lo studio del testo Milite abbiamo
compreso come talvolta la cultura classica venga strumentalizzata per scopi
propagandistici finalizzati a costruire il consenso popolare attorno a precisi
programmi politici. Nel caso da noi studiato, i segni del passato, come
abbiamo visto, vengono utilizzati per nobilitare e giustificare la guerra. In
questo modo, il fascismo “abbelliva”, mascherandola di Antico, la morte.
Nei tempi antichi è stato scritto che è dolce e decoroso morire per la propria
patria. Ma nella guerra moderna non c’è niente di dolce e opportuno nella
morte. Si muore come cani senza un valido motivo.
E. Hemingway
Conclusione
75
Documenti
1. BBC, Unknown Warrior, 1999
2. Diacronie, Itinerari della Grande Guerra - Un viaggio nella storia,
http://www.studistorici.com/2014/08/01/itinerari-della-grande-guerra-un-viaggio-nella-
storia/
3. Dizionario Garzanti Linguistica, http://www.garzantilinguistica.it/
4. E. Degl’Innocenti, Lo sguardo di Giano, 2014
5. Elogio a Scipione Barbato, 240 a.C. ca.
6. Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/
7. F. Cardini, Onore, 2016
8. Gibelli, Il colpo di tuono, 2015
9. J. Winter, Il lutto e la memoria – La Grande Guerra nella storia culturale europea, II, IV, 1998
10. J.P. Vernant, La morte eroica nell’antica Grecia, 2007
11. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2004
12. M. Bettini, La cultura latina, la nuova Italia, 2011
13. Omero, Iliade, 750 a.C. ca.
14. Q. Antonelli, Storia intima della Grande Guerra – Lettere, diari e memorie dei soldati dal
fronte, 2014
15. Sacello Milite Ignoto, 1921
16. U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807
17. V. Labita, Il Milite Ignoto, dalle trincee all’Altare della Patria, 1989
18. Wikipedia, Milite Ignoto (Italia), https://it.wikipedia.org/wiki/Milite_Ignoto_(Italia)
76
Gruppo 2: L. Bertoli, M. Cadenaro, A. De Paoli, D. Zuliani
Milite ignoto: simboli e significati.
Il seguente saggio breve riguarda l’attività 13 - Milite ignoto del progetto
Erasmus+ “Insegnare la Grande guerra - Educare alla pace”.
Nel seguente lavoro abbiamo analizzato alcuni aspetti della figura del Milite
Ignoto, quali il contesto storico, la figura della Madre, il luogo della sepoltura,
il significato simbolico e la funzione ideologica della cerimonia del Milite
Ignoto. Per realizzare questi obiettivi, ci siamo serviti delle parole - chiave e
dei concetti precedentemente ricavati, esaminando il rito funebre nel codice
classico: lutto, memoria, sacer. A partire da queste parole - chiave, e dal
relativo campo semantico, abbiamo esaminato una serie di saggi riguardanti
l’argomento oggetto del nostro lavoro.
Introduciamo ora la figura del Milite ignoto inserendolo nel contesto storico
di riferimento.
Dopo la fine della Grande Guerra, che portò alla morte milioni di persone,
alcuni paesi come la Francia e l’Inghilterra per prime, e l’Italia poi, crearono
dei monumenti nazionali con la funzione di “risarcire” una popolazione
martoriata dal conflitto e che, come in Italia, doveva affrontare diverse spese,
tra le quali “una vertiginosa crescita dell’inflazione e del costo della vita e
una profonda crisi industriale”1. A seguito della morte di circa 650.000
caduti, tra cui soldati non identificati, il colonnello Giulio Douhet propose
l’idea di onorare i sacrifici e gli eroismi della collettività nazionale nella salma
di un Soldato sconosciuto. La sua proposta venne subito accolta dalle
organizzazioni patriottiche “che vedevano nel caduto senza nome il simbolo
che poteva rappresentare il marito, il padre o il figlio di quanti non avevano
la possibilità di onorare le spoglie del familiare disperso”1.
Come afferma S. Luzzato, la tumulazione del Milite Ignoto, nel novembre
1921, è stata con ogni probabilità la più importante cerimonia nazionale nella
storia dell’Italia unita. Le spoglie anonime di un soldato caduto e rimasto
privo di riconoscimento, uno su circa duecentomila, viaggiarono in treno
dalla basilica di Aquileia fino a Roma, tra la folla raccolta lungo i binari, e
trovarono ricovero nella capitale fra i marmi dell’Altare della Patria. Quelle
spoglie divennero per gli Italiani, allora, il simbolo stesso della Grande
guerra: segno doloroso della vittoria, della memoria, del lutto. Intorno alla
tomba del Milite Ignoto Benito Mussolini avrebbe costruito, durante il
Ventennio, parte dell’immaginario fascista. E ancora oggi l’omaggio al Milite
Storia del Milite
Ignoto
Introduzione
77
Ignoto costituisce il momento culminante di ogni cerimoniale della
Repubblica.
Il rituale del Milite ignoto non aveva solo la funzione pubblica di costruire
un’identità nazionale attraverso la propaganda di valori come il sacrifico per
la patria, ma anche lo scopo di permettere di esprimere il proprio dolore ai
famigliari che non avevano ricevuto il corpo del defunto; perciò “fondendo
tradizione cristiana e imprese sui campi di battaglia, sorsero nuovi luoghi di
culto […], modelli di vita in un’epoca che esaltava l’eroismo e il sacrificio”2.
Si procedette ad una costruzione sia ideologica che politica, perché di fronte
ad un evento senza precedenti come la Grande Guerra “sia le classi dirigenti,
sia gli strati più bassi della società avevano dunque bisogno di comprendere
quel massacro”2.
Esaminiamo ora l’elemento del lutto, fondamentale per “comprendere il
massacro” e superare la perdita dei propri cari. Il termine lutto deriva dal
latino luctus, derivante dal verbo lugere, “piangere, essere in lutto”, e indica
a un tempo la situazione di chi ha perduto una persona amata, il lento e
doloroso processo di accettazione e interiorizzazione di un decesso.
In particolare quello relativo al Milite ignoto fu un lutto collettivo, poiché il
soldato ignoto rappresentava tutte le perdite umane causate dal conflitto; la
cerimonia del culto del milite ignoto era un mezzo per fondere il dolore
collettivo della nazione a quello privato delle famiglie dei soldati caduti.
Un ruolo centrale in questo rito era occupato dalla figura della madre. Come
afferma L. Cadeddu “[…] erano le centinaia di madri che rappresentavano
tangibilmente il lutto collettivo della nazione, e l’attento cerimoniale che
mirava a coinvolgere tutto il popolo nella sacralizzazione del suo ignoto figlio
morto per la patria doveva trovare una rappresentante del dolore collettivo
che assolvesse il ruolo di tutte le madri private dei loro affetti”. Non è un caso
se venne nominata una Commissione apposita per scegliere accuratamente
la Madre tra le popolane più provate dal calvario che era stato la prima
guerra mondiale. Tra le varie candidate venne scelta Maria Bergamas: “umile
popolana, semplice e modesta come tante donne […] Il più grande amore
della donna era suo figlio Antonio […] ricordato da molti per il suo impeto e
la sua passione politica e il suo ardore, era un autentico mazziniano […].
Come aveva sempre sostenuto, si era sacrificato per il suo ideale […]: come
sia bello morire per le proprie idee.”3
Già da questa descrizione si può capire come il lutto venne strumentalizzato
ideologicamente: Antonio Bergamas, nato nel 1891, era un disertore
dell’esercito austro - ungarico, fervente patriota, rappresentante di tutta la
storia dell’irredentismo nella Grande Guerra e, in quanto tale, consapevole
Funzione rituale
del lutto
Madre
Funzione
ideologica del lutto
78
della sua futura morte. «Bergamas non condivideva soltanto la condizione,
particolarmente arrischiata, dei volontari trentini, giuliani e istriani, alla
Cesare Battisti o alla Nazario Sauro. Condivideva anche l’intrinseca tragicità
di una vocazione già segnata, potremmo dire, dal senno del poi. Ammaestrati
dai primi mesi della Grande guerra, dalla carneficina dei loro stessi fratelli o
cugini o compagni di scuola mobilitati nell’esercito austro - ungarico, i
volontari irredenti sapevano che cosa li aspettava: non si nascondevano che
sarebbe stata una carneficina. Ne fa testimonianza una magnifica lettera di
Antonio (“Tonin”) alla madre Maria: dove il figlio già si rivolge alla mamma
come a una Mater Dolorosa».4 Da irredentista a Milite ignoto, testimone di
come sia dulce et decorum est pro patria mori. Il Milite diventa così simbolo,
perdendo la sua identità, ma l’istituzione di una madre in carne ed ossa,
come simbolica madre della patria, implica anche un figlio in carne ed ossa,
che rivive nella storicità della funzione della madre.
In ogni caso, la cerimonia del Milite ignoto verteva sul simbolismo e
l’anonimato: «Per rappresentare tutti i caduti, il Milite doveva restare Ignoto.
E per incarnare tutte le Addolorate, Maria doveva cancellarsi come madre»
afferma Luzzatto. A questo proposito, i filmati, riguardanti in particolare il
momento della scelta della salma del figlio da parte di Maria Bergamas,
offrono la visione della madre cristiana, modello di comportamento,
misurata nel cordoglio, lontana da quella antica, dominata dal planctus e
dalle lamentazioni. Due concezioni della morte a confronto, quella pagana -
il lamento funebre e la concezione cristiana della morte, diventata
apparente, in virtù della passione e della risurrezione dell'Uomo - Dio.
Durante l'ascesa al Calvario le donne intonano i tradizionali lamenti, ma
Cristo li respinge: “Molta folla lo seguiva, anche di donne, le quali si
percuotevano il petto ed eseguivano lamentazioni per lui. Ma Gesù si rivolse
loro e disse: - Figlie di Gerusalemme, non fate lamenti su di me, ma su voi
stesse e sopra i vostri figli...” Luca,23, 27 - 29. Ecco allora l'esemplarità della
Mater dolorosa nella scena della passione, coerente con l'affermazione della
vittoria di Cristo sulla morte e con la polemica cristiana sulla lamentazione
pagana. Il Nuovo Testamento non conosce un pianto di Maria, rappresentata
in atto di stare davanti alla croce, chiusa in un patire interiore e raccolto.
Maria Bergamas davanti alla bara grida, il suo dolore si fa umano, segno
dell'antico lamento funebre rituale. Anche Maria, come si legge negli apocrifi
Acta Pilati (prima metà del quinto secolo), alla vista del figlio coronato di
spine, non sa trattenere il dolore e perde coscienza, giace esamine a terra,
quindi tornata in sé entra nella vicenda della lamentazione, percuotendosi il
petto e innalzando un lamento che in più punti ricorda, per il suo contenuto,
una comune lamentazione pagana resa da madre a figlio. Solo così,
affrontando, assorbendo e trasfigurando le tecniche pagane di controllo, la
79
Mater Dolorosa, modello del dolore cristiano, poteva operare realmente
nella storia e svolgere la sua funzione pedagogica dell'umano cordoglio.
Maria Bergamas, nei suoi gesti e nel suo incedere rituale, è questa Mater
Dolorosa, capace di lamento, composta nel suo dolore, ma non pietrificata
dallo stesso, capace di contenerlo e trasfigurarlo entro la visione escatologica
cristiana.5
Prendiamo ora in considerazione l’Altare della Patria, la tomba del Milite
ignoto. Questo è un monumento, dal latino monumentum «ricordo,
monumento», a sua volta derivato di monere «ricordare», quindi luogo della
memoria. In particolare il monumento, come sostenuto da J. Winter6, è il
luogo della commemorazione, dal latino cum “insieme a”
e memorare “ricordare”. Il prefisso cum rimanda ad una memoria condivisa,
quindi il monumento è il luogo ove è possibile mantenere viva la memoria
pubblica. Nel caso particolare, esso diventa il luogo dove la collettività
esprime pubblicamente il suo cordoglio.
Il monumento ha pure una funzione politica finalizzata alla ricostruzione
dell'identità nazionale dopo gli eventi traumatici della Prima guerra
mondiale.
Questo aspetto lo si può evincere già dall’espressione “Altare della Patria”. Il
termine “altare” deriva dal latino altare, accostabile per la radice
ad abdolere, far bruciare, oppure da altus, alto, quindi il luogo dove
mediante il fuoco si consuma un sacrificio oppure un luogo d’incontro con la
divinità poiché sopraelevato. La parola “altare” è accostato alla “Patria”,
elevata e sacralizzata. Quindi l’aspetto patriottico - sacrale è prevalente
rispetto a quello commemorativo.
Questo è provato anche dalla sua collocazione. Esso è parte del Vittoriano,
costruito con il proposito di “rammentare con l'arte […] gli uomini e gli
avvenimenti che, sempre in relazione a Vittorio Emanuele, Padre della Patria,
meglio cooperarono alla indipendenza e libertà nazionale”7. In questo modo
il Milite ignoto è collegato al Risorgimento e ai suoi valori.
Esaminiamo la struttura dell’Altare della patria.
L’altare è costituito dall'altare vero e proprio, sovrastato da una statua della
dea Roma che emerge da uno sfondo dorato, e due rilievi marmorei laterali
convergenti verso di esso, raffiguranti i cortei del Lavoro e dell'Amor di Patria.
Nel primo, a sinistra della statua, sono raffigurate una serie di allegorie
rappresentanti il mondo agrario (l’Allevamento, la Mietitura, la Vendemmia
e l’Irrigazione) e l’Industria: “dalla lunga trave, sorretta dall'homo faber,
pende la pesante incudine. Una mano femminile poggia sull'incudine una
corona di quercia, simbolo della forza. Il genio alato del Lavoro, poggiandosi
Monumentum
Altare della Patria
Struttura Altare
della Patria
80
sulla fatica umana, sta per salire vittorioso sul grande aratro trionfale”8. Nel
secondo, a destra, invece “tre figure femminili offrono a Roma corone
onorarie, seguite dai labari, le insegne delle legioni. Sulla biga trionfale
stanno il genio vittorioso dell'Amore di Patria e l'Eroe, appoggiato alla
grande spada dei Titani. Due donne tengono in mano il suo mantello. Anche
in questo ciclo troviamo il motivo della lunga trave, dalla quale pende il
braciere del fuoco sacro.”8
La statua è il fulcro del monumento ed è posta sotto un’edicola marmorea.
La dea indossa una tunica e le insegne imperiali, che sono la lancia, il globo,
ornato da un angelo che porta una corona d’alloro, e la “corona” simile ad
un elmo ed ornata da una serie di lupe. Roma, così personificata, presenta
un atteggiamento fiero, trionfale, “matronale e fedele alla tradizione” come
descritto sul Giornale d’Italia del 27 febbraio 1925. Tutti gli elementi
presentano un rimando all’età classica, in particolare al principato augusteo
e alla successiva età imperiale.
In particolare, il motivo della dea Roma è presente anche in un pannello
dell’Ara pacis. Anche in questo caso, Roma è vestita con una tunica ed
indossa l’elmo, al posto della lancia tiene un bastone ed è seduta su una
catasta d’armi a simboleggiare come la pace è stata ottenuta dal princeps
Augusto solo attraverso la guerra. Entrambi i pannelli, quello dell'Altare e
quello dell'Ara pacis, richiamano la tradizione nella figura della lupa. Nell’ara
pacis, essa è raffigurata nel pannello dedicato al lupercale, che
indica le origini “divine” della gens Iulia, a cui appartiene Augusto.
Nella statua della dea Roma dell'Altare della patria, invece, la lupa
richiama il glorioso passato della città, a cui la contemporaneità
aspira, come indicato da un’espressione dello stesso articolo di
prima: “La Metropoli ritorna alla mirabilia alle quali l’aveva abituata
l’Impero”
Osservando il corteo, si riconoscono anche altri elementi dell’ara
pacis, presenti in particolare nel pannello della dea Tellus. Le
allegorie del mondo agrario, infatti, presentano separatamente le
caratteristiche riassunte dalla dea. Infatti in entrambe le opere si
possono ritrovare elementi riguardanti la fertilità e la vita agreste,
simboleggiate dai pueri che giocano in braccio alla donna, dai buoi
che pascolano e dall’acqua simboleggiata da un vaso. Inoltre
entrambe le rappresentazioni sono collocate in uno spazio
simbolico, che nell’Altare della Patria è delimitato dal terreno dove
poggiano le figure, mentre nell’ara pacis sono raffigurate delle
piante. Nella scenografia dell'Altare della patria è presente un
elemento, l'incudine, che rimanda al settore dell’industria ed
81
affermare così il fatto che anche l'Italia ormai è una potenza industriale. Essa
è sostenuta da grandi catene ed un lungo palo sostenuto a spalla da uomini,
dei quali sono messi in evidenza i muscoli, e quindi la forza e l’atleticità.
Nonostante questo, prevale l'esaltazione dell’elemento agreste: il genio
alato del Lavoro, con in mano lo stesso globo della dea Roma, sale su un
“aratro trionfale”.
Il secondo bassorilievo presenta un’immagine di compostezza
e maestosità. Tutte le figure sono serie e contenute, anche gli
uomini che reggono i cavalli imbizzarriti, unici personaggi non
statici, posti simmetricamente ai buoi che tirano l’aratro
trionfale del genio del Lavoro. I cavalli traggono l’Eroe e l’Amor
di Patria, simmetrici rispetto al genio alato del Lavoro. Il genio
è dotato dello stesso globo della dea Roma e tiene l’Eroe per il
braccio con cui quest’ultimo sta tenendo la spada, quindi
l’azione dell’Eroe è subordinata all’Amor di Patria.
Simmetricamente rispetto all’altro bassorilievo è posta anche la
lunga trave, che stavolta regge attraverso delle corde un
braciere sostenuto dalle sfingi. Tutti gli elementi di questa scena
rimandano al contesto classico, dalle corone di alloro ai labari,
dalla biga al braciere contenente il fuoco sacro, riferimento a
quello delle vestali.
Quindi i valori del “popolo italiano” sono il lavoro, sostenuto dalla fatica,
l’amore della patria, su cui poggiano gli atti di eroismo. Questi valori sono
tramandati, sono la tradizione, come viene sottolineato dai riferimenti al
contesto classico, che convergono verso la grande dea Roma, rappresentante
la patria vittoriosa.
Collocato in questo contesto, il Milite ignoto diventa sia oggetto che soggetto
del monumento. Oggetto perché la scena è dominata dalla dea Roma
soprastante ad esso e tutte le figure rappresentate danno un’idea di trionfo
ed eroismo mentre la morte non è nemmeno presa in considerazione,
soggetto del monumento, dato che tutti i valori raffigurati nei bassorilievi
diventano suoi attributi. In questo modo, il Milite ignoto si ricollega
idealmente ai soldati a cui Cicerone dedica la quattordicesima Philippica: un
modello di eroismo per i vivi, che lo ripagano del suo sacrificio con il
monumento, che gli garantirà la gloria eterna.
Giunti a questo punto, possiamo affermare che il Milite Ignoto diventa il
Simbolo delle virtù etico - civili, disposto a sacrificare la vita per affermarle.
Queste parole ci fanno riflettere e ci chiediamo se noi oggi crediamo in
qualcosa di simile, in valori che possano avvicinarsi al significato di quelle
virtù. Stiamo ancora cercando la risposta, forse quelle virtù sono “le
82
competenze di cittadinanza”, riviste e corrette, di cui ci parlano gli insegnanti
e che tuttavia sentiamo distanti dall'idealità ed eticità del Milite ignoto.
Dopo la prima guerra mondiale tutti gli stati coinvolti nella guerra si trovano
di fronte a una immensità di problemi, politici, economici sociali, ma tra
questi uno spicca: “l’immensità di morti” come spiega Winter, a cui consegue
“la necessità di commemorarli in qualche modo, dare un luogo in cui i loro
famigliari”, che non avrebbero più potuto riabbracciare, “possano piangerli e
commemorarli.” L’Altare della Patria diventa questo luogo della memoria.
L'Altare della Patria non è l'unico luogo della memoria collettiva. In tutti i
paesi, che avevano preso parte al conflitto, le famiglie direttamente coinvolte
sentono la necessità di ricordare. Tanto importante e forte fu questo
depositarsi della memoria che esso dura ancora oggi, a quasi un secolo dalla
fine di quella tragica “epopea”, come testimoniato dalle feste nazionali, le
annuali commemorazioni svolte nei diversi cimiteri di guerra.
L’Italia, come anche gli altri stati, aveva bisogno di luoghi - simbolo da
frequentare, proprio per continuare a ricordare tutti coloro che avevano
perso la vita per la patria. Dapprima divennero luoghi del ricordo i posti
costati decine di migliaia di morti, il monte Calvario, il San Michele, poi si
progettarono ed edificarono monumenti e sacrari, come Medea e
Redipuglia.
È chiaro come la necessità individuale di ricordare i caduti si leghi al bisogno
degli stati di riacquistare il consenso dei propri cittadini: “Commemorare era
un gesto politico (…) non poteva essere un atto neutrale, e i monumenti ai
caduti si fecero portatori di messaggi politici sin dai primi giorni di guerra.”
Paul Fussell 9
E ancora, a questo proposito, George L. Mosse10 “La necessità di costruire
dei cimiteri di guerra in cui far riposare i soldati caduti si presentò già dal
primo anno di guerra come una necessità, entro il 1915 vennero approvate
leggi per la creazione di cimiteri di guerra e la raccolta dei caduti nel campi
di battaglia.”
Il culto dei morti in guerra si collegò all’auto rappresentazione della nazione.
Per proiettare la sua immagine, il nazionalismo utilizzò temi classi e cristiani.
È attraverso l’uso strumentale dei caduti che si rafforza il consenso intorno
alle necessità della guerra e alla sopportazione delle sofferenze ad esso
annesse.
I defunti diventano dei martiri, sono lo spirito della redenzione nazionale, a
loro si rivolge la stessa nazione per risolvere i problemi, per salvaguardare il
loro sacrificio e i valori riscoperti attraverso la guerra. I caduti assolvono ad
83
una duplice funzione: da una parte essere il cittadino esemplare, dall’altra
rappresentare i nuovi valori nati con la guerra.
Da questo duplice significato loro attribuito, si comprende la tipizzazione
della loro rappresentazione. I soldati sono figure virili, tranquille, equilibrate,
composte per rasserenare chi era stato colpito dal lutto e allo stesso tempo
creare nell'immaginario collettivo l’ideale di un cittadino valoroso. Questo
richiamo alle virtù etico - militari, che si traducono in un corpo idealmente
virile, come già visto nella statuaria romana (Augusto Loricato), e presente in
tutta la commemorazione di guerra e spesso avviene attraverso la citazione
di alcuni elementi significativi sul piano simbolico, quali la spada, come
affermato da Eric J. Leed11:“Attraverso questa figura e l’implicita associazione
mentale a dei guerrieri nell’atto di combattere si esplicano tutte quelle che
sono le caratteristiche principali di un soldato: valore, eroismo, onore,
sacrificio, forza, e coraggio. Queste sono anche i canoni a cui tutte le potenze
europee si ispirano per la rigenerazione dei propri cittadini.”
Concetti come redenzione, sacrificio, morte sono presenti nell’immaginario
collettivo dei combattenti. E nei monumenti commemorativi ai soldati
venivano utilizzate sculture, motivi mitologici e divinità classiche, come la
dea pietà o la vittoria alata, per evidenziare la relazione tra il soldato e la
tradizione, il glorioso passato.
Le forme maggiormente utilizzate per la commemorazione sono croci di
guerra, palme, piccolo statue, talvolta immagini del soldato, iscrizioni sulle
tombe dei soldati morti. Le iscrizioni piu ricorrenti sono: enfants, they
answered the call, morts, heros, caduti per la patria, guerre, Fallen Heroes,
1914 - 1918, devoir, sacrifice, martyrs, memoire.
In tutti i paesi e assai spesso la retorica della “High Diction” – con
l’onnipresente dulce et decorum est patria mori di Orazio a dettare la scelta
delle parole.”6
I monumenti dovevano essere tutti diversi poiché, come afferma Eric J. Leed
la costruzione di forme uguali era vista come una profanazione e una
violazione del rispetto dovuto ai caduti. L’unicità di quella persona non
poteva essere rappresentata attraverso un oggetto comune e standardizzato,
il culto dei caduti non si poteva esprimere semplicemente scegliendo una
statua o un ornamento all’interno di uno dei numerosi cataloghi delle
imprese funebri. Solo la mano di uno scalpellino, di un marmista o di un
artigiano era in grado di creare quell’unicità necessaria per rendere onore
alla sua memoria.
Particolarmente usati sono le decorazioni con temi medievali (come accade
nel monumento al milite ignoto a Monaco), e la riscoperta della sua
Forme della
commemorazione
84
mitologia come le figure di San Giorgio, indistintamente usata da tedeschi o
inglesi, in cui spesso il drago era trasfigurato in immagine nemica. Nei
bassorilievi dei monumenti venivano riprese immagini classiche soprattutto
per riprendere ideali di virilità, tranquillità e forza. Talvolta riprendevano
immagini greche, talvolta scavavano nella storia antica del paese, come in
Germania, con l’uso della figura dell’eroe Arminio.
“Anche sui monumenti conformi alla tradizione classica, il più delle volte i
soldati erano vestiti di tutto punto; ma talvolta erano invece la copia diretta
di modelli greci: guerrieri nudi in cui s’incarnava una tipologia senza
tempo”.10
In conclusione, tutti i governi degli stati che avevano partecipato al conflitto
mondiale, vincitori e vinti, risposero all’esigenza di ricordare l’evento della
guerra, consacrando ai posteri la memoria dei caduti e creando un’aura di
sacralità attorno ai luoghi delle battaglie.
Di particolare effetto fu, come analizzato, il rito della sepoltura del milite
ignoto, occasione e luogo, il monumento, che riunì ideologie e partiti diversi,
posto in un contesto storico significativo: in Italia, ad esempio, l’Altare della
Patria fu inserito all’interno del Vittoriano al fine di richiamare e rievocare il
percorso risorgimentale (una delle mancanze del ventennio precedente e ora
una delle cause di critica all’establishment politico), che effettivamente
aveva visto la conclusione con le annessioni territoriali fatte proprio con
l’armistizio della grande guerra.
Possiamo quindi concludere affermando che la commemorazione permise di
riunire il paese sotto la comune bandiera nazionale. I simboli usati nella
decorazione dei monumenti, la struttura utilizzata nella costruzione dei
cimiteri militari e la ritualistica nel ricordare i caduti rappresentavano
elementi fondamentali per formare una “religione civile” in tutti gli stati
europei, anche se essa si presentava in forme singolari in ogni nazione.
Fu la figura del Milite ignoto a conciliare tutti. L’Ignoto, senza riguardo al
grado militare, alla religione o all’appartenenza politica, riesci a pacificare e
unire ogni strato sociale. In questa comune concordia la nazione ritrovava la
sua identità attorno alle parole - chiave del consenso, pace, riconciliazione,
passato nobile e glorioso, eredi, virtù, gloria, morte eroica.
Conclusione
85
Documenti
1. E. J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra
mondiale, 1979
2. E. De Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di
Maria, 1958
3. G. Dato, Redipuglia: il sacrario e la memoria della Grande guerra 1938 - 1993, 2015
4. G. L. Mosse, Le guerre Mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti 2005
5. http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2015/04/11/news/dietro-il-milite-ignoto-la-storia-
tutta-giuliana-di-antonio-bergamas-1.11215222
6. http://www.difesa.it/Il_Ministro/Uffici_diretta_collaborazione/Ufficio_Cerimoniale/Vittoria
no/Pagine/default.aspx
7. http://www.quirinale.it/qrnw/simboli/vittoriano/vittoriano.html
8. J. Winter, Il lutto e la memoria, La grande guerra nella storia culturale europea, 1998
9. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, Aquileia, Redipuglia, Altare della patria, i luoghi
della memoria e dell’identità italiana, 2011
10. L. Cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria, 2001
11. P. Fussell, La grande Guerra e la memoria moderna, 1984
86
Gruppo 3: P. Bragagnini, A. Della Torca, A. Ongaro
Aemulatio: noi e gli antichi
Al termine della Grande Guerra (1914 – 1918), la maggior parte degli stati,
che vi hanno preso parte, organizzano, chi prima chi dopo, una serie di
commemorazioni, culminanti nel culto del Milite Ignoto. Le forme di
commemorazioni erano fondamentali: all’inizio i familiari partecipavano
nella speranza di avere notizie dei propri cari. Madri, padri, mogli, figli “ogni
giorno, ogni ora… sondano l’ignoto”, come afferma J. Winter, attendono di
ricevere qualche informazione da parte delle autorità, con la speranza di
recuperare il corpo del proprio caro per poter dargli degna sepoltura.
A questo proposito, gli stati si fecero carico di costruire dei monumenti allo
scopo di creare luoghi di commemorazione utili alla comunità. In realtà
l’esigenza individuale, riguardante la sfera affettiva del ricordo dei caduti in
guerra, diventò un’esigenza politica degli stati, ovvero ottenere il consenso
dei cittadini, stanchi, delusi, distrutti nei loro affetti come nei loro ideali.
Divenne anche un modo per riunire il paese attorno ad un comune sentire,
dal momento che ogni famiglia direttamente o indirettamente aveva dato il
suo contributo, in termini di vite umane e sacrifici, alla causa della guerra. Al
termine della prima guerra mondiale, quindi, in tutte le nazioni vincitrici o
sconfitte, si procedette all’opera di ricerca delle salme dei caduti e alla loro
dignitosa tumulazione. Dunque, i riti commemorativi, culminanti con il culto
del Milite Ignoto, in questo contesto hanno la funzione collettiva di riportare,
dopo il caos, la pax, l'ordine, l'equilibrio. Nell’enorme numero di monumenti
costruiti dopo la guerra, il Milite Ignoto è la forma di commemorazione ai
caduti più rappresentativa. In particolare, in Italia, l’ufficiale dell’esercito
Giulio Douhet, ebbe l’idea di onorare i sacrifici e gli eroismi della collettività
nazionale nella salma di un soldato sconosciuto da collocare in un
monumento. Nell’agosto del 1915, la proposta di legge relativa alla
costruzione di un monumento unificante venne presentata al Parlamento.
L’11 agosto il provvedimento venne promulgato diventando quindi operante.
Il monumento del milite ignoto fu chiamato “Altare della Patria” e situato
all’interno del Vittoriano, costruito vent’anni prima per celebrare Vittorio
Emanuele II e l’unità d’Italia. In questo modo si creava un legame ideale tra
il processo di unificazione dell’Italia e il sacrificio compiuto dagli italiani
durante la prima guerra mondiale, rappresentato dal Milite ignoto.
A questo culto sono state attribuite interpretazioni diverse: un modo per
esorcizzare la disumanità della guerra da parte della collettività, un modo per
risarcire la collettività dei sacrifici e dei lutti da parte delle classi dirigenti,
sublimazione eroica di una guerra, attraverso la sua ritualizzazione e il
Introduzione
Memoria
monumento
Miles ig - notus
87
riconoscimento pubblico del suo valore. Noi pensiamo che per tutte queste
ragioni il Milite ignoto diventa il simbolo del sacrificio di tutti i soldati che
avevano perso la vita durante la guerra.
Ora ci soffermeremo sull’etimologia dei termini “milite” ed “ignoto”, per
recuperare significati da noi perduti al fine di comprendere meglio il tema
oggetto del nostro lavoro. Entrambe le parole sono di derivazione latina,
rispettivamente miles ed ig - notus. Con il termine gnotus, forma antica di
notus, i Romani erano soliti indicare qualcosa di conosciuto, il prefisso in ne
cambia il significato nel suo opposto. Quindi il Milite ignoto, letteralmente, è
un soldato che nessuno conosce. Con il termine miles, invece, i Romani erano
soliti indicare la categoria più numerosa dell'esercito, il legionario. I legionari
erano soldati semplici che nelle campagne militari viaggiavano a piedi. Gli
eserciti moderni sono formati da milites di mestiere e non più da mercenari,
così si comincia ad indicare i membri dell'esercito con la parola "soldati". Di
conseguenza la parola miles perde il suo significato originale e diventa il
termine con il quale veniva indicata una categoria di soldati più nobile
rispetto al semplice legionario. È possibile che derivi proprio da qui l'idea di
chiamare milite e non soldato il Milite ignoto. Il termine “milite”, inoltre, di
chiara derivazione latina, evoca l'antico, e quindi autorevolezza, sacralità. Il
motivo è presto detto, un soldato che muore, sacrificandosi per la patria, non
poteva essere ricordato e connotato come un soldato semplice, perché, in
maniera simile a quello che avevano fatto i Romani con i miti di fondazione,
la sua figura doveva avere la funzione di nobilitare tutti coloro che avevano
dato la vita per la Patria. Considerando le trasformazioni semantiche della
parola miles, abbiamo compreso che la cultura contemporanea, nei suoi
diversi linguaggi, è intessuta di riferimenti a quella classica, riferimenti di cui
però abbiamo perduto il significato. La parola “antica” pur evocando in noi
stupore, distacco, rispetto, rimane un significante vuoto. La ricerca
etimologica ha significato invece dover ricostruire contesti e co - testi. In
questo modo, diventava chiaro che la “classe dirigente”, chiamando il Milite
ignoto "milite" e non "soldato", voleva elevare, nobilitare con un termine
percepito nell'immaginario come aulico, in quanto antico, questa figura. Lo
studio del termine invece permetterebbe di comprendere che con questa
parola i Romani chiamavano i soldati semplici e che solo in tempi recenti il
termine viene usato per designare i soldati più nobili. Quindi da questa
considerazione possiamo ricavare la nostra tesi, ovvero che la civiltà
contemporanea, convinta di recuperare i valori classici attraverso i termini
latini, non fa altro che proporre “gusci” vuoti. Il culto del Milite ignoto
avrebbe permesso alla classe politica di “manipolare”, già a partire dal
significante, coloro che avevano subito dolorosi lutti dalla guerra per
costruire, anche attorno al richiamo di un eroico e comune passato, l'unità
88
del Paese. A questo punto, riteniamo di aver raccolto sufficienti elementi per
analizzare il testo Milite ignoto nel suo contesto, utilizzando i criteri che
abbiamo ricavato dallo studio di alcuni aspetti della civiltà greco - romana.
Dopo la fine della Grande Guerra tutto ciò che era rimasto nelle città e nei
Paesi, colpiti dalla guerra, era desolazione e distruzione, sul piano fisico,
mentre disperazione e dolore capeggiavano sul piano emotivo. Le madri
aspettavano il più delle volte invano i propri figli, altre dovevano sopportare
il supplizio di vederli morire sotto i loro occhi, dopo essere tornati dal fronte;
mentre coloro che, come gli anziani o le madri di famiglia, erano riusciti a
scampare alla guerra diretta sul fronte, dovevano fare i conti con le sue
conseguenze psicologiche, economiche, e altro.
Mentre migliaia di uomini subivano quest’esperienza traumatica, le donne
supplivano alla loro assenza lavorando, gestendo la famiglia, tenendo i
rapporti con l’esterno.
Tra le tante possibili immagini femminili, quella rassicurante della madre ha
assunto un ruolo importante nella propaganda bellica. La rispettabilità
garantita alle donne, impegnate nell’assistenza, era anche frutto del ruolo di
“madri di tutti”, per usare l'espressione assegnato loro da Gibelli. Ma
l’immagine della madre non mancava di essere sfruttata dalla propaganda
stessa. Indicativi sono a questo proposito i giornali di trincea, che videro una
grande fioritura dopo la rotta di Caporetto. In queste pubblicazioni la
rassicurante autorità materna e familiare, veniva a volte “usata” per
spronare i soldati a compiere il proprio dovere. Nel dopoguerra, vennero
consegnati degli omaggi e dei riconoscimenti al ruolo svolto dalle madri dei
caduti durante il conflitto. Nel 1926 si costruì nella chiesa di
Santa Croce a Firenze un monumento alla madre italiana, che la
rappresentava attraverso la figura della Pietà. La cerimonia
pubblica del Milite ignoto in Italia fu caratterizzata dalla
presenza centrale della madre di un soldato di Gradisca, Maria
Bergamas. Il suo ruolo veniva esaltato negli opuscoli
commemorativi, un genere di celebrazione del lutto sia
pubblico che privato.
Dopo la guerra, si diffuse in Italia la pratica di pubblicare opuscoli in memoria
di un soldato caduto. Il successo e l'affermarsi di questa pratica sono dovuti
a diversi fattori: il primo è la diffusione su larga scala della morte provocata
dal conflitto in un momento nel quale i progressi in molti campi ne aveva
allontanato lo spettro dalla vita quotidiana; il secondo è l’orrore della morte
in guerra, che riguarda per lo più i giovani soldati; infine la necessità di
elaborare il lutto privato al di fuori delle commemorazioni pubbliche dei
Il ruolo della donna
simbolo di pietas
Memoria
divulgazione
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caduti. Gli opuscoli raccolgono prevalentemente lettere, testi poetici o diari
dell’estinto, discorsi e scritti commemorativi di parenti e amici, messaggi di
condoglianze inviati ai parenti del defunto oppure articoli di giornale che ne
segnalano la morte: tutto ciò, insomma, che potesse ricordare il caduto e il
suo sacrificio per la patria. Questa messe di scritti della più diversa natura è,
inoltre, spesso accompagnata da una biografia del defunto che, in alcuni casi,
fa da filo conduttore dei diversi testi.
Gli opuscoli dedicati a defunti ignoti al grande pubblico sono per lo più curati
dalla famiglia oppure da amici, a cui il soldato era legato. La famiglia è, infatti,
il perno di questi opuscoli: se commemorano e glorificano il caduto e il suo
sacrificio per la patria, essi hanno anche il compito di celebrare il nucleo
familiare. Infatti, il fatto di aver creato e poi donato un figlio per salvare la
patria, era considerato un punto di merito per la famiglia, che veniva risarcita
della perdita attraverso un pubblico riconoscimento.
Un esempio di discorso commemorativo di un sacerdote rivolto ai genitori di
un caduto, tratto dall’anniversario dell’eroica morte di Modestino Acone, è
il seguente:
“O genitori, voi, straziati nel più puro affetto ma calmi perché alla Patria
avete offerte le vostre lacrime e i vostri singulti, voi passerete abbrunati
innanzi a noi, in mezzo a noi, e noi abbiamo il dovere d’inchinarci. Voi, o
genitori, rappresentate l’olocausto dell’affetto egoista al grande ideale, allo
sconfinato sacrifizio umano per il progresso, la libertà e la redenzione”
Ma il ruolo più importante in tutte le forme commemorative era quello della
madre, la prima persona ad essere consolata per la perdita, per l’amore che
la legava al figlio e nella maggior parte dei discorsi commemorativi è
l’interlocutrice privilegiata delle lettere del defunto. Infatti, è soprattutto
l’amore del soldato per la madre ad essere celebrato e glorificato. La maggior
parte degli opuscoli è, dunque, la rappresentazione della relazione che lega
la madre al proprio figlio, raccontata direttamente attraverso le lettere del
figlio stesso o indirettamente attraverso i discorsi dei familiari e degli amici.
Dopo questa parentesi sul ruolo femminile, riprendiamo il discorso iniziato
precedentemente riguardante la ricerca delle modalità con cui il potere
politico ha utilizzato il culto del Milite ignoto per riappacificare e rifondare la
civitas, devastata dalla guerra, al fine di ricostruire un senso di unità e
appartenenza. In questa operazione ideologica, abbiamo riconosciuto alcune
affinità con il programma politico attuato da Ottaviano Augusto, finalizzato
alla restaurazione, apparente, della res publica, in realtà all'istituzione del
principato. E questo attraverso un'attenta costruzione del consenso,
Gli opuscoli
commemorativi
90
diffondendo le parole d'ordine del mos maiorum, tra le quali spiccava, dopo
un secolo di guerre civili, la parola Pax.
La guerra ha avuto delle ripercussioni gravissime su tutti i fronti: a morte e
dolore si aggiungeva la fame da parte di una grande porzione di popolo, che
a causa di case distrutte, cittadine razziate e campi distrutti non aveva più
alcuna fonte di sostentamento. A questo punto i governi, i principali
sostenitori della guerra, avevano bisogno di trovare un “capro espiatorio” sul
quale riversare il dolore della gente, cancellando così l’odio che si era creato
nei loro confronti e le decisioni sbagliate che avevano portato a tutto ciò.
Proprio a questo doveva servire il culto del Milite ignoto. Chiaramente non è
possibile cancellare l’esito e tutte le varie conseguenze provocati della guerra
ma è stato possibile, “colpendo” la gente emotivamente, alleviare la
diffidenza che si era o che si sarebbe creata nei confronti dei “potenti”, di
coloro che avevano assistito alla guerra dalle loro poltrone. Per colpire
emotivamente le persone, però, serviva un luogo dove, come scrive Patrizia
Violi in “Paesaggi della memoria”, si materializzasse il trauma, ovvero
occorreva un luogo dove la gente potesse ricordare la Grande Guerra ed
esprimere il proprio dolore privato focalizzando il lutto su un singolo corpo.
Notevoli sono le affinità tra questa operazione culturale e i messaggi presenti
nel testo di Cicerone, Philippica XIV, in particolare il motivo del trasferimento
del lutto dalla sfera privata a quella pubblica tramite la costruzione di un
monumento, simbolo della ri - costruzione del senso di unità del Paese.
A questo proposito, Patrizia Violi, nel suo libro “Paesaggi della memoria”,
riporta una frase del sociologo inglese Jeffrey Alexander che dice "il trauma
non è qualcosa che esiste in modo naturale, è qualcosa di costruito dalla
società". Il Milite ignoto è una costruzione sociale, e Patrizia Violi aggiunge
“lo Stato è il destinante della memoria pubblica che ne decide i contenuti”.
Infatti, in questo caso, lo Stato ha deciso di sfruttare l’ignoranza e l’innocenza
della gente, la quale dopo ciò che aveva passato e per rispetto dei caduti,
non avrebbe avuto la forza di ribellarsi o di rifiutare le commemorazioni
proposte, alla rassegnazione subentrò la fiducia che veramente la Grande
Guerra avesse segnato una svolta orientata solo ed esclusivamente ad un
futuro migliore. In altre parole la cittadinanza, nel Milite ignoto, aveva modo
di ricordare, rivivere l’atroce passato che aveva dovuto sopportare e, grazie
a questo processo di elaborazione del lutto, poteva sperare e costruire un
futuro nuovo, migliore dove la guerra sarebbe stato solo un brutto ricordo.
Così, indirettamente, si formò quel senso di unità e di attaccamento alla
patria che lo Stato voleva realizzare con l'offerta di questo culto: “Nel caso
del milite ignoto, il trauma è il mezzo per riunire attorno ad un luogo comune
la popolazione e dirottare l'attenzione dei cittadini dalla guerra alla patria,
Culto come
strumento di
risarcimento
Creazione senso di
Unità Nazionale
91
infatti l'esito della Grande Guerra deve essere un punto di ri - partenza”. P.
Violi, cit.
Anche dalla lettura del testo di F. Todero, “Il culto del soldato
caduto della Venezia - Giulia”, è possibile comprendere che il
culto del Milite ignoto altro non era che un manifesto di
propaganda politica. Per meglio spiegare, la politica si basa sulle
promesse fatte dai politici alla comunità, che in cambio del suo
voto di sostegno chiede il mantenimento di tali promesse.
Ebbene il Milite ignoto per l’Italia del dopo guerra era proprio questo, una
promessa di un’Italia unita, in pace, per il semplice motivo che, afferma lo
storico F. Todero, molti credevano che la Grande Guerra fosse stata la quarta
guerra del Risorgimento, la decisiva, quella che avrebbe finalmente
riconosciuto l’Italia come nazione libera, unita ed indipendente.
Tecnicamente è sbagliato definire tale la Prima Guerra Mondiale, però il
senso di patriottismo evocato dall'immaginario risorgimentale, aveva spinto
le persone a considerare questa guerra come la promessa mantenuta dallo
Stato.
Come già affermato in precedenza, questo culto aveva soprattutto finalità
politiche; avrebbe dovuto infatti comunicare e convincere gli italiani che la
Grande Guerra era l'ultima fase dell’unificazione d'Italia, raccogliendosi
attorno alla commemorazione di un eroe morto per la Patria. Al termine della
guerra, il problema, di fronte al quale si sono trovati i governanti italiani, era
quello di trovare un veicolo in grado di rimediare alle guerre ed allo stesso
tempo di dare un segnale tangibile alla popolazione di vicinanza nei loro
confronti. Come più volte ribadito, questo segnale è il Milite ignoto, però il
problema vero era quello di proporlo ai cittadini.
La questione principale era la scelta della salma, il corpo del
Milite ignoto italiano doveva essere quello di Antonio
Bergamas, il quale non tornò mai dal fronte e venne dato per
disperso. Antonio Bergamas era un soldato semplice come molti
altri, ma la sua unicità stava nel fatto che fosse un disertore:
disertò la chiamata dell’esercito austriaco per accettare di arruolarsi in
quello italiano, in quanto cittadino di Gradisca d’Isonzo. É questo il motivo
per il quale proprio lui, tra tanti altri, sia stato scelto per “dare il nome ed il
corpo” al Milite ignoto, diventando così il simbolo della Patria italiana.
Si spiega in questo modo il successo da parte dello Stato nella sua azione
propagandistica, la scelta oculata del milite ignoto Antonio Bergamas, colui
che ha deciso di difendere la Patria italiana, rifiutando quella austriaca. In
questo modo, i governanti hanno ottenuto il consenso popolare.
La risposta del
popolo
92
Si è deciso di tenere nascosta l’identità del corpo, nonostante la salma
riesumata dai principali campi di battaglia italiani e destinata alla sepoltura
al Vittoriano avesse un nome. In questo modo, quel corpo diventa simbolo
di tutte le vittime che morirono eroicamente per la propria nazione.
L’anonimato del milite è strumentale per la costruzione di un simbolo,
rappresentante l’intero popolo. È un modo per coinvolgere tutta la nazione
e per evocare la grandezza del sacrificio collettivo. L’anonimato della salma
consentì dunque una maggior vicinanza tra i cittadini e il rito, perché
riguardava tutti: la bara poteva contenere il proprio marito, figlio o padre;
tutto il popolo era coinvolto, senza distinzioni di professione, provenienza o
reddito, perché la morte annulla qualsiasi distinzione sociale. La morte rende
uguali, livella i cittadini e diventa il mezzo ideologico per pensare la storia
collettiva della guerra. Il rito collettivo attorno alla salma del Soldato Ignoto
sanava il trauma sociale dovuto alla morte di massa, che aveva causato un
enorme numero di morti non identificati: l’obiettivo era quello di trasferire il
lutto dalla sfera privata a quella pubblica. Il dolore diventava così pretesto
per realizzare l’unità nazionale, l’elemento che accomunava tutti cittadini. È
a partire da ciò che, ieri come oggi, nascono memorie collettive che creano
l’identità del popolo.
Il lutto è un modo per ricostruire sia l’unità nazionale, sia internazionale. Tutti
gli stati europei coinvolti uscirono dal conflitto mondiale distrutti, e fu
proprio dal trauma della guerra che si ritrovavano accumunati. Nacque la
necessità in tutti i paesi, che parteciparono alla prima guerra mondiale,
dall’Europa agli Stati Uniti, di rendere onore ai milioni di caduti; la
dimensione della morte di massa, che caratterizzò il primo conflitto
mondiale, rappresentò un gigantesco fatto sociale e un trauma difficile da
esprimere con tradizionali riti funebri. Così in quasi ogni paese, alla fine del
conflitto, seguì una grande cerimonia di commemorazione, accompagnata
dalla realizzazione di memoriali e monumenti destinati alla sepoltura dei
corpi, come l’Altare della patria o il sacrario di Redipuglia in Italia, l’arco del
Trionfo a Parigi o il cimitero nazionale di Arlington a Washington. Questi
segni/luoghi materiali diventano custodi nel tempo delle migliaia di vittime
della guerra, impedendo la loro caduta nell’oblio della morte. Come per i
sepolcri, di cui si è parlato nel percorso sul codice classico, il monumento
serve ai vivi a mantenere in vita il ricordo, grazie alla “corrispondenza
d’amorosi sensi” di cui parla U. Foscolo. Garantita dalla realizzazione di
memoriali o da riti celebrativi, la sopravvivenza della memoria determina la
continuità tra le generazioni.
Questo continuum tra antichità e contemporaneità emerge anche dalla
struttura e dalle decorazioni dei numerosi monumenti commemorativi. A
Un eroe senza
nome
Dolore pretesto per
unità nazionale ed
internazionale
Continuum
passato presente
93
questo proposito, riteniamo significativo il monumento dell’Ara patriae,
dove il 4 novembre del 1921 il milite ignoto fu tumulato. L’altare è sovrastato
da una grande statua della dea Roma, che emerge da uno sfondo dorato. La
realizzazione di statue di divinità o di bassorilievi, raffigurati dei o ninfe con
cui decorare il sepolcro del defunto, era tipico dell’età classica. I Romani in
particolare, a partire dal II secolo a.C., ornavano le tombe dei defunti con
immagini sacre, in quanto la presenza delle divinità sullo sfondo aveva la
funzione di rassicurare i parenti del morto, ora protetto da questi custodi
immortali. La scelta di posizionare sopra la tomba del Milite ignoto la statua
della dea Roma non è casuale. Una delle tante leggende, sull'origine del
nome dell'Urbe, narra che l’equipaggio di Ulisse in cui si trovava Roma
assieme alle altre prigioniere di guerra, fu travolto da una tempesta che lo
scaraventò sulle coste del Lazio. Fu così che le schiave imprigionate,
capeggiate da Roma, decisero di dare fuoco alle navi, stanche della
peregrinazione. Ne conseguì che i compagni di Ulisse si stabilirono sul
Palatino, dove fondarono una città a cui diedero il nome dell’eroina che
aveva deciso le sorti di un popolo e dato origine ad una nuova
civiltà. La dea Roma era considerata quindi la divinità che
personificava lo stato, simbolo del popolo romano. Allo stesso
modo, il Milite ignoto, sepolto al Vittoriano, rappresenta tutti gli
uomini che presero parte alla prima Guerra Mondiale, perdendo la
vita per la Patria. E ancora, i bassorilievi laterali raffigurano scene di
pastorizia e di lavoro nei campi, parole d'ordine della propaganda
augustea e presenti nelle Georgiche di Virgilio. Sono presenti anche
iscrizioni in lingua latina: la scritta “ignoto militi” è riportata
sull’epigrafe della tomba del Milite Ignoto, accompagnata dalle
date espresse in numeri romani, relativi all'inizio e alla fine del
primo conflitto mondiale (XXIV MAGGIO MCMXV e IV NOVEMBRE
MCMXVIII). Ancora una volta, il passato diventa mezzo privilegiato
della propaganda, repertorio di valori assoluti con cui abbellire e
nobilitare il presente. La presenza di alcuni simboli della cultura
classica nella codificazione del Milite ignoto, permette di
comprendere questa operazione ideologica. Il Milite ignoto è un
exemplum del riuso del classico per nobilitare e nascondere la
tragicità della guerra. Questa rilettura del classico ha quindi la
funzione di giustificare e nobilitare un conflitto che causò enormi
perdite, strumento di cui la classe dirigente fascista si servì per
risarcire il popolo italiano delle innumerevoli perdite, dei lutti, delle
migliaia di morti.
In conclusione il progetto Erasmus+ ci ha permesso di comprendere diversi
aspetti del culto del Milite ignoto a noi prima sconosciuti, in quanto non ci
Milite ignoto
exemplum
Conclusione
94
eravamo mai interrogati sulla funzione delle varie celebrazioni dedicate al
ricordo dei caduti in guerra. Innanzi tutto, durante la prima fase del percorso
abbiamo capito che le origini di questi riti vanno ricercate nel passato,
pretesto e chiave di lettura per comprendere il nostro presente. Da questo
presupposto ci è stato possibile riflettere sulla costante che accomuna tutti i
riti commemorativi o funerari, indipendentemente da cultura o periodo
storico di appartenenza: si tratta del trasferimento del lutto dalla sfera
privata alla sfera pubblica, al fine di trasformare il conseguente dolore in un
elemento di unità significativo per la comunità. Il progetto è stato, poi, uno
spunto di riflessione anche sul significato di sacrificio per la patria, in quanto
attraverso lo studio e l’analisi di documenti di vario tipo abbiamo partecipato
al rito del Milite Ignoto in prima persona, seppur nel nostro piccolo. Inoltre,
è stata un’opportunità per aprire gli occhi sulla Grande Guerra, sul suo
significato, sul suo costo e sulle sue immediate conseguenze, delle quali il
Milite ignoto è la sintesi: egli non è solamente lo exemplum di sacrificio per
la patria, ma è soprattutto il mezzo per ricordare e mantenere viva la
memoria degli avvenimenti della Prima Guerra Mondiale, lasciando un segno
indelebile alle generazioni future affinché esse, forti degli insegnamenti del
passato, siano capaci di evitare di commettere gli stessi errori fatti dai loro
antenati.
Documenti
1. F. Todero, Il culto del soldato caduto della Venezia Giulia, 2005
2. G. Dato, Redipuglia: il Sacrario e la memoria della Grande guerra 1938 - 1993
3. J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995
4. L. Cadeddu, Alla ricerca del milite ignoto, 2011
5. P. Nicoloso, Le pietre della memoria. Monumenti sul confine orientale, 2015
6. P. Violi, Paesaggi della memoria, il trauma, lo spazio, la storia, 2014
7. P. Zanker, B. C. Ewald, Vivere con i miti, 2008
8. S. Bertelli, Religio regis e media aetas – Tratto da Gli occhi di Alessandro, 1990
9. V. Lebita, Il Milite ignoto - Dalle trincee all’altare della patria, 201
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Gruppo 4: I. D’Agostinis, G. De Losa, N. Sorato
Il soldato - eroe
Durante la raccolta di informazioni, relativa alla morte eroica nel codice greco
- romano, sono emerse affinità tra l'eroe classico e il soldato - eroe proposto
dal governo italiano all'indomani della prima Guerra Mondiale.
Ora intendiamo riprendere questi dati, interpretarli alla luce delle nostre
conoscenze per approfondire alcune caratteristiche e funzioni del soldato -
eroe, evidenziandone analogie e differenze con l'archetipo dell'eroe classico.
La funzione di questo approfondimento tematico è quella di fornire la
cornice - contesto in cui inserire la vicenda del Milite ignoto e, allo stesso
tempo, di offrire la chiave di lettura per comprenderne alcuni aspetti
problematici. Noi crediamo infatti che il Milite ignoto sia stato uno di quei
soldati - massa, anonimi, mitizzati post mortem, per ragioni che
indagheremo, e che la sua morte non abbia nulla di eroico.
L’incubo non è nella morte ma nel morire cui ci condannano. È da questa
frase di Luca Coscioni che intendiamo iniziare l’analisi della categoria del
soldato - eroe italiano della Grande Guerra. Prima di fare questo,
consideriamo le modalità con cui il governo italiano esaltava e costruiva il
consenso attorno alla guerra, mobilitando grandi masse affinché
prendessero parte al conflitto. Le forme testuali maggiormente utilizzate per
questo scopo, data la loro immediatezza e capacità di raggiungere un
pubblico ampio ed eterogeneo, sono la vignettistica e i manifesti pubblicitari,
come Il fante di Mauzan, usato dal Credito Italiano per propagandare il
prestito di guerra nel 1917. Il soldato italiano, con il dito e lo sguardo puntati
verso lo spettatore, ha la capacità di catturarne l’attenzione, quasi di
raggiungerlo e afferrarlo. Inoltre, il carattere imperativo della didascalia “Tu
devi!” e il dilagare massiccio di quest’immagine – presente sui muri delle
case, nelle strade e nelle piazze – trasforma il messaggio in un’imposizione.
Di conseguenza, questo soldato così idealizzato, circondato da un’aura che
gli conferisce sacralità, è capace di mobilitare le masse e indurre un
contadino, per esempio, ad arruolarsi come volontario – nel caso non sia già
stato obbligato dal governo italiano – o a sottoscrivere il prestito, tanta era
la forza persuasiva di questi manifesti. D'altronde poco si sapeva delle reali
condizioni di chi combatteva al fronte, anche per l'azione della censura
esercitata sulle lettere inviate dal fronte. Questo controllo ne annullava la
funzione di documenti - narrazioni della vita in trincea. A questa,
aggiungiamo la reticenza dei soldati a raccontare gli orrori della guerra per
non far soffrire e preoccupare i famigliari, soprattutto le donne, confinate nei
recinti di casa e già abbastanza impegnate a dover sopperire alla mancanza
di braccia nei lavori agricoli. “Si dava sempre buone notizie, non era il caso di
Introduzione
Creazione del
consenso popolare
Lettere censurate e
visione della guerra
96
dare pensieri a casa. […] A loro non raccontavo mai il vero”, recita una lettera
contenuta in A. Gibelli, L’officina della guerra. Si diffonderà la visione
ufficiale di una guerra “bella”, combattuta da uomini coraggiosi guidati dalla
Patria, personificazione retorica della Grande Madre, che cura i propri figli, li
nutre, li ripara dal freddo e dai proiettili nemici. Questi figli, combattendo
per la madre - patria e per gli ideali di pace e libertà, nell'immaginario
collettivo diventano eroi. In realtà, questi uomini di eroico non hanno nulla,
sono mandati allo sbaraglio contro il “nemico invasore”, ignari del pericolo.
Il soldato reale deve essere l'anti - eroe, necessariamente senza qualità:
l’essere rozzo, passivo e ignorante rappresenta la sua miglior qualità. Solo
così è possibile plasmare e trasformare la sua personalità. Egli, diviene una
macchina capace di adattarsi alla trincea, all’assalto e al nuovo scenario nel
quale si trova. Nella realtà viene così sfatato il mito del soldato - eroe,
sostituito dal soldato - massa, capace di adattarsi a qualsiasi compito, di
obbedire, privo di capacità psico - fisiche superiori a quelle degli altri.
Egli è forgiato dalle logiche belliche e diventa parte infinitesima di un
meccanismo che prescinde da lui, facilmente sostituibile con un altro soldato
- massa. Inoltre, un qualsiasi soldato o volontario italiano quando arriva al
fronte entra in una dimensione a lui completamente estranea. Catapultato
in una trincea con in mano un fucile, inizia per il soldato un’altra vita che non
ha nulla a che fare con la precedente, fatta di terra, di raccolti, di aratri, di
mandrie, di greggi. Il soldato, arrivato al fronte, cessa di essere uomo e
diventa soldato, apre una nuova parentesi della sua vita che non è più la sua
vita.
Da quanto detto, si evincono le prime differenze con l’eroe classico. L'eroe
classico è un essere semi - divino, dotato di eccezionali capacità psico - fisiche
che spiccano su quelle degli altri, che lo rendono leader indiscusso di un
esercito in guerra. E nella guerra l’eroe realizza il suo essere. Egli, infatti,
lavora e si allena duramente per presentarsi nelle migliori condizioni psico -
fisiche in guerra e, di conseguenza, dinnanzi alla morte. Un volontario
dell’esercito o un qualunque soldato italiano, invece, non sarà mai pronto né
alla guerra, perché avrà vissuto la sua vita in un contesto ad essa totalmente
estraneo, né alla morte, vissuta come un’ombra in perenne ricerca di nuove
anime di cui nutrirsi, come testimoniano alcuni passi del diario di Roberto
Gandini e altre lettere:
“La morte è sempre lì, pronta a capitare”; “Tornato su poi trovai sul letto ove
dormivo alcune schegge che conserverò, una delle quali mi bucò la coperta
che mi copriva. Tutto passò bene, ma la morte così vicina non l’ho mai
avuta”; “Oggi che è una festa del Carnevale, che gli anni scorsi ho passato a
ballare, mi trovo qui vicino alla morte, che ad ogni momento mi passa vicino”.
Soldato - massa
Soldato - massa vs
eroe classico
97
Dalle parole di uno dei tanti soldato - eroe italiani emerge la paura. La paura
di un precoce sopraggiungere della morte. L’eroe - soldato non possiede le
virtù eroiche. Egli, a differenza dell'eroe classico, esprime paura, nostalgia,
attaccamento alla vita nelle sue più semplici forme, non campeggia per le
sue doti psico - fisiche sui mortali. L’unica azione coraggiosa che egli compie
è quella di eseguire gli ordini, scagliandosi alla cieca contro le trincee
nemiche per poi cadere sotto il fuoco incessante nello spazio compreso tra i
due schieramenti opposti, chiamato “terra di nessuno”.
Il soldato - massa sa che la sua azione non è guidata dagli Dei per volere del
Fato, il soldato - massa sa che la sua vita o la sua morte sono decise da un
generale che, talvolta, ha dato prova di pazzia nello spedire al macello
migliaia di uomini, per spostare, anche solo di qualche metro, il confine
italiano. Il General Luigi Cadorna, per esempio, per due anni continuò a
sferrare sanguinose “spallate” – offensive frontali ai danni delle linee
nemiche – che causarono migliaia di morti e lo scontento generale dei
militari, come attestato dalla canzone scritta per protesta: “Il General
Cadorna si mangia le bistecche e a noi dà castagne secche; ha perso
l’intelletto e fa ancor pipì nel letto; ‘l mangia ‘l beve ‘l dorma e il povero
soldato va in guerra e non ritorna”. Il soldato non ritorna, il soldato muore e
in questo non c'è nulla di eroico se non l'esecuzione di un ordine, pena la
fucilazione. Il suo eroismo, dunque, è una categoria post mortem: il soldato
- eroe muore per la patria e per dare ai posteri pace e stabilità. Questa
trasformazione del semplice soldato in eroe è un'operazione
propagandistica, realizzata utilizzando temi e motivi del codice classico, in
particolare del repertorio retorico - propagandistico augusteo: Dulce et
decorum est pro patria mori. L’eroe classico affronta la “bella morte” – la
migliore delle morti – perché così realizza il volere del Fato. Il soldato - massa
invece, muore per volere di qualche scellerato generale e viene abbandonato
nella “terra di nessuno”, il suo cadavere viene oltraggiato perché nessuno lo
degna di una qualche forma di sepoltura. Alcuni cadaveri diventano perfino
uno scudo contro i proiettili nemici come attestato da alcune lettere: “Ero in
un posto scoperto e, visti due cadaveri austriaci, li ho messi per riparo
davanti a me”; “Credevo di essere riparato da un sasso e invece erano due
morti austriaci” racconta Carlo Verano. Tra vivi e morti inoltre vige la
promiscuità. Con i morti si mangia, si dorme e si beve: “Sopra un morto ho
dormito”; “Il sottotenente morto dorme accanto a me, immobile e
indifferente ricorda Paolo Monelli. L'eroe Achille invece, morto Patroclo,
ordina che si fermi la guerra per dare degna sepoltura al cadavere dell'amico
per onorarne così il nome.
Virtù del
Soldato - massa
Morte del
Soldato - massa
98
Consapevoli delle differenze culturali tra le situazioni e della a - storicità del
paragone, riteniamo questa scena dell'Iliade paradigmatica del valore della
persona, del rispetto dovuto al corpo, quale segno di civiltà, contrastante con
la carneficina di corpi sopra descritta. La morte probabilmente
rappresentava per i soldati - massa la migliore via d’uscita dall’orrore della
guerra. Molti soldati infatti furono costretti a incredibili amputazioni o
storpiature che li resero pazzi o inadatti alle attività lavorative che erano soliti
svolgere. È il caso di alcuni soldati che, di ritorno sul vagone di un treno,
urlano e imprecano contro i soccorritori: “Si fecero così numerosi che tutta la
via ferrata e i campi risuonavano di grida, di lamenti, di maledizioni. Fasci di
membra umane si agitavano e si arrampicavano […] Gli uni stavano immobili,
gli altri urlavano e imprecavano contro di noi, che li salvavamo: imprecavano
con tanta violenza, che si sarebbe detto fossimo stati noi a creare quella notte
sanguinosa.” racconta L. Andreev ne Il riso rosso. In conclusione, lo studio di
alcuni aspetti della vita di trincea ci ha permesso di comprendere come non
ci fosse nulla di eroico nel soldato della Grande Guerra, nonostante i tentativi
di rendere plausibile tale analogia per creare consenso popolare a favore
della guerra, rivestendola di belle immagini, tratte da un passato mitizzato e,
forse, mai esistito.
Il vocabolario della guerra è fatto dai diplomatici, dai militari, dai potenti.
Dovrebbe essere corretto dai reduci, dalle vedove, dagli orfani, dai medici e
dai poeti. Si dice: è morto da eroe. Perché non si dice mai: ha subito una
splendida, eroica mutilazione? Si dice: è caduto per la patria. Perché non si
dice: si è fatto amputare entrambe le gambe per la patria? (L’etimologia dei
potenti!). A. Schnitzler, Pensieri sulla vita e sull’arte, 1914
I morti rimasti insepolti, durante e dopo il conflitto, furono centinaia di
migliaia e altrettanti erano quelli che venivano sepolti ma non erano stati
riconosciuti e quindi non avevano un nome. Molte famiglie di conseguenza
non avevano il corpo del loro parente su cui poter piangere, una necessità
insita nell’uomo. Quindi vista l’impossibilità di poter dare sepoltura a tutti i
caduti, è stato simbolicamente e casualmente scelto un corpo, simbolo di
tutti i morti, sul quale chiunque poteva piangere la scomparsa dei suoi cari.
Da aggiungere a questa prima motivazione, il bisogno di commemorare il
sacrificio dei combattenti morti per la patria, rendendo l’onore che spettava
loro. Giulio Douhet, il colonnello che ideò il culto del Milite Ignoto, disse “In
qualsiasi società vi saranno sempre dei doveri che esigono di essere compiuti
fino alla morte. Chiunque sacrifica sé stesso per l’esplicazione di un dovere
è degno di onore”. La cerimonia del Milite Ignoto venne officiata da Mons.
Angelo Bartolomasi, Vescovo di Trieste e primo Vescovo castrense alle ore
11.00 del 28 ottobre 1921 presso la Basilica di Aquileia. Al centro della navata
Anti - eroe
Forme della
memoria
Descrizione
cerimonia
99
è stato approntato un cenotafio sul quale viene posta la bara prescelta. Su
un rudere di colonna romana era posta un'anfora contenente l'acqua del
fiume Timavo. Sull'anfora, un nastro bianco recava la scritta imo ex corde
Timavi, la stessa frase dettata da Gabriele D'Annunzio per la sepoltura del
fraterno compagno Magg. Giovanni Randaccio, caduto alle sorgenti del
fiume durante un attacco verso Duino. All'ora fissata vennero aperti i portoni
della basilica, le autorità politiche e militari, come pure semplici cittadini,
vennero ammessi all'interno. Alle madri e vedove di guerra presenti venne
riservato un palco allestito a destra dell'altare. Al termine del rito funebre di
suffragio, dopo che l'officiante ebbe asperso le bare con l'acqua del Timavo,
quattro decorati di Medaglia d'Oro, gen. Paolini, Col. Marinetti, on. Paolucci
e Ten. Baruzzi, si avvicinarono a Maria Bergamas porgendole il braccio. La
donna mosse verso i feretri. Nel silenzio della basilica si udivano le
espressioni di cordoglio composto degli astanti. Lo stesso Duca d' Aosta ed il
Ministro Gasparotto avevano gli occhi umidi di pianto. Maria Bergamas
s'inginocchiò davanti all'altare. Quindi, volto lo sguardo alle altre mamme,
con gli occhi sbarrati, fissi verso i feretri, s’incamminava verso le bare.
Trattenendo il respiro, giunse di fronte alla penultima bara davanti alla quale,
oscillando sul corpo e lanciando un grido, invocante il figliolo, si piegò, cadde
in ginocchio abbracciando quel feretro. Le campane suonarono a tocchi gravi
mentre alcune batterie d'artiglieria, posizionate nelle campagne adiacenti,
esplodevano salve d'onore. Sul sagrato, la banda della Brigata "Sassari"
intonò per la prima volta in modo ufficiale l'inno che sarebbe divenuto il
simbolo di tutte le cerimonie dedicate ai caduti: "La leggenda del Piave". La
salma prescelta venne sollevata da quattro decorati e la cassa venne posta
all'interno di un'altra cassa in legno massiccio rivestita all'interno di zinco.
Sul coperchio venne fissata una teca in argento lavorato a sbalzo, opera
dell'artista udinese Calligaris, dentro la quale era stata fissata la medaglia
commemorativa fatta coniare dai comuni di Udine, Gorizia e Aquileia.
Sempre sul coperchio della cassa venne fissata una alabarda in argento, dono
della città di Trieste. Il rito terminò alle 12:20 e, al termine, il tempio venne
aperto all'omaggio del popolo. Alle 15:00 il Duca d'Aosta, unitamente al
Ministro della Guerra ed alle altre autorità, giunsero sul piazzale antistante
la basilica. Il sarcofago venne posto sull’affusto di un cannone trainato da sei
cavalli bianchi bardati a lutto. Il corteo, formatosi spontaneamente, mosse
verso la stazione ferroviaria.
A questo punto, il simbolismo di alcuni elementi della cerimonia richiama la
nostra attenzione. Innanzitutto il culto del Milite ignoto avviene secondo
regole e stilemi propri del Cristianesimo. Il corpo non è esposto, come invece
avveniva nel rito classico, è chiuso all’interno della bara, ricomposto, in pace,
viene bagnato con l’acqua del Timavo. Il fiume Timavo simboleggia il legame
Simbolo
acqua
100
tra il campo di battaglia e il Milite, mentre l’acqua è simbolo di nuova vita,
come avviene nel sacramento del Battesimo. Dunque, l’acqua è l’elemento
presente sia nel rito funebre sia nel Battesimo, quale simbolo di ingresso
dell’uomo nella vera vita, quella ultraterrena e all’insegna della fede
cristiana. Nel rito classico invece il corpo veniva bruciato poiché si credeva in
questo modo di favorire la separazione dell’anima dal corpo.
Da questa riflessione sulla presenza e sul significato dell’acqua nel rito
cristiano, emergono alcuni aspetti relativi alla concezione della morte: per il
Cristianesimo la morte è l’inizio della vera vita, legata alla fiducia nella
sopravvivenza dell’anima, per la religione pagana la morte è la fine della vita
e l’inizio dell’oblio.
Grazie al progetto Erasmus+ – Insegnare la guerra per educare alla pace,
abbiamo avuto l’occasione di riflettere su argomenti che, altrimenti, non
avremmo mai considerato. Sono argomenti che ci riguardano da vicino in
quanto fanno parte della storia del nostro Paese e dell'esistenza di ognuno
di noi, in quanto prima o poi dovremmo affrontare una perdita. Il percorso ci
ha inoltre permesso di indagare alcuni aspetti della cultura classica, di cui
abbiamo ricostruito alcuni valori attraverso l’analisi della categoria dell’eroe
e del suo culto. Queste categorie, successivamente, sono state da noi
utilizzate quali criteri di analisi dell'argomento Milite ignoto, oggetto del
nostro lavoro. In questo modo, i valori della civiltà classica ci hanno permesso
di recuperare il significato storico ed etico del Milite ignoto. Durante la
realizzazione di questo progetto, abbiamo incontrato numerose difficoltà.
Prima di tutto, abbiamo dovuto confrontare punti di vista diversi e operare
una sintesi delle idee che emergevano di volta in volta dalle discussioni. Dal
punto di vista operativo, la realizzazione del percorso ha significato prestare
molta attenzione non solo ai contenuti dei vari saggi consultati, ma
soprattutto alla loro struttura logico - sintattica, dal momento che essi
presentavano tesi diverse, sostenute da argomenti non sempre di facile
comprensione. Lavorare in gruppo ha significato, inoltre, comprendere
l'importanza del rispetto di scadenze e impegni presi, dal momento che la
riuscita e la realizzazione del progetto dipende dalle scelte e dalle azioni di
tutti i componenti del gruppo stesso.
Cristianesimo vs
Paganesimo
Conclusione
101
Documenti
1. A. Gibelli, L’officina della guerra, 1991
2. A. L. Mauzan, Il fante di Mauzan, 1917
3. A. Schnitzler, Pensieri sulla vita e sull’arte, 1914
4. Anonimo, Il General Cadorna
5. L. Andreev, Il riso rosso, 1905
6. L. Cadeddu, Alla ricerca del Milite Ignoto, 2011
102
Gruppo 5: E. Bergantin, G. Cum, A. Danielis, M. Romano
Il sacrificio del Milite Ignoto
Nel seguente saggio eseguiremo un confronto fra il codice classico e quello
contemporaneo per quanto riguarda i concetti di sacer e lutto.
Dopo aver analizzato i testi in nostro possesso, abbiamo riflettuto sulla
funzione e trasformazioni di queste parole - chiave, scelte nell’attività
precedente, all’interno della sfera semantica del rito del Milite Ignoto.
Questa riflessione ci ha permesso di raccogliere informazioni, temi e valori
relativi al codice contemporaneo e, in particolare, studiare il rituale del Milite
Ignoto alla luce di queste informazioni.
Siamo partiti chiedendoci che cosa significasse il termine lutto. Esso consiste
in una serie di azioni e gesti tramite i quali chi rimane in vita esprime la sua
pena e, come sostiene J. Winter1, passa attraverso determinate fasi. Al
termine della Prima Guerra Mondiale, le famiglie in lutto vissero queste fasi
di accettazione della perdita. La prima reazione dei famigliari, alla rivelazione
della morte del proprio caro, riguarda la ricerca di informazioni al riguardo,
ricerca sostenuta prima da gruppi e associazioni spontanee, poi ufficiali, che
fornivano dati, tracce, e qualsiasi elemento utile a trarre dall’oblio, almeno
idealmente, quei corpi. La fase successiva dell’elaborazione del lutto
riguarda i valori, all'insegna dell'altruismo e della solidarietà, di cui i
famigliari si fanno interpreti. Ci furono, a questo proposito, casi di adozione
simbolica di soldati feriti da parte di molte famiglie. Si creò così una sorta di
fratellanza ideale: aiutarsi e sostenersi in seguito al lutto diventava un dovere
morale delle famiglie nei confronti di coloro che si erano sacrificati per la
patria. Questa etica della generosità, per la quale le famiglie si sentivano
unite dal comune lutto, era dovuta anche all’influenza della religione
cristiana con i suoi valori di carità e solidarietà. L’ultima fase
dell’elaborazione del lutto consiste nella consolazione attraverso la
commemorazione. Da questa premessa, si evince il contesto in cui viene
ideato il culto del Milite Ignoto. La collettività aveva bisogno di comprendere,
di dare un senso alla morte dei suoi figli, mariti, padri per affrontare insieme
il vuoto lasciato dalla perdita dei propri cari.
Intendiamo ora analizzare il rito del Milite ignoto, evidenziandone fasi,
lessico, simboli. Lo studio del Milite ignoto, secondo i criteri esplicitati, ci
permetterà, successivamente, di raccogliere elementi utili, in termini lessicali
e culturali, per confrontare sistemi di valori diversi, relativi al codice classico
e contemporaneo. La prima domanda sorta spontanea all'interno del gruppo
durante le discussioni e riflessioni è questa: “Qual è la funzione dell'aggettivo
Ignoto?”. Per rispondere siamo partiti dalla categoria semantica a cui
Introduzione
Funzione rituale del Lutto
Fasi del lutto
Analisi testo Milite
Ignoto
103
l'aggettivo “ignoto” rimanda, funzionale alla costruzione di un simbolo che
possa rappresentare tutti i soldati morti in guerra. Per soddisfare questo
requisito, la connotazione principale di questo milite doveva essere l'assenza
di elementi identitari, doveva presentarsi sciolto da qualsiasi legame
familiare. Solo così, per queste sue caratteristiche, poteva diventare il figlio
di tutti gli Italiani. Il suo anonimato è determinato anche dal fatto che la
morte lo accomuna a tutti i caduti, resi uguali, privati dell'identità, del nome.
In questo modo il sacrificio anonimo diventa sacrificio collettivo.
Il rito del Milite Ignoto ha inizio al termine della Prima Guerra Mondiale,
quando, il colonnello d’artiglieria Giulio Douhet, nel 1920, ebbe l’idea di
onorare i sacrifici e gli eroismi di tutti i soldati morti per la patria attraverso
la salma di un soldato sconosciuto, che doveva rappresentare il padre, il
figlio, il marito di tutti quelli che non avevano la possibilità di celebrare le
spoglie, mai ritrovate, del familiare disperso. La proposta di Douhet venne
accolta dal Governo, che costituì una commissione a cui fu dato l'incarico di
individuare undici salme di soldati italiani non identificati, tra le quali si
sarebbe scelta quella del Milite Ignoto.
I corpi tra i quali venne scelto quello del Milite Ignoto, vennero riesumati dai
principali campi di battaglia: san Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto
Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Caposile.
Successivamente le undici salme vennero portate nella Basilica di Aquileia
dove avvenne la sacralizzazione del sacrificio di tutti i soldati morti per la
patria. Mons. Angelo Bartolomasi, Vescovo di Trieste, bagnò le bare con
acqua proveniente dal fiume sotterraneo Timavo, che, per le sue numerose
risorgive, è stato un luogo di culto fin dall’antichità.
La scelta del corpo del Milite Ignoto fu assegnata a Maria Bergamas, madre
di un volontario giuliano, disertore dall’esercito austriaco. La cerimonia del
Milite Ignoto ebbe luogo la mattina del 28 agosto nella Basilica di Aquileia,
nella quale venne posizionato un cenotafio sul quale sarebbe stata posta la
bara del soldato. Alla celebrazione parteciparono centinaia di persone, fra le
quali tutte le massime autorità politiche e militari. Inoltre, venne riservato
un palco a destra dell’altare alle madri e vedove di guerra. Maria Bergamas,
nel momento della scelta della salma del Milite Ignoto, si inginocchiò,
piangendo, davanti alla salma che sarebbe diventata il simbolo di tutti i
caduti in guerra.
Conclusa la cerimonia, il convoglio funebre, contenente la salma
del Milite Ignoto, partì lentamente dalla stazione di Cervignano del
Friuli con direzione Roma, seguito da automobili militari e non, e
sorvolato da velivoli dell’aviazione militare.
Fasi del rito
104
Intendiamo soffermarci su questo aspetto del rito, ovvero il tragitto della
salma da Aquileia a Roma, certi di poter riconoscere e ricostruire alcune
valenze mitico - simboliche attribuite al Viaggio nella nostra cultura. Il viaggio
del Milite Ignoto è il “Viaggio di ritorno” di tutti coloro che sono partiti. Al
passaggio del treno, le persone reagiscono sia con comportamenti collettivi
legati alla pietà, sia con comportamenti legati alle partenze, alla separazione.
Il treno e il viaggio evocano infatti vissuti e memorie. Il Viaggio del Milite
ignoto, fisicamente visibile nel suo divenire, assicura il contatto fra il simbolo
- milite ignoto e il popolo. Ed è proprio questo contatto fisico con “l’Ignoto”
che permette alle persone di appropriarsi del Milite come simbolo collettivo
e concreto del sacrificio. Questo processo di mitizzazione del milite, il cui
corpo è ben protetto e celato dalla bara, viene accentuato dalla successione
di omaggi e tributi, in un crescendo di solennità verso Roma2.
La prima tappa del treno fu alla stazione ferroviaria di Udine,
seguita dalle stazioni di Codroipo e Pordenone. Quando, dopo
Sacile e Conegliano, arriva al ponte della Priula, dalle carrozze
vengono lanciati fiori nelle acque del Piave. Durante la sosta a
Venezia, una corona d’alloro viene calata in mare, simbolo di
tutti i marinai morti in guerra. Successivamente, il viaggio della
salma del Milite Ignoto continua attraverso Mestre, Padova,
Monselice, Ferrara, Bologna, l’Appennino, Firenze, Arezzo,
Orvieto, per poi sostare, durante la notte, a Portonaccio, nella
periferia Nord di Roma.
Il giorno successivo, il treno, contenente la salma del Milite Ignoto, fu accolto
nella capitale con uno striscione nel quale apparivano versi di D’Annunzio:
La Madre chiama: in te comincia il pianto, nel profondo di te comincia il
canto, l’inno comincia degli imperituri.
In questi versi è presente la personificazione della Patria - Madre, il Figlio
della Patria - Madre, che con il suo sacrificio aveva dato la libertà alle terre
circostanti di Aquileia e che ora ritorna glorioso alla capitale, Roma. In
particolare, parole quali “canto” e “inno” ricordano la funzione del poeta
vate, che con la sua poesia eternerà le nobili imprese dell'eroe - salvatore
della Patria.
Da questi elementi, si evince che il culto del Milite Ignoto fu una delle più
grandi manifestazioni patriottiche italiane, simbolo del ricostituito legame
tra i cittadini e la loro Patria. L’intera collettività, infatti, partecipa alla
cerimonia, riconoscendo nel rito del Milite Ignoto valori, significati e virtù
legati al sacrifico dei propri cari.
105
Il rito del Milite Ignoto è, quindi, strettamente legato sia al concetto di
sacrificio, sacrum facere, classico per l'idea di offerta, dono della vita agli dei,
sia all'idea del martirio cristiano, evocato dalla presenza dei simboli religiosi,
che accompagnano la bara. Uno dei simboli religiosi che ricorre più
frequentemente nel rito del Milite Ignoto è la croce. Essa assume due diversi
significati: simbolo di speranza e di "negazione delle immagini sbagliate”, ma
anche segno della morte vinta attraverso il sacrificio.
Il culto del sacrificio del soldato svolge un ruolo fondamentale nel processo
di sacralizzazione del Milite Ignoto, che diventa così patrimonio condiviso,
luogo di riconoscimento di valori, di virtù collettive. Il sacrificio diventa così
simbolo di una nazione unita e vittoriosa.
Il soldato è colui che si è scarificato per una causa comune. Chiunque
sacrifica sé stesso per assolvere al proprio dovere è degno di onore:
E tu onore di pianti, Ettore, avrai/ove fia santo e lagrimato il sangue/per la
patria versato, e finché il Sole/risplenderà su le sciagure umane3.
Lo studio del testo Milite Ignoto ci ha permesso di comprendere la funzione
del “sacrifico” compiuto da soldati, giovani come noi, padri come i nostri
padri, fratelli come i nostri fratelli. Dopo questo lavoro, non sono più lontani
e anonimi, ora li sentiamo vicini e, consapevoli del valore dei loro sacrifici,
riteniamo doveroso ringraziarli4.
Dopo aver analizzato, nella prima parte del progetto, il rituale classico siamo
passati a confrontarlo con quello del Milite Ignoto. Nell’età classica ricevere
una sepoltura era considerato un diritto che spettava al defunto, non
riceverne era considerato indegno. Questo avrebbe comportato
conseguenze negative sul destino dell’anima del defunto. Dare sepoltura ai
defunti era un dovere morale dei vivi in quanto gesto che rientrava nella sfera
dell’humanitas e della pietas. L’humanitas è un insieme di valori e
comportamenti assimilabile alla filantropia greca. Con il termine humanitas
si intende la comprensione e l'aiuto, attraverso il dialogo, verso gli altri in
quanto uomini. Da ciò si comprende che il mos maiorum prescriveva di
prendersi cura dei propri simili anche dopo la loro morte, dando loro una
degna sepoltura. Il termine pietas rimanda al rispetto e affetto che si deve
agli dei e ai membri familiari, onorandoli con gli officia a loro dedicati. In
questo modo, il civis pius manteneva buone relazioni sia con gli dei sia con
gli antenati della gens. La pietas dei parenti del defunto veniva espressa nel
rispetto del corpo del deceduto, simbolo del legame che c’era tra loro e il
deceduto.
Sacrificio
Confronto
passato presente
Humanitas
pietas
106
Nel mondo classico dare sepoltura al corpo era una necessità, un dovere, un
segno di civiltà che delimitava lo spazio della civitas.
Questo aspetto presenta delle affinità con il contesto del Milite ignoto. In
particolare, alla fine della Prima Guerra Mondiale anche i famigliari dei
soldati caduti in guerra sentivano il bisogno di ritrovare i corpi dei propri cari
per onorare il loro sacrificio con una degna sepoltura. Come abbiamo
precedentemente detto, durante e dopo il conflitto mondiale, molte furono
le famiglie, i padri e le madri che non ebbero l’opportunità di conoscere il
luogo ove fosse il corpo del figlio. Gran parte dei giovani soldati che si
arruolarono vennero ritenuti dispersi in battaglia; non si sapeva dove
avessero trascorso i loro ultimi giorni o se, qualche loro commilitone, mosso
da pietas, avesse dato loro una sepoltura sul campo di battaglia. Questo
spiega perché le madri e i famigliari dei caduti vedevano nel Milite Ignoto il
corpo del loro figlio o caro. Questa identificazione permetteva ai vivi di
superare la perdita e di elaborare il lutto in modo tale da accettare la perdita
e prendere coscienza dell’assenza del caro. La realizzazione di una sepoltura,
quella del Milite ignoto, quindi, era una necessità riguardante i vivi e
permetteva loro di elaborare il lutto e accettare la scomparsa del proprio
caro.
Per quanto riguarda la funzione collettiva del rito, nel mondo classico essa si
realizzava nel passaggio del dolore dalla sfera privata a quella pubblica, che
avveniva nel momento in cui la salma del defunto veniva portata nel luogo
della sepoltura tramite una processione alla quale prendevano parte, oltre
ai familiari, i conoscenti, i cittadini e i senatori, nel caso di uomini illustri o di
soldati - eroi da venerare in quanto salvatori della patria. Il dolore della
famiglia veniva trasmesso anche al pubblico e il defunto veniva onorato da
tutto il popolo.
Il rito del Milite Ignoto presenta questa affinità con il rito romano sopra
descritto, ovvero quella di essere collocato in una dimensione pubblica, di
aver ricevuto una degna sepoltura, l'altare innalzato dallo stato a sua eterna
memoria.
Il corpo del Milite e la sua sepoltura divennero luogo di identificazione per
coloro che avevano perso un caro, per coloro che combatterono in guerra e
sacrificarono la vita per il Paese, per coloro che ricordavano quanto vissuto
e sopportato durante la guerra anche se non vi parteciparono direttamente.
Un altro aspetto della funzione collettiva del culto del Milite Ignoto riguarda
l'esigenza del Governo italiano di ritrovare e ridare al popolo italiano una
qualche forma identitaria. Il Governo volle costruire un senso di unità e di
Oblio
107
appartenenza alla Patria attraverso il rituale del Milite Ignoto. Dal momento
che, tutti i cittadini italiani vissero direttamente o indirettamente e in modi
diversi la Guerra, il rito del Milite Ignoto divenne un pretesto per creare una
nuova Italia caratterizzata da valori etici e normativi che gli italiani fecero
propri. A questo proposito, Cadeddu afferma: “Iniziava così la fase della
rappresentazione dell’eroismo anonimo del soldato - popolo italiano. La
ricerca del Soldato sconosciuto era già di per sé un rito collettivo che si
realizzava attraverso i membri della Commissione: la memoria storico -
sacrificale dell’intero popolo italiano, sublimata simbolicamente nell’epos,
iniziava il cammino rituale per diventare il fondamento dell’identità del
popolo come nazione, trovando alimento nei valori normativi, etici, assunti
dal popolo armato nel momento del sacrificio supremo per la Patria. Le
componenti dell’epica e dell’etica civile diventavano così le colonne portanti
della nuova Italia uscita dalla guerra di massa.” Il culto del Milite Ignoto allora
è la ritualizzazione di uno dei miti fondanti della nuova Italia uscita dalla
Guerra5.
In conclusione, al termine di queste riflessioni, frutto di numerose attività di
analisi sui testi scelti, abbiamo ampliato le nostre conoscenze sul nostro
passato recente e contemporaneamente compreso come i valori che il
passato ci tramanda, sacer, lutto, pietas, humanitas, non sono immutabili.
Grazie al progetto Erasmus+ – Insegnare la guerra per educare alla pace,
abbiamo compreso le motivazioni alla base della nascita del rituale del Milite
Ignoto, la sua funzione e le sue relazioni con alcune parole – chiave della
civiltà classica. Studiare il mondo antico per cercare “appigli”, valori, per
trasformarli in strumenti di lettura del testo Milite ignoto, oggetto della
nostra analisi, ha significato scoprire prima e confrontarsi poi con le
migrazioni semantiche dei termini, tracce di una civiltà altra dalla nostra,
risultato, precario e mai definitivo, del contatto tra diverse popolazioni e
culture. Questo ha significato riflettere e interrogarci sul presente: noi siamo
questo “meticciamento”, viviamo nella con - fusione culturale ed è per
questo che non dobbiamo temere i contatti, le intrusioni, le relazioni con gli
altri.
Documenti
1. J. Winter, Il lutto e la memoria, 1995
2. L. Cadeddu, La leggenda del soldato sconosciuto all’altare della patria, 2001
3. U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1806
4. U. Galimberti, Orme del Sacro, 2000
5. V. Labita, Il Milite Ignoto, Gli occhi di Alessandro, 1990
Conclusione
108
Sommario
Le ragioni di una scelta ...................................................................................................................................... 1
Percorso 1: Codice classico. La dimensione pubblica del dolore ...................................................................... 7
Fase A............................................................................................................................................................. 7
Fase B ........................................................................................................................................................... 18
Fase C ........................................................................................................................................................... 32
Percorso 2: Codice contemporaneo. La dimensione pubblica del dolore ....................................................... 65