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Riassunto diritto commerciale :...

Date post: 05-Feb-2018
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1 Riassunto diritto commerciale : FERRI INTRODUZIONE L’attività commerciale ha sempre avuto nel corso dei secoli una disciplina particolare anche se non ha sempre costituito una branca del diritto completamente autonoma rispetto al diritto civile. La società romana non ebbe un sistema unitario di diritto commerciale e lo jus civile non poneva le regole riguardanti la produzione e gli scambi commerciali in quanto esse erano considerate attività inferiori da parte delle stesse classi plebee. Le origini del diritto commerciale vanno ricercate nell’età comunale grazie al grande sviluppo del commercio e alla nascita delle corporazioni di arti e mestieri. Successivamente l’affermarsi dei traffici marittimi sulle grandi tratte oceaniche determinò la nascita dei titoli documentali di credito per agevolare i pagamenti su piazze lontane. Con la rivoluzione francese del 1789 le corporazioni vennero travolte perché contrarie ai principi liberali e quindi il diritto commerciale perse il suo carattere di specialità soggettiva ( in quanto diritto dei e per i commercianti) e si passò a considerare commerciale ogni singolo atto che interessasse il commercio. Si aprì così la strada alle grandi codificazioni dove il diritto commerciale era ormai oggettivizzato: nel codice di commercio napoleonico del 1808 l’atto di commercio, da chiunque compiuto, divenne l’unico criterio di applicabilità del diritto commerciale. Il primo codice italiano di commercio venne pubblicato nel 1865 e ricalcava largamente i principi del codice francese introdotto in Italia con le guerre napoleoniche. Il diritto commerciale venne ad affermarsi quindi come sistema di norme autonome rispetto al diritto civile, prevalente su di esso per il principio di specialità e caratterizzato dall’esistenza di principi generali propri dei rapporti commerciali. Con il codice civile del 1942 venne deciso di unificare il codice civile e il codice di commercio per unificare il diritto delle obbligazioni, partendo dalla considerazione unitaria di ogni attività economica facente capo alla figura dell’imprenditore commerciale. Allo stato attuale possiamo chiederci se il diritto commerciale costituisca un sistema di norme che si contrappone al diritto civile come diritto speciale contrapposto al diritto generale dove il secondo regolerebbe i rapporti privati in generale mentre il primo solo una categoria particolare di tali rapporti. Dobbiamo però rispondere negativamente. Infatti se è indubbio che i rapporti commerciali costituiscono una categoria differenziata nell’ambito dei rapporti privati e che sono soggetti ad una particolare disciplina giuridica posta da norme speciali o eccezionali è anche vero che perché possa parlarsi di diritto speciale come sistema contrapposto al diritto generale occorre che i due sistemi di norme non si pongano sullo stesso piano. Ciò non è ovviamente il caso del diritto commerciale che attualmente, come si è detto, è collocato all’interno del diritto civile. Nel sistema precedente del codice invece veniva stabilito che i rapporti commerciali erano regolati in primo luogo dalle norme commerciali (scritte o consuetudinarie) e che le eventuali lacune dovevano essere colmate con l’applicazione analogica della norme commerciali Solo quando ciò non era possibile poteva essere applicato il diritto civile. Si era quindi in presenza di due sistemi di norme poste su due piani diversi in quanto solo quando fosse esaurito il primo sistema era possibile fare ricorso al secondo. La situazione non è più così nel sistema vigente dove le norme commerciali sono state poste sullo stesso piano delle norme civili e pertanto tra di esse non vi è differenza dal punto di vista formale tanto è vero che l’unico criterio di prevalenza che rimane applicabile alle norme commerciali è quello generale della specialità o eccezionalità della norma. Ne deriva che il diritto commerciale deve essere considerato come un complesso di norme che regola una speciale categoria di rapporti privati, che si pone sullo stesso piano delle norme contenute nel codice civile differenziandosene solo per la specialità dal punto di vista del contenuto della materia trattata Da ciò che abbiamo detto risulta chiaro che l’autonomia del diritto commerciale rispetto al diritto civile può oggi essere sostenuta solo dal punto di vista sostanziale e cioè della particolarità della materia trattata che conduce inevitabilmente ad una specializzazione e differenziazione della relativa disciplina giuridica. Occorre anche esaminare i rapporti tra diritto commerciale e diritto della navigazione. Nella codificazione del 1942 insieme alla unificazione tra codice civile e codice di commercio venne attribuita autonomia al diritto della navigazione e venne affermato all’art.1 del codice della navigazione la prevalenza assoluta delle norme contenute nel codice, nelle leggi, nei regolamenti e negli usi riguardanti la specifica materia nonché di quelle desumibili per analogia sulle norme del
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Riassunto diritto commerciale : FERRI

INTRODUZIONE

L’attività commerciale ha sempre avuto nel corso dei secoli una disciplina particolare anche se non ha sempre costituito una branca del diritto completamente autonoma rispetto al diritto civile. La società romana non ebbe un sistema unitario di diritto commerciale e lo jus civile non poneva le regole riguardanti la produzione e gli scambi commerciali in quanto esse erano considerate attività inferiori da parte delle stesse classi plebee. Le origini del diritto commerciale vanno ricercate nell’età comunale grazie al grande sviluppo del commercio e alla nascita delle corporazioni di arti e mestieri. Successivamente l’affermarsi dei traffici marittimi sulle grandi tratte oceaniche determinò la nascita dei titoli documentali di credito per agevolare i pagamenti su piazze lontane. Con la rivoluzione francese del 1789 le corporazioni vennero travolte perché contrarie ai principi liberali e quindi il diritto commerciale perse il suo carattere di specialità soggettiva ( in quanto diritto dei e per i commercianti) e si passò a considerare commerciale ogni singolo atto che interessasse il commercio. Si aprì così la strada alle grandi codificazioni dove il diritto commerciale era ormai oggettivizzato: nel codice di commercio napoleonico del 1808 l’atto di commercio, da chiunque compiuto, divenne l’unico criterio di applicabilità del diritto commerciale. Il primo codice italiano di commercio venne pubblicato nel 1865 e ricalcava largamente i principi del codice francese introdotto in Italia con le guerre napoleoniche. Il diritto commerciale venne ad affermarsi quindi come sistema di norme autonome rispetto al diritto civile, prevalente su di esso per il principio di specialità e caratterizzato dall’esistenza di principi generali propri dei rapporti commerciali. Con il codice civile del 1942 venne deciso di unificare il codice civile e il codice di commercio per unificare il diritto delle obbligazioni, partendo dalla considerazione unitaria di ogni attività economica facente capo alla figura dell’imprenditore commerciale. Allo stato attuale possiamo chiederci se il diritto commerciale costituisca un sistema di norme che si contrappone al diritto civile come diritto speciale contrapposto al diritto generale dove il secondo regolerebbe i rapporti privati in generale mentre il primo solo una categoria particolare di tali rapporti. Dobbiamo però rispondere negativamente. Infatti se è indubbio che i rapporti commerciali costituiscono una categoria differenziata nell’ambito dei rapporti privati e che sono soggetti ad una particolare disciplina giuridica posta da norme speciali o eccezionali è anche vero che perché possa parlarsi di diritto speciale come sistema contrapposto al diritto generale occorre che i due sistemi di norme non si pongano sullo stesso piano. Ciò non è ovviamente il caso del diritto commerciale che attualmente, come si è detto, è collocato all’interno del diritto civile. Nel sistema precedente del codice invece veniva stabilito che i rapporti commerciali erano regolati in primo luogo dalle norme commerciali (scritte o consuetudinarie) e che le eventuali lacune dovevano essere colmate con l’applicazione analogica della norme commerciali Solo quando ciò non era possibile poteva essere applicato il diritto civile. Si era quindi in presenza di due sistemi di norme poste su due piani diversi in quanto solo quando fosse esaurito il primo sistema era possibile fare ricorso al secondo. La situazione non è più così nel sistema vigente dove le norme commerciali sono state poste sullo stesso piano delle norme civili e pertanto tra di esse non vi è differenza dal punto di vista formale tanto è vero che l’unico criterio di prevalenza che rimane applicabile alle norme commerciali è quello generale della specialità o eccezionalità della norma. Ne deriva che il diritto commerciale deve essere considerato come un complesso di norme che regola una speciale categoria di rapporti privati, che si pone sullo stesso piano delle norme contenute nel codice civile differenziandosene solo per la specialità dal punto di vista del contenuto della materia trattata Da ciò che abbiamo detto risulta chiaro che l’autonomia del diritto commerciale rispetto al diritto civile può oggi essere sostenuta solo dal punto di vista sostanziale e cioè della particolarità della materia trattata che conduce inevitabilmente ad una specializzazione e differenziazione della relativa disciplina giuridica. Occorre anche esaminare i rapporti tra diritto commerciale e diritto della navigazione. Nella codificazione del 1942 insieme alla unificazione tra codice civile e codice di commercio venne attribuita autonomia al diritto della navigazione e venne affermato all’art.1 del codice della navigazione la prevalenza assoluta delle norme contenute nel codice, nelle leggi, nei regolamenti e negli usi riguardanti la specifica materia nonché di quelle desumibili per analogia sulle norme del

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diritto civile. Per effetto di ciò le norme di diritto commerciale si pongono attualmente in una posizione subordinata rispetto alle norme del codice della navigazione in quanto il diritto commerciale risulta oggi compreso nel codice civile e quindi applicabile alla materia della navigazione solo in mancanza di norme espresse o ricavabili per analogia Tuttavia tale posizione subordinata è più formale che sostanziale. Infatti se guardiamo al contenuto del codice della navigazione e del diritto commerciale rileviamo che diritto commerciale e diritto della navigazione regolano in genere rapporti diversi e anche quando regolano gli stessi fenomeni (nel campo dell’impresa e dell’attività imprenditrice) lo fanno da punti di vista diversi in modo tale che la disciplina del codice della navigazione non esclude quella dettata nel codice civile ma si aggiunge ad essa. Occorre ricordare infatti che impresa ai sensi del codice civile è nozione diversa da impresa di navigazione che consiste nel semplice esercizio di una nave o di un aeromobile non richiedendo necessariamente quei caratteri che sono invece necessari perché si abbia impresa economica alla quale è applicabile lo statuto dell’imprenditore. Trattandosi quindi di fenomeni diversi e non esistendo nel codice della navigazione un regolamento dell’impresa economica se nel campo della navigazione viene a configurarsi una impresa economica ad essa è applicabile lo statuto dell’imprenditore anche se sono applicabili anche i principi particolari del diritto della navigazione. Le norme del diritto di navigazione quindi integrano ma non sostituiscono le norme sull’impresa economica e quindi il diritto della navigazione non si pone rispetto al diritto commerciale come diritto speciale rispetto ad un diritto generale ma si pone come complesso di norme parallelo che regola istituti non regolati dal diritto commerciale, istituti che possono trovare applicazione nell’esercizio dell’impresa. Per comprendere il sistema attuale del diritto commerciale occorre tenere conto della evoluzione che si è verificata nei principi generali alla base della iniziativa economica in quanto nel tempo si è passati da una concezione liberistica che sosteneva l’assoluta autonomia dell’iniziativa economica rispetto allo stato (in quanto il processo economico sarebbe stato in grado di autoregolarsi sulla base delle proprie leggi basate sul meccanismo della domanda e dell’offerta) ad una concezione sociale dell’iniziativa economica in base alla quale essa non può godere di libertà assoluta nella misura in cui deve soddisfare, oltre ai bisogni individuali anche quelli della collettività. La concezione sociale della iniziativa economica può condurre anche all’abrogazione della proprietà privata dei mezzi di produzione ma anche negli stati in cui ciò non accade è chiaro che essa non può essere rimessa esclusivamente ai privati e comunque non può esplicarsi senza limiti e interventi statali diretti ad adeguare l’azione del privato alla funzione sociale che essa deve esplicare. Nel nostro paese il principio della concezione sociale dell’impresa economica viene consacrato per la prima volta nella Carta del Lavoro del 1927 ma è sancito anche dalla nostra costituzione. Infatti la costituzione pur sancendo all’art. 41 che l’iniziativa economica privata è libera stabilisce anche che essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e che la legge deve determinare i programmi e i controlli opportuni affinché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Ovviamente la costituzione pone il principio che deve essere applicato in base alle scelte del legislatore ma tale principio sussiste e quindi non si può sostenere la libertà di iniziativa economica di cui al primo comma senza tenere conto dello svuotamento che di essa può essere fatto rispetto ai commi successivi. Occorre dire che senza dubbio la costituzione permette di restringere il campo di applicazione del principio di libertà di iniziativa economica privata assicurando la sola garanzia della necessità di una legge. Nel momento attuale imprese pubbliche e private coesistono nell’ambito dello stesso sistema economico operando in un regime di libera iniziativa economica e di libera concorrenza anche se non mancano limitazioni alla iniziativa privata poste attraverso la determinazione legale di prezzi massimi o minimi, o attraverso il controllo delle esportazioni e importazioni o del mercato dei capitali e delle divise. Non sono mancate inoltre anche fenomeni di dirigismo economico come nel caso delle leggi contenenti provvedimenti per il mezzogiorno che hanno imposto addirittura l’obbligo per le imprese di investire parte dei capitali nel territorio del mezzogiorno. Non si deve però trascurare, il fatto che nell’ultimo periodo abbiamo assistito ad una specie di riaffermazione del liberalismo economico attraverso la globalizzazione dell’economia che ha reso possibile agli imprenditori di delocalizzare le attività produttive scegliendo così il contesto giuridico in cui operare e sottraendosi in tal modo alla imperatività delle norme dello stato localizzando in altro territorio l’impresa. Per comprendere l’ordinamento commerciale vigente occorre tenere conto anche della comunità europea

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tesa alla soppressione di ogni limite statale alla libertà dei traffici ed alla integrazione delle economie dei vari paesi determinando un nuovo ordinamento giuridico che concorre con l’ordinamento statale nelle materie che formano oggetto dell’attività della comunità. Poiché l’ordinamento comunitario integra l’ordinamento interno soprattutto per quanto riguarda l’attività economica e i rapporti tra gli imprenditori esso permea profondamente gli istituti del diritto commerciale attribuendo ad esso un rilievo europeo.

CAPITOLO I: L’ATTIVITA DELL’IMPRENDITORE

18) L’impresa come attività nel codice di commercio e nel codice vigente - L’impresa era stata oggetto di considerazione anche da parte del legislatore del 1882 solo che in questo codice essa non era considerata come organismo economico e pertanto rientravano nel concetto di impresa anche gli atti speculativi isolati che non davano luogo alla creazione di un organismo produttivo mentre non vi rientravano ad esempio le imprese artigiane in quanto non realizzavano una intermediazione a scopo speculativo. Il codice civile del 1942 invece non considera l’impresa ma l’imprenditore e ne deriva pertanto che la definizione di impresa deve ricavarsi dalla nozione di imprenditore.

19) L’impresa come attività economica – Secondo l’art. 2082 cc l’imprenditore è colui che esercita professionalmente una attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Ne deriva che impresa è innanzitutto attività economica e pertanto non costituisce impresa l’esercizio di attività non economiche anche se attuata professionalmente e attraverso una organizzazione. Non sono pertanto imprenditori ai sensi del codice civile il medico o l’avvocato anche se l’esercizio della professione implica necessariamente una stabile organizzazione. Soltanto quando l’esercizio della professione si inserisce in una attività economica organizzata e professionale può configurarsi l’impresa (es. quando un medico istituisce una casa di cura e in essa esercita la sua professione).

20) L’impresa come attività professionale – Anche l’elemento della professionalità è essenziale per l’esistenza dell’impresa e quindi non vi è impresa in caso di attività isolata anche se per l’attuazione di essa è necessaria una organizzazione di capitale e di lavoro (es. non è impresa l’organizzazione una tantum di uno spettacolo pubblico). Il termine professionalità sta quindi a significare abitualità ma non vuol dire permanenza né esclusività. Pertanto se non sono imprese le attività occasionali (es. costruzione di un edificio da parte del libero professionista che dispone di eccedenze liquide) lo sono le imprese stagionali come ad esempio gli stabilimenti balneari e le imprese di trasformazione dei prodotti agricoli. Non è inoltre impresa l’attività economica organizzata per il soddisfacimento dei propri bisogni e quindi non è imprenditore chi produce per sé stesso mancando in questa ipotesi il requisito della professionalità in quanto deve ritenersi che chi produce professionalmente beni o servizi necessariamente li produce per altri.

21) L’impresa come attività organizzata: impresa e piccola impresa – Impresa è anche attività organizzata e quindi attività che si realizza attraverso la collaborazione di altri soggetti sulla base di una precisa organizzazione. Se manca l’organizzazione non vi è impresa. Il codice civile all’art. 2083 stabilisce una disciplina differenziata per la piccola impresa. Anche per la piccola impresa è richiesto il requisito della professionalità e dell’organizzazione solo che in questo caso l’organizzazione presenta caratteri diversi rispetto a quella della impresa. La differenza tra impresa e piccola impresa è innanzitutto quantitativa come si evince dalla stessa terminologia usata dalla legge ma anche qualitativa. Elemento qualificante dell’impresa è che l’attività dell’imprenditore si attua in un organismo economico che ha una propria autonomia e una propria funzionalità indipendentemente dalla persona che la ha creata e che presiede al suo funzionamento. La piccola impresa invece è l’attività personale del soggetto che si avvale di altri mezzi per esplicarla, ma si tratta di attività esecutiva piuttosto che di organizzazione vera e propria. Pertanto nell’impresa l’organismo economico assume un rilievo preminente mentre nella piccola impresa è prevalente l’attività personale del soggetto e quindi in essa vi è attività professionale ma non vi è azienda intesa come entità oggettiva dotata di una propria autonomia economica e di una propria produttività

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indipendentemente dall’imprenditore che ne cura il funzionamento. Ne deriva anche una differenza di finalità in quanto nell’impresa l’organizzazione è il mezzo per realizzare l’obiettivo economico voluto dall’’imprenditore mentre nella piccola impresa l’organizzazione è il mezzo per lo svolgimento dell’attività lavorativa del piccolo imprenditore stesso. Alla piccola impresa non si applicano, per espressa previsione di legge i principi che sono propri dell’impresa, quali l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese, la tenuta delle scritture contabili e il fallimento .ma, in assenza di precisa norma espressa, non si applicano anche le disposizioni relative all’imprenditore ogni volta che la legge non stabilisca che il precetto non è in relazione alle dimensioni o alle caratteristiche dell’impresa stessa.

22) continua - la piccola impresa tra il codice e le leggi speciali - Abbiamo detto che la differenza tra impresa e piccola impresa non è solo quantitativa e infatti la legge non fissa un limite di dimensione per distinguere le due figure ma comprende nella categoria della piccola impresa i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e in genere coloro che esercitano una attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia (art. 2083 cc). In base all’art. 2083 quindi il criterio di distinzione si basa essenzialmente sulla prevalenza del lavoro proprio o dei familiari del piccolo imprenditore. Dobbiamo però chiederci se il lavoro proprio debba considerarsi prevalente rispetto al lavoro altrui, al capitale investito o alla stessa organizzazione. Secondo parte della dottrina la prevalenza dovrebbe sussistere sia rispetto al lavoro altrui che al capitale investito. Tuttavia se osserviamo la legislazione speciale riguardante i piccoli imprenditori questo criterio non appare confermato. Infatti le leggi speciali non consentono di riferire la prevalenza del lavoro proprio al lavoro altrui in quanto ad. Es. per il coltivatore diretto la legge ammette espressamente che il lavoro proprio e quello dei familiari possa rappresentare solo un terzo di quello necessario alla coltivazione del fondo. Le leggi speciali non permettono neanche di riferire la prevalenza del lavoro proprio al capitale investito in quanto a questo criterio si fa ricorso solo con riferimento alle imprese artigiane costituite in forma di società (tale costituzione può avvenire a condizione che il lavoro proprio della maggioranza dei soci abbia funzione preminente sul capitale). Posto questo dobbiamo stabilire che in base alle disposizioni del codice e delle leggi speciali la prevalenza del lavoro del piccolo imprenditore va riferita essenzialmente all’organizzazione. Infatti non a caso nelle leggi speciali si insiste nel considerare come elemento essenziale del piccolo imprenditore la sua partecipazione diretta all’attività esecutiva anche se manuale. La prevalenza del lavoro proprio del piccolo imprenditore va quindi intesa soprattutto con riferimento all’organizzazione nel senso che essa non deve essere tale da trasformare il lavoratore autonomo in imprenditore e cioè la sua attività da esecutiva ad organizzativa.

23) L’impresa familiare - L’impresa familiare è una impresa (generalmente piccola impresa) che si attua nell’ambito della famiglia con la collaborazione dei familiari che svolgono una attività di lavoro sulla base del rapporto di famiglia e non di un rapporto di lavoro subordinato. Tale istituto è stato introdotto con la riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha inserito nel codice civile l’art. 230 bis che la definisce come impresa in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. Tale istituto presuppone che i familiari facciano parte della famiglia (e quindi convivano) e svolgano una attività nell’ambito della famiglia anche se non necessariamente nell’ambito della impresa familiare. I singoli familiari che prestano la loro attività hanno diritto al mantenimento e alla partecipazione, in base al lavoro prestato, agli utili realizzati attraverso l’esercizio della impresa. L’impresa familiare ha punti di contatto sia con la piccola impresa che con la comunione tacita familiare. Il punto di contatto con la piccola impresa è l’esercizio di una attività professionale organizzata (anche se in modo esclusivo e non prevalente) con il lavoro proprio e dei familiari, mentre il punto di contatto con la comunione tacita familiare è il fatto che essa si realizza tra persone legate da vincoli di parentela o affinità ed ha uno scopo più ampio di quello economico e cioè quello dell’assistenza morale, spirituale e materiale. L’impresa familiare rimane comunque una impresa individuale in quanto preoccupazione del legislatore non è quella della responsabilità e della posizione dell’imprenditore nei confronti di terzi ma piuttosto quella di tutelare i familiari che collaborano all’impresa stabilendo per essi oltre al diritto al mantenimento e alla partecipazione agli utili anche un

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potere di codeterminazione con l’imprenditore per quanto riguarda gli impieghi degli utili, gli indirizzi produttivi e la cessazione della impresa, poteri da esercitarsi mediante una decisione di maggioranza.

24) L’impresa e lo scopo di lucro - L’impresa presuppone uno scopo di lucro nel senso del conseguimento di un guadagno attraverso l’esplicazione di una attività economica. Perché vi sia impresa è necessario che l’attività sia diretta a produrre ricchezza anche se non è indispensabile che la ricchezza prodotta sia devoluta all’imprenditore e che quindi al suo scopo di lucro inteso come produzione di ricchezza (lucro oggettivo) corrisponda anche il lucro soggettivo (ossia l’appropriazione della ricchezza stessa da parte dell’imprenditore). Ciò permette di giustificare l’esistenza di imprese senza scopo di lucro (inteso in senso soggettivo) e quindi la possibilità che vi siano imprese esercitate da enti pubblici per i quali l’esistenza de lucro soggettivo non appare configurabile. Gli enti pubblici imprenditori infatti si propongono, al pari di tutti gli altri imprenditori, la produzione di un reddito anche se destinano il reddito realizzato a scopi di pubblica utilità. Nel caso quindi delle imprese esercitate da enti pubblici, e delle imprese mutualistiche quello che è essenziale è la economicità della gestione e cioè la capacità di ricavare dalla attività svolta quanto occorre per coprire con i ricavi i costi di produzione.

25) continua . Le imprese sociali - A fronte del moltiplicarsi dei casi in cui l’attività imprenditoriale viene svolta per finalità sociali e non egoistiche il legislatore ha cercato di disegnare una disciplina unitaria con il decreto legislativo del 2006 in tema di impresa sociale. La disciplina è basata sulla individuazione delle caratteristiche che una impresa deve avere per poter essere definita sociale e sulla definizione di un trattamento legislativo che nelle intenzioni del legislatore deve essere di agevolazione. In primo luogo occorre dire che la legge si riferisce a tutte le organizzazioni private (escludendo quindi le imprese pubbliche e gli imprenditori individuali) che devono presentare i seguenti requisiti: lo svolgimento in via stabile o principale di una attività di produzione o scambio di beni o servizi di utilità generale che deve essere diretta a realizzare finalità di interesse generale senza scopo di lucro. La legge si riferisce ovviamente al lucro soggettivo (così come lo abbiamo definito sopra) in quanto stabilisce che gli utili devono essere destinati allo svolgimento dell’attività o all’incremento del patrimonio vietando la distribuzione anche indiretta di utili a favore di soci, amministratori o collaboratori. L’acquisto della qualifica di impresa sociale avviene sulla base di un atto costitutivo stipulato in forma pubblica che deve essere iscritto in una apposita sezione del registro delle imprese e comporta l’applicazione di specifiche regole in materia di contabilità e la sottoposizione ai poteri ispettivi del Ministero Il privilegio riconosciuto alle imprese sociali consiste nella limitazione della responsabilità per le obbligazioni assunte quando il patrimonio dell’impresa è superiore a 20.000 euro. Ovviamente tale privilegio ha un valore concreto solo per le società che in via di principio non lo prevedono e quindi per le società di persone e per le associazioni non riconosciute. Il beneficio si perde quando il patrimonio diminuisce per oltre un terzo rispetto all’importo di 20.000 euro ma ha come conseguenza la responsabilità solo di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’impresa e non anche dei soci che sarebbero invece illimitatamente responsabili in conseguenza del tipo di società adottato.

26) L’impresa agricola . La nozione di imprenditore delineata dall’art. 2082 è una nozione generale che è valida in tutti i campi dell’economia e quindi anche in quello agricolo. Occorre però accennare alla profonda evoluzione che si è avuta nel ruolo che il sistema originario del codice del 1942 assegnava all’imprenditore agricolo. Infatti il testo originario dell’art. 2135 del cc definiva imprenditore agricolo colui che esercita una attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse, definendo queste ultime come attività dirette alla trasformazione o vendita dei prodotti agricoli che rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura. Se ne desumeva quindi che le attività connesse non rientravano nell’attività agricola e venivano sottratte alla disciplina propria delle attività industriali e commerciali (per essere assoggettate ai principi regolanti le attività agricole) solo quando erano collegate alle attività di produzione agricole secondo un criterio di normalità. Se ne deduceva anche che il fine di lucro veniva a mancare nel caso dell’imprenditore agricolo il quale aveva lo scopo di ricavare i frutti della sua attività ma non quello di

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vendere e quindi di esercitare una attività intermediaria a fine di lucro. Nel testo originario dell’art. 2135 quindi la funzione dell’imprenditore agricolo si esauriva essenzialmente nell’attività produttiva in quanto l’attività di trasformazione e di scambio veniva considerata non rientrante di per sé nell’attività agricola ma veniva considerata come connessa ad essa solo quando rientrasse nell’esercizio normale dell’agricoltura. Qualora invece l’attività produttiva fosse voluta come mezzo per realizzare un lucro attraverso la vendita sul mercato non si era nella sfera regolata dall’art. 2135 e quindi non si configurava impresa agricola ma impresa industriale ai sensi dell’art. 2195 del cc. Nel testo originario dell’art. 2135 pertanto l’impresa agricola non rientrava nella nozione di impresa ai sensi dell’art. 2082 del cc. Infatti ai sensi dell’art. 2082 l’attività economica è organizzata al fine della produzione o scambio di beni o servizi mentre ai sensi dell’art. 2135 l’attività è diretta alla coltivazione del fondo . Il soddisfacimento dei bisogni del mercato è quindi lo scopo dell’impresa ai sensi dell’art. 2082 ma non della impresa agricola ai sensi del testo originario dell’art. 2135 per il quale tale scopo può aggiungersi e considerarsi connesso all’attività agricola solo se rientra nell’esercizio normale dell’agricoltura. La materia ha subito nel tempo una profonda trasformazione in quanto il nuovo art. 2135 stabilisce che è imprenditore agricolo chi esercita una delle cosiddette attività principali, ossia la coltivazione del fondo, la selvicoltura, o l’allevamento di animali ma precisa che tali attività devono essere dirette alla cura o sviluppo di un ciclo biologico di carattere vegetale o animale che utilizza o può utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. L’art. 2135 precisa che devono essere considerate come attività connesse le attività esercitate dallo stesso imprenditore agricolo dirette alla manipolazione, trasformazione e commercializzazione che abbiano per oggetto i prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o dall’allevamento di animali o le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata. In tal modo la figura dell’imprenditore agricolo risulta ampliata rispetto a quella originaria.. All’imprenditore agricolo è quindi ora equiparato l’imprenditore ittico e viene considerata agricola l’attività di agriturismo e l’apicoltura. Occorre sottolineare che la legge definisce come attività agricole principali non tutte le forme di coltivazione del fondo o di allevamento di animali ma solo quelle dirette alla cura o sviluppo di un ciclo biologico che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque. La necessità di un collegamento ad un ciclo biologico e il fatto che l’attività può prescindere dall’utilizzo del fondo dimostrano la necessità di distinguere l’imprenditore agricolo dal proprietario che si limita a compiere atti di godimento o di disposizione sul fondo di cui è proprietario, soggetto quest’ultimo che rappresentava invece il prototipo dell’imprenditore agricolo secondo il testo precedente dell’art. 2135. Si deve inoltre sottolineare come il criterio per individuare le attività connesse (che vengono ad essere sottratte alla sfera di applicazione della disciplina dell’impresa commerciale) non è più quello di normalità ma quello della prevalenza. Si qualificano infatti come attività agricole connesse le attività che hanno per oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio da parte dello stesso imprenditore agricolo di una delle attività principali. Tale criterio di prevalenza però può condurre a disparità di trattamento giuridico tra situazioni analoghe (es. l’albergatore ha qualifica di imprenditore commerciale mentre il gestore di un agriturismo è considerato come imprenditore agricolo) e pertanto è necessario, al di là della formula unificante adottata dal legislatore, distinguere i diversi fenomeni economici che possono verificarsi in materia agricola. Pertanto qualora la produzione e trasformazione dei beni o la fornitura di servizi assume carattere di attività industriale allora siamo in presenza di vere e proprie imprese commerciali ai sensi dell’art. 2195 cc e come tali soggette allo statuto dell’imprenditore commerciale in quanto in questo caso. la coltivazione del fondo, o l’allevamento di animali non sono che una fase di una attività economica più complessa che culmina in un atto di scambio Al di fuori di questa ipotesi invece vi è attività organizzata ma non impresa mancando lo scopo determinante dell’attività imprenditoriale che consiste nell’attività diretta a soddisfare i bisogni del mercato.. Ragionando in questi termini possiamo quindi comprendere come non esista uno statuto dell’imprenditore agricolo distinto dallo statuto dell’imprenditore commerciale ma solo uno statuto dell’imprenditore valido in tutti i campi, ma anche come non esista un imprenditore agricolo (ai sensi del nuovo art. 2135) che non sia anche imprenditore commerciale. In definitiva mentre nel sistema originario la figura dell’imprenditore agricolo risultava estranea ed alternativa a quella dell’imprenditore commerciale in quanto finiva con il coincidere con quella di proprietario attualmente la situazione si è capovolta nel

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senso che nel vigente sistema per imprenditore agricolo si intende non solo un imprenditore ai sensi dell’art. 2082 cc ma anche un imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2195. Nonostante le profonde modificazioni della disciplina dell’impresa agricola resta quindi fermo che non esistono imprese diverse da quella commerciale. Nel sistema originario si perveniva a questa conclusione negando all’impresa agricola il carattere di impresa mentre nel sistema attuale si perviene alla stessa conclusione prendendo atto del fatto che l’impresa agricola definita dal testo attuale dell’art. 2135 non è altro che una impresa commerciale ed in particolare una impresa industriale operante nel campo dell’agricoltura.

27) La nozione di impresa e la cosiddetta impresa di navigazione - Anche nel codice della navigazione si parla di impresa ma in realtà l’impresa di navigazione è concetto diverso da quello di impresa economica. Infatti anche l’impresa di navigazione si attua attraverso una organizzazione di elementi personali e patrimoniali ma la sua attività consiste nel semplice esercizio di una nave o di una aeromobile prescindendo dal carattere professionale dell’esercizio stesso e dal conseguimento di finalità di tipo economico. Si ha infatti impresa di navigazione anche quando l’esercizio della nave o dell’aeromobile si attua per i bisogni propri dell’armatore o per scopi scientifici e anche quando l’esercizio stesso è soltanto occasionale. Se però l’esercizio della nave o dell’aeromobile viene attuato per il soddisfacimento di bisogni del pubblico e a scopo di lucro essa viene a configurare anche una impresa economica e pertanto ad esse si applicheranno anche i principi dello statuto dell’imprenditore accanto ai principi stabiliti dal codice di navigazione per l’esercizio dell’impresa di navigazione. La stessa persona pertanto può assumere sia la qualifica di armatore/esercente che quella di imprenditore e in tal caso sarà soggetta sia allo statuto dell’imprenditore che a quello dell’armatore/esercente.

28) Le imprese pubbliche – Una attività economica organizzata ai fini della produzione e dello scambio di beni e servizi può essere esercitata anche dallo stato, dagli enti pubblici territoriali o dagli altri enti pubblici. Se è vero che nel momento attuale l’iniziativa dello stato in campo economico avviene seguendo la tendenza alla privatizzazione e quindi della trasformazione di figure originariamente pubblicistiche in società per azioni è anche vero che non mancano imprese che fanno capo allo stato o agli altri enti pubblici alle quali può essere applicato lo statuto dell’imprenditore. Tra le imprese pubbliche possiamo distinguere due categorie di imprese: le cosiddette imprese organo che sono gestite autonomamente da un organo dello stato o di un ente territoriale e le cosiddette imprese-ente pubblico che pur essendo strumentali rispetto allo stato hanno come scopo principale o esclusivo l’esercizio di una impresa. Solo per la seconda categoria di imprese abbiamo l’acquisto della qualifica di imprenditore e quindi l’applicazione di tutte le norme che ne costituiscono lo statuto ad eccezione del fallimento. Per la prima categoria invece pur essendo i singoli atti nei quali l’esercizio dell’impresa si esercita soggetti alle norme di diritto comune, non vi è acquisto da parte dell’ente stesso della qualità di imprenditore. La spiegazione del fatto che le imprese organo siano sottratte alle norme di diritto comune sta nel fatto che esse pur dotate di una autonomia di gestione restano un organo dell’amministrazione dello stato o comunale o provinciale e in quanto totale soggetto alla legislazione amministrativa e quindi ai controlli e alle norme di contabilità pubblica.

CAPITOLO III – LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE

1) Lo statuto generale – 29) Imprese agricole e imprese soggette a registrazione - La legge fissa accanto ad uno statuto generale che riguarda ogni imprenditore anche statuti speciali applicabili a singole categorie di imprenditori in base all’oggetto dell’attività da loro esercitata. E’ comunque centrale la categoria individuata dall’art. 2195 cc delle imprese soggette a registrazione: in questa categoria rientrano imprese che pur essendo economicamente diverse (imprese commerciali, industriali, assicurative, bancarie, di trasporti, ausiliarie) vengono comunque equiparate, in quanto soggette a registrazione, alle imprese commerciali. Nella originaria visione del codice infatti alla impresa commerciale veniva

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contrapposta l’impresa agricola che invece oggi è soggetta a registrazione anche se in una sezione speciale del registro delle imprese con effetto di pubblicità dichiarativa. Del resto abbiamo già sottolineato in precedenza come il nuovo articolo 2135 cc qualifica come impresa agricola una impresa commerciale operante nel ramo dell’agricoltura. Appare quindi oggi superata la tradizionale contrapposizione tra attività agricola e attività commerciale. 30) La capacità all’esercizio dell’impresa – Lo statuto generale dell’imprenditore riguarda soprattutto la capacità del soggetto e l’imposizione allo stesso di determinati obblighi professionali. La capacità all’esercizio dell’impresa spetta a tutti, cittadini o stranieri, che abbiano la capacità di agire che si acquista, secondo il codice civile, a 18 anni. La legge può inoltre subordinare l’esercizio dell’impresa a determinate condizioni legali (autorizzazioni, concessioni, ecc) o può vietarla a coloro che esercitano determinate professioni (incompatibilità) ma la mancanza di tali condizioni o l’inosservanza dei divieti non escludono la validità degli atti posti in essere dall’imprenditore e non impediscono il verificarsi degli effetti che la legge connette all’esercizio dell’impresa ma comportano solo l’applicazione delle sanzioni penali o amministrative previste. Invece l’esercizio dell’impresa da parte di incapaci è ammesso solo se consentito dalla legge e dopo l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni con la conseguenza che in mancanza di ciò l’incapace non assume la qualifica di imprenditore. Per quanto riguarda i minori, gli interdetti e gli inabilitati è ammessa solo la continuazione dell’esercizio di una impresa già esistente e previa autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Il minore emancipato (maggior di sedici anni che ha contratto matrimonio) può essere invece autorizzato dal tribunale (previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore) anche ad iniziare ex novo l’esercizio di una impresa e in questo caso acquista capacità generale anche con riguardo agli atti non inerenti all’esercizio dell’impresa. Per l’inabilitato il rilascio dell’autorizzazione può essere subordinato alla nomina di un institore e può essere revocata qualora il rappresentante dell’incapace non si adegui alle disposizioni del tribunale o quando l’esercizio risulti a danno dell’incapace stesso. Anche per il minore emancipato l’autorizzazione può essere revocata d’ufficio o su richiesta del curatore. L’incapace che ottiene l’autorizzazione assume la qualifica di imprenditore con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano ma i relativi obblighi e le eventuali sanzioni penali ricadono sul rappresentante legale o sull’institore (nel caso di inabilitato). . Le limitazioni di capacità nel sistema originario del codice non riguardavano né l’impresa agricola né la piccola impresa. Per quanto riguarda la prima però sono venute meno le ragioni di tale esclusione che erano giustificate solo con l’identificazione del l’imprenditore agricolo con il proprietario.. Le ragioni dell’esclusione sono invece ancora valide per la piccola impresa. Ci sono inoltre alcune ipotesi in cui l’esercizio dell’impresa è consentito solo a determinati soggetti (es. società per azioni con riferimento all’attività bancaria o assicurativa). In questo caso l’inibizione riguarda il soggetto ma costituisce un limite non alla sua capacità ma alla sua libertà. Ne consegue che l’esercizio dell’impresa da parte del soggetto che non ha i requisiti richiesti dalla legge non determina l’invalidità degli atti posti in essere ma solo l’applicazione delle sanzioni penali o amministrative previste dalla legge (oltre che la possibilità di liquidazione coatta dell’impresa). Pertanto l’esercizio dell’impresa da parte del soggetto che non ha i requisiti previsti è equiparato a quello del soggetto non autorizzato con la sola differenza che in questo secondo caso la violazione del divieto può essere sanata attraverso l’ottenimento della autorizzazione stessa. 31) Obblighi professionali dell’imprenditore e loro caratteri - Obblighi fondamentali dell’imprenditore sono quello dell’iscrizione nel registro delle imprese e quello della tenuta della contabilità e della documentazione delle operazioni dell’impresa. Al disopra di questi obblighi vi è comunque un obbligo che la legge non pone espressamente ma si desume dalle altre disposizioni di legge e precisamente l’obbligo all’osservanza delle regole di correttezza professionale nell’esercizio dell’impresa, obbligo che incide in via di principio su ogni imprenditore. Gli obblighi professionali incidono sull’imprenditore in quanto tale e quindi egli risponde della loro violazione (che comporta anche sanzioni di carattere penale) anche se essa è attribuibile anche per dolo all’attività dei suoi dipendenti. Tuttavia nel caso in cui l’impresa sia esercitata a mezzo di un rappresentante generale la violazione degli obblighi professionali ricade su di esso o anche su di esso. Per le società gli obblighi

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incombono sugli amministratori che rispondono della loro violazione anche se l’esecuzione è stata affidata ad uno solo di essi.

32) Obbligo della iscrizione nel registro delle imprese a) il registro delle imprese . Il registro delle imprese è un registro pubblico, tenuto dall’ufficio del registro delle imprese presso la camera di commercio posto sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia. Tale registro opera sul piano della pubblicità con lo scopo principale di portare a conoscenza dei terzi elementi rilevanti nelle contrattazioni e sul piano della responsabilità.. L’iscrizione viene effettuata su domanda scritta dell’interessato o su iniziativa di ufficio nel caso di mancata richiesta di una iscrizione obbligatoria da parte dell’interessato. L’ufficio prima di procedere alla iscrizione effettua i necessari controlli sia circa il riscontro del fatto dichiarato a quello previsto dalla legge sia circa la stessa esistenza del fatto di cui si richiede l’iscrizione. L’ufficio deve effettuare anche un controllo di regolarità formale e di completezza della documentazione. Contro il rifiuto di iscrizione è ammesso ricorso al giudice del registro che provvede con decreto impugnabile davanti al tribunale,. Sono anche impugnabili i decreti con cui il giudice del registro ordina d’ufficio l’iscrizione di un fatto o la cancellazione di un fatto iscritto. 33) Continua – b) l’efficacia dell’iscrizione - Il sistema del registro delle imprese secondo l’ordinamento vigente prevede tre forme di efficacia della pubblicità: a) pubblicità notizia che si ottiene con l’iscrizione in sezioni speciali dei piccoli imprenditori e delle società semplici ad eccezione di quelle che esercitano attività agricola; b) pubblicità dichiarativa prevista in un primo tempo per i soli imprenditori commerciali (art. 2195 cc) e ora estesa agli imprenditori agricoli (che vengono iscritti in una sezione speciale) c) pubblicità costitutiva. Iniziando dalla pubblicità dichiarativa essa ha lo scopo di fornire all’imprenditore commerciale (e all’imprenditore agricolo) uno strumento utile per agevolare i rapporti con i terzi. Grazie a tale strumento infatti l’imprenditore è in grado di ottenere la opponibilità dei fatti rilevanti nei rapporti con i terzi a prescindere dall’effettiva conoscenza dei fatti stessi da parte dei terzi. Ne risulta un sistema per cui una volta avvenuta l’iscrizione è possibile opporla ai terzi anche se essi non hanno avuto la materiale possibilità di conoscere l’iscrizione stessa mentre per i fatti non iscritti essi possono essere opposti solo se i terzi ne erano effettivamente a conoscenza non essendo sufficiente che potessero conoscerli usando la normale diligenza (art. 2193 cc). La pubblicità notizia risponde invece ad una semplice esigenza di trasparenza delle attività economiche. Essa pertanto non è in grado di produrre l’opponibilità ai terzi. Ne deriva anche l’esigenza di distinguere tra l’iscrizione nella sezione ordinaria e quella nelle sezioni speciali del registro delle imprese. La loro diversa funzione fa sì che l’iscrizione in una sezione speciale non può essere sufficiente ai fini dell’art. 2193 se in realtà l’iscrizione doveva avvenire in una sezione ordinaria e che nello stesso tempo l’iscrizione in una sezione ordinaria non è sufficiente ad ottenere i risultati propri della pubblicità dichiarativa se invece l’iscrizione doveva essere effettuata in una sezione speciale. Tutto ciò vale ovviamente solo per la iscrizione nella sezione speciale dei piccoli imprenditori e non per l’iscrizione nella sezione speciale degli imprenditori agricoli in quanto a quest’ultima come si è detto è oggi riconosciuta efficacia dichiarativa. La pubblicità costitutiva infine non riguarda un problema di opponibilità di fatti a terzi ma rappresenta il mezzo necessario per la produzione di determinati effetti ( Ad esempio se manca l’iscrizione dell’atto costitutivo una società per azioni o una società a responsabilità limitata non sorge nemmeno). Possiamo avere una efficacia totalmente costitutiva e una efficacia parzialmente costitutiva. Nel primo caso in mancanza della pubblicità il negozio giuridico non è in grado di produrre effetti nemmeno tra le parti mentre nel secondo caso il negozio giuridico non produce effetti solo nei confronti dei terzi. Esempi del primo tipo li abbiamo per la pubblicità prescritta per l’atto costitutivo delle società per azioni, delle società a responsabilità limitata o delle società operative in quanto finchè non avviene l’iscrizione non si acquista personalità giuridica e neanche sussiste il rapporto di società. Esempio del secondo tipo si hanno per la riduzione di capitale e per la proroga di società di persone commerciali.

34)Obbligo della tenuta della contabilità : a) funzioni e contenuto - La funzione della contabilità è duplice: fornire all’imprenditore uno strumento di controllo sull’andamento dell’impresa e

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sull’operato dei dipendenti e permettere la ricostruzione dei rapporti tra l’imprenditore e i terzi.. Secondo il cc l’imprenditore deve tenere (anche tramite strumenti informatici) una contabilità adeguata alle dimensioni dell’impresa e in ogni caso deve tenere il libro giornale, il libro degli inventari e deve conservare gli originali delle lettere, telegrammi e fatture ricevute nonché le copie delle lettere, telegrammi e fatture spedite. Per alcune categorie di imprese (es. assicurazioni e banche) le leggi speciali prevedono la tenuta di altri libri oltre a quelli sopra indicati. I documenti devono essere conservati dall’impresa per dieci anni dall’ultima scritturazione e tale obbligo incombe sull’imprenditore anche in caso di cessazione dell’attività e si trasmette ai suoi eredi in caso di morte. I libri contabili devono essere tenuti osservando alcune formalità, sia estrinseche e cioè relative alla esteriorità dei registri e formalità intrinseche ossia relative al modo in cui le scritture devono essere effettuate nei libri stessi. Per quanto riguarda le prime è prescritto che i registri devono essere numerati progressivamente in ogni pagina ed avere nell’ultima pagina la dichiarazione del numero di fogli di cui il registro si compone. Per quanto riguarda le seconde le scritture contabili devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità (assenza di abrasioni, spazi in bianco e deve essere realizzata una concordanza delle risultanze delle varie scritturazioni). Per quanto riguarda il libro giornale la legge dispone che le operazioni devono essere annotate giorno per giorno mentre direttive speciali sono fissate per i libro degli inventari. L’inventario è comprensivo del bilancio in quanto si compone del conto patrimoniale (o inventario propriamente detto) che permette una visione statica del patrimonio dell’imprenditore e del conto economico che permette di mettere in luce il risultato della impresa. L’inventario deve essere redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno. Funzione del bilancio è quella di dimostrare con evidenza gli utili conseguiti o le perdite subite.

35) continua b) efficacia delle annotazioni contabili - Le scritture contabili hanno efficacia probatoria non soltanto contro l’imprenditore ma in alcune ipotesi anche a suo favore Contro l’imprenditore le scritture contabili possono fare prova anche se la contabilità non è stata tenuta secondo le prescrizioni di legge mentre a favore dell’imprenditore possono fare prova solo se contenute in documenti informatici osservando le formalità richieste dalla legge e solo in caso di controversie tra imprenditori tenuti all’obbligo della contabilità, per cause inerenti all’esercizio dell’impresa. Tale deroga al principio generale è ammessa quindi solo tra imprenditori in quanto entrambi hanno la possibilità di utilizzare le scritture contabili a proprio favore e alle scritture di uno fanno riscontro le scritture dell’altro e pertanto tra di essi esiste una parità di posizione il che consente l’eccezione ai principi normali in tema di prova. Dobbiamo precisare però che le scritture contabili non fanno prova ma possono fare prova il che significa che la loro efficacia probatoria è rimessa alla discrezionalità del giudice.

36) Responsabilità dell’imprenditore - Nel sistema originario del codice l’art. 2088 cc poneva l’obbligo per l’imprenditore di uniformarsi ai principi dell’ordinamento corporativo.. Attualmente l’art. 2088 è abrogato implicitamente e quindi un esempio di responsabilità dell’imprenditore può trovarsi nell’art. 28 dello statuto dei lavoratori che sanziona i comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della attività sindacale o del diritto di sciopero. In tal caso il giudice può ordinare all’imprenditore la cessazione del comportamento e la rimozione dei suoi effetti e sono previste sanzioni penali nel caso di inottemperanza all’ordine del giudice stesso.

37) La responsabilità dell’imprenditore-produttore - Una forma di responsabilità civile dell’imprenditore è prevista dalla direttiva Cee del 1985 (in tema di danno da prodotti difettosi) che afferma il principio per cui l’imprenditore è responsabile dei danni cagionati da difetti del suo prodotto in adattamento al principio costituzionale per cui l’iniziativa economica non può svolgersi in modo da determinare danno alla sicurezza (art. 41 cost). In tal caso il produttore (o l’importatore nel caso di prodotti esterni alla Ue) risponde dei danni personali e materiali derivanti dal difetto purchè superiori alla somma di 387 euro. La responsabilità è esclusa se il produttore non ha fabbricato il prodotto per la vendita o non lo ha fabbricato o distribuito nell’ambito della sua attività professionale. Il criterio della responsabilità è quello della responsabilità oggettiva in quanto il danneggiato deve

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provare il difetto, il danno e la connessione causale tra difetto e danno. La responsabilità dell’imprenditore è esclusa se lo stato delle conoscenze scientifiche o tecniche al momento in cui il prodotto è stato posto in circolazione non permettevano di considerare il prodotto stesso come difettoso. Se l’individuazione del produttore non è possibile la responsabilità cade sul fornitore salva la sua possibilità di regresso nei confronti del produttore o del precedente fornitore. Per l’esercizio dell’azione di responsabilità si prevede un termine di prescrizione triennale e una decadenza decennale dalla messa in circolazione del prodotto. Quando il difetto è comune ad una serie di prodotti è ammessa l’azione risarcitoria in forma collettiva (class action).

2) Categorie di imprenditori e statuti speciali

38) Le singole categorie di imprenditori - Accanto allo statuto generale che si applica all’imprenditore in quanto tale vi sono statuti speciali applicabili a singole categorie di imprenditori in base all’oggetto dell’attività esercitata. L’art. 2195 del cc distingue sei categorie di imprese: a) imprese industriali – Sono le imprese che attraverso la trasformazione delle materie prime creano nuovi prodotti o attraverso la organizzazione di capitale e lavoro predispongono servizi. Sono le imprese manifatturiere, minerarie ma anche quelle cinematografiche o alberghiere oltre alle imprese agricole o di allevamento. B) imprese commerciali - Sono le imprese che attuano una intermediazione nello scambio dei beni c) imprese di trasporto – Si propongono lo spostamento di persone e beni per terra, acqua o mare. In questi due ultimi casi l’impresa è soggetta anche alle norme del codice della navigazione d) imprese bancarie – La definizione di impresa bancaria non è presente nel codice ma si ricava da una legge speciale, il testo Unico in materia bancaria e creditizia per la quale l’attività bancaria è costituita dalla raccolta del risparmio tra il pubblico e dall’esercizio del credito. Perché ci sia impresa bancaria è quindi necessario che l’attività di raccolta del risparmio sia collegata a quella di esercizio del credito (infatti il legislatore afferma che l’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico non collegata con l’esercizio del credito sia effettuata anche da soggetti diversi dalle banche). Poiché tali operazioni assumono grande rilievo per gli interessi generali per le imprese bancarie è dettata dal legislatore una disciplina pubblicistica. E) imprese di assicurazione – Sono poste dalla legge sullo stesso piano di quelle bancarie e sono quelle imprese che raccolgono, attraverso i premi pagati dai clienti, i capitali necessaria per soddisfare quei clienti per i quali si verifica l’evento per il quale si è stipulata l’assicurazione stessa. La legge speciale (codice delle assicurazioni private) fissa anche per le imprese di assicurazione lo statuto di diritto pubblico f) imprese ausiliarie - In questa categoria rientrano tutte quelle imprese che direttamente o indirettamente agevolano l’attività di altre imprese e hanno rispetto a queste una funzione complementare (es. agenzie di mediazione, di affari, di rappresentanza commerciale).

39) Categorie corrispondenti nei piccoli imprenditori e nelle imprese cooperative - Alle categorie di imprese su descritte corrispondono categorie nell’ambito della piccola impresa (ad eccezione delle imprese bancarie ed assicurative per le quali la legge prevede un limite minimo di dimensioni) (es-. i in corrispondenza dell’impresa industriale l’impresa artigiana, dell’impresa agricola il coltivatore diretto del fondo),. La stessa cosa avviene per l’impresa mutualistica che assume la forma della cooperativa (che non è organizzata su base speculativa mancando il profitto). Anche alle imprese cooperative si applica lo statuto generale dell’imprenditore.

40) Funzione dell’art. 2195 cc - La funzione dell’art. 2195 non è quella di stabilire a quali categorie si applichi lo statuto generale dell’imprenditore (dato che esso si applica all’intero campo delle imprese economiche) ma quella di individuare singole categorie di imprese alle quali si applica anche uno statuto particolare che integra o modifica lo statuto generale dell’imprenditore. Particolare rilievo assume lo statuto del banchiere e dell’assicuratore del quale parleremo subito mentre per quanto riguarda le altre categorie se ne parlerà in occasione dell’esame delle relative operazioni.

41) Lo statuto particolare dell’impresa bancaria a) l’attività bancaria come attività di impresa – Lo statuto dell’impresa bancaria è oggi fissato, al termine di una lunga evoluzione influenzata anche dalla normativa europea, dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D. Lgs 385 del

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1993 e successive modificazioni, La principale novità portata dalla normativa suddetta rispetto alla precedente è la considerazione del carattere di impresa dell’attività bancaria Nella normativa precedente infatti la banca era considerata come svolgente pubblico servizio e quindi come strumento dell’azione della pubblica amministrazione. Ne derivava che la nozione di impresa bancaria non nasceva dalla funzione che essa realizzava ma da un rapporto tra stato e impresa che si realizzava con un atto formale, quello dell’iscrizione della banca nell’apposito albo previsto dalla legge che era il presupposto fondamentale perché l’impresa bancaria divenisse strumento dell’azione pubblica dello stato. Tale posizione è da considerarsi superata con la esplicita formulazione dell’art. 10 del Testo Unico per cui l’attività bancaria ha carattere di impresa.

42) continua – requisiti dell’impresa bancaria - I requisiti richiesti dal Testo Unico perché la banca ottenga la autorizzazione della Banca d’Italia riguardano in primo luogo la struttura organizzativa dell’impresa e in secondo luogo l’aspetto soggettivo dei titolari delle partecipazioni qualificate e dei componenti degli organi della banca stessa. Sotto il secondo aspetto a queste persone devono riconoscersi i requisiti di onorabilità e la verifica di tali requisiti deve essere tale da far considerare garantita la sana e prudente gestione dell’impresa. Sotto il primo aspetto l’attività bancaria è riservata alle società per azioni e alle società cooperative per azioni. Altro carattere della nuova normativa è quello di porre una autorizzzazione unica all’esercizio dell’attività bancaria permettendo alla banca di raccogliere il risparmio senza limiti di importo e di durata e di svolgere le operazioni di credito un tempo consentite solo agli istituti di credito speciale. Quanto sopra allo scopo di uniformare la banca italiana a l modello di banca universale presente negli altri paesi europei al fine di consentire una armonizzazione delle normative nazionali idoneo a permettere il riconoscimento reciproco tra le varie banche europee. Pertanto, sulla base delle normative comunitarie, si è affermato il principio per cui la banca è sottoposta alla vigilanza dello stato membro di origine che è sufficiente per permetterle di operare in tutta la comunità.

43) continua – controlli e vigilanza.- Secondo il testo unico le autorità creditizie preposte al controllo sul sistema bancario sono il CICR (comitato interministeriale per il credito e il risparmio presieduto dal Ministro delle finanze), il Ministro delle finanze e la Banca d’Italia. Il loro compito principale è quello di vigilare sulle banche e sugli intermediari finanziari con riguardo alla sana e prudente gestione, alla competitività del sistema finanziario e alla osservanza delle norme stabilite in materia creditizia. L’attività di vigilanza può essere informativa, regolamentare e ispettiva. La vigilanza informativa consiste nel potere della Banca d’Italia di ricevere notizie e segnalazioni dalle banche e da altre organizzazioni come la centrale dei rischi. La vigilanza regolamentare consiste nel potere della banca d’Italia di dettare disposizioni generali riguardanti l’organizzazione delle banche e di emanare provvedimenti specifici nei confronti di singole banche. La vigilanza ispettiva consiste nel potere della Banca d’Italia di effettuare ispezioni e di richiedere l’esibizione di documenti ritenuti necessari. La Banca d’Italia può esercitare tali poteri di controllo sia circa l’organizzazione delle banche che con riferimento ai soggettivi che vi partecipano. Sotto il primo aspetto la Banca d’Italia deve verificare che gli statuti delle banche non contrastino con una sana e prudente gestione e tale accertamento condiziona l’iscrizione della banca nel registro delle imprese, deve autorizzare le fusioni e scissioni delle banche, le cessioni di rami di azienda e le operazioni di maggiore rilevanza. Sotto il secondo aspetto la banca di Italia deve autorizzare l’acquisto di partecipazioni che comportano il controllo della banca o una influenza notevole sotto l’aspetto del diritto di voto sulla base dell’accertamento delle qualità del potenziale acquirente onde garantire una sana e prudente gestione della banca stessa. Il sistema della vigilanza bancaria inoltre prevede una serie di interventi in ipotesi di crisi.

44) Lo statuto particolare dell’impresa assicurativa - Anche l’esercizio dell’attività assicurativa ha subito una lunga evoluzione, influenzata dalle normative europee, per cui gran parte delle leggi speciali emanate in materia sono confluite nel codice delle assicurazioni private di cui al D. Lgs n. 209 del 2005. L’esercizio di questa attività è riservato alle società per azioni, alle società cooperative, alle società di mutua assicurazione per azioni ed alle società europee ed è subordinato al fatto che il loro oggetto sia esclusivamente l’attività assicurativa. L’esercizio della attività assicurativa de ve essere

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autorizzato dall’ISVAP (istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo) e tale autorizzazione è richiesta per l’iscrizione nel registro delle imprese. Per quanto riguarda le imprese europee la normativa è analoga a quella del controllo da parte dello stato di origine che abbiamo visto operante per le banche. L’attività di assicurazione è vincolata a precise regole. A) l’impresa deve svolgere una attività corrispondente a quella per la quale è stata richiesta l’autorizzazione b) è vietato l’esercizio congiunto delle assicurazioni sulla vita e delle assicurazioni contro i danni c) l’impresa deve disporre di un margine di solvibilità per l’intera attività esercitata sia in Italia che all’estero. Particolari norme sono dettate anche per la tenuta della contabilità e per la formazione del bilancio. La vigilanza sulle imprese di assicurazioni è svolta dall’Isvap. Anche per le imprese assicurative è prevista una serie di interventi in caso di irregolarità o crisi.

4) Acquisto della qualità di imprenditore e cessazione della impresa

46) Presupposti della qualità di imprenditore: potere di gestione e responsabilità – La qualità di imprenditore si acquista attraverso l’esercizio della impresa e cioè attraverso l’esercizio professionale di una attività economica organizzata. Nel nostro ordinamento però vige il principio secondo il quale il centro di imputazione degli effetti dei singoli atti giuridici posti in essere è il soggetto il cui nome è stato validamente speso nei singoli atti stessi. Pertanto diventa imprenditore colui che esercita personalmente l’attività di impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi e quindi colui che ha l’iniziativa e il rischio dell’impresa.. Se l’esercizio dell’impresa avviene attraverso un rappresentante legale l’acquisto della qualità di imprenditore avviene da parte del rappresentato anche se materialmente l’esercizio dell’impresa è opera del rappresentante . Se vi può essere nel caso di esercizio di impresa attraverso un rappresentante legale o volontario una dissociazione tra chi esercita il potere di gestione e l’imprenditore occorre dire che il rappresentante non ha un potere di gestione autonomo ma esercita un potere che spetta al rappresentato sul quale solo ricade la responsabilità.

47).- L’imprenditore occulto - L’esattezza dei principi su esposti è stata contestata nel caso del cosiddetto imprenditore occulto, ossia del fenomeno per cui l’impresa viene esercitata tramite interposta persona. In questo caso vi è un soggetto, il prestanome, che compie gli atti dell’impresa ed un altro soggetto, detto imprenditore occulto, che mette a disposizione i fondi e dà l’indirizzo all’impresa. Fermo restando che imprenditore rimane il prestanome occorre stabilire se alcune conseguenze derivanti dall’esercizio dell’impresa (in particolare la responsabilità di impresa e la soggezione al fallimento) si producano anche a carico di colui che l’impresa effettivamente esercita sotto nome altrui (l’imprenditore occulto). Un tentativo per affermare la responsabilità (e quindi anche la soggezione al fallimento) dell’imprenditore occulto può essere fatto distinguendo l’agire per mezzo di altri e quindi di un gestore, dall’agire sotto nome altrui e dunque attraverso un prestanome. Le due situazioni infatti non si identificano in quanto anche se in entrambe la titolarità dell’interesse spetta ad una persona diversa da quella che appare esternamente è anche vero che quando si agisce per mezzo di un gestore l’attività volitiva è del gestore che agisce spendendo il proprio nome mentre quando si agisce sotto nome altrui l’attività volitiva è dell’imprenditore occulto e non del prestanome L’agire per conto altrui presuppone che l’atto è il risultato della volontà dell’agente e quindi del gestore mentre il prestanome anche se spende il proprio nome è solo un tramite materiale della volontà di chi lo utilizza. Il problema dell’imprenditore occulto è quello di stabilire se a fronte dello sdoppiamento dell’attività volitiva e della attività esterna (spendita del nome) si debba dare prevalenza alla prima o alla seconda per quanto riguarda la produzione dell’effetto giuridico. Ora se è vero che la spendita del nome comporta che il prestanome (imprenditore palese) sia obbligato ciò non esclude che qualora si accerti che il prestanome è stato solo un tramite materiale, le conseguenze dell’atto compiuto e la relativa responsabilità ricadano anche su colui che è titolare dell’interesse e ha voluto l’atto e quindi sull’imprenditore occulto. Deriva da quanto detto che nel caso dell’imprenditore occulto imprenditore rimane chi ha speso il nome (e quindi il prestanome) ma la responsabilità di impresa si estende anche all’imprenditore occulto che risulta quindi, in caso di dissesto, soggetto al fallimento. Si deve però chiarire che si tratta di estensione ad altro soggetto della responsabilità di

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impresa e non della sostituzione di un soggetto ad un altro nella qualità di imprenditore. La responsabilità dell’imprenditore occulto si aggiunge a quella del prestanome- imprenditore ma non la sostituisce e quindi l’estensione riguarda la sola responsabilità e non gli obblighi che all’imprenditore fanno carico (iscrizione nel registro delle imprese, tenuta della contabilità) che gravano invece esclusivamente sull’imprenditore.

48) Condizioni per l’acquisto della qualità di imprenditore per le persone fisiche, per le società e per le persone giuridiche private - La qualità di imprenditore può essere assunta sia da una persona fisica che da una persona giuridica o da una organizzazione sociale non riconosciuta come persona giuridica. Nelle diverse ipotesi sono diversi i presupposti per l’acquisto della qualità di imprenditore. Per le persone fisiche l’acquisto della qualità di imprenditore si ha con l’inizio dell’attività imprenditrice. Poiché però nel caso di persona fisica vi è una pluralità di atti che possono essere posti in essere e una pluralità di scopi da perseguire è necessario comprendere quali atti debbano essere compiuti perché l’impresa possa considerarsi iniziata. e quindi quando si determinano in concreto quelle conseguenze che la legge ricollega all’inizio dell’impresa (obbligo di iscrizione nel registro dell’impresa, obbligo della tenuta della contabilità, assoggettamento alle procedure concorsuali). Alcuni autori hanno distinto tra atti di organizzazione, tesi attraverso l’organizzazione di beni e capitale alla creazione dell’impresa e atti dell’organizzazione che sono quelli in cui si concreta l’attività economica dell’imprenditore e che presuppongono già creata l’organizzazione imprenditoriale, ricollegando solo a questi ultimi l’acquisto della qualità di imprenditore, mentre gli atti di organizzazione sarebbero insufficienti a tale fine costituendo solo atti preparatori. Tale tesi non è però convincente in quanto nel fenomeno imprenditoriale non sono individuabili come fasi distinte quella della creazione dell’organizzazione e quella della sua utilizzazione essendo l’attività stessa composta da una serie di atti unificati in vista di un fine economico. Pertanto non vi è dubbio che l’impresa debba considerarsi iniziata quando si compiono atti diretti a creare l’organizzazione stessa (es. se si costruiscono gli impianti necessari per una attività, si chiedono le licenze e si acquistano macchinari non vi è dubbio che l’attività imprenditrice è iniziata anche se non si sono ancora realizzati e venduti prodotti). L’esercizio effettivo della attività economica è necessario per le persone fisiche ma non per le persone giuridiche e le organizzazioni sociali non riconosciute. Queste infatti si costituiscono fin dall’origine per uno scopo ben preciso e quindi se si costituiscono per l’esercizio di una attività economica è evidente la presenza dell’elemento della professionalità che non deve quindi essere dimostrato in altro modo. La società costituita per l’esercizio di una attività economica è quindi imprenditore per il fatto stesso della sua costituzione, e costituendo l’esercizio dell’impresa lo scopo della loro attività non è necessario ricercare nell’attività concreta i presupposti della nozione di imprenditore. La qualità di imprenditore può essere assunta anche da altre persone giuridiche private ma per esse, al pari delle persone fisiche, è necessario l’esercizio dell’attività economica in forma di impresa.

49) Cessazione dell’impresa – Fissare il termine di cessazione dell’impresa è importante non solo per quanto riguarda l’obbligo della iscrizione di tale fatto per l’attuazione della relativa pubblicità ma anche per fissare il termine di decorrenza dell’anno entro il quale può essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa. La cessazione dell’impresa coincide per le società o enti pubblici che hanno per oggetto principale o esclusivo l’esercizio di una attività economica con la loro estinzione. Per gli imprenditori individuali la cessazione dell’impresa può dipendere da cause indipendenti dalla loro volontà (revoca dell’autorizzazione concessa al soggetto limitatamente capace o al rappresentante dell’incapace, revoca dell’emancipazione o della autorizzazione concessa alla incapace, morte dell’imprenditore) ma può realizzarsi anche per la volontà dell’imprenditore stesso. In questo ultimo caso possiamo distinguere due ipotesi : a) la cessazione dipende da un mutamento della titolarità dell’azienda per effetto di un contratto (vendita della azienda o concessione dell’azienda in usufrutto o affitto). In questo caso la cessazione dell’impresa da parte di un soggetto e l’inizio dell’impresa da parte dell’altro soggetto si verificano nel momento in cui il contratto produce i suoi effetti. B) la cessazione dell’impresa si attua con la liquidazione dell’azienda. In questo caso si pone il dubbio se la cessazione dell’impresa coincida con la cessazione della normale attività e l’inizio della liquidazione o invece coincida con la chiusura della

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liquidazione , Sembra preferibile quest’ultima ipotesi in quanto se è vero che l’organizzazione è elemento caratteristico della impresa allora l’attività di disgregazione dell’azienda è anch’essa attività di impresa non meno che l’attività dell’organizzazione dell’azienda. Queste considerazioni spiegano perché con riferimento alla materia fallimentare si abbia la necessità di accertare la cessazione dell’impresa in base a criteri formali e anche perché è articolato il ruolo che si può riconoscere nelle varie ipotesi al dato formale della cancellazione dal registro delle imprese. Per quanto riguarda l’imprenditore individuale la cancellazione avviene in base ad una dichiarazione della cessazione dell’attività imprenditoriale da parte dell’imprenditore stesso o d’ufficio. Nel primo caso a tale dichiarazione può riconoscersi un valore presuntivo salva la possibilità di una prova contraria e cioè della prova del fatto che invece l’attività è di fatto proseguita. Questa soluzione non è invece pienamente attuabile nel caso delle società dove esistenza dell’impresa ed esistenza della società stessa vengono a coincidere. Pertanto il problema non si può risolvere nella distinzione posta dalla legge fallimentare tra i casi in cui opera o non opera la presunzione basata sulla cancellazione dal registro delle imprese. Si deve ritenere cioè che anche se la legge ammette una prova contraria nel caso della cancellazione d’ufficio ciò non sia possibile nel caso delle società di capitali. Infatti la legge stessa dispone in tal caso che dalla cancellazione derivi la estinzione della società per cui non ha senso l’eventualità di una prova contraria.

Capitolo IV

Gli ausiliari dell’imprenditore - All’attività imprenditoriale partecipano diversi soggetti. Questa collaborazione si attua mediante la prestazione d’opera sia da parte di persone estranee all’organizzazione (ausiliari autonomi) sia da parte di persone che agiscono nell’ambito dell’impresa e si pongono rispetto all’imprenditore in una posizione di subordinazione (ausiliari subordinati).

55) Institori – Tra gli ausiliari dell’imprenditore muniti di rappresentanza assume una posizione di rilievo l’institore il quale è colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa commerciale o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa. Nel linguaggio comune l’institore è il direttore generale dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo e quindi praticamente un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente al vertice della gerarchia del personale in virtù di un atto di preposizione dell’imprenditore. La posizione di preposizione comporta che l’institore è tenuto, congiuntamente con l’imprenditore all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede o del ramo cui è preposto. Questi obblighi sussistono nei confronti dell’imprenditore e dei terzi ma tuttavia l’inosservanza di essi da parte dell’institore non esonera l’imprenditore da responsabilità in quanto la legge parla di un obbligo dell’institore analogo a quello che incombe sull’imprenditore e che non viene meno per effetto della preposizione institoria. Nel caso di fallimento invece fermo restando che solo l’imprenditore può essere dichiarato fallito e solo lui sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento trovano applicazione anche nei confronti dell’institore le sanzioni penali disposte a carico del fallito. Essendo l’institore preposto all’esercizio dell’impresa dal fatto stesso della preposizione deriva il potere di compiere tutti gli atti che si riferiscono all’impresa, alla filiale o al ramo particolare senza che vi sia bisogno di un particolare conferimento di poteri. La legge quindi riconosce all’institore indipendentemente da una espressa dichiarazione di volontà (procura) ampi poteri rappresentativi. I poteri dell’institore tuttavia per quanto ampi riguardano l’esercizio dell’impresa e non la trasformazione o la vendita di essa o dei suoi elementi costitutivi o l’impiego di capitali in altre imprese. Ne deriva che tali atti esulano dai poteri dell’institore e quindi il potere di vendere gli immobili o concedere le ipoteche è subordinato alla espressa autorizzazione da parte dell’imprenditore stesso. E’ necessaria quindi una procura se l’imprenditore vuole ampliare o limitare i poteri rappresentativi dell’institore. Per quanto riguarda le limitazioni però esse saranno opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese in quanto se manca tale pubblicità la rappresentanza si considera generale salvo la prova da parte dell’imprenditore che i terzi effettivamente conoscevano l’esistenza di limitazioni al momento della conclusione dell’affare. Così come deve essere pubblicata la procura institoria così

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devono essere pubblicate le modificazioni o la revoca della stessa in quanto in mancanza le modificazioni e la revoca sono opponibili ai terzi solo se questi le conoscevano. L’institore, a prescindere da un espresso conferimento di procura, può stare in giudizio a nome dell’imprenditore per le obbligazioni dipendenti dagli atti compiuti nell’esercizio dell’impresa cui è preposto (rappresentanza processuale). L’institore, come rappresentante, deve agire nel nome dell’imprenditore e quindi se omette di far conoscere al terzo la sua qualità di institore assume obbligazione personale, assumendosi diritti e obblighi derivanti dall’atto. Tuttavia la legge prevede una responsabilità dell’imprenditore per gli atti compiuti dall’institore che siano pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto (art. 2208 cc). Per l’applicazione di tale articolo però l’atto deve essere compiuto in nome proprio dall’’institore ma nell’interesse dell’imprenditore e quindi occorre che pur non avendo manifestato al terzo la propria qualità di rappresentante l’institore agisca in attuazione dell’incarico affidatogli e che l’atto possa essere concretamente riferito all’impresa. Il fondamento di tale disposizione sta nel fatto che la contemplatio domini (ossia l’agire come rappresentante dell’imprenditore) è presunta negli atti compiuti in attuazione della preposizione institoria e quindi l’imprenditore è vincolato. Tale presunzione però può essere solo invocata dal terzo per affermare la responsabilità dell’institore ma non dall’institore stesso al fine di escludere l’obbligazione personale a suo carico derivante dall’aver agito a nome proprio.

56) Procuratori – Figura distinta dall’institore è quella del procuratore (art. 2209 cc). Il procuratore è come l’institore rappresentante dall’imprenditore a cui è legato da un rapporto di lavoro stabile ma la sua rappresentanza non deriva dalle funzioni a lui affidate nell’organizzazione dell’impresa. Il procuratore infatti non ha potere di gestione in quanto non sostituisce l’imprenditore nella gestione dell’impresa ma è rappresentante in virtù di un apposito conferimento di poteri e le sue funzioni si esplicano solo nel campo esecutivo. Pertanto saranno applicabili al procuratore le disposizioni che hanno il loro fondamento nella generalità della rappresentanza e non quelle che trovano la loro giustificazione nel potere di gestione. Anche per il procuratore è prevista la pubblicità della procura o della sua modificazione o revoca analogamente a quanto è previsto per l’institore. Non gravano però sul procuratore gli obblighi inerenti all’esercizio dell’impresa (iscrizione e tenuta delle scritture contabili) in quanto essi hanno il loro fondamento nel potere di gestione e non compete al procuratore la legittimazione processuale attiva e passiva se non in base ad un apposito conferimento di poteri. Non si applica al procuratore nemmeno l’art. 2208 cc in quanto la presunzione della contemplatio domini può essere giustificata per l’institore ma non per il procuratore al quale è concesso il solo potere di rappresentanza e per il quale quindi il riferimento dell’atto all’impresa può risultare solo dal fatto che l’atto è compiuto in nome dell’imprenditore.

57) Commessi - Alle figure dell’institore e del procuratore cui spetta un potere generale di rappresentanza si contrappone quella dei commessi, che sono gli ausiliari dell’imprenditore cui sono affidate funzioni tecniche limitate da attuarsi sotto la direttiva dell’imprenditore o dell’institore. In questa categoria rientrano quindi tutti gli altri ausiliari dipendenti dall’imprenditore che possono compiere solo gli atti che comportano le mansioni di cui sono incaricati. Anche per quanto riguarda i commessi la rappresentanza è solo una conseguenza dell’attribuzione di funzioni nell’ambito dell’impresa e quindi sussiste solo nei limiti in cui le funzioni le richiedono. Non si verifica quindi neanche per i commessi la disposizione che si attua per l’institore in base all’art. 2008 cc. . La legge detta norme specifiche per i commessi preposti alla vendita e per i commessi preposti alla vendita nei locali dell’impresa inoltre i poteri sussistono solo se gli atti sono conclusi nei locali dell’impresa stessa. Anche per il commesso non è prevista la legittimazione processuale attiva e passiva.

Capitolo V – L’individuazione dell’impresa

58) I mezzi di individuazione dell’impresa - L’impresa economica, operando in un regime di concorrenza deve poter essere individuata e localizzata in quanto deve esistere la possibilità di individuare e quindi di distinguere l’impresa e i suoi prodotti. L’individuazione della impresa è resa possibile attraverso tre diversi aspetti: l’individuazione dell’impresa come tale (ditta), l’individuazione

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dei prodotti dell’impresa (marchio), l’individuazione dei locali in cui l’attività imprenditoriale si esplica (insegna). Tali segni distintivi sono tutelati dalla legge che riconosce all’imprenditore l’esclusività dell’uso e impedisce che altri se ne possano avvalere. Tale posizione di esclusività gode in linea di principio di una tutela solo relativa perchè quando non esiste possibilità di confusione è possibile l’uso contemporaneo da parte di più persone dello stesso segno distintivo. I segni distintivi devono avere due requisiti speciali: quello della verità e quello della originalità. Il segno distintivo infatti non può essere scelto in modo da venire meno alla sua funzione e quindi in modo da trarre in inganno il pubblico sulla natura dell’impresa o sull’origine e la provenienza dei suoi prodotti e inoltre deve essere originale e quindi avere capacità distintiva in modo da assolvere alla funzione che gli è propria.

59) La ditta originaria e la ditta derivata – Tra i segni distintiva la ditta (ossia il nome sotto il quale l’imprenditore esercita la sua attività).è il più importante in quanto serve a contraddistinguere tutta l’attività dell’impresa e non singoli elementi di essa e inoltre, a differenza del marchio e dell’insegna che hanno carattere facoltativo, essa è un mezzo di individuazione necessario dell’impresa economica. Come ogni persona ha un nome anche ogni impresa ha una ditta che può corrispondere al nome dell’imprenditore ma soggiace ad un diverso regime giuridico. Infatti se due imprenditori hanno lo stesso nome non vi può essere omonimia tra due ditte in quanto se la ditta è uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e può creare confusione essa deve essere differenziata e l’obbligo di modificarla grava sulla ditta adottata in un periodo cronologicamente successivo o, in caso di imprese soggette all’obbligo di registrazione, sulla ditta registrata successivamente. In secondo luogo il nome di una persona cessa la sua funzione con la morte della persona stessa e non può essere trasferito mentre la ditta, come mezzo di identificazione dell’impresa, mantiene la sua funzione anche in caso di morte dell’imprenditore o cessazione della sua attività purchè l’impresa sussista, Ne deriva la trasmissibilità della ditta in caso di successione mortis causa dell’azienda e di continuazione da parte di altri dell’attività imprenditrice. Nell’ordinamento italiano la ditta è collegata più alla persona dell’imprenditore ( e quindi è mezzo di individuazione dell’imprenditore e non dell’azienda) che all’azienda. Infatti la legge richiede che la ditta contenga almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore e che il trasferimento della ditta non possa attuarsi senza l’esplicito consenso dell’imprenditore. Il fatto che la ditta debba contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore non è però una esigenza inderogabile in quanto per le ditte derivate (che sono trasmesse in occasione di successione o di trasferimento dell’azienda) tale esigenza non sussiste. Non manca però nel codice italiano un riferimento anche all’azienda (e quindi ai beni che costituiscono strumento dell’attività dell’imprenditore) in quanto la legge non ammette un trasferimento della ditta che non sia collegato anche al trasferimento dell’azienda-

60) Tutela della ditta - La tutela della ditta consiste nel riconoscere all’imprenditore la esclusività nell’uso della ditta da lui prescelta il che comporta da un lato la possibilità di respingere la pretesa altrui diretta a contestare l’uso che egli faccia della ditta sia la possibilità di impedire che altri usino la ditta da lui prescelta. La tutela si esplica erga omnes e quindi il diritto alla ditta è un diritto assoluto come il diritto al nome ma occorre ricordare che la tutela è apprestata nei limiti in cui sia necessaria ai fini dell’individuazione e quindi finché l’impresa sussista e nei limiti in cui la ditta serva a differenziarla.

61) L’insegna - L’insegna è il segno distintivo dei locali nei quali si svolge l’attività dell’imprenditore. Essa può corrispondere alla ditta (e in tal caso la tutela dell’insegna è un riflesso della tutela della ditta) o avere contenuto diverso e può consistere in una denominazione o in una figura o un simbolo. La tutela dell’insegna presuppone che essa abbia carattere di originalità e quindi capacità distintiva e che abbia carattere di novità e quindi non sia tale da generare confusione, in relazione al luogo e all’oggetto dell’attività, con l’insegna adottata da altro imprenditore. Il diritto all’uso esclusivo dell’insegna quindi non sussiste nel caso essa sia costituita da una denominazione generica (caffè, ristorante) che può essere utilizzata da tutti gli imprenditori in quanto in questo caso manca il requisito della capacità distintiva. Quando l’insegna adottata è tale da generare confusione con quella

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di altra impresa la legge prescrive l’obbligo della differenziazione a carico dell’imprenditore che ha prescelto l’insegna in un momento successivo. E’ quindi decisivo stabilire il momento dell’adozione dell’insegna ma nel caso in cui essa corrisponda alla ditta si farà riferimento alla priorità di iscrizione della ditta nel registro delle imprese.

62) Sede dell’impresa : sede secondaria e sede principale – La sede dell’impresa ha rilevanza sotto diversi aspetti, in primo luogo ai fini dell’iscrizione nel registro dell’impresa che va compiuta presso l’ufficio del registro situato nella circoscrizione in cui ha sede l’impresa e in secondo luogo ai fini della competenza circa la dichiarazione di fallimento, che è attribuita al tribunale del luogo dove è posta la sede dell’impresa. La legge ammette la possibilità di decentramento dell’amministrazione dell’impresa ammettendo la possibilità di sedi secondarie accanto alla sede principale

63) Il marchio - Il marchio è il segno che si pone sul prodotto e ne costituisce la marca e quindi costituisce il segno distintivo del prodotto o del servizio e precisamente il segno che ne attesta la provenienza da una particolare impresa. Il suo ruolo centrale tra gli elementi distintivi è dimostrato dal fatto che gli viene destinata una disciplina più completa e articolata rispetto a quanto avviene per gli altri elementi distintivi costituita oltre che dalle norme del codice civile anche dalle norme contenute nel codice della proprietà industriale . Ciò permette di ravvisare principi comuni tra il marchio e le invenzioni e gli altri prodotti dell’ingegno. Tali principi comuni non eliminano però il fatto che il marchio è rilevante soprattutto per la sua funzione distintiva e in questa veste assume una configurazione ben diversa rispetto ai diritti sulle opere dell’ingegno. Come segno distintivo il marchio deve consistere in qualcosa di esterno al prodotto e al suo involucro che si aggiunge al prodotto per indicarne la provenienza ma da esso separabile senza snaturarlo. Il prodotto quindi deve essere completo senza il marchio che non può quindi consistere nella forma del prodotto o nell’involucro. Il marchio può essere nominativo e quindi risultare da una denominazione o emblematico e quindi consistere in segni, simboli o figure o misto ossia consistere insieme in figure, simboli e denominazioni. Alla disciplina interna del marchio si aggiunge la disciplina del marchio comunitario, ossia il marchio unitariamente disciplinato per l’intera comunità.

64) Tutela del marchio - La tutela del marchio consiste essenzialmente nell’attribuire all’imprenditore il diritto esclusivo all’uso del marchio, il diritto a che il marchio non venga soppresso da altri (es il rivenditore può aggiungere il suo marchio di commercio ma non può sopprimere il marchio di fabbrica), e il diritto di vietarne l’uso a terzi senza il proprio consenso. La tutela del marchio in sede civile è apprestata per il solo fatto dell’uso del marchio da parte di persona diversa dal titolare senza che sia necessaria una indagine sulla colpevolezza di tale uso o del danno. La tutela del marchio pone anche problemi di estensione in quanto è necessario precisare i parametri sulla cui base l’uso altrui del marchio può comportare lesione del diritto. A questo proposito occorre dire che la tutela del marchio è apprestata nell’ipotesi in cui esso venga utilizzato per prodotti identici o affini determinando in tal modo un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni. Vi è poi la questione del marchio celebre o di altra rinomanza A tale proposito la legge stabilisce che il titolare del diritto di marchio può vietare a terzi di usare un segno identico o simile per prodotti o servizi non simili se il marchio registrato gode di alta rinomanza e quindi l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio o di recare pregiudizio al marchio stesso.

65) Presupposti della tutela del marchio – Il codice di proprietà industriale stabilisce che il titolo di proprietà industriale relativo al marchio con i diritti esclusivi che conferisce si acquista con la registrazione. L’uso con notorietà generale di un marchio non registrato può impedire l’altrui registrazione nell’ambito della disciplina della concorrenza sleale ma non può attribuire un diritto esclusivo impedendo che altri ne facciano uso. D’altra parte poiché la registrazione non pregiudica l’appartenenza dei diritti di proprietà industriale è possibile che il precedente uso del marchio legittimi all’azione di rivendica per ottenere che la domanda di registrazione o la registrazione già avvenuta siano trasferite a chi invoca tale tutela sulla base del proprio uso. La questione si ricollega a

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quello che è il più importante presupposto della tutela del marchio ossia quello della sua novità. Tale requisito è assente quando il marchio è già stato notoriamente usato o registrato da altri con la conseguenza che il proprio uso del marchio se non attribuisce un diritto esclusivo permette però di prevalere rispetto all’altrui registrazione facendola propria o chiedendo che ne sia dichiarata la nullità. Il codice di proprietà industriale esclude la presenza del requisito della novità quando il marchio sia identico o simile ad altro segno registrato da altri o da altri usato come marchio o come altro segno distintivo. Ne deriva che la mancanza di novità del marchio può derivare da una altrui precedente registrazione o dall’altrui uso ma nel primo caso l’impedimento ha carattere assoluto (e quindi può ricostituirsi la novità solo quando la precedente registrazione abbia perso efficacia per scadenza o non uso) mentre nel secondo caso occorre che l’uso altrui del segno deve avere rilevanza non puramente locale ma generale. Se la rilevanza è solo locale il marchio può essere registrato ma il terzo ha diritto a continuare ad usarlo nei limiti in cui lo usava prima della registrazione, Il marchio, oltre al requisito della novità deve avere quello della capacità distintiva e quindi deve essere suscettibile di appropriazione individuale. Il requisito della capacità distintiva determina i due istituti della volgarizzazione (decadenza del marchio quando per attività o inattività del suo titolare sia divenuto denominazione generica del prodotto perdendo la sua capacità distintiva) e della secondary meaning (per cui non può essere dichiarata la nullità del marchio se prima della eccezione di nullità il segno, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva). Terzo requisito è quello della liceità che comporta che il marchio non deve essere contrario alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume, che l’uso del marchio non deve comportare violazione di un diritto esclusivo di terzi (es. uso come marchio del ritratto o nome altrui), che non sia idoneo ad ingannare il pubblico. La legge non individua solo i requisiti che il marchio deve avere al momento della registrazione ma anche di quelli che deve avere nei momenti successivi disciplinando anche l’uso del marchio. Infatti il mancato uso del marchio se protratto oltre cinque anni determina la decadenza del diritto, e ugualmente si ha decadenza del diritto se il marchio, di per sé non ingannevole, viene usato in modo idoneo ad ingannare il pubblico (uso decettivo del marchio) E’ evidente quindi che se la registrazione del marchio è necessaria per determinare una posizione di esclusività e quindi può implicare una presunzione di validità del marchio registrato, tuttavia i requisiti richiesti dalla legge devono sussistere in concreto. La legge infatti regola la disciplina della azioni di nullità e decadenza del diritto affermando l’efficacia erga omnes della sentenza che accerta la nullità o decadenza del marchio. Per quanto riguarda la legittimazione a tali azioni la legge dopo aver stabilito in via generale che essa spetta al p.m, e a chiunque ne abbia interesse , stabilisce che l’azione di nullità nel caso sia motivata dalla sussistenza di diritti anteriori, dalla violazione di altrui diritti esclusivi o per essere stato registrato da persona diversa dall’avente diritto, può essere esercitata solo dal titolare dei diritti anteriori o dall’avente diritto. Ne risulta un sistema in cui alla soluzione di carattere generale della nullità assoluta si affianca quella della nullità relativa nelle ipotesi suddette dove con la nullità in sostanza si tutela i titolari di diritti anteriori.

66) Trasferibilità del marchio – Si ha cessione del marchio quando il titolare si spoglia definitivamente di tale titolarità a favore di un altro soggetto. A proposito del trasferimento del marchio si è avuta una evoluzione profonda nella disciplina adottata dal legislatore a seguito della attuazione della Direttiva Cee del 1989 Infatti la disciplina originaria prevedeva il cosiddetto vincolo aziendale ossia il fatto che il marchio potesse essere trasferito solo insieme all’azienda o ad un ramo di essa prevedendo esplicitamente che il trasferimento del marchio avvenisse per l’uso di esso a titolo esclusivo. La disciplina attuale invece non menziona il vincolo aziendale prevedendo anzi che le licenze di marchio possano essere esclusive e non esclusive stabilendo solo che dal trasferimento o dalla licenza di marchio non debba derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o dei servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico. Il marchio, oltre che ceduto può essere concesso in licenza. Il contratto di licenza è quello mediante il quale il titolare del marchio (licenziante) pur conservandone la titolarità ne attribuisce l’uso e il godimento ad un terzo (licenziatario). Per quanto riguarda la licenza il legislatore stabilisce che essa possa essere anche non esclusiva ma in tal caso è necessario che il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per prodotti o servizi uguali a quelli messi in circolazione nel territorio dello stato dal licenziante e ciò per consentire al licenziante stesso

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una qualche forma di controllo circa le caratteristiche qualitative del prodotto riservar dogli la legittimità ad agire nel caso di violazione di tale clausola non solo con l’azione contrattuale ma anche sulla base del suo diritto all’uso esclusivo del marchio. La legge sottopone le vicende attinenti al marchio registrato ad un regime di trascrizione simile a quello previsto per i beni mobili registrati La trascrizione che si effettua presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi condiziona non la validità dell’atto ma la sua opponibilità a terzi.

67) I contratti di merchandising – Sono denominati contratti di merchandising quei contratti con cui il titolare di un marchio notorio concede a terzi la facoltà di usare il marchio per prodotti notevolmente diversi dai propri (es. un marchio di una nota azienda turistica viene utilizzato da un altro imprenditore per prodotti di abbigliamento). Ciò consente di sfruttare la notorietà che il marchio ha presso i consumatori e pertanto spesso in tali contratti viene previsto un potere di controllo del concedente circa la qualità dei prodotti. Un’altra ipotesi di contratto di merchandising si ha con oggetto segni diversi dal marchio (es, nomi di personaggi famosi dello sport o dello spettacolo). E’ evidente che tale seconda ipotesi non riguarda le vicende del marchio mentre la prima può essere considerata come una specie di licenza di marchio caratterizzata dal fatto che essa viene utilizzata per prodotti diversi da quelli forniti dal licenziante e solo per marchi dotati di rinomanza. L’operazione è ammessa dalla legge in linea di principio ma non deve essere tale, nella circostanza concreta, da svolgere un ruolo decettivo (ossia ingannevole) nei confronti dei consumatori perché in tal caso incorrerebbe nel divieto posto dalla legge e nella conseguente decadenza da essa prevista.

Capitolo VI . La disciplina dell’attività imprenditrice

1) Premesse 68) Libera concorrenza e interessi giuridicamente rilevanti –L’art. 41 cost. garantisce la libertà di iniziativa economica privata ma prevede accanto ad essa un intervento pubblico nell’economia stabilendo che l’iniziativa privata economica deve esplicarsi nell’ambito delle regole dettate dallo stato. Il nostro ordinamento adotta il principio della libera concorrenza in quanto si ritiene che la concorrenza induca gli imprenditori a migliorare la qualità dei propri prodotti e a diminuire i prezzi. Scopo dell’intervento statale è quindi di garantire il libero svolgimento della concorrenza cercando nel contempo di salvaguardare la libertà individuale dei singoli operatori economici. A tale scopo è stata emanata la disciplina, sia generale che speciale, della tutela della concorrenza e del mercato che si propone di raggiungere gli obiettivi suddetti fissando le regole perché possa svolgersi una corretta competizione tra i vari operatori economici allo scopo di reprimere la concorrenza sleale. Inoltre poiché una posizione significativa tra i protagonisti del mercato deve essere riconosciuta anche ai consumatori è stata emanata la disciplina delle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori al fine di garantire in concreto la libertà di scelta dei consumatori. E’ ovvio che le due prospettive che tutelano interessi diversi in concreto possono spesso incrociarsi: ad esempio nell’ipotesi di pubblicità ingannevole è rilevante sia una tutela dei concorrenti e del mercato e quindi l’intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sia la tutela dei consumatori a fronte di una pratica sleale.

2) Mercato e concorrenza 69) La tutela della concorrenza e del mercato. Per quanto riguarda l’esigenza della tutela della concorrenza come situazione di mercato essa è stata riconosciuta nell’ordinamento italiano con la legge 10 ottobre 1990 n. 287 che stabilisce le norme per la tutela della concorrenza e del mercato. Accanto ad essa opera la disciplina adottata dalla comunità europea. La legge 287 dichiara nulle le intese restrittive della concorrenza che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale. Il trattato Ce dal canto suo vieta le intese che possano pregiudicare il commercio tra gli stati membri e che abbiano per oggetto o perfetto di impedire, falsare o restringere il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.

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70) Le fattispecie vietate – Le intese restrittive - Sia il sistema nazionale che quello comunitario si riferiscono a tre fattispecie vietate_ le intese restrittive, l’abuso di posizione dominante e le concentrazioni. Per quanto riguarda le intese restrittive i due sistemi forniscono una definizione generale delle fattispecie vietate e una elencazione delle operazioni che vengono ritenute comprese nel divieto. Entrambi i legislatori non si limitano a vietare i formali accordi contrattuali ma si riferiscono anche a pratiche concordate e quindi a quei comportamenti consapevolmente comuni a più imprese e a decisioni e deliberazioni di associazioni di imprese e simili. Entrambe le discipline prevedono che le intese restrittive della concorrenza siano di per sé vietate ma prevedono la possibilità di deroghe o esenzioni nel caso l’intesa sia giustificata nella prospettiva del progresso economico e vada a favore dei consumatori. L’operatività di tali deroghe è però diversa nei due ordinamenti. Il legislatore italiano le intese restrittive sono considerate di per sé vietate salvo che non siano autorizzate dall’autorità garante per la concorrenza ed il mercato mentre il legislatore europeo prevede il sistema della eccezione legale ossia la regola per la quale le intese restrittive che rispettano i criteri previsti per la deroga sono di per sé lecite indipendentemente da una previa decisione in tal senso (salvo la sussistenza dell’onere della prova a carico dell’impresa per quanto riguarda la sussistenza di tali condizioni).In entrambi gli ordinamenti alla violazione del divieto consegue la nullità delle intese anche se tale tipo di sanzione può risultare non efficace in quanto gli accordi, sia pure invalidi, possono essere volontariamente eseguiti dalle parti o può trattarsi di comportamenti di fatto come le pratiche concordate, per le quali la sanzione della nullità non è significativa.. Pertanto la disciplina europea prevede che la commissione possa infliggere alle imprese ammende o penalità di mora e la disciplina italiana prevede l’applicazione da parte dell’autorità di sanzioni amministrative calcolate sul fatturato delle imprese interessate.

71) continua – l’abuso di posizione dominante - La normativa italiana e quella comunitaria vietano rispettivamente l’abuso e lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante stabilendo una serie di comportamenti che sono ritenuti di per sé ricadenti sotto il divieto. E’ ovvio che tra le intese restrittive e l’abuso di posizione dominante vi è una stretta connessione in quanto le prime possono essere lo strumento per creare quella situazione di dominio che funge da presupposto per il secondo e ciò rende possibile il cumulo delle due discipline. E’ anche ovvio che entrambe le discipline, italiana e comunitaria, non considerano illecita di per sé una posizione dominante ma solo il suo abuso o il modo in cui essa è stata conseguita.

72) continua – le concentrazioni – La disciplina italiana e quella comunitaria vietano le operazioni di concentrazione quando comportano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale la concorrenza e quando ostacolano in modo significativo la concorrenza nel mercato comune o in una parte di esso in particolare grazie alla creazione o al rafforzamento di una posizione dominante. Entrambe le normative pongono dei livelli quantitativi individuati con riferimento al fatturato delle imprese coinvolte stabilendo l’obbligo di comunicare l’operazione di concentrazione alla Autorità nazionale o alla commissione Ce. Nella normativa italiana l’autorità può disporre il divieto di attuare la concentrazione prima degli accertamenti volti a verificarne la compatibilità con il sistema mentre nella normativa comunitaria tale divieto opera automaticamente. Anche per le concentrazioni l’eventuale problema di coordinamento tra la normativa italiana e quella comunitaria opera nel senso della prevalenza della seconda Il criterio regolante è quello della dimensione comunitaria dell’operazione che se è raggiunta fa sì che la disciplina applicabile sia solo quella comunitaria. La nozione di concentrazione in entrambe le disciplina comprende la fusione tra imprese, gli acquisti di imprese o del controllo su di esse. Conseguenza dell’attuazione di concentrazioni ritenute incompatibili con il sistema antitrust è l’applicazione di sanzioni pecuniarie e l’adozione delle misure necessarie per ripristinare nel mercato condizioni di concorrenza effettiva il che può essere raggiunto soprattutto grazie alla dissoluzione della concentrazione mediante separazione tra le imprese. Anche per le concentrazioni al pari di quello che avviene per le intese restrittive (ma non per l’abuso di posizione dominante) sono previste deroghe al divieto generalmente imposto le quali però possono essere

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concesse dall’autorità solo in base a criteri preventivamente determinati dal governo e per rilevanti interessi dell’economia nazionale nell’ambito della integrazione europea.

3) La concorrenza sleale

73) Libera concorrenza e concorrenza sleale - Concorrenza è competizione tra più imprenditori e quindi libera concorrenza è anche libertà di competizione. La legittimità della competizione è espressamente riconosciuta dalla legge e quindi legittimi sono anche i risultati della competizione anche se questi si traducono in un danno per qualcuno di coloro che partecipano alla competizione stessa. La legge richiede però che siano rispettate le regole del gioco e quindi che il comportamento dei singoli competitori sia attuato con il rispetto di quelle norme di costume che si riassumono nella correttezza professionale. Una concorrenza sleale, ossia attuata senza il rispetto di queste norme, è un comportamento antigiuridico in quanto contrasta con le convinzioni e il costume della categorie professionali interessate..

74) Norme interne e norme internazionali in tema di concorrenza sleale . In sede internazionale la repressione della concorrenza sleale è attuata in base all’art. 10 introdotto con una revisione de 1925 alla Convenzione internazionale stipulata a Parigi nel 1883. Nel diritto interno invece le norme riguardanti la concorrenza sleale sono poste agli art. 2598 – 2601 del codice civile.

75) Delimitazione della categoria nei due sistemi di norme . In entrambe le normative, interna ed internazionale, viene delimitata la categoria della concorrenza sleale mediante l’enunciazione esplicita di alcuni atti qualificati come atti di concorrenza sleale e mediante la enunciazione di un criterio generale per valutare gli atti non specificamente qualificati come atti di concorrenza sleale. Occorre subito dire che non vi è una perfetta coincidenza tra le formule usate nelle due normative. Infatti la convenzione considera atto di concorrenza sleale le false affermazioni fatte nell’esercizio del commercio idonee a determinare il discredito dello stabilimento, dei prodotti e dell’attività industriale o commerciale di un concorrente mentre la normativa italiana (art. 2598) considera atto di concorrenza sleale la diffusione di notizie e di apprezzamenti sui prodotti o sull’attività di altri concorrenti in modo da provocarne il discredito, o l’appropriarsi di pregi dei prodotti o dell’attività dei concorrenti. Non vi è quindi nella normativa italiana un riferimento alla falsità delle notizie o degli apprezzamenti e dell’occasione in cui esse vengono fatte e inoltre la normativa italiana considera l’appropriazione di pregi come atto di concorrenza sleale mentre questo non avviene nella convenzione. Il criterio generale posto dalla convenzione per valutare gli atti non espressamente qualificati come atti di concorrenza sleale è quello della contrarietà dell’atto agli usi onesti industriali e commerciali mentre quello posto dalla normativa italiana è la non conformità dell’atto alla correttezza professionale e la sua idoneità a danneggiare gli altri imprenditori. Tuttavia, al di la delle differenze sembra che il criterio posto non sia sostanzialmente differente in quanto non vi è dubbio che i principi di correttezza professionale della normativa italiana corrispondano agli usi onesti industriali e commerciali della convenzione in quanto i principi di correttezza professionale altro non possono essere che le norme di costume elaborate dalla categoria professionale nell’ambito dei rapporti tra i rappresentanti della categoria stessa.

76) Le categorie specifiche di concorrenza sleale – Una prima categoria è rappresentata da quegli atti che sfruttano l’affermazione sul mercato di una ditta concorrente tentando di confondersi con questa o mediante l’uso di segni distintivi da essa legittimamente usati o mediante l’imitazione dei suoi prodotti o mediante il compimento di atti comunque idonei a creare confusione con i prodotti o le attività della ditta concorrente (concorrenza sleale per confusione) . Naturalmente l’art. 2598 precisa che sono fatte salve le disposizioni che riguardano la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto in quanto la disciplina della concorrenza sleale e le discipline dei segni distintivi sono collegate dal punto di vista pratico (es. la violazione di un brevetto rileva sia dal punto di vista della contraffazione del brevetto che da quello della concorrenza sleale). D’altronde la tutela dell’art. 2598 cc è prestata quando i segni distintivi siano legittimamente usati e quindi è esclusa tutela a favore di colui che a sua volta usi i segni distintivi altrui o confondibili con quelli altrui compiendo a sua volta un atto di concorrenza

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sleale. Altra categoria di atti di concorrenza sleale è rappresentata dalla diffusione di notizie o apprezzamenti sull’attività di un concorrente idonei a determinarne il discredito (concorrenza sleale per denigrazione). Nel sistema del codice come abbiamo detto a differenza dalla disciplina internazionale non è richiesto che le notizie o gli apprezzamenti siano falsi e quindi deve ritenersi che la concorrenza sleale per denigrazione si verifichi anche con la diffusione di notizie idonee a danneggiare il concorrente anche se si tratta di notizie vere o sorrette dall’opinione di esperti. Ovviamente la legge richiede la diffusione di notizie e ciò significa che deve trattarsi di notizie o apprezzamenti diretti alla generalità e quindi ad una serie indeterminata di persone e non a singoli soggetti. Naturalmente inoltre la diffusione di notizie ed apprezzamenti deve avvenire ad opera di un concorrente nell’ambito della sua attività imprenditrice e pertanto se la diffusione avviene ad opera di un consumatore o in sede scientifica non siamo in presenza di un atto di concorrenza sleale. Una terza categoria di atti è quella degli imprenditori che si appropriano dei pregi dei prodotti della impresa concorrente (concorrenza sleale per sottrazione). Ovviamente la legge non si riferisce al fatto dell’imprenditore che utilizza i risultati sostanziali dell’esperienza altrui ma al fatto dell’imprenditore che fa apparire nella pubblicità dei prodotti o nella presentazione al pubblico della sua impresa meriti e riconoscimenti che invece sono propri dei prodotti dell’impresa concorrente.

77) continua . La pubblicità ingannevole e la pubblicità comparativa - Due ipotesi particolari sono quelle della pubblicità ingannevole e della pubblicità comparativa introdotte in attuazione a due direttive comunitarie. La pubblicità ingannevole è costituita da qualunque pubblicità che in qualunque modo è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche cui è rivolta e che a causa di tale carattere possa pregiudicare il comportamento economico dei consumatori o possa ledere un concorrente. La pubblicità comparativa invece è quella pubblicità basata sul raffronto tra il prodotto di un soggetto e quello di un suo concorrente. La pubblicità comparativa è oggi, a seguito di attuazione di una direttiva comunitaria, ammessa a patto che non sia ingannevole e si presenti in termini di oggettività non assumendo caratteri confusori o denigratori nei confronti dei concorrenti. E’ evidente che in tali ipotesi non vengano ad essere tutelati solo i concorrenti ma anche i consumatori in quanto l’interesse che potrebbe essere leso è quello generale al corretto svolgersi del meccanismo di mercato. Per tale motivo la legge prevede un duplice sistema di tutela. Infatti dal un lato esiste la disciplina codicistica della concorrenza sleale e la giurisdizione del giudice ordinario e dall’altro un procedimento di tipo amministrativo in grado di tutelare l’interesse generale suddetto in cui è competente l’autorità garante della concorrenza e del mercato. A tale autorità si può rivolgere per chiedere l’inibizione degli atti della pubblicità ingannevole ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse. L’autorità in caso di urgenza può disporre la sospensione della pubblicità comparativa o ingannevole ritenuta illecita e al termine dell’istruttoria, se accoglie il ricorso, inibisce la continuazione della pubblicità applicando una sanzione amministrativa. I ricorsi contro i provvedimenti dell’autorità rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

78) La categoria generale - Al di fuori delle categorie su esposte che sono espressamente qualificate come atti di concorrenza sleale il terzo comma dell’art. 2598 ne pone altre in base al criterio generale per il quale compie atti di concorrenza sleale chiunque si avvale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale idoneo a danneggiare l’altrui azienda. Sono così considerati atti di concorrenza sleale lo storno dei dipendenti,o il boicottaggio del’impresa. Quello che ci preme tuttavia non è scendere nel dettaglio delle singole ipotesi ma piuttosto approfondire il criterio generale . In primo luogo occorre dire che l’atto di concorrenza sleale è un atto di concorrenza e pertanto deve inserirsi nei rapporti di competizione con gli altri imprenditori. Non costituiscono quiindi atti di concorrenza sleale gli atteggiamenti dell’imprenditore che non sono inerenti alla competizione ma all’organizzazione interna della propria impresa anche se in tal modo si violano norme penali o amministrative (es. non pagare i dazi o i tributi non assume rilievo per la concorrenza sleale ma per altri profili, penali, tributari o amministrativi. Ne deriva anche che soggetto attivo dell’atto di concorrenza sleale può essere solo un imprenditore in quanto facendo la legge riferimento alla correttezza professionale non sarebbe configurabile tale ipotesi nei confronti di un non imprenditore. Inoltre occorre il rapporto di concorrenza in quanto se ad. Esempio due

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imprenditori svolgono una attività locale in luoghi lontanissimi tra di loro viene meno la possibilità stessa della concorrenza sleale. Possiamo quindi dire in generale che si considera concorrenza sleale ogni atto del concorrente che tenti di alterare la competizione volgendola a proprio vantaggio non in base alla propria capacità organizzativa ma avvalendosi della capacità organizzativa altrui. Occorre pertanto (come espressamente dice la legge) anche l’idoneità del mezzo a danneggiare l’altrui azienda. Infatti non basta avere l’intenzione di sovvertire il risultato della gara ma occorre anche che il mezzo usato sia idoneo al raggiungimento di tale risultato. 79) La repressione della concorrenza sleale – La repressione della concorrenza sleale si attua principalmente mediante la inibizione degli atti di concorrenza e mediante l’eliminazione dei mezzi che consentono di realizzarli (sequestro, rimozione o distruzione dei mezzi attraverso i quali la concorrenza si realizza). L’azione è consentita per il solo fatto che vi sia stato un atto di concorrenza sleale a prescindere dal verificarsi di un danno attuale e concreto e legittimati all’azione stessa sono gli imprenditori concorrenti per i quali sussiste l’interesse ad agire e le associazioni professionali che siano stati pregiudicati dall’atto di concorrenza sleale. All’inibitoria può aggiungersi anche il risarcimento del danno ma solo quando l’atto di concorrenza sleale sia effetto di dolo o colpa dell’imprenditore., Spetta all’attore di provare l’atto di concorrenza sleale mentre spetta al convenuto dimostrare la non colpevolezza in quanto una volta accertato l’atto di concorrenza sleale la colpa si presume. Il danno risarcibile è rappresentato dal danno emergente e dal lucro cessante e una forma specifica di risarcimento del danno consiste nella pubblicazione della sentenza che accerta la concorrenza sleale. 80) Atto di concorrenza sleale e atto illecito . Prima che intervenisse la disciplina specifica posta dall’art. 2598 cc la concorrenza sleale veniva repressa sulla base dell’art. 2043 cc. Si trattava però di una impostazione completamente diversa in quanto in base all’art. 2043 l’atto di concorrenza sleale era inquadrato nella categoria degli atti illeciti e quindi rilevava non l’antigiuridicità del comportamento ma il fatto che dal comportamento stesso fosse derivato un danno. Ovviamente però era necessario individuare il bene protetto dalla norma la cui lesione avrebbe provocato la responsabilità dell’imprenditore. Tale bene era individuato in un diritto di personalità consistente nel far propri i risultati della propria attività o nel diritto alla individuazione o in un diritto patrimoniale costituito dall’avviamento, dall’azienda o dalla clientela Inoltre era necessaria la presenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) senza il quale non era possibile la responsabilità dell’imprenditore.. Nella impostazione attuale invece l’antigiuridicità del comportamento è valutata a prescindere dal danno e dalle conseguenze patrimoniali e può sussistere a prescindere dal dolo e dalla colpa in quanto una volta accertato l’atto di concorrenza sleale la colpa è presunta e può essere dimostrata inesistente ma in questo caso viene meno il diritto al risarcimento del danno ma non il diritto alla inibizione. Il fondamento della tutela accordata dalla legge nella impostazione attuale (art. 2598) è quindi l’antigiuridicità del comportamento in sé stesso e non la lesione del bene e ne consegue quindi che viene meno la necessità di individuare un bene per la tutela del quale siano poste le norme sulla concorrenza sleale. 4) Pratiche sleali e tutela del consumatore 81) Le pratiche commerciali sleali – E’ evidente che nel gioco della concorrenza svolgono un ruolo di rilievo anche i consumatori. Infatti presupposto di un sistema concorrenziale non è solo la libertà di iniziativa economica degli imprenditori ma anche la libertà di scelta dei consumatori dato che la competizione degli imprenditori si volge al fine di ottenere il consenso dei consumatori stessi. Fanno parte pertanto delle regole della concorrenza anche le norme che tendono a tutelare la libertà di scelta dei consumatori assicurando che la stessa non sia alterata, cosa che provocherebbe l’alterazione dei risultati della competizione stessa. Tale tutela si compone di strumenti che perseguono una tutela individuale dei consumatori (soprattutto al momento della stipulazione e dell’esecuzione del rapporto contrattuale con l’impresa) o che perseguono una tutela generale del consumatore come categoria considerando in generale il rapporto dell’imprenditore con la categoria generale dei consumatori

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(esempio rilevante è la disciplina delle pratiche commerciali scorrente inserita nel codice di consumo e che dà la possibilità di una tutela inibitoria a seguito di procedimento amministrativo davanti all’autorità garante della concorrenza e del mercato) Le pratiche commerciali scorrette sono caratterizzate dalla loro idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento del consumatore medio e sono classificate nel codice di consumo nelle due categorie delle pratiche ingannevoli e delle pratiche aggressive . Le pratiche ingannevoli coincidono in generale con quelle relative alla pubblicità ingannevole con la differenza che nelle prime non vi è esplicito riferimento alla idoneità a ledere un concorrente essendo invece posto l’accento sull’idoneità ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di consumo che non avrebbe invece preso. Ciò non toglie però la rilevanza delle pratiche ingannevoli anche sul piano della concorrenza sleale. Le pratiche aggressive si imperniano sulle nozioni di molestia e indebito condizionamento in grado di alterare la decisione del consumatore medio, che possono rilevare anche in sede di applicazione della disciplina antitrust. 5) le limitazioni legali all’attività imprenditrice A) I monopoli –

82) Regime di monopolio - Le limitazioni legali della concorrenza trovano la loro fonte nella legge e nel sistema attuale consistono nei cosiddetti monopoli legali. Monopolio legale si ha quando la legge riserva ad un soggetto (normalmente lo stato) una posizione di esclusività nell’esercizio di una determinata attività economica per motivi di ordine fiscale o economico. La tendenza attuale è però quella di eliminare o almeno ridurre i monopoli ammettendo la presenza di una pluralità di operatori anche in settori dove in precedenza ciò non era possibile (settore radiotelevisivo o della produzione di energia). E’ quindi imposto dalla legge (in recepimento della normativa europea) che le deroghe al sistema della concorrenza disposte per servizi di interesse generale siano limitate a quanto serve per la specifica missione ad esse affidata.

83) Esercizio dell’impresa in regime di monopolio - In regime di monopolio è necessario assicurare che tutti possano usufruire dei beni e dei servizi prodotti e che non ci siano discriminazioni tra i consumatori attraverso l’applicazione di prezzi diversi. La legge assicura ciò imponendo all’imprenditore che opera in regime di monopolio l’obbligo legale di contrattare con chiunque richieda le prestazioni e di osservare la parità di trattamento stabilendo in caso di violazione l’applicazione di una sanzione amministrativa. La violazione però non determina l’attribuzione ai privati di una posizione soggettiva che li legittimerebbe all’azione nel caso di rifiuto dell’imprenditore. Infatti dato che la posizione di monopolio trae la sua fonte in un provvedimento amministrativo di concessione la inosservanza delle condizioni fissate rileva solo nei rapporti tra ente concedente e imprenditore (che può determinare anche la decadenza della concessione stessa) ma non vale a creare un rapporto specifico tra imprenditore e consumatori sulla cui base si possa creare una posizione soggettiva che legittimerebbe all’azione.

b) I diritti di privativa

84) Le creazioni intellettuali e la loro tutela - La libertà di iniziativa economica trova un limite anche nel riconoscimento da parte dell’ordinamento di alcune posizioni di esclusività a coloro che hanno contribuito, attraverso la loro attività creativa in diversi campi, ad incrementare le conoscenze e le esperienze destinate a diventare patrimonio comune di tutti. Queste posizioni di esclusività corrispondono ai diritti di autore e ai brevetti per le invenzioni industriali e comunque a coloro che hanno realizzato una creazione intellettuale Il sistema del codice vigente ha inquadrato la trattazione dei diritti sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali nel libro del lavoro in sede di regolamentazione dell’attività economica e ha precisato il contenuto di tale diritto stabilendo che all’autore di una opera dell’ingegno spetta il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente mentre a colui che ha ottenuto un brevetto per una invenzione industriale spetta l diritto esclusivo di attuare l’invenzione e di disporne entro i limiti stabiliti dalla legge. L’esclusività è

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quindi configurata come sfruttamento e utilizzazione economica dell’opera intellettuale e quindi ha un contenuto ben diverso dal diritto di proprietà invece definito come diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo entro i limiti stabiliti dalla legge.

85) Presupposti, fondamento e caratteri delle tutela delle creazioni intellettuali - E’ necessario trovare il fondamento delle creazioni intellettuali. L’idea creativa matura nella mente del suo autore ed è frutto della sua fantasia ma ovviamente si materializza attraverso una cosa materiale o una energia (es. uno scritto, un disegno, un suono ecc). Solo in questo momento l’idea si materializza e diventa una entità autonoma rispetto al suo autore e solo in questo momento essa può avere autonomo rilievo nell’ambito dell’ordinamento giuridico che gli attribuisce tutela. L’ordinamento giuridico pertanto tutelando la cosa materiale o l’energia attraverso la quale l’idea si materializza tutela l’idea stessa operando sulla riproducibilità della cosa materiale stessa e cioè attribuendo a chi ha avuto l’idea l’esclusività della riproduzione della cosa materiale (o della energia) e inibendo agli altri la riproduzione stessa. Tale tutela avviene negli ordinamenti moderni attraverso il riconoscimento del diritto di autore o attraverso i brevetti di riproduzione industriale.

86) Diritto di proprietà e diritto sulle creazioni industriali - Appare evidente quindi la diversità tra i diritti sulle creazioni intellettuali e il diritto di proprietà. Il diritto di proprietà riguarda una posizione di esclusività che già esiste sulla cosa e che l’ordinamento può riconoscere o meno, mentre il diritto sulle creazioni intellettuali è un diritto creato artificialmente dall’ordinamento e che pertanto l’ordinamento stesso può configurare come meglio crede al fine di contemperare l diverse esigenze sociali ed individuali. (da un lato l’esigenza sociale di rendere comuni a tutti le idee e creazioni intellettuali e dall’altro l’esigenza individuale di un riconoscimento all’autore o all’inventore in mancanza del quale l’attività creatrice rischierebbe di arrestarsi). Se pertanto la posizione di esclusività garantita alla creazione di opere intellettuali è creata dall’ordinamento giuridico essa trova nell’ordinamento stesso i suoi presupposti e i suoi limiti. In primo luogo la tutela giuridica non è generale e quindi non riguarda tutte le creazioni intellettuali (es le creazioni intellettuali non riproducibili o quelle riproducibili che non possono essere sottratte alla libera disponibilità di tutti come i principi scientifici). In secondo luogo la tutela della creazione intellettuale non è illimitata nel tempo, in terzo luogo non è assoluta potendo essere subordinata al rilascio di un brevetto, potendo essere accordata a persone diverse dal creatore e potendo essere subordinata all’adempimento di particolari oneri. Detto questo appare chiaro che i diritti sulle creazioni intellettuali si inquadrino più nel monopolio che nella proprietà con la differenza che essi riguardano non l’esercizio di una attività economica ma la riproducibilità di una idea e che hanno un valore economico trasferibile ad altri. Ciò spiega perché con riferimento al diritto sulla creazione intellettuale talvolta si parli di proprietà e perché tale termine spesso viene usato anche dal legislatore.

87) Norme interne e norme internazionali in tema di creazioni intellettuali - Le creazioni intellettuali si dividono in due categorie: le invenzioni industriali e i diritti di autore. Le invenzioni industriali sono regolate negli aspetti generali dal codice civile e negli aspetti specifici dal codice della proprietà industriale A questa disciplina si aggiungono copiosi interventi a livello internazionale e comunitario. I diritti di autore sono regolati negli aspetti generali dal codice cvile e negli aspetti particolari nella legge sul diritto di autore e anche in questo campo occorre registrare le molteplici convenzioni europee ed internazionali. Non deve stupire l’enorme rilevanza internazionale in queste discipline e ciò non solo per la dimensione degli interessi in questione ma anche per il fatto che l’immaterialità dei beni tutelati rende molto agevole la possibilità che le attività oggetto della disciplina siano delocalizzate. Si viene a creare quindi una dialettica tra il fatto che le attività in questione possano essere delocalizzate e il fatto che la protezione accordata dall’ordinamento ha carattere artificiale cosa che indurrebbe a ritenere tale protezione limitata all’ambito territoriale di efficacia dell’ordinamento stesso. Tale dialettica rende quindi necessaria una elaborazione della disciplina stessa a livello internazionale.

aa) i Brevetti industriali

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88) Invenzioni, modelli di utilità, disegni e modelli – Rientrano nella categoria delle invenzioni industriali oltre alle invenzioni vere e proprie (che hanno cioè per oggetto un nuovo prodotto o un nuovo procedimento), i modelli di utilità (ossia quelle invenzioni idonee a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione a macchine o strumenti) e i disegni e modelli (creazione di nuovo aspetto del prodotto che risulta dalle caratteristiche dei colori o della forma del prodotto o dai materiali o dall’ornamento del prodotto stesso). Presupposto generale della tutela giuridica dell’invenzione industriale è la sua novità e la sua industrialità mentre per i disegni e modelli è richiesto oltre alla novità anche il carattere individuale. Il criterio di novità richiede che l’invenzione oltre ad essere nuova deve essere anche non divulgata. Il criterio della novità differenzia l’invenzione dal semplice progresso tecnico. Il criterio utilizzabile per la distinzione può essere quello della difficoltà vinta o del risultato inatteso per cui non basta perché si abbia invenzione l’applicazione di risorse tecniche già conosciute ma occorre anche che si sia superata una difficoltà ritenuta in precedenza insuperabile o si sia ottenuto un risultato in precedenza non ottenibile e per questo inaspettato. La divulgazione invece impedisce la tutela dell’invenzione anche se si è determinata per fatto illecito di altri. Non vale però come divulgazione quella che si è attuata nei sei mesi precedenti il deposito della domanda di brevetto e derivante direttamente da un abuso evidente ai danni del richiedente. Non impedisce la brevettabilità anche la divulgazione avvenuta in esposizioni ufficiali ed ufficialmente riconosciute ai sensi della convenzione di Parigi. Altro requisito per la brevettabilità è quello della industrialità ossia l’idoneità della invenzione ad avere applicazione industriale e ad essere utilizzata in un ramo qualunque della produzione. Ne deriva che una scoperta scientifica non può essere protetta in quanto tale mentre può essere protetta l’applicazione tecnica di essa. Nei disegni e nei modelli si richiede invece oltre alla novità anche il carattere individuale ossia l’idoneità a suscitare nell’utilizzatore una impressione generale diversa da quella suscitata da qualsiasi disegno o modello divulgato prima della data di presentazione della domanda di brevetto.

89) Presupposti e limiti della tutela delle invenzioni – La tutela giuridica dell’invenzione industriale è temporanea : 20 anni per le invenzioni vere e proprie, 10 anni per i modelli di utilità e 5 anni (prorogabili per massimo 25 anni) per i modelli e i disegni. La tutela giuridica si ottiene solo mediante registrazione (che per le invenzioni vere e proprie e per i modelli di utilità si chiama brevettazione in quanto è accompagna dal rilascio di un brevetto). La registrazione ha effetto costitutivo e in mancanza di essa non si acquista il diritto alla tutela che consiste nel diritto esclusivo di attuare l’invenzione e di disporne. Una volta ottenuta la registrazione gli effetti giuridici sono retroattivi fino al momento della presentazione della domanda. La domanda di registrazione o del brevetto deve essere presentata all’Ufficio Italiano Brevetti e Marche, corredata della documentazione necessaria. L’ufficio deve accertare la regolarità formale della domanda, la presenza dei requisiti descritti in precedenza oltre a quello della liceità (l’invenzione non deve essere contraria alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume). La concessione del brevetto non pregiudica l’esercizio delle azioni giudiziaria circa la validità del brevetto stesso ma serve solo a spostare l’onere della prova della mancanza dei requisiti per la brevettabilità a carico di chi intende impugnarne la validità. Il brevetto è nullo se : a) l’invenzione manca del carattere della novità o della industrialità b) se la descrizione allegata alla domanda non comprende tutte le indicazioni necessarie per mettere in pratica l’invenzione c) se l’oggetto del brevetto si estende oltre al contenuto della domanda d) se il titolare del brevetto non aveva il diritto di ottenerlo e l’inventore non abbia fatto valere i suoi diritti. L’azione di nullità è imprescrittibile e può essere esercitata dagli interessati e dal pubblico ministero e la relativa sentenza che pronuncia la nullità del brevetto fa stato erga omnes. La sentenza di nullità è oggetto di pubblicità ed ha efficacia retroattiva fermi restando gli atti già compiuti e i contratti già eseguiti aventi ad oggetto l’invenzione stessa fermo restando l’eventuale rimborso deciso dal giudice.

90) Soggetti del diritto di brevetto: le invenzioni di stabilimento - All’inventore che abbia ottenuto il brevetto spetta sia il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione (diritto personale e intrasmissibile) sia i diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione stessa. Particolari principi vigono quando l’invenzione è fatta dal prestatore di lavoro nel campo di attività dell’impresa o della pubblica amministrazione (invenzioni di stabilimento). Se l’invenzione è fatta nell’esecuzione di un rapporto di

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lavoro al prestatore di lavoro spetta il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione e il diritto di ricevere un equo premio (quest’ultimo solo se non è stabilita nel rapporto di lavoro una retribuzione particolare per l’attività inventiva) mentre la facoltà di chiedere il brevetto e i diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione spettano al datore di lavoro . Se l’invenzione non si attua nello svolgimento del rapporto di lavoro ma si attua comunque nel campo di attività dell’impresa privata i diritti patrimoniali spettano all’inventore ma al datore di lavoro spetta un diritto di prelazione per l’uso dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto. . Se l’invenzione è fatta nel corso di un rapporto di lavoro con una università o una p.a. che ha tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca l’inventore è titolare di tutti i diritti.

91) Contenuti e trasferimento del diritto di brevetto – La tutela giuridica dell’invenzione consiste nell’attribuzione al titolare della esclusività nell’attuazione dell’invenzione e del diritto di disporne e quindi di trarne profitto nel territorio dello stato nonché la facoltà di commercio del prodotto ma tale facoltà di estingue una volta che il prodotto sia messo in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello stato o in quello di altro stato membro della Ce. Il diritto di brevetto non impedisce l’attuazione dell’invenzione per fini privati non commerciali o in via sperimentale. Per quanto riguarda i modelli di utilità e i modelli e i disegni, per i primi l’esclusività del brevetto riguarda sia l’attuazione del modello che il commercio dei prodotti in cui modello viene applicato mentre per i secondi la sola utilizzazione. Nel caso in cui l’invenzione sia un perfezionamento di una precedente invenzione coperta da precedente brevetto essa non pregiudica il diritto del titolare del precedente brevetto e anzi l’invenzione pur avendo ottenuto il brevetto non può essere attuata senza il consenso del titolare del precedente brevetto. La legge tuttavia prevede che il titolare del secondo brevetto possa ottenere dal titolare del brevetto precedente la licenza obbligatoria quando la seconda invenzione costituisce rispetto alla precedente un importante progresso tecnico di rilevanza economica. I diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione sono liberamente trasferibili, possono essere ceduti o costituire oggetto di esecuzione forzata, possono essere espropriati per pubblica utilità e su di essi possono essere costituiti diritti reali di godimento o di garanzia e possono essere concessi in uso. Gli atti di trasferimento tra vivi e di costituzione di diritti reali sono soggetti a pubblicità dichiarativa presso l’Ufficio dei brevetti in mancanza della quale essi sono privi di efficacia nei confronti di terzi che abbiano acquistato diritti sul brevetto stesso. La trascrizione dei trasferimenti mortis causa invece è diretta ad assicurare la continuità dei trasferimenti.

92) Estinzione del diritto di brevetto – I diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione si estinguono per decorso del termine o anche prima per il verificarsi delle seguenti cause di decadenza: a) mancata attuazione dell’invenzione. La mancata attuazione dell’invenzione entro i termini fissati (3 anni per le invenzioni vere e proprie, un anno per i modelli di utilità e per i modelli e disegni) comporta l’obbligo dell’inventore a concedere a chi ne fa richiesta la licenza obbligatoria per l’uso non esclusivo dell’invenzione. Il brevetto decade se entro due anni dalla concessione della licenza obbligatoria non viene attuato. B) mancato pagamento del diritto annuale di brevetto entro sei mesi per le invenzioni vere e proprie.

93) Azioni a tutela del diritto di brevetto e dei diritti di proprietà industriale. – L’azione concessa a tutela del diritto di brevetto è detta azione di contraffazione che può essere esercitata in sede civile e penale. Il codice della proprietà industriale prevede una disciplina unificata per l’azione di contraffazione e per le altre azioni stabilite a tutela dei singoli diritti di proprietà industriale. Con l’azione di contraffazione il titolare di brevetto ( o chi ha diritti reali su di esso) è legittimato ad agire in giudizio contro il terzo che senza autorizzazione fa uso dell’invenzione brevettata. Il giudizio di contraffazione è affidato all’autorità giudiziaria ordinaria e si svolge davanti al giudice territorialmente competente. L’onere di provare la contraffazione spetta al titolare del brevetto. Con la sentenza che accerta la contraffazione il giudice può disporre a carico del soccombente le seguenti sanzioni: a) inbitoria che consiste nell’ordine al contraffattore di cessare l’attività illecita b) la rimozione, distruzione o assegnazione in proprietà dei prodotti brevettati o dei mezzi usati per la contraffazione c) il risarcimento del danno d) la pubblicazione della sentenza e) la condanna in futuro che consiste

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nella liquidazione di una somma che il contraffattore dovrà versare nell’ipotesi di mancata cessazione o successiva ripresa dell’attività illecita.

94) Tutela internazionale delle invenzioni industriali – La tutela del diritto di privativa può attuarsi anche al di fuori dei confini dello stato, nel territorio degli stati aderenti all’Unione di Parigi per la tutela della proprietà industriale.

bb) Il diritto di autore

95) Contenuto del diritto di autore - Con il diritto di autore la legge tutela le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, al teatro o alla cinematografia e attualmente tale tutela è stata estesa alle fotografie di carattere creativo, ai programmi per elaboratore, alle banche dati e alle opere di disegno industriale, Oggetto della tutela è la creazione ossia la manifestazione originale della personalità umana e l’effettivo valore letterario e artistico non è rilevante in quanto la tutela è accordata anche alle opere modeste o le opere che affrontano problemi già conosciuti purchè originale sia la forma rappresentativa ossia la manifestazione del pensiero. Ne deriva quindi una diversità con le invenzioni industriali le quali sono tutelate dalla legge proprio in funzione della loro utilità pratica. L’acquisto del diritto di autore è automatico per il solo fatto che l’opera è stata creata e non è subordinato alla registrazione, la quale a differenza delle invenzioni industriali non ha quindi effetto costitutivo ma solo effetto amministrativo e probatorio. La tutela giuridica ha una durata lunga e precisamente tutta la vita dell’autore e fino al termine dei 70 anni successivi alla morte e si attua a prescindere da qualsiasi utilizzazione pratica dell’opera riconoscendo anzi all’autore il cosiddetto diritto di inedito e cioè di impedire la divulgazione dell’opera.

96) Diritto morale e diritto di utilizzazione economica - La tutela giuridica del diritto di autore si attua mediante il riconoscimento all’autore di un diritto personale (diritto morale) e di un diritto patrimoniale (diritto di utilizzazione economica). Il diritto morale comprende le seguenti facoltà: a) diritto di essere riconosciuto autore dell’opera e rivendicarne la paternità b) diritto di anonimo e quindi diritto dell’autore a non rivelarsi al momento della pubblicazione dell’opera c) diritto di inedito ossia di non pubblicare l’opera o di ritirare l’opera dal commercio per gravi ragioni morali indennizzando ovviamente coloro che hanno acquistato diritti patrimoniali sull’opera stessa d) diritto di opporsi a mutlazioni, deformazioni o modificazioni dell’opera, diritto che trova alcune limitazioni nella cinematografia e nelle opere di architettura. Il diritto morale di autore come diritto personale è intrasmissibile ma dopo la morte dell’autore esso può essere esercitato (tranne che per la facoltà di ritirare l’opera dal commercio) dagli aventi causa. In questo modo non si ammette la successione in un diritto personale ma si tratta di un diritto proprio dei familiari esercitato per ragioni familiari degne di essere protette così come avviene per la tutela del nome. Nel diritto patrimoniale di autore rientrano invece il diritto di pubblicazione, di riproduzione e di smercio.

97) Soggetti del diritto di autore : opere in collaborazione . Soggetto del diritto di autore è l’autore dell’opera e per quanto riguarda i diritti patrimoniali anche i suoi aventi causa. L’opera di ingegno può essere il risultato della collaborazione di più persone. Nel caso in cui la collaborazione si attua per parti distinte (es, enciclopedie e dizionari) l’opera di ciascun autore è ben individuata e autonoma nel suo complesso. In questo caso il diritto di autore di ciascun collaboratore è distinto da quello dell’altro. La collaborazione può invece attuarsi senza la possibilità di distinguere le parti mediante l’effettuazione di attività separate e in questo caso abbiamo una comunione pro indiviso dell’opera regolata dai principi generali sulla comunione.

98) Acquisto e disposizione del diritto di autore – contratti di edizione - L’acquisto del diritto d’autore si ha come si è detto con la stessa creazione dell’opera. Solo ai fini amministrativi e probatori è richiesta la registrazione nel registro pubblico generale delle opere protette. In tale registro devono essere annotati gli atti di trasferimento dei diritti di autore e la registrazione fa fede, fino a prova contraria, dell’esistenza dell’opera, della sua pubblicazione e degli eventuali atti di disposizioni

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compiuti su di essa. Tra gli atti di disposizione ricordiamo il contratto di edizione con il quale l’autore concede ad un’altra persona (editore) il diritto di pubblicare l’opera a proprie spese e l’editore si obbliga a riprodurre l’opera, a metterla in vendita e a pagare il compenso pattuito (si tratta quindi di un contratto a prestazioni corrispettive) L’autore può richiedere la risoluzione del contratto se l’editore non effettua la pubblicazione nei tempi stabiliti e anche dopo la stipulazione del contratto è consentito all’autore per gravi motivi morali di ritirare l’opera dal commercio tenendo però indenne l’editore.

99) Tutela delle opere dell’ingegno - La durata della tutela come abbiamo detto è piuttosto lunga prevedendo l’intera vita dell’autore fino al settantesimo anno successivo alla morte di esso. Per le opere compiute in collaborazione per le quali non sia possibile la distinzione in parti la protezione si effettua in funzione del collaboratore che muore per ultimo. Per quanto riguarda le opere anonime o pseudonime la protezione è concessa per settanta anni dalla pubblicazione mentre per le opere postume la tutela è di 70 anni a partire dalla morte dell’autore. Per quanto riguarda le tecniche processuali esse coincidono con quelle adottate per la proprietà industriale e quindi sono previsti provvedimenti di inibitoria, la condanna al risarcimento del danno (che comprende in questo caso anche il danno morale) e la distruzione dei mezzi impiegati per la violazione.

100) Diritti del progettista – Accanto al diritto di autore la legge regola il diritto del progettista di lavori nel caso in cui esso costituisca soluzioni originali di problemi tecnici. In questo caso a lui compete l diritto esclusivo di riproduzione dei piani e dei disegni e il diritto di ottenere equo compenso da parte di coloro che,senza il suo consenso, eseguono il progetto stesso a scopo di lucro.

101) Tutela del software e della banca dati – Abbiamo detto che la disciplina del diritto di autore è stata recentemente estesa anche al software e alle banche dati. Tale tutela comprende il diritto esclusivo di riproduzione, traduzione o modifica del programma o della banca dati e il diritto di distribuzione al pubblico. All’acquirente del programma è comunque concessa la riproduzione e la modifica se necessarie per il proprio uso. Il legislatore ha inoltre dettato una apposita norma per il caso in cui l’autore del software sia un lavoratore dipendente, disciplina che ricalca quella prevista per le invenzioni di stabilimento con la differenza che la legge non parla espressamente di un diritto morale spettante all’autore né dell’eventualità per cui al dipendente possa spettare un particolare compenso per la sua opera creativa.

6) Limitazioni convenzionali dell’attività imprenditrice

102) Limitazioni convenzionali della concorrenza - Limitazioni della concorrenza ossia della libertà di iniziativa economica possono essere poste dalla legge o in conseguenza di un contratto e quindi possono essere effetto di accordi volontari o di norme che in determinati settori e in determinati limiti escludono la libertà di iniziativa economica dei soggetti. La violazione delle limitazioni convenzionali o legali della concorrenza costituiscono concorrenza illecita e non concorrenza sleale. L’astensione dalla concorrenza infatti in questi casi è un obbligo sorgente da contratto o da legge e il compimento quindi di un atto di concorrenza costituisce quindi un atto illecito anche quando sia compiuto nel rispetto dei principi di correttezza professionale.

103) Limitazioni convenzioni indirette e dirette – Le limitazioni convenzionali alla concorrenza possono essere l’effetto di un contratto che non ha per oggetto la limitazione della concorrenza (limitazioni indirette) o possono essere l’effetto di un contratto che ha per oggetto specifico la limitazione della concorrenza (limitazioni dirette). Si ha ad esempio limitazione indiretta in materia di rapporti di lavoro dove il codice civile prevede che il prestatore di lavoro non deve trattare affari in concorrenza con l’imprenditore da cui dipende. Esempi di limitazione diretta della concorrenza sono quelli che si attuano mediante accordi bilaterali o plurilaterali tra imprese che assumono il nome di cartelli con i quali i singoli imprenditori si impegnano a non vendere i loro prodotti nella zona riservata ai loro concorrenti (cartelli di zona) o a non vendere al di sotto o al di sopra dei prezzi

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stabiliti (cartelli di prezzi) o a non vendere a condizioni contrattuali diverse da quelle stabilite (cartelli di condizioni contrattuali).

104) Valutazione normativa dei patti limitativi della concorrenza – L’ordinamento giuridico italiano valuta le limitazioni convenzionali della concorrenza sia dal punto di vista dei soggetti in quanto esse comportano una limitazione della libertà personale sia dal punto di vista oggettivo e quindi per l’influenza che esse esercitano sul mercato eliminando il libero gioco della concorrenza. Infatti la legge 287 del 1990 vieta le intese restrittive della concorrenza qualora siano idonee a produrre effetti sul mercato o su una sua parte rilevante e del pari l’art. 81 del Trattato Ce prevede la stessa cosa quando tali effetti si manifestano nel mercato comune europeo. Per quanto riguarda il punto di vista della libertà economica del soggetto l’art. 2596 cc richiede che il patto limitativo della concorrenza debba essere provato per iscritto e richiede anche per la sua validità che esso sia circoscritto nell’oggetto, nello spazio e nel tempo precisando che la sua durata non possa eccedere il quinquennio.

7) I consorzi tra imprenditori

105) Il consorzio e le sue molteplici applicazioni . Il consorzio è una associazione di persone fisiche o giuridiche per la realizzazione di un interesse comune ad esse. L’organizzazione in comune si pone quindi come uno strumento per la realizzazione di interessi propri di ciascun consorziato che non potrebbero essere realizzati singolarmente o che non potrebbero essere realizzati alle stesse condizioni economiche. Nel diritto pubblico sono previsti consorzi volontari, obbligatori e coattivi mentre nel diritto privato il consorzio tra imprenditori è solo volontario e quindi la sua fonte è nella volontà dei singoli imprenditori fissata in un contratto.

106) Il consorzio nella vigente disciplina del codice civile - La nozione di consorzio contenuta nell’originario art. 2602 cc comprendeva unicamente i contratti tra imprenditori esercenti la stessa attività economica o attività connesse e che avessero per oggetto il coordinamento della produzione e degli scambi e quindi la disciplina delle attività economiche stesse. Nel nuovo articolo 2602 del cc invece si stabilisce che con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina e lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Nella versione originale dell’art. 2602 la disciplina era posta essenzialmente in funzione delle limitazioni che il consorzio poteva portare alla libertà di iniziativa economica dei singoli consorziati e alla incidenza che il consorzio poteva avere come fattore di distorsione della libera concorrenza sul mercato e pertanto erano previsti limiti di durata, la necessità di autorizzazione amministrativa e la sottoposizione a controlli pubblici. Con il nuovo articolo 2602 la disciplina è rimasta invariata (al di là dell’abolizione del limite di durata) ma è mutata la prospettiva in quanto attualmente un rapporto concorrenziale potrebbe addirittura non esserci tra i consorziati. Infatti la nozione attuale di consorzio comprende due distinti fenomeni. A) i consorzi dove l’organizzazione in comune è creata per la disciplina di fasi delle rispettive imprese, tra i quali abbiamo i consorzi tra imprenditori concorrenti creati per il coordinamento della produzione e degli scambi b) i consorzi in cui l’organizzazione comune è creata invece per lo svolgimento di determinate fasi delle imprese stesse. Non è quindi adeguata una disciplina che pretenda di trattare unitariamente i due diversi tipi di consorzio. Il collegamento con la disciplina della concorrenza ha infatti senso per il primo tipo di consorzio ma non per il secondo in quanto in tal caso siamo di fronte ad un fenomeno di cooperazione nell’esercizio dell’impresa. Nello stesso modo l’eliminazione nel nuovo articolo 2602 del limite di durata ha senso con riferimento al secondo fenomeno ma non al primo. Infatti rispetto ad un fenomeno di cooperazione tra imprenditori operanti in settori economici diversi e diretto alla creazione di impianti comuni o alla realizzazione di economie di spese i limiti legali non hanno ragione di essere e sono solo i consorziati a dover valutare quale sia la loro convenienza. Per quanto riguarda la responsabilità l’attuale art. 2615 sottrae il consorzio al regime di responsabilità proprio delle associazioni non riconosciute che prevede accanto alla garanzia data dal fondo consortile la responsabilità solidale e illimitata delle persone che agiscono a nome del consorzio stabilendo che il consorzio sia una organizzazione a responsabilità limitata e non prevedendo nemmeno un ammontare minimo del fondo consortile. Per quanto riguarda la struttura

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consortile è previsto che essa possa assumere oltre che la forma del consorzio quella propria di altre società (e anzi in alcuni casi deve per forza assumerla come nel caso dei consorzi agrari che sono costituiti con la forma di società cooperativa). Per il resto la disciplina rimane quella originaria e quindi si continuano a prevedere i controlli pubblici e la loro applicabilità anche ai consorzi costituiti in forma di società.

107) Il codice dispone che per la costituzione (in qualunque forma avvenga) dei consorzi che possono influire sul mercato dei beni in essi contemplati è necessaria l’approvazione dell’autorità governativa e che l’attività dei consorzi (qualunque sia la loro influenza sul mercato) è soggetta alla vigilanza dell’autorità governativa che ha il potere di scioglierne gli organi sostituendoli con un commissario governativo o addirittura nei casi più gravi di sciogliere il consorzio stesso.

108) La qualità di imprenditore come presupposto della partecipazione al consorzio – La partecipazione al contratto di consorzio richiede la qualità di imprenditore e tale requisito deve permanere anche durante lo svolgimento del consorzio stesso. Se infatti uno dei contraenti cessa dalla qualità di imprenditore nella categoria descritta nel contratto di consorzio viene meno la sua partecipazione al consorzio stesso in quanto egli non ha più interesse a partecipare ad una organizzazione che non lo riguarda. Pertanto nel contratto di consorzio sono previste cause di recesso o di esclusione nel caso in cui tale evento si verifichi. In conseguenza dell’esercizio del recesso o della esclusione il contratto si scioglie relativamente a quel consorziato permanendo invece tra gli altri. Se la cessazione dell’esercizio dell’impresa da parte del consorziato è invece effetto del trasferimento ad altri dell’azienda allora non si ha scioglimento del rapporto ma sostituzione dell’acquirente al venditore. Solo in caso sussista una giusta causa (e limitatamente all’ipotesi di trasferimento per atto tra vivi) gli altri consorziati possono deliberare entro un mese dal trasferimento l’esclusione dell’acquirente dal consorzio.

109) Costituzione del consorzio – I consorzi volontari si costituiscono tramite contratto il quale ai sensi del codice civile deve essere fatto per iscritto e a pena di nullità. Il contratto deve indicare: a) l’oggetto e la durata del consorzio. Se la durata non è determinata il contratto si intende stipulato per dieci anni salvo proroga b) la sede dell’ufficio c) gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati d )le attribuzioni e i poteri degli organi consortili. Il codice non precisa espressamente quali debbano essere gli organi consortili ma facendo riferimento al fatto che alcune decisioni debbano essere prese con la maggioranza dei consorziati implicitamente prevede come organo del consorzio l’assemblea dei consorziati. Accanto all’assemblea il contratto può prevedere altri organi amministrativi e di controllo e prevederne le attribuzioni e i poteri – e) Le condizioni di ammissione di nuovi consorziati – Normalmente il contratto di consorzio è un contratto aperto che consente la partecipazione di nuovi contraenti. Tale partecipazione può avvenire però solo se prevista nel contratto che in tal caso deve specificare i requisiti oggettivi e soggettivi della partecipazione. F) i casi di recesso e di esclusione. Non possono essere disposti recesso e esclusione se il contratto non prevede tali ipotesi. G) le sanzioni per gli inadempimenti degli obblighi dei consorziati - Si tratta di penali che vengono inflitte ai consorziati inadempienti che possono essere inflitte solo se previste dal contratto- h) le quote dei singoli consorziati o i criteri per la determinazione di essi. Tale determinazione è in genere affidata alla volontà dei consorziati ma può essere rimessa nel contratto ad un organo consortile Le modificazioni del contratto devono essere fatte anch’esse per iscritto a pena di nullità. Tale facoltà esula dalle competenze degli organi consortili essendo possibile solo con il consenso di tutti i consorziati con l’unica eccezione della trasformazione in società di capitali che deve essere assunta con la maggioranza assoluta dei consorziati. La legge però prevede che il contratto stabilisca diversamente e pertanto può essere demandato all’assemblea dei consorziati la facoltà di apportare modificazioni al contratto con deliberazione a maggioranza semplice o qualificata.

110) Scioglimento del contratto .- Il contratto consortile si scioglie, oltre che per volontà unanime di tutti i consorziati e per il decorso del tempo previsto per la sua durata o per le altre cause previste nel contratto, per il conseguimento dell’oggetto o per l’impossibilità di conseguirlo, per deliberazione dei

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consorziati se sussiste una giusta causa o per provvedimento dell’autorità governativa nei casi previsti dalla legge.

111) Consorzi con attività interna, cartelli, patti di concorrenza - Il consorzio può avere una funzione solo interna e quindi riguardare unicamente i rapporti tra i consociati o può avere anche una funzione esterna e quindi riguardare anche i rapporti tra consociati e terzi. Anche nel caso si tratti di consorzio con attività solo interna esso non va confuso con i cartelli o i patti di concorrenza tra le imprese. Effetto di queste ultime infatti è quella di creare per gli imprenditori solo una obbligazione negativa e comunque anche se ad essi partecipano più imprenditori vengono a crearsi solo rapporti biliaterali tra ciascun imprenditore e tutti gli altri. Il consorzio invece prevede la creazione di una organizzazione unitaria che coordina l’attività di tutti i partecipanti e fissa direttive alle quali essi devono attenersi motivo per cui l’eventuale obbligazione di non facere assunta dai partecipanti è solo effetto indiretto dell’accordo. Inoltre l’obbligazione negativa di coloro che stipulano un patto di concorrenza o un cartello è determinata fin dall’inizio mentre le limitazioni alla iniziativa economica derivanti dalla creazione del consorzio non sono necessariamente determinate fin dall’inizio ma potranno dipendere dalle direttive di volta in volta impartite dall’organizzazione consortile stessa.

112) Consorzi con attività esterna – Il consorzio con attività esterna come abbiamo detto ha rapporti con i terzi e quindi si pone il problema di far conoscere ai terzi che trattano con il consorzio gli elementi necessari per lo svolgimento del rapporto stesso e di attribuire al consorzio una autonomia patrimoniale costituendo un fondo sul quale i terzi possano soddisfarsi per le obbligazioni assunte dal consorzio stesso. A tali esigenze provvede la legge che da un lato impone la pubblicità del consorzio stabilendo che essa debba essere attuata mediante il deposito del contratto e delle eventuali modificazioni per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese, dall’altro prevede l’indisponibilità del fondo consortile da parte dei singoli consorziati per tutta la durata del consorzio sottraendolo così all’azione dei creditori particolari dei consorziati stessi. Il fondo consortile è costituito dai contributi e dai beni acquistati con essi e costituisce oggi la sola garanzia per i creditori del consorzio.

113) continua – obbligazioni del consorzio per conto dei singoli consorziati - Particolari principi vigono per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati. La disciplina prevede una deroga al principio generale per cui il terzo contraente non può agire nei confronti dell’interessato in quanto in tema di consorzio si afferma la responsabilità del singolo consorziato, solidalmente con il fondo consortile, nei confronti dei terzi e si stabilisce, in caso di insolvenza del consorziato obbligato, la ripartizione del debito dell’insolvente tra tutti i consorziati in proporzione della quota.

114) Consorzi costituiti in forma di società – Già prima della legge del1976 nella pratica si utilizzava per la costituzione di consorzi la forma della società a responsabilità limitata o della società per azioni sia per usufruire della loro forma di organizzazione sia per beneficiare della limitazione di responsabilità. Ora la legge del 1976 prevede espressamente la responsabilità limitata al fondo consortile e introduce la categoria delle società consortili stabilendo che esse siano costituite in forma di società per azioni o responsabilità limitata (ma anche società in nome collettivo o in accomandita semplice). Pertanto oggi la costituzione del consorzio in forma di società risponde piuttosto alla esigenza di conferire al consorzio una maggiore credbilità nei rapporti con i terzi grazie all’utilizzazione delle strutture organizzative societarie. Non si deve però dimenticare che anche se le società consortili hanno la struttura organizzativa e il regime di responsabilità tipico delle società, a differenza di queste non si propongono di realizzare attraverso l’organizzazione comune una attività imprenditoriale né di realizzare uno scopo lucrativo ma piuttosto di risolvere, attraverso tale organizzazione comune, problemi economici o tecnici che i singoli consorziati non potrebbero risolvere individualmente. Pertanto l’organizzazione comune creata dalle società consortili è uno strumento per realizzare interessi propri di ciascun consorziato. Ne risulta una situazione per cui anche se la struttura organizzativa è quella di una società la società consortile ha la disciplina propria

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del consorzio tanto è vero che il passaggio da società consortile a società non consortile o viceversa è qualificato come trasformazione anche se in realtà in questo caso siamo in assenza di una modificazione della struttura organizzativa. Quanto sopra è confermato anche dal fatto che la legge estende anche alle società consortili la vigilanza da parte dell’autorità governativa. Pertanto saranno applicabili alle società consortili principi propri delle società per quanto riguarda la convocazione delle assemblee, il calcolo delle maggioranze o il funzionamento degli organi e soprattutto per lo svolgimento dell’attività esterna ma i poteri degli organi nei rapporti tra in consorziati saranno quelli derivanti dal contratto.

115) Il Gruppo Europeo di interesse economico - Una particolare forma di consorzio è la nuova forma organizzativa rappresentata dal Gruppo Europeo di interesse economico (GEIE) prevista dal regolamento europeo. La funzione del GEIE è quello di costituire uno strumento per la cooperazione tra operatori economici appartenenti a diversi stati membri della comunità, migliorando e agevolando la loro attività . L’attività del Geie si pone quindi come ausiliaria rispetto all’attività economica dei suoi membri e non ha lo scopo di realizzare profitti per sé stesso. Se per tale verso il GEIE si assimila al consorzio non mancano differenze nella disciplina. In primo luogo è diverso il regime della responsabilità in quanto per il GEIE si prevede la responsabilità solidale ed illimitata di ogni membro per le obbligazioni assunte dal GEIE stesso. Diverso è anche il procedimento di costituzione in quanto il consorzio si costituisce con il contratto avendo l’iscrizione nel registro funzione soltanto dichiarativa mentre per il GEIE l’iscrizione al registro delle imprese ha efficacia costitutiva.. Inoltre il GEIE rispetto al consorzio ha una struttura più rigida e meno rimessa alle scelte contrattuali tra le parti in quanto sono previsti sia un organo amministrativo che l’assemblea dei membri, viene dettata una disciplina del potere di rappresentanza degli amministratori, sono previsti obblighi particolari di tenuta di contabilità, e sono estesi agli amministratori e liquidatori del GEIE le previsioni penali del codice civile in materia di reati societari.

116) Le reti di imprese – Su un piano omogeneo con il consorzio si pone la figura delle reti di imprese, che si hanno quando due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei loro oggetti sociali allo scopo di accrescere la loro capacità innovativa e la loro competitività sul mercato. Dal punto di vista giuridico questa figura è assimilabile al consorzio in quanto le indicazioni richieste per il contratto coincidono con quelle richieste per la costituzione del consorzio e sono applicabili al fondo patrimoniale comune le disposizioni relative al fondo consortile.

117) Le associazioni temporanee e i raggruppamenti di imprese – Su un piano operativo simile a quello del consorzio e del GEIE ma da essi giuridicamente distinto è il fenomeno che va sotto il nome di associazioni temporanea o raggruppamento di imprese. SI tratta di una ipotesi in cui pur essendo il contratto di concessione unitario e quindi riguardante l’opera nella sua totalità in esso è previsto che la sua esecuzione è attuata da imprese diverse in relazione alla diversa natura dei lavori o alle diverse parti dell’opera, utilizzando le singole imprese nel settore in cui esse sono specializzate. In questo modo si mira a favorire l’unione di più operatori economici associando mezzi tecnici di diversa provenienza e specifiche capacità per l’esecuzione di un unico contratto. Il fenomeno per quanto riguarda l’ente concedente o appaltante può assumere due diversi atteggiamenti: a) le imprese assumono congiuntamente la esecuzione dell’intera opera e quindi la distribuzione dei compiti tra di esse ha carattere interno e non rileva nei confronti dell’ente concedente ed appaltante (ipotesi utilizzata nel campo della ricerca di idrocarburi). B) il contratto di concessione viene stipulato con l’ente concedente da una sola impresa (impresa pilota) mentre le altre imprese rispondono solidalmente con l’impresa pilota nei confronti dell’ente concedente ma solo per i lavori o le opere di loro competenza (utilizzata nel campo degli appalti di opere pubbliche). Per quanto riguarda la qualificazione giuridica del fenomeno il raggruppamento di imprese è al di fuori del consorzio anche se ne presenta un carattere fondamentale ossia il fatto di lasciare autonome le singole imprese e la loro attività e quindi potrebbe essere inquadrato nella sfera dei contratti associativi e precisamente delle società occasionale (o unius negotii) le quali non sono società nel senso del codice.

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Capitolo VII L’AZIENDA

118) Nozione giuridica - L’azienda è, ai sensi dell’art. 2555 cc, il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore e pertanto possiamo dire che l’attività dell’imprenditore si realizza mediante la combinazione dei beni (e quindi l’azienda) in funzione di uno scopo produttivo. L’azienda è quindi una combinazione di beni che conservano la loro individualità ma in qualche modo sono unificati dall’unitarietà della loro destinazione. Per quanto riguarda gli elementi costitutivi dell’azienda la dottrina è divisa.. Infatti per alcuni possono ritenersi tali solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore si avvale per l’esercizio dell’impresa mentre per altri devono ritenersi tali anche i rapporti contrattuali stipulati per l’esercizio dell’impresa e anche i crediti verso clienti e i debiti verso fornitori. La seconda tesi non è accettabile in quanto la legge considera espressamente l’azienda come un complesso di beni e inoltre il passaggio dei crediti, dei debiti e dei rapporti contrattuali nell’ipotesi di trasferimento della titolarità o del godimento dell’azienda avviene, come vedremo, su altre basi. Altra parte della dottrina considera invece l’azienda come bene immateriale con riferimento all’organizzazione dell’imprenditore ma anche tale tesi non è accettabile in quanto per la legge l’azienda è il complesso di beni destinati all’esercizio dell’impresa e non l’organizzazione intesa come attività creativa da parte dell’imprenditore.

119) Riflessi giuridici dell’attività aziendale: avviamento, frutti, miglioramenti, amministrazione e conservazione – L’unità funzionale dell’azienda ha una rilevanza giuridica sotto diversi aspetti. Sotto un primo aspetto osserviamo che il fatto che l’azienda sia caratterizzata da un complesso di beni organizzati in funzione di uno scopo produttivo ci induce a considerare che tale complesso di beni abbia un valore maggiore rispetto ai beni singolarmente considerati. Tale maggior valore che i beni aziendali acquistano grazie all’organizzazione prende il nome di avviamento. L’avviamento ha un fondamento soggettivo in quanto è inerente alla capacità dell’imprenditore e un fondamento oggettivo in quanto è inerente agli elementi dell’azienda e anche alla situazione locale in cui l’attività si svolge. Il nostro ordinamento fornisce all’avviamento una tutela soprattutto indiretta attraverso la tutela dell’attività dell’imprenditore (repressione della concorrenza sleale). attraverso la tutela dei segni distintivi e soprattutto in sede di cessione dell’azienda o del godimento di essa, attraverso l’obbligo imposto al cedente di non concorrenza.. Nel nostro ordinamento manca invece una tutela diretta dell’avviamento ad eccezione del riconoscimento di un limitato diritto ad un compenso per l’aumento di valore apportato ai locali dallo svolgere in essi una attività imprenditrice. Sotto un altro aspetto occorre osservare che i beni che formano l’azienda non possono essere sottratti, se non per volontà dell’imprenditore, alla loro destinazione funzionale. Ciò in quanto come la destinazione ad una funzione unitaria è opera dell’imprenditore così solo per volontà dello stesso i beni possono essere sottratti alla loro destinazione funzionale o può essere addirittura eliminato il complesso aziendale.

120) I beni singoli nel complesso aziendale: capitale fisso e capitale circolante - L’azienda è costituita da una pluralità di beni eterogenei, mobili o immobili, materiali o immateriali e non è necessario che tali beni siano di proprietà dell’imprenditore ma è sufficiente che egli ne abbia il solo godimento. Soltanto con riferimento alla destinazione economica è possibile fare una distinzione, nell’ambito di una azienda, tra beni principali e beni accessori e quindi beni che hanno in una azienda una funzione prevalente possono avere in un’altra azienda una funzione accessoria. Il valore dei singoli beni quindi è calcolato in base al rilievo che essi assumono per l’attuazione dello scopo produttivo dell’impresa e quindi è possibile che beni immobili siano in posizione di accessorietà rispetto a beni mobili o a beni immateriali. Una distinzione che viene fatta tra i beni di una azienda è quella tra capitale fisso e capitale circolante. Il capitale fisso è formato da quei beni che hanno funzione strumentale nel processo produttivo e quindi hanno una destinazione duratura nel complesso aziendale (impianti, arredamenti, macchinari) mentre il capitale circolante è costituito da quei beni che sono destinati ad essere consumati nel processo produttivo (materie prime, merci, ecc).

121) Gli atti di disposizione dell’azienda - L’azienda può formare oggetto di disposizione così come possono formare oggetto di disposizione i singoli beni di cui essa si compone. Si ha disposizione

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dell’azienda ogni volta che per la continuazione dell’attività imprenditrice un altro soggetto dispone del complesso dei beni aziendali. In questo caso non si ha successione nell’impresa in quanto si configura la cessazione dell’attività imprenditrice da parte di un soggetto e inizio di tale attività di un altro soggetto per effetto rispettivamente della dismissione e dell’acquisto del complesso aziendale. Gli atti di disposizione dell’azienda sono soggetti sotto certi aspetti ad una disciplina giuridica propria in quanto possono ad esempio assumere rilievo a livello di concentrazione (se comportano l’acquisto di una posizione dominante sul mercato interno o su quello comunitario) o al livello delle relazioni industriali (e quindi richiedere una preventiva comunicazione ai sindacati ed un obbligo di esame congiunto con essi). Ciò naturalmente non esclude l’applicazione che riguardano i singoli beni di cui l’azienda si compone ma tali norme si applicano solo se non incompatibili con la disciplina propria dell’azienda. Principi particolari sono posti circa la prova e la pubblicità e circa gli effetti sostanziali dell’atto. Gli atti di trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto e iscritti nel registro delle imprese e tale requisito è richiesto ad probationem e non ab sustantiam e il valore della pubblicità resta quello tipico del registro delle imprese e cioè di pubblicità dichiarativa. Gli atti di trasferimento dell’azienda producono i seguenti effetti naturali : a) l’obbligo del cedente di astenersi da una attività imprenditrice idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta b) la successione da parte dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione facenti capo all’azienda. Naturalmente si tratta di effetti naturali che pertanto possono essere eliminati attraverso una apposita pattuizione tra le parti.

122) L’’obbligo di non concorrenza – Il divieto di concorrenza è posto a carico del venditore nei confronti dell’acquirente o del titolare dell’azienda nei confronti dell’usufruttuario o affittuario. Tale obbligo non è illimitato e pertanto in caso di alienazione è di cinque anni mentre in caso di usufrutto o affitto ha come limite la durata del contratto di usufrutto o di affitto e dal punto di vista spaziale si estende all’ambito territoriale nel quale sarebbe possibile una effettiva concorrenza. Trattandosi di un effetto naturale (che quindi ha fondamento nella legge e non nella volontà delle parti) il divieto di concorrenza sussiste sia nella vendita volontaria che in quella forzata o fallimentare e comporta che non possa esercitarsi una impresa idonea a determinare sviamento della clientela dell’azienda ceduta. La violazione del divieto comporta le conseguenze tipiche dell’inadempimento contrattuale: risarcimento del danno ed eventuale risoluzione del contratto.

123) Successione nei contratti - La successione ipso iure dei rapporti contrattuali riguarda i contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa che siano ancora in corso e che non abbiano carattere personale ( e quindi basati sull’intuitus personae) e si attua indipendentemente dal consenso o autorizzazione del contraente ceduto. Quest’ultimo ha tuttavia la facoltà di recedere dal contratto quando ricorra una giusta causa entro i tre mesi successivi alla notizia dell’alienazione. La dichiarazione di recesso ovviamente non ha l’effetto di impedire la successione dell’acquirente nel rapporto contrattuale ma solo di eliminarne gli effetti attraverso la recessione dal contratto da parte del contraente ceduto. La giusta causa ricorre ogniqualvolta per effetto della sostituzione dell’acquirente al venditore viene a determinarsi un mutamento nella situazione oggettiva tale che il contraente non avrebbe stipulato il contratto o lo avrebbe stipulato a condizioni diverse. La legge inoltre consente al contraente ceduto che eserciti il diritto di recesso anche la facoltà di chiedere il risarcimento del danno all’alienante.

124) Sorte dei debiti e dei crediti - Al trasferimento dell’azienda possono riconnettersi anche la cessione dei crediti o l’accollo dei debiti inerenti all’azienda stessa Tuttavia cessione e accollo non sono effetti legali (sia pure naturali) del trasferimento dell’azienda o del suo godimento ma sono conseguenza di una particolare pattuizione tra le parti al momento del trasferimento. Infatti anche se una parte della dottrina ha sostenuto la possibilità di far derivare dal trasferimento dell’azienda, come effetto legale (naturale) la cessione dei crediti ciò non è condivisibile in quanto manca una disposizione di legge che stabilisca ciò e quindi la cessione dei crediti non potendo basarsi sulla legge deve per forza basarsi sulla volontà delle parti. La legge infatti si limita a stabilire che non è necessaria la notificazione ai singoli debitori in quanto la cessione dei crediti, qualora sia pattuita, acquista efficacia nei confronti di terzi con l’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese

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fermo restando che il debitore è liberato se paga in buona fede all’alienante. Stessa cosa si può dire per i debiti in quanto non esiste una norma dalla quale possa desumersi come effetto naturale del trasferimento l’accollo dei debiti da parte dell’acquirente. La legge si limita a stabilire che qualora tra le parti intervenga un accollo lo stesso ha carattere cumulativo e non privativo e quindi l’alienante non è liberato ma è solidalmente responsabile con l’alienante per i debiti risultati dai libri contabili obbligatori. Vediamo quindi come la norma si disinteressa dal regolare i rapporti tra le parti preoccupandosi unicamente della posizione dei terzi. Infatti proprio a tutela dei terzi si impone all’acquirente la responsabilità alla quale si aggiunge la responsabilità dell’alienante qualunque siano i patti intervenuti tra le parti. Ne consegue che l’acquirente, pur in mancanza di accollo dei debiti è tenuto a pagare i creditori dell’alienante che si trovano nelle condizioni richieste dalla legge salvo il diritto di ripetizione verso quest’ultimo per le somme versate. Naturalmente questa responsabilità posta dalla legge può indurre l’acquirente all’accollo dei debiti ma tale accollo è comunque frutto di una volontà in questo senso e non conseguenza automatica del trasferimento dell’azienda. La responsabilità dell’acquirente disposta ex lege anche in mancanza di un patto di accollo è relativa ai debiti risultanti dai libri contabili obbligatori (anche se non regolarmente tenuti), dai rapporti di lavoro e dai debiti di imposta.

Parte SECONDA : LE SOCIETA’

Capitolo I – Concetti Generali

125) La società come forma di esercizio collettivo dell’impresa - società e comunione contrattuale- Nel sistema del codice vigente la società è una forma di esercizio collettivo dell’impresa e questo stretto collegamento tra società ed impresa ci fa comprendere come la società, pur nascendo da un contratto, non è mai soltanto un contratto. Essa è piuttosto una organizzazione di persone e beni per il raggiungimento di uno scopo produttivo, organizzazione che se non sempre costituisce una persona giuridica comunque assume una propria autonomia rispetto ai soci che la hanno creata e ai loro patrimoni. Esulano pertanto dal concetto di società così come è concepita nell’ordinamento vigente e rientrano invece nella disciplina della comunione, le forme di godimento collettivo di beni. La differenza tra società e comunione sta nel fatto che quest’ultima, anche quando si pone come comunione contrattuale, ha come oggetto il godimento dei beni secondo la loro destinazione economica mentre la società ha per oggetto l’esercizio di una attività economica a scopo speculativo. La società quindi è organizzazione attiva che si propone la realizzazione di un guadagno mentre la comunione è un organismo che si accontenta del godimento dei frutti. La legge quindi distingue espressamente tra comunione di azienda e società prevedendo la trasformazione di società di capitali in comunione di azienda e viceversa differenziando l’ipotesi in cui l’azienda è solo oggetto di godimento comune (perché ad esempio data in affitto ad altri) o invece strumento per l’esercizio in

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comune dell’impresa. Se invece, per effetto di successione ereditaria o di un acquisto in comune, una azienda viene ad avere più coeredi o co-acquirenti i quali non si limitano al suo godimento ma esercitano in comune una attività imprenditoriale, dalla comunione incidentale sorge la società. Per effetto dell’esercizio dell’attività speculativa in comune infatti viene a modificarsi il rapporto tra coeredi o co-acquirenti ed alla comunione incidentale viene a sostituirsi, sia pure tacitamente la società. Infatti il godimento di beni si può attuare in comune anche al di fuori di ogni vincolo contrattuale mentre l’esercizio di una impresa non può essere effettuato in comune se non in base ad un preciso accordo, sia esso tacito o espresso.

126) La comunione coniugale di impresa - Il criterio di differenziazione che abbiamo stabilito sopra tra società è comunione può essere messo in dubbio dall’esistenza di un fenomeno che si inserisce come intermedio tra società e comunione di godimento. Tale fenomeno è la comunione coniugale di impresa che è costituita dalle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio . Si tratta naturalmente di un fenomeno marginale che, presupponendo la gestione diretta e contemporanea di entrambi i coniugi, è configurabile solo nell’ambito della piccola impresa ma che pone qualche problema di interpretazione. E’ fuori dubbio tuttavia che la comunione coniugale di impresa non sia configurabile come società in quanto la legge regola la responsabilità patrimoniale di essa in maniera non conciliabile con quella prevista per la società semplice Infatti la legge prevede la possibilità dell’intervento del giudice e prevede che sui beni della comunione possano soddisfarsi anche i creditori per le obbligazioni contratte congiuntamente dei soci o assunte da uno solo di essi purchè nell’interesse della famiglia. Occorre rilevare che la comunione coniugale di impresa è un istituto che non appartiene al dritto patrimoniale come le società e le comunioni ma al diritto di famiglia e quindi risente di tale collocazione e quindi, in funzione dell’ambiente particolare in cui sorge, non sono applicabili ad essa i criteri posti dalla legge per disciplinare gli istituti di diritto patrimoniale. Infatti trattandosi di istituto di diritto familiare sono rilevanti il criterio di parità dei coniugi anche in ordine ai risultati economici che derivano dalla loro attività in comune e l’interesse della famiglia e questo spiega perché la legge preveda l’intervento del giudice a sanare i dissensi dei coniugi e il concorso sul patrimonio coniugale dei creditori il cui titolo è in funzione di obbligazioni assunte da entrambi i coniugi o da uno solo di essi nell’interesse della famiglia. In questo modo si spiega anche perché con riferimento alla impresa coniugale non siano utili i criteri posti per distinguere la società dalla comunione. Occorre però puntualizzare che di impresa coniugale può parlarsi solo in caso di attività economica esercitata di fatto da entrambi i coniugi e non quando la gestione in comune di una attività economica sia il frutto di un previo accordo contrattuale tra i coniugi stessi.

127) Le società di armamento - Nella categoria delle comunioni contrattuali di godimento va invece collocata la società di armamento. Oggetto di questa società è l’esercizio in comune della nave da parte dei comproprietari di essa. Il fatto che la società di armamento rientri nella comunione e non nella società è dimostrato dal fatto che la legge prevede che possano far parte della società di armamento solo i comproprietari e che la società di armamento possa essere costituita anche con deliberazione della sola maggioranza dei comproprietari che ha effetto anche per i comproprietari dissenzienti. Questa partecipazione automatica dei comproprietari dissenzienti può giustificarsi infatti solo in base ai principi della comunione che rendono vincolante per la minoranza dissenziente le deliberazioni prese dalla maggioranza nell’amministrazione della cosa comune. Ovviamente la società di armamento sussiste nell’aver per oggetto l’esercizio della nave ossia il godimento della cosa comune secondo la sua destinazione economica. Se invece l’esercizio della nave è un mezzo per l’esercizio di una attività imprenditrice allora viene a mancare ogni possibilità da parte della maggioranza di vincolare la minoranza dissenziente e nel caso in cui siano tutti d’accordo a gestire l’impresa accanto alla società di armamento sorge una società vera e propria la cui disciplina deve ricavarsi dal codice civile e non dal codice della navigazione. In sostanza le norme del codice di navigazione per la società di armamento e quelle del codice civile per le società hanno un ambito di applicazione diverso, riguardando le prime l’esercizio in comune di una nave e le seconde l’esercizio in comune di una impresa economica.

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128) Le società di professionisti – Sono abbastanza diffusi fenomeni di collaborazione stabile tra i professionisti nei quali pur rimanendo l’esercizio della professione un fatto individuale si mettono in comune i mezzi e i risultati e si creano tra i professionisti stessi fenomeni associativi nell’esercizio della professione. Questi fenomeni vengono definiti come società di professionisti ma non è possibile inquadrarli nella nozione di società configurata dal codice civile. Infatti non siamo in presenza di un fenomeno che utilizza il lavoro intellettuale dei soci per raggiungere un fine economico che rappresenta l’oggetto della società ma di un fenomeno in cui il lavoro intellettuale dei soci è l’oggetto esclusivo del fenomeno associativo che si realizza per l’esercizio in comune di una professione liberale. Si tratta certamente di un fenomeno diretto alla realizzazione di un risultato economico non conseguibile con l’esercizio individuale della professione ma tale risultato economico non è diverso da quello risultante dalla professione ma risulta solo incrementato dall’esercizio in comune che consente di conservare quella redditività e quel valore economico che potrebbero perdersi nell’esercizio individuale della professione. E’ chiaro quindi come la società di professionisti non può essere inquadrata, anche se parte autorevole della dottrina sostiene il contrario, nel fenomeno societario. Del resto basta pensare al fatto che la disciplina societaria assegna agli amministratori e non ai soci i poteri e le responsabilità relative all’esercizio dell’azione sociale mentre nelle società di professionisti il principio base è quello per cui chi esercita una professione intellettuale deve eseguire personalmente l’incarico assunto anche se può avvalersi, sotto la sua direzione e responsabilità, di aiutanti o sostituti, e deve ricevere un compenso adeguato all’importanza della sua professione. Tali principi non possono ovviamente essere salvi se alla società di professionisti applicassimo la disciplina della società che, in funzione della comunione di interessi patrimoniali, degrada la posizione dei singoli soci togliendo loro autonomia.

129) Le società consortili – Vedi quanto detto al punto 114)

130) Le società sportive - La legge impone a tutte le associazioni sportive che impiegano atleti professionisti la forma della società per azioni o della società a responsabilità limitata con alcune modificazioni nella disciplina sia per quanto riguarda la posizione dei soci che la struttura della società. Sotto il primo aspetto la legge impone che una quota degli utili non inferiore al dieci per cento sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnica. Sotto il secondo aspetto la legge stabilisce che al fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, al sistema dei controlli previsti dal codice civile si aggiungano altri controlli da parte di federazioni sportive delegate dal Coni. Inoltre in sede di costituzione è necessaria l’affiliazione ad una federazione sportiva nazionale riconosciuta dal Coni, condizione che costituisce un presupposto necessario per la costituzione della società e inoltre è necessario il deposito presso la federazione sportiva affiliante dell’atto costitutivo iscritto nel registro delle imprese in quanto senza di esso l’affiliazione non può produrre i suoi effetti e la società sportiva non può iniziare la sua attività.

131) Le cosiddette società occasionali - Non rientrano nella nozione legislativa di società le società occasionali, costituite cioè non per lo svolgimento in comune di un attività economica ma per il compimento in comune di un singolo atto. E’ evidente infatti che il compimento di un atto singolo non può equivalere all’esercizio di attività economica e che inoltre il collegamento nel nostro ordinamento della società all’impresa non consente di ricomprendere la società occasionale nell’ambito della nozione legislativa di società.

132) Società interne e società non manifeste- La società apparente - Le società interne sono quelle in cui l’oggetto della società si esaurisce nel regolamento dei rapporti tra soci (es. ripartizione delle spese di produzione) e che quindi non prevedono una azione esterna da parte della società. Dobbiamo ritenere che le società interne esulano dalla nozione di società dato che nel nostro ordinamento ha rilevanza essenziale come requisito della società l’esercizio in comune di una attività e che pertanto ad esse non sia applicabile la disciplina prevista dal codice per la società. Le società non manifeste (o occulte) sono quelle che pur proponendosi l’esercizio di una attività economica esterna, esercitano tale attività non sotto una ragione sociale ma sotto il nome di un socio o di un estraneo in modo tale che

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l’impresa si manifesta all’esterno come impresa individuale e non sociale. Le società non manifeste rientrano invece nel concetto di società in quanto l’art. 2247 cc non richiede espressamente la necessità di una azione sociale esterna e pertanto vi è società anche quando i soci esercitano l’attività in comune avvalendosi di una persona che svolge tale attività all’esterno sotto il proprio nome. Posto questo però sorge il problema dello sdoppiamento che si determina tra rapporti interni, dove l’impresa è sociale, e i rapporti esterni dove l’impresa è individuale. Il problema sorge naturalmente solo quando la società occulta diviene palese e quindi quando l’impresa che si presenta come individuale si rivela come impresa sociale al fine di stabilire se la responsabilità che grava sui soci per le obbligazioni della società nella società palese grava anche sui soci della società occulta quando questa si rivela. Il problema può essere risolto nel modo utilizzato per l’imprenditore occulto e quindi in base alla distinzione tra l’agire per mezzo di altri o l’agire sotto nome altrui. Ne deriva quindi che la società occulta occupa la stessa posizione dell’imprenditore occulto così come colui per mezzo del quale la società agisce occupa la stessa posizione dell’imprenditore palese cioè di prestanome. Con la conseguenza che quest’ultimo risponde nei confronti dei terzi ed è tenuto all’esecuzione delle obbligazioni assunte dalla società per suo tramite e ha diritto a rivalersi sulla società finchè essa rimane occulta mentre una volta che la società diventa palese essa può agire direttamente e può essere direttamente perseguita con la conseguenza che i soci saranno responsabili per le obbligazioni sociali e sarà possibile dichiarare il fallimento della società e in conseguenza anche quello dei soci. La società apparente si ha invece quando più soggetti che non sono legati da alcun contratto sociale operano all’esterno in modo tale da determinare nei terzi il convincimento che essi agiscano come soci con la conseguenza di determinare nei terzi stessi un legittimo affidamento sulla esistenza della società e sulla conseguente responsabilità dei soci apparenti. Tale figura però è difficilmente accettabile in quanto non può essere sufficiente l’opinione soggettiva dei terzi per far sorgere una società e del resto si porrebbero difficili problemi in quanto manca la possibilità di distinguere tra i terzi il cui affidamento può essere ritenuto ragionevole e quindi possano essere ritenuti in buona fede e i terzi che invece conoscano esattamente la inesistenza del rapporto sociale.

133) La nozione giuridica di società: elemento negoziale ed elemento organizzativo - Nel nostro ordinamento non esiste una società in generale ma esistono differenziati tipi di società che hanno in comune l’elemento negoziale, quello cioè di nascere da un contratto giuridico ma hanno un differente elemento organizzativo a seconda delle particolari caratteristiche che la loro organizzazione assume.

134) La società come contratto: principi generali - In via di principio quindi alla base della società sta un contratto e precisamente un contratto plurilaterale e pertanto come contratto il negozio costitutivo delle società è soggetto alla disciplina generale in tema di contratto per quanto riguarda la capacità delle parti, i requisiti, la interpretazione e gli effetti. Occorre però considerare che nella società le varie obbligazioni sono assunte dai soci in funzione del raggiungimento dello scopo prefisso e pertanto l’obbligazione di un socio non costituisce il corrispettivo della obbligazione degli altri ma insieme a queste il mezzo per la realizzazione dello scopo comune. Pertanto il socio non può rifiutare l’adempimento della propria obbligazione se non quando l’inadempimento dell’altro socio abbia determinato la impossibilità del raggiungimento dello scopo comune e nello stesso modo il contratto di società non viene meno per effetto dell’uscita di un socio se non quando per tale motivo sia compromesso lo scopo sociale. Nell’ambito dei contratti plurilaterali la società si caratterizza in base ai requisiti essenziali richiesti dall’art. 2247 che sono : a) il conferimento b) l’esercizio in comune di una attività economica c) la divisione degli utili.

135) a) il conferimento – La società non può esistere senza la costituzione di un fondo sociale . Infatti con la stipulazione del contratto di società ciascun contraente si obbliga a contribuire alla formazione di un fondo sociale mediante una prestazione di dare o di fare. Il fondo assolve pertanto alla funzione di permettere la formazione di un patrimonio della società indispensabile per lo svolgimento dell’attività in comune. Il fondo sociale è costituito mediante il conferimento dei soci e quindi non vi è contratto di società se i soci non conferiscono e non vi è acquisto della qualità di socio senza conferimento. Non è necessario che il conferimento sia in denaro in quanto possono essere conferiti

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crediti o altri beni, l’uso di questi o anche la propria attività lavorativa (una limitazione si può avere in base al tipo di società prescelto: es. nelle società per azioni è escluso che il conferimento possa consistere nella attività lavorativa del socio). Il conferimento deve essere determinato nel contratto per le società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, per azioni e a responsabilità limitata e in questo caso il socio è obbligato al conferimento assunto e solo a questo e quindi se i conferimenti risultano insufficienti o vanno perduti il socio non è tenuto a nuovi conferimenti. Se non viene stabilito nulla in merito il conferimento deve essere fatto in denaro e se nel contratto non vi sono elementi per la sua determinazione esso deve intendersi in parti uguali per tutti i soci. La natura della prestazione che costituisce oggetto del conferimento ovviamente determina la disciplina applicabile in mancanza di espressa disposizione. Quindi ad esempio se si conferisce la proprietà di una cosa la disciplina del conferimento sarà quella della vendita mentre se si conferisce un credito sarà quella della cessione dei crediti fatte salve le modificazioni derivanti dalle norme sulla società che prevalgono in caso di incompatibilità. Per i conferimenti in natura deve essere indicato nel contratto il valore ad essi attribuito o il modo di valutazione fermo restando che per le società di capitali è richiesta una perizia giurata che attesta l’effettivo valore del bene e per le società per azioni anche un controllo da parte degli amministratori. Nella società semplice la valutazione dei conferimenti non è espressamente richiesta e quindi se essa non viene fatta nel contratto la ripartizione degli utili e delle perdite deve farsi in parti uguali tra i soci.

b) l’esercizio in comune di una attività economica - Il secondo requisito richiesto è l’esercizio in comune di una attività economica e pertanto non rientrano nel contratto di società i contratti posti in essere per lo svolgimento in comune di una attività culturale o assistenziale anche se dai contratti stessi deriva l’obbligo di un conferimento e della creazione di un fondo comune o i contratti posti in essere per il godimento in comune di un bene. Infatti non è sufficiente che dal contratto derivino rapporti patrimoniali tra i soci ma occorre anche che l’oggetto della società abbia un contenuto economico. E’ anche necessario che l’attività economica sia esercitata in comune e comunanza dell’attività non è solo il fatto che il risultato viene perseguito congiuntamente ma anche comunanza della volontà dell’azione. E’ necessario quindi che nel momento deliberativo il socio abbia il potere di determinare l’attività; in caso contrario non si ha società anche se per le società per azioni la legge consente la creazione di partecipazioni sociali prive del diritto di voto.

c) La divisione degli utili – Terzo requisito essenziale per la società è la divisione degli utili e pertanto non sono società quei contratti associativi dove i risultati dell’attività economica sono devoluti a persone diverse dai soci (es. a scopo di beneficenza) Tale requisito deve però essere inteso nel senso che la attività economica da esercitare in comune deve avere almeno astrattamente la capacità di produrre nuova ricchezza e che gli incrementi prodotti siano necessariamente di spettanza dei soci. E’ necessario quindi che dall’esercizio collettivo della società consegua un utile e che a questo utile il socio partecipi comunque siano fissati i criteri e le modalità di partecipazione. Ne deriva che il risultato dell’attività sociale deve andare a beneficio di tutti i soci e non di alcuni soltanto anche se ciò non significa che tutti i soci debbano parteciparvi in uguale misura né che debba esistere necessariamente una proporzione tra conferimento e partecipazione agli utili. In generale il principio fondamentale è che la partecipazione agli utili sia proporzionata ai conferimenti ma il contratto sociale può stabilire diversamente fermo restando il divieto del patto leonino e cioè del patto per effetto del quale un socio sia escluso dalla partecipazione agli utili. Il divieto del patto leonino si estende anche al caso in cui la partecipazione del socio sia irrisoria o costituisca una pura possibilità essendo praticamente irrealizzabile.

138) La partecipazione alle perdite - Nella nozione legislativa del contratto di società non si parla della partecipazione del socio alle perdite ma essa può essere desunta da singole disposizioni come contropartita della partecipazione agli utili. La legge vieta espressamente la esclusione di un socio dalle partecipazioni alle perdite. Non si può pertanto dire che la partecipazione alle perdite sia elemento essenziale del contratto di società e si deve ritenere che il divieto del patto che esclude il socio dalla partecipazione alle perdite trovi il suo fondamento in ragioni di ordine morale o politico.

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139) Le società come organizzazioni: differenziazione in tipi - I tipi di società costituiscono un numero chiuso e quindi si deve ritenere che non possono crearsi tipi nuovi e non possono essere modificati o soppressi i caratteri che di ciascun tipo sono essenziali. La scelta del tipo è rimessa alla volontà delle parti con il solo limite che le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività commerciale devono costituirsi secondo il tipo delle società in nome collettivo, in accomandita (semplice o per azioni), a responsabilità limitata o per azioni e quindi non come società semplice (tranne per quello che riguarda il settore agricolo). Per le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività che non può essere classificata come commerciale se all’atto della costituzione i soci non manifestianola volontà di costituire la società secondo uno dei tipi previsti dalla legge abbiamo una società semplice. Se invece tale volontà sussiste la società è soggetta alla disciplina del tipo adottato purché siano stati posti in essere i requisiti formali richiesti per la sua costituzione (es. se si vuole costituire una società in nome collettivo non basta dichiararlo nell’atto costitutivo ma occorre procedere all’iscrizione). Per alcune categorie di imprese la legge richiede l’adozione di un determinato tipo (es. le assicurazioni private o l’attività bancaria può essere svolta solo dalle società per azioni o da società cooperative per azioni e pertanto se viene adottato un tipo diverso saranno applicabili le sanzioni amministrative previste tra le quali la liquidazione coatta amministrativa della società ma nessun problema sorge circa la validità della società).

140) Tipi di società e tipi di organizzazione - I diversi tipi di società si caratterizzano principalmente per l’organizzazione interna della società e per il diverso regime di responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. Può accadere che l’organizzazione giuridica sia simile pur essendo diversa la responsabilità dei soci o può essere diversa quando tale regime è simile (es. la società in nome collettivo e in accomandita semplice hanno una organizzazione giuridica simile ma un regime diverso di responsabilità mentre è diversa l’organizzazione giuridica delle società per azioni e delle società a responsabilità limitata che hanno invece un analogo regime di responsabilità dei soci). Il sistema del codice è basato sulla contrapposizione tra due modelli diversi, quello delle società di persone e quello delle società di capitali. Nel primo caso la società è organizzata giuridicamente in funzione della persona del socio, nel secondo in funzione della quota di partecipazione del socio. Nel primo caso la posizione del socio nella società (e quindi i suoi poteri e i suoi diritti) è attribuita in funzione della sua persona con la conseguenza che alcuni soci possono avere la stessa posizione pur avendo conferito apporti diversi. Nel secondo caso la posizione del socio nella società è attribuita in funzione della quota di partecipazione in modo tale che a quote di partecipazioni uguali corrispondono diritti e poteri uguali. In questo quadro occorre segnalare la particolare collocazione delle società a responsabilità limitata in quanto essa pur essendo inquadrata come società di capitali presenta una disciplina legale in gran parte derogabile permettendo ai soci di configurare una organizzazione in termini personalistici. Elemento distintivo tra i due tipi di società è il fatto che la personalità giuridica è riconosciuta alle società di capitali mentre è, almeno formalmente, negata per le società di persone.

141) Le società estere – Una posizione particolare assumono le società costituite all’estero. In linea di principio infatti la disciplina contenuta nel codice non è applicabile a tali società in quanto nel diritto internazionale privato si stabilisce che le società devono essere disciplinate dalle legge dello stato nel cui territorio sono state costituite. Tuttavia la legge stabilisce anche che se una società costituita all’estero opera stabilmente nel territorio dello stato non può sottrarsi del tutto alla disciplina posta dal codice per le società costituite nel territorio dello stato. Occorre quindi distinguere due ipotesi: a) la società costituita all’estero svolge essenzialmente la sua attività in Italia dove è posta la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale della società. In questo caso la legge assoggetta totalmente la società alla disciplina prevista per le società italiane b) la società costituita all’estero svolge parte della sua attività anche in Italia dove è costituita la sua sede secondaria. In questo caso la legge italiana riconosce la società anche se è stata costituita secondo un tipo che non è tra quelli previsti dal codice ma assoggetta tale società di tipo diverso alle norme previste per le società per azioni sia per quanto riguarda la pubblicità nel registro delle imprese che le responsabilità degli amministratori.

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142) La società europea - Per agevolare la cooperazione e l’attività transfrontaliera delle imprese nell’ambito della Unione Europea è stato adottato con regolamento Ce lo statuto della società europea, un nuovo tipo di società per azioni la cui utilizzazione è riservata alle imprese che operano in almeno due stati membri e la cui disciplina risulta da una combinazione tra norme di fonte comunitaria e norme dell’ordinamento dello stato dove la società pone la sua sede. Ciò naturalmente impedisce di qualificare la società europea come società solo di diritto europeo o solo di diritto nazionale. Si tratta ovviamente di un tipo di società che deve fungere da strumento volto ad agevolare la libertà di stabilimento consentendo la scelta dell’ordinamento dove si ritiene più conveniente porre la sede della società.

LE SOCIETA’ DI PERSONE

1) Concetti generali 143) Ambito della categoria e differenziazione dei vari tipi – La categoria delle società di persone comprende la società semplice, la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice. La società semplice è il tipo di società creato per l’esercizio di una attività qualificata dalla legge come non commerciale e quindi riservata alla società agricola. Infatti la società semplice potrebbe trovare applicazione al di fuori dell’agricoltura solo : a) nelle società occasionali se le considerassimo, cosa non possibile per i motivi sopra messi in luce come società b) alla piccola impresa qualora non si consideri come attività commerciale quella della piccola impresa (es. artigiani e piccoli commercianti). Ciò sarebbe possibile solo se ai fini di qualificare come commerciale una attività si avesse riferimento non solo la natura dell’attività ma anche la struttura organizzativa attraverso la quale essa si esplica. La società semplice si differenzia dalle altre società personali essenzialmente per il fatto che per essa non è prevista la pubblicità dichiarativa ma solo una forma di pubblicità notizia che si realizza attraverso l’iscrizione ad una sezione speciale del registro delle imprese. Se infatti l’ordinamento prevede la pubblicità dichiarativa per le sole imprese commerciali la mancata soggezione a tale pubblicità della società semplice si spiega con la non commercialità del suo oggetto anche se le imprese non commerciali possono volontariamente assoggettarsi a tale regime di pubblicità costituendosi secondo uno degli altri tipi di società personale. Per quanto riguarda il regime della responsabilità nella società semplice, attraverso un accordo nel contratto sociale, è possibile la limitazione della responsabilità per i soci che non agiscono che però

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deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei pena l’inopponibilità della stessa ai terzi che non ne avevano conoscenza. Ne deriva che nella società semplice tutti i soci possono essere solidalmente e illimitatamente responsabili (come nella società a nome collettivo) o solo i soci che agiscono possono essere solidalmente e illimitatamente responsabili (come nella società in accomandita semplice). La società in nome collettivo si caratterizza per il fatto che tutti i soci sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali in quanto un eventuale patto contrario non avrebbe effetto nei confronti dei terzi ma poiché ciò è possibile anche per la società semplice la differenza tra le due società deve essere trovato in altri due elementi, rispettivamente la commercialità dell’oggetto della società e la soggezione ad un regime di pubblicità dichiarativa. Infatti nel campo della attività commerciale (e al di fuori del settore agricolo) una società che si caratterizzi per la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è necessariamente una società in nome collettivo. D’altro canto abbiamo visto come una società che eserciti una attività non commerciale e sia caratterizzata dalla responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è una società in nome collettivo solo se siano rispettate tutte le formalità richieste dalla legge per la costituzione di questo tipo di società e pertanto una società non registrata che eserciti una attività non commerciale è una società semplice e non una società in nome collettivo irregolare. La società in accomandita semplice è caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci: i soci accomandatari che hanno responsabilità illimitata e solidale e i soci accomandanti che hanno responsabilità limitatamente alla quota conferita. Il diverso regime si spiega con il fatto che solo i primi hanno poteri di amministrazione (che invece nelle società semplici e nelle società in nome collettivo spettano a tutti i soci) mentre i secondi hanno solo potere di controllo essendo posto per essi il divieto di ingerirsi nella gestione della società (e nel caso di violazione di tale divieto anche su di essi incomberebbe una responsabilità illimitata e solidale). La società in accomandita semplice e quella per azioni non sono due aspetti di una unica società in quanto la prima costituisce una modificazione della società in nome collettivo, la seconda della società per azioni. 144) La partecipazione alla società : capacità e legittimazione – La partecipazione ad un contratto di società, di qualunque tipo, costituisce un atto di straordinaria amministrazione e pertanto non può essere compiuto dal rappresentante legale dell’incapace senza le necessarie autorizzazioni e neanche dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore. Tuttavia per quanto riguarda la partecipazione dell’incapace come socio illimitatamente responsabile in una società in nome collettivo o in accomandita semplice in considerazione dei particolari rischi connessi con una attività commerciale e con la responsabilità illimitata e solidale che grava sul socio, sono previsti controlli ancora più rigorosi e tale partecipazione è comunque subordinata al rispetto delle norme che regolano la capacità all’esercizio dell’impresa. In passato si dubitava che le persone giuridiche (in particolare le società per azioni e a responsabilità limitata) potessero partecipare come soci alle società personali ma ora tale problema è risolto in quanto la legge prevede espressamente che la partecipazione di una società per azioni in imprese che comportano una responsabilità illimitata deve essere deliberata dall’assemblea dei soci, il che può essere esteso, nel silenzio della legge, anche alle società a responsabilità limitata. Così come sembra risolto anche il problema relativo all’assunzione da parte della persona giuridica socia di una società di persone delle funzioni di amministratore. Infatti la legge prevede l’ipotesi per cui tutti i soci illimitatamente responsabili di una società in nome collettivo o in accomandita semplice siano società di capitali e quindi se si considera anche l’amministrazione in una società in accomandita semplice può essere affidata solo ai soci accomandatari è chiaro che ammettere una società in accomandita semplice nella quale tutti gli accomandatari siano società di capitali significa ammettere che la società di capitale può assumere funzione di amministratore anche nelle società in nome collettivo. 145) Esigenze di forma e pubblicità del contratto - Nelle società personali il contratto non è di per sé un contratto formale. Tuttavia per le società in nome collettivo e in accomandita semplice è prevista la redazione per iscritto dell’atto costitutivo ma ciò non è richiesto per esigenze di forma o di prova ma solo quale presupposto della pubblicità legale per cui la mancanza dell’atto scritto non comporta le conseguenze che si verifichino quando manchi il documento richiesto ab substantiam o ab

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probationem ma solo il verificarsi di quelle conseguenze che la legge fa derivare dalla mancata osservanza della pubblicità. La forma può essere richiesta per l’oggetto del conferimento se ad esempio si conferiscono beni immobili o diritti reali immobiliari ma in tal caso è richiesta per la validità del conferimento e non dell’intero contratto. Per le società in nome collettivo e in accomandita semplice la legge prescrive anche gli elementi che devono risultare dall’atto costitutivo e precisamente il nome della società, le persone degli amministratori e di coloro che hanno la rappresentanza della società, il nome dei soci e la loro responsabilità, i conferimenti di ciascun socio, le norme sulle ripartizione degli utili e la quota di ciascun socio nelle perdite. La incompletezza delle indicazioni però comporta solo che l’ufficio del registro delle imprese possa rifiutare l’iscrizione ma non la validità del contratto. La pubblicità del contratto si attua mediante il deposito per l’iscrizione presso il registro delle imprese dell’atto costitutivo ad opera degli amministratori e del notaio che ha sottoscritto l’atto entro trenta giorni dalla stipulazione. 146) Conseguenze della mancata iscrizione nel registro delle imprese: le società irregolari - Gli effetti della iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese sono quelli propri della pubblicità dichiarativa e quindi i fatti iscritti sono opponibili ai terzi sia se li conoscevano sia se non li conoscevano o non li potevano conoscere. La mancata iscrizione comporta invece i cosiddetti effetti negativi della pubblicità e quindi il fatto che il contenuto dell’atto costitutivo non è opponibile ai terzi a meno che non si dimostri che i terzi, pur in mancanza della pubblicità, ne erano comunque a conoscenza. Per la società di persone la mancata registrazione comporta la irregolarità. La irregolarità può essere iniziale e quindi dipendere dal fatto che sin dal momento della costituzione non si è provveduto alla iscrizione nel registro delle imprese o sopravvenuta e cioè dipendere dal fatto che una società inizialmente iscritta sia stata cancellata dal registro delle imprese pur continuando la sua attività. La irregolarità tuttavia non incide sul rapporto tra i soci che rimangono comunque vincolati dal contratto sociale che rimane valido per tutta la sua durata ma solo nei rapporti con i terzi per i quali si applicano le disposizioni stabilite in tema di società semplice con le seguenti eccezioni : a) rimane ferma per la società in nome collettivo la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci e per le società in accomandita semplice la responsabilità solidale e illimitata dei soci accomandatari b) il regime della rappresentanza. In sostanza quindi la legge equipara la posizione delle società che essendo soggette alla pubblicità dichiarativa non vi si attengono a quella delle società per le quali tale pubblicità non è richiesta ma tale equiparazione non è assoluta. Infatti per quanto riguarda la rappresentanza non si applicano i principi stabiliti per la società semplice e quindi si presume che la rappresentanza spetti a tutti i soci che agiscono per la società. Infatti spettando per legge il potere di amministrazione ad ogni socio e il potere di rappresentanza a ciascun socio amministratore le limitazioni al potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi a meno che non si dimostri che essi le conoscevano. Pertanto il terzo che contratta con una società irregolare non ha l’onere di accertare in base al contratto sociale il potere di rappresentanza del socio che agisce, obbligo che invece ha il terzo che contratta con una società semplice e tale differenza si giustifica perfettamente tenendo conto dei diversi principi che sussistono per l’ipotesi in cui sia prevista una pubblicità dichiarativa e quella in cui non lo sia. Così nella società in accomandita semplice la limitazione della responsabilità dei soci accomandanti permane ed è opponibile ai terzi anche se non è portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei in quanto la presenza dei soci accomandanti accanto agli accomandatari è una caratteristica essenziale di tale tipo di società mentre nella società semplice il patto di limitazione della responsabilità del socio è efficace solo se portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Anche tale differenza si giustifica si giustifica con il fatto che nell’accomandita irregolare il terzo sa dell’esistenza di soci con responsabilità limitata mentre chi contratta con una società semplice non sarebbe sufficientemente tutelato dato che il regime normale per tale tipo di società sarebbe quello della responsabilità solidale e illimitata di tutti i soci. Nella categoria delle società irregolari rientrano anche le cosiddette società di fatto che si formano senza stipulare un contratto sociale sulla base di un comportamento di fatto di più soggetti che creano un fondo comune per l’esercizio in comune di una attività commerciale al fine di dividerne gli utili.

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147) Modificazioni del contratto - Nelle società di persone per la modifica del contratto è richiesto il consenso di tutti i soci e pertanto il principio maggioritario è ammesso solo se espressamente previsto dal contratto e nei limiti in esso stabiliti. Tuttavia anche in questo caso è sicuramente sottratto al potere della maggioranza di modificare la posizione del socio nella società attraverso la soppressione o limitazione dei suoi diritti o attraverso l’imposizione di obblighi maggiori rispetto a quelli che derivano dal contratto stesso. Nelle società semplici le modificazioni del contratto devono essere (anche se è stata attuata la pubblicità notizia richiesta per tale tipo di società) portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei in quanto in mancanza di ciò esse non sono opponibili ai terzi che le abbiano ignorate senza loro colpa Nelle società in accomandita semplice e in nome collettivo (e nella società semplice che esercita attività agricola per la quale è prevista pubblicità dichiarativa) ogni modificazione del contratto deve essere iscritta nel registro delle imprese in quanto in mancanza di ciò la modifica è operativa nei rapporti tra i soci ma non è opponibile ai terzi a meno che non si provi che essi ne erano a conoscenza. Nei tre seguenti casi però l’iscrizione svolge un ruolo diverso rispetto al semplice criterio di opponibilità ai terzi a) primo caso: l’iscrizione ha efficacia costitutiva es. la decisione di trasformazione della società b) secondo caso ; l’iscrizione ha efficacia costitutiva e nello stesso tempo costituisce il momento iniziale del termine concesso al terzo per fare opposizione. Es. tutela dei creditori sociali. Nel caso di modificazioni che comportino restituzione ai soci degli apporti o parte di essa è dato ai creditori sociali diritto di opposizione in quanto attraverso la modificazione viene ridotto il complesso di beni sui quali possono soddisfarsi con preferenza. In tale caso dato il ruolo svolto dall’iscrizione la pubblicità legale non può essere sostituita dal fatto che i terzi abbiano avuto notizia della modificazione. C) Terza ipotesi : L’iscrizione opera solo al fine della decorrenza del termine per fare opposizione. Es. tutela dei creditori particolari dei soci. Nel caso in cui la modifica riguardi la proroga della società oltre il termine previsto per la sua durata questo impedisce al creditore particolar del socio di avere esecuzione immediata sulla quota del socio debitore e quindi al creditore viene riconosciuto un diritto di opposizione il cui momento iniziale per la decorrenza dei termini (tre mesi) è dato dall’iscrizione della modificazione. In tal caso però la modificazione è subito operativa ma in mancanza della pubblicità legale non inizia la decorrenza del termine per l’opposizione e quindi il creditore può richiedere anche successivamente la liquidazione della quota del socio debitore. Si deve comunque notare che sono diversi gli effetti dell’opposizione concessa ai creditori sociali e ai creditori particolari del socio: la prima infatti sospende l’effetto della modificazione a meno che il creditore non sia soddisfatto in altro modo mentre la seconda comporta solo, in caso di accoglimento, l’obbligo della società di liquidare la quota del socio debitore. Inoltre il creditore sociale può opporsi alla riduzione del capitale anche quando non vi sia per lui un pregiudizio ed è sufficiente per impedire la modificazione un atto stragiudiziale, l’opposizione del creditore particolare presuppone la dimostrazione della mancanza di altri beni su cui il creditore può soddisfarsi e deve essere proposta tramite domanda giudiziale. La proroga della società può effettuarsi anche per effetto della continuazione di fatto da parte dei soci dopo la scadenza del termine e in tal caso la società si suppone prorogata a tempo indeterminato. Viene pertanto riconosciuto al socio il diritto di recesso e al creditore del socio della società in nome collettivo e in accomandita semplice il diritto di chiedere la liquidazione della quota come spetta al creditore particolare del socio della società semplice. 2) L’ordinamento sociale 148) La società come comunione unificata - La costituzione della società determina una situazione giuridica particolare per i soggetti che ne fanno parte e per i beni che costituiscono il conferimento. Per quanto riguarda il primo aspetto vi è una unificazione nella collettività dei soci attraverso l’attribuzione alla società di un nome (ragione sociale) e con la indisponibilità da parte del singolo socio dei beni conferiti. Per quanto riguarda il secondo aspetto il complesso dei beni conferiti gode di una autonomia patrimoniale nel senso che essi sono indisponibili per il singolo socio e nel senso che viene imposto un ordine rigoroso ai creditori sociali nella scelta dei beni attraverso i quali realizzare i propri crediti. Questa unificazione dei soci nella collettività e questa autonomia patrimoniale dei beni non possono però trovare il loro fondamento nel riconoscimento alla società della personalità giuridica dato che è espresso il divieto del legislatore di conferire personalità giuridica alla società di

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persone e pertanto tale fondamento deve essere trovato altrove e precisamente nelle regole che stanno alla base della comunione. Occorre però precisare che la comunione relativa alla società di persone è una comunione contrattuale, che cioè trova la sua fonte nel contratto, e non è una comunione di godimento di beni ma una comunione di beni in vista della realizzazione di uno scopo. Infatti i soci di una società personale attraverso la costituzione di un fondo comune si propongono la realizzazione di uno scopo comune che presuppone una permanente destinazione dei beni allo scopo e quindi una unificazione dei soggetti e dei beni in vista della realizzazione dello scopo stesso. E’ proprio dalla destinazione dei beni allo scopo che dipende la limitazione dei diritti dei soci e dei loro creditori particolari sui beni stessi fin che lo scopo non sia stato realizzato e la particolare disciplina per i diritti dei creditori sociali per la realizzazione dei loro crediti sui beni particolari dei soci. Tale destinazione determina inoltre una autonomia dei beni sociali che vengono posti a garanzia delle obbligazioni assunte dalla società per la realizzazione dello scopo sottraendoli quindi alla disponibilità del socio e all’azione dei creditori particolari dei soci. 149) Conseguenze in ordine alla responsabilità personale del socio e all’acquisto della qualità di imprenditore - La negazione della personalità giuridica alla società di persone dovrebbe portare a ritenere che la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali incomba su di essi nella loro qualità di obbligati e che si tratti quindi di una responsabilità diretta e principale e anche a ritenere che la qualifica di imprenditore spetti ai soci sia pure congiuntamente. Tuttavia tale soluzione non è condivisibile. Infatti dalla concreta disciplina della società di persone si rileva che la responsabilità personale del socio per le obbligazioni sociali non si pone sullo stesso piano di quella che incombe sulla collettività. Infatti la legge stabilisce che i creditori sociali trovano il loro soddisfacimento sul patrimonio sociale e che la responsabilità personale del socio si aggiunge a quella della società e inoltre che l’azione nei confronti dei soci non può essere proposta se non dopo la preventiva escussione del patrimonio sociale. Siamo quindi di fronte ad una responsabilità diretta ma sussidiaria che si pone su un piano subordinato rispetto a quella che sul socio incombe come membro della collettività. Per quanto riguarda il secondo problema occorre dire che l’attività sociale è attività della collettività e non attività personale del socio e pertanto al gruppo e non al socio compete la qualifica di imprenditore. Il socio tuttavia come membro del gruppo partecipa all’attività imprenditrice assumendone le obbligazioni e si pone quindi come co-imprenditore. Ciò spiega perché pur non essendo il socio imprenditore nei suoi confronti si applichino alcune norme dettate per l’impresa (es. in ordine alle norme che regolano la capacità all’esercizio dell’impresa) o si determinano alcune conseguenze che derivano dall’esercizio dell’impresa (fallimento del socio illimitatamente responsabile). 150) I creditori particolari del socio - Il fatto che i beni conferiti siano destinati al raggiungimento dello scopo sociale opera nei confronti del socio con l’impedimento di ogni potere di disposizione su di essi e sui creditori personali del socio che non possono sottrarre tali beni alla loro destinazione. L’azione del creditore particolare del socio può esercitarsi quindi finchè dura la società sulla quota utili di spettanza del socio e dopo la fine della società sulla quota di liquidazione mentre prima di tale momento gli è consentito solo il compimento di atti conservativi su di essa. Il principio è affermato dalla legge in maniera assoluta per le società in nome collettivo ed in accomandita semplice ma per la società semplice è ammesso un temperamento in quanto nell’ipotesi in cui i beni personali del socio siano insufficienti i suoi creditori particolari possono chiedere in ogni tempo e quindi prima del raggiungimento dello scopo o del termine della durata la liquidazione della sua quota. Il diritto di chiedere la liquidazione della quota spetta anche ai creditori personali dei soci di una società in accomandita semplice o in nome collettivo irregolare e nell’ipotesi di proroga della società (in caso di proroga tacita sempre, in caso di proroga espressa entro tre mesi dalla pubblicazione della deliberazione di proroga mediante opposizione alla deliberazione in via giudiziale). 151) La responsabilità personale dei soci a) fondamento e caratteri - Nelle società di persone i soci che operano sono necessariamente responsabili nei confronti dei terzi e ogni diverso patto assunto nel contratto sociale non è efficace rispetto ad essi. Questo principio vale per la società semplice come

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per la società in accomandita (dove il compimento di atti di amministrazione da parte del socio assume accomandante, per l quale la responsabilità è esclusa nel contratto sociale, comporta assunzione di responsabilità illimitata e solidale nei confronti dei terzi). Per i soci che non operano la responsabilità sussiste solo nella società in nome collettivo o quando i soci non abbiano escluso tale responsabilità nel contratto sociale. Per la società in accomandita semplice è anzi caratteristica la contemporanea esistenza di due categorie di soci delle quali una sola è responsabile per le obbligazioni sociali. Tuttavia la esclusione della responsabilità per i soci della società semplice che non operano prevista nel contratto sociale non è opponibile ai terzi se non quando sia stata portata a loro conoscenza con mezzi idonei o i terzi ne abbiano comunque avuto conoscenza (ad eccezione della società semplice agricola per la quale è richiesta pubblicità dichiarativa. Tale conoscenza è riconosciuta ex lege nel caso in cui i terzi abbiano contrattato con una società in accomandita semplice dato che è caratteristica di tale società la presenza di una categoria di soci che non risponde personalmente delle obbligazioni sociali. La responsabilità quando non è esclusa sussiste per tutte le obbligazioni sociali in qualunque tempo sorte e quindi chi entra a far parte di una società già costituita risponde insieme agli altri soci anche per le obbligazioni assunte prima del suo ingresso. Solo nella società semplice è possibile una limitazione della responsabilità alle obbligazioni successive purchè sia attuata la pubblicità richiesta e a condizione che il nuovo socio non agisca in nome e per conto della società. La responsabilità permane anche dopo l’uscita del socio dalla società per le obbligazioni assunte durante il periodo in cui il socio ne faceva parte. 152) continua b)obbligo di conferimento e responsabilità - Anche nelle società di persone per le obbligazioni sociali risponde in primo luogo il fondo sociale formato con i conferimenti in quanto la responsabilità del socio ha carattere sussidiario e quindi subentra solo se il fondo è i insufficiente. Occorre quindi distinguere la responsabilità del socio dalla sua obbligazione al conferimento. L’assunzione di un obbligo al conferimento è presupposto fondamentale per acquistare il carattere di socio mentre la responsabilità è la conseguenza, necessaria o eventuale a seconda del tipo di società, di tale partecipazione. L’obbligazione di conferimento si pone nei confronti degli altri soci mentre la responsabilità del socio sussiste nei confronti dei terzi per il solo fatto che la società ha agito anche se il contratto di società è nullo o è rimasto inadempiuto. Possiamo quindi dire che l’obbligazione al conferimento sorge sulla base del contratto mentre la responsabilità del socio sorge ex lege per il solo fatto che se ne sono verificati i presupposti. 153) continua -. Responsabilità della società e responsabilità del socio - Il carattere sussidiario della responsabilità del socio si afferma in modo diverso nella società semplice rispetto alla società in nome collettivo e in accomandita semplice. Mentre nella società in nome collettivo e in accomandita semplice la preventiva escussione del fondo sociale è condizione di procedibilità da parte del creditore nei confronti del socio e l’onere della prova dell’insufficienza del fondo sociale grava sul creditore che agisce, nella società semplice il creditore può agire subito nei confronti del socio ma questo, in sede di eccezione, può paralizzare l’azione del creditore attraverso l’indicazione dei beni della società sui quali il creditore può soddisfarsi. Dal punto di vista sostanziale non vi sono differenze in quanto non subentra la responsabilità del socio finchè può rispondere il patrimonio sociale ma dal punto di vista processuale esiste una differenza. Infatti per la società in nome collettivo e in accomandita semplice l’onere della prova dell’insufficienza del patrimonio sociale spetta al creditore, nella società semplice è sul socio che grava l’onere della prova della sufficienza del fondo stesso. 154) La posizione del socio e la quota sociale - Per individuare la posizione soggettiva che compete al socio per il fatto di partecipare alla società occorre ricordare che in conseguenza della costituzione della società si realizza una comunione d impresa. La legge segue normalmente il criterio del proporzionamento del rischio per cui i poteri sociali e i diritti patrimoniali del socio sono proporzionati alla quota sociale, ossia la quota parte conferita dal socio del patrimonio sociale. La quota sociale è una entità patrimoniale in quanto rappresenta una quota del patrimonio sociale ma è anche una entità dinamica e non statica in quanto il suo valore economico è in funzione dell’attività esercitata dalla società e dei risultati stessi di tale attività e pertanto può essere considerata come

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quota di partecipazione al capitale di rischio.. Elementi caratterizzanti della posizione del socio sono quindi iniziativa e rischio, gli stessi elementi che caratterizzano la posizione dell’imprenditore, con la differenza che nella comunione di impresa tali elementi sono posizionati sul gruppo e soltanto pro-quota sui singoli soci in funzione dell’ordinamento stesso che la società si è dato. Il potere di iniziativa non è il potere di amministrazione ma il potere di contribuire a stabilire le norme che devono disciplinare l’attribuzione dei poteri nella società. Il potere di amministrazione è infatti una posizione derivata dall’ordinamento del gruppo attraverso l’esercizio da parte dei soci del potere di iniziativa. Infatti mentre il potere di iniziativa compete a tutti i soci il potere di amministrazione può essere conferito per legge ad una sola categoria di soci (come avviene nella società in accomandita semplice) o può essere conferito sulla base del contratto ad un singolo socio o ad alcuni soci. Il fatto che il potere di amministrazione sia un potere derivato è dimostrato anche dal fatto che è l’ordinamento sociale a stabilire le modalità in cui tale potere deve essere esercitato, se congiuntamente o disgiuntamente e dal fatto che al potere di amministrazione da parte dei soci amministratori corrisponde un potere di controllo da parte dei soci non amministratori. Anche il rischio (come posizione individuale del socio) si individua in base all’ordinamento del gruppo infatti non solo accanto a soci illimitatamente responsabili vi possono essere soci limitatamente responsabili ma la partecipazione agli utili alle perdite, se generalmente è proporzionata alla quota sociale, può anche non esserlo con l’unico limite posto dalla legge del divieto del patto leonino. Per quanto riguarda i diritti patrimoniali il socio, finchè dura la società, non ha alcun diritto sul patrimonio sociale che è destinato all’esercizio della società e pertanto essi sono configurabili in un diritto agli utili ed un diritto alla quota di liquidazione. Nella società di persone il diritto agli utili scaturisce direttamente dall’approvazione del rendiconto che accerta il conseguimento di utili (e non è quindi necessaria una successiva determinazione come avviene per le società di capitali). Il socio è quindi tenuto alla restituzione degli utili percepiti se gli utili emersi nel rendiconto risultato fittizi (ad eccezione dei soci accomandanti che non sono tenuti alla ripetizione degli utili percepiti in buona fede)- Gli utili spettanti al socio sono in genere proporzionali alla quota sociale ma nel contratto può essere stabilito diversamente con il solo limite del divieto del patto leonino. Se il valore dei conferimenti non è precisato nel contratto sociale le quote di utili si presumono uguali. Per quanto riguarda il socio d’opera se nel contratto non è definito il valore del conferimento e non è determinata la partecipazione agli utili la legge prevede che essa possa essere stabilita dal giudice secondo equità. Sul socio non incombe invece obbligo di collaborazione con la sola eccezione del divieto di concorrenza operante per le società che esercitano attività commerciali, e cioè il divieto di esercitare per conto proprio una attività concorrente a quella della società o di partecipare come socio illimitatamente responsabile ad una società concorrente. Tale divieto può essere però eliminato con il consenso espresso o tacito degli altri soci. L’inosservanza del divieto comporta il risarcimento del danno alla società e può comportare in casi gravi anche la esclusione del socio, (se il socio è anche amministratore costituisce giusta causa della revoca). 155) L’organizzazione sociale: fondamento e caratteri - Nelle società di persone l’organizzazione della società non è rigidamente determinata ma lasciata sostanzialmente alla libera determinazione dei soci. Infatti in queste società non esistono organi ma è semplicemente prevista la contrapposizione tra amministratori e soci dove i primi possono compiere tutti gli atti necessari per il raggiungimento dello scopo sociale e i secondi possono, con il consenso di tutti, modificare l’atto costitutivo. Nelle società di persone non sono previste le formalità richieste per la validità della costituzione e deliberazione dell’assemblea nelle società di capitali. Inoltre anche quando la legge parla di deliberazione dei soci per le quali è richiesto il consenso di tutti i soci (es. modificazione dell’atto costitutivo) non fa riferimento ad una manifestazione di volontà da parte di un organo collegiale ma ad una pluralità di soci ed alla somma delle volontà da questi manifestati. Ovviamente può accadere che l’atto costitutivo possa prevedere che il consenso dei soci sia dato in una assemblea nella quale si debbano seguire determinate modalità per la convocazione e la deliberazione ma anche in questo caso non siamo di fronte ad un vero e proprio organo della società ma solo alla previsione che la manifestazione di volontà dei soci debba assumere una determinata forma. Gli amministratori sono le persone nominate nel contratto o quelle a cui, in mancanza, il potere viene attribuito dalla legge. La legge fissa solo il principio della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali per i soci che amministrano, dal che

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deriva che nelle società in accomandita semplice l’amministrazione possa essere attribuita solo ai soci accomandatari. Per il resto in tema di amministrazione è decisiva la volontà dei soci espressa nell’atto costitutivo e la disciplina legale potrà essere applicata solo in mancanza di una disciplina contrattuale. Per le società in accomandita semplice occorre rilevare che la legge vieta ai soci accomandanti il compimento di atti di amministrazione sia interna che esterna prevedendo solo che per quanto riguarda l’attività esterna il socio accomandante possa compiere singoli atti sulla base di una procura speciale sotto la direzione degli amministratori. Ne deriva pertanto che l’esercizio del potere di amministrazione spetta esclusivamente agli accomandatari che, per alcuni atti di amministrazione esterna, possono avvalersi della collaborazione degli accomandanti ma solo sulla base di un rapporto di subordinazione. Pertanto è vietato al socio accomandante ogni atto che comporti una sostituzione agli accomandatari nel potere di gestione mentre è consentito una sostituzione nel potere di rappresentanza, per singoli affari, in virtù di un apposito conferimento di poteri e sotto la direzione dei soci accomandatari. Ogni eventuale clausola dell’atto costitutivo che consentisse agli accomandanti una ingerenza maggiore di quella prevista dalla legge sarebbe nulla. Se il principio posto dalla legge non può essere modificato attraverso una clausola dell’atto costitutivo è ovvio che non può essere modificato neanche con l’assenso dei soci e quindi in nessun modo i soci accomandatari possono consentire ai soci accomandanti una ingerenza maggiore di quella prevista dalla legge. L’ingerenza dell’accomandante nell’aministrazione comporta per legge la responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali (anche per quelle sorte prima dell’atto di ingerenza) e la possibilità di una sua esclusione dalla società. La legge si applica sia se l’ingerenza è attuata contro la volontà degli accomandatari sia con il loro consenso, sia se si è attuata intenzionalmente che inconsapevolmente. La disciplina prevista dalla legge è quindi particolarmente severa e ciò si giustifica con il fatto che essa non è posta a tutela dei terzi (che grazie alla pubblicità legale sono in grado di individuare la posizione del socio che agisce) ma per evitare che sia alterata la natura della accomandita. Infatti se il potere di amministrazione potesse essere riconosciuto in qualche modo anche ai soci accomandanti l’accomandita si trasformerebbe in una società in nome collettivo in cui alcuni dei soci avrebbero però responsabilità limitata e la legge intende appunto impedire ciò eliminando la limitazione della responsabilità. 156) Nomina e cessazione degli amministratori – Il potere di amministrazione è un potere derivato in quanto conseguente alla attribuzione fatta dai soci nel contratto sociale. Se l’atto costitutivo non dispone nulla in proposito il potere di amministrazione spetta per legge a tutti i soci illimitatamente responsabili, in caso contrario o la nomina è contenuta nello stesso atto costitutivo o in questo sono contenute le norme per la nomina degli amministratori stessi. La legge non regola neanche la cessazione e sostituzione degli amministratori limitandosi a dettare alcune norme in relazione alla revoca, per la quale dobbiamo distinguere tre ipotesi: a) se in assenza di statuizioni nell’atto costitutivo il potere di amministrazione spetta a tutti i soci illimitatamente responsabili il potere di amministrazione del socio singolo non può venire meno se non per uscita dal socio dalla società o per modifica dell’atto costitutivo e la revoca del potere di amministrazione può avvenire solo per giusta causa. b)Se l’atto costitutivo contiene la nomina degli amministratori la legge dispone che l’amministratore può essere revocato solo per giusta causa. c) se l’amministratore è nominato con atto separato può essere revocato secondo le norme sul mandato e quindi in qualunque tempo solo che se essa viene disposta senza giusta causa o senza giusto preavviso ha diritto al risarcimento del danno. Per quanto riguarda le società in accomandita semplice la legge dispone che se l’amministratore è nominato con atto separato (e l’atto costitutivo non dispone al riguardo) per la nomina dell’amministratore è necessario il consenso dei soci accomandatari e l’approvazione dei soci accomandanti che rappresentano la maggioranza del capitale da loro sottoscritto. La stessa modalità è richiesta in questo tipo di società anche per la revoca dell’amministratore. 157) Particolari problemi in ordine alla nomina e revoca degli amministratori - Il primo problema che dobbiamo porci è se può essere nominato amministratore un non socio. In mancanza di una espressa disposizione di legge che lo vieti non possiamo escludere tale possibilità (ad eccezione della società in accomandita semplice dove gli amministratori possono essere solo soci illimitatamente responsabili).

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Un altro problema rilevante riguarda le modalità con cui la revoca può essere effettuata. In mancanza di espresse disposizioni di legge in proposito potremmo dire che, se l’atto costitutivo non dispone diversamente, la revoca, salvo il caso di giusta causa, preveda il consenso di tutti coloro che il potere stesso hanno conferito. Nulla vieta però che nell’atto costitutivo si stabilisca che la revoca possa essere operata con il consenso della maggioranza dei soci. Se invece esiste una giusta causa la revoca dell’amministratore può essere richiesta dal ciascun socio ma in tal caso è necessario anche l’accertamento giudiziale della esistenza di tale giusta causa. 158) Le modalità di esercizio del potere di amministrazione - Essendo il potere di amministrazione connaturato alla posizione di socio illimitatamente responsabile, la legge prevede, che salva diversa pattuizione, il potere di amministrazione spetti ad ogni socio illimitatamente responsabile disgiuntamente dagli altri. L’atto costitutivo può però stabilire diversamente e quindi attribuire il potere a tutti o alcuni dei soci congiuntamente tra di loro o stabilire che per alcuni atti il potere spetti a tutti o alcuni disgiuntamente e congiuntamente per gli altri o alla maggioranza per altri ancora. La legge prevede alcune ipotesi che valgono quando l’atto costitutivo non disciplini al proposito. Nel caso di amministrazione disgiuntiva la legge attribuisce a ciascuno dei soci amministratori la facoltà di opporsi alle operazioni che un altro socio amministratore intende compiere lasciando alla maggioranza dei soci la decisione sulla opposizione. Nel caso di amministrazione congiuntiva la legge prevede che in casi urgenti e al fine di evitare un danno alla società, qualora gli altri amministratori non possano essere sentiti preventivamente un singolo amministratore possa compiere da solo gli atti di amministrazione. Nel caso in cui il potere di amministrazione sia attribuito alla maggioranza dei soci la legge prevede che qualora tale maggioranza non sia precisata nell’atto costitutivo debba essere calcolata per quote di interesse e quindi in relazione alla parte che ciascun socio ha negli utili 159) Posizione giuridica degli amministratori – La posizione degli amministratori è equiparata a quella dei mandatari dei quali hanno diritti ed obblighi. Ne deriva un diritto dell’amministratore ad un compenso e il suo diritto a rinunciare all’incarico anche se assunto a tempo determinato. Gli amministratori devono esercitare le loro funzioni personalmente, usando nel loro espletamento la diligenza media ed adempiere agli obblighi derivanti dalla legge e dal contratto. 160) Responsabilità degli amministratori - In caso di violazione dei loro obblighi la legge prevede che gli amministratori rispondano solidalmente nei confronti della società a meno che non dimostrino di essere esenti da colpa. Si tratta di una norma prevista per le società di capitali la cui estensione alla società di persone solleva qualche dubbio. Infatti una responsabilità solidale si giustifica quando l’amministrazione si attua collegialmente o congiuntamente e quindi non ha molto senso nelle società di persone dove l’ipotesi normale è quella dell’amministrazione disgiuntiva e inoltre quando generalmente il potere di amministrazione spetta a tutti i soci illimitatamente responsabili la portata pratica della norma si rivela nulla in quanto su tutti i soci verrebbero a ricadere le conseguenze della cattiva amministrazione della società. La norma ha quindi portata pratica quando l’amministrazione viene conferita ad alcuni soci ( e non a tutti) e nelle ipotesi in cui si tratti di escludere la responsabilità di un singolo amministratore in quanto esente da colpa. Analogamente a quanto previsto per le società di capitali la responsabilità è nei confronti della società ma la legge non spiega come e in quale modo la società possa farla valere. Infatti si deve escludere che a proporre l’azione siano gli stessi amministratori o la collettività dei soci in quanto la legge non prevede una manifestazione di volontà della collettività dei soci, né è stabilito quali soci debbano parteciparvi (tutti i soci o tutti esclusi gli amministratori?) e quale maggioranza sia necessaria. Si deve quindi interpretare la norma nel senso che l’azione spetti al socio, non inteso come singolo, ma come membro della collettività danneggiata dalla cattiva amministrazione. Accanto alle responsabilità civili sono previste per gli amministratori anche responsabilità penali o amministrative in caso di violazione dei loro obblighi. 161) I poteri dei soci non amministratori – poteri - Mancando nelle società di persone l’organo dell’assemblea dei soci, il controllo sull’amministrazione è attribuito ai soci che non amministrano ai quali è attribuito il diritto di avere notizie sullo svolgimento dell’amministrazione, di consultare i

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relativi documenti e (per le società che hanno tale obbligo) le scritture contabili e inoltre di avere il rendiconto alla fine di ogni esercizio sociale. Il diritto di informazione e controllo è un diritto personale del socio che lo stesso può esercitare singolarmente ma al quale ,come diritto riconosciuto dalla legge nel suo interesse, l socio può preventivamente rinunciare. In particolare per le società in accomandita semplice la legge prevede un potere di controllo sugli amministratori sia da parte dei soci accomandanti che da parte degli eventuali soci accomandatari non amministratori. Tuttavia mentre gli accomandanti non amministratori possono esercitare un controllo continuo gli accomandanti per legge possono esercitare solo un controllo alla fine dell’esercizio sociale sul bilancio e sul conto economico. E’ vero anche che l’atto costitutivo può ampliare i poteri dei soci accomandanti consentendo loro, individualmente o collegialmente di esercitare atti di ispezione o di sorveglianza.

162) La società nei confronti dei terzi: la ragione sociale e la sede della società – Nei rapporti con i terzi l’azione della società si presenta come azione unitaria di gruppo e pertanto deve attuarsi sotto una ragione sociale, e cioè un nome adatto a far individuare il gruppo sociale cui l’azione si riferisce e al quale gli effetti di esa vanno imputati. Pertanto la legge prevede l’uso della ragione sociale per le società in nome collettivo e in accomandita semplice ma si ritiene che la norma si riferisca anche alla società semplice. La ragione sociale deve contenere almeno il nome di uno dei soci (e per la società in accomandita semplice di almeno uno dei soci accomandatari) seguito dall’indicazione del tipo di società (snc o sas). Per la società in accomandita semplice l’inserimento nella ragione sociale del nome di un socio accomandante non comporta irregolarità nella ragione sociale ma comporta l’acquisizione da parte del socio della responsabilità illimitata e solidale in quanto la legge prevede che neppure con il consenso degli altri soci possano essere assunti i diritti e i poteri riservanti agli accomandatari senza assumerne anche la relativa responsabilità. La legge permette però la facoltà di conservare nella ragione sociale il nome del socio o dell’accomandatario receduto o defunto. La legge quindi , in analogia con la norma che consente il trasferimento della ditta in caso di trasferimento di azienda inter vivos consente la conservazione della ragione sociale quando questa è un elemento dell’avviamento e tale conservazione non crea pericoli di confusione grazie al sistema di pubblicità del registro delle imprese. Per quanto riguarda la sede per le società in nome collettivo e in accomandita semplice essa deve essere indicata nell’atto costitutivo insieme alle eventuali sedi secondarie. Per queste ultime devono essere attuate anche particolari forme di pubblicità, la mancata attuazione delle quali non determina una situazione di irregolarità ma l’applicazione di sanzioni amministrative oltre agli effetti negativi della pubblicità dichiarativa.

163) continua . il potere di rappresentanza – Anche per il potere di rappresentanza come per quello di amministrazione è decisiva la volontà dei soci manifestata nell’atto costitutivo e la disciplina legale ha solo valore suppletivo. Pertanto nelle società di persone, a meno che l’atto costitutivo non decida altrimenti, il potere di rappresentanza della società spetta ai soci amministratori che lo eserciteranno congiuntamente o disgiuntamente a seconda del modo in cui viene esercitata l’amministrazione. L’atto costitutivo può però decidere diversamente affidando la rappresentanza solo ad alcuni amministratori, per alcuni tipi di atti o per tutti, o decidendo per una rappresentanza congiunta. E’ onere del terzo che tratta con la società accertare se colui con cui tratta ha il potere di vincolare la società (solo nella società irregolare il potere di rappresentanza in capo al socio è presunta). Tuttavia nelle società soggette a pubblicità dichiarativa (sas snc e società semplici che esercitano attività agricola) i patti che limitano la rappresentanza sono opponibili ai terzi solo se Il sono pubblicati o si prova che i terzi ne erano a conoscenza. Analogo principio si applica per le limitazioni successive della rappresentanza. Nelle società semplici soggetti a sola pubblicità notizia le limitazioni della rappresentanza sono opponibili ai terzi solo se sono state portate a loro conoscenza con mezzi idonei e in caso contrario sono opponibili solo se si prova che i terzi le conoscevano.

3) Scioglimento del rapporto sociale rispetto ad un socio

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164) Influenza delle vicende personali del socio sul contratto di società - Nella società di persone composte da più di due soci lo scioglimento del rapporto sociale con un singolo socio non comporta lo scioglimento della società a meno che esso non renda impossibile la esecuzione del contratto sociale. Si applica quindi alla società di persone composte da più di due soci la disciplina tipica dei contratti plurilaterali, mentre nelle società composte da due soli soci lo scioglimento del rapporto con uno di essi comporta, a norma del codice civile, lo scioglimento della società a meno che la pluralità di soci non venga ricomposta entro sei mesi. Lo scioglimento del rapporto sociale con un singolo socio può dipendere dalla morte del socio, dall’esercizio del diritto di recesso o dalla esclusione.

165) La morte di un socio - Normalmente la morte di un socio determina lo scioglimento del rapporto con il socio defunto e l’attribuzione ai suoi eredi del diritto alla liquidazione della quota. Tuttavia i soci superstiti possono decidere di sciogliere la società o continuarla con gli eredi del socio se essi acconsentono.. Nella società in accomandita semplice la quota del socio accomandante si trasmette agli eredi. Nel contratto sociale possono essere previste deroghe alla disciplina legale e in particolare si è discusso sulla possibilità di inserire clausole limitative del potere di scelta che in pratica prevedono la continuazione della società con gli eredi del socio defunto. Parliamo delle clausole di continuazione facoltativa, che obbligano i soci a continuare la società con gli eredi i quali hanno però il diritto e non l’obbligo di aderire al contratto sociale, delle clausole di continuazione obbligatoria che prevedono l’obbligo degli eredi di entrare in società e le clausole di continuazione automatica per le quali il chiamato all’eredità subentra nella società acquistando la qualità di socio per il solo fatto dell’accettazione dell’eredità. A tale proposito occorre dire che la possibilità del terzo tipo di clausola deve essere escluso in quanto sarebbe contraria sia al diritto successorio in quanto configurerebbe l’ipotesi di un patto successorio ma allo stesso diritto civile perché il contratto (proprio perché contratto) deve vincolare solo quelli che al contratto stesso partecipano e non coloro che vi sono estranei, Per il secondo motivo deve essere esclusa la possibilità delle clausole di continuazione obbligatoria. Deve essere invece ritenuta possibile la clausola di continuazione facoltativa in quanto con essa i soci si obbligano a continuare la società con gli eredi, i quali però sono liberi di attuare o non attuare la promessa.

166) Il recesso – Il recesso è un diritto attribuito dalla legge al socio nei seguenti casi : a) nel caso in cui la società abbia durata indeterminata o pari alla vita di uno dei soci b) nel caso di proroga tacita della società c) in caso esista una giusta causa d) nel caso di trasformazione in società di capitali, di scissione o fusione qualora l’atto costitutivo permetta di prendere tali decisioni a maggioranza dei soci. Tale diritto viene ovviamente riconosciuto ai soci che non hanno concorso a tali decisioni. Nelle prime due ipotesi il recesso ha effetto dopo tre mesi dalla comunicazione ai soci. L’atto costitutivo può prevedere altre ipotesi in cui il diritto di recesso può essere esercitato. L’atto costitutivo non può invece escludere il diritto di recesso e può solo prevedere che il recesso non sia consentito prima che l’attività sociale sia iniziata o sia concluso il primo ciclo produttivo.

167) La esclusione . – La legge prevede una clausola generica di esclusione e alcune cause specifiche. La causa generica consiste nell’inadempimento grave del socio di obblighi gravanti su di lui in qualità di socio (e quindi non nella veste di amministratore per la quale ad es. l’abuso di firma o la mala gestione possono costituire giusta causa di revoca e non di esclusione come socio). Le cause specifiche previste dalla legge sono la sopravvenuta incapacità legale del socio, la sopravvenuta impossibilità della prestazione oggetto del conferimento per causa non imputabile al socio (es. nel caso di conferimento di godimento il perimento della cosa) o nel caso di prestazione d’opera la sopravvenuta inidoneità a compiere l’opera promessa. Le cause di esclusione previste dalla legge non operano automaticamente in quanto l’esclusione è frutto di una deliberazione dei soci (se sono più di due) o di una sentenza se i soci sono due. La deliberazione dei soci ha effetto dopo 30 giorni dalla comunicazione al socio il quale può proporre opposizione davanti al tribunale mentre la sentenza ha effetto dalla data della domanda. Il contratto può prevedere una limitazione delle cause di esclusione previste dalla legge o prevedere ulteriori cause. La legge prevede inoltre le seguenti cause di esclusione che operano automaticamente senza necessità di deliberazione dei soci o di sentenza : la

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liquidazione della quota del socio su richiesta dei creditori particolari di lui e la dichiarazione di fallimento del socio. Tali cause di esclusione operano solo se sussiste un diritto dei creditori particolari del socio a chiedere la liquidazione della quota e quindi nella società semplice e nelle società in nome collettivo irregolari e nelle società prorogate tacitamente. Non funzionano invece nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice regolare nelle quali i creditori particolari del socio, finchè dura la società, non hanno la facoltà di richiedere la quota del socio. In queste società invece il fallimento del socio può costituire causa facoltativa di esclusione se ciò verrà deliberato dai soci e non può invece dipendere dall’interesse dei creditori particolari del socio che in questo tipo di società non sono tutelati.

168) Conseguenze dell’uscita del socio dalla società – L’uscita del socio dalla società comporta il diritto alla liquidazione della quota, in denaro, calcolata sulla situazione patrimoniale esistente nel giorno in cui il rapporto con il socio si scioglie. Il pagamento della quota deve avvenire entro 6 mesi da tale data. Con l’uscita dalla società non viene meno la responsabilità del socio o dei suoi eredi per le obbligazioni sociali antecedenti allo scioglimento del rapporto. L’uscita del socio, inoltre comportando una modificazione del contratto sociale per essere opponibile ai terzi deve essere portata a loro conoscenza con mezzi idonei o attraverso la pubblicità legale secondo il tipo di società.

4) Scioglimento della società

169) Le cause di scioglimento e la loro operatività – Il contratto di società, come ogni altro contratto, può sciogliersi per volontà dei contraenti o per cause previste dalla legge o dal contratto stesso. La legge prevede (art.2272) le seguenti cause di scioglimento della società: a) il decorso del termine di durata – b) l conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di raggiungerlo c) la volontà di tutti i soci d) il venir meno della pluralità dei soci e la mancata ricostituzione della pluralità entro sei mesi e) i fatti considerati nel contratto sociale come causa di scioglimento..A queste cause si devono aggiungere f) il venir meno a seguito dello scioglimento del rapporto con un socio di un conferimento essenziale g) per le società i nome collettivo o in accomandita semplice il provvedimento dell’autorità governativa e la dichiarazione di fallimento h) per le società in accomandita semplice il venir meno di tutti i soci accomandatari o accomandanti salvo l’ipotesi in cui venendo a mancare tutti i secondi venga nominato un amministratore provvisorio nei sei mesi concessi per la sostituzione. Le cause di scioglimento producono effetti identici senza distinzione tra cause legali e cause contrattuali anche se può essere diversa la loro operatività in quanto la legge può stabilire che l’operatività si abbia solo a determinate condizioni o decorso un determinato termine.

170) Operatività ex nunc dello scioglimento e liquidazione della società – Lo scioglimento della società opera ex nunc e quindi determina il venir meno del contratto come fonte di obbligazione per l’esercizio futuro della società ma non elimina i rapporti sorti anteriormente allo scioglimento ponendo anzi la necessità di una loro definizione. Il contratto sociale quindi non obbliga più i soci a svolgere in comune una attività economica ma li obbliga al regolamento dei rapporti sorti con i terzi prima dello scioglimento. Infatti prima che i soci possano provvedere alla ripartizione tra loro del patrimonio della società è necessaria una fase, detta di liquidazione. In cui si provvede alla definizione dei rapporti con i terzi

171) Effetti dello scioglimento rispetto ai soci, ai creditori particolari, agli amministratori - Lo scioglimento del contratto quindi non determina subito l’estinzione della società ma il passaggio dalla fase attiva alla fase di liquidazione. Per quanto riguarda i soci gli effetti del contratto sociale rimangono solo per quanto riguarda la definizione dei rapporti sociali preesistenti e a loro favore sorge il diritto alla liquidazione della quota. Per la definizione di essa la legge considera due elementi: il valore del conferimento e la parte che spetta al socio degli utili,in quanto non sempre questa seconda come sappiamo è proporzionale alla prima. Pertanto si provvede prima al rimborso dei conferimenti e in seguito alla ripartizione degli utili. Nel caso la gestione si sia conclusa con una perdita la determinazione della quota del socio singolo deve farsi sulla base del valore del conferimento e della parte che grava sul socio nelle perdite. Per quanto riguarda i creditori particolari del socio viene meno

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la possibilità di chiedere la liquidazione della sua quota (ovviamente nelle ipotesi in cui ciò sia ammesso). Per quanto riguarda gli amministratori il loro potere si riduce agli atti necessari per conservare il patrimonio in attesa che si avvii la liquidazione, momento in cui i liquidatori prenderanno il posto degli amministratori. Ne deriva che anche il loro potere di rappresentanza è limitato, limitazione che però sarà opponibile ai terzi solo se siano stati adempiuti gli obblighi di pubblicità (legale o di fatto secondo il tipo di società)- Le modalità della liquidazione possono essere stabilite in accordo tra i soci o nel contratto sociale e quindi la disciplina legale si applicherà solo in mancanza di un diverso accordo tra i soci.

172) I liquidatori – nomina, poteri, compiti - Compito dei liquidatori è quello di definire i rapporti della società con i terzi al fine di consentire la ripartizione del patrimonio residuo tra i soci. La posizione giuridica dei liquidatori è analoga a quella degli amministratori di cui assumono gli obblighi e le responsabilità. I liquidatori sono nominati dai soci nel contratto sociale o al momento dello scioglimento della società e in caso di disaccordo tra di essi dal presidente del tribunale. Possono essere revocati dai soci, o nel caso di giusta causa dal tribunale, su richiesta di uno di essi. La nomina e la revoca dei liquidatori devono essere portate a conoscenza con mezzi idonei (società semplice) o attraverso la pubblicità legale. All’atto dell’inizio della liquidazione i liquidatori devono prendere in consegna dagli amministratori i beni e i documenti sociali e redigere con loro un inventario dal quale risulti lo stato patrimoniale e il conto economico della società- La legge stabilisce che i liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione (e tale potere non può essere limitato neanche dalla volontà dei soci), stabilisce che, se i soci non decidono diversamente, possono avere l potere di vendere anche in blocco i beni della società e fare transazioni o compromessi. La legge esclude invece il potere dei liquidatori di intraprendere nuove operazioni (e cioè di compiere atti che comportino uno svolgimento dell’attività speculativa che formava oggetto della società) Se i liquidatori contravvengono a tale divieto rispondono personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi mentre gli atti da loro compiuti non vincolano invece la società. I liquidatori rappresentano la società anche in giudizio.

173) Necessità della definizione dei rapporti con i terzi – La funzione dei liquidatori è come si è detto di definire i rapporti della società con i terzi ma essi possono anche provvedere a predisporre un piano di riparto del residuo dei beni della società tra i soci. La legge vieta però che i liquidatori possano ripartire tra i soci i beni sociali finchè non siano stati pagati tutti i creditori o accantonate le somme necessarie per pagarli. La violazione di tale divieto comporta la responsabilità dei liquidatori qualora il mancato pagamento dei creditori sia derivato da loro colpa grave o dolo, Accanto alla responsabilità civile la legge prevede anche una responsabilità penale qualora i liquidatori, ripartendo i beni sociali tra i soci, provochino danni ai creditori sociali. La violazione del divieto non comporta invece la invalidità della ripartizione o la possibilità di considerare la società come non estinta fermo restando che i creditori potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soci, nei limiti della quota di liquidazione (in caso di soci senza responsabilità) o integralmente (nel caso di soci illimitatamente responsabili). Al fine di soddisfare i creditori sociali i liquidatori possono chiedere ai soci i conferimenti eventualmente ancora non versati e le somme ancora necessarie, nei limiti delle responsabilità dei soci e in proporzione alla parte di ciascuno nelle perdite. Nello stesso modo si ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente.

174) La realizzazione della quota del socio: bilancio finale di liquidazione e piano di riparto – Dopo la definizione dei rapporti con i terzi la liquidazione è chiusa e i liquidatori devono redarre il bilancio finale di liquidazione dopo di che i soci hanno il diritto di dividersi il patrimonio restante in proporzione alle loro quote. liquidatori dopo aver redatto il bilancio di liquidazione predispongono un piano di riparto sottoponendolo alla approvazione dei soci (tale approvazione è tacita nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice e quindi il bilancio e il piano di riparto si considerano approvati se non impugnati entro due mesi dalla comunicazione). Approvato il bilancio la società si estingue e i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Avvenuta la cancellazione i creditori ancora insoddisfatti non possono più rivolgersi alla società ma

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possono agire nei confronti dei soci (nei limiti delle loro responsabilità) e nei confronti dei liquidatori in caso di colpa di essi. Dalla cancellazione decorre il termine di un anno entro il quale la società può essere dichiarata fallita.

Capitolo III . LE SOCIETA’ DI CAPITALI

1) Problemi generali 175) Ambito della categoria e differenziazione dei vari tipi- La categoria delle società di capitali comprende la società per azioni, la società in nome collettivo e la società in accomandita per azioni. Secondo il codice civile nella società per azioni e nella società in nome collettivo la garanzia delle obbligazioni sociali è costituita solo dal patrimonio della società mentre nella società in accomandita per azioni ad esso si aggiunge anche la responsabilità solidale e illimitata dei soci accomandatari mentre i soci accomandanti sono responsabili solo nei limiti della quota di capitale sottoscritta. Società per azioni e società in nome collettivo hanno quindi in comune il regime della responsabilità e si differenziano per il fatto che nelle prime le quote di partecipazioni dei soci sono rappresentate da azioni, mentre nelle seconde le quote non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico. Per la società per azioni hanno particolare rilievo i temi finanziari dell’impresa per cui sono molteplici i modi in cui i soci (attraverso varie categorie di azioni) o i terzi (attraverso obbligazioni o altri strumenti finanziari) possono contribuire al finanziamento della società e per cui la posizione del socio è sostanzialmente estranea rispetto alla gestione dell’impresa, da cui deriva la necessità di una struttura organizzativa rigida fondata sulla presenza di diversi organi con competenze differenziate. La società in nome collettivo invece prevede un interesse dei soci non solo finanziario ma anche tipicamente imprenditoriale con la conseguenza che ai soci è consentito un forte potere di controllo e di indirizzo sulla attività amministrativa della società mentre è precluso l’accesso al mercato finanziario. La società in nome collettivo quindi è pensata per consentire alle imprese minori di godere del beneficio della responsabilità limitata senza doversi assoggettare alla rigida

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organizzazione delle società per azioni. Si tratta ovviamente di una soluzione praticabile solo per le imprese di minori dimensioni e pertanto mentre per le società per azioni il capitale minimo richiesto è di 120.000 euro, per le società in nome collettivo sono sufficienti 10.000 euro. Società per azioni e società per accomandita per azioni hanno invece in comune il fatto che le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni mentre si differenziano come si è detto per il diverso regime di responsabilità. Rilevanti sono le differenze tra la società in accomandita semplice e la società in accomandita per azioni. Infatti al di là del fatto che la seconda è organizzata su base capitalistica e la prima su base personale è diversa nelle due società la posizione dei soci accomandatari. Il socio accomandatario dell’accomandita semplice non è infatti necessariamente amministratore anche se risponde solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. La sua responsabilità quindi non si riconduce direttamente al potere di amministrazione che potrebbe anche mancare e non a caso egli risponde per le obbligazioni contratte dalla società anche anteriormente al suo acquisto della qualità di socio e di quelle sorte successivamente alla dismissione della carica. Nella società in accomandita per azioni invece la responsabilità del socio accomandatario sussiste finchè egli mantiene la carica di amministratore. Ne deriva che la qualità di accomandatario non è una qualifica permanente come avviene nella società in accomandita semplice (dove non può essere eliminata senza il consenso dello stesso socio accomandatario e dove quindi la responsabilità è una conseguenza della posizione assunta come socio nell’atto costitutivo), ma è una qualità che corrisponde alla posizione concreta che il socio occupa nella società e permane finchè tale posizione concreta sussiste. Nella società in accomandita per azioni quindi l’accomandatario è un socio come gli altri ma che ha il diritto di amministrare cui corrisponde come contropartita la responsabilità solidale e illimitata per le obbligazioni sociali. La società tuttavia può far cessare quando vuole tale posizione revocando l’amministratore (salvo l’obbligo del risarcimento se non sussiste una giusta causa) e in questo caso viene meno la responsabilità solidale e illimitata. La società in accomandita per azioni è quindi una società per azioni modificata dalla presenza di due categorie di azionisti di cui i primi (accomandanti) rilevano solo come azionisti mentre i secondi (accomandatari) rilevano anche come persone e quindi ai poteri che spettano a loro come azionisti si aggiungono poteri, diritti e responsabilità come persone. Gli accomandatari sono amministratori di diritto ma hanno anche particolari poteri come il fatto che il loro consenso è determinante per la sostituzione di uno degli amministratori o per le modificazioni dell’atto costitutivo. La cessazione dall’ufficio di tutti gli amministratori comporta lo scioglimento della società se gli amministratori non sono sostituiti e hanno accettato nel termine di sei mesi. Poiché gli accomandatari hanno insieme una posizione collettiva come azionisti e una personale la legge prevede che in alcune situazioni (es. deliberazione dell’assemblea dell’azione di responsabilità, nomina dell’organo di controllo) gli accomandatari non possano esercitare i poteri che gli competono come azionisti ma al di fuori di queste situazioni hanno tutti i poteri che competono alle due diverse situazioni e quindi negando il consenso possono impedire il formarsi della volontà sociale anche se le loro quote di possesso non sono tali da determinare il formarsi della volontà assembleare. Con la società in accomandita per azioni quindi si è voluto creare un modello societario dotato di una forte stabilità degli organi amministrativi (che vengono sottratti alle mutevoli determinazioni delle maggioranze azionarie) garantendo allo stesso tempo i creditori della società tramite la responsabilità illimitata e solidale che incombe sugli accomandatari in quanto amministratori della società.

176) Le società di interesse nazionale – Il codice prevede una particolare categoria di società per azioni, le società di interesse nazionale, che sono società che pur non assumendo la struttura di enti pubblici investono interessi nazionali rilevanti, Per esse il codice prevede una regolamentazione effettuata dalla legislazione speciale, in mancanza della quale tuttavia, rimane applicabile la disciplina generale delle società per azioni. La qualificazione di una società come società di interesse nazionale è determinata da un decreto presidenziale o da una legge, legge che generalmente contiene una previsione di limitazioni circa il possesso azionario, il trasferimento delle azioni, la nomina degli amministratori, sindaci o dirigenti e al condizionamento delle norme statutarie e delle loro modificazioni all’approvazione della pubblica autorità.

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177) La società impresa pubblica e la sua privatizzazione - Un fenomeno che si è presentato con molta frequenza nel nostro sistema è quello dell’assunzione da parte dello stato o degli enti pubblici di una partecipazione nell’ambito delle società per azioni, partecipazione che può riguardare l’intero patrimonio della società, o una parte prevalente o minoritaria di esso. In un primo momento il legislatore, muovendo dal fatto che in una società per azioni la persona dell’azionista è irrilevante, aveva considerato la partecipazione dello stato in una società per azioni come un motivo giuridicamente irrilevante per cui alle società con partecipazione dello stato o di enti pubblici doveva essere applicata la disciplina generale della società per azioni a meno che leggi speciali non disponessero diversamente. Le sole norme speciali contenute nel codice prevedevano che anche quando la partecipazione dello stato era minoritaria doveva essere ad esso riservata la possibilità di nominare uno o più amministratori o sindaci che non potevano essere revocati dalla assemblea dei soci ma solo dallo stato o dall’ente pubblico che li aveva nominati. Successivamente, con la creazione del sistema delle partecipazioni statali la prospettiva del legislatore si è modificata in quanto l’interesse pubblico che induceva lo stato a partecipare alla società (qualora tale partecipazione fosse totalitaria o prevalente) non poteva essere relegato tra i motivi giuridicamente irrilevanti ma si poneva come motivo aggiuntivo rispetto a quello imprenditoriale incidendo anche sulla posizione degli azionisti privati. Pertanto il fatto che l’interesse pubblico perseguito dallo stato non poteva essere spinto oltre certi limiti senza provocare il dissenso degli azionisti privati ha portato ad un nuovo orientamento verso la privatizzazione. In tal modo è stato eliminato il sistema delle partecipazioni statali trasformando i principali enti di gestione (ENI E IRI) in società per azioni. Tuttavia però si è creato un regime speciale che ha finito con l’assoggettare la società che si privatizza ad uno statuto di forte impronta pubblicistica. In particolare si è previsto per le società operanti in settori particolarmente rilevanti per l’interesse pubblico di attribuire, prima della dismissione del controllo da parte dello stato, particolari poteri all’autorità governativa. Tali poteri speciali (golden share) fortemente criticati in ambito europeo prevedono tra l’altro la possibilità per il ministro di un potere di veto (motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi dello stato) circa l’adozione di deliberazioni quali quelle di scioglimento, cessione dell’azienda, fusione, scissione, trasferimento della sede all’estero o cambiamento dell’oggetto sociale.L’impronta pubblicistica è ancora più marcata nella disciplina della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo (Rai) dove sono riconosciuti significativi poteri alla commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza del’attività della concessionaria riguardo alla nomina del presidente o della maggioranza dei componenti del cda.

178) La personalità giuridica - Elemento comune a tutte le società di capitali è la personalità giuridica che la società acquista una volta compiuto il processo costitutivo con l’iscrizione nel registro delle imprese. Per effetto del riconoscimento della personalità giuridica si determina la completa autonomia della società rispetto alle persone dei soci. La società ha una propria organizzazione, un proprio patrimonio, una propria volontà nonché una propria denominazione e una propria sede. Tuttavia la personalità giuridica non determina una contrapposizione tra i soci e la società in quanto non si deve dimenticare che la società è frutto di un contratto sociale che ne determina l’oggetto, l’attività, le modalità di svolgimento e lo scopo. Pertanto la personalità giuridica non pone la società al di fuori dei soci su un piano diverso ma è la società che si pone in funzione dei soci e degli interessi che essi intendono perseguire. La società quindi, come persona giuridica, è la collettività dei soci che si costituisce in unità e il rapporto tra socio e società è quello che intercorre in ogni comunione di interessi tra singolo partecipante e gruppo. Pertanto normalmente l’interesse della società e della collettività coincide con quello dei singoli soci anche se in alcune circostanze (conflitto di interessi) può essere in contrasto con esso. Solo in questo senso si può parlare di un interesse sociale come superiore e distinto da quello dei singoli soci, che trova però la sua giustificazione nella comunione di interessi che si realizza con il contratto di società, in quanto è proprio un effetto necessario della comunione di interessi quello di subordinare l’interesse individuale a quello comune.

179) La società uni personale – Il concetto di società richiederebbe la presenza di almeno due soci tuttavia il fenomeno della società uni personale è molto diffuso a livello internazionale. Per quanto

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riguarda l’ordinamento italiano il legislatore del 1942 pur escludendo che la società per azioni o a responsabilità limitata potesse costituirsi ad opera di una sola persona ammetteva (per le sole società a responsabilità limitata) che in caso di successiva appartenenza di tutte le partecipazioni ad una sola persona la permanenza senza limiti di tempo (a differenza di quanto avviene per le società di persone) con la conseguenza, però, in caso di insolvenza della società, della responsabilità illimitata dell’unico socio. In seguito però, sulla base dell’attuazione di una direttiva europea, la prospettiva è mutata in quanto il legislatore ha ammesso, per le sole società a responsabilità limitata, la costituzione per atto unilaterale stabilendo anche che (tranne alcune ipotesi eccezionali) la situazione di unilateralità, sia originaria che successiva, non ostacola il permanere della responsabilità limitata. A seguito della riforma delle società di capitali la situazione si è nuovamente modificata e pertanto oggi si ammette che anche le società per azioni possano costituirsi per atto unilaterale stabilendo che anche in questo caso l’unico azionista non risponda in via di principio (tranne alcune ipotesi eccezionali) delle obbligazioni sociali. Ne deriva pertanto che nell’ordinamento attuale una società (per azioni o a responsabilità limitata) può divenire uni personale ma anche nascere con atto unilaterale. E’ chiaro però che questo richieda particolari cautele per garantire i terzi che entrino in contatto con la società uni personale. Pertanto la legge prevede che per le società uni personali i conferimenti debbano essere interamente eseguiti all’atto della sottoscrizione (e quindi non solo quelli in natura come è sempre richiesto ma anche quelli in denaro), in mancanza di ciò in caso di insolvenza della società sorge la responsabilità illimitata dell’unico socio per le obbligazioni sorte nel periodo in cui tutte le partecipazioni gli appartenevano. La disciplina attuale ammette che anche per le società uni personali possa mantenersi il beneficio della limitazione della responsabilità e che ad esse possa applicarsi tutta la disciplina prevista per le società pluripersonali. Per tutelare i terzi la legge impone la pubblicità della situazione di uni personalità, della sua variazione o del mutare della persona del socio prevedendo il deposito a cura degli amministratori o del socio stesso di una apposita dichiarazione nel registro delle imprese . Fino a che non è stato attuato questo adempimento il socio unico, in caso di insolvenza, risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali. La legge prevede inoltre, e sempre a tutela dei terzi, che la situazione di uni personalità debba essere indicata negli atti, nella corrispondenza della società e anche eventualmente nel suo sito internet. Sono poi dettate regole in tema di contratti tra la società e il socio o di operazioni della prima a favore del secondo in quanto è proprio in tal modo che in una società uni personale può realizzarsi uno svuotamento patrimoniale della società con conseguente pregiudizio per i terzi,. In relazione a ciò la legge prevede che tali operazioni siano opponibili ai creditori solo se siano state trascritte nel libro delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o se risultano da un atto scritto avente data anteriore al pignoramento. Per quanto riguarda le ipotesi eccezionali di responsabilità illimitata dell’unico socio esse sono, come abbiamo visto, quella della mancata attuazione completa dei conferimenti e quella della mancata attuazione della prescritta pubblicità della situazione di uni personalità.

180) I patrimoni destinati ad uno specifico affare – Per le società per azioni la legge prevede una forma particolare di limitazione della responsabilità patrimoniale, riferita ad una sola parte del patrimonio della società, il patrimonio destinato ad uno specifico affare Tale istituto consente alla società per azioni di isolare i beni e i rapporti relativi ad uno specifico affare (o a specifici affari nel caso di costituzione di più patrimoni separati (che non possono comunque essere superiori al dieci per cento del patrimonio netto della società) dal restante patrimonio della società destinando tali beni in via esclusiva non sol allo svolgimento dello specifico affare ma anche alla garanzia dei creditori titolari di crediti sorti nello svolgimento dell’affare stesso. Abbiamo quindi una separazione patrimoniale in base alla quale i creditori relativi allo specifico affare possono soddisfarsi in via di principio solo sul patrimonio separato mentre gli altri creditori sociali solo sul patrimonio residuo. La separazione però opera solo con riferimento alle obbligazioni contrattuali e quindi per le obbligazioni nascenti da atto illecito la società risponde con il suo intero patrimonio. Delle obbligazioni patrimoniali sorte in relazione all’unico affare la società riponde invece limitatamente al patrimonio destinato a condizione che l’atto dal quale sorge l’obbligazione rechi espresso riferimento al vincolo di destinazione in quanto in mancanza di ciò il creditore potrà soddisfarsi solo sul patrimonio residuo. La società può anche prevedere che le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare siano garantite oltre che dal

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patrimonio separato anche da quello residuo, fermo restando che gli altri creditori sociali non possono far valere alcun diritto sul patrimonio residuo. Ne deriva che la costituzione del patrimonio separato comporta la sottrazione di beni alla funzione di garanzia nei confronti degli altri creditori sociali e pertanto a loro tutela la legge stabilisce l’obbligo di depositare presso il registro delle imprese la deliberazione che costituisce il patrimonio separato stabilendo anche un termine di 60 giorni da questo momento per l’opposizione a tale costituzione da parte dei creditori sociali. L’opposizione sospende l’esecuzione della deliberazione a meno che il tribunale, dietro presentazione da parte della società di una idonea garanzia, non la autorizzi. Il patrimonio destinato ad uno specifico affare quindi si realizza decorsi sessanta giorni dal deposito senza che nessuno abbia sollevato opposizione o con il provvedimento con il quale il tribunale respinga l’opposizione (o autorizzi la deliberazione costitutiva). A partire da questo momento i creditori non possono più far valere pretese su questo patrimonio. La deliberazione di costituzione deve essere presa a maggioranza assoluta dell’organo amministrativo (salvo diversa pattuizione dello statuto)e deve indicare l’affare cui il patrimonio è destinato, i beni che lo compongono, il piano economico dal quale risulti la congruità del patrimonio rispetto all’affare, i risultati che si vogliono conseguire e le modalità di controllo sulla gestione dell’affare. La legge si preoccupa di assicurare la separazione dei patrimoni e quindi il generarsi di una confusione che potrebbe essere di pregiudizio per i creditori e pertanto in caso di fallimento si prevede una specifica ipotesi di responsabilità per gli amministratori e l’organo di controllo in caso di violazione di tale principio di separatezza. Per ciascun patrimonio destinato quindi si deve tenere una contabilità separata e si deve redigere un rendiconto separato da allegare al bilancio. Una volta concluso l’affare (o una volta che esso è diventato impossibile) gli amministratori devono redigere un rendiconto che insieme ad una redazione degli organi di controllo deve essere depositata presso l’ufficio del registro. Entro 90 giorni dal deposito i creditori relativi all’affare rimasti insoddisfatti possono chiedere la liquidazione del patrimonio destinato all’affare per soddisfarsi in via prioritaria rispetto agli altri creditori sociali sui relativi beni. La legge prevede poi (sempre per le società per azioni) un’altra forma di separazione patrimoniale, quella del finanziamento destinato ad uno specifico affare che vedremo nella parte relativa ai finanziamenti finalizzati.

181) Oggetto e scopo - Le società di capitali, come persone giuridiche sono caratterizzate dalla specialità dell’oggetto e dello scopo. L’oggetto segna il campo dell’attività della persona giuridica e io scopo segna il fine al quale tale attività deve essere indirizzata.

182) I cosiddetti diritti individuali – Secondo la dottrina le posizioni soggettive dei soci nell’ambito del contratto sociale costituiscono veri e propri diritti individuali che sarebbero intangibili dall’ente e quindi non potrebbero essere toccati da una manifestazione di volontà della società espressa attraverso i suoi organi. Tuttavia tali diritti non costituiscono una categoria unitaria in quanto comprendono i diritti che spettano al socio sulla base di un rapporti distinto da quello di società e diritti (come il diritto di voto o agli utili) che esprimono la posizione del socio nell’ambito dell’organizzazione sociale. In modo diverso quindi deve essere intesa nei loro confronti la cosiddetta intangibilità da parte dell’ente. Per quanto riguarda il diritti che competono al socio come terzo si può parlare di intangibilità da parte dell’ente in quanto in questo campo la volontà della persona giuridica non può prevalere dato che a nessun soggetto è possibile influire, senza un esplicito conferimento di poteri, nella sfera giuridica di un altro soggetto. Diversa è invece la posizione rispetto a quei diritti che competono al socio nell’ambito dell’organizzazione sociale. Qui infatti siamo in un campo dove la volontà dell’ente si può esplicare pienamente in quanto la posizione del socio è necessariamente subordinata alla posizione della collettività che si esprime attraverso la persona giuridica sulla base della comunione di interessi che si è formata con il contratto sociale. In questo campo quindi quando si parla di intangibilità dei diritti dei soci (es. diritto agli utili, diritto al voto) si intende l’impossibilità da parte della persona giuridica di modificare con un suo atto di volontà i caratteri essenziali di tali diritti ma tale intangibilità non è assoluta. Infatti la stessa legge prevede ad. Esempio le azioni prive di diritto di voto, le azioni a voto limitato, le azioni di risparmio o privilegiate o la possibilità di subordinare a particolari condizioni la vendita delle azioni. La stessa legge prevedendo che il voto non possa essere esercitato dal socio in posizione di conflitto di interessi, che l’assemblea debba deliberare

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sulla distribuzione degli utili o che il diritto di opzione possa essere limitato se lo esige l’interesse della società, mette in chiaro la subordinazione del socio rispetto alla società- Si deve quindi dire che questo tipo di diritto risulta subordinato alle esigenze della comunione di interessi creata con il contratto sociale così come gli interessi individuali sono necessariamente subordinati agli interessi della collettività. Tuttavia il sacrificio dell’interesse del socio è ammissibile a sole due condizioni: in primo luogo il principio della parità di trattamento per cui il sacrificio deve pesare su tutti i soci nella stessa misura (es.la rinuncia alla percezione degli utili non può essere imposta solo ad alcuni o non ad altri) e in secondo luogo il principio per cui il sacrificio dell’interesse del socio deve essere giustificato dall’interesse sociale.

183) Il capitale sociale - Altro elemento comune alle società di capitali è il capitale sociale, ossia l’ammontare stabilito nell’atto costitutivo della società del valore complessivo dei conferimenti dei soci. Il capitale sociale è perciò una cifra indicativa che anche inizialmente si differenzia dalla nozione di patrimonio sociale, è espresso in termini monetari (prescindendo dalla natura dei beni oggetto del conferimento) e rimane sempre identico nonostante il variare o il trasformarsi dei beni inizialmente conferiti. La nozione di capitale sociale è rilevante perché in base ad esso si misurano i poteri del singolo socio che sono tanto più intensi quanto maggiore è la partecipazione al capitale stesso. Normalmente infatti la partecipazione al capitale sociale del socio è in misura proporzionale al valore del conferimento ma tuttavia con la riforma delle società di capitali è stato esteso anche a queste società una soluzione già presente nella disciplina delle società di persone in quanto è possibile, tramite una apposita clausola statutaria, riconoscere al singolo socio una partecipazione al capitale non proporzionale al valore del suo conferimento. Questo ruolo importante del capitale come base per determinare i diritti dei soci spiega la necessità di distinguerlo dal patrimonio sociale che è invece il complesso delle attività e passività facenti capo alla società in un dato momento. La distinzione tra capitale sociale e patrimonio sociale è ancora più accentuata dal fatto che sono oggi possibili gli apporti al patrimonio che ( a differenza dei conferimenti che formano il capitale) attribuiscono una partecipazione al patrimonio e non al capitale e quindi non la posizione di socio. Il capitale sociale ha anche la funzione di fungere da indicatore del patrimonio sociale (che nelle società di capitali costituisce l’unica garanzia per i creditori) e infatti la legge richiede che l’entità del capitale sociale per la parte effettivamente versata sia indicata negli atti e nella corrispondenza della società e richiede che sia inizialmente che durante la vita della società il valore del patrimonio sociale non scenda oltre certi limiti al di sotto della cifra indicata come capitale sociale. Per questo motivo la cifra in cui consiste il capitale sociale deve essere iscritta in bilancio nelle passività in modo tale da fungere da confronto per l’accertamento degli utili e delle perdite dell’esercizio impedendo la distribuzione degli utili se non per quella parte dell’attivo che superi la cifra indicata al passivo come capitale sociale. Inoltre la legge impone la riduzione o la reintegrazione del capitale sociale in caso di perdite che superino il terzo del capitale stesso e impone la immobilizzazione di una parte degli utili per la costituzione di riserve legali in modo da garantire la permanenza del capitale di fronte alle oscillazioni patrimoniali che possono verificarsi nei vari esercizi. Nulla impedisce invece che il valore del patrimonio sociale sia superiore alla cifra indicata come capitale sociale. Se pure frutto di una determinazione convenzionale il capitale sociale può essere variato solo in base ad una variazione dello statuto o dell’atto costitutivo, sia nel senso dell’aumento che della diminuzione. Tali variazioni possono corrispondere ad una variazione del patrimonio sociale o possono attuarsi restando identico il patrimonio sociale. Così vi può essere un aumento del capitale mediante nuovi conferimenti o una riduzione mediante esonero dei soci dai conferimenti ancora dovuti e quindi con variazione del patrimonio e vi può essere aumento mediante imputazione al capitale delle riserve legali o una riduzione del capitale per perdite e quindi senza variazione nel patrimonio. La legge fissa un minimo di capitale sociale per i vari tipi di società che deve permanere anche durante la vita della società. Pertanto se per effetto di perdite superiori al terzo il capitale sociale scende sotto il limite legale o il capitale viene reintegrato, o la società deve trasformarsi o si scioglie.

184) Sottocapitalizzazione e postergazione dei finanziamenti dei soci – Possono esserci ipotesi in cui viene a crearsi una situazione di sottocapitalizzazione quando il capitale sociale è manifestamente

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inadeguato per l’attività economica oggetto della società. Vi può essere una situazione di sottocapitalizzazione materiale che si ha quando i mezzi per lo svolgimento dell’attività sociale sono acquisiti soprattutto mediante il finanziamento concesso da terzi e situazioni di sottocapitalizzazione nominale quando invece i mezzi sono forniti dai soci ma non con lo strumento dei conferimenti a capitale. Nella prima ipotesi un rimedio sarebbe quello di verificare se la sottocapitalizzazione valutata nel contesto concreto in cui opera determini una impossibilità di conseguire l’oggetto sociale determinandone così lo scioglimento. Un altro rimedio potrebbe essere quello usato in altri ordinamenti dove tali sistemi vengono considerati come abusi della personalità giuridica e quindi come un modo abusivo per riversare sui terzi i rischi dell’attività imprenditoriale. Per quanto riguarda la seconda ipotesi il legislatore ne ha ravvisato la manifestazione più esplicita nel caso in cui i soci, invece di conferire, forniscono alla società i mezzi finanziari mediante finanziamenti ponendosi così come un qualsiasi finanziatore esterno e ponendosi su un piano di parità con gli altri creditori sottraendosi al rischio tipico del socio, In tale ipotesi il legislatore prevede un rimedio consistente nella cosiddetta postergazione legale attuabile nella società a responsabilità limitata. Infatti il codice civile dispone che il credito avente per oggetto il finanziamento erogato dai soci alla società a responsabilità limitata sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori qualora sia stato concesso in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato più ragionevole finanziare la società attraverso un aumento di capitale mediante nuovi conferimenti. Attraverso tale disciplina la legge sottopone la restituzione del finanziamento al medesimo rischio al quale sarebbe stato soggetto se fosse stato effettuato a titolo di conferimento evitando quindi che la realizzazione del credito del socio pregiudichi quella degli altri creditori. Tale disciplina viene espressamente richiamata dalla legge anche per i finanziamenti concessi alla società controllata dalla società controllante e pertanto ci si potrebbe chiedere se non sia possibile interpretare la norma in senso più generale applicandola anche al di là della società a responsabilità limitata.

185) Disciplina dei conferimenti: l’oggetto – Per quanto riguarda le società di capitali la legge prevede che qualora nell’atto costitutivo o nella deliberazione di aumento di capitale non sia stabilito altrimenti i conferimenti devono essere fatti in denaro. Quando i conferimenti non sono effettuati in denaro la legge esige che il possibile oggetto di conferimento debba essere suscettibile di valutazione economica. Per la società per azioni inoltre è previsto il divieto del conferimento in prestazione d’opera o servizi da parte del socio cosa invece possibile per la società a responsabilità limitata (purchè accompagnata da una polizza di assicurazione o da una fidejussione che garantiscano per l’intero valore i corrispondenti obblighi del socio). Per la società di capitali tuttavia il codice civile prevede che i soci possano conferire apporti al patrimonio sociale ( e non conferimenti al capitale) sotto forma di prestazione d’opera o di servizi. D’altra parte la legge esige che vi sia corrispondenza tra capitale e patrimonio in quanto la garanzia dei creditori è costituita dal patrimonio della società e per tale motivo la cifra indicata come capitale non deve essere superiore al valore del patrimonio. Pertanto ogni apporto al patrimonio è di per sé anche un conferimento di capitale e quindi può valere (tranne esplicite condizioni poste dalla legge) a realizzare quella corrispondenza tra patrimonio e capitale richiesta dalla legge.

186) continua . Il procedimento e l’attuazione - Se il conferimento è effettuato in denaro non si pone alcun problema di accertarne il valore, problema che si pone invece per i conferimenti in beni o crediti. In questo caso, per quanto riguarda la società per azioni il conferente deve presentare una perizia giurata da parte di un esperto incaricato dal tribunale e gli amministratori devono controllare la perizia. Finchè il controllo non è stato effettuato le azioni corrispondenti rimangono depositate presso la società e non possono essere vendute. Se dal controllo si verifica che il valore dei beni o crediti è inferiore di oltre un quinto rispetto al conferimento richiesto si procede alla riduzione di capitale (annullando le corrispondenti azioni) salvo il diritto del socio di versare la differenza in denaro o di recedere. In quest’ultimo caso il socio ha diritto alla restituzione del conferimento in natura. Sono esenti dalla perizia giurata i beni per i quali esiste una valutazione di mercato o i beni per i quali ci si può riferire ad una valutazione ritenuta affidabile dal legislatore (es. valori mobiliari o strumenti del mercato monetario). Per le società a responsabilità limitata la perizia giurata è sostituita da una

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relazione effettuata da una società di revisione legale scelta dal socio e non soggetta ad ulteriori controlli. Anche per la società di capitali il conferimento significa solo assunzione dell’obbligo e non apporto effettivo. Infatti per i conferimenti in denaro è richiesto il versamento del 25 per cento della quota sottoscritta presso una banca (per le società a responsabilità limitata tale versamento può essere sostituito da una polizza assicurativa o una fidejussione bancaria) e solo nel caso del socio unico si richiede il versamento integrale pena l’assunzione della responsabilità illimitata. I conferimenti in natura invece devono essere integralmente effettuati al momento della sottoscrizione. Principi analoghi a quelli dettati per i conferimenti in beni o crediti sono seguiti per gli acquisti da parte della società dai promotori, fondatori o amministratori nei due anni dall’iscrizione nel registro delle imprese. Se infatti questi vendono alla società beni o crediti l’acquisto è subordinato all’autorizzazione dell’assemblea e anche per essi è richiesta la perizia di un esperto in mancanza della quale ferma restando la validità dell’atto, gli amministratori e il venditore sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci e ai terzi. L’obbligo di conferimento è limitato alla quota di capitale sottoscritta e quindi l’ammontare non può essere ridotto neanche con il consenso degli organi sociali se non in conseguenza di una riduzione del capitale e neanche può essere imposto al socio l’obbligo di ulteriori conferimenti qualora parte del capitale sociale sia andata perduta. Il debito di conferimento non può essere compensato con il credito che il socio abbia eventualmente nei confronti della società- Infatti debito e credito non hanno per il socio la stessa natura in quanto il debito grava su di lui come socio mentre il credito gli spetta come un terzo e pertanto i due rapporti si pongono su un piano diverso e non possono essere compensati. Se il socio chiamato alla esecuzione del conferimento è inadempiente la società può disporre la vendita coattiva delle azioni e nel caso le azioni non possano essere vendute per mancanza di acquirenti può dichiarare la esclusione del socio provvedendo alla corrispondente riduzione del capitale sociale. Il socio in mora con i versamenti non può esercitare il diritto di voto. La stessa disciplina si applica per le società a responsabilità limitata in caso di scadenza della polizza assicurativa o della fidejussione prestata in sostituzione del versamento del 25% del conferimento in denaro.

187) Le prestazioni accessorie – Accanto all’obbligo di conferimento nello statuto delle società per azioni può essere imposto un obbligo a carico del socio di compiere prestazioni accessorie non consistenti in denaro. Tali prestazioni non sono soggette alla disciplina dei conferimenti ma a quella contenuta nello statuto che le prevede anche per quanto riguarda le conseguenze dell’inadempimento o della impossibilità dell’adempimento. In caso di circolazione delle azioni le prestazioni accessorie gravano sul nuovo socio fermo restando che la legge prevede la intrasferibilità delle azioni senza il consenso degli amministratori, Gli obblighi derivanti dalle prestazioni accessorie non possono essere modificati, salvo diversa previsione dello statuto, senza il consenso di tutti i soci così come avviene per i conferimenti.

188) Le operazioni su azioni proprie e della società controllante - Per assicurare la effettività del capitale sociale la legge disciplina in modo particolare quelle operazioni che avendo per oggetto azioni proprie o della società controllante o costituendo un incrocio (sottoscrizione reciproca delle azione da parte di più società) possono determinare l’annacquamento e l’eliminazione del capitale sociale stesso. Con queste operazioni infatti si rischia di far uscire dal patrimonio della società una parte del capitale facendo entrare un bene (l’azione) che non ha più il suo controvalore nel patrimonio sociale o che si abbia una pluralità di azioni il cui controvalore è rappresentato dallo stesso patrimonio. Per quanto riguarda le società a responsabilità limitata l’acquisto di partecipazioni proprie o altre operazioni che le riguardano sono espressamente vietate dalla legge e quindi devono ritenersi nulle. Per quanto riguarda le società per azioni la disciplina è più articolata e quindi esaminiamo i diversi casi. A) Acquisto d azioni proprie o acquisto di azioni o quote della controllante da parte della controllata - L’art. 2357 vieta espressamente alle società di effettuare entrambe le operazioni se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio. Nei limiti suddetti inoltre l’operazione può riguardare sole le azioni interamente liberate. L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria la quale ne fissa le modalità, il numero massimo di azioni da acquistare, la durata comunque non superiore a 18 mesi per la quale l’autorizzazione è accordata, il corrispettivo

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minimo e massimo. Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio inoltre il valore nominale delle azioni acquistate non può mai superare il 5^ del capitale sociale tenuto conto anche delle azioni possedute dalle società controllate. La violazione dei limiti imposti dalla legge non comporta la nullità dell’acquisto ma comporta l’obbligo della vendita delle azioni illegittimamente acquistate e in mancanza l’annullamento di esse con corrispondente riduzione del capitale sociale. Qualora l’assemblea non provveda gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale. La disciplina prevista dalla legge non si applica nei seguenti casi 1) quando si tratti di acquisto a titolo gratuito o per esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società purchè si tratti in entrambi i casi di azioni interamente liberate 2) acquisto a seguito di successione universale, fusione o scissione o in esecuzione di una deliberazione di riduzione di capitale attuabile mediante riscatto e annullamento di azioni. Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio tuttavia rimane (tranne che per l’ultima ipotesi) il limite della quinta parte del capitale sociale. B) sottoscrizione di azioni proprie o di azioni o quote della società controllante - L’art. 2357 vieta espressamente tale possibilità, Anche in questo caso però la violazione del divieto non comporta la nullità della sottoscrizione ma l’assunzione diretta della sottoscrizione e il relativo obbligo di liberare le azioni da parte a) nel caso di azioni proprie dei promotori, soci fondatori o amministratori b) nel caso di sottoscrizione di azioni della società controllante degli amministratori della controllata. In entrambi i casi l’obbligo non grava sui soggetti che dimostrino di essere esenti da colpa. C) Altre operazioni relative alle azioni proprie - Il nuovo testo dell’art. 2358 vieta espressamente di accettare azioni proprie in garanzia. Per quanto riguarda le altre operazioni ( prestiti e garanzie per il loro acquisto) la legge fissa le condizioni alle quali esse sono consentite. In primo luogo le somme impiegate o le garanzie prestate devono essere contenute nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili in base all’ultimo bilancio approvato, e in secondo luogo l’operazione deve essere preventivamente autorizzata dall’assemblea straordinaria adottando specifiche modalità procedurali. Secondo la dottrina però tale disciplina non si applica ad altre operazioni come quelle di Leveraged buy out. Con queste operazioni una società ottiene un finanziamento bancario che utilizza per acquistare la maggioranza o la totalità delle azioni di un’altra società (società bersaglio) e successivamente si fonde con essa e quindi la restituzione del finanziamento avviene utilizzando il reddito prodotto dalla società bersaglio ed è garantita dal suo patrimonio. In questo caso però manca la prestazione di una garanzia da parte della società bersaglio e il coinvolgimento del suo patrimonio è in realtà causato dalla fusione. Pertanto la tutela dei creditori non viene effettuata sulla base della integrità del capitale sociale ma sul diritto di opposizione loro riconosciuto in via generale nel caso di fusione. D) sottoscrizione reciproca di azioni - L’art. 2360 vieta espressamente tale operazione anche se avviene tramite società fiduciaria o interposta persona. Essendo le due operazioni contestuali non vi può essere dubbio sulla nullità dell’’operazione.

189) Le riserve - Le riserve sono immobilizzazione degli utili imposte dalla legge (riserve legali), dagli statuti (riserve statutarie) o eventualmente disposte dall’assemblea (riserve straordinarie o facoltative) allo scopo di assicurare la stabilità del capitale sociale di fronte a oscillazioni dei valori o di perdite che possono presentarsi in esercizi successivi. La legge impone la creazione di una riserva legale pari al quinto del capitale sociale mediante l’immobilizzazione almeno della ventesima parte degli utili di esercizio. Anche le riserve devono essere iscritte nel passivo del bilancio come il capitale sociale in quanto la loro funzione contabile è appunto quella di impedire la distribuzione degli utili per i valori ad esse corrispondenti. Accanto alle riserve vere e proprie ci sono le riserve occulte che sono accantonamenti nascosti nel bilancio in genere dipendenti da una sottovalutazione delle attività sociali o dalla indicazione di passività inesistenti,. In questo caso però si parla impropriamente di riserve perchè questi accantonamenti non hanno il carattere della immobilizzazione in quanto possono tranquillamente essere messi in evidenza nel bilancio successivo.

190) Sovraprezzo. Versamenti a copertura delle perdite e versamenti in conto capitale - Le azioni, sia in sede di costituzione della società che in sede di aumento di capitale, possono e talvolta devono essere emesse per una somma superiore al loro valore nominale e tale somma in più prende il nome di sovrapprezzo. In sede di aumento di capitale la funzione del sovrapprezzo è quella di adeguare il

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prezzo di emissione delle azioni al loro valore reale. Nelle società per azioni il sovrapprezzo è imposto quando vi sia esclusione o limitazione del diritto di opzione e il prezzo di emissione deve essere proporzionato al valore del patrimonio netto. Nel caso di costituzione della società invece il sovrapprezzo può avere solo la funzione di un ulteriore apporto in aggiunta di quello fatto con il conferimento. In entrambe le ipotesi comunque vi è un incremento del patrimonio che non è rilevante circa il capitale o il suo aumento. Il sovrapprezzo per legge deve confluire in un apposito fondo e non può essere distribuito finchè la riserva legale non ha raggiunto il quinto del capitale sociale e pertanto non può essere compreso tra gli utili distribuibili o le riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Per quanto riguarda i versamenti fatti dai soci a copertura delle perdite o in conto capitale pur trattandosi di due operazioni distinte hanno in comune il fatto che non possono essere considerati come finanziamenti fatti dal socio alla società. Nelle società di persone tali versamenti trovano la loro giustificazione nella responsabilità illimitata del socio mentre nelle società di capitali tali versamenti devono essere intesi nel senso che il socio non può essere obbligato ad ulteriori versamenti (oltre al conferimento) ma non nel senso che siano impediti al socio altri versamenti con una destinazione specifica. Si tratta di versamenti volontari che non possono essere assoggettati al regime proprio del capitale o delle riserve ma che sono vincolati alla destinazione per la quale sono compiuti. Tale destinazione si esaurisce nell’operazione stessa per i versamenti compiuti a copertura delle perdite mentre per i versamenti in conto capitale rimane finchè il capitale non viene aumentato e comunque finchè sussiste la possibilità di aumentarlo. Come con una deliberazione la società ha deciso il futuro aumento di capitale con un’altra deliberazione può decidere di non attuarlo liberando così le somme versate dal vincolo di destinazione.

191) La partecipazione sociale – la quota di società a responsabilità limitata - Nelle società di capitali in linea di principio i diritti e i poteri dei soci sono determinati in funzione della loro partecipazione al capitale sociale. Tale principio però assume caratteri diversi e può venire temperato nei vari tipi di società di capitale. Nelle società per azioni per esempio le esigenze finanziarie che le caratterizzano ammettono che a seguito di apporti diversi dai conferimenti possano essere emesse azioni che conferiscono diritti e poteri che ad esclusione di quello di voto coincidono con quelli dei soci. Nelle società a responsabilità limitata invece la rilevanza che può assumere la persona del socio determina alcune ipotesi di attribuzione ai singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili, e pertanto consente l’eventualità di diritti dei soci indipendenti dalla loro partecipazione al capitale sociale. Rilievo centrale hanno quindi nelle società di capitali le tecniche con le quali viene definita la partecipazione al capitale dei soci e quindi la suddivisione del capitale in parti. Nelle società per azioni il capitale viene suddiviso in azioni base ad una suddivisione preventivamente e astrattamente operata nell’atto costitutivo della società Nelle società a responsabilità limitata invece il capitale viene suddiviso in quote in base alle persone dei soci. La quota esprime quindi la partecipazione del socio al capitale e costituisce un complesso unitario di diritti e poteri che fanno capo al socio e poiché diversa può essere la partecipazione dei singoli soci alla società diverse possono essere le quote. In linea di principio le quote sono trasmissibili interamente o in parte anche ad estranei sia per atto tra vivi che per successione a causa di morte ma la legge prevede anche che la trasmissione possa essere esclusa nell’atto costitutivo della società. La quota di ogni socio è necessariamente unica: essa può rappresentare una parte maggiore o minore del capitale ma non è consentito ad un socio di avere più quote. Queste regole si riflettono anche in sede di circolazione della quota in quanto la circolazione della quota ha il suo presupposto nella trasmissione della posizione di socio e pertanto la quota non può essere rappresentata da una azione e non può costituire oggetto di offerta al pubblico in quanto alla società a responsabilità limitata è precluso l’accesso al mercato del capitale di rischio. La disciplina vigente prevede, dopo l’eliminazione del libro dei soci che nel caso di vendita della quota il titolo di acquisto deve essere depositato, a cura del notaio autenticante, nel registro delle imprese o nel caso di trasferimento mortis causa, su richiesta dell’erede o del legatario. Il deposito nel registro delle imprese è elemento costitutivo della legittimazione del socio rispetto alla società. L’iscrizione nel registro inoltre svolge la funzione di risolvere il conflitto tra più acquirenti successivi della stessa quota tra i quali viene preferito chi per primo ha effettuato il

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deposito in buona fede anche se il suo titolo è di data posteriore. La quota inoltre può formare oggetto di pegno, usufrutto o sequestro e anche di espropriazione.

192) continua – L’azione Nelle società di capitali invece la suddivisione del capitale viene fatto indipendentemente dalla persona del socio sulla base di una suddivisione astrattamente operata nell’atto costitutivo. Il capitale sociale è fin dall’inizio suddiviso in tante parti, le azioni, che sono necessariamente uguali, attribuendo uguali diritti e uguali poteri. Pertanto la posizione del socio nella società dipende dal numero di azioni possedute ed essendo l’azione indipendente dalla persona del socio la libera trasmissibilità è caratteristica essenziale dell’azione. L’azione ha tre caratteristiche fondamentali: è parte del capitale sociale, è un complesso unitario di diritti e poteri, ed è un titolo azionario. Per quanto riguarda il primo aspetto la legge prevede due sistemi per effettuare la suddivisione del capitale: il primo prevede la determinazione nello statuto del valore nominale dell’azione per cui il numero delle azioni si ha dividendo il capitale sociale per il valore nominale, mentre il secondo prevede l’emissione di azioni senza valore nominale ma stabilendo nello statuto il numero delle azioni da cui deriva il valore percentuale che ciascuna di esse ha rispetto al capitale sociale. Oltre al valore nominale si ha il valore effettivo e per le azioni quotate in borsa il valore di borsa: tali valori possono essere diversi dal valore nominale e possono continuamente modificarsi in quanto si basano sul patrimonio della società o sul corso delle quotazioni, valori entrambi variabili.

193) Categorie di azioni - Abbiamo detto che le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti e precisamente il diritto ad una parte proporzionale degli utili e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione nonché il diritto di voto. Questa esigenza di uguaglianza di diritti però si pone solo con riferimento alle azioni che fanno parte della stessa categoria in quanto la legge prevede che in una stessa società possano esistere diverse categorie di azioni e che le azioni di ogni categoria siano fornite di diritti particolari il cui contenuto è determinabile liberamente dalla società. Così accanto alle azioni ordinarie possono essere emesse: a) azioni privilegiate che attribuiscono un diritto di priorità nella distribuzione degli utili o nel rimborso del capitale all’atto dello scioglimento della società – b) azioni postergate -. Per quanto riguarda l’incidenza delle perdite c) azioni correlate . ossia fornite di diritti patrimoniali dipendenti dai risultati dell’attività della società in un determinato settore d) azioni senza diritto di voto , con voto limitato a particolari argomenti o con voto subordinato al presentarsi di determinate condizioni. Ovviamente tali categorie di azioni non devono superare complessivamente la metà del capitale sociale. Possono essere previste (solo per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) limiti di voto in base alle quantità di azioni possedute dallo stesso soggetto o azioni riscattabili, per le quali viene riconosciuta agli altri soci un potere di acquisto ad un determinato corrispettivo in caso di recesso. Sono invece vietate le azioni a voto plurimo, ossia azioni privilegiate nel voto. Altra categoria di azioni è quella delle azioni di godimento riservate ai soci le cui azioni siano state sorteggiate per ridurre il capitale sociale in eccesso. Infatti gli azionisti le cui azioni sono state estratte e che pertanto escono dalla società hanno diritto alla quota di liquidazione calcolata sul valore nominale e non su quello reale e quindi potrebbero subire un pregiudizio qualora esso risultasse minore di quello reale. Si può quindi ovviare a ciò assegnando azioni di godimento che permettono di partecipare alla distribuzione di utili futuri anche se in modo postergato rispetto alle altre categorie di soci.

194) I titoli azionari - La circolazione del titolo azionario, implicando anche la circolazione della posizione di socio, determina la sostituzione dell’acquirente al venditore in tutte le posizioni soggettive riferite all’azione, siano esse attive e passive, compreso l’obbligazione al versamento dei conferimenti ancora dovuti nel caso di azioni non interamente liberate. Per quanto riguarda la disciplina della circolazione la vigente normativa prevede che in caso di mancata emissione dei titoli azionari il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società e conferisce la legittimazione ad esercitare i relativi diritti dal momento dell’iscrizione nel libro dei soci. Per le azioni al portatore viene disposto che esse si trasferiscono mediante consegna del titolo mentre per le azioni nominative si prevede il meccanismo della girata autenticata e si stabilisce che il giratario che si dimostra possessore in base ad una serie continua di girate è legittimato ad esercitare i diritti sociali fermo

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restando l’obbligo della società di aggiornare il libro dei soci. La legge considera inoltre le azioni rappresentate da strumenti finanziari dematerializzati. In tal caso la scritturazione svolge un ruolo equivalente, a seconda che si tatti di azioni al portatore o nominative, alla consegna del titolo o alla girata e legittima quindi ad esercitare i diritti sociali. Nel secondo caso inoltre vi è l’obbligo della società di procedere all’aggiornamento del libro dei soci.

195) Limitazioni alla circolazione delle partecipazioni - Per le società per azioni la legge pur ammettendo la possibilità di vietare il trasferimento delle azioni ne circoscrive la possibilità nel termine massimo di cinque anni e prevede la possibilità di sottoporre (in base ad una disposizione dello statuto) a particolari condizioni il trasferimento delle azioni nominative e di quelle non rappresentate da titoli azionari. La legge prevede inoltre che altre limitazioni possano essere imposte nell’atto costitutivo e quindi le limitazioni più diffuse sono quelle che derivano da una disposizione statutaria quale la clausola che prevede un diritto di prelazione dei soci in caso di alienazione di azioni (per cui il socio che intende liberarsi delle azioni deve preferire, a parità di prezzo, uno o tutti i soci) o la clausola di gradimento (per cui la vendita della azioni viene subordinata al gradimento della persona dell’acquirente da parte degli organi sociali, consiglio di amministratore o assemblea). Tali limitazioni statutarie sono motivate dall’intento di evitare l’ingresso in società a persone non gradite e in quanto poste dallo statuto sono efficaci erga omnes e quindi opponibili ai terzi sia se le conoscessero o meno con la conseguenza, per quanto riguarda la clausola di prelazione, che il trasferimento fatto in sua violazione non ha effetto nei confronti della società e degli altri soci che hanno quindi il diritto di rendersi acquirenti in sostituzione di colui che le abbia acquistate in violazione del loro diritto. Il problema più delicato si pone però per la clausola di gradimento in quanto essa attribuisce un potere ad un organo sociale, e quindi ad un gruppo di comando, che può costituire uno strumento per impedire il ricambio nel controllo della società ponendo inoltre discriminazioni tra maggioranza e minoranza nella possibilità di vendere le proprie azioni. Pertanto il gradimento non può essere arbitrariamente rifiutato ma il rifiuto deve trovare giustificazione nella situazione oggettiva, altrimenti la clausola potrebbe addirittura escludere indefinitamente la circolazione delle azioni cosa non consentita per le società per azioni. La legge prevede che le clausole che subordinano il trasferimento inter vivos a clausole di gradimento o che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento mortis causa sono efficaci solo quando sia previsto a carico della società o degli altri soci l’obbligo di acquistare le azioni o sia riconosciuto al socio alienante il diritto di recesso. In tal modo la legge tutela la posizione del socio alienante ma non il possibile ricambio dei gruppi di comando. Per quanto riguarda la società a responsabilità limitata la legge prevede che in presenza di clausole di gradimento o di clausole che sottopongono a condizioni o limiti i trasferimenti mortis causa, il socio o i suoi eredi possono chiedere la liquidazione della quota immediatamente o alla scadenza del termine non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione fissata dall’atto costitutivo. Per entrambe le società si deve ritenere che mancando il gradimento e fatta salva l’applicazione delle tutele previste dalla legge la vendita della partecipazione non ha effetto nella società e quindi socio rimane il venditore e non l’acquirente.

196) Azione e quota nella società per azioni: sindacati di blocco e sindacati di amministrazione. I patti parasociali - i patti parasociali sono quegli accordi tra i soci che hanno lo scopo di regolare il loro comportamento in seno alla società. Tali patti hanno efficacia obbligatoria solo tra le parti che li stipulano, con esclusione dei successivi acquirenti delle azioni, non possono essere opposti ai terzi né alla società (che non è parte), non invalidano gli atti compiuti in violazione di essi e. nei confronti del trasgressore, gli altri soci partecipanti all’accordo violato possono esperire solo l’azione di risarcimento dei danni qualora sia dimostrabile un pregiudizio derivato dal comportamento del trasgressore stesso. I sindacati di blocco sono quei patti parasociali costituiti da quegli azionisti i quali, al fine di evitare che le azioni di uno o più di essi possano passare di mano ad altre persone, si impegnano reciprocamente a limitare l’alienazione delle azioni stesse in modo da garantire una certa composizione del corpo sociale. Come abbiamo detto l’alienazione delle azioni in violazione del patto è perfettamente valida ed efficace ed obbliga solo il trasgressore al risarcimento del danno. Pertanto per ottenere una efficacia valida anche nei confronti dei terzi il sindacato di blocco viene effettuato

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depositando le azioni presso un terzo e quindi impedendo la possibilità di violazione degli obblighi assunti. I sindacati di voto sono invece patti tra gruppi di azionisti che si formano nell’ambito delle società per azioni in modo da godere di quei diritti che sono connessi ad una quota superiore a quella singolarmente detenuta dai partecipanti al sindacato. Il codice originariamente non vietava né regolava espressamente i sindacati di voto e quindi nella dottrina e nella giurisprudenza erano sorti dubbi sulla validità di tali convenzioni ma tali perplessità devono intendersi superate a seguito dell’introduzione nel codice civile con l’art. 2341 bis di una disciplina generale dei patti parasociali. L’art 2341 disciplina infatti quei patti che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto o pongono limiti al trasferimento delle azioni prevedendo che essi non possano avere una durata superiore ai cinque anni, anche se sono rinnovabili alla scadenza. Inoltre i patti parasociali nell’ambito delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio devono essere dichiarati in assemblea e in mancanza di tale dichiarazione (che deve essere trascritta nel verbale depositato presso il registro delle imprese) gli azionisti cui il patto si riferisce non possono esercitare il diritto di voto a pena della annullabilità della deliberazione assunta con il loro voto determinante. Tale disciplina chiarisce che essendo i patti di sindacato riferiti ad interessi privati non è vietato che i partecipanti rinuncino ad un loro particolare interesse a favore di un altro interesse che sta loro maggiormente a cuore ma interviene per evitare che da tali patti possa derivare un danno agli altri soci attribuendo loro il potere di impugnazione della deliberazione in caso di conflitto di interessi quando la deliberazione può arrecare danno alla società. Pertanto non è invalido il patto di sindacato attraverso il quale i membri cerchino di realizzare attraverso la società un loro interesse personale ma è invalida la deliberazione formatasi con tali voti quando da essa può derivare un danno per la società.

2 La costituzione della società

197) Procedimento di costituzione: oneri relativi - Nelle società di capitali il processo di costituzione è un fenomeno complesso risultante da più atti tra loro collegati. Mentre infatti nelle società di persone la formazione della società si esaurisce nella stipula del contratto sociale nelle società di capitali il processo formativo si conclude con l’iscrizione della società nel registro delle imprese. Prima di tale momento la società non esiste come persona giuridica ed è solo in tale momento che si producono, nei confronti dei soci e dei terzi, gli effetti giuridici tipici del tipo di società prescelto, Nel processo di formazione delle società di capitali è fondamentale l’accento posto sulla formazione del capitale e sulle garanzie dirette ad assicurare che esso si sia effettivamente formato. Ne derivano particolari oneri a carico di coloro che partecipano alla stipula del contratto sociale, oneri che devono essere adempiuti prima che il notaio proceda alla stipula dell’atto costitutivo, Tali oneri consistono nella dimostrazione che il capitale sociale è stato sottoscritto, nel versamento del venticinque per cento del capitale in denaro presso una banca, nell’integrale esecuzione dei versamenti in natura e nella sussistenza di tutte le autorizzazioni richieste dalla legge per la costituzione della società

198) Costituzione simultanea e costituzione successiva. – Nelle società a responsabilità limitata e nelle società per azioni di piccole dimensioni il capitale è conferito dalle persone che intendono costituire la società. Nelle società per azioni di maggiori dimensioni invece la formazione del capitale può richiedere la raccolta dei mezzi necessari presso il pubblico dei risparmiatori. In questo caso gli ideatori della società possono seguire due vie: sottoscrivere loro stessi il capitale costituendo la società e rinviando ad un momento successivo il collocamento delle azioni presso i risparmiatori (costituzione simultanea) o raccogliere preventivamente le adesioni dei risparmiatori sulla base di un programma in cui sono indicati gli scopi della società e le condizioni essenziali per la partecipazione ad essa (costituzione successiva o mediante pubblica sottoscrizione). Il primo tipo di costituzione non pone problemi in quanto il contratto sociale in questo caso è il risultato di un atto cui partecipano tutti gli interessati. Problemi di interpretazione si pongono invece con il secondo tipo di costituzione che prevede le seguenti fasi : a) redazione da pare dei promotori di un programma contenente l’oggetto, il capitale, le principali disposizioni dell’atto costitutivo e dello statuto. Il programma deve essere sottoscritto dai promotori, autenticato da un notaio e depositato presso di esso. B) adesione dei sottoscrittori mediante atto pubblico o scrittura privata c) versamento del venticinque per cento dei

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conferimenti in denaro nel termine stabilito del programma d) assemblea dei sottoscrittori per accertare l’adempimento degli oneri richiesti dalla legge e per deliberare a maggioranza dei voti sulla integrazione delle disposizioni dell’atto costitutivo e)stipulazione dell’atto costitutivo da parte dei presenti, in rappresentanza anche degli assenti. Problemi giuridici si pongono circa il significato giuridico da attribuire a tali diverse fasi e alla posizione giuridica dei sottoscrittori dopo la loro adesione al programma. Tali problemi si risolvono considerando che le varie fasi non hanno portata giuridica autonoma ma sono elementi singoli di una fattispecie complessa, collegati tra di loro al fine della produzione dell’effetto giuridico definitivo. Quando la legge parla di stipula dell’atto costitutivo quindi si riferisce alla redazione di un atto formale che non fa altro che riprodurre la volontà già espressa dai sottoscrittori con la loro adesione e questo è dimostrato dal fatto che l’atto costitutivo possa essere posto in essere dagli intervenuti anche in rappresentanza degli assenti.

199) I promotori e i soci fondatori - Nelle società a costituzione successiva coloro che preparano il programma sono definiti promotori, e su di essi gravano obblighi e responsabilità e possono essere attribuiti particolari diritti. I promotori sono infatti direttamente e solidalmente responsabili verso i terzi per gli atti posti in essere per la costituzione della società e hanno diritto di rivalsa nei confronti della società, qualora questa si costituisca, solo se le obbligazioni assunte e le spese sostenute sono state necessarie o sono state approvate dall’assemblea. I promotori sono poi responsabili verso la società e i terzi (solidalmente con coloro per conto dei quali hanno effettivamente agito): a) per l’integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la costituzione della società, b) per la veridicità delle comunicazioni fatte al pubblico nel programma c) per la effettiva esistenza dei versamenti in natura.. Ai promotori può essere riconosciuto nell’atto costitutivo, previa deliberazione dell’assemblea, una partecipazione agli utili (in misura non superiore al decimo e per non più di cinque anni).

200) L’atto costitutivo e lo statuto . La costituzione della società è una fattispecie complessa che risulta dalla stipula dell’atto costitutivo e dal deposito e l’iscrizione presso il registro delle imprese. L’atto costitutivo deve essere stipulato come atto pubblico e deve contenere tutte le indicazioni, relative agli aspetti personali e patrimoniali richieste dalla legge. La legge richiede che gli aspetti relativi al funzionamento della società siano contenuti nello statuto, che può essere parte dell’atto costitutivo o costituire un atto separato, In caso di contrasto tra le regole contenute nello statuto e nell’atto costitutivo sono prevalenti le prime (a riprova del fatto che gli elementi organizzativi hanno ruolo centrale rispetto a quelli personali o patrimoniali). La mancanza dell’atto pubblico produce la nullità della società mentre la mancanza delle altre indicazioni prescritte è irrilevante ai fini delle successive fasi della costituzione purchè le lacune possano essere colmate dalla legge (es. mancata disposizione sulla ripartizione degli utili).

201) Deposito e iscrizione nel registro delle imprese – L’atto costitutivo deve essere depositato, a cura del notaio che lo ha ricevuto, entro venti giorni dalla stipulazione, presso il registro delle imprese della circoscrizione dove è posta la sede sociale con allegati i documenti che comprovano l’esistenza delle condizioni richieste per la costituzione. Contestualmente al deposito viene richiesta l’iscrizione al registro delle imprese che viene effettuata dall’ufficio del registro previa la verifica della sola regolarità formale della documentazione. Il controllo sulla validità sostanziale dell’atto costitutivo e dell’esistenza delle condizioni richieste spetta invece al notaio. Con l’iscrizione al registro delle imprese la società acquista personalità giuridica.

202) Situazione giuridica antecedente all’iscrizione - Prima dell’iscrizione nel registro delle imprese non ha senso parlare di società per azioni o a responsabilità illimitata, in quanto essendo la costituzione un procedimento complesso, essa non può avere luogo prima che tali atti siano stati compiuti. Possiamo pertanto dire che finchè il processo di costituzione non si è ultimato la società non esiste anche se la stipulazione dell’atto costitutivo è in grado di produrre alcuni effetti nei confronti dei soci, del notaio e degli amministratori. Rispetto ai soci l’atto costitutivo è vincolante nel senso che con esso i soci assumono l’obbligazione al conferimento. Tale efficacia vincolante cessa solo nei seguenti

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due casi: a) l’iscrizione dell’atto costitutivo viene negata a causa di irregolarità formali nella documentazione b) quando non si è provveduto all’iscrizione della società nel registro delle imprese entro 90 giorni dalla stipula. In queste ipotesi il socio è liberato dal conferimento e può chiedere la restituzione delle somme versate ma fino a che una di queste ipotesi non si verifica il contratto resta vincolante per i soci. Rispetto al notaio e agli amministratori l’effetto è quello di far sorgere a loro carico l’obbligo di provvedere al deposito dell’atto e degli allegati per l’iscrizione, obbligo per la cui inosservanza sono previste sanzioni amministrative. Si tratta quindi di effetti minori rispetto a quelli che conseguono alla costituzione della società in quanto fino a questo momento la società non esiste come persona giuridica e quindi non è concepibile una attività della società attraverso i suoi organi né una responsabilità della società per le obbligazioni assunte. Per tali obbligazioni rispondono invece illimitatamente e solidalmente coloro che agiscono in nome della società e potranno rivalersi nei confronti della società una volta costituita se la società stessa ha approvato l’operazione posta in essere ma ciò non potrà avvenire se la società non verrà costituita. Coloro che agiscono possono vincolare le persone che hanno partecipato all’atto costitutivo solo nel caso che l’operazione sia stata compiuta su loro mandato ma tale mandato non può ritenersi esistente per il solo fatto della stipula dell’atto costitutivo. Infatti la responsabilità illimitata e solidale viene estesa oltre che a coloro che hanno agito anche a coloro che con l’atto costitutivo o con atto separato hanno autorizzato o consentito l’operazione e anche all’unico fondatore (nel qual caso la legge pone una presunzione assoluta. Una volta costituita la società coloro che hanno agito possono essere sostituiti dalla società nelle obbligazioni assunte e possono essere rimborsati dalle spese sostenute se esse sono necessarie per la costituzione della società mentre per le altre spese è necessaria l’approvazione dell’organo sociale competente. La legge vieta espressamente l’emissione di azioni prima dell’iscrizione e la loro offerta al pubblico.

203) La nullità della società – L’art. 2332 cc disciplina la nullità della società apportando alcune modifiche alla disciplina generale prevista per i contratti plurilaterali. In primo luogo la nullità della società può essere pronunciata solo in un numero circoscritto di casi, previsti dall’art. 2332 che attengono esclusivamente a vizi dell’atto costitutivo e sono i seguenti: mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma di atto pubblico, mancanza nell’atto costitutivo dell’indicazione della denominazione della società, dei conferimenti, o dell’ammontare del capitale sociale o dell’oggetto sociale, l’illiceità dell’oggetto sociale. A queste ipotesi deve aggiungersi l’accoglimento dell’istanza per la cancellazione dal registro proposta dall’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni che costituiscono condizioni di iscrizione dell’atto costitutivo ai sensi del’art. 2329 cc. L’art. 2332 inoltre esclude la retroattività della dichiarazione di nullità della società e pertanto riconosce l’efficacia e la validità degli atti compiuti in nome della società prima della dichiarazione stessa affermando il diritto dei creditori sul patrimonio sociale per cui i soci non sono liberati dai conferimenti prima della soddisfazione dei creditori stessi. L’art. 2332 stabilisce anche che la dichiarazione di nullità rende necessaria la liquidazione della società per definire i rapporti antecedenti alla dichiarazione stessa e pertanto la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori e deve essere trascritta nel registro delle imprese ad opera degli amministratori o dei liquidatori. L’art. 2332 stabilisce infine che la nullità non può essere pronunciata quando la causa di invalidità sia stata eliminata e di tale eliminazione sia stata fatta pubblicità mediante iscrizione nel registro delle imprese.

3) Organizzazione giuridica della società -

Prima della riforma delle società di capitali organi di tali società erano l’assemblea dei soci, gli amministratori e il collegio sindacale sulla base di una divisione delle competenze per cui ai primi spettavano funzioni deliberative, ai secondi gestionali e ai terzi di controllo. A seguito della riforma è stata disegnata una disciplina diversa che accentua anche le differenze tra società per azioni e società a responsabilità limitata. Per quanto riguarda le prime il legislatore consente una scelta tra diversi sistemi di amministrazione e controllo in quanto accanto al sistema tradizionale visto prima (che si applica anche nel silenzio dello statuto) è previsto che la società possa liberamente adottare uno degli altri due metodi introdotti dal legislatore e precisamente il sistema dualistico e il sistema monistico. Il

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primo prevede i due organi del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza, il secondo prevede che le funzioni di amministrazione e controllo siano affidate entrambe al consiglio di amministrazione.

Qualunque sia il sistema adottato la funzione di revisione legale dei conti viene esercitata di regola da un revisore legale dei conti o da una società di revisione. Apposite regole vengono poi previste quando la società faccia ricorso al mercato del capitale di rischio laddove la legge prevede una più accentuata tutela del risparmio diffuso. E’ chiaro quindi che in questo tipo di società (dette società aperte) vi sia un più elevato grado di vincolatività delle regole legislative e infatti per esse il legislatore stabilisce che la disciplina generale sia applicabile solo se non sia diversamente disposto (nel codice o nelle leggi speciali). Per quanto riguarda invece le società a responsabilità limitata in generale il legislatore lascia un ampio margine ai soci di stabilire nell’atto costitutivo le materie riservate alla loro competenza (la legge indica infatti solo quelle competenze che non possono essere loro sottratte), di scegliere tra una amministrazione congiunta o disgiunta e di prevedere che le decisioni dei soci stesse siano prese anche al di fuori dell’assemblea (la legge infatti stabilisce solo alcune materie per le quali la riunione assembleare è imperativa). La nomina del collegio sindacale è obbligatoria solo in alcuni casi e precisamente quando il capitale sociale non è inferiore a quello richiesto per le società per azioni (120.000 euro), quando la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato o controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti o quando siano stati superati due dei limiti previsti in materia di bilancio in forma abbreviata. Nelle società a responsabilità limitata quindi la disciplina legale svolge un ruolo residuale e viene lasciata all’autonomia privata la decisione circa l’organizzazione della società consentendo un alto grado di flessibilità.

a) Le deliberazioni dei soci

205) Deliberazioni assembleari e decisioni dei soci - La funzione decisionale dei soci si svolge di regola attraverso la deliberazione in cui trova applicazione il principio maggioritario. Tuttavia tale deliberazione non è sempre frutto di un procedimento caratterizzato dalla riunione dei soci in assemblea. Infatti tale modello può subire deroghe o addirittura essere eliminata grazie all’esercizio dell’autonomia statutaria, Infatti per le società per azioni pur essendo imperativa la necessità dell’assemblea è stata introdotta la possibilità del voto per corrispondenza e di intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione. Per le società a responsabilità limitata invece il metodo assembleare è richiesto solo in alcuni casi (modificazione dell’atto costitutivo,, riduzione del capitale per perdite, modificazioni dell’oggetto statutario o rilevanti modificazioni dei diritti dei soci) mentre per le altre materie l’atto costitutivo può prevedere un metodo diverso, tramite il consenso espresso per iscritto, salvo il potere per gli amministratori o per i soci che rappresentino un terzo del capitale sociale di chiedere che la decisione sia adottata in seno all’assemblea.

206) La costituzione dell’assemblea - Per quanto riguarda le decisioni non assembleari delle società a responsabilità limitata la legge richiede una documentazione scritta idonea ad individuare l’argomento della decisione ed il consenso alla stessa che deve essere conservata dalla società. Per quanto riguarda invece le decisioni assembleari (necessarie nelle società per azioni e, per quanto riguarda le società a responsabilità limitata nei casi previsti dalla legge o quando l’atto costitutivo non preveda l’adozione di tecniche alternative) la legge disciplina sia la procedura per la convocazione dell’assemblea che i principi relativi al quorum, costitutivo e deliberativo. Per quanto riguarda la convocazione dell’assemblea per le società per azioni abbiamo una disciplina generale e una speciale prevista per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La disciplina generale prevede che la convocazione sia ad opera degli amministratori (e in fase di liquidazione dei liquidatori) e debba avvenire mediante pubblicazione sulla GU almeno 15 giorni prima di quello stabilito per la convocazione, di un avviso che contenga l’indicazione del luogo, data ed ora dell’adunanza e dell’ordine del giorno. Per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio lo statuto può prevedere chela convocazione si attui mediante comunicato ai soci con mezzi che assicurino la prova dell’avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima del giorno dell’assemblea. Nelle società a responsabilità limitata i modi di convocazione vengono determinati dallo statuto e in mancanza la

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convocazione va fatta tramite lettera raccomandata ai soci da inviarsi almeno otto giorni prima di quello fissato per l’assemblea. L’ordine del giorno è tassativo nel senso che non possono essere adottate deliberazioni che riguardino materie non inserite in esso, La mancata osservazione delle formalità di convocazione non è rilevante quando si tratta di assemblea totalitaria (per la quale nelle società per azioni non è richiesto che sia rappresentato l’intero capitale sociale ma è richiesta la maggioranza dei componenti gli organi amministrativi e di controllo salva necessità di dare agli assenti comunicazione delle deliberazioni assunte e per le società a responsabilità limitata tutti gli amministratori e se esistono i componenti del collegio sindacale devono essere presenti o, se assenti, informati della riunione). Nelle società a responsabilità limitata l’assemblea deve essere convocata dagli amministratori nei seguenti casi: a) al termine dell’esercizio sociale per l’approvazione del bilancio (se per statuto tale decisione è adottabile in sede assembleare) b) quando ne faccia richiesta una o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale anche se si tratta di decisione per la quale l’atto costitutivo non richiede l’assemblea c) quando il capitale sociale è stato perduto per oltre un terzo d) in presenza di un fatto che determina lo scioglimento della società. Nelle società per azioni la convocazione è obbligatoria nei seguenti casi: a) al termine di ogni esercizio sociale per l’approvazione del bilancio entro il termine stabilito dallo statuto (che non può essere superiore a120 giorni dalla chiusura dell’esercizio e a 180 giorni in casi particolari come quando la società è tenuta al bilancio consolidato). B) se viene a mancare la maggioranza degli amministratori c) quando non si riesce con i supplenti ad integrare il collegio sindacale d) quando il capitale sociale è perduto oltre un terzo e) in presenza di un fatto che determina lo scioglimento della società f) quando sia richiesto dai soci che rappresentano almeno un decimo del capitale sociale (o un ventesimo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio). In casi particolari la convocazione deve essere fatta dal collegio sindacale (o nel sistema dualistico dal consiglio di sorveglianza) e ciò nei casi in cui la legge fissi per loro tale obbligo o quando viene a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori. Per quanto riguarda le regole fissate per il quorum costitutivo (necessario per la costituzione regolare dell’assemblea) e per il quorum deliberativo (necessario per la validità delle deliberazioni da prendere) la disciplina è diversa per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata. Per quanto riguarda le seconde il quorum costitutivo consiste nella presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale. Per il quorum deliberativo è richiesta la maggioranza assoluta dei presenti. In casi particolari (modifiche di atto costitutivo, modifica dell’oggetto sociale, modifiche rilevanti dei diritti dei soci) è richiesto il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale o (per la rinuncia o la proposizione dell’azione di responsabilità per gli amministratori) una maggioranza pari ai due terzi del capitale sociale oltre alla mancata opposizione dei soci che rappresentino almeno un decimo del capitale stesso. Nell’ipotesi di procedimenti diversi da quello assembleare non ha senso parlare di un quorum costitutivo ma ha senso invece il quorum deliberativo rappresentato da voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale. Per le società per azioni invece occorre distinguere tra assemblea ordinaria e straordinaria, tra prima convocazione e seconda convocazione. Nel caso di assemblea in prima convocazione per quella ordinaria il quorum costitutivo è la metà del capitale sociale fornito di diritto di voto, mentre per quella straordinaria lo stesso quorum è richiesto per le società che fanno ricorso al capitale di rischio e per le altre società non è richiesto quorum costitutivo che si determina indirettamente da quello deliberativo in quanto la legge si limita a richiedere un quorum deliberativo pari a più della metà del capitale sociale. Per quanto riguarda l’assemblea in seconda convocazione per l’assemblea ordinaria non si prevede quorum costitutivo e quindi si può deliberare qualunque sia il capitale sociale rappresentato ma è previsto il quorum deliberativo pari alla maggioranza dei presenti. Per l’assemblea straordinaria invece è richiesta la partecipazione di più di un terzo del capitale sociale ed il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato. E’ previsto un quorum deliberativo rafforzato per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (voto di più di un terzo del capitale sociale) nel caso di decisioni relative al cambio dell’oggetto sociale, lo scioglimento anticipato o la proroga, il trasferimento della sede all’estero o l’emissione di azioni privilegiate. Si richiede invece un quorum costitutivo ridotto (un quinto del capitale sociale) per le assemblee straordinarie di convocazione successiva alla seconda per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio fermo restando un quorum deliberativo di almeno i due terzi del

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capitale previsto per la prima convocazione. E’ possibile comunque che lo statuto richieda quorum più elevati ma tale previsione viene esclusa nelle ipotesi in cui la mancata deliberazione potrebbe compromettere il funzionamento della società (es. approvazione del bilancio e nomina o revoca delle cariche sociali). Per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio lo statuto può prevedere convocazioni successive alla seconda con regole uguali ad essa e per le società che invece fanno ricorso al mercato di rischio lo statuto può eliminare le differenze tra prima e seconda convocazione prevedendo un’unica convocazione per le quali valgono le regole stabilite per la seconda e terza convocazione.

207) Assemblea ordinaria e straordinaria di società per azioni – Nelle sole società per azioni sono previste assemblee ordinarie e straordinarie. Le competenze della assemblea ordinaria possono essere diverse nelle società che adottano un sistema di amministrazione tradizionale o monistico (dove cioè manca il consiglio di sorveglianza) e nelle società dualistiche (dove tale organo è presente). Nel primo caso le competenze sono le seguenti: nomina dei componenti degli altri organi e loro sostituzione e revoca, determinazione del loro compenso, deliberazione sulla loro responsabilità, approvazione del bilancio,, deliberazioni sulle altre materie attribuite dalla legge alla sua competenza tra le quali quella sulla distribuzione degli utili, nomina e la nomina del revisore contabile. Nelle seconde abbiamo le deliberazioni sulla nomina, revoca e compenso del consiglio di sorveglianza, nomina del revisore e distribuzione degli utili ma non approvazione del bilancio (che spetta al consiglio di sorveglianza anche se lo statuto può prevedere questa competenza che in caso di mancata approvazione o quando lo richieda un terzo dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza). Compiti della assemblea straordinaria sono quelli relativi alle modificazioni dello statuto, nomina, sostituzione e poteri dei liquidatori. Altri compiti possono essere attribuiti dallo statuto quali quello della istituzione o soppressione di sedi secondarie, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, il trasferimento della sede sociale all’interno del territorio nazionale.

208) Diritto di intervento e diritto di voto - Nelle società a responsabilità limitata dove la posizione del socio è caratterizzata oltre che da un interesse all’investimento anche da un interesse alla gestione imprenditoriale della società il diritto del socio al voto è previsto senza possibilità di deroga e quindi non ha senso distinguere tra diritto di voto e diritto di intervento in assemblea. Per le società per azioni invece dove l’interesse del socio è principalmente quello di investimento azionario e dove quindi esistono diverse categorie di azioni che si distinguono per attribuire o meno il diritto al voto, è stato lungamente discusso da parte della dottrina se all’azionista cui non spetta il diritto di voto spetti o meno intervenire in assemblea. Tale problema è stato oggi risolto in quanto il codice civile espressamente stabilisce che hanno diritto di intervenire all’assemblea solo coloro che hanno il diritto di voto. Per quanto riguarda l’esercizio del diritto di voto abbiamo regole generali e regole previste da leggi speciali. Le regole generali non richiedono specifici adempimenti ma solo che il soggetto dimostri la propria legittimazione secondo i principi fissati dalla legge mentre lo statuto può prevedere un preventivo deposito delle azioni presso la sede sociale o una delle banche incaricate fissando il termine entro il quale tale deposito deve avvenire. Hanno diritto e l’obbligo di intervenire i componenti degli organi di amministrazione e di controllo e anzi per i sindaci il mancato intervento senza giustificato motivo costituisce una causa della decadenza dall’ufficio. Può capitare anche che i soci pur avendo il diritto di voto non possano esercitarlo concretamente e la legge a tale proposito stabilisce che le relative azioni debbano essere considerate ai fini della costituzione dell’assemblea ma non del calcolo della maggioranza richiesta per l’approvazione della deliberazione. I casi in cui ciò si verifica sono ad. Es. quello del socio moroso, del socio di una società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio che partecipa ad un patto parasociale non dichiarato in assemblea o del socio amministratore rispetto a deliberazioni riguardanti la sua responsabilità. Caso a parte è quello del socio in conflitto di interessi. La legge in tal caso non prevede un divieto di voto ma stabilisce che la deliberazione assunta con il voto determinante di colui che ha un conflitto di interessi è invalida se può recare danno alla società. Abbiamo quindi una situazione diversa da quanto accade se il voto è stato espresso da chi non poteva esercitare il relativo diritto dove la deliberazione è invalida se il voto è stato determinante a formare la maggioranza mentre nel caso del conflitto di interessi la legge richiede

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anche che si sia verificato un danno per la società. Può accadere anche che il socio dichiarando di essere in conflitto di interessi decida di non esercitare il diritto di voto e questa situazione è uguale a quella in cui il diritto di voto non può essere esercitato in quanto anche in questo caso le relative azioni non sono conteggiate ai fini del quorum deliberativo.

209) La rappresentanza in assemblea - In linea di principio il voto può essere espresso tramite un rappresentante. Nel caso in cui il potere di rappresentanza spetta al rappresentante nell’ambito di una più ampia funzione di gestione degli interessi del socio (unico caso possibile nell’ipotesi di voto extrassembleare e nell’ipotesi di voto per corrispondenza) il conferimento del relativo potere può avvenire secondo le regole del diritto comune essendo sufficiente che esso sia comunicato alla società. Nel caso invece il potere di rappresentanza ha per oggetto direttamente la partecipazione all’assemblea occorre distinguere tra la rappresentanza conferita per singole assemblee e quella risultante da procura generale. Nel primo caso la legge richiede espressamente i requisiti della documentazione scritta dell’atto di conferimento del relativo potere che deve contenere il nome del rappresentante e la sua revocabilità e che la società conservi tali documenti. Tali requisiti sono richiesti espressamente per le società per azioni ma devono ritenersi validi anche per la società a responsabilità limitata. Il problema più rilevante è quello dei limiti in cui consentire l’utilizzazione di rappresentanti per l’esercizio del diritto di voto e quindi la partecipazione di terzi portatori di interessi appunto estranei a quelli della società. Così se in linea di principio lo statuto delle società a responsabilità limitata o per azioni può escludere la rappresentanza in assemblea ciò è vietato per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e ciò per la motivazione di permettere all’azionista di manifestare i propri orientamenti senza affrontare i costi di una diretta partecipazione all’assemblea. Per lo stesso motivo nella società per azioni sono previsti limiti per la rappresentanza (es. non si può conferirla ai componenti degli organi di amministrazione o di controllo o ai dipendenti della società, ci sono limiti quantitativi al numero di soci che può utilizzare lo stesso rappresentante) tali limiti non sono applicabili alle società per azioni quotate. Per le società con azioni quotate è quindi prevista una disciplina più permissiva ma nello stesso tempo la legge dispone che la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee a meno che non si tratti di procura generale o conferita da una società ad un proprio dipendente.

210) La riunione assembleare : presidenza e verbale di assemblea - In caso di riunione extrassembleare ( e quindi solo per le società a responsabilità limitata) la legge si limita a richiedere che il consenso sia manifestato per iscritto e che la relativa documentazione sia conservata dalla società e quindi è sufficiente che lo statuto descriva il modo in cui tale consenso deve essere raccolto. Nel caso invece di riunione assembleare si pongono problemi più complessi ai quali provvede la disciplina del legislatore, dell’atto costitutivo e dello statuto, e le norme adottate dall’assemblea ordinaria stessa con specifico regolamento. La legge richiede la presenza di un presidente dell’assemblea dotato di poteri ordinatori, in generale il presidente della società o persona eletta dalla maggioranza dei presenti. Per le società per azioni la legge richiede anche la presenza di un segretario a meno che il verbale sia redatto da un notaio. L’assemblea si divide in due fasi: nella prima il presidente accerta il quorum costitutivo e l’identità e la legittimazione dei presenti a partecipare all’assemblea stessa. Nella seconda fase l’assemblea discute e delibera sugli argomenti posti all’ordine del giorno e in questa fase il presidente deve assicurare un regolare svolgimento dei lavori e alla fine accertare i risultati della votazione. Deve inoltre essere redatto il verbale dell’assemblea che ha la funzione di far risultare le due fasi dell’assemblea e le decisioni prese, e la legge richiede espressamente per le società per azioni che il verbale sia sottoscritto dal presidente e dal segretario con la conseguenza che per le società a responsabilità limitata le due funzioni possano essere cumulate nella stessa persona. Identica è invece la disciplina per le assemblee straordinarie nelle due società in quanto in tutti i casi la legge richiede che il verbale sia redatto da un notaio. I verbali devono essere redatti nei tempi stabiliti per l’esecuzione degli obblighi di deposito e pubblicazione e devono essere trascritti in apposito libro. Secondo la vigente disciplina (successiva alla riforma) l’incompletezza o inesattezza del verbale comporta l’annullabilità della deliberazione solo se essa impedisce ad accertare il contenuto, gli effetti e la validità della deliberazione stessa. La mancanza del verbale invece

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comporta l’impugnabilità della deliberazione nel termine di tre anni anche se è stabilito che la verbalizzazione tardiva (purchè eseguita prima della successiva assemblea) comporta la sanatoria dell’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale e in tal caso la deliberazione ha effetto dalla data in cui è stata presa salvi i diritti dei terzi che in buona fede ne ignoravano l’esistenza.

211) Efficacia delle deliberazioni dei soci - Il codice civile stabilisce espressamente che le deliberazioni dell’assemblea prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo, in quanto manifestazione della volontà della società. sono vincolanti per tutti i soci (consenzienti o dissenzienti) e per gli organi della società. L’efficacia generale della deliberazione è una conseguenza necessaria del principio maggioritario e quindi il socio non può sottrarsi ad essa se non esercitando il diritto di recesso e quindi ponendosi fuori della società. L’efficacia della deliberazione si ha, normalmente, nel momento stesso in cui essa è stata presa. Vi sono però deliberazioni che, avendo effetto sui terzi, per essere opposte ai terzi ignari devono essere iscritte nel registro delle imprese (deliberazioni di nomina o revoca degli amministratori, dei liquidatori e dei componenti gli organi di controllo). Inoltre alcune volte le deliberazioni sono efficaci solo con l’iscrizione nel registro delle imprese (es. deliberazioni di modifica dell’atto costitutivo), e altre deliberazioni la cui efficacia è subordinato al decorso di un determinato periodo dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese (deliberazione di riduzione del capitale sociale con riduzione del patrimonio, revoca della liquidazione, fusione o scissione) in quanto in questi casi occorre dare ai creditori della società il tempo per esercitare il diritto di opposizione ad essi riconosciuto. In altri casi dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese decorrono i termini per l’esercizio di alcuni diritti concessi ai soci come ad. Es. il diritto di recesso.

212) Il sistema della invalidità delle deliberazioni dei soci. Inammissibilità della categoria delle deliberazioni cosiddette inesistenti - Le deliberazioni dei soci (sia prese in assemblea che in modo extra assembleare) possono essere invalide. La disciplina della invalidità delle deliberazioni tuttavia differisce notevolmente da quella prevista dal codice per gli atti negoziali in generale. Infatti per le deliberazioni non possono essere concepibili vizi quali la illiceità della causa o dei motivi in quanto essi presuppongono un rapporto intersoggettivo e quindi non possono essere riferiti ad un atto interno quale è la deliberazione. Nello stesso modo non possono essere rilevanti i vizi previsti dal codice civile per le persone fisiche (errori, dolo e violenza) in quanto i vizi di volontà o di motivi possono essere rilevanti solo con riferimento ai singoli voti ma se pure fossero rilevanti sulla deliberazione lo sarebbero in quanto influenti sulla formazione della delibera e quindi costituirebbero oggettivamente una anomalia del procedimento da cui la deliberazione stessa deriva. Occorre quindi vedere, con riferimento alla deliberazione, l’utilizzabilità delle categorie generali della nullità e dell’annullabilità, dove peraltro le discipline previste per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata differiscono solo formalmente ma non dal punto di vista sostanziale. La legge infatti parla di nullità e annullabilità solo per le società per azioni mentre per le società a responsabilità limitata parla genericamente di invalidità, tuttavia tale invalidità viene sottoposta a regimi differenti a seconda della sua causa, regimi che vengono comunque a corrispondere a quelli adottati per nullità e annullabilità per le società per azioni. In primo luogo la disciplina della nullità e della annullabilità si distinguono solo per il diverso termine in cui le azioni devono essere proposte (tre anni invece di 90 giorni) e per la diversa legittimazione ad attuarla (chiunque ne abbia interesse invece che i soli soci dissenzienti, gli amministratori e gli organi di controllo) disciplina che corrisponde pienamente alle diverse cause di invalidità previste per le società a responsabilità limitata. A tutte le ipotesi sono poi comuni la predisposizione di una tutela dei diritti acquistati dai terzi in buona fede in base agli atti compiuti in esecuzione della deliberazione e la previsione della possibile sostituzione della deliberazione invalida con un’altra valida anche in ipotesi qualificate come di nullità. In realtà la diversa disciplina adottata in questo campo per le deliberazioni societarie rispetto a quella prevista in generale per gli atti negoziali si spiega con il fatto che le deliberazioni non hanno lo scopo di far sorgere rapporti giuridici e di fondare pretese ma si pongono come atti organizzativi di una società e se è vero che per una deliberazione invalida può sorgere l’esigenza di eliminarla è anche vero che il sopraggiungere di ulteriori fatti come la sostituzione della delibera può

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escludere che a tale eliminazione si debba giungere. Si deduce pertanto che sia in caso di nullità che di annullabilità alla pronuncia del giudice debba riconoscersi valore costitutivo. La disciplina originaria prevedeva due anomalie delle deliberazioni: quelle relative al procedimento in base al quale la deliberazione veniva presa (vizi della formazione) e quelli relativi al contenuto della deliberazione stessa (vizi del contenuto). In base a ciò l’art. 2377 qualificava come impugnabili le deliberazioni prese non in conformità con la legge e con lo statuto e l’art. 2379 qualificava come nulle le deliberazioni con oggetto impossibile o illecito. La nuova disciplina mantiene invariato quanto sopra ma assimila alle deliberazioni nulle quelle prese in ipotesi di mancata convocazione o di mancanza del verbale e per le società a responsabilità limitata quelle prese in assoluta mancanza di informazione. La necessità della riforma è dovuta all’esigenza del legislatore di risolvere alcuni dubbi che si erano affacciati in giurisprudenza e in dottrina e che avevano condotto alla creazione di una categoria (non prevista dal legislatore) delle cosiddette deliberazioni inesistenti da riferirsi alle ipotesi in cui si fosse verificata una mancata convocazione dell’assemblea o una mancata verbalizzazione. Tale categoria, non rientrando tra quelle previste dall’art. 2379 per la nullità veniva comunque fatta rientrare nelle previsioni di annullabilità dell’art. 2377. Per eliminare ogni dubbio pertanto il legislatore ha assimilato queste ipotesi a quelle di nullità (impossibilità o illiceità dell’oggetto) ma tuttavia, considerando che in questo caso non si tratterebbe di vizi del contenuto ma di vizi, seppure più gravi, di formazione della delibera, ha individuato per esse casi di sanatoria proprio per mettere in luce la loro particolarità rispetto agli altri casi di cui condividono il regime della impugnativa. Così per quanto riguarda la mancanza di convocazione si esclude che possano impugnare la deliberazione i soci che pure successivamente hanno dato il loro consenso allo svolgimento dell’assemblea e per quanto riguarda la mancanza del verbale una sanatoria è possibile procedendo alla verbalizzazione prima dell’assemblea successiva. In tal modo si risolve l’invalidità limitandosi ad attuare l’adempimento previsto e non, come invece nel caso di invalidità per vizi del contenuto, sostituendo l’intero procedimento deliberativo.

213) Invalidità delle deliberazioni dei soci - Al di là dei termini usati dalla legge risulta quindi chiara che la disciplina delle invalidità delle deliberazioni è simile nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata, restando ferma sulla distinzione tra vizi della formazione e vizi del contenuto. A questa distinzione corispondono due diverse discipline di impugnazione della deliberazione, disciplina detta ordinaria la prima e aggravata la seconda. Tale sistema però subisce alcune modificazioni come abbiamo visto in caso di mancanza di convocazione o verbalizzazione, o quando oggetto della deliberazione sia l’inserimento di una clausola nell’atto costitutivo o statuto che prevede un oggetto sociale impossibile o illecito (e in questo caso l’impugnativa può essere proposta senza limite di tempo), o quando si tratti di invalidità di deliberazioni concernenti l’approvazione del bilancio o la trasformazione o, per le società per azioni, in materia di emissione di obbligazioni. In termini generali tuttavia alla invalidità per vizi relativi alla formazione si applica la disciplina ordinaria. Tali vizi possono riguardare il fatto che l’assemblea non si è costituita in modo regolare, o perché non si è adempiuto alle relative formalità, o perché non erano presenti i soci necessari per la costituzione regolare dell’assemblea stessa. La presenza invece di persone non legittimate costituisce causa di invalidità solo quando essa sia risultata determinante ai fini della regolare costituzione dell’assemblea stessa. Le invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio non è rilevante se non quando abbia determinato il venir meno della maggioranza sulla quale la deliberazione si fonda e pertanto la esclusione dalla votazione di persone legittimate e l’errore di conteggio non determinano invalidità se nonostante tale irregolarità la deliberazione sarebbe stata ugualmente assunta.

214) Impugnazione delle deliberazioni dei soci: la disciplina ordinaria . La disciplina ordinaria si distingue da quella aggravata per due aspetti: la previsione di un termine più breve per l’impugnazione e la limitazione dei soggetti legittimati a proporla. Sotto il primo aspetto il termine è di 90 giorni sia per le società per azioni che per le società a responsabilità limitata. Per quanto riguarda la legittimazione a proporre l’azione essa è riconosciuta sia nelle società per azioni che nelle società a responsabilità limitata agli amministratori e agli organi di controllo (con la differenza che nelle società a responsabilità limitata viene riconosciuta a ciascun amministratore, e quindi anche

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individualmente). Diversa è invece la disciplina per la legittimazione dei soci, dissenzienti, astenuti o assenti. Infatti nelle società per azioni lo statuto può richiedere per la legittimazione all’azione un ulteriore requisito, ossia che i soci possiedano, anche congiuntamente, azioni aventi diritto di voto per la deliberazione in questione e che rappresentino una percentuale del capitale sociale pari all’uno per mille (per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) o 5 per cento (nelle altre società per azioni). Per i soci che non hanno tali requisiti non è previsto potere di impugnativa ma solo un diritto al risarcimento del danno a loro provocato dalla illegittimità della deliberazione. L’impugnazione deve essere proposta nel tribunale del luogo dove ha sede la società e la presentazione della domanda non sospende l’esecuzione della deliberazione. La sospensione può essere richiesta dall’impugnante e in tal caso il giudice provvede tenendo conto dei diversi interessi in gioco e può disporre anche che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento dei danni. In caso di eccezionale urgenza il giudice, omessa la convocazione della società convenuta, può provvedere sull’istanza con decreto motivato. Il decreto di sospensione e la sentenza che decide sull’impugnazione devono essere iscritti nel registro delle imprese. L’accoglimento dell’impugnazione elimina l’efficacia della deliberazione e ha effetto nei confronti di tutti i soci e degli organi sociali con efficacia retroattiva fermi restando i diritti acquistati in buona fede dai terzi sulla base di atti compiuti in esecuzione della deliberazione annullata. L’annullamento della deliberazione non può invece essere pronunciata se la delibera impugnata è sostituita con un’altra presa in conformità della legge e dello statuto. Si ha sostituzione della deliberazione quando la precedente deliberazione viene revocata, espressamente o tacitamente da una successiva deliberazione prima che la deliberazione annullata abbia prodotto i suoi effetti, o quando si adottata una nuova deliberazione con lo stesso contenuto prima che quella precedente sia divenuta operativa. Si ha anche sostituzione quando sia adottata una nuova deliberazione con lo stesso contenuto rispetto ad una deliberazione che abbia già prodotto effetti ma tale nuova deliberazione per espressa volontà dell’assemblea deve sostituire completamente quella impugnata e quindi produrre i suoi effetti ex tunc e non ex nunc (fermi restando i diritti acquistati in buona fede dai terzi).

215) continua – la disciplina aggravata - La disciplina aggravata si distingue da quella ordinaria per la legittimazione che è estesa in via di principio a chiunque ne abbia interesse (per la società per azioni è prevista anche una rilevabilità d’ufficio da parte del giudice) e per il termine ad esercitare l’azione stessa che è in via generale di tre anni. Sono previste deroghe a tale termine, come abbiamo visto, per le deliberazioni che attribuiscono alla società un oggetto sociale illecito o impossibile, che sono impugnabili senza limiti di tempo. Inoltre la legge prevede una disciplina particolare per i vizi che si riferiscano a deliberazioni di emissione di obbligazioni, aumento di capitale e riduzione del capitale con riduzione del patrimonio in quanto in questi casi il termine per l’impugnazione è ridotto a180 giorni dalla iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o in caso di mancata convocazione a 90 giorni dall’approvazione del bilancio nel corso del quale la deliberazione è stata, anche parzialmente, eseguita. Per le società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio inoltre la legge dispone che non può essere pronunciata l’invalidità di deliberazioni che siano state anche parzialmente eseguite o nel caso di aumento di capitale, dopo che sia stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione della sua avvenuta esecuzione, anche parziale.

216) Deliberazioni dei soci e diritti individuali - Occorre ora affrontare l’ipotesi in cui attraverso la deliberazione si disponga di diritti dei terzi o dei soci. In caso di diritti di terzi o di diritti di soci in quanto terzi è ovvia l’impossibilità della società di disporre di tali diritti e quindi in questo caso più che di invalidità della deliberazione occorre parlare di inefficacia in quanto la società non può disporre di diritti altrui senza il loro consenso. Per quanto riguarda invece i diritti dei soci occorre stabilire se il socio deve proporre domanda giudiziale e in caso affermativo se essa è soggetta alla disciplina generale o a quella aggravata. Occorre a tale proposito distinguere tra i diversi diritti che possono spettare ai soci in quanto tali : a) diritti del socio indisponibili sia da parte della società che da parte dei soci - In questo caso la deliberazione, anche se si forma con la partecipazione di tutti i soci, è nulla in quanto contrasta con una norma imperativa di legge e in questo caso la causa dell’invalidità sta nell’illiceità dell’oggetto b) diritti indisponibili da parte della società ma non da parte del socio- In

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questo caso la società non può disporre di tali diritti ma se i soci hanno votato nella deliberazione che riguarda disposizione dei loro diritti tale voto favorevole significa consenso alla disposizione del diritto stesso. Per quanto riguarda i soci assenti o dissenzienti non hanno bisogno di proporre domanda giudiziale in quanto questo atto è inefficace nei loro confronti. Del resto la legge stabilisce ad. Es. che i diritti relativi alla distribuzione degli utili possono essere modificati, salvo diversa disposizione dello statuto, solo con il consenso di tutti i soci – c) diritti del socio disponibili da parte della società – Tali diritti possono essere sottratti con deliberazione della società e quindi essa può essere impugnata solo se assunta non in conformità della legge, dello statuto o dell’atto costitutivo, e quindi quando vi sono vizi nel processo di formazione.

217) Le assemblee speciali - Accanto all’assemblea dei soci la società per azioni prevede (nell’ipotesi in cui vi siano diverse categorie di azioni che attribuiscono diritti diversi o strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi) assemblee speciali cui partecipano esclusivamente i soci che sono portatori della categoria di azioni interessata o i titolari di tali strumenti finanziari. Tali assemblee speciali sono richieste solo nell’ipotesi in cui le deliberazioni dell’assemblea generale pregiudichino i diritti di una determinata categoria di azioni o di strumenti finanziari partecipativi e quindi in tal caso la legge richiede come presupposto della validità della deliberazione dell’assemblea generale, l’approvazione della deliberazione stessa (con la maggioranza richiesta per l’assemblea straordinaria) da parte dell’assemblea speciale degli azionisti o dei titolari degli strumenti finanziari della categoria interessata. La deliberazione dell’assemblea speciale non ha quindi una sua autonomia in quanto presuppone una deliberazione dell’assemblea generale cui è appunto collegata.

b) L’AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETA’

218) Considerazioni generali e struttura dell’organo amministrativo - La disciplina dell’attività amministrativa e la sua autonomia rispetto ai soci ha risvolti diversi nell’ambito delle società di capitali tra società per azioni e società a responsabilità limitata. Nelle società per azioni infatti gli amministratori hanno raggiunto l’autonomia di un organo sociale dotato di proprie ed esclusive competenze sull’esercizio delle quali i soci non possono interferire. Ai soci è consentito infatti solo provvedere in via diretta o indiretta alla scelta dei soggetti che fanno parte dell’organo amministrativo e valutare, in sede di approvazione del bilancio, l’esito della loro attività (nelle società che adottano il sistema dualistico peraltro tale incombenza spetta al consiglio di sorveglianza). La legge stabilisce infatti per le società per azioni che la gestione dell’impresa sociale spetta in via esclusiva all’organo amministrativo cui spetta quindi il potere di compiere tutte le operazioni necessarie per il raggiungimento dell’oggetto sociale. Pertanto lo statuto non può attribuire all’assemblea alcune di tale competenze ma può solo stabilire che per il compimento di determinati atti gli amministratori abbiano bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea ordinaria fermo restando che ciò non esclude la loro responsabilità per gli atti compiuti spettando comunque a loro la decisione se compiere o meno tali atti. Nella società a responsabilità limitata invece, in base al riconoscimento dell’interesse dei soci di contribuire alle scelte della società, la posizione degli amministratori si caratterizza per una ben minore autonomia. Basti pensare infatti alla disposizione che consente agli amministratori che rappresentano almeno un terzo del capitale di sottoporre ai soci l’approvazione di un qualunque argomento e quindi alla conseguente regola che estende ai soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato un atto dannoso la responsabilità degli amministratori o alla possibilità che ad alcuni soci siano attribuiti particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società. Ne consegue che anche la scelta del modello organizzativo dell’amministrazione è di gran lunga più rigido nella società per azioni. Infatti la società può scegliere tra uno dei tre modelli ideati dal legislatore, rappresentati dal modello tradizionale, dualistico o monistico. Nel modello tradizionale amministratori e sindaci sono due organi posti in posizione di totale autonomia tra di loro anche se questi ultimi, partecipando alle riunioni del consiglio di amministrazione, possono esercitare una certa influenza sulla gestione della società. Nel modello dualistico invece l’organo amministrativo (il consiglio di gestione) è nominato da quello di controllo (il consiglio di sorveglianza) e quindi il secondo pur non partecipando direttamente alle riunioni del primo può concorrere alle scelte strategiche della società. Nel modello

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monistico invece l’organo di controllo viene scelto tra alcuni componenti del consiglio di amministrazione e quindi il potere di controllo, in quanto è esercitato da persone che sono anche amministratori, comporta il diretto esercizio di poteri di gestione. In tutti e tre i modelli la legge richiede che gli amministratori operino in modo collegiale (tranne che nell’ipotesi nel modello tradizionale dell’amministratore unico). Per quanto riguarda il numero degli amministratori lo statuto deve limitarsi, per il modello tradizionale e monistico, a fissare un numero minimo e massimo, stabilendo il numero esatto l’assemblea all’atto della nomina, mentre nel modello dualistico il numero degli amministratori è stabilito dal consiglio di sorveglianza nei limiti stabiliti dallo statuto. La legge pone anche un limite massimo per la durata degli amministratori, pari a tre esercizi. Essi, salva diversa disposizione dello statuto, sono rieleggibili. Nella società in accomandita per azioni invece i soci accomandatari sono amministratori di diritto e quindi restano in carica senza limiti di tempo finchè conservano tale qualità. Nella società a responsabilità limitata la più ridotta autonomia degli amministratori rispetto ai soci spiega il fatto che l’amministrazione possa essere organizzata con più flessibilità nell’atto costitutivo. La legge infatti prevede un affidamento dei compiti di amministrazione ad uno o più soci salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo e quindi se ne deduce che si possa nominare anche un non socio ma anche che si possa derogare alla creazione di uno specifico e distinto organo amministrativo. La legge non pone neanche un termine di durata della carica di amministratore e quindi è possibile che essi possano essere nominati nell’atto costitutivo per l’intera durata della società.

219) Poteri degli amministratori - Gli amministratori possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale e che quindi sono diretti al perseguimento dello scopo sociale (atti di ordinaria amministrazione). Se gli amministratori possono compiere tutti gli atti inerenti alla gestione aziendale e al funzionamento dell’azienda nelle sue strutture attuali non è loro consentito modificare la struttura industriale e finanziaria dell’azienda stessa in quanto solo l’assemblea dei soci può avere tale potere e quindi solo con una deliberazione dell’assemblea potrebbe essere alienato un ramo d’azienda, un pacchetto azionario o una partecipazione maggioritaria in un’altra società.

220) Nomina degli amministratori - Per le società per azioni la legge prevede le particolari seguenti cause di ineleggibilità degli amministratori le quali, se si verificano quando la nomina è avvenuta funzionano come cause di decadenza: interdizione, inabilitazione, fallimento, condanna ad una pena che comporti l’interdizione dai pubblici uffici, incapacità di esercitare uffici direttivi. Tale disciplina è applicabile anche per i soci accomandatari nell’accomandita per azioni. Inoltre lo statuto può richiedere per la carica di amministratore la presenza di requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza anche con specifico riferimento ai codici di comportamento di particolari categorie o società di gestione di mercati e in tal caso anche questi requisiti funzionano, a nomina avvenuta, come cause di decadenza. Inoltre nel sistema monistico almeno un terzo dei componenti il consiglio di amministrazione deve essere in possesso, se lo statuto lo prevede, dei requisiti previsti da tali codici e, anche se lo statuto non lo prevede, dei requisiti di indipendenza previsti per i sindaci. Norme particolari sono poste dalla legge per le società che emettono strumenti finanziari quotati in borsa per le quali sono richiesti requisiti di indipendenza per almeno uno dei membri del consiglio di amministrazione (due se i membri sono superiore a 7) e del consiglio di gestione (se i membri sono superiore a 4) e la legge stessa dispone che se tali requisiti vengono meno l’amministratore indipendente decade dalla carica e che i soggetti che svolgono compiti di amministrazione devono possedere i requisiti di onorabilità e professionalità richiesti per gli organi di controllo. La legge dispone per le società per azioni il principio per cui la nomina degli amministratori (salvo i primi che vengono nominati nell’atto costitutivo) spetta all’assemblea ordinaria (o al consiglio di sorveglianza nelle società dualistiche). Tale principio che trova alcune eccezioni ( ad es. per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la nomina di un membro indipendente è riservata ai titolari di strumenti finanziari) tuttavia non può essere derogato dallo statuto (pena l’illegittimità di tale deroga). Diverso è il problema invece di clausole di accordi tra i soci che riconoscono alla minoranza il diritto di designare amministratori o sindaci o accordi con finanziatori che riservano ad essi il diritto di eleggere un amministratore della società. Tali accordi, se non si traducono in clausole statutarie, sono patti

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parasociali (in particolare sindacati di voto) e quindi possono produrre solo effetti obbligatori tra coloro che li hanno posti in essere e non sono vincolanti per la società. Ne deriva che di fronte all’inadempimento degli obblighi assunti non è possibile invalidare la nomina degli organi sociali operata in violazione dell’obbligo stesso. L’atto di nomina così come l’atto di revoca sono atti unilaterali e il fatto che l’amministratore debba accettare la carica non lo tramuta in atto contrattuale in quanto esso è soltanto una condizione di efficacia della nomina stessa. Neanche trasforma l’atto di nomina in atto contrattuale il fatto che l’amministratore debba tenere particolari comportamenti (diligenza nelle funzioni, divieto di concorrenza) e che sia previsto per esso un compenso. I compensi degli amministratori delle società per azioni, che possono consistere nella partecipazione agli utili e nel diritto di sottoscrivere ad un prezzo determinato azioni di futura emissione (stock options) sono stabiliti nell’atto di nomina o dall’assemblea Per quanto riguarda invece la società a responsabilità limitata la legge non prevede nulla al riguardo rimettendo il tutto all’autonomia privata. Gli amministratori cessati devono essere sostituiti e in linea di principio la sostituzione viene effettuata dall’organo che ha compiuto la nomina. Tuttavia nella società per azioni la legge prevede il meccanismo della cooptazione che consente agli amministratori in carica, con deliberazione approvata dal collegio sindacale, di nominare gli amministratori che sono venuti a mancare nel corso dell’esercizio. Tale sistema può essere adottato solo se rimane in carica la maggioranza degli amministratori e comunque è soltanto provvisorio in quanto gli amministratori nominati in tal modo restano in carica solo fino alla prossima assemblea. Quando invece viene meno la maggioranza degli amministratori la nomina viene operata dall’assemblea convocata d’urgenza dagli amministratori rimasti in carica e gli amministratori in tal modo nominati scadono insieme a quelli originari. Lo statuto può anche prevedere che la cessazione di alcuni amministratori comporti anche la cessazione degli altri e in tal caso gli amministratori rimasti in carica o il collegio sindacale devono convocare d’urgenza l’assemblea, Tale disciplina è applicabile per le società che adottano il sistema tradizionale o monistico mentre per quelle che adottano il sistema dualistico è il consiglio di sorveglianza a convocare l’assemblea. Nelle società in accomandita per azioni la sostituzione dell’amministratore cessato è deliberata dall’assemblea con la maggioranza prescritta per l’assemblea straordinaria e il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario. In questa società la cessazione di tutti gli amministratori comporta lo scioglimento della società se nel termine di sei mesi non si è provveduto alla loro sostituzione e i sostituti non hanno accettato la carica. Durante questo periodo l’organo di controllo nomina un amministratore provvisorio per gli atti di ordinaria amministrazione che però non assume la qualità di socio accomandatario. Nelle società per azioni la nomina degli amministratori deve essere iscritta nel registro delle imprese entro trenta giorni dalla nomina e l’atto deve indicare quali amministratori hanno la rappresentanza della società e se il potere di rappresentanza è congiunto o disgiunta.

221) Cessazione dall’ufficio. Revoca degli amministratori – L’amministratore cessa dalla carica per morte, per scadenza del termine stabilito all’atto della nomina, per il verificarsi di una causa di decadenza, per rinuncia o per revoca. Per la società a responsabilità limitata la relativa materia viene regolata dall’atto costitutivo. Nelle società per azioni invece la legge stabilisce che gli amministratori sono sempre revocabili salvo il diritto dell’amministratore ad un risarcimento del danno se la revoca avviene senza giusta causa e tale principio vale anche per le società in accomandita per azioni nelle quali la revoca deve essere deliberata con la maggioranza richiesta per le deliberazioni dell’assemblea straordinaria. Soltanto se l’amministratore è stato nominato dallo stato o da un ente pubblico il potere di revoca compete all’organo che lo ha nominato, se però la revoca è per giusta causa essa può essere deliberata anche dall’assemblea nel caso in cui non vi provveda l’ente che ha effettuato la nomina. Nel caso di cessazione per decorso del termine gli amministratori restano in carica finchè il consiglio di amministrazione non viene ricostituito mentre nel caso di rinuncia essa ha effetto immediato se resta in carica la maggioranza dei membri o in caso contrario dal momento in cui con la nomina dei nuovi amministratori la maggioranza viene ricostituita.

222) Funzioni e funzionamento del consiglio di amministrazione. Invalidità delle deliberazioni - Nel caso di più amministratori la disciplina legale, derogabile per le società a responsabilità limitata e

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inderogabile per le società per azioni prevede che essi costituiscano il consiglio di amministrazione (o di gestione) e che quindi operino collegialmente. In tale ipotesi perché le deliberazioni siano valide devono ricorrere alcuni presupposti tipici delle adunanze collegiali. Per le società a responsabilità limitata la disciplina è lasciata all’atto costitutivo e quindi i soci possono stabilire che le decisioni del consiglio siano adottate sulla base del consenso per iscritto e quindi al di fuori dell’adunanza. La legge richiede solo che il consenso degli amministratori risulti con chiarezza dalla documentazione che la società deve conservare e che deve essere trascritta nel libro delle decisioni del consiglio. Per le società per azioni i criteri sono invece fissati dalla legge che richiede la regolare costituzione dell’organo (presenza della maggioranza degli amministratori almeno che lo statuto non richieda una percentuale maggiore) e la maggioranza necessaria per la deliberazione (maggioranza assoluta dei presenti salvo diversa disposizione statutaria), stabilisce che il voto non può essere espresso per rappresentanza e che le deliberazioni devono essere trascritte nel libro delle adunanze del consiglio. Il consiglio è convocato dal presidente che ne fissa l’ordine del giorno e ne coordina i lavori. Nel sistema originario del codice i vizi della deliberazione (sia relativi alla formazione che al contenuto) erano rilevanti solo nell’ipotesi di conflitto di interessi tra amministratore e società e quindi sorgevano dubbi se dovesse ritenersi esclusa ogni altra impugnazione delle deliberazioni. Il dubbio sorgeva in quanto mentre la deliberazione dei soci è normalmente destinata a tradursi in un atto esterno, la deliberazione del consiglio generalmente costituisce un presupposto per il compimento di un atto esterno e quindi l’invalidità della deliberazione del consiglio, traducendosi in una invalidità dell’atto esterno poteva essere fatta valere indirettamente attraverso l’impugnazione dell’atto posto in essere dalla società e questo avrebbe spiegato il silenzio della legge al proposito. Tuttavia in alcuni casi non sempre la deliberazione del consiglio costituisce un presupposto per un atto della società con i terzi (es. aumento di capitale) e inoltre anche quando lo è non è detto che la invalidità della delibera si traduca necessariamente in una invalidità dell’atto e possa essere fatta valere attraverso essa. Pertanto in sede di riforma si è arrivati ad una disciplina generale delle invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione delle società per azioni. Essa prevede che le deliberazioni non prese in conformità della legge e dello statuto possano essere impugnate solo dagli amministratori dissenzienti e dall’organo di controllo entro 90 giorni dalla delibera mentre i soci sono legittimati solo nel caso in cui la deliberazione sia lesiva per i loro interessi. Come per le deliberazioni dell’assemblea anche in questo caso l’annullamento della delibera del consiglio di amministrazione non pregiudica i diritti dei terzi sulla base di atti compiuti in buona fede in esecuzione alla delibera annullata. Nelle società a responsabilità limitata manca invece una disciplina generale essendo contemplato solo il caso del conflitto di interessi. La disciplina del conflitto di interessi è invece dettata dal legislatore per entrambi i tipi di società anche se in termini alquanto diversi. Infatti nella società per azioni sorgono per gli amministratori obblighi di comportamento in ogni caso in cui abbiano un interesse in una operazione della società, non importa se concorrente o configgente con esso mentre per la società a responsabilità limitata il legislatore considera rilevante solo l’ipotesi in cui l’amministratore, al fine di avvantaggiarsi personalmente, operi a danno della società. La differenza di prospettiva si giustifica con il fatto che la posizione dell’amministratore nella società a responsabilità limitata è simile a quella del mandatario che può avere un interesse proprio anche nella cura dell’interesse altrui e non deve pregiudicare quest’ultimo a suo vantaggio mentre nella società per azioni l’amministratore è un soggetto che presta la sua opera professionale nella gestione della società e deve pertanto porsi in una posizione di neutralità rispetto ai suo interessi personali. Perciò per gli amministratori della società per azioni la legge pone un obbligo di trasparenza per cui l’amministratore in conflitto deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e se è amministratore delegato deve astenersi dal compiere l’operazione. Pertanto l’invalidità della deliberazione è prevista in ogni caso in cui possa arrecare danno alla società sia nell’ipotesi in cui sia stata adottata con il voto determinante dell’amministratore in conflitto che nell’ipotesi in cui non sia stata soddisfatta tale esigenza di trasparenza. La violazione di entrambi gli obblighi (quello di non operare a vantaggio personale e a danno della società e quello di segnalare con trasparenza le situazioni di conflitto) può implicare una responsabilità per i danni che ne derivano. La violazione del secondo obbligo nelle società quotate può essere sanzionata anche penalmente qualora ne derivino danni alla società o a i terzi. Pertanto nella disciplina della società a responsabilità limitata l’invalidità della deliberazione presuppone un effettivo

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danno patrimoniale alla società mentre per quella della società per azioni è sufficiente che le deliberazioni adottate in violazione della norma siano anche solo potenzialmente dannose.

223) L’amministrazione delegata - Per le sole società per azioni la legge consente, sulla base di una clausola statutaria o per deliberazione dell’assemblea, che determinate funzioni del consiglio di amministrazione siano delegate da questo permanentemente ad uno più amministratori singolarmente o collegialmente, e quindi la creazione di ulteriori organi amministrativi individuali o collegiali che prendono il nome rispettivamente di amministratori (o consiglieri) delegati o di comitato esecutivo. La legge stabilisce che una delega delle attribuzioni del consiglio di amministrazione possa essere consentita solo a coloro che sono membri del consiglio di amministrazione e che non possono essere delegate le seguenti funzioni: redazione del bilancio, progetto di fusione e scissione, funzioni delegate al consiglio dall’assemblea dei soci in tema di emissione di obbligazioni convertibili e di aumento di capitale e quelle relative ai provvedimenti da prendere in caso di perdita di capitale. Gli organi delegati comunque restano organi subordinati rispetto al consiglio di amministrazione cui spetta la nomina dell’organo ma anche il potere di revocare o ampliare/restringere la sfera delle competenze delegate e cui spetta anche il potere di direttiva e controllo sull’operato degli organi delegati nonché il potere di avocare a sé operazioni rientranti nella delega.

224) Rappresentanza della società Nel caso di amministratore unico al potere di amministrazione corrisponde necessariamente il potere di rappresentanza della società ma quando esiste un consiglio di amministrazione il potere di rappresentanza è attribuito al presidente o all’(agli) amministratori delegati disgiuntamente o congiuntamente secondo quanto stabilito dallo statuto o atto costitutivo della società. Secondo la legge il potere di rappresentanza è generale e quindi le limitazioni a tale potere (che risultano dallo statuto, dall’atto costitutivo o dalla deliberazione dell’organo competente) hanno una efficacia puramente interna e non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, a meno che non si provi che questi hanno agito intenzionalmente a danno della società. In via di principio quindi l’atto compiuto dal rappresentante anche se è posto in essere con eccesso di potere (e quindi al di là delle limitazioni poste al potere di rappresentanza) rimane in ogni caso efficace e vincolante a meno che non sia frutto di un accordo fraudolento tra terzo e rappresentante. Salvo quest’ultimo caso quindi le limitazioni sono rilevanti solo in tema di responsabilità del rappresentante e rilevano anche tutte le volte in cui sia necessario accertare il potere del rappresentante in ordine al compimento di un determinato atto (es. il notaio deve rifiutarsi di rogare un atto se questo eccede i poteri del rappresentante).

225) Posizione giuridica degli amministratori e loro responsabilità - La legge in materia di società a responsabilità limitata stabilisce che gli amministratori sono solidalmente responsabili dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri a loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Per le società per azioni invece stabilisce che gli amministratori devono adempiere ai doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dall’incarico e dalle loro specifiche competenze e sono solidalmente responsabili verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri. E’ chiaro in entrambi i casi che non può essere imputato all’amministratore il risultato più o meno economicamente favorevole dell’atto da lui compiuto e che invece in entrambi i casi la responsabilità nasca dalla violazione di un obbligo di diligenza. La differenza sta invece nel fatto che per le società a responsabilità limitata la legge non precisa il grado di diligenza cui sono tenuti gli amministratori e quindi essa deve essere ricavata dallo schema del mandato e quindi dalla diligenza richiesta al mandatario. Per la società per azioni invece il grado di diligenza viene rapportato alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze dell’amministratore e quindi delle capacità in considerazione delle quali è stato nominato e che quindi deve utilizzare nell’espletare il compito affidatogli. In entrambi i casi inoltre la legge pone una regola di solidarietà in quanto fa parte dell’obbligo di diligenza il fatto che l’amministratore non rimanga inerte di fronte all’operato degli altri ma debba intervenire per impedire il compimento di atti pregiudizievoli per la società o per attenuarne le conseguenze dannose per la società stessa.. La legge prescrive un mezzo preciso tramite il quale l’amministratore può escludere la propria responsabilità

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che consiste nel far constatare il proprio dissenso dall’operato degli altri (per le società a responsabilità limitata) o nel far annotare il proprio dissenso nel libro delle deliberazioni del consiglio dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale (per le società per azioni). Inoltre la legge vieta agli amministratori delle società per azioni di assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili (o di amministratore) in società concorrenti o di esercitare attività concorrenti. L’inosservanza di tale divieto oltre all’obbligo del risarcimento del danno costituisce causa di revoca dall’ufficio Per le società a responsabilità limitata invece la legge ritiene sufficiente la disciplina del conflitto di interessi e non necessaria l’adozione di tecniche di tutela preventiva. Inoltre la legge prevede un obbligo di risarcire i danni procurati dall’amministratore alla società mediante la utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di notizie apprese nell’esercizio dell’incarico. Al di là di queste ipotesi specifiche la legge non precisa quali ulteriori obblighi incombono sugli amministratori limitandosi a fare generico riferimento a tutti gli obblighi imposti dalla legge, dallo statuto o dall’atto costitutivo. Ne deriva che sicuramente costituisce obbligo degli amministratori l’osservanza di norme poste a garanzia dell’integrità del capitale sociale (divieto di distribuzione di utili fittizi, divieto di aumento di capitale prima che i conferimenti dovuti siano stati eseguiti,ecc) l’osservanza delle norme poste per il funzionamento degli organi sociali e per la pubblicità degli atti, il cosiddetto obbligo di fedeltà che consiste oltre che nel divieto di concorrenza, nel divieto di infedeltà patrimoniale e nel divieto di aggiotaggio. Tali obblighi in quanto costituiscono garanzia del buon funzionamento della società e sono posti a tutela dei soci e dei terzi sussistono in ogni caso e gli amministratori non potrebbero essere esonerati dal rispettarli neanche da una preventiva deliberazione dell’assemblea e quindi la loro responsabilità non viene meno per il fatto che essi siano stati violati con la consapevolezza o con la partecipazione dei soci

226) L’azione sociale di responsabilità - La responsabilità degli amministratori sussiste principalmente nei confronti della società e quindi in via principale spetta alla società attraverso i suoi organi farla valere. Sia nella società a responsabilità limitata che nella società per azioni l’azione può essere direttamente proposta dalla società sulla base della deliberazione dei soci. In entrambe le società inoltre è possibile che l’azione sia esercitata direttamente dai soci, ma nella società per azioni si richiede a tal fine il possesso di una determinata quota percentuale del capitale sociale mentre nelle società a responsabilità limitata non è previsto alcun requisito quantitativo e quindi l’azione può essere promossa da ogni socio. La disciplina della società per azioni è però molto più articolata prevedendo i diversi aspetti sia dell’azione promossa dalla società che dai soci. Per quanto riguarda l’azione promossa dalla società essa presuppone in via di principio una deliberazione dell’assemblea ordinaria ma essa può essere promossa anche a seguito di deliberazione del collegio sindacale adottata a maggioranza dei due terzi dei suoi membri. Se la società ha adottato il sistema dualistico l’azione può essere proposta anche dietro deliberazione del consiglio di sorveglianza. In tutti i casi essa può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica. La deliberazione dell’azione di responsabilità se presa con il voto favorevole dei soci che rappresentano un quinto del capitale sociale o dal consiglio di sorveglianza con la maggioranza dei due terzi dei componenti comporta la revoca di diritto degli amministratori dalla carica, in caso contrario la revoca deve essere espressamente deliberata e sono l’assemblea o il consiglio di sorveglianza a provvedere alla sostituzione degli amministratori revocati. L’azione sociale di responsabilità deliberata dalla assemblea o dal consiglio di sorveglianza o dal collegio sindacale è esercitata dagli i amministratori o da persona designata dall’assemblea a tale scopo o da un curatore speciale per l’esercizio dell’azione stessa. Quando nei casi più gravi di responsabilità viene nominato dal tribunale un amministratore giudiziario o quando la società sia fallita o posta in amministrazione coatta amministrativa o ammessa alla amministrazione straordinaria l’azione è esercitata dall’amministratore giudiziario, dal curatore del fallimento, dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario. Se l’azione è invece esercitata dai soci essi fanno valere in nome proprio un diritto della società e quindi l’eventuale risarcimento del danno a seguito dell’azione va a favore del patrimonio della società e pertanto la stessa è tenuta, in caso di accoglimento dell’azione, a rimborsare agli attori le spese di giudizio che essi non hanno potuto recuperare dai soccombenti. La società può rinunciare all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità e può transigere sulla misura del risarcimento purchè per le società a

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responsabilità limitata la decisione sia presa con il consenso dei soci che rappresentano i due terzi del capitale sociale e per le società per azioni sia espressamente approvata dall’assemblea e purchè ad essa non si oppongono i soci che rappresentano una determinata percentuale del capitale sociale. Anche i soci che hanno promosso l’azione possono rinunciare all’azione o transigerla ma ogni corrispettivo dovrà andare a vantaggio della società.

227) L’azione di responsabilità dei creditori sociali – E’ ovvio che in ogni caso di cattiva gestione di un impresa si crea pregiudizio anche a coloro che all’azienda hanno fatto credito e vedono quindi ridotte le possibilità di realizzare il credito stesso. E’ altrettanto ovvio che quando la cattiva gestione è imputabile a soggetto diverso dall’imprenditore e questo può vantare nei suoi confronti una pretesa al risarcimento del danno i creditori possono avvalersi del rimedio generale dell’azione surrogatoria prevista dall’art. 2900 e mediante essa esercitare la pretesa che spetta al loro debitore, l’imprenditore appunto. Non vi è dubbio che ciò possa valere anche quando l’impresa è esercitata sotto forma di società e quindi nell’ipotesi in cui tale pretesa si fondi sulla responsabilità di coloro che svolgono per essa le funzioni di amministratori. Il problema è che l’art. 2394 cc prevede esclusivamente per le società per azioni che gli ammistratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. Infatti occorre chiedersi se l’art. 2394 configuri pur sempre una azione surrogatoria o una azione direttamente spettante ai creditori nei confronti degli amministratori. Questa seconda ipotesi è però non accettabile in quanto se così fosse non si spiegherebbe perché l’art. 2394 sia applicabile alla sola società per azioni e non agli altri tipi di società di capitale o alle società di persone. Occorre propendere quindi per la tesi per cui l’art. 2394 configuri una ipotesi di azione surrogatoria strettamente collegata all’azione di responsabilità spettante alla società. Infatti l’art. 2394 espressamente stabilisce che la rinuncia all’’azione da parte della società non impedisce l’azione da parte dei creditori sociali e che la transazione della società può essere impugnata dai creditori solo con l’azione revocatoria. Si deduce quindi che l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte della società preclude l’esercizio dell’azione stessa da parte dei creditori in quanto lo scopo cui l’azione dei creditori tende è lo stesso cui tende l’azione della società non mirando i creditori ad ottenere il risarcimento di un danno direttamente subito ma ad ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale che rappresenta la loro garanzia. L’azione dei creditori sociali non è quindi una azione ad essi autonomamente attribuita ma può essere fatta valere in via surrogatoria, ciò è anche dimostrato dal fatto che lo stesso art. 2394 stabilisce che presupposto per l’azione dei creditori social sia l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento del loro credito e implicitamente evidenzia l’altro presupposto e cioè l’inerzia della società. Il carattere surrogatorio dell’azione concessa ai creditori ci permette di stabilire che identico è il contenuto delle due azioni anche se diversi sono gli interessi che muovono la società e i creditori sociali. L’interesse della società è quello di eliminare ogni danno derivante da colpa o dolo degli amministratori mentre interesse dei creditori ad esercitare l’azione contro gli amministratori si ha solo quando, attraverso il danno alla società, risultino diminuite le loro garanzie patrimoniali. L’azione spetta ad ogni creditore fino alla concorrenza del proprio credito.

228) L’azione individuale di responsabilità - Abbiamo visto che quando gli amministratori producono un danno per la società indirettamente danneggiano anche i creditori sociali (che risultando il patrimonio sociale insufficiente per la soddisfazione dei loro crediti possono agire con l’azione surrogatoria generale o con la specifica azione di cui all’art. 2394 cc) e anche i soci (in quanto la riduzione del patrimonio della società produce anche una riduzione del valore della loro partecipazione). I soci però possono solo chiedere il risarcimento del danno a favore della società, ottenendo indirettamente anche il ripristino del valore della loro partecipazione, Può accadere però che i fatti illeciti commessi dall’amministratore non incidano sul patrimonio della società ma solo e direttamente sul patrimonio del socio così come vi possono essere fatti illeciti che incidono sia sul patrimonio della società che sul patrimonio del socio e del terzo. Nel primo caso è evidente che la società non può proporre nessuna azione perché non ha subito nessun danno, nel secondo caso è altrettanto evidente che il risarcimento del danno subito dalla società non copre il danno subito dal socio o dal terzo. Con riferimento a tali ipotesi la legge prevede una responsabilità diretta degli

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amministratori nei confronti dei soci e dei creditori (e in generale dei terzi), per il danno commesso dai primi che incide direttamente sul patrimonio personale dei secondi e la relativa azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’azione che ha provocato il danno.

229) Amministratori nominati dallo stato e dagli enti pubblici - I principi che regolano la responsabilità degli amministratori nei confronti della società e dei creditori sociali si applicano anche a quegli amministratori di società per azioni che sono nominati dallo stato o dagli enti pubblici qualora una clausola dello statuto attribuisca a tali enti la nomina stessa .

230) I direttori generali - Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori delle società per azioni s applicano anche ai direttori generali nominati dall’assemblea o nello statuto. I direttori generali non sono organi ma sono dipendenti della società, tuttavia qualora i loro poteri traggano origine dallo statuto o da una deliberazione dell’assemblea la legge li equipara dal punto di vista della responsabilità agli amministratori, subordinando l’esercizio dell’azione (come per gli amministratori) alla deliberazione dell’assemblea (o del consiglio di sorveglianza) o alla iniziativa dei soci che raggiungano la percentuale richiesta dalla legge o dallo statuto.

231) Responsabilità penale degli amministratori – Accanto alla responsabilità civile la legge prevede, a carico degli amministratori e soggetti a loro equiparati, anche responsabilità penali prevedendo, a seconda della gravità dei casi sanzioni amministrative (ammende) per le ipotesi di omissione o esecuzione tardiva di denunce o comunicazioni all’ufficio del registro delle imprese o multa o reclusione nei casi più gravi. L’azione penale è solo eccezionalmente esperibile su querela della persona offesa in quanto nella maggior parte dei casi i reati sono di azione pubblica. Inoltre occorre ricordare che il D. LGS 231 DEL 2001 stabilisce che la società è responsabile per i reati commessi nel suo interesse e a suo vantaggio da persone fisiche che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione o da coloro che esercitano la gestione e il controllo della società stessa a meno che non provi di aver adottato, prima che il fatto fosse commesso, modelli di organizzazione adatta a prevenire reati di questo genere e che il controllo di questi modelli è stato affidato ad un organo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo.

c) GLI ORGANI DI CONTROLLO

232) Le funzioni di controllo - Prima della riforma l’organo di controllo nelle società di capitali era solo il collegio sindacale la cui funzione prevalente era quella del controllo contabile. Si trattava di un organo necessario nelle società per azioni, nelle società in accomandita per azioni e, nelle società a responsabilità limitata solo nelle ipotesi previste dalla legge. Dopo la riforma nelle società a responsabilità limitata il collegio sindacale resta un organo necessario solo nei casi previsti dalla legge, essendo negli altri casi un organo facoltativo. Nelle società per azioni invece esso è previsto solo quando la società abbia adottato il sistema tradizionale, in quanto nelle società che hanno adottato il sistema dualistico la funzione di controllo è svolta dal consiglio di sorveglianza e nelle società che hanno adottato il sistema monistico dal comitato per il controllo sulla gestione. Nelle società per azioni però la revisione legale dei conti è attribuita ad un revisore legale dei conti o ad una società di revisione iscritti in apposito registro. Tale regola però è inderogabile solo per le società quotate e per le società che rientrano nella categoria degli enti di interesse pubblico e per le società obbligate al bilancio consolidato in quanto negli altri casi lo statuto può affidare tale compito al collegio sindacale.

233) Il controllo nelle società a responsabilità limitata – Nelle società a responsabilità limitata alcuni poteri di controllo sono attribuiti ai singoli soci (che non partecipano all’amministrazione) che possono in ogni momento consultare i libri sociali e i documenti amministrativi nonché avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento della gestione. Tale potere però è attribuito dalla legge al socio nel proprio interesse e pertanto esercitandoli il socio non compie una funzione sociale e non assurge ad organo della società. L’atto costitutivo può prevedere la nomina del collegio sindacale o di un revisore stabilendone anche poteri e compensi. In alcuni casi previsti dalla legge però la nomina del collegio sindacale è obbligatoria. Si tratta dei casi in cui l’ammontare del capitale sociale non è

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inferiore ai 120.000 euro, o del caso in cui la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato o controlli una società tenuta a questo, o del caso in cui per due esercizi consecutivi la società abbia superato due delle soglie che impediscono la redazione del bilancio in forma abbreviata. In questi casi si applica al collegio sindacale la disciplina prevista per le società per azioni mentre nei casi in cui la nomina del collegio sindacale è facoltativa è lo statuto a determinarne competenze e poteri.

234) Il controllo nelle società per azioni – Nelle società per azioni le funzioni dell’organo di controllo riguardano la legalità dell’agire degli organi sociali e la correttezza dell’amministrazione della società. Per quanto riguarda il primo aspetto il controllo viene attuato non solo circa l’operato del consiglio di amministrazione ma anche relativamente all’attività dell’assemblea e pertanto l’organo di controllo può impugnare le deliberazioni dell’assemblea, può chiedere al tribunale la riduzione d’ufficio del capitale sociale (se in caso di perdita non vi provvede l’assemblea), e può sostituirsi agli amministratori in caso di mancata osservanza gli obblighi loro spettanti circa la convocazione dell’assemblea o la pubblicità, può proporre l’azione di responsabilità contro gli amministratori. Per quanto riguarda il secondo aspetto l’organo di controllo deve verificare il concreto funzionamento dell’organizzazione attuata dagli amministratori e per tale motivo è indispensabile una concreta collaborazione tra l’organo stesso e i soggetti preposti alla revisione legale dei conti. La funzione di controllo è svolta nell’interesse della società e costituisce quindi una garanzia per i soci e, solo indirettamente, anche per i terzi,. La legge infatti impone all’organo di controllo di tenere conto nella relazione all’assemblea delle denunce fatte dai soci che rappresentano una determinata percentuale del capitale sociale e di indagare sulla gravità dei fatti denunciati e qualora si tratti di casi di particolare gravità di convocare l’assemblea. Qualora tali fatti siano emersi non per denuncia dei soci ma nel corso dello svolgimento del suo incarico l’organo di controllo ha il potere (anche se non è tenuto a ) di convocare l’assemblea previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione o di gestione.

235) Composizione e funzionamento degli organi di controllo nella società per azioni - I componenti dell’organo di controllo nella società per azioni possono essere soci o non soci e devono avere i requisiti di indipendenza e di una specifica competenza tecnica e professionale. Per quanto riguarda il primo requisito la legge richiede che i componenti dell’organo di controllo siano indipendenti rispetto alla società (e alle società appartenenti al medesimo gruppo) e infatti non possono essere eletti membri dell’organo di controllo i dipendenti e i consulenti della società e delle società controllate nonché della società controllante. I componenti dell’organo di controllo devono essere inoltre indipendenti rispetto agli amministratori della società (e delle società del gruppo). In particolare la carica di sindaco e di componente del consiglio di sorveglianza non può essere assunta dai componenti del consiglio di amministrazione (o di gestione) della società e delle società del gruppo (ciò non vale ovviamente per i componenti del comitato per il controllo nelle società organizzate con il modello monistico i quali invece vengono proprio scelti tra gli amministratori). Non possono inoltre essere nominati membri del collegio sindacale i parenti ed affini entro il quarto grado degli amministratori della società e delle società del gruppo. Tale requisito non è richiesto dalla legge per i componenti del consiglio di sorveglianza in quanto l’accesso a tale ufficio è impedito ai soli consiglieri di gestione e non alle persone legate da parentela con essi). Per quanto riguarda il secondo aspetto la legge richiede che almeno un membro dell’organo di controllo sia scelto tra gli iscritti in un apposito registro e per quanto riguarda il collegio sindacale deve essere iscritto oltre ad un membro almeno anche un supplente e inoltre gli altri membri, se non sono iscritti in questo registro devono essere scelti tra gli iscritti da uno degli albi professionali individuati dal Ministro della Giustizia o tra i professori universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche. Se lo statuto ha affidato al collegio sindacale anche la revisione legale dei conti (solo per le società non quotate che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato) si richiede anche che tutti i suoi componenti siano revisori legali iscritti nell’apposito registro. Lo statuto inoltre può prevedere per i sindaci e i consiglieri di sorveglianza altre cause di ineleggibilità o decadenza o incompatibilità . Gli organi di controllo hanno struttura pluripersonale ed operano collegialmente. Devono riunirsi almeno ogni novanta giorni e delle riunioni deve essere redatto un verbale che deve essere trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni

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dell’organo stesso. L’organo di controllo è regolarmente costituto con la presenza della maggioranza dei componenti e delibera a maggioranza assoluta (salvo che per la deliberazione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori del collegio sindacale per la quale occorre il voto dei due terzi dei componenti).

236) I singoli organi di controllo delle società per azioni: il collegio sindacale - Nel sistema tradizionale la funzione di controllo è svolta dal collegio sindacale che si compone di tre o cinque membri effettivi e di due supplenti. I sindaci sono nominati dai soci (per la prima volta nell’atto costitutivo e nelle volte successive dall’assemblea ordinaria) e la nomina può essere riservata dallo statuto, solo per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio con partecipazione dello stato o degli enti pubblici, allo stato o agli enti pubblici in proporzione alla loro partecipazione. Inoltre lo statuto può riservare la nomina di un sindaco ai titolari di strumenti finanziari. I sindaci restano in carica per tre esercizi e la cessazione del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito. I sindaci possono essere revocati solo per giusta causa e la deliberazione di revoca deve essere approvata dal tribunale, sentito l’interessato. In questo modo la legge vuole assicurare ai sindaci una posizione di indipendenza rispetto agli altri organi sociali e proprio per questo devono essere nominati sin dall’inizio i sindaci supplenti che subentrano ai sindaci che hanno terminato la carica e il compenso dei sindaci deve essere determinato dall’atto costitutivo o fissato per l’intera durata dell’ufficio all’atto della nomina. La nomina e la cessazione dei sindaci devono essere iscritte nel registro delle imprese. Il collegio sindacale è organo collegiale e opera come tale e nello svolgimento delle funzioni può richiedere agli amministratori notizie sull’andamento della gestione e può scambiare informazioni con i soggetti incaricati della revisione dei conti e con gli organi di controllo delle società controllate. Alcune volte il controllo può essere esercitato anche singolarmente e quindi i sindaci possono procedere individualmente ad atti di ispezione e di controllo anche attraverso propri dipendenti. La mancata partecipazione di un sindaco a due riunioni del collegio sindacale senza giustificato motivo, alle assemblee o a due adunanze consecutive del consiglio di amministrazione costituisce causa di decadenza dall’ufficio. La legge impone ai sindaci di esercitare le loro funzioni con professionalità e diligenza, impone ad essi il segreto sui fatti di cui vengono a conoscenza per ragioni di ufficio. I sindaci sono responsabili della verità delle loro attestazioni e sono anche solidalmente responsabili con gli amministratori per i fatti o le omissioni dolose o colpose di questi qualora il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi richiesti dalla loro carica. La responsabilità sussiste pertanto quando al fatto doloso o colposo degli amministratori si aggiunge anche la colpa dei membri del collegio sindacale o di qualcuno di essi e può essere esclusa facendo risultare il proprio dissenso o i propri rilievi nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale. L’azione di responsabilità è regolata in maniera simile a quella prevista per gli amministratori. Anche per i sindaci è prevista una responsabilità penale nel caso di reati commessi dagli amministratori, in caso di false comunicazioni sociali o quando, dietro promessa di utilità, compiano o omettano atti in violazione degli obblighi del loro ufficio cagionando un danno alla società.

237) Continua – Il consiglio di sorveglianza - Nel sistema dualistico l’organo di controllo è il consiglio di sorveglianza il cui numero di membri è fissato dallo statuto fermo restando che esso non può essere inferiore a tre. Anche i consiglieri di sorveglianza sono nominati dai soci e anche il presidente del consiglio è eletto dall’assemblea. La nomina dei consiglieri, la loro cessazione e la retribuzione loro spettante è simile a quanto previsto per i sindaci, uguale è il termine di durata e il regime di efficacia della cessazione per scadenza del termine. . Diversa è invece la disciplina della revoca e sostituzione dei membri venuti meno nel corso dell’esercizio. Per quanto riguarda quest’ultima non essendoci membri supplenti l’assemblea deve provvedere con urgenza alla nomina dei nuovi consiglieri. Per quanto riguarda la revoca la disciplina è simile a quella degli amministratori in quanto la legge prevede che i consiglieri di sorveglianza sono revocabili in qualunque momento dall’assemblea e anche senza giusta causa (in questo caso però è previsto l’obbligo di risarcire il danno arrecato al consigliere revocato). Particolare è inoltre la disciplina delle competenze e dei poteri dei consiglieri di sorveglianza. Infatti spettano al consiglio di sorveglianza competenze che in altri sistemi di

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amministrazione spettano ai soci (in particolare alla assemblea ordinaria): infatti esso nomina e revoca gli amministratori determinandone il compenso, promuove nei loro confronti l’azione di responsabilità (tale competenza è concorrente con quella riconosciuta ai soci e alla società) e approva il bilancio di esercizio. Inoltre al consiglio di sorveglianza non sono riconosciuti poteri, doveri e responsabilità che nel sistema tradizionale sono riferiti al collegio sindacale ed in particolare il potere di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento della gestione, scambiare informazioni con gli organi di quest’ultime. Tuttavia pur essendoci il dovere di partecipare alle assemblee l’inosservanza di tale dovere non comporta causa di decadenza dall’ufficio (pur potendo costituire giusta causa di revoca) e inoltre i consiglieri di sorveglianza non sono tenuti ad assistere alle adunanze del consiglio di gestione. Lo statuto può inoltre assegnare al consiglio di sorveglianza ulteriori competenze. I consiglieri di sorveglianza devono adempiere ai loro doveri con la diligenza richiesta dall’incarico e al pari dei sindaci sono solidalmente responsabili con i consiglieri di gestione per i fatti e omissioni di questi se il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

238) continua – il comitato per il controllo sulla gestione - Nel sistema monistico le funzioni di controllo sono svolte dal comitato per il controllo sulla gestione e salvo diversa disposizione dello statuto la determinazione del loro numero e la loro nomina spetta al consiglio di amministrazione mentre la nomina del presidente del comitato spetta ai suo i membri che decidono a maggioranza assoluta. Il comitato di controllo non solo è nominato dal consiglio di amministrazione ma è costituito anche all’interno di esso e quindi risulta composto da amministratori che devono essere in possesso dei requisiti di indipendenza richiesti dalla legge e dallo statuto, dei requisiti di onorabilità e professionalità richiesti dallo statuto e inoltre che non siano esecutivi e cioè non siano titolari di cariche o deleghe e comunque non svolgano funzioni attinenti alla gestione della società. AL fine di permettere la costituzione del comitato per il controllo la legge impone che almeno un terzo dei membri del consiglio di amministrazione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza richiesti per la nomina a componente del comitato per il controllo e almeno uno di essi deve essere iscritto nel registro dei revisori legali dei conti. Nel caso di cessazione di un componente del comitato per morte, rinuncia, revoca o decadenza, il consiglio di amministrazione deve sostituirlo con urgenza con un altro amministratore in possesso dei requisiti prescritti e se ciò non è possibile deve provvedere alla cooptazione di un nuovo amministratore sempre in possesso di tali requisiti. Il comitato per il controllo sulla gestione svolge oltre alla funzione di controllo anche gli ulteriori compiti affidatigli dal consiglio di amministrazione. I componenti del comitato di controllo, in quanto amministratori hanno gli stessi poteri degli amministratori nonché gli stessi doveri e responsabilità. I membri del comitato quindi sono tenuti ad osservare gli obblighi attribuiti come amministratori cui sii aggiunge il dovere di assistere alle riunioni del comitato esecutivo.

239) Il controllo giudiziario – Nelle società per azioni accanto al controllo esercitato dagli organi suddetti la legge prevede la possibilità di intervento della autorità giudiziaria . Infatti quando la violazione degli obblighi da parte degli amministratori è particolarmente grave la legge prevede che gli organi di controllo o i soci che rappresentano una certa percentuale o il pubblico ministero (quest’ultimo solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) possono richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria denunciando i fatti al tribunale del luogo dove è posta la sede della società. Il tribunale può ordinare l’ispezione dell’amministrazione della società a spese dei soci richiedenti o della società ma tale ispezione non può essere ordinata nel caso in cui l’assemblea dei soci sostituisce gli amministratori e i componenti dell’organo di controllo con soggetti di adeguata professionalità che si attivano con urgenza per accertare ed eliminare le violazioni. Se le irregolarità risultano particolarmente gravi il tribunale può disporre provvedimenti cautelari e addirittura revocare gli amministratori e i componenti dell’organo di controllo nominando un amministratore giudiziario cui spetta per legge proporre l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i giudici. Prima della scadenza del suo incarico l’amministratore giudiziario deve rendere conto al tribunale e convocare l’assemblea per la ricostituzione degli organi sociali o per proporre la liquidazione o la ammissione della società ad una procedura concorsuale. Il potere di

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denuncia attribuito al pubblico ministero è attuabile quando le irregolarità degli amministratori non trovino una reazione da parte della maggioranza dei soci e da parte dell’organo di controllo e inoltre la legge ha inteso perseguire in tal modo la tutela delle minoranze dei soci che non raggiungano la percentuale richiesta per richiedere l’intervento del tribunale. Tali minoranze infatti possono esercitare il potere di denuncia attraverso il pubblico ministero. I provvedimenti sono emessi dal tribunale sentiti gli amministratori e i componenti dell’organo di controllo e sono reclamabili davanti alla corte di appello così come è reclamabile anche il provvedimento del tribunale che ordina l’ispezione dell’amministrazione della società. La dottrina si è chiesta se l’intervento del tribunale, previsto dalla legge per le società per azioni, possa essere utilizzato anche per la società a responsabilità limitata nonostante la relativa disciplina non lo preveda. La cosa non è però condivisibile in quanto si deve tenere conto che nelle società a responsabilità limitata viene riconosciuto al singolo socio un diretto potere di ispezione nonché il potere di richiedere, in caso di gravi irregolarità degli amministratori, la loro revoca cautelare e pertanto non vi sarebbe spazio per estendere ad essa la disciplina prevista per le società per azioni che si giustifica appunto con la mancanza di strumenti con i quali il singolo socio può perseguire la propria tutela.

4) Bilancio e informazione societaria interna

240) L’informazione societaria – La nozione di informazione societaria è duplice in quanto può riguardare i soci o riguardare anche il mercato finanziario cui la società si rivolge per procacciarsi i messi necessari per lo svolgimento dell’impresa. Dal primo punto di vista parliamo di informazione interna che si svolge attraverso gli organi societari mentre dal secondo punto di vista parliamo di informazione esterna che riguarda le società quotate e si svolge attraverso la Consob per tutelare non solo i soci ma soprattutto gli investitori e per assicurare il regolare funzionamento del mercato. La informazione interna si realizza attraverso l’imposizione alla società della tenuta dei libri sociali, delle scritture contabili, del bilancio di esercizio e degli altri bilanci straordinari nonché di uno specifico controllo, avente per oggetto la contabilità della società, che si svolge attraverso la revisione legale dei conti.

241) l libri sociali - Le società di capitali devono tenere i seguenti libri sociali: a) il libro delle decisioni dei soci (per le società a responsabilità limitata) e il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee (per le società per azioni) nei quali devono essere trascritti tutti i verbali delle assemblee anche se redatti per atto pubblico b) il libro delle decisioni degli amministratori (per le società a responsabilità limitata) e il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o di gestione (nelle società per azioni) nei quali devono essere trascritti tutti i verbali delle riunioni del consiglio c) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo nelle società dove esso esiste d) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale o del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione. Inoltre le società per azioni e in accomandita per azioni devono tenere : e) il libro dei soci dove devono essere annotati il numero delle azioni, il nome degli intestatari delle azioni nominative, i versamenti eseguiti, i trasferimenti delle azioni (per le società a responsabilità limitata tale obbligo è stato eliminato) f) il libro delle obbligazioni (nel caso la società abbia emesso obbligazioni) nel quale sono annotati il numero delle obbligazioni emesse, il nome dei titolari delle obbligazioni nominative g) il libro delle adunanze e delle deliberazioni degli obbligazionisti (se sono state emesse obbligazioni). Infine nelle società per azioni che hanno destinato patrimoni ad un singolo affare e hanno emesso a tale scopo strumenti finanziari di partecipazione deve essere tenuto h) il libro degli strumenti finanziari di partecipazione dove devono essere indicati il numero, l’ammontare e i trasferimenti degli strumenti emessi. Tutti questi libri, prima dell’uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio. L’obbligo della tenuta dei libri incombe sugli amministratori (per i libri di cui alle lettere a) b) e) f) h)) , al comitato esecutivo (c), all’organo di controllo (d))e al rappresentante degli obbligazionisti (g). Nelle società a responsabilità limitata i soci che non partecipano all’amministrazione possono consultare tutti i libri sociali e quindi hanno un generale potere ispettivo mentre nelle società per azioni il socio ha il diritto di esaminare solo il libro dei soci e il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea.

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242) Il bilancio – L’esercizio sociale - Nelle società di capitali il bilancio ha una importante funzione di accertamento della situazione patrimoniale e quindi di controllo dei risultati della gestione dell’impresa. Tale accertamento può essere fatto all’inizio della attività della società (bilancio di apertura) e alla fine (bilancio di liquidazione). Inoltre tale accertamento viene fatto annualmente (bilancio di esercizio) e può essere fatto in occasione di determinati fatti come la fusione o la messa in liquidazione (bilancio straordinario). La legge prevede e regola minuziosamente il bilancio di esercizio stabilendo l’obbligo della sua redazione alla chiusura di ogni esercizio sociale e imponendo una rigorosa disciplina in ordine alle voci di cui essere composto e ai criteri di valutazione, attribuendo al bilancio la produzione di determinati effetti giuridici. Per la legge il bilancio è il documento contabile in cui sono registrate le variazioni che si sono verificate nel patrimonio della società rispetto al bilancio precedente al fine di stabilire se è vi è stato un incremento o un decremento di valore e di prendere i relativi ulteriori provvedimenti collegati con la chiusura dell’esercizio.

243) La legislazione sul bilancio - L’importanza centrale del bilancio consente di comprendere la molteplicità di interventi legislativi in questo campo. Il codice di commercio del 1882 prevedeva l’obbligo degli amministratori di redigere il bilancio alla fine di ogni esercizio sociale e poneva il principio per cui il bilancio doveva dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdi te subite ma non stabiliva i criteri che dovevano essere rispettati nella redazione del bilancio stesso. Il codice civile del 1942 invece stabiliva precisamente le voci che il bilancio doveva contenere e i criteri di valutazione delle singole voci. Tuttavia esso nulla prevedeva con riferimento alla redazione del conto dei profitti e delle perdite. Tale lacuna è stata colmata con legge del 1974. In seguito in applicazione della normativa comunitaria sono state emanate leggi speciali che richiedono ulteriori documenti contabili, e precisamente l’allegato (o nota integrativa). Infine la crescente internazionalizzazione dei mercati ha richiesto la predisposizione in ambito internazionale dei cosiddetti principi contabili internazionali che il legislatore comunitario ha provveduto ad adottare con apposito regolamento. L’adozione di tali principi è obbligatoria per il bilancio consolidato, per il bilancio di esercizio delle società con azioni quotate, per le banche, intermediari finanziari ed imprese di assicurazione mentre è facoltativa per le altre società.

244) Verità e correttezza del bilancio - Nell’ambito del bilancio hanno importanza fondamentale il conto patrimoniale e il conto economico dei profitti e delle perdite in quanto gli altri documenti (relazione sulla gestione e nota integrativa o allegato) hanno lo scopo di integrare i dati dei primi due e non possono in nessun modo modificarne la portata ai fini operativi. Si deve anche sottolineare che il conto economico e lo stato patrimoniale costituiscono un tutto unico e quindi non possono avere contraddizioni tra di loro in quanto le variazioni del conto patrimoniale rispetto al bilancio precedente sono la diretta conseguenza dei movimenti economici verificatisi nel corso dell’esercizio e che sono rappresentati appunto nel conto economico. La somma algebrica di queste variazioni deve quindi corrispondere esattamente a quelle che risulta dal conto economico come utile o perdita di esercizio. Pertanto se il conto economico presenta un utile di cento dal conto patrimoniale deve emergere per forza di cose un incremento patrimoniale netto di cento e viceversa in caso di perdita. La legge richiede espressamente che il bilancio rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale della società e il risultato economico di esercizio. Verità del bilancio è in primo luogo la rappresentazione veritiera degli utili conseguiti o delle perdite subite durante l’esercizio. Tuttavia mentre vi sono operazioni che nell’ambito del bilancio richiedono un mero accertamento e per le quali si può parlare di verità, vi sono altre operazioni che richiedono una valutazione e rispetto alle quali quindi non si può parlare di verità ma solo di correttezza e quindi che sia stato adottato un procedimento di valutazione effettivamente teso alla realizzazione di un risultato veritiero. Si deve anche aggiungere che la correttezza deve essere vista alla luce di un criterio di prudenza. Per tale motivo la legge stabilisce che possono essere iscritti al bilancio solo gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio e obbliga invece a tenere conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio anche se conosciute dopo la chiusura dello stesso.

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245) I principi di redazione e la chiarezza del bilancio – La regola della prudenza costituisce il principio centrale di cui gli amministratori devono tenere conto nella redazione del bilancio ma accanto ad essa la legge prevede altre regole che vanno a costituire i principi di redazione del bilancio. Tali regole precisano che il bilancio di una società per azioni deve essere redatto per competenza e non per cassa e inoltre precisano che nelle valutazioni di bilancio si deve tenere conto del fatto che l’impresa sociale e quindi i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro. Tale regola è però derogabile in casi eccezionali di rilevanti mutamenti strutturali dell’impresa sociale ma in tal caso deve essere indicata la deroga e la sua motivazione nella nota integrativa. Accanto a tali principi che sono posti a tutela della società, dei soci, dei terzi e del pubblico che ha instaurato rapporti con la società vi sono altre regole dirette all’informazione dei soci e dei terzi. In particolare la legge prescrive i criteri formali che gli amministratori devono seguire nella redazione del bilancio perchè esso possa essere chiaramente rappresentata la situazione economica e l’andamento economico della società. La disciplina prevede una particolare analiticità nelle voci prevedendo anche che qualora ciò favorisca la chiarezza del bilancio le singole voci possono essere raggruppate e che per ogni voce debba essere indicato l’importo della voce corrispondente nell’esercizio precedente. La legge dispone inoltre sempre ai fini di chiarezza che il bilancio debba essere redatto in unità di euro (senza decimali) mentre la nota integrativa può essere redatta in migliaia di euro.

246) Il contenuto dello stato patrimoniale - Per quanto riguarda lo stato patrimoniale il bilancio è diviso in due parti, l’attivo e il passivo. L’attivo è a sua volta suddiviso in due grandi categorie, le immobilizzazioni e l’attivo circolante. Le immobilizzazioni sono a loro volta distinte in immobilizzazioni immateriali (costi di impianto, costi di ricerca, valutazione dei diritti di proprietà industriale), immobilizzazioni materiali (immobili ed attrezzature), e immobilizzazioni finanziarie (partecipazioni e crediti). Per quanto riguarda l’attivo circolante abbiamo la divisione in rimanenze, crediti, attività finanziarie e disponibilità liquide. Per quanto riguarda il passivo abbiamo il patrimonio netto e quindi il capitale sociale, le riserve previste dalla legge e dallo statuto, e gli utili e perdite di precedenti esercizi e quelli dell’esercizio. Abbiamo poi i diversi fondi per rischi ed oneri e il trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. Nell’attivo e passivo si aggiungono poi i ratei e risconti e quindi i proventi e costi sostenuti nell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi.

247) Il contenuto del conto economico – Per quanto riguarda il conto economico si è avuta una evoluzione legislativa che ha condotto ad una maggiore analiticità e ad una modifica dello schema espositivo prima basato su una rappresentazione delle poste contrapposte di costi e ricavi e ora invece basato su una forma espositiva scalare. Per quanto riguarda i ricavi vengono distinti i ricavi relativi all’attività sociale dai ricavi relativi alle attività finanziarie e dai ricavi straordinari. Per i costi vengono distinti i costi relativi all’esercizio dell’attività sociale dai costi straordinari e dai costi tributari. Le componenti dei costi e dei ricavi relativi all’esercizio dell’attività sociale devono essere esposte analiticamente e deve essere indicata la loro somma algebrica, e analogamente si deve procedere per i proventi ed oneri finanziari e straordinari. In tal modo diviene possibile percepire in maniera diretta quale parte del risultato deriva dall’attività produttiva della società, quale parte deriva da operazioni finanziarie e quale parte deriva invece da operazioni estranee alla normale attività sociale. La somma algebrica di questi totali consente poi di determinare il risultato complessivo dell’esercizio e, dedotte le imposte sul reddito, l’utile conseguito o la perdita sofferta.

248) La relazione sulla gestione e la nota integrativa – Accanto al conto patrimoniale e al conto economico la legge prevede altri due documenti, la relazione sulla gestione e la nota integrativa ( o allegato). La relazione sulla gestione contiene una analisi esauriente e fedele della situazione della società e deve illustrare l’andamento della gestione e la sua prevedibile evoluzione , deve fornire informazioni sulle attività di ricerca e sviluppo e sui rapporti con le altre società controllate o sottoposte al comune controllo, sull’acquisto e possesso di azioni proprie e sui rischi connessi con l’uso di strumenti finanziari. La nota integrativa invece deve illustrare e spiegare le voci di bilancio e indicare le eventuali deviazioni dai principi base posti dalla legge per le valutazioni di bilancio nonché

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indicare il valore equo degli strumenti finanziari in base ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione Europea.

249) Le valutazioni di bilancio - La scelta dei criteri di valutazione è fondamentale in quanto è evidente che una scelta volta a favorire sottovalutazioni potrebbe favorire la formazione di riserve occulte e quindi porsi in contrasto con l’interesse dei soci alla distribuzione degli utili. Al contrario una scelta volta a favorire sopravvalutazioni potrebbe consentire l’accertamento di utili non realizzati creando pericolo per l’integrità del capitale sociale. E’ ovvio quindi che il legislatore abbia stabilito principi per ottenere la correttezza nei criteri adottati . Il primo principio è quello della continuità del bilancio per il quale la valutazione delle singole voci deve essere fatta nei successivi bilanci con lo stesso criterio. Infatti se si adottassero nei vari bilanci criteri di valutazione diversi diventerebbe impossibile confrontare le singole voci nei diversi anni e quindi determinare l’effettivo incremento o decremento nel patrimonio della società. A tale principio sono consentite deroghe, come abbiamo detto, solo in casi eccezionali. Altro principio è quello per cui nemmeno profonde modificazioni nel valore della moneta possono consentire rivalutazioni nelle voci di bilancio. Ciò infatti può avvenire soltanto dietro intervento del legislatore con leggi speciali ed infatti è ovvio che una rivalutazione monetaria comporterebbe una modificazione nel rapporto esistente tra capitale e patrimonio facendo apparire come utile il plusvalore che deriva invece da una diversa valutazione dei beni. Per tale motivo quando il legislatore consente la rivalutazione monetaria impone anche un corrispondente aumento del capitale sociale o la creazione di particolari fondi di rivalutazione. Circa la valutazione delle singole voci che deve essere effettuata in ogni caso in base al principio di prudenza il legislatore impone la regola del prezzo di costo (di produzione o di acquisto). Per quanto riguarda i beni fungibili e quindi le scorte di magazzino e le materie prime il costo può essere calcolato con una media ponderata o con il metodo del primo entrato primo uscito (fifo) o del ultimo entrato primo uscito (lifo). Per quanto riguarda le partecipazioni in imprese collegate o controllate si può scegliere tra il criterio del costo e il criterio del patrimonio netto (cioè facendo riferimento alla quota corrispondente del patrimonio netto risultante dal bilancio dell’impresa collegata o controllata).

250) I bilanci per particolari categorie di imprese - La legge consente la redazione del bilancio in forma abbreviata e quindi con un numero minore di voci alle società che non superano due dei seguenti limiti : totale dell’attivo 4.400.000 euro, ricavi 8.800.000 euro e 50 dipendenti. (per quanto riguarda le società a responsabilità limitata il superamento per due esercizi consecutivi di due di questi limiti comporta l’obbligatorietà della nomina del collegio sindacale). Inoltre la disciplina generale di bilancio non si applica alle banche e alle società finanziarie per le quali si applica invece la disciplina dettata, in attuazione delle direttive della U.E., dal Decreto Legislativo n. 87 del 1992. Tale disciplina contiene specifiche indicazioni riferite alla particolarità dell’attività esercitata e attribuisce alla Banca d’Italia il potere di dettare le forme tecniche dei bilanci e la modalità della loro pubblicazione. Anche le imprese assicurative sono soggette ad una disciplina speciale in materia di bilancio.

251) La revisione legale dei conti – Nel sistema originario del codice la revisione legale dei conti era uno dei compiti del collegio sindacale ma con decreto legislativo del 2010 il legislatore ha stabilito che per le società a responsabilità limitata la nomina del collegio sindacale o di un revisore è facoltativa (tranne che per le ipotesi previste dalla legge e prima indicate) mentre invece per le società per azioni il controllo dei conti deve essere affidato ad un revisore legale o ad una società di revisioni iscritti nell’apposito registro. Tale ultima disposizione però può avere valore imperativo o semplicemente dispositivo. Ha valore imperativo per le società tenute alla redazione del bilancio consolidato, per i cosiddetti in modo improprio enti di interesse pubblico (con questa dicitura il legislatore infatti indica le società quotate), per le società che controllano enti di interesse pubblico o ne sono controllate. In tutti gli altri casi invece è possibile che la revisione legale dei conti sia attribuita al collegio sindacale che però in tal caso deve essere completamente composto da revisori legali iscritti nell’apposito registro. L’attività di revisione dei conti consiste nella verifica nel corso della gestione della regolare tenuta delle scritture contabili e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili

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e si conclude con una relazione con la quale viene espresso un giudizio sul bilancio e sulla sua rappresentazione in modo veritiero e corretto della situazione patrimoniale ed economica della società. Per effettuare il loro compito i soggetti incaricati della revisione possono richiedere agli amministratori documenti e notizie e procedere direttamente ad accertamenti. La verifica del bilancio può concludersi con un giudizio senza rilievi se il bilancio stesso è conforme alle norme e rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale ed economica della società, o con un giudizio negativo o con una impossibilità di emettere un giudizio e in questi casi il revisore deve illustrare nella relazione i motivi della decisione e, in caso di società quotate, avvisare la Consob. Per i danni derivati dall’inadempimento del loro dovere i revisori sono responsabili in solido tra loro e con gli amministratori nei limiti del loro contributo effettivo al danno arrecato, nei confronti della società, dei soci e dei terzi. L’incarico di revisione legale avviene per la prima nomina nell’atto costitutivo e successivamente a seguito di decisione dell’assemblea ordinaria dei soci e ha la durata di tre esercizi. L’incarico può essere revocato solo per giusta causa sentito il parere dell’organo di controllo. Il corrispettivo deve essere determinato dall’assemblea per l’intera durata dell’incarico. Particolare rilievo assume il tema dell’indipendenza del revisore contabile e quindi il legislatore si è preoccupato di stabilire una serie di norme, delle quali alcune sono di applicazione generale mentre altre sono applicabili solo ai cosiddetti enti di interesse pubblico, ossia le società quotate (queste ultime verranno esaminate in seguito). Per quanto riguarda le regole generali il compito di revisione legale non può essere affidato a persone che intrattengono con la società relazione di affari o di altro genere dirette o indirette o in presenza di rischi di rilevanza tale da compromettere l’indipendenza stessa. Inoltre la legge stabilisce che il corrispettivo dei revisori o dei dipendenti della società di revisione non possono essere fissati in funzione dei risultati della revisione stessa.

252) Il procedimento e la pubblicità - Il legislatore fissa una serie di adempimenti per assicurare una adeguata informazione sul bilancio sia prima che dopo la sua approvazione. Per quanto riguarda il primo aspetto lo scopo è quello di permettere ai soci di effettuare le proprie valutazioni e quindi si stabilisce che il bilancio, unitamente alla relazione degli amministratori, del collegio sindacale o dei revisori deve essere depositato nella sede della società nei quindici giorni che precedono l’assemblea per l’approvazione in modo che ogni socio possa prenderne visione. Per quanto riguarda il secondo aspetto che riguarda l’informazione dei terzi la legge dispone che il bilancio (unitamente alle relazioni e al verbale dell’approvazione dell’assemblea) deve essere depositato presso il registro delle imprese a cura degli amministratori entro 30 giorni dall’approvazione.

253) La decisione di approvazione del bilancio - Nelle società a responsabilità limitata il bilancio deve essere approvato in ogni caso dai soci. Nelle società per azioni il compito spetta all’assemblea ordinaria (tranne le società che hanno adottato il sistema dualistico dove il compito spetta al consiglio di sorveglianza).

L’approvazione del bilancio è un atto di controllo necessario perché l’atto compiuto dagli amministratori acquisti efficacia nell’ambito della società e costituisca la base per le successive determinazioni che la legge collega al bilancio stesso. Occorre perciò chiederci le conseguenze che eventuali vizi nel bilancio producano sulla deliberazione di approvazione del bilancio stesso. Occorre in primo luogo dire che i vizi del bilancio possono essere sostanziali (il bilancio è falso e non rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria della società) o solo formali (la rappresentazione, pur vera, non è stata effettuata con chiarezza). In entrambi i casi si determina una responsabilità a carico degli amministratori, più grave nel primo caso dove alla responsabilità civile si aggiunge quella penale. Per quanto riguarda le conseguenze sulla deliberazione di approvazione del bilancio la legge tace sul caso in cui il bilancio pur rappresentando la situazione della società non sia stato redatto con i requisiti di chiarezza e correttezza richiesti. Infatti in questo caso, in sede di approvazione, l’organo competente può chiedere agli amministratori tutte le integrazioni e i chiarimenti necessarie e la mancata risposta da parte di questi legittima i soci alla impugnativa della deliberazione di approvazione (anche se effettuata dal consiglio di sorveglianza) ma se invece i soci o i consiglieri di sorveglianza approvano il bilancio ritenendo irrilevanti i vizi formali e nessuno dei cosi assenti o

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dissenzienti reagisce allora la questione è chiusa. La legge si occupa invece del caso in cui il bilancio sia falso. Infatti nell’ipotesi in cui a seguito di un bilancio falso siano stati distribuiti gli utili la legge stabilisce la irripetibilità dei dividendi riscossi in buona fede dai soci che avevano ignorato la falsità del bilancio. Nel sistema originario del codice da questa affermazione si ricavava il fatto che la deliberazione di approvazione di un bilancio falso fosse annullabile e non nulla in quanto solo nel primo caso i diritti acquisiti in buona fede sulla base dell’atto potevano considerarsi salvi. Nel sistema attuale invece la regola che pone la salvezza dei diritti acquisiti da terzi si applica sia in caso di nullità che di annullabilità. Tuttavia occorre osservare che il bilancio è essenzialmente un atto degli amministratori che pur concludendosi con la approvazione dell’assemblea si pone come atto esterno all’assemblea stessa. Pertanto l’approvazione di un bilancio falso nella convinzione (come avviene di solito) che il bilancio fosse vero e quindi nell’ignoranza dell’illecito degli amministratori non può dirsi di per sé illecita. Trattandosi infatti di un vizio del bilancio (che non riguarda quindi l’atto finale) la situazione che si verifica è quella di una deliberazione assembleare formatasi sulla base di un procedimento viziato e non quella di una deliberazione nulla per illiceità dell’oggetto.

254) Approvazione del bilancio e distribuzione degli utili - Per le società a responsabilità limitata la legge stabilisce che la decisione dei soci che approva il bilancio decide anche sulla distribuzione degli utili mentre per le società per azioni tale deliberazione è effettuata dall’assemblea dei soci che ha approvato il bilancio. Nel caso in cui il bilancio sia stato approvato dal consiglio di sorveglianza la distribuzione degli utili deve comunque essere approvata dalla assemblea dei soci. La legge stabilisce anche che non possono essere pagati dividendi se non per utili effettivamente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato, dedotte le quote da attribuirsi a riserve legali e statutarie. Non è possibile invece la distribuzione di utili anche se la gestione ha dato nell’esercizio in questione un reddito, se devono essere colmate le perdite degli esercizi precedenti o fin quando non sia ridotto il capitale sociale. .

255) La decisione di distribuzione - La distribuzione degli utili pertanto, pur trovando il suo presupposto nel bilancio approvato, è frutto di una distinta manifestazione di volontà da parte dei soci e ciò anche quando sia stato il consiglio di sorveglianza ad approvare il bilancio. Ciò si spiega con il fatto che non sempre utile realizzato e utile distribuibile coincidono. Infatti qualora sussistano effettive ragioni di utilità sociale di utilizzare l’utile per sopperire ad esigenze di sviluppo o funzionamento della società i soci possono a maggioranza decidere di non distribuire gli utili risultanti dal bilancio

256) Gli acconti sui dividendi - Per le società per azioni che traggono i loro mezzi finanziari dal mercato dei risparmiatori è prassi diffusa quella dell’acconto sui dividendi al fine di fare in modo che gli investitori ricevano un reddito ad intervalli più brevi rispetto a quello annuale e quindi di avvicinare l’investimento in azioni a quello in obbligazioni o titoli di stato. Quando l’esercizio è già avanzato e gli amministratori sono in grado di prevedere con una forte probabilità i suoi risultati possono decidere (con deliberazione del consiglio di amministrazione) di distribuire un acconto sui dividendi che saranno distribuiti alla fine dell’esercizio sulla base del bilancio approvato dall’assemblea. Tale prassi tuttavia presenta notevoli elementi di rischio e richiede una certa cautela da parte degli amministratori in quanto può verificarsi che le previsioni fatte al momento del versamento dell’acconto non si realizzino a fine esercizio. Per tale motivo il legislatore è intervenuto ponendo dei limiti. Infatti la facoltà di distribuire acconti sui dividendi è attribuita solo alle società con azioni quotate nei mercati regolamentari e presuppone la sua previsione nello statuto. La deliberazione di approvazione del consiglio di amministrazione deve essere accompagnata dalla approvazione del revisore che deve aver dato un giudizio positivo sul bilancio dell’anno precedente. Non possono essere distribuiti acconti se dall’ultimo bilancio approvato risultano perdite anche relative agli esercizi precedenti in quanto in tal caso gli utili devono essere destinati a copertura delle perdite. La distribuzione di acconti è soggetta anche a limiti quantitativi in quanto non può superare la minor somma tra gli utili conseguiti alla fine dell’esercizio precedente e quello delle riserve disponibili.

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5) Titoli di debito, obbligazioni e strumenti finanziari partecipativi

257) Il finanziamento delle società a responsabilità limitata: i titoli di debito – Nel sistema originario del codice le società a responsabilità limitata non potevano ricorrere al mercato dei capitali. La riforma invece se da un lato ha ribadito che tali società non possono fare ricorso al mercato di capitale di rischio ( in quanto le quote sociali non possono essere rappresentate da azioni e non possono essere offerte al pubblico) ha consentito d’altro lato a tali società il ricorso al mercato del capitale di credito tramite l’emissione di titoli di debito. Per far ciò però occorre che tale possibilità sia prevista dallo statuto e inoltre i titoli di debito non possono essere collocati direttamente tra il pubblico dei risparmiatori. Le società a responsabilità limitata infatti può collocare i titoli di debito solo presso gli investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale. Saranno questi ultimi a poter collocare i titoli presso il pubblico dei risparmiatori ma in tal caso sono ex lege garanti della solvenza della società nei confronti del risparmiatore (tale garanzia non vale nel caso in cui i titoli siano stati acquistati da altri investitori professionali o dai soci). La previsione di tale garanzia si spiega con la particolare rischiosità dell’operazione che pone l’esigenza di tutelare il risparmiatore ed è pertanto logico che a sottoscrivere i titoli di debito debbano essere soggetti che per la loro formazione professionale siano idonei a compiere una valutazione sulla rischiosità o i soci, perfettamente a conoscenza della situazione della società. Spetta all’atto costitutivo stabilire se la competenza a decidere l’emissione sia dei soci o degli amministratori, precisando anche le maggioranze necessarie, i limiti dell’emissione e le sue modalità. Le condizioni del prestito e le modalità di rimborso sono invece previste nella decisione di emissione che gli amministratori devono iscrivere nel registro delle imprese.

258) Il finanziamento delle società per azioni: le obbligazioni e gli strumenti finanziari partecipativi – Per le società per azioni è invece tipico il reperimento dei capitali necessari all’impresa presso i risparmiatori disponibili ad investire e questo sia attraverso strumenti tradizionali come le azioni e le obbligazioni sia con strumenti nuovi quali gli strumenti finanziari partecipativi. Carattere comune di questi strumenti è quello di offrire a risparmiatori la partecipazione giuridica, per una frazione, ad una operazione collettiva ma la differenza è data dal fatto che le azioni rappresentano una frazione del capitale sociale, le obbligazioni una frazione di una operazione di prestito (e quindi attribuiscono all’obbligazionista un diritto di credito verso la società) e gli altri strumenti finanziari si riconducono invece alla associazione in partecipazione.

259) Le obbligazioni - Anche le obbligazioni, come le azioni, costituiscono frazioni di modesta entità e di uguale valore, attribuiscono ai possessori uguali diritti e possono essere rappresentate da titoli circolanti. Alle obbligazioni sono connessi oltre che diritti patrimoniali (es. diritto agli interessi e alla restituzione del capitale) anche determinati poteri che riguardano l’operazione complessiva di prestito di cui esse costituiscono una frazione. Pertanto esiste una assemblea degli obbligazionisti che delibera con efficacia vincolante anche per i gli assenti e i dissenzienti sulle materie che riguardano l’interesse comune e un rappresentante comune che rappresenta tutti gli obbligazionisti. A questi organi è demandata la tutela collettiva degli azionisti e l’esercizio di quei diritti e poteri che non sono riferiti al singolo titolo obbligazionario ma dipendono dalla operazione collettiva di prestito, Accanto a questa tutela collettiva è possibile anche la tutela individuale dell’obbligazionista per l’esercizio di quei diritti che sono inerenti all’obbligazione. Tuttavia il fatto che tra gli obbligazionisti si viene a creare una comunione di interessi determina che l’interesse del singolo obbligazionista sia subordinato all’interesse della collettività con la conseguenza che quei provvedimenti presi legittimamente dagli organi della comunità nell’interesse di tutti si impongono al singolo obbligazionista anche quando vanno a limitare e ad escludere i diritti derivanti dal titolo obbligazionario. Si comprende quindi come la possibilità di emettere obbligazioni sia limitata alle società per azioni e si comprende anche come la possibilità per la società a responsabilità limitata ad emettere titoli di debito (che si pongono in termini simili all’operazione di prestito obbligazionario) sia circondata da particolari cautele.

260) Presupposti, limiti ed effetti dell’emissione di obbligazioni – L’emissione di obbligazioni è prevista solo per la società per azioni ma deve ritenersi ammissibile anche per la società in

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accomandita per azioni. La legge pone in primo luogo un limite quantitativo all’emissione di obbligazioni stabilendo che esse non possono essere emesse per un valore superiore al doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio. Tale limite non opera nei seguenti casi : a) quando le obbligazioni siano munite di ipoteca di primo grado su immobili della società, b) quando siano emesse da banche c) quando siano emesse da società quotate d) quando la sottoscrizione delle obbligazioni venga effettuata da un investitore soggetto a vigilanza prudenziale e quindi particolarmente qualificato che a sua volta può trasferirle a soggetti non investitori professionali rispondendo nei suoi confronti della solvenza della società. Il rapporto che deve sussistere inizialmente tra capitale e riserve da un lato e ammontare complessivo del prestito obbligazionario dall’altro deve sussistere per tutta la durata del prestito con la conseguenza che il capitale non può essere ridotto e le riserve non possono essere distribuite se tale rapporto non risulta più rispettato. La emissione delle obbligazioni se la legge o lo statuto non dispongono diversamente deve essere deliberata dagli amministratori, il verbale della deliberazione deve essere redatto da un notaio e depositato nel registro delle imprese. Le obbligazioni sono rimborsabili gradualmente sulla base di un piano di ammortamento e al rimborso si procede tramite sorteggio da effettuarsi (a pena di nullità) in presenza del rappresentante comune o di un notaio.

261) Organizzazione giuridica degli obbligazionisti: assemblea e rappresentante comune - L’assemblea degli obbligazionisti può essere convocata dagli amministratori o dal rappresentante comune, di loro iniziativa o su richiesta di una certa percentuale di obbligazionisti e delibera in merito alle materie di interesse comune, nomina e revoca il rappresentante comune determinandone anche il compenso, sulle modificazioni delle condizioni del prestito ( in questo ultimo caso l’assemblea delibera anche in seconda convocazione con il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentano almeno la metà delle obbligazioni in circolazione). Il rappresentante comune (che può essere nominato anche tra i non obbligazionisti) dura in carica per tre esercizi ed è rieleggibile, e deve provvedere alla esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea, tutelare gli interessi comuni nei confronti della società, ed ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti. Egli deve assistere alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni è può assistere alle riunioni della assemblea dei soci. Come abbiamo detto l’organizzazione giuridica della collettività degli obbligazionisti non preclude l’azione di individuale dell’obbligazionista a meno che essa non si ponga in contrasto con le deliberazioni regolarmente prese dall’assemblea che sono vincolanti per tutti. Pertanto l’azionista singolo potrà fa valere i diritti che competono personalmente a lui e che non potrebbero essere tutelati dall’azione collettiva ma potrà far valere anche individualmente quegli interessi comuni per i quali l’azione degli organi non sia intervenuta,.

262) Le obbligazioni convertibili - Le obbligazioni convertibili in azioni possono considerarsi come figure intermedie tra le obbligazioni e le azioni. Esse si rivolgono a quei soggetti che non sono allettati da una semplice forma di investimento obbligazionario e neanche vogliono esporsi totalmente ai rischi di un investimento azionario. Infatti le obbligazioni convertibili conferiscono in via alternativa il diritto al rimborso del capitale prestato alla società (con i relativi interessi) e il diritto a sottoscrivere azioni. L’emissione di tale tipo di obbligazioni richiede due deliberazioni dell’assemblea straordinaria dei soci: a) deliberazione di emissione la quale deve determinare anche il rapporto di cambio con le azioni e le modalità di conversione b) la deliberazione contestuale di aumento di capitale sociale per un ammontare corrispondente al valore nominale delle obbligazioni convertibili. Il rapporto che si instaura quindi tra la società e i sottoscrittori delle obbligazioni è un rapporto di mutuo obbligazionario sul quale si innesta anche una opzione data all’obbligazionista di procedere alla novazione del rapporto originario. Quando l’obbligazionista esercitando la facoltà a lui riservata accetta la proposta il rapporto di mutuo obbligazionario si estingue e subentra il rapporto di partecipazione e da questo momento egli acquista i diritti e i poteri inerenti allo status di socio. L’emissione delle obbligazioni convertibili non può essere deliberata se il capitale sociale non è stato interamente versato e le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per una somma inferiore all’ammontare globale del loro valore nominale. E’ chiaro che con questa disciplina la legge mira a che non siano intaccate le certezze in tema di capitale sociale e quindi il capitale sociale viene aumentato

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per un ammontare ben determinato sin dall’origine. E’ soltanto la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione che è incerta dato che dipende dalla volontà dei singoli obbligazionisti ma tale incertezza sussiste in ogni ipotesi di aumento di capitale anche se per un periodo di tempo più limitato. E’ ovvio quindi che il legislatore si sia anche occupato di una serie di problemi che si possono porre durante il periodo in cui la conversione non è ancora consentita per evitare che a seguito di modificazioni nell’assetto societario risulti pregiudicato il contenuto economico del diritto di conversione dell’obbligazionista. La legge prevede infatti che in questo periodo la società non possa deliberare la riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni statutarie che regolano la distribuzione degli utili senza prima aver consentito ai titolari di obbligazioni la facoltà di conversione e prevede inoltre che in caso di fusione o scissione sia riconosciuta la facoltà di conversione e in ogni caso (e con l’approvazione dell’assemblea degli obbligazionisti) siano riconosciuti agli obbligazionisti diritti equivalenti a quelli spettanti prima della fusione o scissione.

263) Gli strumenti finanziari partecipativi – Nelle società per azioni i diritti degli obbligazionisti possono essere molto diversificati in particolare per quanto riguarda il diritto alla restituzione del capitale e il diritto agli interessi che possono essere subordinati o condizionati e quindi caratterizzati da un elemento di rischio ulteriore rispetto a quello normalmente presente nei titoli di credito. Per tale motivo la disciplina dellle obbligazioni risulta applicabile a tutti gli strumenti finanziari emessi dalla società diversi dalle azioni e pertanto tali strumenti si differenziano dalle azioni solo per il fatto che l’apporto a fronte di emissione di azioni costituisce un conferimento e quindi conferisce al soggetto il diritto di partecipare al capitale sociale e quindi di assumere la qualifica di socio. Possiamo quindi dire che la disciplina delle obbligazioni costituisce la disciplina generale cui sono soggetti gli altri strumenti finanziari emessi dalla società (diversi dalle azioni) mentre per gli strumenti finanziari partecipativi (che cioè conferiscono al soggetto anche diritti amministrativi oltre a quelli patrimoniali) il legislatore ha stabilito una disciplina particolare che si affianca a quella generale. L’emissione di strumenti finanziari partecipativi è subordinata ad una precisa disposizione statutaria che ne stabilisce anche le condizioni e le modalità di emissione, L’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi che possono essere assegnati gratuitamente ai prestatori di lavoro è deliberata dalla assemblea straordinaria che ne fissa ovviamente i limiti e le condizioni. La legge non indica quali siano i diritti amministrativi conferiti da tali strumenti finanziari partecipativi limitandosi ad escludere per i loro possessori il diritto di voto nella assemblea degli azionisti e a circoscrivere l’esercizio di tali diritti in una apposita assemblea (dei possessori degli strumenti finanziari), diritti che possono consistere nella nomina di un sindaco o di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o di sorveglianza. L’assemblea dei possessori degli strumenti finanziari partecipativi è inoltre chiamata ad approvare le deliberazioni della assemblea generale che possono pregiudicare i diritti amministrativi loro spettanti. Inoltre la delibera con la quale si costituisce un patrimonio destinato ad un singolo affare può prevedere l’emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare stesso indicando espressamente i diritti attribuiti ai loro possessori. La legge in questo caso fissa una apposita disciplina che però riproduce la disciplina delle obbligazioni richiedendo la tenuta di un libro dei possessori, la costituzione di una assemblea dei possessori e di un rappresentante comune in modo analogo a quanto avviene per gli obbligazionisti.

6) Modificazioni statutarie

264) Oggetto, forma e pubblicità - Le modificazioni statutarie nelle società di capitali riguardano essenzialmente la struttura e l’organizzazione sociale mentre solo nelle società in accomandita per azioni possono riguardare anche il mutamento della persona dei soci accomandataria ma in tal caso la conseguenza del mutamento del socio si riflette sull’organizzazione della società in quanto viene a mutare uno degli amministratori di diritto. Nelle società a responsabilità limitata le modificazioni dell’atto costitutivo sono riservate alla competenza dei soci, la cui deliberazione deve essere adottata in assemblea anche se l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale. Nelle società per azioni le modificazioni dell’atto costitutivo sono in via di principio riservate all’assemblea straordinaria dei soci anche se la legge prevede che la riduzione obbligatoria

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del capitale sociale per perdite possa essere deliberata anche dalla assemblea ordinaria o dal consiglio di sorveglianza e prevede che per alcune materie lo statuto possa derogare a tale principio (es. emissione di obbligazioni convertibili o aumento del capitale sociale attraverso nuovi conferimenti che possono essere delegate agli amministratori). La delibera della modifica da qualunque organo venga adottata deve essere verbalizzata da un notaio che dopo aver verificato positivamente il rispetto delle condizioni richieste dalla legge deve provvedere entro 30 giorni all’iscrizione nel registro delle imprese (che ha effetto costitutivo come per lo statuto e l’atto costitutivo). L’ufficio del registro dopo aver provveduto al controllo di regolarità formale provvede all’iscrizione. Se il notaio invece non ritiene adempiute le condizioni richieste dalla legge deve (a pena di inefficacia definitiva della deliberazione) entro 30 giorni darne notizia agli amministratori che nel termine di altri 30 giorni devono convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti o rivolgersi al tribunale perché ordini l’iscrizione nel registro delle imprese con decreto motivato dopo aver verificato l’adempimento delle condizioni stesse.

265) Limiti in cui le modificazioni sono consentite – Le modificazioni possono riguardare l’organizzazione della società e il funzionamento degli organi sociali, il capitale o l’oggetto o il tipo della società, o operazioni particolari come la fusione e la scissione, o il trasferimento della sede all’estero. E’ chiaro che quando le modifiche investono la struttura della società e il funzionamento dei suoi organi la società ha il diritto di provvedere attraverso i propri organi e pertanto il cambiamento si impone ai soci ai quali è concesso solo, in caso di modificazioni di particolare rilievo, di esercitare il diritto di recesso ponendosi al di fuori della società. E’ diverso invece il caso in cui le modifiche comportino direttamente o indirettamente la modificazione della posizione del socio nella società e quindi quei diritti individuali che spettano al socio come tale e che quindi non potrebbero essere soppressi o menomati da un atto di volontà della società. A questo proposito talvolta è la legge a risolvere il problema, ad esempio quando dichiara nullo ogni patto teso ad escludere o a rendere gravoso l’esercizio del diritto di recesso determinandone quindi la insopprimibilità in sede di modificazione statutaria. Altre volte è la natura stessa della società che rende impossibile la modificazione statutaria di alcuni diritti come il diritto agli utili, al risultato della liquidazione o il diritto di impugnazione delle delibere assembleari. Infatti tali diritti costituiscono l’essenza della società e quindi sopprimerli significherebbe annullare l’essenza della società stessa. Se però tali diritti non possono essere esclusi è possibile la loro limitazione o accentuazione rispetto a determinate categorie di soci. Ad esempio l’atto costitutivo della società a responsabilità limitata può prevedere l’attribuzione ad alcuni soci di diritti particolari riguardanti la distribuzione degli utili o l’amministrazione della società mentre lo statuto delle società per azioni può prevedere l’emissione di azioni fornite di diritti diversi e quindi di azioni privilegiate nel dividendo o di azioni a voto limitato accanto alle azioni ordinarie. Dobbiamo quindi chiederci se pur rimanendo ferma l’attribuzione a ciascun socio dei diritti essenziali si possa in sede di modificazione statutaria modificare la posizione originariamente attribuita ai soci all’atto della costituzione della società. A tale proposito dobbiamo distinguere due ipotesi. La prima prevede che la modificazione della posizione del socio possa essere effettuata indirettamente ossia attraverso l’attribuzione a nuovi soci o a nuove categorie di soci di particolari diritti (es. emissione di azioni privilegiate). In questo caso la posizione del socio non muta ma vi può essere per lui un pregiudizio indiretto ma tuttavia la legge ritiene possibile che tali modificazioni dello statuto possano essere deliberate prevedendo solo per il socio dissenziente o assente l’esercizio del diritto di recesso. La seconda ipotesi prevede una modificazione diretta della posizione del socio, ad esempio attraverso la trasformazione di azioni ordinarie in azioni privilegiate o in azioni a voto limitato. In questo caso la legge prevede l’adozione di determinate maggioranze perché la posizione del socio possa essere modificata e quando la modificazione investe una sola categoria di soci richiede che la maggioranza di questi si esprima favorevolmente Se invece l modificazione riguarda diritti dei soci che sono riconosciuti ad essi individualmente in base a particolari motivi tale modifica non può essere effettuata attraverso una modificazione dell’ordinamento sociale. Per tale motivo la legge richiede per le società a responsabilità limitata dove si possono attribuire particolari diritti a singoli soci per la loro modificazione il consenso unanime dei soci (salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo).

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266) Modificazioni essenziali e non essenziali: il diritto di recesso - La legge distingue tra le modificazioni essenziali che autorizzano il socio ad esercitare il diritto di recesso e modificazioni non essenziali. I contratti societari (atto costitutivo e statuto) possono prevedere altre cause essenziali ma non possono escludere il diritto di recesso nelle ipotesi previste dalla legge come essenziali. Per tutte le società di capitali sono modifiche essenziali a) il cambiamento dell’oggetto sociale b) la modifica del tipo della società c) il trasferimento della sede sociale all’estero d) la revoca dello stato di liquidazione e) l’eliminazione di cause di recesso previste dallo statuto f) l’introduzione o la soppressione di clausole compromissorie (per le sole società che non fanno ricorso al mercato di capitale di rischio). Per le società a responsabilità limitata costituiscono inoltre modifiche essenziali : a) la fusione e la scissione b) l’esclusione del diritto di sottoscrivere l’aumento di capitale . Per le società per azioni costituiscono inoltre modifiche essenziali: a) la variazione dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso b) le modificazioni dello statuto relative al diritto di voto o di partecipazione. Per le società quotate sono infine modifiche essenziali le deliberazioni che comportano l’esclusione dalla quotazione. In tutte queste ipotesi il socio che non ha concorso all’adozione della deliberazione ha il diritto di esercitare il diritto di recesso e di ottenere n denaro il rimborso della quota fermo restando che il recesso non può essere esercitato e, se esercitato, perde efficacia, qualora entro 90 giorni la società revochi la deliberazione modificativa o venga deliberato lo scioglimento della società. Il diritto di recesso è inoltre consentito anche al di fuori delle ipotesi di modifiche statutarie: ad es, per le società a tempo indeterminato il socio può sempre recedere salvo preavviso di 180 giorni (o in caso di termine diverso fissato dallo statuto non superiore ad un anno). Ovviamente se la società contratta a tempo indeterminato è quotata in borsa il diritto di recesso non è consentito in quanto al socio è possibile liquidare il proprio investimento nel mercato regolamentare senza costi per la società. Nella società a responsabilità limitata il socio ha diritto alla liquidazione della sua quota in proporzione al capitale sociale tenendo conto del suo valore di mercato al momento del recesso. Nella società per azioni quotate il valore della quota è calcolato in base alla media dei prezzi di chiusura del semestre precedente alla convocazione dell’assemblea che ha adottato la deliberazione mentre nelle società per azioni non quotate il valore è individuato dagli amministratori (sentito il parere dell’organo di controllo e se presente del revisore dei conti) sulla base della consistenza del patrimonio della società e del valore di mercato se presente. I soci hanno diritto di conoscere la valutazione e quindi in caso di contestazione il valore è determinato entro i successivi 90 giorni da un esperto nominato dal tribunale. Nelle società a responsabilità limitata il rimborso della quota deve avvenire entro 180 giorni dal recesso mediante acquisto della quota da parte degli altri soci (in proporzione alle loro quote) o di un terzo individuato dai soci o a carico della società mediante impiego delle riserve disponibili o nel caso esse siano insufficienti mediante riduzione del capitale sociale, alla quale i creditori sociali possono opporsi. Se non si riesce ad arrivare al rimborso la società si scioglie. Nella società per azioni occorre in primo luogo offrire le azioni in opzione agli altri soci da parte degli amministratori che devono depositare l’offerta presso il registro delle imprese. I soci possono esercitare l’opzione entro 30 giorni dal deposito. Le azioni non acquistate possono essere collocate dagli amministratori presso terzi o nel mercato regolamentare nel caso di azioni quotate. Nel caso in cui trascorsi 180 giorni dalla dichiarazione di recesso non si sia giunti al collocamento delle azioni l’acquisto delle stesse può essere fatto dalla società mediante l’impiego di riserve disponibili o in mancanza tramite riduzione del capitale. In alternativa la società si scioglie come si scioglie anche se c’è stata opposizione dei creditori sociali alla riduzione di capitale.

267) Modificazioni del capitale sociale a) aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti - L’aumento del capitale può avvenire con corrispondente aumento del patrimonio a seguito di nuovi conferimenti o senza aumento del patrimonio a seguito del passaggio a capitale della parte disponibile delle riserve e dei fondi presenti in bilancio. Nello stesso modo si può avere riduzione di capitale mediante riduzione del patrimonio (restituzione parziale dei conferimenti o esonero dal compimento del conferimento) o una riduzione del capitale per perdite e cioè senza riduzione del patrimonio. L’aumento del capitale mediante nuovi conferimenti è consentito quando risponde a necessità effettiva della società e quindi può essere deliberato solo quando i conferimenti assunti all’atto della costituzione o di precedenti aumenti di capitale siano stati totalmente eseguiti. Per l’aumento del

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capitale mediante nuovi conferimenti valgono le regole poste per la costituzione e quindi deve essere subito versato il 25% dei conferimenti in denaro (solo che in questo caso il versamento è fatto direttamente alla società), e deve essere presentata garanzia circa l’effettiva corrispondenza dei conferimenti in natura e dei crediti alla parte di capitale sottoscritto. Le nuove quote (per la società a responsabilità limitata) e le nuove azioni (per la società per azioni) devono essere emesse per una valore nominale complessivo al meno pari all’ammontare dell’aumento ma in alcune ipotesi possono (o devono) essere emesse ad un valore superiore(e cioè con un sovrapprezzo) a seguito dell’incremento verificatosi nel patrimonio per l’esercizio dell’attività sociale. La variazione di capitale non si attua a seguito della deliberazione di aumento del capitale ma solo a seguito della effettiva sottoscrizione e quindi gli amministratori devono iscrivere nel registro delle imprese una attestazione dell’avvenuto aumento di capitale e solo in questo momento il capitale si considera effettivamente aumentato e può essere riportato sulla documentazione della società. La sottoscrizione del nuovo capitale spetta in primo luogo ai soci. Per le società a responsabilità limitata la legge riconosce ai soci il diritto di sottoscrivere l’aumento di capitale in proporzione alle quote possedute e richiede che la decisione di aumento, oltre a contenere i termini e le modalità, debba prevedere che la parte di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi. Per le società per azioni la legge riconosce agli azionisti (e agli eventuali possessori di obbligazioni convertibili) il diritto di opzione ossia il diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione in proporzione alle azioni possedute ( e per i possessori di obbligazioni convertibili sulla base del rapporto di cambio) a preferenza di altri soggetti al fine di a) evitare una alterazione delle partecipazioni sociali esistenti b) offrire ai vecchi soci la possibilità di ulteriori investimenti per i loro capitali. Nella società a responsabilità limitata il diritto alla sottoscrizione gode in via di principio di protezione assoluta. Infatti se è vero che è consentito che l’atto costitutivo preveda che l’aumento di capitale (solo se finalizzato alla ricostituzione del capitale ridotto per perdite al di sotto del limite legale) possa essere attuato mediante offerta delle nuove quote ai terzi è anche vero che in questo caso i soci che non hanno acconsentito possono recedere dalla società. E’ pertanto impedito in questo tipo di società che i soci possano essere costretti a rimanere nella società dove gli equilibri sono alterati rispetto a quelli convenuti originariamente e quindi l’esigenza della maggioranza di far entrare terzi nel gruppo deve tenere conto dei costi derivanti dall’eventuale esercizio del diritto di recesso. Nelle società per azioni sono previste invece le seguenti ipotesi di esclusione del diritto di opzione: a) per le azioni di nuova emissione che secondo la deliberazione di aumento del capitale devono essere liberate mediante conferimento in natura. In questo caso è evidente che la società ha interesse ad acquisire un bene determinato che è posseduto da un soggetto ma la legge richiede che in apposita relazione degli amministratori siano illustrate le ragioni di questo specifico interesse). B) per deliberazione dell’assemblea quando l’interesse della società lo esige e quindi esiste un concreto interesse sociale che giustifica il sacrificio. In tal caso la deliberazione deve essere approvata dai soci che rappresentano oltre la metà del capitale sociale anche se è presa in una convocazione successiva alla prima c) per deliberazione dell’assemblea c) quando le azioni sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società e in questo caso è necessaria l’approvazione dei soci che rappresentano oltre la metà solo se l’esclusione riguarda più di un quarto delle azioni essendo sufficienti in caso contrario le maggioranze richieste per l’assemblea straordinaria. Per le società per azioni quotate inoltre lo statuto può escludere il diritto di opzione nei limiti del 10 per cento del capitale preesistente purché il revisore accerti con apposita relazione che il prezzo di emissione corrisponde al valore di mercato delle azioni in quanto in questo caso l’azionista può con identico esborso procurarsi sul mercato le azioni necessarie a mantenere la proporzione esistente Non costituisce invece esclusione o limitazione del diritto di opzione il fatto che la sottoscrizione delle nuove azioni avvenga tramite banche o intermediari finanziari i quali si assumono l’obbligo di offrirle agli azionisti (opzione indiretta). In questo caso la legge stabilisce che nel periodo intercorrente tra la sottoscrizione delle azioni e il loro acquisto da parte degli azionisti l’intermediario, anche se formalmente socio, non può esercitare il diritto di voto. Come abbiamo già detto nelle società a responsabilità limitata l’atto costitutivo può riservare agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale determinandone limiti e modalità di esercizio. Per quanto riguarda la società per azioni l’atto costitutivo (o una sua modificazione) può delegare agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale fino ad un

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ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società nel registro delle imprese. La delega può riguardare anche la facoltà di escludere il diritto di opzione e l’emissione di obbligazioni anche convertibili. In questi casi il verbale della decisione degli amministratori deve essere redatto da un notaio e depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese.

268) continua : b) aumento gratuito del capitale sociale – Diversa è la situazione che si verifica quando l’aumento del capitale si attua mediante passaggio a capitale della parte disponibile delle riserve o dei fondi speciali iscritti a bilancio. In questo caso infatti non si ha variazione nel patrimonio sociale e quindi non vengono applicate le norme dirette ad assicurare la effettività dei conferimenti o che subordinano l’aumento del capitale alla esecuzione dei conferimenti precedentemente assunti. E’ ovvio che il nuovo capitale deve essere ripartito tra i soci in proporzione alla loro partecipazione e ciò avviene nella società per azioni tramite assegnazione di azioni gratuite o mediante aumento del valore nominale delle azioni possedute mentre nelle società a responsabilità limitata rimane immutata la quota di partecipazione del socio. E’ovvio anche che nelle società per azioni qualora sussistono diverse categorie di azioni ciascun socio debba ricevere azioni della stessa categoria di quelle possedute.

269) continua c) la riduzione del capitale sociale mediante riduzione del patrimonio – La riduzione del capitale sociale può avvenire con riduzione del patrimonio e quindi mediante liberazione dei soci dai versamenti ancora dovuti o mediante rimborso ai soci dei versamenti effettuati o senza riduzione del patrimonio in caso di riduzione per perdite. La prima ipotesi comportando una riduzione del patrimonio comporta una riduzione delle garanzie per i creditori e quindi non può attuarsi senza particolari cautele a garanzia di questi. La legge dispone infatti che la deliberazione di riduzione può essere attuata solo dopo 90 giorni dalla iscrizione nel registro delle imprese, termine concesso ai creditori per eventuale opposizione. L’opposizione sospende l’esecuzione ma il tribunale, se sono presenti idonee garanzie, può disporre che l’operazione abbia luogo in pendenza del giudizio di opposizione. Per effetto della riduzione il capitale non può però essere portato al di sotto del limite legale previsto per il tipo di società a meno che contemporaneamente non si deliberi la trasformazione della società. Limiti particolari sono posti alle società per azioni che abbiano emesso obbligazioni e per le società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Un’altra ipotesi di riduzione del capitale sociale con riduzione del patrimonio si ha nel caso di recesso del socio e anche in questo caso la legge riconosce ai creditori la possibilità di opporsi e stabilisce che quando tale opposizione venga considerata fondata dal giudice la società si sciolga.

270) La riduzione del capitale sociale per perdite – La riduzione del capitale per perdite comporta l’adeguamento del capitale alla effettiva consistenza del patrimonio come conseguenza dei risultati negativi dell’attività sociale. La riduzione del capitale sociale è obbligatoria quando le perdite abbiano diminuito di oltre un terzo il capitale sociale e non siano state riassorbite nell’esercizio successivo. L’emersione di una perdita superiore al terzo infatti obbliga gli amministratori (e nella società per azioni in caso di loro inerzia il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza) a convocare l’assemblea con urgenza per i dovuti provvedimenti e devono sottoporre all’assemblea una relazione con le osservazioni dell’organo di controllo o del soggetto incaricato alla revisione legale dei conti da depositare in copia nella sede della società negli otto giorni precedenti la convocazione. Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo l’assemblea (o il consiglio di sorveglianza) che approva il bilancio deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate e in tal caso per le società per azioni tale deliberazione è presa eccezionalmente dalla assemblea ordinaria. Qualora le azioni siano prive di valore nominale la riduzione può essere deliberata dal consiglio di amministrazione. Qualunque sia l’organo che l’ha adottata la deliberazione di riduzione del capitale per perdite deve essere depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese. Se non viene deliberata la riduzione vi può provvedere il tribunale su richiesta dell’ organo di controllo o l’organo incaricato della revisione dei conti. Se in conseguenza della perdita superiore ad un terzo il capitale scende al di sotto del limite legale deve essere convocata con urgenza l’assemblea per deliberare la riduzione e il

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contemporaneo aumento del capitale sociale fino ad una cifra non inferiore al minimo o la trasformazione della società, in mancanza di ciò la società si scioglie Ipotesi analoga a quella della riduzione del capitale sociale per perdite si ha nel caso di morosità del socio quando non è possibile collocare le azioni o le quote del socio moroso e nel caso della società per azioni quando il valore dei beni conferiti risulti inferiore di almeno un quinto al capitale sociale sottoscritto. Anche in questi casi si deve procedere ad una corrispondente riduzione del capitale sociale.

7) Lo scioglimento

271) Cause di scioglimento - La legge stabilisce che la società di capitali può sciogliersi per volontà dei soci o per le altre cause previste dalla legge o dallo statuto. Tali cause sono in parte quelle previste per le società di persone (decorso del termine di durata, conseguimento dell’oggetto sociale o impossibilità di conseguirlo) in parte specificamente previste per le società di capitali ( riduzione del capitale al di sotto del minimo legale senza che sia disposta la reintegrazione o la trasformazione della società, accoglimento dell’opposizione dei creditori circa la riduzione di capitale necessaria per il rimborso al socio recedente, impossibilità di funzionamento dell’assemblea). Inoltre la volontà dei soci per determinare lo scioglimento della società viene manifestata con deliberazione presa alla maggioranza prevista per le modificazioni statutarie e quindi non è necessario un consenso unanime.

272) Effetti dello scioglimento A differenza dalle società di persone il verificarsi di una causa di scioglimento non comporta lo scioglimento automatico della società in quanto gli effetti dello scioglimento si producono solo con l’iscrizione presso il registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori accertano il verificarsi di una causa di scioglimento o, nel caso di scioglimento volontario, della relativa deliberazione. In conseguenza dello scioglimento l’organizzazione della società permane con il solo scopo della definizione dei rapporti sociali e quindi nella gestione della società i liquidatori si sostituiscono agli amministratori ma gli altri organi rimangono efficaci anche se la loro attività rimane limitata agli scopi della liquidazione. Lo scioglimento della società però non rende attuale di per sé il diritto dei soci alla liquidazione della quota in quanto la società può, in caso di eliminazione della causa di scioglimento, revocare lo stato di liquidazione (sempre con le maggioranze richieste per le modifiche statutarie). Tale revoca ha effetto dopo 60 giorni dall’iscrizione della deliberazione e in questo termine i creditori possono fare opposizione salvo il potere del tribunale di autorizzare comunque l’operazione se non vi è pericolo di pregiudizio per i creditori o se la società ha fornito adeguata garanzia. Inoltre il conseguimento dell’oggetto sociale o la impossibilità sopravvenuta di conseguirlo rappresentano cause di scioglimento solo quando l’assemblea, convocata con urgenza, non deliberi le opportune modifiche statutarie. Inoltre per gli amministratori, al verificarsi di una causa di scioglimento, non viene posto più il divieto di intraprendere nuove operazioni (come era prima della riforma) ma solo il dovere di procedere agli adempimenti pubblicitari richiesti dalla legge. La legge stabilisce espressamente che nel periodo che intercorre tra il verificarsi della causa di scioglimento e la consegna ai liquidatori dei libri sociali gli amministratori conservano il potere di gestire la società anche se ai soli fini della conservazione del valore del patrimonio sociale. La violazione di tale limite da parte degli amministratori comporta la normale responsabilità per i danni arrecati alla società, ai soci e ai terzi (e non più come in passato la responsabilità personale e illimitata per gli affari intrapresi). Contestualmente all’accertamento della causa di scioglimento gli amministratori devono convocare con urgenza l’assemblea straordinaria che deve deliberare (con le maggioranze richieste per le modifiche statutarie) la nomina dei liquidatori, i loro poteri, l’individuazione dei liquidatori cui spetta la rappresentanza nonché gli atti necessari per la conservazione dell’impresa. In caso di omissione degli amministratori alla convocazione dell’assemblea può provvedere il tribunale (su istanza dei singoli soci o amministratori o dei sindaci) e se l’assemblea non si costituisce o non delibera le determinazioni suddette sono prese dal tribunale con decreto. I liquidatori, anche se nominati dal tribunale, possono essere revocati dall’assemblea (con le maggioranze richieste per la nomina) o quando sussiste una giusta causa dal tribunale (su istanza dei soci, dei sindaci o del pm).

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273) Svolgimento della liquidazione – I liquidatori devono provvedere all’iscrizione nel registro delle imprese della loro nomina, dei loro poteri, e delle relative modificazioni. A seguito dell’iscrizione gli amministratori cessano dalla carica e devono consegnare ai liquidatori i libri sociali unitamente ad una situazione dei conti alla data in cui lo scioglimento è divenuto efficace e ad un rendiconto della loro gestione nel periodo successivo all’ultimo bilancio approvato. I liquidatori, salva diversa disposizione statutaria o se non si è disposto diversamente all’atto della loro nomina, possono compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società e possono compiere gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa. Come accade nelle società di persone i liquidatori, qualora i fondi siano insufficienti per il pagamento dei debito sociali, possono chiedere ai soci i versamenti non ancora effettuati ma a differenza dalla società di persone possono distribuire ai soci acconti sulla quota di liquidazione purchè dal bilancio risulti che tale ripartizione non può arrecare pregiudizio alla soddisfazione dei creditori sociali. Tali acconti (a differenza dagli acconti sui dividendi) sono ripetibili e quindi la loro concessione può essere subordinata alla presentazione da parte del socio di idonea garanzia. I liquidatori devono assolvere al loro compito con professionalità e diligenza e in caso di inosservanza la loro responsabilità è disciplinata dalle stesse regole previste per gli amministratori. La legge dispone inoltre che il bilancio redatto dai liquidatori deve essere approvato dai soci e deve riportare le variazioni dei criteri di valutazione adottati rispetto al bilancio precedente. Il bilancio deve essere inoltre depositato presso il registro delle imprese e se questo non avviene per tre anni consecutivi la società viene cancellata d’ufficio dal registro delle imprese.

274) Chiusura della liquidazione – Una volta compiuta la liquidazione i liquidatori devono redigere il bilancio finale e indicare la parte dell’attivo residua spettante a ciascun socio o a ciascuna azione. Il bilancio deve essere sottoscritto dai liquidatori e accompagnato dalla relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti e deve essere depositato presso il registro delle imprese. Ciascun socio può proporre reclamo contro il bilancio entro i 90 giorni dall’iscrizione davanti al tribunale e in contraddittorio con i liquidatori. Tutti i reclami vengono decisi dal tribunale con unica sentenza che fa stato anche nei confronti dei non intervenuti. Decorsi i novanta giorni senza reclami o se ogni socio riscuote senza riserve la somma a lui attribuita il bilancio si intende approvato e i liquidatori sono liberati salvo (nella prima ipotesi) l’obbligo della distribuzione ai soci dell’attivo. Approvato il bilancio di liquidazione la società deve, su richiesta dei liquidatori, essere cancellata dal registro delle imprese e con tale atto la società cessa definitivamente e la persona giuridica è estinta. I creditori che eventualmente siano rimasti insoddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei liquidatori (se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa) e in ogni caso verso i soci fino alla concorrenza delle somme da loro riscosse sulla base del bilancio di liquidazione. Dopo la cancellazione pertanto non è possibile una reviviscenza della società e una riapertura del processo di liquidazione.

8) Le società con azioni quotate nei mercati regolamentari

275) Premessa – Il nostro ordinamento attuale distingue tra le società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (società aperte) e quelle che non fanno ricorso a tale mercato (società chiuse). Nell’ambito delle società aperte sono considerate oltre alle società quotate anche le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante ma è indubbio che la disciplina delle società aperte trova applicazione soprattutto con riferimento alle società quotate.

276) Gli interessi rilevanti - La distinzione tra società aperte e chiuse si spiega in funzione del modo in cui la società si procura il capitale di rischio e in particolare in funzione del fatto che le azioni siano o meno quotate sul mercato. Infatti in tal caso la partecipazione azionaria oltre ad essere un mezzo per partecipare ad una iniziativa imprenditoriale può essere anche un mezzo per investire il proprio risparmio, ottenendo attraverso i dividendi una remunerazione adeguata e avendo in qualunque momento la possibilità di monetizzare l’investimento attraverso la vendita delle azioni sul mercato. Ne deriva, oltre ad una polverizzazione del capitale sociale, la distinzione nell’ambito della società di due categorie di azionisti, i cosiddetti azionisti imprenditori che partecipano alla gestione dell’impresa

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e i cosiddetti azionisti risparmiatori che si preoccupano invece esclusivamente di investire proficuamente i loro risparmi non contribuendo alla gestione. Essendo rilevante la funzione del mercato nell’ambito delle società quotate è anche evidente che il funzionamento del mercato stesso assuma rilievo nella relativa disciplina di diritto societario. Possiamo citare ad esempio il fatto che gli azionisti di società per azioni quotate che non hanno concorso alla deliberazione che comporta l’esclusione della quotazione abbiano diritto di recesso, che ci dimostra come la quotazione in borsa venga ad assumere una valore rilevante portando a riconoscere il diritto di recesso che invece il sistema ammette per le sole modificazioni organizzative essenziali, o ancora il fatto che per le società quotate il valore delle azioni da riconoscere al socio recedente viene calcolato con esclusivo riguardo alla loro quotazione senza tenere conto della consistenza patrimoniale della società- Si crea pertanto una situazione in cui da un lato le regole del mercato incidono direttamente sulla disciplina societaria e dall’altro la disciplina societaria si riflette sul funzionamento del mercato giungendo anche a condizionarne l’operatività.

277) I diritti degli azionisti – Tale stretta correlazione che si crea nelle società quotate tra funzionamento del mercato e disciplina societaria dipende dal fatto che l’interesse dell’investitore si concentra sul valore dell’investimento e tale valore si determina appunto anche attraverso la competizione sul mercato. Ne è derivato un dibattito tra chi ritiene che l’ordinamento non dovrebbe imporre autoritativamente regole di tutela degli azionisti ma dovrebbe ampliare lo spazio dato all’autonomia statutaria perché in tal modo il mercato potendo liberamente funzionare farebbe prevalere comunque le migliori soluzioni per gli investitori e chi invece ritiene che per un migliore funzionamento del mercato sarebbe necessario un intervento dell’ordinamento volto almeno a definire le garanzie minime per gli investitori. A tale proposito la scelta del nostro legislatore è stata in un certo modo di compromesso, orientata più nel secondo senso ma con molte aperture verso la prima direzione. In primo luogo il legislatore ha adottato soluzioni legislative volte a rendere più agevole l’intervento degli investitori nella vita della società e quindi stabilendo per le società aperte un quantum di partecipazione inferiore per l’esercizio dei diritti di minoranza rispetto a quello richiesto per le società chiuse o stabilendo minori percentuali per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte dei soci.

278) Le azioni di risparmio - Tale rafforzamento dei mezzi di tutela degli azionisti ottenuto dal legislatore con il testo unico finanziario non esclude però un maggiore spazio lasciato anche all’autonomia statutaria in quanto ad esempio la legge consente agli statuti di attribuire i relativi diritti anche a percentuali inferiori a quelle individuate dalla legge. Non c’è però dubbio che l’autonomia statutaria può esplicarsi principalmente con riferimento ai diritti patrimoniali offerti agli azionisti che sicuramente determinano una maggiore appetibilità per il risparmiatore. In particolare ci riferiamo alla evoluzione legislativa in termini di azioni di risparmio. La legge del 1974 ha infatti consentito alle società per azioni quotate l’emissione di azioni del tutto prive del diritto di voto prevedendo per esse specifici privilegi in tema di ripartizione di utili, di liquidazione delle quote e di sopportazione delle perdite. La legge dispone anche che deve essere l’atto costitutivo a determinare il contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti e le modalità del suo esercizio. L’utilizzazione delle azioni di risparmio è riservata esclusivamente alle società quotate e anzi è necessaria la quotazione delle azioni ordinarie in quanto in tal modo si offre la possibilità al risparmiatore di acquistare sul mercato azioni che possano attribuirgli anche una posizione di potere nella società. La legge tuttavia per garantire l’equilibrio organizzativo interno della società stabilisce una soglia quantitativa per il rapporto tra le azioni di risparmio e le altre azioni: le prime, sommate alle azioni a voto limitato non possono superare la metà del capitale sociale.

279) La durata dell’investimento azionario - Il testo unico finanziario con legge adottata nel 2010 ha introdotto la possibilità di distinguere, per quanto riguarda i dividendi, sulla base della durata dell’investimento azionario e quindi in base al fatto se esso viene attuato a fini speculativi o meno. Tale legge prevede che gli statuti possano attribuire alle azioni detenute dagli azionisti per un periodo indicato dallo statuto stesso (e comunque non inferiore ad un anno) il diritto ad una maggiorazione

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(non superiore al 10 per cento) del dividendo distribuito alle altre azioni. Tale possibilità è relativa alle sole azioni che complessivamente non superano il cinque per mille del capitale sociale e non siano detenute da chi possa aver esercitato una influenza dominante . In questo modo la legge cerca di privilegiare i piccoli azionisti risparmiatori che hanno inteso effettuare un investimento di lungo periodo escludendo sia coloro che hanno finalità imprenditoriali che i piccoli risparmiatori che cercano un guadagno mediante una intermediazione sul mercato.

280) L’assemblea e le deleghe di voto - Le società quotate comportano come abbiamo detto una polverizzazione del capitale sociale e quindi si pone il problema di assicurare la partecipazione all’assemblea e la sua conseguente funzionalità. Per tale motivo la legge ha stabilito una serie di soluzioni, un tempo esclusive delle società quotate e ora estese alle altre società aperte, come quella relativa alla previsione di quorum costitutivi e deliberativi minori per l’assemblea straordinaria, o la possibilità per gli statuti di tali società di prevedere una convocazione unica e quindi di rendere operativi immediatamente i quorum previsti per le convocazioni successive, o la possibilità del voto di corrispondenza o del voto dato per via elettronica (il cui esercizio per le società quotate resta comunque soggetto al potere regolamentare della Consob). Il testo unico finanziario inoltre stabilisce specifiche regole in tema di assemblea per le società quotate (estese anche alle altre società aperte). Ad esempio per la convocazione dell’assemblea si riconosce il relativo potere anche ad almeno due membri del consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale e si dispone che l’avviso della convocazione possa essere pubblicato sul sito Internet della società. Lo strumento di Internet è inoltre utilizzato per portare a conoscenza degli azionisti i dati e la documentazione necessaria per rendere più consapevole la loro partecipazione all’assemblea. Viene prevista inoltre una fase intermedia tra la convocazione e la data fissata per l’assemblea in cui le minoranze possono chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno o porre domande sulle materie all’ordine del giorno cui gli organi competenti devono rispondere al più tardi durante l’assemblea a meno che tal informazioni non siano già disponibili sul sito internet della società. Ancora più significative sono gli aspetti relativi alla legittimazione dell’intervento e alla disciplina della rappresentanza. Per quanto riguarda la legittimazione dell’azionista all’intervento in assemblea e al diritto di voto diversa è la disciplina applicabile alla società quotata rispetto alla società non quotata. Infatti mentre per la società non quotata lo statuto può richiedere che le azioni siano registrate nel conto dell’azionista e siano incedibili fino alla chiusura dell’assemblea per la società quotata si prevede che la legittimazione ad intervenire può essere attestata dall’intermediario sulla base delle evidenze della giornata contabile del settimo giorno di mercato precedente la data fissata per l’assemblea. Pertanto gli eventuali trasferimenti successivi delle azioni non sono rilevanti ai fini della legittimazione all’esercizio di voto. Tale soluzione ovviamente può determinare che partecipi alla votazione chi non è più azionista e al contrario che non possa parteciparvi chi al momento dell’assemblea è divenuto tale. Per quanto riguarda la rappresentanza per le società quotate è previsto che, salva diversa disposizione dello statuto, la società può designare un soggetto cui i soci possono conferire una delega con le istruzioni di voto. In presenza di un conflitto di interessi mentre per le società non quotate viene limitato a priori la possibilità di attribuire un potere di rappresentanza, per le società quotate si richiede solo che il socio sia consapevole di tale situazione (e quindi ponendo a carico del rappresentante l’onere della prova di averne dato comunicazione) ed abbia dato specifiche disposizione di voto per ciascuna delibera. Pertanto a tali condizioni la delega è consentita anche a chi controlla o sia controllato dalla società, che sia componente di un organo di amministrazione o di controllo della società o che sia legato alla società stessa da rapporti patrimoniali in grado di comprometterne l’indipendenza. La legge si occupa infine di alcuni fenomeni riguardanti vicende di massa e quindi non semplici rapporti tra l’azionista e il rappresentante, consistenti nella sollecitazione al conferimento di deleghe di voto e nell’attività delle associazioni di azionisti. La sollecitazione consiste nella richiesta di conferimento di deleghe rivolte a più di duecento azionisti accompagnata da raccomandazioni o indicazioni idonee ad influenzare il voto. Essa viene considerata come un possibile strumento per contribuire alla vita della società più economico rispetto alla partecipazione diretta all’assemblea ma può rappresentare anche una occasione per manovre speculative e poco trasparenti. Pertanto la legge oltre a disporre l’applicazione della disciplina sopra descritta in tema di rappresentanza richiede che il promotore diffonda un

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prospetto e un modulo di delega attribuendo alla Consob il potere di intervenire richiedendo informazioni integrative e particolari modalità di diffusione. L’obiettivo della legge è quello di far si che l’azionista possa effettuare una scelta consapevole affermando quindi una responsabilità specifica del promotore per la completezza delle informazioni e stabilendo anche che negli eventuali giudizi per il risarcimento dei danni a seguito della violazione di tali obblighi sia onere del promotore provare di aver agito con la diligenza richiesta. A tale disciplina non sono invece soggette le richieste di conferimento di deleghe accompagnate da raccomandazioni idonee ad influenzare il voto, da parte delle associazioni di azionisti. In questo caso infatti si presuppone che l’adesione del socio alla associazione assicuri di per sé la consapevolezza della scelta. Viene quindi richiesta solo che l’associazione non eserciti attività di impresa e che vi partecipino almeno cinquanta persone con una partecipazione non superiore all’uno per mille del capitale sociale rappresentato da azioni con diritto di voto. In tal modo la legge vuole assicurarsi che le associazioni siano realmente espressione della categoria dei piccoli azionisti.

281) L’informazione: comunicazioni al pubblico e informazione finanziaria - Altro aspetto decisivo per le società quotate è quello della informazione in quanto proprio in base alle informazioni disponibili il mercato definisce la quotazione delle azioni, profilo sicuramente rilevante per gli investitori. Il testo unico finanziario impone quindi agli amministratori delle società quotate di mettere a disposizione del pubblico una relazione sulle materie all’ordine del giorno dell’assemblea, di garantire a tutti i risparmiatori le informazioni necessarie per l’esercizio dei loro diritti. Vengono imposte quindi alle società quotate obblighi di informazione nei confronti del pubblico ed in particolare il dovere di informare il pubblico delle informazioni privilegiate (e quindi che non siano di pubblico dominio) che riguardano direttamente la società o le società controllate che se rese pubbliche sono idonee ad influire sensibilmente sul prezzo delle azioni o degli altri strumenti finanziari emessi dalla società stessa. Nei casi stabiliti dalla consob la divulgazione può essere ritardata purchè il ritardo non possa indurre in errore il pubblico su fatti essenziali e sempre che sia possibile garantire la riservatezza della informazione non divulgata. La consob può inoltre richiedere alle società quotate di rendere pubbliche notizie e documenti necessari per l’informazione del pubblico e la società può opporsi solo se da ciò potrebbe derivare un grave danno. Il reclamo della società può essere respinto quando la mancata comunicazione potrebbe indurre in errore il pubblico su fatti o circostanze essenziali. Vediamo quindi come qualora ci sia conflitto tra gli interessi imprenditoriali della società e quelli del mercato finanziario la legge faccia prevalere i secondi. Le società quotate devono inoltre comunicare alla consob e al pubblico le operazioni che hanno per oggetto le azioni della società o altri strumenti finanziari da essa emessi., . Accanto agli obblighi di comunicazione si pongono altre regole volte a garantire la correttezza delle modalità di diffusione delle informazioni. Pertanto i soggetti (diversi dalle società di rating) che diffondono valutazioni riguardanti le azioni o gli altri strumenti finanziari raccomandando o proponendo investimenti devono presentare l’informazione in modo corretto e trasparente e comunicare l’esistenza di eventuali conflitti di interesse. E’ inoltre obbligatorio per le società quotate la nomina di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari che ha il compito di attestare la corrispondenza delle informazioni diffuse sul mercato con le risultanze interne ed i libri contabili della società. Il dirigente, insieme agli organi amministrativi delegati, deve inoltre attestare con apposita relazione sul bilancio (di esercizio, consolidato e semestrale abbreviato l’applicazione delle procedure richieste dalla legge e la conformità delle scritture contabili alla legge e ai principi contabili internazionali. In relazione a tali compiti si applica nei confronti del dirigente la disciplina sulla responsabilità degli amministratori. Le società quotate sono poi tenute a pubblicare (con le modalità definite dalla consob) una serie di relazioni finanziarie (con cadenza annuale, trimestrale e semestrale) contenenti informazioni sugli eventi importanti accaduti nel periodo e sulla situazione patrimoniale della società.

282) La trasparenza: partecipazioni rilevanti e patti parasociali - Gli obblighi di informazione sopra previsti mostrano come il legislatore intenda tutelare la trasparenza della società e del mercato ma si è affermata anche l’esigenza di una trasparenza che non riguarda solo le operazioni e la situazione economica della società ma anche l’assetto della stessa proprietà azionaria. Pertanto le società quotate

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hanno una serie di obblighi di comunicazione sia alla società partecipata che alla Consob nel caso di partecipazioni che superando una certa soglia (due per cento per le partecipazioni in società quotate e dieci per cento per la partecipazione in altre società) possano considerarsi rilevanti. L’esigenza è quella di informare il mercato e la società circa la struttura dei gruppi finanziari che vi partecipano e quindi la Consob ha il potere di prevedere adeguate forme di pubblicità della dichiarazione ed inoltre è previsto anche l’obbligo di comunicare le variazioni significative delle partecipazioni rilevanti Sempre per esigenze di trasparenza sono imposti obblighi di comunicazione anche per i patti parasociali. Come abbiamo già detto i patti parasociali sono i patti relativi a partecipazioni pari ad almeno il due per cento del capitale che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto o che pongono limiti al trasferimento delle azioni o che risultano volti a favorire o contrastare una offerta pubblica di acquisto o di scambio o che hanno ad oggetto l’esercizio anche congiunto di una influenza dominante sulla società. Tali patti per le società quotate devono essere depositati presso il registro delle imprese ed ad essi si applica una particolare disciplina in deroga a quanto previsto per le altre società per azioni dal codice civile. Sia per le partecipazioni rilevanti che per i patti parasociali l’omissione degli adempimenti previsti comporta il fatto che non possa essere esercitato il diritto di voto per le azioni per le quali tale omissione è avvenuta e in caso tale diritto sia esercitato la deliberazione è impugnabile se,senza il voto dei soci che dovevano astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza necessaria. La deliberazione è inoltre impugnabile anche dalla Consob se è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese. Inoltre per i patti parasociali in caso di inosservanza degli obblighi di comunicazione e pubblicazione essi sono nulli. La durata di tali patti non può essere superiore a tre anni anche se alla scadenza essi possono essere rinnovati. I patti possono essere stipulati anche a tempo indeterminato ma in tal caso ciascun contraente ha il diritto di recedere con un preavviso di sei mesi. Sia le partecipazioni rilevanti che i patti parasociali rientrano tra le informazioni che devono essere indicate nella relazione sulla gestione o in una relazione distinta sempre approvata dall’organo di amministrazione.

283) I controlli : la revisione legale dei conti e gli organi di controllo - Le società quotate sono soggette ad un rafforzamento dei controlli previsti in genere per le società per azioni e ciò sia dal punto di vista privatistico che pubblicistico. Dal punto di vista privatistico nelle società quotate la revisione legale dei conti deve essere affidata necessariamente ad un soggetto esterno (revisore legale dei conti o società di revisione). Ciò in linea di principio è previsto anche per le società non quotate con la differenza che in questo caso la revisione può essere effettuata dal collegio sindacale sempre che ciò sia previsto nello statuto e che la società non sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato. Inoltre nelle società quotate la revisione legale dei conti è sottoposta ad una specifica disciplina. In primo luogo la Consob ha il compito di vigilare sull’organizzazione e sull’attività del soggetto incaricato della revisione dei conti al fine di verificarne la qualità tecnica e l’indipendenza. La durata dell’incarico non può essere superiore ai nove esercizi per il revisore legale e ai sette esercizi per la società di revisione con divieto di rinnovo se non sono trascorsi almeno tre esercizi. La legge individua anche una serie di servizi che il revisore non può prestare a favore della società. Sulla prestazione di tali servizi e sull’indipendenza del revisore legale vigila l’organo di controllo della società cui il revisore deve presentare una relazione sulle questioni emerse in sede di revisione e sulle carenze riscontrate nei sistemi di controllo interno. La legge attribuisce inoltre alla Consob il potere di stabilire con regolamento le situazioni che possono compromettere l’indipendenza del revisore esterno e le misure da adottare per procedere alla loro rimozione e vieta al soggetto incaricato della revisione il potere di rappresentanza nell’assemblea della società. Inoltre il revisore, i dipendenti della società di revisione non possono ricoprire cariche negli organi di amministrazione e di controllo della società se non è trascorso un biennio dalla conclusione dell’incarico di revisione e nello stesso modo i componenti degli organi amministrativi e di controllo della società non possono svolgere l’incarico della revisione legale dei conti nei due anni successivi alla cessazione dell’incarico o del rapporto di lavoro. Nelle società quotate inoltre i revisori sono tenuti ad informare immediatamente gli organi di controllo e la consob delle carenze riscontrate nell’esecuzione del loro incarico e ad informare la consob in caso di giudizio negativo (o della impossibilità di esprimere un giudizio) sul bilancio. Inoltre il revisore deve esprimere pareri che devono essere resi disponibili presso la sede della società e il suo sito internet

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almeno ventuno giorni prima dell’assemblea. Ovviamente il contenuto della relazione non vincola l’assemblea che può approvare il bilancio sul quale è stato espresso un giudizio negativo o non approvare un bilancio sul quale è stato espresso un giudizio positivo In questo caso però sono legittimati a chiedere la impugnativa della deliberazione i soci che rappresentano almeno il cinque per cento del capitale sociale e la Consob, che può farlo in ogni caso e qualunque sia il giudizio espresso dalla società di revisione. Per quanto riguarda gli altri organi di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza o comitato di controllo sulla gestione) ad essi è affidato il compito di controllo sulla amministrazione. La consob stabilisce con regolamento le modalità volte ad assicurare che almeno un membro dell’organo di controllo sia eletto con voto di lista dai soci di minoranza che non sono collegati (nemmeno indirettamente) con quelli che hanno presentato la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti. E’ inoltre compito del Ministro della giustizia stabilire con regolamento i requisiti di onorabilità e professionalità dei componenti degli organi di controllo. Gli organi di controllo oltre a riferire all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio sull’attività svolta e sulle omissioni riscontrate devono denunciare immediatamente le irregolarità riscontrate alla Consob che è legittimata a proporre al tribunale la denuncia. E’ posto inoltre agli amministratori il compito di riferire all’organo di controllo con periodicità almeno trimestrale sull’attività e sulle operazioni di maggior rilievo svolte. Inoltre per le società quotate è posto l’obbligo per gli amministratori di prevedere specifiche regole (in base ai principi indicati dalla consob) per garantire la trasparenza delle operazioni svolte con le parti correlate. Parti correlate sono le società appartenenti al medesimo gruppo e le persone fisiche che detengono il controllo della società o una partecipazione che consente ad esse di esercitare sulla società una influenza notevole, le persone che svolgono nella società o nella sua controllante, funzioni di dirigente e i loro familiari. Sono operazioni con parti correlate quelle operazioni che comportano trasferimenti di risorse, servizi o obbligazioni tra le parti e in ogni caso le fusioni e le scissioni e tutte le decisioni riguardanti la remunerazione dei componenti degli organi amministrativi o di controllo o dei dirigenti. Agli organi di controllo delle società quotate sono inoltre riconosciuti poteri di richiedere, anche individualmente, notizie e documentazione agli amministratori relativamente alle operazioni sia della società che di società controllate. Il potere di procedere ad atti di ispezione e di controllo che il codice riserva solo ai sindaci è esteso nelle società quotate anche agli altri organi di controllo. Inoltre alcune regole dettate per gli organi di controllo sono estese anche ai componenti del consiglio di amministrazione in quanto ad essi si richiede non solo il possesso dei requisiti di onorabilità previsti per i componenti degli organi di controllo ma, per almeno uno o due dei componenti, anche il possesso dei requisiti di indipendenza., Si prevede inoltre che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti attraverso il meccanismo del voto di lista e che almeno uno di essi sia eletto dalla lista di minoranza che ha ottenuto il maggior numero di voti.

284) continua – La consob e i controlli pubblici - Come abbiamo detto le società quotate sono sottoposte anche a controlli pubblici da parte de la Consob. Tali controlli hanno lo scopo di assicurare la trasparenza delle operazioni e la veritiera informazione sulla situazione patrimoniale delle società al fine di tutelare il risparmiatore affinchè al momento dell’investimento operi con una scelta consapevole conoscendo tutti i dati rilevanti. La consob ha personalità giuridica di diritto pubblico, ha un proprio organico di personale dipendente ed è composta da un presidente e da quattro membri che operano collegialmente. La consob è dotata di poteri regolamentari e di poteri che si traducono in atti amministrativi, di portata generale o particolare. Ricordiamo il potere di richiedere informazioni agli organi sociali o di controllo o ai revisori legali e il potere di eseguire direttamente ispezioni presso le società. Inoltre la legge pone l’obbligo per gli organi di controllo e i revisori legali di segnalare alla consob le irregolarità di cui siano venuti a conoscenza e alla consob sono attribuiti poteri di intervento all’interno della società come ad esempio di impugnazione della delibera di approvazione del bilancio o delle deliberazioni adottate con voto determinante di titolari di partecipazioni rilevanti o di aderenti a patti parasociali non comunicati. In determinate situazioni la consob può anche vietare specifiche operazioni come ad. Es. può vietare l’attività di sollecitazione qualora riscontri violazioni di legge. I provvedimenti della consob sono definitivi e contro di essi non è ammesso il ricorso gerarchico al ministro del tesoro ma solo il ricorso giurisdizionale davanti al Tar

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285) Le offerte pubbliche di acquisto o scambio – La particolarità degli interessi coinvolti nelle società quotate in borsa si evidenzia anche attraverso gli istituti dell’offerta pubblica di acquisto (OPA) e dell’offerta pubblica di scambio (OPS) di titoli. Anche in questo caso infatti vediamo come nelle società quotate la tutela offerta dall’ordinamento all’azionista tende ad identificarsi con quella del risparmiatore e del mercato stesso in cui egli effettua il suo investimento. Questa esigenza di tutela offerta ai soci comporta l’affidamento alla consob del compito di vigilare sulle offerte pubbliche di acquisto e scambio e sul loro svolgimento e richiede che la società (i cui titoli formano oggetto dell’offerta pubblica di acquisto) diffonda un comunicato contenente i dati utili per valutare l’offerta e gli effetti che l’eventuale successo avrà sull’attività dell’impresa ma anche sull’occupazione. In questo modo la società, pur estranea formalmente all’operazione, svolge un suo ruolo a tutela dei soci ma anche dei lavoratori alle cui rappresentanze il comunicato deve essere trasmesso contestualmente alla diffusione.

286) continua – l’obbligatorietà dell’offerta pubblica di acquisto – Ci sono alcune ipotesi in cui l’offerta pubblica è obbligatoria in quanto si pone come strumento per realizzare una parità di trattamento degli azionisti nella società e nel mercato.. Ovviamente l’offerta deve riguardare titoli che attribuiscono il diritto di voto in alcune materie e deve trattarsi di titoli ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani. Nella prassi l’acquisizione del controllo di una società implica l’attribuzione di un cosiddetto premo di maggioranza, ossia di un plusvalore rispetto a quello che risulterebbe dalla quotazione delle singole azioni di cui il pacchetto di controllo si compone e da qui nasce il problema di elaborare strumenti in grado di garantire una distribuzione tendenzialmente paritaria per tutti i soci, L’offerta pubblica obbligatoria è appunto lo strumento utilizzato nel nostro ordinamento a questo scopo i n quanto dovendo l’offerta venire indirizzata pariteticamente a tutti gli azionisti il premio non risulta corrisposto al solo soggetto che deteneva la posizione di controllo ma a tutti sono offerte pari opportunità. L’ipotesi principale in cui è obbligatoria l’offerta pubblica di acquisto si ha in base all’art. 106 del testo unico finanziario che impone a chi, per effetto di acquisti, venga a detenere una partecipazione superiore al 30 per cento, l’obbligo di promuovere una offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i possessori sulla totalità dei titoli. Analogo obbligo si ha per acquisti superiori al cinque per cento effettuati da coloro che detengono già una partecipazione pari al 30 per cento. Il prezzo dell’offerta pubblica non può essere inferiore al prezzo più elevato pagato dall’offerente nei dodici mesi precedenti la comunicazione dell’offerta per l’acquisto dei titoli della stessa società o in mancanza di quello medio ponderato di mercato relativo allo stesso periodo di tempo anche se la Consob ha il potere di stabilire, in determinate ipotesi, che l’offerta venga promossa ad un prezzo inferiore o superiore a quello più alto pagato. L’offerente è tenuto ad offrire un corrispettivo in denaro solo se nei dodici mesi anteriori alla comunicazione dell’offerta abbia acquistato con corrispettivo in denaro titoli della stessa società che conferiscano almeno il cinque per cento dei diritti di voto. In caso contrario il corrispettivo dell’offerta può essere composto anche da titoli ma se si tratta di titoli non ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno stato comunitario l’offerente può proporre ai destinatari in alternativa un corrispettivo in denaro. Tuttavia non sempre, in presenza di un superamento della soglia del 30% sorge l’obbligo di offerta pubblica totalitaria, infatti esso non sorge nelle seguenti ipotesi a) vi sono altri soci che detengono il controllo della società (in quanto in questo caso viene meno la ragione stessa dell’obbligo di acquisto) b) l’acquisto non è stato finalizzato ad assumere il controllo (es è stato effettuato a titolo gratuito, o ha carattere temporaneo o deriva da cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente come la mancata sottoscrizione di un aumento di capitale da parte di un altro socio c) il trasferimento delle azioni intercorre tra società dello stesso gruppo (e quindi il controllo già spettava anche se indirettamente alla società capogruppo) d) acquisti effettuati in attuazione di piani di salvataggio di aziende o a seguito di fusione o scissione, giustificati da effettive esigenze industriali. Inoltre non sussiste l’obbligo di promuovere l’offerta pubblica totalitaria quando la soglia del 30 per cento viene superata a seguito di una offerta pubblica volontaria di acquisto e scambio che aveva per oggetto la totalità dei titoli. In questo caso infatti si ritiene incongruo tutelare la parità di trattamento tra i soci nei confronti di chi, per acquisire il controllo della società, ha già volontariamente utilizzato, assumendone i costi relativi, uno strumento di per sé diretto a rispettare tale parità di trattamento. In determinate condizioni può esonerare dall’obbligo di

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promuovere l’offerta pubblica totalitaria la cosiddetta offerta pubblica preventiva, ossia una offerta pubblica volontaria che ha per oggetto almeno il 60% delle azioni con diritto di voto. L’offerta pubblica preventiva viene quindi a rappresentare il principale strumento per evitare di essere costretti all’obbligo di promuovere una offerta pubblica totalitaria in quanto consente, con meno costi, di acquisire il controllo della società senza essere costretti ad acquistare tutte le azioni ma solo il sessanta per cento di esse. Una disciplina analoga a quella dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria è quella prevista dall’art. 108 del testo unico finanziario che impone a colui che, a seguito di una offerta pubblica totalitaria detiene una partecipazione superiore al 95 per cento del capitale, l’obbligo di acquistare da chi ne faccia richiesta tutti i tioli rimanenti. Analogo obbligo è poi previsto nei confronti di colui che si trova a detenere una partecipazione superiore al 90 per cento a meno che nei novanta giorni successivi al superamento non provveda a ripristinare l’effettiva diffusione tra il pubblico dei titoli in modo da assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. Infatti in queste ipotesi il mercato non può essere in grado di assicurare quella facilità di mobilizzazione che fa parte delle motivazioni dell’investimento azionario e ne deriva pertanto l’esigenza di tutela dell’azionista-risparmiatore e quindi l’obbligo di acquistare i titoli rimanenti alle condizioni di prezzo stabilite dalla consob tenendo conto dell’eventuale offerta pubblica precedente (in quanto in questo caso in genere il prezzo è pari a quello di essa) o del prezzo di mercato.

287) continua - Il procedimento - Per le offerte pubbliche di vendita e scambio sono previste le seguenti modalità per lo svolgimento delle operazioni : a) Prima fase: promozione dell’offerta - Il testo unico finanziario richiede che la decisione di effettuare una offerta pubblica o il sorgere del relativo obbligo (in caso di offerta obbligatoria) devono essere con urgenza comunicate alla consob e contestualmente rese pubbliche e che il consiglio di amministrazione (o il consiglio di sorveglianza)sia della società offerente che emittente provveda all’immediata informazione ai rispettivi lavoratori. Entro venti giorni dalla comunicazione l’offerente deve presentare alla consob il documento di offerta destinato alla pubblicazione e in caso di inottemperanza l’offerente non può promuovere, nei dodici mesi successivi, un ulteriore offerta avente ad oggetto prodotti finanziari della stessa società emittente. Se il documento viene valutato idoneo da parte della consob la stessa provvede ad approvarlo. Una volta reso pubblico il documento deve essere trasmesso dal consiglio di amministrazione (o di sorveglianza) della società offerente e della società emittente ai rispettivi lavoratori. La consob ha anche il potere, nel caso sopravvengano fatti nuovi o ignorati che possano impedire ai destinatari di farsi un giudizio fondato sull’offerta, di sospendere l’offerta per non più di trenta giorni. In caso di fondato sospetto di violazione delle norme o di loro accertata violazione la consob può sospendere l’offerta in via cautelare o dichiararla decaduta. B) seconda fase – durante il periodo di pendenza dell’offerta - In questa fase si pongono vincoli di comportamento per la società interessata dalla operazione. Infatti gli interessi degli amministratori della società i cui titoli sono oggetto dell’offerta potrebbero essere quelli di impedire mutamenti nel gruppo di controllo della società, interessi che potrebbero essere in contrasto con quelli dei soci, interessati invece a massimizzare il ricavato della vendita dei loro titoli. Pertanto la legge vuole assicurare che eventuali tecniche difensive messe in moto dagli amministratori per impedire la scalata e che possono comportare costi aggiuntivi per l’operazione sia prese effettivamente nell’interesse degli azionisti e non del gruppo di controllo attuale. In particolare la legge permette che nel periodo di adesione all’offerta le clausole, eventualmente contenute negli statuti,che limitano il trasferimento dei titoli o il diritto di voto non abbiano effetto nelle assemblee chiamate ad autorizzare l’adozione di misure difensive nei confronti dell’offerta. Inoltre il testo unico finanziario prevede una apposita disciplina (passivity rule) permettendo però agli statuti di derogarvi a patto che tali deroghe siano comunicate alla consob ed al pubblico. In mancanza di deroghe è vietato nel periodo tra la comunicazione alla consob della decisione (o dell’obbligo) d promuovere l’offerta e la chiusura dell’offerta, il compimento di qualunque atto idoneo a contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta (ad eccezione di quelli consistenti nella ricerca di offerte alternative) che non siano autorizzati dall’assemblea ordinaria o (per le materie di sua competenza) dall’assemblea straordinaria. La prospettiva adottata dal nostro ordinamento è dunque quella di attribuire all’autonomia statutaria (e quindi ai soci) la scelta in merito alla maggiore o minore contendibilità del controllo della società. Inoltre il periodo di pendenza

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dell’offerta pubblica crea anche vincoli per l’offerente. In particolare nel caso in cui egli abbia in tale periodo acquistato titoli per un prezzo più alto di quello fissato per l’offerta deve adeguare il prezzo di quest’ultima al prezzo più alto pagato e comunque è tenuto in generale ad astenersi da comportamenti che possano alterare situazioni rilevanti per i presupposti dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria. Altra caratteristica di questa fase è quella della irrevocabilità sia della offerta che delle accettazioni. L’offerta può però essere modificata fino a tre giorni prima della data di chiusura dell’operazione ma solo per un possibile aumento del corrispettivo. La irrevocabilità delle accettazioni ha invece una eccezione nell’ipotesi di offerte concorrenti che possono essere presentate entro cinque giorni dalla scadenza dell’offerta precedente e sono ammesse solo se propongono un corrispettivo superiore all’ultima offerta. A seguito della pubblicazione di tali offerte concorrenti le adesioni alle altre offerte sono revocabili e quindi ne risulta una specie di gara con la possibilità di molteplici offerte e rilanci successivi. Per garantire il corretto svolgimento di tale gara la legge stabilisce che i rilanci non possono riguardare un quantitativo di azioni minore di quello richiesto e che la durata delle offerte è per tutte quella dell’ultima offerta. C) Fase successiva alla scadenza del termine - Alla scadenza del termine possono presentarsi tre situazioni: 1) si è raggiunto il quantitativo richiesto 2) si è raggiunto un quantitativo inferiore 3) si è raggiunto un quantitativo superiore. Nel primo caso non si pongono problemi essendo stato raggiunto l’obiettivo, il secondo e il terzo caso possono presentare problemi che vengono risolti in base agli schemi contrattuali utilizzati per la formulazione dell’offerta. Infatti essi possono prevedere la possibilità che l’offerta indichi il quantitativo minimo di accettazione (ciò non è ovviamente possibile per l’offerta pubblica obbligatoria totalitaria) e in tal caso se si hanno quantitativi inferiori l’offerta è inefficace. Inoltre essi possono prevedere che siano individuati i criteri di riparto in caso di accettazione superiore, criteri che devono far comunque riferimento al criterio di proporzionalità onde rispettare il principio della parità di trattamento tra i soci.

CAPITOLO IV

LA SOCIETA ‘ COOPERATIVA

1) Disciplina generale delle società cooperative 288) Lo scopo mutualistico : essenza e riflessi sulla struttura della società – Le società cooperative sono la forma organizzativa tipica riservata alle imprese mutualistiche. Infatti il codice civile espressamente dispone che le società cooperative sono società con capitale variabile con scopo mutualistico. La mutualità è quindi il presupposto specifico della società cooperativa ma non ne è, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, il carattere essenziale. Infatti una società non è necessariamente una società cooperativa solo perché esercita una impresa mutualistica (tanto è vero che molte imprese mutualistiche di costituiscono come società per azioni o come società a responsabilità limitata) ma lo è quando esercitando una impresa mutualistica assume la forma organizzativa tipica basata sulla variabilità del capitale. Tuttavia essendo presupposto necessario della società cooperativa lo scopo mutualistico occorre individuare in che cosa consiste questo scopo e come incide sulla struttura dell’impresa cooperativa. La mutualità consiste nel fatto che nelle società cooperative il lucro dell’imprenditore si realizza a carico delle stesse persone che fanno parte della società (e alle quali viene distribuito) e non a carico di persone estranee alla società. Appunto attraverso tale corrispondenza tra gruppo sociale e gruppo a carico del quale l’utile si realizza il profitto dell’imprenditore si elimina. Tuttavia tale eliminazione è frutto di due operazioni contrapposte: la realizzazione dell’utile e la sua redistribuzione. Pertanto la società cooperativa alla pari delle altre società configura l’ottenimento di un utile e la sua distribuzione ai soci e quindi non è attendibile l’opinione che sostiene che le società cooperative siano da assimilare alle associazioni piuttosto che alle società. Lo scopo mutualistico influisce indubbiamente sulla struttura della società cooperativa. Infatti la partecipazione alla società si determina in considerazione della identità dei bisogni dei partecipanti e della possibilità della loro realizzazione attraverso lo svolgimento dell’attività sociale. Talvolta, come nelle cooperative edilizie abbiamo un numero fisso e predeterminato di soci mentre in altri casi il contratto è aperto e consente l’adesione di nuovi soci consentendo nel contempo l’uscita di quelli attuali Ma anche in questo secondo caso la società

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cooperativa di distingue nettamente dall’associazione. Nell’associazione infatti gli associali non hanno alcun diritto sul patrimonio. Infatti anche se il patrimonio dell’associazione è formato anche grazie ai contributi degli associati tali contributi non possono qualificarsi come apporti ma come corrispettivi per i servizi prestati. Appunto per ciò il contributo è annuale ed è uguale per tutti gli associati e appunto perché l’associato ha fruito dei sevizi prestati dall’associazione come corrispettivo per il contributo versato egli non ha diritto in caso di recesso ad una quota del patrimonio dell’associazione. Nelle cooperative invece la situazione è completamente diversa in quanto non solo la legge prevede la sottoscrizione di una quota di capitale che può essere diversa da socio a socio, stabilisce che il nuovo socio che voglia entrare nella cooperativa debba versare oltre alla quota di capitale sottoscritta anche il sovrapprezzo eventualmente determinato dall’assemblea in sede di approvazione di bilancio e stabilisce anche che in caso di morte, esclusione o recesso del socio si debba liquidare la sua quota sulla base del bilancio di esercizio nel corso del quale tale fatto si verifica e che comprende in via di principio anche il sovrapprezzo. I principi suddetti caratterizzano in generale la società e non l’associazione. Inoltre lo scopo mutualistico contribuisce a caratterizzare la società cooperativa anche nel senso che la parità di posizione che c’è tra i soci di fronte ai bisogni da soddisfare si riflette nell’attribuzione ai soci di uguali poteri qualunque sia il loro apporto e nella previsione di una limitazione nella parte del capitale che ciascun socio può possedere. Lo scopo mutualistico delle cooperative si traduce in una serie di obblighi della società a fornire beni, servizi o occasioni di lavoro ai propri membri a a condizioni migliori rispetto a quelle di mercato. Il vantaggio mutualistico può essere realizzato con due tecniche diverse: quella del vantaggio immediato e quella del vantaggio differito o ristorno. Si ha la prima ipotesi quando la società pratica subito prezzi inferiori o retribuzioni superiori a quelli di mercato Si ha la seconda ipotesi quando il vantaggio mutualistico viene attribuito ai soci mediante i ristorni che sono somme di denaro che la società restituisce ai soci periodicamente, in occasione dell’approvazione del bilancio, in proporzione ai rapporti intercorsi con la cooperativa. Il legislatore italiano non impone alle cooperative (tranne casi eccezionali) il divieto di rapporti con i terzi non soci (mutualità pura). Ne consegue che le cooperative possono offrire le proprie prestazioni anche ai terzi non soci purchè ciò sia espressamente previsto dallo statuto. 289) Lo statuto particolare delle società cooperative - La nostra costituzione (art. 45) riconosce esplicitamente la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata e si propone di favorirne l’incremento con i mezzi più idonei. Pertanto sono accordate agevolazioni tributarie alla società cooperativa in cui la mutualità risulta prevalente e in particolare quando nello statuto sia previsto il divieto di distribuzione di dividendi in misura superiore all’interesse legale sul capitale versato, il divieto di distribuzione delle riserve e la devoluzione del patrimonio sociale, previa la restituzione dei conferimenti, a scopi di pubblica utilità. Il legislatore pertanto ha differenziato le società cooperative a seconda che la mutualità risulti o meno prevalente limitando alle prime l’applicazione di agevolazioni tributarie previste dalle leggi speciali. Il fenomeno cooperativo inoltre è soggetto a pubblica vigilanza, che spetta al Ministero delle attività produttive tranne che per le banche cooperative (dove è affidata alla Banca d’Italia) e per le cooperative di assicurazione (dove è affidata all’ISVAP). E’ anche prevista l’iscrizione delle cooperative (tranne quelle bancarie ed assicurative) nell’Albo delle società cooperative ma tale iscrizione assume valore costitutivo solo per le cooperative a mutualità prevalente. Le disposizioni generali sulle società cooperative sono contenute nel codice ma esistendo una grande varietà di tipi di cooperative accanto alle disposizioni del codice si applicano le numerose leggi speciali emanate sull’argomento. Ciò può creare problemi di coordinamento risolvibili sulla base del fatto che le disposizioni del codice si applicano in quanto compatibili con le disposizioni delle leggi speciali. 290) Struttura e tipi di società cooperative - Le società cooperative si differenziano sia dalle società di persone che dalle società di capitali in quanto l’organizzazione sociale è costituita insieme su base personale e su base capitalistica. L’organizzazione delle cooperative è ricalcata essenzialmente su quella delle società di capitali e le lacune della disciplina codicistica sulle società cooperative è colmata appunto ricorrendo all’applicazione della disciplina della società per azioni. Come le società di capitali le società cooperative acquistano personalità giuridica e hanno una denominazione sociale che deve

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contenere l’indicazione che si tratta di una società cooperativa. Precedentemente il codice prevedeva le cooperative a responsabilità limitata e le cooperative a responsabilità illimitata ma attualmente in tutte le società cooperative per le obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio sociale. Abbiamo detto che la disciplina prevista per le società cooperativa viene integrata dalla disciplina prevista dalle società per azioni ma lo statuto delle società cooperative più piccole può prevedere che possano trovare applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni in tema di società a responsabilità limitata. Si distinguono quindi cooperative per azioni e cooperative a responsabilità limitata dove la partecipazione si esprime per quote. Possono esistere inoltre come abbiamo detto cooperative a mutualità prevalente alle quali sono circoscritte le agevolazioni fiscali previste dalla legge per le quali l’iscrizione nell’apposito albo è requisito necessario per l’applicazione della relativa disciplina. La qualifica di cooperative a mutualità prevalente è riservata a quelle cooperative che svolgono la propria attività prevalentemente a favore dei soci , a quelle che si avvalgono prevalentemente del lavoro dei soci e a quelle che impiegano prevalentemente apporti di beni e servizi dei soci. Inoltre lo statuto delle cooperative a mutualità prevalente deve contenere clausole che prevedono limiti ala distribuzione dei dividenti, delle riserve e l’obbligo, in caso di scioglimento della società, di devolvere il patrimonio, dedotti i conferimenti e i dividendi maturati, ad attività di pubblica utilità. Il mancato rispetto, per due esercizi consecutivi, delle condizioni di prevalenza o la modificazione delle clausole suddette comporta la perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente e la società è tenuta a variare la sezione di iscrizione nel registro delle società cooperative e a segnalarla all’amministrazione finanziaria pena la sanzione amministrativa della sospensione dell’attività. La cooperativa a mutualità prevalente non può tramutarsi né in società lucrativa né in consorzio, possibilità che è invece consentita alle cooperative a mutualità non prevalente purchè siano state sottoposte a revisione nell’anno precedente. Esse sono però tenute in tal caso a devolvere il valore effettivo del patrimonio secondo le modalità previste per lo scioglimento delle cooperative a mutualità prevalente.

291) Caratteri differenziali rispetto alle società di capitali: a) la variabilità del capitale sociale – Rispetto alle società di capitali le società cooperative si distinguono per la variabilità del capitale che è loro caratteristica e per l’importanza che assume nell’organizzazione la persona del socio anche quando la partecipazione sociale è rappresentata da azioni. In conseguenza della variabilità del capitale non si applicano alle società cooperative le norme che impongono la formazione di un capitale minimo per la costituzione e l’esistenza della società Infatti nelle società cooperative il capitale non è determinato in un ammontare prestabilito ma dipende dal numero e dalla entità della partecipazione dei soci. Essendo il capitale variabile non è necessario che il suo aumento richieda una modificazione statutaria (es. aumento di capitale per ammissione di nuovi soci). La legge sopperisce alla mancanza di un capitale prestabilito richiedendo un numero minimo di soci e un ammontare minimo della partecipazione. Per quanto riguarda il primo aspetto il numero di soci della cooperativa non può essere inferiore a nove e nel caso esso scendesse sotto tale limite deve essere reintegrato al massimo in un anno, trascorso il quale la società si scioglie e deve essere posta in liquidazione. Se si adotta la disciplina della società a responsabilità limitata il numero minimo è di tre soci purchè si tratti di persone fisiche (o per le cooperative agricole, di società semplici). La legge rimanda poi alle leggi speciali per la fissazione del numero di soci per particolari tipi di cooperative (es. per le cooperative di consumo sono richiesti minimo 50 soci e per le banche di credito cooperativo minimo 200). Per il secondo aspetto si richiede che il valore nominale delle quote o delle azioni delle società cooperative non può essere inferiore a 25 euro e che quello delle azioni non può essere superiore a cinquecento euro. A garanzia della integrità del capitale la legge stabilisce inoltre che almeno il 30 per cento degli utili annuali sia destinata a riserva legale, ammette che lo statuto possa prevedere riserve indivisibili (che cioè non possono essere distribuite tra i soci nemmeno in caso di scioglimento della società) e subordina la distribuzione degli utili, l’acquisto di azioni proprie e la ripartizione delle riserve divisibili al fatto che il rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento sia superiore ad un quarto.

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292) continua – b) la rilevanza della persona del socio – Per quanto riguarda la rilevanza della persona del socio essa incide sotto vari aspetti. . In primo luogo la partecipazione alla cooperativa presuppone il possesso di determinati requisiti soggettivi, diversi a seconda del diverso oggetto della società e che consistono dell’appartenenza alla categoria delle persone direttamente interessate all’attività sociale (es. per le cooperative di consumo i soci devono appartenere alla categoria dei consumatori, per le cooperative di lavoro devono esercitare il mestiere che forma oggetto della cooperativa). La legge lascia allo statuto il compito di fissare i requisiti di ammissione dei nuovi soci stabilendo che non possono partecipare alla società coloro che esercitano in proprio imprese in concorrenza con la cooperativa. Ne consegue che l’ingresso di un nuovo socio si attua dopo la verifica, da parte degli amministratori, del possesso dei requisiti richiesti. Gli amministratori sono quindi chiamati a deliberare sull’ingresso di nuovi soci e sulla liquidazione della quota o delle azioni in caso di esclusione e recesso. In secondo luogo la partecipazione del socio persona fisica non può superare il massimo di 100,000 euro, e tale limite non si applica (oltre che ai soci non persone fisiche), a fronte di conferimenti in natura o crediti (che non vengono computati ai fini del relativo calcolo) e rispetto alle quote o azioni da assegnare allo scopo di ripartire le riserve disponibili o i ristorni. Dobbiamo tuttavia segnalare che i poteri sociali sono attribuiti al socio cooperatore in quanto tale e prescindono quindi dall’ammontare della partecipazione al capitale. Infine la morte del socio comporta la liquidazione della quota o il rimborso delle azioni agli eredi sulla base del bilancio dell’esercizio in corso (a meno che l’atto costitutivo non preveda che gli eredi in possesso dei requisiti subentrino) La società ha facoltà in caso di mancato adempimento all’obbligo del conferimento e in altri casi previsti di escludere il socio e l’esclusione determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti. Vediamo quindi come la società cooperativa costituisca una categoria a parte caratterizzata dalla combinazione di elementi personalistici e capitalistici.

293) Gli strumenti finanziari – I soci finanziatori - La vigente disciplina ha esteso alle cooperative la possibilità di emettere strumenti finanziari, forniti di diritti amministrativi o solo patrimoniali a patto che l’atto costitutivo preveda tale possibilità e determini il contenuto di tali diritti e le condizioni cui è sottoposto il loro trasferimento. Mentre nelle società per azioni i sottoscrittori di strumenti finanziari assumono la posizione di terzi e non di soci, nelle società cooperative ciò avviene solo per i possessori di strumenti finanziari privi di diritti amministrativi in quanto al contrario i possessori di strumenti forniti di diritti amministrativi (in particolare il diritto di voto) possono considerarsi veri e propri soci. La legge per indicare tale categoria usa il termine di socio finanziatore che si contrappone a quella dei soci cooperatori, che invece sono in possesso di quote o azioni. Per i soci finanziatori non operano né i limiti né i requisiti richiesti per i soci cooperatori e inoltre il loro diritto di voto è invece sottoposto a limitazioni in quanto non può essere loro riconosciuto più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti o rappresentati nell’assemblea generale. Inoltre i soci finanziatori non possono eleggere più di un terzo dei componenti dell’organo di amministrazione e di controllo, I soci finanziatori inoltre possono essere presenti solo nelle cooperative cui si applicano le norme delle società per azioni che sono le uniche che possono emettere strumenti finanziari dotati di diritto di voto, Le cooperative soggette alla disciplina delle società a responsabilità limitata possono invece emettere solo titoli di debito privi dei diritti di amministrazione che possono essere sottoscritti solo da investitori istituzionale analogamente a quanto abbiamo visto per i titoli di debito delle società a responsabilità limitata. La legge prevede poi per i possessori di strumenti finanziari privi del diritto di voto assemblee speciali e un rappresentante comune.

294) Costituzione della società – Il procedimento della costituzione delle cooperative è simile a quello delle società per azioni prevedendo la stipula dell’atto costitutivo, il deposito dell’atto e la conseguente iscrizione della società nel registro delle imprese. L’atto costitutivo deve contenere, oltre le informazioni previste per le società per azioni, anche le seguenti informazioni: a) indicazione dell’oggetto sociale in relazione ai requisiti richiesti per l’ammissione dei soci, le regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica e l’eventuale previsione che essa possa essere esercitata anche nei confronti dei terzi. In mancanza di ciò la società può avere rapporti solo con i soci. B) i requisiti richiesti per l’ammissione dei soci e le condizioni per il recesso e l’esclusione c) le regole per la

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ripartizione degli utili e dei ristorni d) la forma di convocazione dell’assemblea se si intende di derogare alla legge.

295) Organizzazione giuridica della società - Anche l’organizzazione giuridica è ricalcata su quella della società per azioni a meno che l’atto costitutivo non preveda l’applicazione delle norme delle società a responsabilità limitata. Organi della cooperativa sono dunque l’assemblea, gli amministratori e il collegio sindacale ( o i corrispondenti organi a seconda del sistema amministrativo adottato) e le norme sulla loro nomina e sul loro regolamento sono quelle applicabili alle società per azioni. Per quanto riguarda il voto nelle assemblee la regola generale è quella di “una testa un voto” che prescinde dalla misura della partecipazione e tale regola non può essere derogata per i soci cooperatori ma solo dove la partecipazione è caratterizzata da ulteriori finalità. Così ad esempio i soci cooperatori persone giuridiche possono avere più voti in relazione alla loro partecipazione con un massimo di cinque ed è prevista la categoria dei soci sovventori a cui i voti sono attribuiti in base alla partecipazione ma non possono comunque superare un terzo dei voti spettanti a tutti i soci. Ne consegue che le maggioranze (determinate dall’atto costitutivo) si calcolano in base al numero dei voti spettanti ai soci e non sul capitale. Il voto deve essere esercitato personalmente (anche per corrispondenza o con mezzi telematici) o attraverso un altro socio (che non può rappresentare nell’assemblea più di dieci soci) mentre solo il socio imprenditore individuale può farsi rappresentare anche da un non socio purchè si tratti di un familiare che collabora all’impresa. L’atto costitutivo può anche prevedere (tranne che nel caso di cooperative con azioni quotate) la riunione di assemblee separate (che è obbligatoria per le cooperative che superano 3.000 soci) che deliberano sulle materie poste all’ordine del giorno dell’assemblea generale ed inviano delegati ad essa. Tali delegati partecipano all’assemblea generale in modo da assicurare la proporzionale rappresentanza delle minoranze espresse nelle assemblee separate. Dovendo le assemblee separate deliberare sulle stesse materie che formano l’ordine del giorno dell’assemblea generale l’ordine del giorno delle due assemblee deve essere uguale. Ne deriva anche che le deliberazioni delle assemblee separate essendo solo dei semplici atti preparatori alla assemblea generale non possono essere impugnate autonomamente e gli eventuali loro vizi potranno costituire causa di invalidità della deliberazione dell’assemblea generale solo se i voti espressi dal delegato nominato in base ad una deliberazione viziata siano stati necessari per la formazione della maggioranza. In tal caso sono legittimati all’impugnazione i soci delle assemblee separate. La nomina dei primi amministratori è contenuta nell’atto costitutivo mentre quelli successivi sono nominati dall’assemblea tenendo conto che la maggioranza di essi deve essere scelta trai i soci cooperatori. Anche l’organo di controllo è nominato dai soci. Tale organo è necessario, in caso di cooperative soggette alla disciplina della società a responsabilità limitata, solo in caso di emissione di titoli di debito La disciplina vigente ha accentuato gli strumenti di controllo interni alla società attribuendo ai soci che rappresentano un decimo del numero complessivo (un ventesimo per le cooperative con più di tremila soci) il potere di esaminare oltre al libro dei soci, il libro delle deliberazioni delle assemblee, del consiglio di amministrazione e dell’eventuale comitato esecutivo.. A tali soci la legge attribuisce anche il potere di proporre al tribunale denuncia per gravi irregolarità. Le società cooperative sono espressamente sottoposte al controllo giudiziario e pertanto l’eventuale denuncia al tribunale deve essere notificata anche all’autorità di vigilanza. Lo statuto può prevedere un ulteriore organo, il collegio dei probviri che ha il compito della risoluzione delle controversie tra società e soci o tra soci attinenti al rapporto sociale. Al consiglio dei probviri è demandato il riesame dei provvedimenti adottati dagli altri organi sociali per cui i provvedimenti adottati dall’assemblea o dal consiglio di amministrazione diventano definitivi solo quando non sia richiesto l’intervento dei probviri o dopo la loro pronuncia.

296) Variazioni nelle persone dei soci - Le variazioni delle persone dei soci (dovute all’ingresso di nuovi soci, all’uscita di soci o alla sostituzione di una persona all’altra a seguito della cessione della quota o delle azioni) data la variabilità del capitale sociale non comportano in via di principio modificazioni dell’atto costitutivo. Come abbiamo visto l’ingresso e l’uscita di un socio (tranne che nel caso di morte) non si effettuano solo tramite l’acquisto o la vendita della quota ma è necessario che il consiglio di amministrazione deliberi in tal senso. Gli amministratori pertanto devono autorizzare il

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trasferimento o pronunciarsi sull’ammissione o deliberare sul recesso o l’esclusione verificandone i presupposti (a meno che l’atto costitutivo non attribuisca tale potere all’assemblea). A fronte della deliberazione del consiglio di amministrazione è permessa l’opposizione al tribunale. Se l’atto costitutivo non prevede la cessione delle quote o delle azioni allora deve essere riconosciuto al socio il diritto di recesso che però non può essere esercitato se non sono trascorsi almeno due anni dall’ingresso nella società. Non è ammessa finchè dura la società l’esecuzione sulle azioni o sulla quota del socio da parte dei creditori particolari di esso. L’uscita del socio può verificarsi, oltre che nel caso di morte, anche per recesso o esclusione. Il recesso è consentito qualora non esistano più le condizioni soggettive che hanno determinato la partecipazione.. L’esclusione del socio si determina per le cause previste dalla legge o dall’atto costitutivo e anche per inadempimento dell’obbligo di conferimento o per perdita dei requisiti richiesti per la partecipazione alla società o per sopravenutà incapacità o fallimento del socio. L’uscita del socio impone la liquidazione della sua quota sulla base del bilancio dell’esercizio in corso e secondo i criteri stabiliti nell’atto costitutivo; la legge prevede, salva diversa disposizione dello statuto, il rimborso del sovrapprezzo versato al momento della costituzione qualora esso sussista nel patrimonio della società. Il pagamento deve avvenire entro 180 giorni dall’approvazione del bilancio. Nel termine di un anno il socio uscito e gli eredi restano responsabili per il pagamento dei conferimenti non pagati. Se entro un anno avviene l’insolvenza della società essi restano obbligati nei limiti di quanto ricevuto per la liquidazione della quota o per il rimborso delle azioni. La stessa responsabilità grava sul cedente in caso di cessione della quota o delle azioni.

297) Modificazioni dell’atto costitutivo - Le modificazioni dell’atto costitutivo delle società cooperative sono soggette a iscrizione nel registro delle imprese e si realizzano in base alle norme previste per le società per azioni ( o delle società a responsabilità limitata). Occorre ribadire però che l’ingresso di nuovi soci pur comportando un aumento di capitale non comporta una modifica dell’atto costitutivo. La cooperativa può tuttavia deliberare aumenti di capitale sociale con modifica dell’atto costitutivo nel qual caso l’assemblea può autorizzare l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione permettendo così l’ingresso di nuovi soci. Inoltre alcune modifiche dell’atto costitutivo come ad es. la modifica dell’oggetto sociale assumono un rilievo diverso nelle società cooperative rispetto alle società per azioni in quanto mentre nelle società per azioni la modifica dell’oggetto sociale può verificarsi senza che venga meno l’interesse del socio alla partecipazione ciò nella società cooperativa è difficile se non impossibile. Per tale motivo alcuni autori hanno ritenuto la necessità dell’unanimità dei consensi per le deliberazioni relative alla modifica dell’oggetto sociale ma la legge stabilisce invece che tali modifiche possono essere adottate con la maggioranza fatto salvo il diritto di recesso per i soci dissenzienti.

298) Scioglimento della società - La società cooperativa si scioglie per le stesse cause previste per le società di capitali ma può verificarsi anche per riduzione del numero dei soci al di sotto del minimo o per provvedimento dell’autorità di vigilanza.

299) Vigilanza e controlli sulle cooperative - Le società cooperative sono soggette a particolari controlli preventivi e successivi a cura (tranne che per le banche e le assicurazioni) del Ministero delle attività produttive. La vigilanza si esercita tramite le revisioni cooperative (a cadenza biennale che mirano ad accertare la natura mutualistica dell’ente) e le ispezioni straordinarie (che vengono eseguite a campione per accertare la regolarità di funzionamento amministrativo e contabile e la sussistenza dei requisiti richiesti per le agevolazioni fiscali). In caso di irregolare funzionamento l’autorità di vigilanza può nominare un commissario dotato dei poteri dell’assemblea. La nomina di un commissario rende improcedibile l’eventuale denuncia al tribunale per gli stessi fatti così come la nomina di un ispettore da parte del tribunale impone la sospensione del procedimento iniziato per gli stessi motivi da parte dell’autorità di vigilanza-. Nel caso in cui la cooperativa non persegua lo scopo mutualistico, sia inattiva o non sia in condizione di realizzare gli scopi sociali può essere disposto lo scioglimento di autorità e la liquidazione coatta della società. Le procedure di liquidazione sono simili a quelle dettate dalla legge fallimentare.

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2) Le società mutue di assicurazione

300) – 301) – 302) 303) Caratteri essenziali della società mutua di assicurazione – Il codice civile dedica tre articoli alle mutue assicuratrici o società di mutua assicurazione. La mutualità in campo assicurativo può quindi attuarsi in due forme: attraverso cooperative di assicurazione o attraverso mutue assicuratrici Queste ultime hanno una caratteristica particolare che ne sottolinea il carattere più marcatamente mutualistico in quanto in esse non si può acquistare la qualità di socio se non assicurandosi presso la società e si perde la qualità di socio con l’estinzione dell’assicurazione. Nella sostanze le mutue assicuratrici tendono allo stesso scopo economico di tutte le cooperative, quello di consentire ai soci un risparmio attraverso la eliminazione dell’intermediario speculatore. Il codice stabilisce un nucleo di tre norme l’art. 2546 ( le mutue assicuratrici sono caratterizzate dalla responsabilità limitata), l’art. 2546 comma due (i soci sono tenuti al pagamento di contributi fissi o variabili determinati dall’atto costitutivo), l’art. 2458 (l’atto costitutivo può prevedere soci sovventori) e richiama per il resto la disciplina generale delle cooperative a responsabilità limitata. La legge ammette dunque anche la categoria dei soci sovventori che non sono legati ala società da rapporti di assicurazione ma richiede che ciò avvenga solo per costituire fondi di garanzia per il pagamento dell’indennità e richiede che questi soci abbiano nell’assemblea una influenza minore rispetto a quella dei soci assicurati. Infatti i soci sovventori possono disporre di un massimo di cinque voti e pur potendo essere nominati amministratori non possono essere., nel consiglio di amministrazione in maggioranza rispetto ai soci assicurati. Nelle mutue assicuratrici si ha la costituzione di un fondo sociale mediante conferimenti determinati fin dall’inizio o variabili in quanto presupposto di questo tipo di società è la costituzione di un patrimonio sociale dal quale siano garantite le obbligazioni della società. La mutua assicuratrice ha in comune con le altre società lo scopo lucrativo ossia la divisione dei guadagni in quanto solo attraverso la partecipazione agli utili si realizza quel risparmio di spese che costituisce lo scopo dell’adesione alla società.

Capitolo V – Trasformazione, fusione e scissione

304) Nozione e tipi di trasformazione, fusione e scissione - La trasformazione è il passaggio della società da un tipo all’altro di organizzazione sociale, la fusione è la riunione in una unica società di più organizzazioni autonome e la scissione è il frazionamento della società in più organizzazioni autonome. I tre fenomeni hanno in comune il fatto che le modificazioni si attuano in base ad un negozio corporativo che opera sulla organizzazione sociale e solo di riflesso si riversa sulla posizione dei soci e sul patrimonio della società. Altro fattore in comune è il fatto che tali modificazioni consentono un mutamento della società senza soluzione di continuità evitando le conseguenze che si avrebbero se si dovesse procedere alla eliminazione della società e alla successiva ricostituzione. La trasformazione riguarda una sola società e incide riorganizzandola su nuove basi (quelle tipiche del tipo di società prescelto) ed è l’effetto di una specifica decisione dei soci che comporta una modificazione dell’atto costitutivo. Si può avere accanto alla trasformazione omogenea che comporta il passaggio da un tipo all’altro di società lucrativa, la trasformazione eterogenea che comporta il passaggio da una società di capitali o di persone ad una forma non societaria dell’esercizio dell’impresa o ad una società cooperativa e viceversa. La fusione può attuarsi o tramite la riunione di più società in una società nuova (fusione propriamente detta) o in una società preesistente che continua a sussistere (fusione per incorporazione). In questo caso la decisione dei soci delle singole società è necessaria ma non sufficiente essendo richiesto anche un atto intersoggettivo, l’atto di fusione appunto, nel quale le decisioni dei soci delle società interessate trovano esecuzione. La scissione riguarda anch’essa più società e può avvenire con l’assegnazione da parte di una società ad altre società di tutto il proprio patrimonio (scissione totale) o con l’assegnazione di parte del proprio patrimonio ad altre società (scissione parziale o scorporazione). La legge prevede, per la trasformazione in società di capitali, di fusione o scissione di società di persone il consenso della maggioranza dei soci (prevedendo il diritto di recesso per i soci che non hanno concorso alla decisione). Per le relative decisioni da parte delle società di capitali invece sono richieste le maggioranze previste (dalla legge o dallo statuto) per le modificazioni dell’atto costitutivo e dello

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statuto (tranne che per la trasformazione eterogenea per la quale è richiesta il voto favorevole dei due terzi dei soci). Per la trasformazione in società di capitali è invece richiesta : a) in caso di consorzio la maggioranza assoluta dei consorziati b) il consenso unanime nel caso di contitolari di azienda c) tre quarti dei voti degli associati per l’associazione. Per la trasformazione eterogenea di società cooperativa è invece richiesto il voto favorevole di almeno la metà dei soci.

305) La trasformazione – Ambito di applicazione dell’istituto – Abbiamo visto che la legge permette anche la trasformazione eterogenea e cioè il passaggio da società di capitali in consorzio, società consortile, comunione di azienda e fondazione e viceversa, o il passaggio da società di capitali in associazioni non riconosciute e da associazioni riconosciute in società di capitali. Alla disciplina della trasformazione eterogenea è sottoposta inoltre la trasformazione da società di capitali in società cooperativa e la trasformazione della società cooperativa i società lucrativa (ammessa solo per le cooperative non a mutualità prevalente) Il fondamento della trasformazione eterogenea pertanto non può essere ritrovato nella permanenza (sia pure con una diversa organizzazione) della causa del negozio che ha dato vita alla società, visto che è permesso la sostituzione dello scopo lucrativo con quello mutualistico ma deve invece essere ritrovato nella continuità dell’impresa esercitata collettivamente dai soci. E’ per tale motivo che la trasformazione può avvenire sulla base di una decisione collettiva dei soci e non è invece necessario il consenso individuale del singolo (fermo restando il diritto di recesso). Il fatto che la legge ammetta il passaggio a società lucrativa solo per le società cooperativa non a mutualità prevalente si spiega con la necessità di evitare che una società adotti la forma a mutualità prevalente per godere delle relative agevolazioni fiscali per poi, dopo averne approfittato, abbandonare la relativa forma trasformandosi in società lucrativa. Inoltre la legge ammette il passaggio a società lucrativa solo per le cooperative che siano state sottoposte a revisione nell’anno precedente. Il passaggio comporta la devoluzione a fondi mutualistici del patrimonio, dedotti il capitale versato e i dividendi non distribuiti e tale valore deve essere attestato da una relazione giurata da allegare alla proposta di deliberazione.

306) continua – la disciplina - Il codice prevede a fissare una disciplina unitaria, applicabile a tutte le forme di trasformazione, relativamente alle forme e alla pubblicità previste per la decisione con la quale i soci pervengono alla trasformazione, ossia l’atto di trasformazione. La pubblicità riveste per l’atto di trasformazione una efficacia sia costitutiva che sanante. Infatti non solo l’atto di trasformazione diviene efficace solo quando siano stati compiuti tutti gli atti previsti per la pubblicità ma da tale momento viene meno la possibilità di pronunciare la sua invalidità fermo restando l’eventuale diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla trasformazione. La trasformazione eterogenea invece ha effetto solo dopo 60 giorni dall’attuazione della pubblicità (a meno che non ci sia il consenso dei creditori) in quanto in tale periodo i creditori possono fare opposizione alla trasformazione impedendo al relativo atto di diventare efficace. La trasformazione può comportare il passaggio da un tipo di società dove i soci sono illimitatamente responsabili ad un altro dove per le obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio della società (nel caso di passaggio da società di persone a società di capitali) o viceversa (nel caso di passaggio da società di capitali a società di persone). Il codice prevede nel primo caso che la trasformazione non comporta l’eliminazione della responsabilità personale dei soci per le obbligazioni sorte precedentemente alla attuazione della pubblicità della trasformazione. Pertanto la trasformazione ha effetto ex nunc e non modifica gli effetti che si sono già prodotti prima del suo intervento. Per quanto riguarda il secondo caso il codice richiede il consenso dei soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata , la quale peraltro si estende anche alle obbligazioni sociali sorte prima della trasformazione stessa. Nel caso in cui la trasformazione comporti acquisto della personalità giuridica (come nel caso di trasformazione da società di persone a società di capital) il codice richiede che la deliberazione di trasformazione risulti da atto pubblico e contenga le informazioni richieste dalla legge per la costituzione di società di capitali. Ma anche in questo caso la trasformazione comporta comunque una continuazione della società originaria anche se il suo ordinamento giuridico viene modificato. Modificazione dalla quale dipende la diversa posizione che il patrimonio sociale assume rispetto all’organizzazione sociale. Il fatto che la società rimane quella originaria comporta che la posizione del socio nei confronti della

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società e nei confronti degli altri soci non può essere modificata e quindi è sulla base della posizione precedente del socio che deve configurarsi la posizione successiva e quindi i diritti e doveri a lui spettanti nella società trasformata, fermi restando gli adattamenti resi necessari dalla disciplina del nuovo tipo societario adottata.

307) Caratteri e struttura della fusione - La fusione si costituisce attraverso due momenti essenziali: a) la decisione delle singole società che partecipano alla fusione b) l’atto di fusione tra le diverse società. Per configurarsi la fusione quindi è necessaria non solo una la decisione dei soci di ogni singola società ma anche un atto intersoggettivo, l’atto di fusione appunto, con il quale si realizza tra le società interessate all’operazione il nuovo ordinamento, diretto alla creazione di una organizzazione giuridica unitaria nel quale confluiscono le varie organizzazioni preesistenti e quindi i loro soci e i loro patrimoni. Per tale motivo la società che risulta dalla fusione (nel caso di fusione propriamente detta) o la società incorporante proseguono in tutti i rapporti anche processuali, così come avviene nella trasformazione solo che a differenza di questa non conservano ma assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione. Anche in questo caso viene esclusa ogni soluzione di continuità. La fusione non può essere attuata dalle società in liquidazione che abbiano cominciato la distribuzione dell’attivo. La fusione si distingue dalla concentrazione perché si realizza attraverso un negozio corporativo che riguarda le organizzazioni sociali e solo indirettamente si riflette sui patrimoni e sulle posizioni dei soci. La concentrazione nasce invece da un atto di disposizione del patrimonio da parte di un soggetto a favore di un altro soggetto e questo spiega perché con essa si realizza un fenomeno di successione a titolo particolare e non universale come avviene per la fusione.

308) Il procedimento di fusione: il progetto e la decisione di fusione - La legge regola il procedimento di fusione con una disciplina molto articolata attuata anche in esecuzione di direttive comunitarie. L’atto iniziale del procedimento è la redazione da parte degli amministratori delle società partecipanti alla fusione di un progetto di fusione che deve contenere, oltre agli altri elementi richiesti dalla legge, la determinazione del rapporto di cambio delle azioni o quote che serve a determinare la misura della partecipazione dei soci delle società incorporate in quella incorporante o risultante dalla fusione (tale rapporto non è necessario in caso di incorporazione di società interamente posseduta dalla incorporante). Il progetto deve essere depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese ed è necessario che alcuni esperti scelti tra i revisori legali dei conti (o dal tribunale in caso di società azionaria) esprimano il loro parere sulla adeguatezza del rapporto di cambio. Tale valutazione degli esperti risponde però solo ad una esigenza informativa dei soci e quindi è possibile che i soci possano decidere comunque la fusione anche in presenza di un parere negativo e inoltre essa non è necessaria in caso di consenso di tutti i soci. Gli amministratori devono anche redigere una situazione patrimoniale della società ed una relazione illustrativa del progetto di fusione. Tutta questa documentazione, unitamente ai bilanci degli ultimi tre anni, deve essere messa a disposizione dei soci presso la sede della società entro i trenta giorni che precedono l’assemblea. . La fusione deve poi essere deliberata da tutte le società che vi partecipano mediante l’approvazione del relativo progetto. E’ evidente quindi l’importanza del ruolo rivestito nella fusione degli amministratori sia perché sono essi a redigere il progetto di fusione, sia perché ancora prima della pubblicazione del progetto di fusione (e quindi quando l’assemblea non si è ancora pronunciata) essi devono pubblicare un avviso per dare facoltà ai possessori di eventuali obbligazioni convertibili di esercitare il diritto di conversione anticipata. In questo caso quindi tale operazione si svolge sulla base di una decisione dei soli amministratori e quindi a prescindere da ogni valutazione dell’assemblea che potrebbe essere anche negativa. Inoltre gli amministratori possono avere nella fusione un ruolo ancora più decisivo nel caso di incorporazione di società posseduta almeno per il 90 per cento dalla incorporante in quanto in tal caso l’atto costitutivo può affidare agli amministratori della incorporante la competenza ad adottare la deliberazione di fusione con atto pubblico a prescindere quindi da ogni intervento da parte dei soci. In tal caso però la legge riconosce ai soci dell’incorporante che posseggono almeno il cinque per cento del capitale sociale il potere di chiedere che la decisione della fusione venga adottata dai soci. Una volta adottate le decisioni di fusione e il loro deposito nel registro delle imprese si apre una fase relativa alla tutela dei creditori sociali La legge consente infatti ad essi il diritto di

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opposizione nel caso in cui la decisione di fusione risulti pregiudizievole per i loro diritti stabilendo che la fusione non può essere attuata se non sono decorsi 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, e entro questo termine i creditori possono effettuare opposizione. La fusione può però avere effetto immediato qualora ci sia il consenso dei creditori o quando siano depositate presso una banca le somme spettanti a coloro che non hanno acconsentito o quando una società di revisione abbia redatto una relazione in base alla quale si evince che la situazione patrimoniale delle società partecipanti non richiede specifiche garanzie a tutela dei creditori legittimati a fare opposizione. Anche il tribunale può disporre che la fusione abbia efficacia immediata qualora ritenga infondato il pregiudizio per i creditori o previa prestazione di idonea garanzia da parte delle società. La legge però attribuisce il potere di opposizione solo ai creditori anteriori alla attuazione della pubblicità della fusione sulla base della considerazione che i creditori posteriori, essendo a conoscenza del progetto di fusione, hanno sicuramente valutato le conseguenze di una concessione di credito alla società. Il potere di opposizione spetta quindi a tutti i creditori anteriori e quindi anche agli obbligazionisti delle società partecipanti salvo che la fusione sia stata approvata dalla loro assemblea particolare (e ai possessori di obbligazioni convertibili viene concesso come si è detto il diritto di conversione).

309) continua – l’atto di fusione - Il procedimento di fusione si chiude con la stipulazione dell’atto di fusione che deve avere la forma di atto pubblico e deve essere depositato (a cura degli amministratori o del notaio) presso il registro delle imprese del luogo dove ha sede la società incorporante o la società che risulta dalla fusione. L’atto di fusione ha effetto estintivo e costitutivo in quanto in base ad esso le società che si fondono cessano di esistere e al tempo stesso sorge una nuova società o si modifica l’organizzazione della società incorporante che assorbe in se le organizzazioni delle società incorporate. In base all’atto di fusione i soci delle società estinte diventano soci della società nuova o della società incorporante e ad essi vengono assegnate partecipazioni in base al rapporto di cambio indicato nel progetto di fusione, e il patrimonio delle società estinte forma il patrimonio della nuova società o viene a far parte del patrimonio della società incorporante. Gli effetti si producono, trattandosi di pubblicità costitutiva, al momento del completamento degli adempimenti pubblicitari previsti anche se è ammessa una limitata retroattività (e limitata ad alcuni aspetti) degli effetti della fusione. La pubblicità ha anche efficacia sanante in quanto la legge esclude che la invalidità dell’atto di fusione possa essere dichiarata dopo la sua iscrizione nel registro delle imprese fermi restando gli eventuali diritti al risarcimento dei danni derivanti dalla fusione stessa.

310) Caratteri e struttura della scissione – Anche per la scissione la legge prevede una disciplina particolare e articolata, modellata anche in esecuzione di direttive comunitarie. La legge prevede sia l’ipotesi della scissione totale che quella della scissione parziale (o scorporazione) che possono operare entrambe sia nella forma della scissione in senso stretto che in quella di scissione per incorporazione. Con la scissione totale l’intero patrimonio di una società viene assegnato ad una o più altre società, preesistenti o di nuova costituzione mediante l’assegnazione delle relative partecipazioni ai soci della prima,. Con la scissione parziale (o scorporazione) la società può assegnare ad un’altra o ad altre società, preesistenti o di nuova costituzione, parte del suo patrimonio assegnando le relative partecipazione ai propri soci. Vediamo quindi come nel caso di scissione in senso stretto (ossia quando le società beneficiarie sono di nuova costituzione) una società mediante un atto unilaterale può costituire un’altra società, ipotesi che comunque viene ammessa anche in via generale (come abbiamo visto) per la costituzione di una società per azioni o di una società a responsabilità limitata. Tuttavia anche se l’operazione ha una struttura unilaterale essa ha in comune con l’altra ipotesi di scissione il fatto di riflettersi sulla posizione dei soci mediante l’attribuzione ad essi delle partecipazioni della società beneficiaria e per tale motivo mantiene un significato pluripersonale.

311) Il procedimento di scissione - La disciplina del procedimento di scissione è in gran parte modellata su quella della fusione grazie ad una norma che contiene il rinvio a molte delle norme fissate per la fusione. Abbiamo quindi anche in questo caso l’esigenza del progetto di scissione, redatto secondo i criteri fissati per il progetto di fusione e anch’esso oggetto di controllo da parte di soggetti esterni. E’ previsto inoltre anche il meccanismo di tutela dei creditori basato sul loro diritto di

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opposizione. Anche la scissione è preclusa alle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo. Sono previste però alcune regole particolari riferite ai rapporti trai soci e ai rapporti con i creditori, soprattutto in considerazione del fatto che la scissione può non coinvolgere l’intero patrimonio sociale. Per quanto riguarda i soci i criteri di assegnazione delle partecipazioni nelle società beneficiarie possono essere basati su criteri diversi da quelli di proporzionalità ma viene riconosciuto ai soci che non hanno approvato la scissione il diritto di far acquistare le proprie partecipazioni ad un soggetto indicato nel progetto di scissione per un corrispettivo determinato sulla base dei criteri previsti per il recesso. Nel caso di scissione parziale inoltre può essere previsto, con il consenso di tutti i soci, che ad alcuni soci vengano assegnate partecipazioni non delle società beneficiarie ma solo della società scissa. Per quanto riguarda la tutela dei creditori fermo restando il riconoscimento ad essi di un diritto di opposizione la legge stabilisce la responsabilità solidale di tutte le società per i debiti della società scissa che non siano soddisfatti dalla società a carico della quale sono stati posti con l’atto di scissione.

CAPITOLO VI COLLEGAMENTI TRA SOCIETA’ E GRUPPI

312) Collegamenti tra società - La realtà socio economica attuale è caratterizzata da numerose forme di collegamento tra società di capitali le quali mirano in tal modo a rafforzare la loro capacità competitiva sul mercato, Tali collegamenti possono configurarsi tra società autonome tra di loro (partecipazioni rilevanti e società collegate) o possono realizzare un vero e proprio rapporto di dipendenza tra una società e un’altra o più altre società (società controllate). Tutti i collegamenti determinano il configurarsi di una posizione di potere di una società in un’altra o di una posizione di potere reciproco tra due società ma nella posizione di controllo tale posizione di potere è tale che la società controllante determina interamente la politica economica delle società controllate.

313) Le società collegate - Del fenomeno della partecipazione rilevante, quale situazione che impone obblighi di comunicazione alla società ed all’organo di vigilanza ci siamo occupati a proposito delle società quotate nei mercati regolamentati. Ci occupiamo ora invece del fenomeno delle società collegate, fenomeno che può attuarsi solo nei rapporti tra più società (e non è quindi utilizzabile nel caso di partecipazione da parte di una persona fisica come avviene nel caso di partecipazione rilevante) ed assume rilievo esclusivamente ai fini della disciplina del bilancio. Sono società collegate quelle sulle quali un’altra società esercita una influenza notevole. Secondo l’art. 2359 tale influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti o un decimo se la società ha azioni quotate i borsa. Nelle ipotesi di collegamento il legislatore tutela il diritto all’informazione degli azionisti e dei terzi attraverso una serie di prescrizioni da osservarsi nella formazione del bilancio di esercizio.

314) Le società controllate - Il controllo costituisce una particolare situazione per effetto della quale una società è potenzialmente in grado d improntare con la propria volontà l’attività economica di un’altra società. Questa situazione può verificarsi per cause diverse. In base all’art. 2359 cc una società esercita il controllo su un’altra quando: a) quando possiede un numero di azioni o quote tali da assicurare la maggioranza dei voti richiesti per le assemblee ordinarie tenute dalla società controllata (controllo azionario di diritto) b) quando detiene una partecipazione minoritaria ma tuttavia può far prevalere la sua volontà nell’assemblea ordinaria e quindi imprimere, attraverso la nomina di amministratori e sindaci, l’indirizzo amministrativo alla società (controllo azionario di fatto). Tale situazione si può verificare o perché la società controllata ha emesso azioni a voto limitato o senza diritto di voto come le azioni di risparmio sia perché essendo il capitale della società molto frazionato grazie al disinteresse dei piccoli azionisti è sufficiente una minoranza organizzata anche esigua per amministrare la società e dirigerne l’attività. C) quando in virtù di vincoli contrattuali può esercitare una influenza dominante nella vita della società controllata (controllo contrattuale). Tale situazione può verificarsi quando sulla base di rapporti contrattuali quali il finanziamento o l’affitto di azienda l’amministrazione della società è affidata al finanziatore o all’affittuario. Inoltre occorre tenere presente che una società può essere controllata indirettamente quando è sotto il controllo di una

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società controllata direttamente. Pertanto ai fini della individuazione di una situazione di controllo occorre tenere conto anche dei voti spettanti a società direttamente controllate o a società fiduciarie e non devono trascurarsi le conseguenze connesse ad eventuali partecipazioni a sindacati di voto. (controllo da sindacato)

315) Conseguenze della posizione di controllo - Il collegamento tra le società può essere unilaterale o reciproco a seconda che sia solo la controllante a partecipare al capitale della società controllata o che invece anche questa partecipi (sia pure con i limiti fissati dalla legge) al capitale della controllante. Nel primo caso si pongono problemi che riguardano esclusivamente la società controllata mentre nel secondo i problemi riguardano anche la società controllante. Per quanto riguarda questo secondo caso il legislatore, per evitare che gli amministratori della controllante si avvalgano delle azioni della società controllante in possesso della controllata per influenzare le deliberazioni dell’assemblea, ha posto il principio per cui la società controllata non può esercitare il diritto di voto nella assemblea della controllante. Per quanto riguarda il primo caso e quindi i problemi che si pongono in relazione alla società controllata il legislatore deve contemperare due diverse esigenze: da un lato il fatto che deve essere consentito alle società che fanno parte dello stesso gruppo il compimento degli atti necessari all’interesse del gruppo stesso e dall’altro il fatto di evitare che si approfitti della posizione di controllo per sacrificare l’interesse degli azionisti estranei al gruppo che, nell’ipotesi di controllo di fatto, possono essere addirittura la maggioranza. A tale scopo è posta sia la disciplina generale del conflitto di interessi che la disciplina dettata per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio circa le operazioni con parti correlate, tra le quali rientrano anche le operazioni poste in essere tra società appartenenti allo stesso gruppo. Per queste operazioni la disciplina prevede oltre a specifici obblighi di comunicazioni al mercato, un particolare ruolo attribuito agli amministratori indipendenti che devono esprimere per le operazioni più rilevanti un parere che può essere anche vincolante e che il consiglio di amministrazione di società quotate sottoposte a controllo da parte di altra società deve essere composto in maggioranza da amministratori indipendenti.

316) continua – la disciplina della attività di direzione e coordinamento di società- Inoltre l’art. 2497 cc fissa una disciplina generale applicabile in tutti i casi di esercizio da parte di una società di una attività di direzione e coordinamento di un’altra società, disciplina che si sovrappone e assorbe quella fissata in tema di conflitto di interessi. In primo luogo l’art. 2497 pone, a pena di invalidità, la necessità di motivazione delle decisioni della società soggetta al controllo che risultano influenzate dalla attività di direzione da parte della controllante. Su tali operazioni inoltre gli amministratori hanno l’obbligo di riferire con periodicità trimestrale all’organo di controllo. In secondo luogo l’art. 2497 detta una serie di disposizioni in materia di responsabilità nell’ipotesi in cui la società che esercita l’attività di direzione ponga in essere, nell’interesse proprio o altrui, comportamenti contrari alla corretta gestione imprenditoriale delle società ad essa sottoposte. In questo caso l’art. 2497 afferma la responsabilità della società che esercita l’attività di direzione nei confronti sia dei soci delle società controllate per il pregiudizio arrecato al valore della loro partecipazione che dei creditori delle stesse società per la lesione cagionata al patrimonio della società. Tale responsabilità è però esclusa qualora il pregiudizio sia venuto meno valutando non solo l’operazione messa in essere ma il risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento. In questo modo la legge non considera ai fini della responsabilità il singolo comportamento o la singola operazione ma il valore complessivo dell’attività di direzione e coordinamento. Per tale motivo, a differenza dalla disciplina dettata in tema di conflitto di interessi, la tutela offerta dall’art. 2497 non si pone in termini di invalidità dell’atto ma su un obbligo di risarcimento nei confronti dei soci e dei creditori ai quali è concesso di agire direttamente nei confronti della società che esercita l’attività di direzione e coordinamento e quindi nei confronti della controllante. L’art. 2497 inoltre prevede una responsabilità solidale con la società controllante sia di chi ha comunque preso parte al fatto lesivo che di chi ne ha tratto consapevolmente un beneficio, chiaramente nei limiti del vantaggio conseguito, e anche in questo caso comunque non è rilevante il danno derivante dalla singola operazione ma quello che deriva dall’attività di direzione complessivamente considerata. La tutela accordata dall’art. 2497 inoltre non si esaurisce nella previsione della responsabilità da esercizio scorretto dell’attività di direzione e coordinamento ma

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pone anche altri principi riguardo sia i soci che i creditori sociali. Per quanto riguarda i soci sono previste specifiche ipotesi di recesso,, ad esempio quando la società che esercita l’attività di direzione o coordinamento abbia cambiato il suo scopo sociale (a seguito di una trasformazione eterogenea) o abbia modificato il suo oggetto sociale in modo da alterare in modo sensibile le condizioni economiche e patrimoniali della società controllata . Per quanto riguarda invece i creditori l’art. 2497 prevede che qualora siano stati accordati finanziamenti alla società controllata dalla controllante in un momento in cui la società controllata era in una situazione finanziaria tale da rendere più ragionevole un conferimento, il loro rimborso è postergato alla soddisfazione degli altri creditori sociali e se avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento, deve essere restituito. La legge inoltre richiede specifici adempimenti pubblicitari volti a segnalare a tutto il mercato il fatto di essere soggetti ad una attività di direzione e coordinamento e quindi l’appartenenza ad uno stesso gruppo. Infatti a tale scopo la società deve indicare negli atti e nella corrispondenza la società che esercita nei suoi confronti l’attività di direzione e deve iscriversi in un apposita sezione del registro delle imprese .Inoltre la società soggetta al controllo deve esporre nella nota integrativa un prospetto riportante i dati essenziali dell’ultimo bilancio approvato dalla società che esercita l’attività di direzione in questione. Nelle nota integrativa deve essere indicato anche l’effetto che l’attività di direzione e coordinamento ha avuto sull’esercizio dell’impresa e sui suoi risultati.

317) Responsabilità per le obbligazioni delle singole società - Alcuni giuristi hanno sostenuto la responsabilità della società controllante per le obbligazioni sociali assunte dalle società controllate nell’esercizio della loro attività di impresa sulla base del concetto del cosiddetto imprenditore occulto, per cui imprenditore deve considerarsi la società controllante e su questa deve pertanto ricadere la responsabilità che la legge fa derivare dall’esercizio della attività di impresa. Tuttavia la dottrina e la giurisprudenza sono di parere opposto in quanto escludono, salvo casi eccezionali una responsabilità di questo tipo e del resto lo stesso legislatore non afferma la responsabilità ella società controllante per le obbligazioni delle società controllate. Infatti anche la tutela risarcitoria offerta dall’art. 2497 ai creditori sociali direttamente nei confronti della controllante presuppone che di tali obbligazioni risponda appunto solo la controllata e non la controllante. Un ulteriore dibattito è stato sollevato dalla interpretazione del decreto legislativo 270 del 1999 relativo alla amministrazione controllata delle imprese in stato di insolvenza, per il quale nei casi di direzione unitaria delle imprese de gruppo gli amministratori della società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite. E’ evidente la diversa impostazione di tale disposizione rispetto all’art. 2497 cc. Infatti quest’’ultimo consente ai soci e a i creditori della controllata prima ancora che alla controllata stessa di agire direttamente in primo luogo nei confronti della società controllante e solo eventualmente (e quindi solo se abbiano preso parte al fatto lesivo) ai suoi amministratori e a quelli della controllata. Il decreto legislativo n. 270 invece coinvolge invece direttamente gli amministratori della società controllante nella responsabilità degli amministratori della società controllata. Parte della dottrina ritiene che tale decreto non debba essere limitato alla sola ipotesi di amministrazione straordinaria ma possa avere una applicazione generale anche al di fuori di questa ipotesi. Tale tesi non è però da condividere in quanto si deve ritenere che l’art. 2497 debba applicarsi alle società non sottoposte a procedura concorsuale mentre il decreto legislativo n. 270 ha lo scopo di adattare la regola generale posta dall’art. 2497 ai problemi tipici delle procedure concorsuali.

318) Il gruppo di imprese - Il gruppo di società è la forma di organizzazione caratteristica delle grandi o medio grandi imprese del nostro tempo. Infatti quando l’impresa raggiunge consistenti dimensioni estendendo la sua azione su vasti mercati assume la configurazione di una pluralità di società operanti sotto la direzione unificante di una società capogruppo o holding. A ciascuna delle società che compongono il gruppo corrisponde un distinto settore di attività o una distinta fase del processo produttivo ma le azioni di ciascuna di queste società appartengono in tutto o in maggioranza ad un’altra società, la società holding, cui spettano pertanto la direzione e il coordinamento dell’intero gruppo. Il primo dei vantaggi che si conseguono deriva dalla distinta soggettività giuridica delle società operanti sotto il controllo della holding. In linea di principio infatti questa è terza rispetto ai rapporti

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giuridici posti in essere dalle società controllate per cui i loro creditori non hanno titolo per invocare la responsabilità patrimoniale della holding. La scomposizione dell’impresa in una pluralità di società raggiunge estremi limiti quando si diversificano, facendone oggetto di separate società, le due fondamentali funzioni imprenditoriali, l’attività di direzione da un lato e l’attività di produzione e scambio dall’altra. In questo caso la holding non svolge alcuna attività di produzione e scambio e si limita a dirigere le società del gruppo. Dei gruppi di società il codice civile si occupava prima della riforma del 2003 sotto un aspetto limitato in quanto considerava all’art. 2359 solo il rapporto di controllo azionario o contrattuale esistente tra società holding e società operative. La riforma ha invece dato rilievo con gli art. da 2497 a 2497 sexies, a quella attività di direzione e coordinamento di società cui il controllo è di solito preordinato e che lo fa presumere fino a prova contraria. Infatti l’art. 2497 sexies stabilisce che fino a prova contraria si deve presumere che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società tenuta al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359 codice civile (controllo interno di diritto e di fatto e controllo esterno di fatto come visto sopra). Secondo l’art. 2497 l’attività di direzione e coordinamento deve esercitarsi nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale realizzando un contemperamento equo tra gli interessi del gruppo e delle società che vi partecipano. In caso contrario la società capogruppo che in violazione di tali principi abbia perseguito un interesse proprio o altrui sarà direttamente responsabile nei confronti dei soci della società danneggiata per il pregiudizio arrecato al valore della loro partecipazione sociale e nei confronti dei creditori della stessa per la lesione arrecata al patrimonio della società. La lesione dei diritti dei soci e dei creditori della controllata è fonte di responsabilità aquiliana (extracontrattuale) della controllante solo se conseguenza alla cattiva gestione di questa. Trattandosi di responsabilità da fatto illecito incomberà sui danneggiati l’onere di provare la colpa della holding e il rapporto di causalità tra colpa e danno. Problemi particolari si pongono quando si determina una crisi di gruppo nel caso in cui la crisi coinvolga solo alcune imprese del gruppo. In questo caso sono possibili due vie: o attuare la disciplina del gruppo e quindi fa gravare la conseguenza della crisi su tutte le imprese del gruppo o tenere conto dell’autonomia giuridica delle varie imprese e quindi tenere distinte le imprese in crisi da quelle che non lo sono. E’ ovvio che se ci poniamo dal punto di vista dei creditori può sembrare assurdo coinvolgere nella crisi imprese che in crisi non sono ma dal punto di vista del gruppo può apparire giustificato attuare, pur in presenza della crisi, operazioni di riequilibrio necessarie in funzione della politica unitaria di gruppo anche a rischio di porre in crisi la singola impresa che in crisi non è. Inoltre se si muove dall’idea di unitarietà di gruppo e della necessità di una ristrutturazione di gruppo un coinvolgimento in questa attività anche delle imprese non in crisi appare inevitabile.

320) Il gruppo creditizio - Una particolare disciplina per il fenomeno di gruppo è prevista dal testo unico bancario per il gruppo creditizio. Infatti nell’ipotesi di situazione di crisi è posta una disciplina per cui se la crisi è circoscritta a singole società del gruppo ciascuna resta soggetta alla disciplina sua propria mentre nel caso in crisi sia la capogruppo la procedura di amministrazione straordinaria è estensibile alle società del gruppo per cui ne ricorrano i presupposti, mentre invece nel caso di crisi di una società del gruppo capace di alterare l’equilibrio del gruppo nel suo complesso è possibile sottoporre la capogruppo ad una procedura di amministrazione straordinaria. Ne consegue una fondamentale distinzione tra le situazioni di crisi che riguardano il gruppo in quanto tale e quelle che si esauriscono con riferimento alla singola società interessata.

321) Il bilancio consolidato di gruppo e i rapporti con società estere – Il fenomeno di gruppo comporta una duplicazione di valori in quanto lo stesso bene può essere valutato due volte, una volta nella sua effettività e un’altra volta attraverso la partecipazione sociale che economicamente lo rappresenta. Pertanto a garanzia dei terzi si crea la necessità di redigere il bilancio consolidato di gruppo e cioè di un bilancio in cui sia rappresentata la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’intero gruppo sulla base dei dati ricavati dai bilanci delle singole società. Il bilancio consolidato è soggetto alla disciplina posta dal decreto legislativo del 1991 che recepisce le direttive comunitarie in materia. La disciplina stabilisce innanzitutto i soggetti che sono tenuti alla redazione del bilancio consolidato (società di capitali, entri pubblici economici, mutue assicuratrici e società

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cooperative) e considera le sole società controllate tramite il possesso di partecipazioni escludendo così le ipotesi di controllo contrattuale. La legge stabilisce anche i criteri che il bilancio consolidato deve seguire che consistono nella ripresa integrale nel bilancio consolidato degli elementi del passivo e dell’attivo e del conto economico dei bilanci delle società incluse nel consolidamento prevedendo, per evitare duplicazione, l’eliminazione da esso delle partecipazioni in queste imprese e delle operazioni effettuate tra le stesse. Il bilancio consolidato si compone al pari del bilancio di esercizio di un conto patrimoniale, di un conto economico, e di una nota integrativa cui deve essere allegata una relazione degli amministratori. Tuttavia esso ha una funzione solo informativa e non quella (tipica del bilancio di esercizio) di accertare i risultati dell’attività per i conseguenti provvedimenti dei soci. Per tale motivo pur essendo soggetto a revisione legale la legge non prevede che debba essere approvato da parte dei soci. E’ inoltre previsto un obbligo per le società controllate di trasmettere tempestivamente all’impresa controllante le informazioni necessarie per la redazione del bilancio consolidato. Inoltre il bilancio consolidato delle società con azioni quotate o diffuse tra il pubblico in maniera rilevante, delle banche, assicurazioni e intermediari finanziari deve essere redatto in conformità ai principi contabili internazionali (cosa che per le altre società è facoltativa). Infine sono poste esigenze particolari in ipotesi di controllo o collegamento tra società italiane con azioni quotate e società straniere il cui ordinamento di appartenenza non è ritenuto fornire adeguate garanzie. Secondo la legge è compito del Ministro di Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia individuare tali stati e stabilire i criteri per la redazione del bilancio consolidato. E’ invece compito della Consob dettare i criteri in base ai quali è consentito alle società italiane di controllare società degli stati così individuati. Sono previsti in questi casi speciali obblighi di trasparenza e l’applicazione anche al bilancio della società estera dei principi della legge italiana o internazionalmente riconosciuti

TITOLO SECONDO

ASSOCIAZIONE NELL’ESERCIZIO DELL’IMPRESA

CAPITOLO I ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

322) Caratteri essenziali – L’associazione in partecipazione è un contratto con il quale una parte (l’associante) attribuisce all’altra (associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari dietro il corrispettivo di un determinato apporto. Società è associazione in partecipazione hanno in comune il fatto che realizzano una collaborazione patrimoniale per il conseguimento di un lucro attraverso l’esercizio di una attività economica ma si differenziano per le diverse basi giuridiche sulle quali si fonda la collaborazione. Nella società infatti alla comunanza dei risultati corrisponde anche la comunanza dei mezzi e dei poteri attraverso la creazione di una organizzazione giuridica comune in cui tutti i soci si trovano qualitativamente (anche se non quantitativamente) nella stessa posizione. Nella associazione in partecipazione invece alla comunanza dei risultati non corrisponde una comunanza dell’organizzazione che persegue tali risultati. Infatti la cooperazione si attua solo con il trasferimento dall’associato all’associante dell’apporto (costituito da denaro o beni). L’associante acquista la proprietà e la disponibilità dell’apporto e la gestione dell’impresa spetta solo a lui senza che l’associato possa interferire, spettando a quest’ultimo solo un potere di controllo a tutela della partecipazione agli utili che gli è stata attribuita. Dal contratto di associazione in partecipazione quindi non sorge alcuna organizzazione giuridica e l’apporto entra a far parte del patrimonio dell’associante costituendo insieme agli altri beni di questo la garanzia di tutti i creditori, anche di quelli le cui obbligazioni siano estranee all’’esercizio della impresa. I rapporti con i terzi si pongono solo per l’associante il quale solo acquista obbligazioni nei loro confronti. L’impresa è quindi comune solo nel senso che i risultati di essa vanno a beneficio o a carico sia dell’associante che dell’associato, infatti sono a carico dell’associato anche le perdite, naturalmente nei limiti dell’apporto. Infatti non solo l’associato non assume responsabilità nei confronti dei terzi ma anche nei confronti dell’associante la sua obbligazione è limitata all’apporto e, una volta che questo sia stato versato, l’associante non può più far valere alcun diritto nei confronti dell’associato Nonostante tali nette

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differenze talvolta può essere più difficile marcare i contorni tra società e associazione in partecipazione. Ciò avviene nei casi della società occulta (che si ha quando l’azione sociale è attuata all’esterno solo da uno dei soci o da un estraneo in modo tale che il rapporto sociale non appare) o della società interna (che si ha quando la società ha rilevanza solo interna e quindi una sua azione esterna non è nemmeno prevista). Anche in questi casi però il criterio di differenziazione rimane nella comunione della organizzazione e della attività che è tipica della società ma non della associazione in partecipazione. Pertanto quando l’azione esterna pur essendo attuata da una sola persona è determinata dalla cooperazione di tutti i partecipanti e quando i beni per mezzo dei quali si opera sono considerati di proprietà comune siamo in presenza di una società anche se tale situazione non appare esternamente con la conseguenza che le norme in tal caso applicabili sono quelle delle società. Quando invece l’azione è di pertinenza di uno solo dei partecipanti e per effetto dell’apporto l’altro partecipante acquista solo un diritto di partecipazione ai risultati dell’attività attuata individualmente allora siamo in presenza di una associazione in partecipazione.

323) L’associazione in partecipazione come contratto di collaborazione - L’associazione in partecipazione è un contratto associativo di collaborazione e non un contratto di scambio in quanto l’apporto non è altro che un mezzo con cui l’associato collabora con l’associante per lo svolgimento di una attività e non il corrispettivo di una attribuzione patrimoniale da parte dell’associante all’associato. Appunto perché è un contratto di collaborazione l’associato partecipa alle perdite oltre che agli utili anche se tali perdite gravano su di lui solo nel limite dell’apporto. Tale limite è posto in funzione del fatto che l’associato non partecipa alla gestione in maniera simile a quanto avviene per l’accomandante nella società ad accomandita per azioni. Appunto perché è un contratto di associazione l’associazione in partecipazione può essere esteso anche ad altri partecipanti purchè ci sia il consenso dei precedenti associati e assumono rilievo l’oggetto e lo scopo dell’associazione più che la natura dei beni apportati tanto è vero che il contratto rimane identico sia se l’apporto consiste in una somma di denaro, sia se consiste in beni sia se consiste nella prestazione d’opera da parte dell’associato.

324) La posizione dell’associante - La gestione dell’impresa (o affare) è di competenza esclusiva dell’associante sul quale solo ricade la responsabilità per gli atti compiuti e pertanto i terzi non possono far valere alcuna pretesa nei confronti dell’associato che rimane obbligato solo verso l’associante e solo nei limiti dell’apporto. Solo in via surrogatoria quando ne esistono gli estremi i creditori dell’associante possono far valere nei confronti dell’associato il credito di apporto. Il fatto che la gestione sia di competenza esclusiva dell’associante non esclude che l’associato possa svolgere una attività nell’impresa purchè ciò avvenga sotto la direzione dell’associante che può conferire all’associato anche poteri di rappresentanza dell’impresa. Abbiamo quindi una differenza rispetto alla società in accomandita dove l’esclusione dell’accomandante dalla gestione dell’impresa è una caratteristica essenziale del tipo di società e pertanto la sua eventuale ingerenza contrasterebbe con le basi essenziali della società stessa. Nel caso della associazione in partecipazione invece essendo l’impresa di esclusiva pertinenza dell’associante nulla esclude che egli possa delegare i suoi poteri all’associato nell’esercizio della impresa. L’associante deve osservare nella gestione della impresa la normale diligenza del mandatario e non può deviare i beni aziendali dalla loro destinazione senza il consenso dell’associato e deve consentire all’associato i controlli previsti nel contratto. L’associante non può inoltre modificare, senza il consenso dell’associato, l’oggetto della impresa (o l’affare) e non può interrompere arbitrariamente l’esercizio dell’impresa o l’affare.

325) La posizione dell’associato - In base alla legge l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare o della gestione dell’impresa e in questa sede può esercitare il suo controllo sulle operazioni compiute. Il contratto però può prevedere un controllo più intenso da parte dell’associato e quindi può stabilire l’obbligo per l’associante di dare notizia all’associato sullo svolgimento dell’attività o il diritto dell’associato di esaminare i documenti relativi all’amministrazione. La legge stabilisce che la misura della partecipazione dell’associato alle perdite deve corrispondere alla misura della sua partecipazione agli utili anche se le parti, entro certi limiti, possono modificare tale proporzione. La legge però

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stabilisce che il patto per cui l’associato sia escluso dagli utili o dalle perdite è invalido così come esclude che la partecipazione alle perdite possa superare il limite dell’apporto.

326) Lo scioglimento dell’associazione in partecipazione – La legge non stabilisce le cause di scioglimento dell’associazione in partecipazione e quindi esse devono essere ricavate dalla disciplina dei contratti associativi. Sono pertanto cause di scioglimento il compimento dell’affare, la realizzazione dell’oggetto della associazione l’impossibilità di compiere l’affare o di conseguire l’oggetto della associazione, la scadenza del termine (se l’associazione è a tempo determinato) o il recesso (se il contratto è a tempo indeterminato), il fallimento dell’associante o il recesso per giusta causa. Nel recesso per giusta causa possono comprendersi le ipotesi di inadempimento da parte di associante o associato e il fatto che l’esercizio produca perdite tali da non consentirne la prosecuzione. Tale ultima causa vale ovviamente solo per l’associante in quanto l’associato ha liberamente assunto, con il contratto, il rischio di perdere l’apporto mentre l’associante rispondendo delle perdite con tutto il suo patrimonio, ha il diritto di recedere dal contratto in caso di perdite rilevanti. Per quanto riguarda il caso di morte, interdizione o inabilitazione dell’associante non dovrebbe attuarsi automaticamente lo scioglimento del contratto nel caso in cui l’esercizio dell’impresa sia continuato dagli eredi o dal rappresentante legale. Tuttavia in questi casi è riconosciuto all’associato il diritto di recesso per giusta causa qualora la situazione sia tale da far venir meno il rapporto di fiducia che è elemento caratteristico di questo contratto.

327) Liquidazione dei rapporti tra associato e associante – Allo scioglimento del contratto non segue (come per le società) una fase di liquidazione anche se devono essere regolati i rapporti tra associante e associato. L’associato ha il diritto alla restituzione dell’apporto incrementato degli utili non percepiti o diminuito delle perdite subite. Se l’apporto ha per oggetto beni la restituzione non comporta restituzione del bene ma restituzione del valore corrispondente. In mancanza quindi di accordi particolari ‘in questo caso l’associante ha diritto solo alla restituzione di una somma corrispondente ai beni da lui apportati. La liquidazione della quota deve avvenire immediatamente e quindi l’associato non deve attendere la liquidazione dell’impresa da parte dell’associante.

328) Contratti affini- Accanto alla associazione in partecipazione la legge regola con la stessa disciplina alcuni altri contratti simili. Si tratta di a) contratto di cointeressenza agli utili di una impresa senza partecipazione alle perdite. Questo contratto avviene nei rapporti di finanziamento dove in aggiunta o in sostituzione dell’interesse, viene attribuita al finanziatore una percentuale sugli utili della impresa. La somiglianza con il contratto di associazione sta nel fatto che unico gestore dell’impresa e responsabile nei confronti dei terzi è colui che concede la cointeressenza mentre il cointeressato ha gli stessi diritti di controllo che spettano all’associato. La differenza sta invece nel fatto che il cointeressato ha diritto alla restituzione integrale dell’apporto anche in ipotesi di perdita. La natura di questo contratto tuttavia è quella di contratto di credito mentre l’associazione in partecipazione ha natura di contratto associativo. B) il contratto di partecipazione agli utili concluso con i prestatori di lavoro - La partecipazione agli utili può costituire la totalità o parte della remunerazione dovuta ai prestatori di lavoro. C ) il contratto di compartecipazione agli utili o alle perdite di una impresa senza apporto – Questa situazione si verifica tra imprese concorrenti allo scopo di ripartire i rischi o può verificarsi per lo stesso scopo dell’associazione in partecipazione senza esborso di apporto ma solo con la assunzione dell’obbligazione a sopportare le perdite qualora si verifichino. In questo ultimo caso si tratta comunque di una associazione in partecipazione anche in mancanza dell’apporto.

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Parte Terza – La crisi economica dell’impresa

Capitolo I – Aspetti giuridici della crisi economica

329) Crisi economica e tutela dei creditori: le procedure concorsuali - Come ogni organismo economico anche l’impresa può entrare in crisi e di fronte alla crisi la legge interviene con particolari norme solo quando essa determina anche la crisi dell’imprenditore e cioè uno squilibrio tra passività e attività di modo che le seconde non sono più sufficienti a pareggiare le prime. Tali norme sono contenute nella cosiddetta legge fallimentare emanata nel 1942 ma profondamente modificata da leggi successive. La funzione tradizionale della legge fallimentare è quella di garantire la par condicio creditorum e cioè un uguale regolamento di tutte i rapporti che fanno capo all’imprenditore (salve naturalmente le cause legittime di prelazione) attraverso la vendita di tutti i beni dell’imprenditore. Si deve dire che la par condicio creditorum potrebbe attuarsi anche al di fuori della legge, attraverso un contratto tra l’imprenditore e tutti i creditori, con l’istituto della cessione dei beni ai creditori attraverso il quale si potrebbe realizzare su basi contrattuali e al di fuori dell’intervento dell’autorità giudiziaria lo stesso risultato che si otterrebbe con le procedure della legge fallimentare. Infatti in base a tale istituto i creditori devono ripartire tra di loro le somme ricavate dalla vendita in proporzione dei rispettivi crediti salvo le cause di prelazione. Tuttavia l’applicazione di tale istituto richiede per poter essere realizzato il consenso di tutti i creditori in quanto i creditori che non avessero partecipato al contratto hanno il diritto ad agire esecutivamente sui beni del debitore vanificando così il risultato che si voleva ottenere attraverso la cessione dei beni. Per tale motivo è necessario che la legge predisponga particolari procedure, dette procedure concorsuali, attraverso le quali, con l’intervento di una pubblica autorità, è possibile realizzare il soddisfacimento paritetico di tutti i creditori senza la necessità di un loro consenso. Tali procedure sono infatti autoritativamente imposte e riguardano tutti i creditori e tutti i beni del debitore essendo obbligatorie per tutti. Le procedure concorsuali sono diverse, a seconda della gravità della crisi dell’ìmprenditore, ma hanno in comune il carattere della concorsualità, in quanto riguardano tutti i creditori, e della universalità in quanto riguardano tutti i beni del debitore e tutte consentono identiche garanzie per i creditori. Nel tempo tuttavia, accanto alla finalità tradizionale della par condicio creditorum, si è affiancata anche l’esigenza di consentire, per quanto possibile, la conservazione dell’impresa e il proseguimento delle attività produttive. Per tale

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motivo il legislatore è intervenuto istituendo una nuova procedura, quella dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, con il decreto legislativo n, 270 del 1999. Con tale istituto, che si applica solo alle imprese di significative dimensioni, l’accertamento della situazione di insolvenza non provoca automaticamente il fallimento ma l’apertura di una istruttoria preliminare che deve verificare la sussistenza di concrete possibilità di recupero dell’impresa. Se tale istruttoria dà esito negativo si arriva alla dichiarazione di fallimento mentre in caso inverso si apre la procedura della amministrazione straordinaria. Con tale istituto quindi alla finalità di assicurare la par condicio dei creditori si affianca anche quella di salvaguardare il complesso produttivo della impresa che, magari con un nuovo imprenditore, potrebbe riacquistare la normale produttività. Questa nuova esigenza si sta allargando anche a tutte le procedure concorsuali in generale in quanto le recenti riforme hanno ampliato le possibilità di esercizio provvisorio dell’impresa e hanno cercato di favorire la vendita in blocco dei beni dell’imprenditore al posto della vendita dei singoli beni cui si ricorre solo quando sia prevedibile che la vendita in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori.

330) Ambito di applicazione e fondamento delle procedure concorsuali – Le procedure concorsuali sono applicabili a tutti gli imprenditori, ad eccezione dei piccoli imprenditori e degli enti pubblici. Inoltre la legge fallimentare esclude l’applicazione delle procedure di fallimento e concordato preventivo nei confronti di imprenditori che, pur non potendosi qualificare come piccoli ai sensi del codice civile, dimostrino di non superare le tre seguenti soglie previste dalla legge: e quindi di a) aver avuto nei tre esercizi precedenti la data del deposito dell’istanza del fallimento un attivo patrimoniale non superiore a 300.000 euro b) di aver realizzato nello stesso periodo ricavi lordi non superiori a 200.000 euro c) di avere attualmente un ammontare di debiti non superiore a 500.000 euro. La legge fallimentare inoltre parla espressamente di imprenditori commerciali escludendo così l’applicazione delle procedure concorsuali agli imprenditori agricoli ma abbiamo visto in precedenza come l’impresa possa trovare applicazione solo nel campo della agricoltura industrializzata e come secondo il nuovo art. 2135 cc l’impresa agricola non è altro che una impresa industriale operante nel campo dell’agricoltura. Le procedure concorsuali, inoltre, pur essendo poste con riferimento all’impresa, riguardano la persona dell’imprenditore e quindi il concorso viene attuato da parte di tutti i creditori dell’imprenditore anche se i loro diritti non nascono dall’esercizio dell’attività di impresa e riguardano tutti i beni dell’imprenditore anche se non appartengono al complesso aziendale. Se pertanto lo stato di insolvenza riguarda la situazione patrimoniale complessiva dell’imprenditore deve necessariamente sussistere anche in relazione ai rapporti inerenti l’impresa ed è sotto questo profilo che l’insolvenza dell’imprenditore diviene rilevante per la legge. Occorre anche dire che per l’applicazione delle procedure concorsuali la legge non richiede l’esercizio attuale di una impresa essendo sufficiente solo che tale attività vi sia stata purché la situazione di insolvenza dell’imprenditore abbia la sua origine nei rapporti dipendenti dall’esercizio dell’impresa. Pertanto la legge ammette il fallimento dell’imprenditore che abbia cessato l’impresa o dell’imprenditore defunto purché l’’insolvenza abbia un nesso con l’esercizio dell’impresa e si sia manifestata entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese o dalla morte dell’imprenditore.

331) Rapporto tra le diverse procedure concorsuali - Le procedure concorsuali originariamente previste erano il fallimento, il concordato preventivo, l’amministrazione controllata e la liquidazione coatta amministrativa. Successivamente è stata abrogata l’amministrazione controllata ed è stata introdotta, come abbiamo detto, l’amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza. Le cause della abrogazione della amministrazione controllata stanno nel fatto che la sua finalità di risanamento dell’impresa è ora comune all’intero sistema delle procedure concorsuali e nel fatto che essa ha rivelato nel corso del tempo una certa inefficienza. L’amministrazione controllata era un mezzo per dare all’impresa il tempo di recuperare il suo equilibrio e veniva concessa quando l’imprenditore era in uno stato di insolvenza reversibile purché potesse dimostrare che nell’arco di un biennio potesse riequilibrare l’impresa. Essa si caratterizzava per l’imposizione di un controllo nella gestione della impresa e nell’amministrazione dei beni consentendo al debitore una dilazione nei pagamenti per un periodo non superiore a due anni. Presupposti dell’applicazione di tale procedura erano che l’imprenditore si trovasse in uno stato di temporanea difficoltà e che vi fossero concrete

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possibilità di risanare l’impresa. Si spiega quindi come essendo oggi comune anche alle altre procedure l’obiettivo del risanamento non era necessario conservare tale procedura che comunque non aveva avuto successo nel tempo in quanto nella maggior parte dei casi sfociava nella dichiarazione di fallimento mentre negli altri casi, quando si trattava effettivamente di difficoltà temporanee, l’imprenditore poteva risolvere la crisi al di fuori di tale procedura attraverso accordi con i creditori. Con l’abolizione dell’amministrazione controllata sono quindi venuti meno i problemi relativi ai suoi rapporti con le altre procedure concorsuali e in particolare il problema se la nozione di temporanea difficoltà dovesse ritenersi distinta rispetto alla nozione di insolvenza. Rimangono invece i problemi relativi al rapporto del fallimento e del concordato preventivo con la liquidazione coatta amministrativa da un lato e con l’amministrazione straordinaria dall’altro. Per quanto riguarda il primo aspetto la legge esclude espressamente la possibilità di far ricorso al fallimento quando l’impresa è soggetta alla liquidazione coatta amministrativa. Nel caso in cui siano ammessi sia il fallimento che la liquidazione coatta amministrativa si applica il criterio della prevenzione e cioè viene applicata la procedura che per prima viene disposta. Per quanto riguarda i rapporti tra concordato preventivo e liquidazione coatta amministrativa non vi è dubbio che la liquidazione coatta preclude le altre procedure ma vi è il dubbio se l’ammissione alla procedura di concordato preventivo precluda la liquidazione coatta. Nel silenzio della legge si deve concludere negativamente, Per quanto riguarda i rapporti tra fallimento e amministrazione straordinaria la questione dipende dalla verifica della sussistenza o meno dei requisiti dimensionali e delle prospettive di risanamento che giustificano l’amministrazione straordinaria, Pertanto nel caso che a seguito di reclamo tale verifica si dimostri infondata il problema può risolversi nella conversione di una procedura nell’altra rimanendo salvi gli atti nel frattempo compiuti.

Capitolo II – Il fallimento

332) Presupposti della dichiarazione di fallimento – Presupposto della dichiarazione di fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore L’insolvenza si riferisce ad una situazione patrimoniale deficitaria in cui il passivo supera l’attivo. Occorre però ricordare che vi può essere una situazione patrimoniale deficitaria senza che vi sia insolvenza come ad esempio nel caso di crisi di liquidità ( l’imprenditore è a corto di denaro liquido ma nel suo attivo vi sono beni che rendono certa la possibilità di adempiere) mentre vi può essere insolvenza senza un deficit vero e proprio (es. quando vi sono investimenti immobilizzati che non consentono di far fronte con regolarità ai pagamenti), Secondo la legge fallimentare l’insolvenza è uno stato di incapacità patrimoniale dell’imprenditore che non gli consente di far fronte con regolarità alle proprie obbligazioni. Fare fronte con regolarità significa con mezzi normali e quindi ci può essere insolvenza quando il pagamento avviene con beni invece che con denaro e con mezzi rovinosi e cioè tali da aggravare il dissesto (es. ricorrendo all’usuraio per pagare i debiti) Poiché i terzi non sono a conoscenza della contabilità aziendale e quindi non sanno quale è effettivamente la situazione dell’impresa è’ necessario che l’insolvenza si manifesti all’esterno attraverso inadempimenti o altri fatti quali la fuga, l’irreperibilità o la latitanza dell’imprenditore, la chiusura dei locali, il trafugamento o la diminuzione fraudolenta dell’attivo. E’ anche importante ricordare che l’insolvenza è un fenomeno che riguarda il patrimonio dell’imprenditore e non l’impresa e quindi può nascere anche per fatti estranei alla attività di impresa (es. l’imprenditore ha una azienda sana ma si rovina per debiti di gioco). Una volta aperto il fallimento esso investe non solo l’impresa ma tutto il patrimonio del debitore e quindi anche i beni estranei all’impresa in quanto in base all’art. 2740 il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. .

333) Potere di iniziativa a richiedere il fallimento – Secondo l’attuale disciplina hanno l’iniziativa

per la dichiarazione di fallimento: a) i creditori b) l’imprenditore (che avrebbe anzi il dovere giuridico di richiederlo) c) il pubblico ministero solo nell’ipotesi di insolvenza risultante da fuga, irreperibilità o latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali o sottrazione dell’attivo e quando l’insolvenza sia segnalata dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. A differenza dalla disciplina originaria quindi nella attuale disciplina il fallimento non può essere dichiarato d’ufficio dal

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tribunale. La domanda di fallimento si propone tramite ricorso di uno dei soggetti legittimati visti sopra. Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa o la sede secondaria se la sede principale è all’estero. Se il fallimento viene dichiarato da un tribunale incompetente la incompetenza può essere fatta valere in sede di opposizione alla dichiarazione di fallimento ed essa, una volta accertata, comporta non la revoca della sentenza che dichiara il fallimento ma la rimessione degli atti al giudice competente davanti al quale la procedura prosegue. Sulla istanza per la dichiarazione di fallimento il tribunale si pronuncia con decreto (reclamabile in appello) se ritiene che non vi siano i presupposti per la dichiarazione e con sentenza presa in camera di consiglio se accoglie l’istanza e dichiara il fallimento .La dichiarazione di fallimento presuppone quindi l’accertamento della qualità di imprenditore soggetto a fallimento e dello stato di insolvenza e quindi richiede una istruttoria che è sommaria in quanto deve chiudersi in termini molto brevi per evitare il rischio che il dissesto si aggravi ulteriormente. La legge fallimentare disciplina questa fase istruttoria per contemperare le esigenze di giustizia con i diritti di difesa dell’imprenditore che deve potersi difendere.. Questo processo ha però carattere inquisitorio e quindi le prove che possono essere acquisite vengono decise del giudice d’ufficio ( non è quindi necessaria una richiesta della parte). Il giudice può anche prendere provvedimenti cautelari a tutela dell’impresa e del suo patrimonio che possono essere confermati nella sentenza che dichiara il fallimento o revocati dal decreto che rigetta la relativa istanza. Diversa è la procedura nel caso l’azienda raggiunga i limiti richiesti per l’amministrazione straordinaria. In questo caso si ha prima una sentenza adottata in camera di consiglio previa audizione del richiedente, del debitore e del ministro per le attività produttive con la quale si dichiara lo stato di insolvenza. In seguito vengono verificate le possibilità di risanamento e quindi si procede con decreto motivato alla apertura della procedura della amministrazione straordinaria o alla dichiarazione di fallimento. Se l’m,presa ha dimensioni particolarmente significative può chiedere direttamente al ministro l’ammissione immediata alla amministrazione straordinaria presentando contestualmente ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale che provvede anche in questo caso con sentenza. 334) Natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento - La sentenza che dichiara il fallimento è stata considerata da alcuni come provvedimento cautelare (in quanto pone determinate cautele a favore dei creditori) e da altri come provvedimento esecutivo (in quanto segna l’inizio della esecuzione collettiva sui beni) ma pur avendo entrambi questi elementi deve considerarsi come sentenza costitutiva in quanto determina l’inizio di una situazione giuridica nuova con conseguenze patrimoniali e personali molto più ampie di quelle determinate da un semplice provvedimento cautelare o esecutivo. Tuttavia essa segna l’inizio della esecuzione collettiva e quindi contiene i provvedimenti necessari a tale scopo, quali la costituzione degli organi del fallimento (nomina del giudice delegato e del curatore) e la predisposizione dei documenti necessari per la formazione della massa attiva e passiva (es. ordine al fallito di depositare i bilanci, le scritture contabili e l’elenco dei creditori). La sentenza dichiarativa viene notificata al debitore, al curatore e al creditore richiedente il giorno successivo al deposito in cancelleria e viene annotata nel registro delle imprese. I suoi effetti si producono generalmente a partire dal deposito ma nei confronti dei terzi decorrono dall’iscrizione nel registro delle imprese.

335) Reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento - Prima della riforma si poteva impugnare la sentenza che dichiarava il fallimento solo mediante opposizione allo stesso tribunale che la aveva emessa, mentre a seguito della riforma (che ha cercato di attuare una maggiore partecipazione al procedimento del debitore), contro la sentenza è ammesso il reclamo alla corte di appello. Tale reclamo deve essere presentato entro 30 giorni (per il debitore dalla data di notificazione della sentenza, per gli altri dalla sua iscrizione nel registro delle imprese). Con il reclamo si mira ovviamente ad ottenere la revoca della dichiarazione di fallimento dimostrando l’inesistenza delle condizioni di legge necessarie e quindi l’inesistenza dello stato di insolvenza, la non assoggettabilità dell’impresa alla procedura fallimentare, l’inesistenza del rapporto su cui la dichiarazione si fonda. Per le imprese di grandi dimensioni inoltre può essere dimostrata la presenza dei requisiti che avrebbero giustificato l’adozione della procedura di amministrazione straordinaria.

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Ovviamente la situazione va esaminata con riferimento al momento in cui è stato dichiarato il fallimento in quanto eventuali fatti sopravvenuti possono determinare solo la chiusura del fallimento e non la revoca della dichiarazione. Il reclamo non sospende la sentenza di fallimento ma ricorrendo gravi motivi la corte di appello può sospendere in tutto o in parte la liquidazione dell’attivo.

336) Effetti della revoca della dichiarazione di fallimento - Se il reclamo è accolto per mancanza dei requisiti previsti dalla legge fallimentare l’accoglimento determina la revoca del fallimento e quindi il venir meno degli effetti personali e patrimoniali che sono propri del fallimento. Restano salve e vincolanti però le obbligazioni legalmente assunte dagli organi del fallimento. La revoca del fallimento comporta l’obbligo per il creditore che ha proposto l’istanza al risarcimento dei danni solo se egli ha agito con dolo o colpa grave in quanto in caso contrario, essendo il fallimento un provvedimento del giudice e non del creditore si applicheranno i principi in tema di risarcimento di danni conseguenti a provvedimenti del giudice. L’onere delle spese del curatore gravano sul creditore che ha proposto istanza solo se ha agito per colpa o sul fallito persona fisica se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento. Se invece il reclamo si fonda sull’esistenza dei presupposti per l’ammissione alla amministrazione straordinaria al suo accoglimento consegue la conversione della procedura in amministrazione straordinaria alla quale provvede il tribunale con decreto.

2) Effetti della dichiarazione di fallimento

337) Effetti della dichiarazione di fallimento – La dichiarazione di fallimento determinando una modificazione della posizione giuridica dell’imprenditore determina effetti per il debitore fallito, per i suoi creditori e sui rapporti giuridici pendenti 338) Effetti nei confronti del fallito: effetti personali e patrimoniali – La dichiarazione di fallimento comporta per il fallito effetti personali in quanto essa determina particolari incapacità e determinate limitazioni alla libertà personale del fallito (es. obbligo di comunicare il cambiamento di residenza e di presentarsi ad ogni richiesta agli organi del fallimento). Inoltre il fallito perde la legittimazione a stare in giudizio, legittimazione che spetta al curatore. Gli effetti più rilevanti sono però quelli patrimoniali in quanto con la dichiarazione di fallimento si determina il cosiddetto spossessamento del debitore. Il debitore infatti perde il diritto di amministrare e di disporre dei beni che compongono il suo patrimonio, beni che contestualmente vengono attribuiti al curatore (al quale spetta anche la rappresentanza processuale) e quindi vanno a costituire un patrimonio separato destinato ad uno scopo che è il soddisfacimento dei creditori concorsuali. Ciò avviene sia per quanto riguarda i beni preesistenti (ossia che il fallito deteneva alla data della sentenza) sia per le utilità e i beni che il fallito realizzi successivamente al fallimento dedotte le spese sostenute dal fallito per l’acquisto e la conservazione di tali beni. La legge prevede però che il curatore possa rinunciare all’acquisto di beni e utilità pervenute al fallito dopo la dichiarazione di fallimento qualora i costi per il loro acquisto siano superiori al presumibile valore di realizzo. 339) Beni ai quali si estende lo spossessamento – Secondo la legge non possono essere compresi nel fallimento i beni che si caratterizzano per la loro natura personale o familiare (frutti derivanti dall’usufrutto legali sui beni dei figli, beni costituiti in un fondo patrimoniale), o per la loro funzione alimentare o di sussistenza del fallito e la sua famiglia (redditi della propria attività nei limiti dei bisogni della famiglia e uso della casa di abitazione). Si considerano invece nel patrimonio quei beni che il fallito abbia alienato con atti inopponibili a terzi in quanto dalla data di dichiarazione di fallimento il fallito non può più compiere quelle formalità necessarie per rendere opponibili ai terzi i relativi atti (es. trascrizione di atti di vendita o di ipoteca). Restano invece esclusi dal fallimento i beni di proprietà altrui e i beni che il fallito detenga o abbia acquistato in qualità di mandatario per conto del mandante in quanto rispetto a tali beni è ammissibile l’azione di rivendicazione. 340) Effetti nei confronti dei creditori - La legge fallimentare stabilisce che il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito e pertanto dopo tale data i creditori potranno chiedere

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l’accertamento del loro credito solo attraverso le norme previste per il concorso. Inoltre dal giorno della dichiarazione di fallimento i creditori non potranno avviare o proseguire nessuna azione individuale, sia essa esecutiva o cautelare, sui beni compresi nel fallimento. Per quanto riguarda le esecuzioni già avviate si determina l’assorbimento della esecuzione individuale nella procedura concorsuale attraverso la sostituzione del curatore al creditore. Si determinano inoltre modificazioni nella posizione dei creditori. Per quanto riguarda i creditori privilegiati il credito viene incrementato degli interessi che continuano a maturare anche dopo la dichiarazione di fallimento fino alla vendita del bene e questi interessi hanno anch’essi natura di crediti privilegiati. Se il creditore munito di diritto di prelazione non si soddisfa integralmente sul bene che costituisce la sua garanzia specifica, per il residuo ha gli stessi diritti del creditore chirografario. Per quanto riguarda invece i creditori chirografari si pongono le seguenti modificazioni: a) la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi b) applicazioni di particolari criteri di valutazione per i crediti infruttiferi, per le obbligazioni, per i crediti non pecuniari e per la rendita perpetua e vitalizia c) i debiti pecuniari non scaduti alla data del fallimento si considerano scaduti alla data del fallimento – d) applicazioni di particolari principi nei riguardi del creditori di più coobbligati in solido di cui solo uno sia fallito, in relazione all’azione di regresso tra coobbligati solidali. Una disciplina particolare consente ad alcuni debitori, pur non essendo privilegiati, di sfuggire al concorso con gli altri, Si tratta della disciplina in materia di compensazione che prevede che i creditori hanno il diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che vantano nei confronti dello stesso purché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. La compensazione non può avere luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno precedente.

341) Gli atti pregiudizievoli ai creditori: il pregiudizio dei creditori nel fallimento - La finalità della procedura concorsuale di assicurare la par condicio creditorum potrebbe essere messa in pericolo se la legge non prevedesse la possibilità di ricostituire il patrimonio del fallito assoggettando alla procedura concorsuale anche quei beni che ne fossero eventualmente usciti quando lo stato di insolvenza era già determinato. Infatti nella prassi generalmente c’è un certo lasso di tempo tra il manifestarsi della insolvenza e la dichiarazione di fallimento e in questo periodo il debitore potrebbe compiere atti di disposizione sui propri beni al fine di ovviare alla crisi o di mascherarla, alterando in tal modo la par condicio dei creditori. Il problema non è tipico della materia fallimentare dal momento che il codice civile prevede l’azione revocatoria qualora il debitore sottragga beni al suo patrimonio creando pregiudizio ai suoi creditori. Tramite l’azione revocatoria ordinaria il creditore può ricostituire la garanzia del suo credito facendo dichiarare l’inefficacia dell’atto di vendita e quindi attuando l’esecuzione forzata sul bene fraudolentemente sottratto anche se lo stesso non si trova più nel patrimonio del debitore. In campo fallimentare però i problemi sono diversi in quanto la insolvenza del debitore è rilevante non nei confronti di un singolo creditore ma nei confronti della generalità dei creditori e inoltre la procedura fallimentare investe l’intero patrimonio del debitore e quindi il problema non è quello di ricostituire la garanzia del creditore ma quello di ricostruire il patrimonio. In campo fallimentare inoltre l’esigenza non è solo quella di salvaguardare gli interessi dei creditori ma è anche quella di assicurare che ciò avvenga in coerenza con la finalità della par condicio creditorum. Per tale motivo alla revocatoria fallimentare sono assoggettati anche atti come il pagamento di debiti alla scadenza che sono invece sottratti alla revocatoria del codice civile in quanto essi pur non diminuendo la consistenza del patrimonio del debitore alterano la par condicio creditorum sottraendo valori al riparto cui tutti i creditori possono concorrere. La legge fallimentare pertanto fissa un periodo di tempo, diverso a seconda dei soggetti che hanno compiuto l’atto o del contenuto del fatto, entro il quale gli effetti dell’atto (compiuto nel periodo tra il manifestarsi dell’insolvenza e la dichiarazione di fallimento) possono essere eliminati rispetto ai creditori del fallimento, in quanto l’atto stesso viene considerato fatto in frode ad essi con presunzione iuris ed de iure (ossia senza possibilità di prova contraria) o con presunzione iuris tanto (ossia a meno che non risulti la ignoranza da parte del terzo della insolvenza del debitore).

342)continua – le singole categorie di atti - La materia è stata oggetto di profonde modificazioni che hanno sottoposto l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare al termine di decadenza di tre anni

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dalla dichiarazione di fallimento e comunque di cinque danni dal compimento dell’atto. Inoltre sono stati esclusi dalla revocatoria fallimentare alcune categorie di atti quali i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei determini d’uso, le vendite e i preliminari di vendita di immobili destinati a costituire l’abitazione principale del debitore o dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado purché conclusi a giusto prezzo, i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti o collaboratori del fallito o i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore se posti in essere in esecuzione di un piano volto a consentire il risanamento della situazione debitoria dell’impresa. La revocabilità degli altri atti è diversamente disciplinata a seconda della categoria in cui il singolo atto rientra. La legge prevede le seguenti categorie di atti: a) atti a titolo gratuito compiuti nei due anni antecedenti alla dichiarazione del fallimento e pagamento dei debiti con scadenza alla data della dichiarazione del fallimento o successiva. Per questi atti la legge stabilisce la inefficacia nei confronti del fallimento senza richiedere la conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza del creditore. B) atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che presentino caratteristiche tali da far ritenere l’esistenza di un accordo tra imprenditore e terzo ai danni dei creditori. Tali atti devono essere stati compiuti, a seconda dei casi, nel’anno o nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento. Si tratta di ipotesi dove lo squilibrio tra le prestazioni, l’anormalità dei mezzi di pagamento, la richiesta di particolari garanzie non ritenute necessarie al momento della concessione del credito, inducono a ritenere una partecipazione del terzo agli intenti fraudolenti dell’imprenditore e quindi una conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza dell’imprenditore e per tale motivo gli effetti di tali atti possono essere eliminati nei confronti del fallimento a meno che il terzo non provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore. C) atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che di per sé non presentano caratteristiche tali da far indurre un accordo ai danni dei creditori ma risultano oggettivamente pregiudizievoli. Si tratta di atti di disposizione normali compiuti dietro un adeguato corrispettivo e la loro efficacia può essere eliminata solo se sono stati compiuti nei sei mesi precedenti al fallimento e se il curatore prova che il terzo conosceva la insolvenza dell’imprenditore. D) atti compiuti tra i coniugi. Gli atti compiuti tra i coniugi, dai quali deriva un pregiudizio per i creditori, possono essere revocati in qualunque momento siano stati compiuti se il coniuge non prova di aver ignorato lo stato di insolvenza del coniuge fallito.

343) La revocatoria ordinaria nel fallimento - Se gli atti compiuti dal fallito non rientrano in nessuna delle categorie sopra descritte, è possibile esercitare l’azione revocatoria ordinaria prevista nel codice civile purchè ne ricorrano le condizioni. Tali condizioni sussistono, solo per i creditori il cui credito è sorto prima che il debitore abbia compiuto l’atto di disposizione, qualora il curatore dimostri l’insolvenza del debitore al momento in cui l’atto fu compiuto e la conoscenza dell’insolvenza da parte del terzo per gli atti a titolo oneroso. Anche in questo caso l’azione spetta esclusivamente al curatore fallimentare e va proposta davanti al tribunale fallimentare e non mira a ricostituire la garanzia del singolo creditore ma a ricostituire il patrimonio del debitore per il soddisfacimento di tutti i suoi creditori.

344) Effetti della revocatoria o della dichiarazione di inefficacia - Con l’azione revocatoria l’eliminazione degli effetti dell’atto pregiudizievole per i creditori viene stabilita solo nei confronti dei creditori del fallimento e pertanto tra le parti l’atto rimane valido ed efficace. Ne consegue che una volta che l’esecuzione concorsuale sia cessata e i creditori soddisfatti l’atto può nuovamente esplicare la sua efficacia tra le parti (cosiddetta inefficacia relativa) Inoltre nella revocatoria fallimentare (a differenza di ciò che avviene nella revocatoria ordinaria) alla eliminazione dell’efficacia dell’atto nei confronti del fallimento può corrispondere il diritto del terzo ad essere ammesso al passivo del fallimento per la somma per la quale risulti eventualmente creditore.

345) Effetti sui contratti in corso di esecuzione - La dichiarazione di fallimento di una impresa pone il problema dei rapporti giuridici pendenti e cioè dei contratti in corso di esecuzione. Per tali contratti la legge fallimentare pone una regola residuale (che cioè si applica quando la legge non disponga diversamente) che prevede che la dichiarazione di fallimento non comporti lo scioglimento automatico dei contratti ma solo la loro sospensione. Tale sospensione è necessaria per consentire al curatore di

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scegliere se subentrare nel contratto (adempiendone integralmente gli obblighi) o sciogliersi dal contratto stesso. Questo diritto concesso al curatore costituisce una specialità del diritto fallimentare ed è escluso solo quando, alla data del fallimento, il contratto anche se pendente ha già esplicato la sua efficacia traslativa. Trattandosi di un diritto del curatore non può sorgere a suo carico l’obbligo del risarcimento del danno a favore del contraente ma il contraente può solo farsi assegnare dal giudice un termine decorso il quale il contratto si intende sciolto. La regola della sospensione si applica solo nel caso in cui entrambe le parti non abbiano dato esecuzione o completa esecuzione al contratto in quanto in caso contrario : a) se il fallito ha già eseguito la sua prestazione il contraente dovrà eseguire la propria b) se invece il contraente ha eseguito la sua prestazione potrà avere solo diritto ad essere ammesso al passivo del fallimento per l’ammontare del suo credito. Inoltre la regola della sospensione ha valore residuale e quindi si applica solo se la legge non disponga altrimenti. Ciò avviene nei seguenti casi: a) nel caso di vendita di immobili da costruire con fallimento del costruttore. In questo caso è riconosciuto all’acquirente il diritto di provocare lo scioglimento del contratto salvo che il curatore non abbia già comunicato di volerlo eseguire. b) nei contratti di conto corrente, di mandato in caso di fallimento del mandatario, nell’associazione in partecipazione nel caso di fallimento dell’associante, nel caso di società organizzate su base personale, nel caso di contratti di borsa a termine. In tutti questi casi il fallimento comporta lo scioglimento automatico dei contratto. C) nel caso di contratto di appalto la legge prevede in via di principio lo scioglimento del contratto ma consente al curatore di subentrarvi offrendo idonee garanzie.

3) La procedura fallimentare

346) Gli organi: tribunale fallimentare, giudice delegato, curatore, comitato dei creditori – Organo supremo del fallimento è il tribunale fallimentare, ossia il tribunale che ha dichiarato il fallimento. Esso ha il compito di attuare l’esecuzione sul patrimonio del fallito, ha competenza sull’intera procedura fallimentare e provvede con decreto su tutte le controversie che non sono di competenza del giudice delegato e sui reclami contro i provvedimenti del giudice delegato. La sentenza che dichiara il fallimento provvede anche alla nomina del curatore e del giudice delegato. Il giudice delegato ha il compito di controllare l’operato del curatore concedendo le necessarie autorizzazioni e di provvedere sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori. Il giudice delegato inoltre nomina il comitato dei creditori. Il curatore è l’organo amministrativo del fallimento e provvede sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori ad amministrare e realizzare il patrimonio fallimentare. Nell’esercizio delle sue funzioni il curatore è un pubblico ufficiale e la legge prevede particolari requisiti per la sua nomina. Il curatore può compiere atti di straordinaria amministrazione solo dietro autorizzazione del comitato dei creditori e nel caso di importo superiore a 50.000 euro dopo averne data informazione preventiva al giudice delegato. La legge consente al fallito e agli altri interessati di proporre reclamo contro gli atti del curatore, prevede la revocabilità del curatore da parte del tribunale fallimentare, e prevede la responsabilità personale del curatore in caso di violazione degli obblighi del suo ufficio. Il curatore è remunerato e il suo compenso è liquidato dal tribunale. Il comitato dei creditori prima della riforma aveva solo funzioni consultive mentre ora ha un ruolo molto più incisivo. Infatti esso ha il compito di vigilare sull’operato del curatore e il potere di autorizzarne gli atti nei casi previsti dalla legge. Viene nominato dal giudice delegato (entro 30 giorni dalla dichiarazione di fallimento) e per i suoi membri è affermata la responsabilità personale analogamente a quanto previsto per i sindaci delle società per azioni.

347) Momenti essenziali della procedura fallimentare: a) la conservazione del patrimonio - La procedura fallimentare si svolge attraverso una serie di fasi. La prima fase è quella della conservazione del patrimonio. Rientrano in questa fase i seguenti atti: a) apposizione da parte del curatore di sigilli sui beni del fallito b) consegna al curatore del denaro contante, delle scritture contabili e della documentazione c) redazione da parte del curatore dell’inventario dei beni d) presa in consegna dei beni da parte del curatore. La riforma ha introdotto un nuovo adempimento che è quello della redazione da parte del curatore di un programma di liquidazione che deve essere approvato dal comitato dei creditori e comunicato al giudice delegato per l’autorizzazione all’esecuzione degli atti in

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esso contenuti. Nel programma di liquidazione sono contenute le indicazioni per realizzare l’attivo e quindi ad esempio la destinazione che si intende dare all’azienda, la decisione circa l’opportunità di vendere in blocco o separatamente i singoli beni, le eventuali azioni risarcitorie o revocatorie da esercitare.

348) continua – b) l’accertamento del passivo.- Un’altra fase è quella dell’accertamento del passivo - L’accertamento del passivo prevede le seguenti fasi. A) predisposizione da parte del curatore di un elenco dei creditori con indicazione dei rispettivi crediti ed eventuali diritti di prelazione. Ai creditori compresi nell’elenco il curatore deve comunicare la data dell’esame dello stato passivo e il termine entro il quale devono presentare le loro domande b) presentazione da parte dei creditori delle domande di ammissione mediante ricorso da presentarsi al tribunale entro 30 giorni dalla data dell’udienza per l’esame dello stato passivo. Le domande devono contenere l’indicazione della somma e degli eventuali titoli di prelazione e ad esse devono essere allegati i documenti che dimostrano il diritto del creditore. C) formazione dello stato passivo da parte del giudice delegato. Tramite udienza il giudice delegato decide, con decreto, su ogni domanda accogliendola totalmente o parzialmente o rigettandola. Terminato l’esame di tutte le domande il giudice delegato forma lo stato passivo e con decreto lo dichiara esecutivo. (lo stato passivo è quindi l’elenco di tutti i creditori che hanno presentato domanda di ammissione al passivo con indicazione per ciascuna domanda del provvedimento preso dal giudice delegato). D) il curatore comunica a ciascun creditore l’esito della domanda e l’avvenuto deposito in cancelleria dello stato passivo. Contro il decreto attraverso il quale il giudice delegato ha reso esecutivo lo stato passivo sono ammessi tre rimedi processuali. A) opposizione. Attraverso l’opposizione il creditore contesta che la propria domanda sia stata rigettata o accolta solo parzialmente. L’opposizione può essere rivolta solo al curatore b) revocazione. Può essere proposta dai creditori o dal curatore qualora risulti che l’ammissione di un credito è stata determinata da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o mancata conoscenza di documenti decisivi a suo tempo non prodotti per causa non imputabile. La revocazione è proponibile solo se sono scaduti i termini per proporre opposizione o impugnazione. Le impugnazioni si propongono tramite ricorso al tribunale entro trenta giorni dalla comunicazione da parte del curatore (o in caso di revocazione dalla scoperta del fatto o del documento). I ricorsi devono essere notificati al curatore, al creditore di cui si contesta l’ammissione e agli eventuali contro interessati. Il collegio, di cui non fa parte il giudice delegato, provvede sui ricorsi con decreto motivato entro 60 giorni dall’udienza. Nei confronti del decreto del tribunale le parti possono proporre ricorso in cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione dello stesso. La formazione del passivo definitivo non esclude la presentazione di ulteriori domande di ammissione dei creditori (dichiarazioni tardive di credito). Queste possono essere proposte entro 12 mesi dal deposito dello stato passivo e dopo tale termine solo se non sono esaurite le ripartizioni dell’attivo e solo se il ritardo è dipeso da causa non imputabile al creditore. Il creditore tardivo partecipa alla ripartizione di ciò che resta dopo il soddisfacimento dei creditori tempestivi, salve le cause di prelazione. Nel caso in cui il ritardo sia dipeso da causa non imputabile al creditore questo può ottenere quanto avrebbe dovuto percepire nelle precedenti ripartizioni.

349) continua c) l’accertamento dell’attivo - La fase dell’accertamento dell’attivo si compie attraverso l’inventario e la presa in consegna dei beni da parte del curatore. Tuttavia può accadere che tra i beni in possesso del fallito ve ne siano alcuni di pertinenza di terzi sia perché il fallito ne era possessore illegittimo o perché ne era possessore a titolo precario. In questo caso sorge la necessità di escludere dal fallimento tali beni di proprietà altrui e la legge distingue il caso in cui i diritti (personali o reali) dei terzi siano chiaramente riconoscibili o meno: nel primo caso il giudice delegato può disporre con decreto la restituzione al proprietario su istanza di questo e con il consenso del curatore e del comitato dei creditori nel secondo caso si applica il sistema previsto per l’accertamento del passivo. Pertanto il curatore deve compilare l’elenco di coloro che vantano diritti reali o personali, mobiliari o immobiliari su cose in possesso del fallito e deve comunicare a costoro la data dell’udienza di discussione dello stato passivo e il termine di presentazione delle domande. I titolari devono presentare domanda di restituzione mediante ricorso (così come avviene per la domanda di ammissione al passivo) e con la domanda possono chiedere anche la sospensione della liquidazione dei beni.

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350) continua – d) l’amministrazione del patrimonio - Gli atti di amministrazione del patrimonio assumono rilevanza nel caso in cui con la sentenza che dichiara il fallimento sia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa. Tale esercizio viene disposto nel caso in cui dalla cessazione dell’impresa possa derivare un danno grave e purchè la continuazione non danneggi i creditori. La continuazione temporanea dell’impresa deve essere autorizzata dal giudice delegato, su proposta del curatore e sentito il comitato dei creditori il cui eventuale parere negativo ha carattere vincolante. Al comitato dei creditori spetta anche di controllare l’esercizio provvisorio dell’impresa e chiederne la cessazione se la gestione non è più nell’interesse dei creditori: tale cessazione può essere disposta anche dal tribunale, sentito il comitato dei creditori e del curatore. La continuazione dell’esercizio provvisorio comporta anche la prosecuzione dei rapporti pendenti i quali pertanto, in deroga alla disciplina vista prima, non si sciolgono e non restano sospesi a meno che il curatore decida altrimenti, Inoltre i crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione in quanto in caso contrario l’azienda non avrebbe possibilità di operare sul mercato. Il curatore del fallimento assume la gestione dell’impresa. Nel caso invece di affitto dell’azienda del fallito è l’affittuario che assume la gestione dell’impresa e il relativo rischio. L’eventualità di affitto dell’azienda del fallito è ammessa dalla legge quanto appare più utile rispetto alla vendita dell’azienda o di parti di essa. E’ richiesta l’autorizzazione del giudice delegato e il parere favorevole del comitato dei creditori su proposta del curatore. Al curatore spetta la scelta dell’affittuario, la stipulazione del relativo contratto, e il diritto di recedere dal contratto dietro pagamento all’affittuario di un giusto indennizzo da soddisfare in prededuzione. L’affittuario non è responsabile dei debiti sorti prima del fallimento e per i contratti pendenti a tale momento trovano applicazione le regole dettate per i contratti pendenti alla data del fallimento.

351) continua – c) la liquidazione dell’attivo - Altro momento fondamentale della procedura di fallimento è quello della liquidazione dell’attivo ossia della vendita dei beni del fallito per la soddisfazione dei creditori. La liquidazione si attua sulla base del programma di liquidazione redatto dal curatore che deve essere approvato dal comitato dei creditori. La legge fallimentare stabilisce il principio per cui il criterio primario di liquidazione è costituito dalla vendita dell’azienda o dei beni in blocco. Pertanto la liquidazione effettuata tramite la vendita di beni singoli potrà avere luogo solo nell’ipotesi in cui sia prevedibile che essa consenta una maggiore soddisfazione. La legge fallimentare disciplina anche le modalità di vendita stabilendo che il curatore per quanto riguarda la vendita e gli atti di liquidazione può scegliere il procedimento e gli strumenti che ritiene più utili purchè vi sia una procedura competitiva, alla quale cioè potenzialmente possono partecipare più soggetti da porre in competizione tra di loro, e sia assicurata da parte di esperti la stima dei beni da liquidare nonché una idonea pubblicità e informazione.

352) continua – f) la ripartizione dell’attivo - Con la ripartizione dell’attivo le somme ricavate dalla liquidazione vengono distribuite tra i creditori. Ciò avviene sulla base di un progetto predisposto dal curatore nel quale però il riparto deve seguire un ordine preciso stabilito dalla legge fallimentare. Pertanto devono essere soddisfatti in primo luogo i crediti prededucibili, ossia quelli sorti nel corso dell’esercizio provvisorio dell’impresa o sorti in funzione del fallimento o di altra procedura concorsuale. In secondo luogo vengono soddisfatti i creditori privilegiati secondo l’ordine stabilito dalla legge. In terzo luogo vengono soddisfatti i creditori chirografari in proporzione al loro relativo ammontare. La distribuzione non riguarda tutte le somme disponibili in quanto devono essere accantonate alcune somme per eventuali imprevisti e per la soddisfazione di eventuali creditori ammessi con riserva o che abbiano sollevato opposizione e la cui domanda sia stata accolta con sentenza non passata in giudicato. Il progetto viene depositato in cancelleria e i creditori possono presentare reclamo entro quindici giorni dal deposito. Il riparto finale avviene dopo la approvazione del rendiconto del curatore e la liquidazione del relativo compenso.

353) Chiusura della procedura - La procedura di fallimento si chiude nelle seguenti ipotesi : a) ripartizione finale dell’attivo (in questo caso infatti si compie l’oggetto della esecuzione concorsuale) b) avvenuta estinzione di tutti i debiti (in questo caso di determina infatti il venir meno della ragione della procedura concorsuale) c) mancata proposizione delle domande di ammissione al passivo nel

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termine stabilito. In questo caso, in mancanza di concorso, viene meno la ragione della procedura concorsuale. Questa ipotesi non va confusa con quella di mancanza di creditori in quanto in questo caso deve essere disposta non la chiusura ma la revoca del fallimento. d) insufficienza dell’attivo. Tale ipotesi si ha quando nel corso della procedura viene accertato che essa non sarebbe in grado di soddisfare neanche parzialmente i creditori chirografari, prededucibili e le spese di procedura. La chiusura del fallimento deve essere dichiarata dal tribunale con decreto, contro il quale è ammesso reclamo alla corte di appello contro il quale è ammesso il ricorso in cassazione. Il decreto di chiusura ha efficacia dal momento in cui è decorso il termine per il reclamo o esso è stato definitivamente rigettato.

354) Il concordato fallimentare - Una particolare forma di chiusura della procedura di fallimento è costituita dal concordato fallimentare. Il concordato fallimentare non va confuso con quegli accordi extragiudiziali che il fallito può concludere con tutti i creditori, i quali possono comportare la chiusura del fallimento ma non costituiscono concordato, in quanto il concordato richiede sia un accordo con i creditori che un provvedimento giurisdizionale di omologazione Tale procedura è stata profondamente rinnovata dalla riforma che, riconoscendo un più ampio ruolo agli interessi privati nel fallimento, ha ridotto la funzione del giudice delegato il quale ha solo il compito di verificare la regolarità della procedura essendo escluso ogni suo controllo nel merito. Per tale motivo dopo la riforma il provvedimento di omologazione del concordato viene assunto con decreto e non più con sentenza. Il concordato fallimentare è una proposta, avanzata dal fallito, da uno o più creditori, o da un terzo (tra cui anche il curatore) con la quale il proponente paga in percentuale o per intero i debiti del fallito acquistando in cambio i beni costituenti l’attivo fallimentare. Colui che propone il concordato deve presentare idonee garanzie per la soddisfazione dei crediti nei limiti della proposta fatta , nonché per il pagamento delle spese di procedura e del compenso del curatore. La proposta di concordato può attuarsi in una forma particolare quando il terzo che formula la proposta libera immediatamente il fallito (in questo caso si dice che il terzo è assuntore del concordato). In questo caso infatti alla omologazione del concordato segue l’immediata liberazione del fallito con la conseguenza che le obbligazioni nascenti dal concordato riguardano solo l’assuntore e non possono determinare in nessun modo la riapertura del fallimento. Inoltre la proposta, qualora sia presentata da uno o più creditori, può riguardare non solo la massa dell’attivo ma anche le azioni di massa già autorizzate dal giudice delegato: in tal caso si ha la cessione delle azioni revocatorie e quindi il terzo, assumendosene i rischi, viene a svolgere i compiti liquidatori tipici della procedura fallimentare. La proposta di concordato viene presentata con ricorso al giudice delegato il quale deve acquisire il parere favorevole del curatore e deve sottoporla all’approvazione del comitato dei creditori. Il concordato riguarda essenzialmente i creditori chirografari dovendo essere i creditori privilegiati soddisfatti per intero. Tuttavia la proposta di concordato può prevedere la soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati e in questo caso anche questi sono ammessi a dare adesione al concordato e considerati nel calcolo della maggioranza in quanto sono considerati creditori chirografari per la parte residua del credito. Per l’approvazione della proposta di concordato occorre il voto favorevole della maggioranza dei creditori. Nel caso sia raggiunta la maggioranza richiesta il giudice delegato effettua comunicazione al proponente affinchè possa chiedere l’omologazione al tribunale, al fallito e ai creditori dissenzienti per la proposizione di eventuali opposizioni alla omologazione. In mancanza di opposizione il tribunale, verificata la regolarità della procedura, omologa il concordato con decreto motivato. Il decreto che omologa il concordato è appellabile davanti alla corte di appello entro 30 giorni dalla notificazione. Contro il decreto della corte di appello è ammesso ricorso in cassazione entro 30 giorni. Una volta definitivo il decreto di omologazione la proposta di concordato diviene efficace e il tribunale dichiara chiuso il fallimento. Tuttavia se le garanzie promesse dal proponente non vengono costituite o se gli obblighi fissati nel concordato non vengono eseguiti il tribunale, su richiesta di qualsiasi creditore, pronuncia la risoluzione del concordato e riapre la procedura di fallimento (salvo il caso in cui il proponente sia assuntore). Nel caso in cui invece il passivo sia stato dolosamente esagerato o sia stata sottratta una parte rilevante dell’attivo il curatore o i creditori possono chiedere l’annullamento del concordato con la riapertura del fallimento. Il concordato ha efficacia sia nei confronti dei creditori che siano stati ammessi al passivo e sia nei confronti degli altri

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creditori, anteriori alla dichiarazione di fallimento che non abbiano presentato domanda di ammissione al passivo. Questi ultimi però potranno pretendere dal proponente solo il pagamento nei limiti previsti nella proposta di concordato.

355) La riapertura del fallimento - La procedura di fallimento può essere riaperta nei seguenti casi . a) in conseguenza della risoluzione o annullamento del concordato fallimentare b) quando, non essendo stati totalmente soddisfatti i creditori, pervengano nel patrimonio del fallito altre attività che rendano utile il provvedimento. La sentenza che dichiara la riapertura del fallimento richiama in funzione il giudice delegato o ne nomina uno nuovo e fissa i termini per le domande di ammissione al passivo . Il procedimento si svolge con le forme già descritte. La riapertura del fallimento deve essere considerata come una continuazione del fallimento precedente con la differenza che ad essa partecipano anche i creditori nuovi, i cui diritti siano sorti dopo la chiusura del fallimento. In tal modo i vecchi creditori beneficiano delle nuove attività ma devono subire l’onere del concorso dei nuovi creditori.

356) La esdebitazione - La chiusura del fallimento determina il venir meno degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e delle conseguenti incapacità patrimoniali. Tuttavia i creditori singoli del fallito riacquistano piena libertà di azione per la realizzazione della parte non soddisfatta dei loro crediti e quindi possono esercitare l’azione revocatoria ordinaria prevista dal codice civile. E’ ovvio che tale situazione determina per il fallito un grave ostacolo per la possibilità di intraprendere una nuova attività economica in quanto i guadagni realizzati con essa possono essere aggrediti anche dai creditori precedenti al fallimento. Per tale motivo e quindi per liberare l’imprenditore fallito dai vincoli posti alla sua azione economica futura dal precedente fallimento la legge prevede l’istituzione della esdebitazione. Tale istituto, prima della riforma, era previsto solo per le ipotesi di concordato fallimentare e di concordato preventivo, ma ora è stato generalizzato. Grazie a tale istituto (che è applicabile solo al fallito persona fisica e non società) il fallito viene liberato sia dai creditori concorsuali concorrenti non soddisfatti ( e cioè da tutti i creditori ammessi al passivo) sia dai creditori concorsuali non concorrenti (ossia quelli che non hanno fatto domanda di ammissione al passivo). Questi ultimi potranno pretendere solo il pagamento nei limiti della percentuale pagata ai creditori concorsuali. La concessione di tale beneficio presuppone la presenza di requisiti sia relativi alla persona del fallito che al tipo di credito su cui l’istituto stesso deve operare. Per quanto riguarda il primo aspetto l’esdebitazione può essere concessa solo al fallito che nel corso della procedura abbia cooperato con gli organi del fallimento, non abbia ritardato lo svolgimento della procedura, abbia consegnato l’intera documentazione al curatore, non sia stato condannato per reati di bancarotta fraudolenta, abbia soddisfatto almeno in parte i creditori ammessi al passivo e non abbia beneficiato dell’esdebitazione nei 10 anni precedenti alla richiesta. Per quanto riguarda il secondo aspetto la legge esclude dalla esdebitazione gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti non derivanti dall’esercizio dell’impresa o per il risarcimento di danni derivanti da illecito extracontrattuale. La esdebitazione viene pronunciata con decreto del tribunale compreso nel decreto di chiusura del fallimento o con decreto autonomo entro l’anno successivo su richiesta del fallito. Essa deve essere notificata ai creditori non integralmente soddisfatti. Contro il decreto è ammesso reclamo da parte di qualunque interessato.

4) Il fallimento delle società

357) Deviazione dai principi comuni – Problemi particolari si pongono quando l’imprenditore fallito è una società. In primo luogo la legge fallimentare pone a carico degli amministratori e dei liquidatori alcuni obblighi e responsabilità, che in conseguenza del fallimento, incombono sul fallito. Così gli amministratori e i liquidatori sono tenuti all’obbligo di comunicare al curatore ogni cambiamento della residenza o del domicilio e a presentarsi personalmente agli organi del fallimento, devono essere sentiti ogni volta che la legge dispone che debba essere sentito il fallito, e così su di loro ricadono responsabilità penali nel caso di bancarotta semplice o fraudolenta o nel caso degli altri reati fallimentari. Un problema particolare è stato posto dall’applicabilità alle società dell’art. 10 della legge fallimentare che dispone la possibilità di una dichiarazione di fallimento dopo la cessazione

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dell’impresa, entro un anno dal verificarsi della cessazione. A tale proposito la corte costituzionale ha identificato la cessazione dell’impresa con la cancellazione dal registro delle imprese stabilendo che il termine annuale debba decorrere, nel caso delle società, dalla cancellazione dal registro delle imprese. La corte ha anche differenziato tra imprenditori individuali e società stabilendo che per i primi la cancellazione dal registro ha solo valore presuntivo in quanto è consentito al creditore e al pubblico ministero di dimostrare che l’effettiva cessazione è avvenuta dopo la cancellazione, mentre per le società tale dimostrazione può essere fornita solo nel caso di cancellazione d’ufficio e solo per le società di persone, dal momento che per le società per azioni la cancellazione dal registro delle imprese ha valore costitutivo e quindi nessuna attività successiva può essere riferita ad una società di capitali dopo il momento della cancellazione. La dichiarazione di fallimento non comporta il venir meno degli organi societari solo che, in conseguenza dello spossessamento dei beni e dell’amministrazione, gli organi societari possono compiere solo quegli atti processuali che durante il fallimento spettano al fallito. Così gli amministratori e i liquidatori possono proporre reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, possono proporre al tribunale proposta di concordato o le istanze ritenute opportune nell’interesse della società. AL di fuori di ciò l’attività degli organi sociali è sostituita dall’attività del curatore che, senza necessità di deliberazione dei soci, con la sola autorizzazione del giudice delegato sentito il parere del comitato dei creditori, può proporre azione di responsabilità contro gli amministratori,, i liquidatori e i sindaci e può far valere l’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali per l’esercizio scorretto della attività di direzione e coordinamento della società. Gli atti che la società può compiere dopo la dichiarazione di fallimento sono compiuti dai legali rappresentanti secondo le norme statutarie e per quanto riguarda il concordato, esso può essere proposto dai legali rappresentanti solo previa approvazione della maggioranza dei soci nelle società di persone o degli amministratori nelle società di capitali. Altro principio particolare applicabile alle società e quello che per effetto del fallimento i versamenti delle quote non ancora effettuati dai soci diventano immediatamente esigibili anche se non è scaduto il termine stabilito per il pagamento. Al di là di queste integrazione gli altri principi della procedura fallimentare si applicano integralmente in caso di fallimento della società.

358) Fallimento della società e fallimento dei soci illimitatamente responsabili - In caso di fallimento di società di persone o di società in accomandita per azioni la legge stabilisce che il fallimento della società comporta automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili . Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili si attua quindi automaticamente in caso di fallimento di società anche se il socio non è imprenditore e il suo patrimonio non è dissestato in quanto esso trova causa nel fallimento della società e nel rapporto sociale essendo irrilevante la personale situazione patrimoniale e professionale del socio stesso.

359) Estensione automatica del fallimento dalla società al socio : il fondamento – Abbiamo detto che il fallimento del socio illimitatamente responsabile trova la sua causa nel fallimento della società e tale estensione ha una giustificazione pratica dal momento che consente una perfetta realizzazione della responsabilità sussidiaria del socio attraverso l’applicazione nei suoi confronti della procedura concorsuale e quindi di quei principi che mirano a garantire la par condicio creditorum. Per effetto della estensione anche rispetto agli atti compiuti dal socio possono essere proposte le azioni revocatorie fallimentari al fine di ricostituire oltre al patrimonio della società anche il patrimonio del socio al momento in cui si è verificato il dissesto della società garantendo anche su questo il soddisfacimento paritetico dei creditori. Occorre sottolineare che la corte costituzionale ha stabilito l’obbligatorietà della audizione dei singoli soci illimitatamente responsabili prima della dichiarazione di fallimento della società.

360) continua – L’ambito – Il principio per cui il fallimento della società comporta il fallimento dei soci illimitatamente responsabili si applica anche in caso di socio occulto in quanto non ha rilievo il fatto che la qualità di socio risulti palesemente o che invece il rapporto sociale sia interno e non manifesto ai terzi. Pertanto se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili che inizialmente non apparivano come tali il tribunale (su istanza del

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curatore, di creditori o di un socio fallito) deve dichiarare anche il loro fallimento. Assume responsabilità illimitata e pertanto viene dichiarato fallito anche il socio accomandante che abbia consentito alla inclusione del suo nome nella ragione sociale o si sia ingerito nell’amministrazione della società. Nessuna modificazione si ha invece in conseguenza della inosservanza delle norme che regolano la costituzione della società. Infatti nella società di capitali dato che la società non esiste finchè il procedimento costitutivo non è regolarmente compiuto manca la possibilità di dichiarare fallimento della società mentre l’accomandante rimane tale e (al di fuori delle ipotesi sopra considerate) e non assume responsabilità illimitata e quindi non può essere dichiarato fallito solo perché la società non si è regolarmente costituita. Problema particolare è invece quello se l’estensione del fallimento possa operare anche nei confronti dei soci receduti o esclusi o degli eredi del socio defunto. A tale proposito, a seguito di due sentenze della corte costituzionale, la legge espressamente dispone che il fallimento della società si estende anche ai soci illimitatamente responsabili receduti, esclusi o defunti ma solo qualora il fallimento sia dichiarato entro l’anno successivo allo scioglimento del rapporto sociale e sempre che l’insolvenza della società attenga almeno in parte a debiti esistenti a quella data.

361) Il fallimento della società non manifesta - Altri problemi sorgono nel caso di società non manifesta (o occulta) nell’ipotesi che l’attività sociale sia esercitata sotto il nome di uno dei soci o di un terzo e pertanto l’impresa, pur essendo sociale, si presenta nei rapporti con i terzi come una impresa individuale. In questo caso se emerge prima della dichiarazione di fallimento che l’impresa fa capo ad una società non manifesta può essere dichiarato il fallimento di questa società con gli effetti che ne derivano a carico dei soci illimitatamente responsabili. Tuttavia in genere accade che presentandosi esteriormente l’impresa come impresa individuale il fallimento viene dichiarato nei confronti di colui che appare come imprenditore individuale e l’esistenza di una società non manifesta emerge solo successivamente nel corso della procedura fallimentare. In questo caso la legge stabilisce che il tribunale, con sentenza in camera di consiglio, estende gli effetti del fallimento a chi risulta socio illimitatamente responsabile dopo che è stata dichiarata l’insolvenza sia dell’impresa individuale che della società. Tale principio era stato posto dalla legge solo con riferimento alla dichiarazione di insolvenza delle grandi imprese ma in occasione della riforma è stato esteso anche al fallimento. Pertanto se dopo che è stato dichiarato il fallimento di un imprenditore individuale emerge successivamente l’esistenza di un socio illimitatamente responsabile (e quindi di una società) gli effetti del fallimento vengono estesi anche a tale socio tramite apposita sentenza del tribunale.

362) Autonomia delle procedure fallimentari della società e dei soci - Nel caso di estensione del fallimento della società ai soci la legge prevede una unificazione degli organi fallimentari in quanto per tutti i fallimenti vengono nominati un solo curatore e un solo giudice delegato anche se possono esistere più comitati di creditori. Tuttavia i patrimoni debbono essere tenuti distinti così come distinte sono le procedure. Infatti se tutti i creditori sociali concorrono anche nei fallimenti dei singoli soci, nel fallimento dei singoli soci concorrono anche i creditori particolari del socio singolo e quindi è necessario tenere separate le singole masse fallimentari. Occorre tenere presente che, in conseguenza della responsabilità solidale che grava sul socio, i creditori sociali finchè non sono soddisfatti concorrono per l’intero credito nel fallimento dei singoli soci. Se però il creditore sociale percepisce nel fallimento del singolo socio più della parte che il socio è tenuto, in base ai rapporti sociali, a sopportare, sorge il diritto di regresso nei confronti delle altre masse fallimentari e la possibilità del fallimento che ha pagato di più di insinuarsi negli altri fallimenti. L’autonomia dei singoli fallimenti comporta che rispetto a ciascuno si deve provvedere in modo autonomo alla verifica dei crediti e al compimento degli atti previsti dalla procedura fallimentare. La chiusura dei singoli fallimenti può avvenire in diversi momenti e per diverse cause e quindi la chiusura può avvenire per insufficienza di attivo o per il compimento delle operazioni fallimentari o per concordato. La legge dispone che ciascuno dei soci falliti può proporre un concordato ai creditori sociali e particolari concorrenti nel proprio fallimento.

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363) Chiusura del fallimento della società e fallimento dei soci – La chiusura del fallimento del socio singolo non è rilevante rispetto al fallimento della società e degli altri soci mentre la chiusura del fallimento della società non è rilevante rispetto ai fallimenti dei singoli soci quando avviene per insufficienza di attivo o per esaurimento delle operazioni fallimentari. Se invece la chiusura del fallimento della società si ha per mancanza di creditori concorrenti, per soddisfacimento integrale di essi o per concordato necessariamente influisce sul fallimento dei singoli soci determinandone la chiusura.

364) Fallimento della società e patrimoni destinati ad uno specifico affare. – Un altro problema si pone nel caso di fallimento di società che abbia destinato un patrimonio per lo svolgimento di uno specifico affare. La legge stabilisce che in tal caso l’amministrazione del patrimonio separato spetta al curatore che vi provvede con gestione separata. Se tale patrimonio è idoneo a continuare a svolgere la sua funzione produttiva deve essere ceduto a terzi e il corrispettivo della cessione, dedotti i debiti gravanti sul patrimonio, viene acquisito all’attivo del fallimento. Se tale cessione non è possibile o se il patrimonio risulta incapiente il curatore provvede alla sua liquidazione. Se la liquidazione fornisce un residuo attivo e i creditori particolari sono tutti soddisfatti tale residuo viene acquisito nell’attivo fallimentare. Se invece i creditori particolari rimangono parzialmente insoddisfatti (nel caso in cui si verifichi una delle ipotesi in cui risponde anche il restante patrimonio della società) possono presentare domanda di ammissione al passivo del fallimento della società.

CAPITOLO III IL CONCORDATO PREVENTIVO

365) La domanda di ammissione alla procedura – L’imprenditore che si trova in stato di crisi (lo stato di crisi comprende una vasta gamma di situazioni che vanno dalle semplici condizioni di difficoltà economiche dell’imprenditore fino allo stato di insolvenza) può chiedere di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori in qualunque forma, l’attribuzione delle attività dell’impresa ad un assuntore, la suddivisione dei creditori in classi omogenee al fine di sottoporre i creditori appartenenti a classi diverse a trattamenti differenziati, e la possibilità di una soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati (così come avviene per il fallimento). La procedura di concordato preventivo è come il fallimento una procedura concorsuale ma a differenza di esso può essere iniziata solo su istanza dell’imprenditore mediante ricorso al tribunale del luogo dove si trova la sede principale della sua impresa. Il ricorso che deve essere comunicato al pubblico ministero deve essere corredato da una relazione sulla situazione patrimoniale ed economica dell’impresa, dal’elenco dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, e dalla indicazione dei creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. In caso di società la proposta di concordato preventivo deve essere sottoscritta dai legali rappresentanti e approvata dalla maggioranza dei soci o deliberata dagli amministratori. Alla domanda deve essere allegata una relazione compilata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e in possesso dei requisiti per assumere il ruolo di curatore.

366) I provvedimenti del tribunale - Il tribunale può :a) dichiarare inammissibile la proposta di concordato con decreto non soggetto a reclamo. In questo caso, su istanza del creditore o su iniziativa del p.m., una volta accertato che ne esistono i presupposti, può dichiarare il fallimento del debitore con sentenza reclamabile. B) in caso di valutazione positiva sulla regolarità della proposta dichiara con decreto non soggetto a reclamo aperta la procedura di concordato preventivo. In questo caso ordina la convocazione dei creditori nei tempi previsti, nomina il commissario giudiziale, stabilisce i termini entro i quali l’imprenditore proponente deve depositare nella cancelleria del tribunale la metà della somma che si ritiene necessaria per la copertura delle spese dell’intera procedura. Se il deposito non viene effettuato nei termini richiesti il tribunale d’ufficio apre il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, e in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, dichiara (sempre su iniziativa di parte) il fallimento.

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367) Effetti dell’ammissione al concordato preventivo - A differenza dal fallimento l’ammissione al concordato preventivo non determina lo spossessamento del debitore e la sua sostituzione nell’amministrazione dell’impresa ma al contrario il debitore mantiene l’amministrazione dei beni e continua nell’esercizio dell’impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione il debitore ha bisogno dell’autorizzazione scritta del commissario giudiziale; gli atti di questo tipo eventualmente compiuti senza l’autorizzazione sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato e inoltre il compimento di tali atti determina la revoca dell’ammissione al concordato ed eventualmente la dichiarazione di fallimento. Per quanto riguarda i creditori l’apertura del procedimento di concordato preventivo determina la preclusione delle azioni esecutive individuali e l’arresto di quelle in corso e la scadenza immediata di tutti i crediti che verranno computati ai fini del concorso secondo le norme fissate per il fallimento. L’apertura del procedimento non comportando la cessazione dell’esercizio dell’impresa non determina invece alcuna conseguenza per i contratti in corso di esecuzione che devono avere il loro normale svolgimento e non determina la revoca degli atti compiuti dal debitore anteriormente alla domanda di concordato che siano pregiudizievoli per i creditori. Infatti poiché i creditori sono liberi di aderire o meno alla proposta di concordato preventivo potranno valutare la convenienza della proposta stessa sia in relazione al patrimonio del debitore esistente al momento della proposta sia in relazione alla parte di esso che sia stata alienata e che potrebbe essere acquisita alla massa in caso di fallimento.

368) Gli organi della procedura – Organi della procedura sono il tribunale, il giudice delegato e il commissario giudiziale. Il tribunale è l’organo supremo che deve risolvere, in sede di reclamo, i conflitti sorti sul compimento di atti del debitore senza l’autorizzazione de giudice delegato dove essa è necessaria, e di omologare la proposta di concordato. Il giudice delegato è competente a dare le autorizzazioni richieste, presiede l’adunanza dei creditori, riferisce al tribunale circa l’approvazione o la mancata approvazione del concordato. Il commissario giudiziale redige l’inventario del patrimonio, vigila sull’operato del debitore nell’amministrazione dei beni e nell’esercizio dell’impresa riferendo al giudice delegato. Nell’esercizio delle sue funzioni è pubblico ufficiale, ha diritto ad un compenso per la sua opera, assume responsabilità per gli atti compiuti e può essere revocato dal tribunale su richiesta del giudice delegato o d’ufficio.

369) Le fasi della procedura – La procedura si articola in tre fasi. A) accertamento della situazione patrimoniale del debitore . Fa parte di questa fase la redazione dell’inventario da parte del commissario giudiziale che comporta un controllo dei dati forniti dal debitore al momento della proposta di concordato. In tale sede se il commissario giudiziale rileva che il debitore ha occultato dolosamente una parte dell’attivo o ha esposto passività insussistenti, riferisce al tribunale che apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’’ammissione al concordato e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, una volta accertata la sussistenza dei presupposti di legge, dichiara con sentenza il fallimento. (la stessa conseguenza si verifica se il debitore compie atti di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del giudice delegato). B) approvazione della proposta di concordato. Il concordato è approvato con il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto e se è prevista la formazione di classi diverse di creditori quando tale maggioranza si verifica nel maggior numero di esse. Se la maggioranza non si raggiunge la proposta si intende respinta, il giudice delegato informa il tribunale che può provvedere alla dichiarazione di fallimento. Sono esclusi dalla votazione i creditori muniti di privilegio (a meno che non rinuncino almeno parzialmente al diritto di prelazione), il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado, i creditori che siano stati esclusi dal giudice delegato in conseguenza di contestazioni sollevate da altri creditori o dal debitore (essi possono opporsi all’esclusione in sede di omologazione al concordato se la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione della maggioranza). C) omologazione del concordato - Una volta approvato il concordato dalla maggioranza dei creditori prevista il giudice delegato riferisce al tribunale che fissa la data dell’udienza in camera di consiglio. Il debitore, il commissario giudiziale, i creditori dissenzienti possono costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza. Se non ci sono opposizioni il tribunale dopo aver verificato la regolarità della procedura e l’esito della votazione omologa il concordato con decreto motivato con il quale stabilisce

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la modalità di deposito delle somme spettanti ai creditori contestati o irreperibili. Se respinge il concordato il tribunale può dichiarare, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, e previo accertamento dei presupposti di legge, il fallimento. Contro il provvedimento che omologa o respinge il concordato è ammesso reclamo ala corte di appello; lo stesso reclamo è ammesso per la sentenza dichiarativa di fallimento eventualmente emessa contestualmente al decreto che respinge il concordato. Con il decreto di omologazione la procedura di concordato si chiude. Tuttavia il commissario giudiziale deve sorvegliarne l’adempimento, riferire al giudice ogni fatto che possa arrecare pregiudizio ai creditori e controllare che sia stato effettuato il deposito per le somme dovute ai creditori che risultano irreperibili. Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori antecedenti al decreto di ammissione alla procedura e in caso di società anche per gli eventuali soci illimitatamente responsabili.

370) Risoluzione e annullamento del concordato - La risoluzione del concordato per inadempimento può essere richiesta da ciascun creditore entro un anno dalla scadenza del termine dell’ultimo adempimento previsto ma non può essere pronunciata se l’inadempimento ha scarsa rilevanza o se vi sia un terzo assuntore degli obblighi del concordato con conseguente liberazione del debitore. L’annullamento del concordato può avvenire su istanza del commissario giudiziale o dei singoli creditori quando dopo l’omologazione si scopre che il passivo è stato dolosamente esagerato o che è stata sottratta una parte rilevante dell’attivo. Il ricorso deve essere presentato entro sei mesi dalla scoperta del dolo, Non sono ammesse altre azioni di nullità o annullamento.

371) Passaggio dal concordato preventivo al fallimento - Per il passaggio dal concordato preventivo al fallimento, a seguito della riforma è richiesta una iniziativa di parte (e quindi l’istanza del creditore o il ricorso del pubblico ministero) in quanto il tribunale non può più dichiarare il fallimento d’ufficio, e l’accertamento dei presupposti del fallimento. Si pone quindi il problema dei crediti sorti durante la procedura di concordato preventivo. In primo luogo occorre dire che ai fini del concorso fallimentare rimangono esclusi i crediti sorti durante la procedura di concordato preventivo senza il rispetto delle relative regole e quindi i crediti sorti sulla base di atti di straordinaria amministrazione senza la necessaria autorizzazione. In tal caso l’atto pur essendo valido nei confronti del debitore non ha rilevanza per i creditori concorrenti e quindi i relativi creditori non sono abilitati a partecipare al concorso neanche in posizione subordinata. Solo a concorso chiuso essi potranno far valere i loro diritti sui beni residui o sui beni successivamente acquistati dall’imprenditore e non attraverso una procedura concorsuale ma tramite una forma di esecuzione singolare. Per quanto riguarda invece i crediti sorti legittimamente durante il concordato preventivo essi devono considerarsi come crediti prededucibili nel successivo fallimento. Il compenso del commissario giudiziale per l’attività svolta durante il concordato preventivo viene considerato invece tra le spese di giustizia fatte nell’interesse comune dei creditori e quindi privilegiate sul ricavato dei beni e quindi sulle somme vincolate a tale scopo sin dall’inizio del concordato preventivo i creditori non possono soddisfarsi se non una volta pagati i crediti per cui la somma era stata destinata.

372) L’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti - A seguito della riforma è stata riconosciuta all’imprenditore in stato di crisi la possibilità di chiedere al tribunale l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti conclusi con i propri creditori in sede stragiudiziale (cioè al di fuori non solo di una procedura concorsuale ma anche da qualunque controllo da parte di una autorità pubblica) purchè ci sia il consenso dei creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti. L’accordo deve essere accompagnato da una relazione di un esperto iscritto nel registro dei revisori contabili circa la sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. Tali accordi nonostante l’omologazione restano stragiudiziali e quindi vincolano solo le parti e non i creditori estranei e diventano efficaci dal giorno della pubblicazione nel registro delle imprese. Da tale data decorre anche il termine entro il quale i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione.

Capitolo IV LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA

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373) Origine, fondamento e caratteri – La liquidazione coatta amministrativa è disposta dall’autorità amministrativa per alcune imprese come le imprese di assicurazione o bancarie, le società cooperative, le società fiduciarie, di intermediazione mobiliare, di gestione di fondi comuni di investimento. A differenza dalle altre procedure concorsuali la liquidazione coatta amministrativa può essere disposta, oltre che per la crisi economica dell’impresa anche per altri motivi quali l’irregolare funzionamento dell’impresa o l’esistenza di ragioni di pubblico interesse che impongano la soppressione dell’ente. Pertanto quando il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa è determinato da ragioni diverse dalla crisi economica dell’impresa lo scopo cui il provvedimento tende non è la soddisfazione paritetica dei creditori ma la soppressione dell’ente. E’ chiaro però che in questi casi la soddisfazione paritetica dei creditori diventa un presupposto necessario per realizzare lo scopo della soppressione dell’ente.

374) Inserzione della disciplina nella legge fallimentare - L’inserimento della liquidazione coatta amministrativa nella legge fallimentare accanto alle altre procedure concorsuali sembrerebbe quindi giustificata solo nel caso in cui essa venga disposta a conseguenza di una crisi economica dell’impresa. Tuttavia tale inserimento determina una estensione di alcune regole del concorso a tutte le ipotesi di liquidazione coatta amministrativa. Solo nel caso in cui la liquidazione sia disposta per crisi economica dell’azienda e tale crisi venga giudizialmente accertata (come vedremo dopo) vengono estese ad essa le norme che regolano gli atti compiuti dal debitore con pregiudizio dei creditori prima della messa in liquidazione e i reati fallimentari.

375) Rapporti con le altre procedure concorsuali -. Per quanto riguarda i rapporti tra la liquidazione coatta amministrativa e le altre procedure concorsuali, in particolare il fallimento, valgono le seguenti regole : a) per le imprese per le quali è prevista la liquidazione coatta amministrativa il fallimento può essere dichiarato solo dove la legge lo ammette. Pertanto può essere dichiarato il fallimento per le società cooperative che esercitano attività commerciale ma non per le imprese di assicurazione (per le quali la legge esclude l’assoggettamento alle procedure concorsuali ad eccezione della liquidazione coatta amministrativa. 2) nel caso la legge ammetta il fallimento vige il principio della prevenzione e quindi la dichiarazione di fallimento esclude la liquidazione coatta e viceversa. c) quando il fallimento non è ammesso dalla legge o quando è ammesso ma l’impresa è stata già sottoposta a liquidazione coatta in sostituzione della dichiarazione di fallimento abbiamo una diversa procedura, l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza. Tale procedura ha l’effetto di rendere applicabile anche alla liquidazione coatta le norme del concorso dirette a tutelare i creditori contro gli atti compiuti precedentemente dal debitore che hanno determinato la violazione della par condicio, nonché le norme in tema di reati fallimentari. Vediamo quindi come la differenza sostanziale tra fallimento e liquidazione coatta non sta tanto nella posizione degli interessati (debitore, creditore, terzi) ma nella procedura stessa e quindi nelle modalità di attuazione del concorso. Tali differenze nascono dal fatto che il fallimento è una procedura che si attua totalmente nell’ambito giurisdizionale mentre la liquidazione coatta è una procedura che si svolge nell’ambito amministrativo riservando all’autorità giudiziaria solo l’accertamento dell’eventuale stato di insolvenza e la risoluzione di eventuali conflitti.

376) Funzioni giurisdizionali e attività amministrativa – Le funzioni giurisdizionali nella procedura di liquidazione coatta sono limitate quindi all’accertamento dello stato di insolvenza, alla risoluzione delle controversie relative alla formazione dello stato passivo, alla risoluzione delle impugnazioni proposte con il bilancio di liquidazione e il piano di riparto dell’attivo, all’approvazione del concordato (e alla sua risoluzione o annullamento). Tutte le altre funzioni inerenti alla liquidazione coatta amministrativa sono quindi svolte dall’autorità amministrativa e dagli organi da essa nominati e di conseguenza è atto della pubblica amministrazione il provvedimento che ordina la liquidazione ed è organo amministrativo il commissario liquidatore, spettano alla pubblica amministrazione la vigilanza sull’operato del commissario liquidatore e le altre funzioni che nel fallimento spettano al comitato dei creditori e al giudice delegato. Pertanto l’emanazione del provvedimento che determina la liquidazione coatta è un atto di valutazione della p.a. che può essere solo provocato dai creditori o altri interessati in quanto è compito della p.a. valutare l’esistenza dei presupposti per dar luogo al

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provvedimento. Di fronte alla eventuale inerzia della p.a. o di fronte al suo rifiuto di provvedere possono essere esperiti i rimedi concessi per la violazione di interessi legittimi da parte della p.a. e tali rimedi possono essere esperiti anche nel caso in cui la p.a. adotti tale provvedimento al di fuori delle ipotesi previste dalla legge.

377) Accertamento giudiziale dell’insolvenza - Nel caso di insolvenza dell’impresa (purchè si tratti di impresa privata) i creditori e l’autorità di vigilanza possono richiedere all’autorità giudiziale la dichiarazione dello stato di insolvenza. Dato il rilievo pubblicistico dell’impresa la legge richiede che il tribunale prima di dichiarare lo stato di insolvenza debba sentire il debitore e l’autorità amministrativa che ha la vigilanza sull’impresa. E’ chiaro che ciò non impedisce al tribunale di dichiarare lo stato di insolvenza qualora esso sussista (in base a ragioni di pubblico interesse) ma ha invece lo scopo di far sì che la p.a. possa fornire elementi utili ad escludere lo stato di insolvenza prima che lo stesso venga giudizialmente dichiarato o di prendere i provvedimenti opportuni per evitarlo prima che se ne determinino conseguenze. Come ogni altro atto amministrativo il provvedimento che ordina la liquidazione può essere revocato dalla stessa autorità che lo ha emanato ma qualora sia stato dichiarato lo stato di insolvenza ciò non è più possibile (a meno che non sia stato proposto e accolto il reclamo contro la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza). Nello stesso modo è possibile che qualora, a seguito di reclamo accolto, lo stato di insolvenza venga revocato, la p.a. mantenga comunque la liquidazione. In questo caso l’effetto della revoca dello stato di insolvenza sarà solo quello di rendere inapplicabili le norme connesse a tale accertamento. L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza può essere precedente o successivo al provvedimento che ordina la liquidazione. Nel primo caso con la sentenza che dichiara l’insolvenza il tribunale adotta i provvedimenti conservativi del patrimonio in attesa che inizi la procedura di liquidazione, nel secondo caso non vi è necessità di provvedimenti conservativi (essendo in funzione il commissario liquidatore) e quindi conseguenza della sentenza è solo quella di rendere applicabili alla liquidazione amministrativa le norme sulla revoca degli atti pregiudizievoli per i creditori e le sanzioni penali previste per i reati fallimentari. Possono richiedere l’accertamento i creditori, l’autorità di vigilanza e la stessa impresa e, nel caso di impresa già sottoposta alla liquidazione coatta, anche il commissario liquidatore o il pubblico ministero.

378) Effetti del provvedimento di ,liquidazione - Il provvedimento dell’autorità amministrativa che ordina la liquidazione determina l’apertura del concorso, deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e depositato all’Ufficio del registro delle imprese. Il provvedimento di liquidazione determina lo spossessamento del debitore di tutti i beni (tranne quelli personalissimi) e la sostituzione del commissario liquidatore all’imprenditore e. per le società, agli organi sociali, nell’amministrazione del patrimonio e nella rappresentanza processuale nonché tutti gli effetti determinati dalle altre procedure concorsuali (in particolare il fallimento) nei confronti dei creditori e dei rapporti giuridici preesistenti.

379) Organi della liquidazione amministrativa - Gli organi sono il commissario liquidatore, l’autorità di vigilanza e il comitato di sorveglianza. Il commissario liquidatore ha posizione simile a quella del curatore, è pubblico ufficiale e ha il compito dell’amministrazione del patrimonio ricevuto in consegna sulla base di un inventario dall’imprenditore o dagli organi sociali. Tale compito viene svolto sotto le direttive dell’autorità di vigilanza e il controllo del comitato di sorveglianza. Per gli atti di straordinaria amministrazione deve essere autorizzato dall’autorità di vigilanza, deve eseguire i suoi compiti con diligenza, viene retribuito e risponde del suo operato (e può essere revocato) all’autorità di vigilanza. Spetta al commissario liquidatore anche il compito di formare lo stato passivo (compito spettante nel fallimento al giudice delegato). L’autorità di vigilanza riassume in sé i compiti del giudice delegato, del comitato dei creditori e del tribunale, nominando o revocando il commissario liquidatore, fissandone le direttive e fornendogli tutte le autorizzazioni necessarie. Il comitato di sorveglianza è un organo consultivo che fornisce pareri circa gli atti di straordinaria amministrazione. I suoi pareri sono vincolanti in caso di vendita in blocco dei mobili e degli immobili. Assiste il commissario liquidatore nella sorveglianza sull’esecuzione del concordato.

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380) Fasi del procedimento. A) accertamento del passivo - Fermo restando che le varie fasi del procedimento sono compiute in via amministrativa e non giurisdizionale, l’accertamento del passivo è compito del commissario liquidatore. Coloro che sono riconosciuti come creditori dal commissario liquidatore non hanno bisogno di presentare domanda di riconoscimento del credito e quindi sono soggetti a questo obbligo solo i creditori non riconosciuti o il cui credito sia riconosciuto in misura minore a quello dovuto. Lo stesso sistema viene seguito per i terzi che hanno diritto di rivendicare la restituzione di cose mobili possedute dall’impresa. Il commissario liquidatore esamina le domande e forma l’elenco dei crediti ammessi e di quelli respinti e lo deposita presso la cancelleria del tribunale dandone notizia a tutti coloro la cui domanda non sia stata in tutto o in parte accolta. Con il deposito l’elenco diventa esecutivo ed entro 30 giorni devono essere proposte le opposizioni e le impugnazioni. In questo modo viene ad inserirsi nel procedimento amministrativo una fase giuridsdizionale che si svolge secondo le regole previste nel fallimento. Anche in questo caso sono consentite domande tardive che devono essere proposte mediante ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale. Esse non pregiudicano le ripartizioni già avvenute ma danno solo il diritto a partecipare alle ripartizioni future.

381) continua – b) la liquidazione dell’attivo - Anche la liquidazione dell’attivo è compito del commissario liquidatore, La legge non prescrive particolari norme d seguire ma l’autorità di vigilanza può limitare i poteri del liquidatore o imporre modalità determinate.

382) continua – c) la ripartizione dell’attivo - Le somme realizzate mediante la liquidazione vengono erogate nei modi previsti dalla legge e quindi in primo luogo per il pagamento dei crediti prededucibili, in secondo luogo per i creditori privilegiati, in terzo luogo per i creditori chirografari. Il commissario liquidatore deve sottoporre il piano di riparto insieme ad una relazione del comitato di sorveglianza all’autorità di vigilanza che ne autorizza il deposito presso la cancelleria del tribunale ed eroga il compenso al commissario liquidatore. La notizia del deposito viene pubblicata sulla G.U e data ai creditori che hanno 20 giorni per proporre ricorso al tribunale. Il tribunale provvede su di essi con decreto in camera di consiglio. Le contestazioni possono riguardare sia il bilancio di liquidazione sia il piano di riparto ma nel secondo caso possono riguardare solo le modalità di riparto e non il diritto dei creditori a parteciparvi,, diritto che doveva essere fatto valere precedentemente mediante impugnazione dell’ammissione- Nel caso la liquidazione coatta non sia adottata per crisi economica, a seguito del riparto potrebbe rimanere un residuo che deve essere attribuito agli aventi diritto (imprenditore, soci, ecc). Se nel termine di legge non ci sono contestazioni il bilancio finale e il piano di riparto vengono approvati e pertanto si procede alla ripartizione tra i creditori.

382) Il concordato - Il procedimento di liquidazione può concludersi, invece che con le fasi sopra descritte, con un concordato che ha però struttura diversa da quello visto per il fallimento. Nella liquidazione coatta infatti il concordato si attua senza la partecipazione dei creditori che non devono approvarlo ma possono solo presentare opposizione al tribunale. La tutela dei creditori è quindi rimessa agli organi della liquidazione i quali devono autorizzare il debitore, uno o più creditori o un terzo a proporre il concordato e al tribunale che sentito il parere degli organi della liquidazione e dell’opposizione dei creditori, accoglie o respinge la proposta con decreto in camera di consiglio. Gli organi della procedura rimangono in vita finchè il concordato non viene eseguito per sorvegliarne l’adempimento.. Il concordato può essere risolto su istanza del commissario o dei creditori per inadempimento o può essere annullato qualora sia stato dolosamente esagerato il passivo o sottratta una parte notevole dell’attivo. Con la risoluzione o l’annullamento si riapre la liquidazione amministrativa.

384) La liquidazione coatta delle società - Se l’impresa soggetta a liquidazione coatta è una società il presidente del tribunale può, su richiesta del commissario liquidatore, richiedere ai soci i versamenti non ancora effettuati anche se non sia scaduto il termine per il loro pagamento. Inoltre il commissario può esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori e quella spettante ai creditori per esercizio scorretto dell’attività di direzione e coordinamento di società. La liquidazione coatta a

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differenza del fallimento non si estende ai soci illimitatamente responsabili, tuttavia gli effetti di un eventuale accertamento giudiziale di insolvenza si producono anche nei confronti di essi con la conseguenza che gli atti di disposizione da essi compiuti a danno dei creditori possono essere dichiarati inefficaci nei confronti dei creditori della società.

CAPITOLO V L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA

385) Presupposti e finalità della procedura - La procedura di amministrazione straordinaria, modificata con decreto legislativo del 1990, si applica alle grandi imprese insolventi. Sono considerate grandi imprese quelle con un numero di lavoratori non inferiore a 200 e che hanno debiti per un ammontare almeno pari ai due terzi sia del totale dell’attivo che dei ricavi annuali dell’ultimo esercizio. Per tali imprese è esclusa una immediata dichiarazione di fallimento e si prevede invece, una volta accertato lo stato di insolvenza, una fase intermedia nella quale si verifica la possibilità di un risanamento. A seconda di tale verifica può avere luogo il fallimento o l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria volta a conservare il patrimonio produttivo tramite la prosecuzione o riconversione delle attività imprenditoriali. La procedura di amministrazione straordinaria deve essere considerata una procedura mista in quanto vi partecipano sia l’autorità amministrativa che quella giudiziaria. Per le imprese di maggiori dimensioni (con almeno 500 lavoratori e debiti non inferiori a 300 milioni di euro) è prevista la possibilità di richiedere l’immediata ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria previa presentazione di un ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza.

386) La dichiarazione dello stato di insolvenza – Abbiamo detto che presupposto fondamentale per l’apertura della amministrazione straordinaria è la dichiarazione dello stato di insolvenza che viene pronunciata dal tribunale con sentenza su istanza degli stessi soggetti legittimati a chiedere la dichiarazione di fallimento, Il procedimento è simile a quello previsto dalla legge fallimentare con la differenza che vi partecipa anche il Ministro delle attività produttive. La dichiarazione dello stato di insolvenza provvede anche alla nomina degli organi necessari per la procedura intermedia che sono il giudice delegato e il commissario giudiziale. Essa inoltre fissa i termini per le domande di ammissione al passivo da parte dei creditori, stabilisce il termine per l’esame dello stato passivo e soprattutto stabilisce se la gestione, nella fase intermedia, sarà lasciata all’imprenditore insolvente o al commissario giudiziale. In quest’ultimo caso si ha ovviamente lo spossessamento del debitore mentre in tutti i casi si verificherà l’assoggettamento dei creditori alle regole del concorso e l’inefficacia dei pagamenti effettuati successivamente. In tutti i casi inoltre i crediti sorti per la continuazione dell’impresa devono essere soddisfatti in prededuzione.

387) L’ammissione alla amministrazione straordinaria- Il tribunale, sulla base della relazione del commissario giudiziale e del ministro delle attività produttive, nonché di ulteriori accertamenti ritenuti necessari, provvede con decreto motivato alla apertura della procedura di amministrazione straordinaria se ritiene che ne esistano i requisiti o in caso contrario alla dichiarazione di fallimento ( in questa ultima ipotesi la procedura prosegue secondo la disciplina della legge fallimentare). Nel caso di apertura della procedura di amministrazione straordinaria viene individuato il programma per il recupero tra quelli previsti dalla legge (a) programma di cessione dei complessi aziendali da realizzarsi in un periodo non superiore ad un anno mediante la prosecuzione della impresa b) programma di ristrutturazione da effettuarsi mediante una attività di risanamento per un periodo non superiore a 2 anni). In ogni caso i creditori restano soggetti alla regola del concorso e quindi la divieto di azioni esecutive individuali, e in ogni caso la gestione dell’impresa viene affidata ad un commissario straordinaria con il conseguente spossessamento dell’imprenditore (se non si è già verificato precedentemente). Per quanto riguarda i contratti in corso di esecuzione la regola generale è quella della loro continuazione salva la facoltà del commissario straordinario di sciogliersi da essi. Per quanto riguarda le azioni revocatorie esse sono esercitabili solo nel caso in cui la procedura si volga tramite la cessione dei complessi aziendali e non quando si volga invece tramite un programma di ristrutturazione.

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388) L’amministrazione straordinaria delle imprese di maggiori dimensioni - Abbiamo detto che le imprese di maggiori dimensioni possono chiedere al Ministero delle attività produttive l’immediata ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria presentando contestualmente un ricorso al tribunale per la dichiarazione dello stato di insolvenza. La procedura si avvia sulla base di un decreto del Ministro che dopo aver valutato l’esistenza dei requisiti dimensionali richiesti dalla legge e le motivazioni della richiesta, nomina un commissario straordinario che deve provvedere alla amministrazione della impresa fino alla dichiarazione di insolvenza. Il decreto del ministro determina quindi lo spossessamento del debitore e il divieto di azioni esecutive individuali da parte dei creditori. Il decreto del ministro deve essere comunicato al tribunale affinchè nei successivi quindici giorni accerti con sentenza lo stato di insolvenza provvedendo alla nomina del giudice delegato e alla assunzione dei provvedimenti necessari per la formazione dello stato passivo e quindi la vera e propria apertura della procedura. Se invece il tribunale respinge la richiesta di dichiarazione dello stato di insolvenza o accerti la mancanza di requisiti cessano immediatamente gli effetti del decreto del ministro. Nel termine di 180 giorni il commissario deve presentare al ministro il programma (di ristrutturazione o di cessione). Se il programma non viene autorizzato o ne risulti impossibile l’adozione il tribunale dispone la conversione della procedura in fallimento e la stessa conseguenza si verifica se alla scadenza il programma non è stato realizzato (salva la possibilità di proroga da parte del ministro per un periodo massimo di 12 mesi). La legge consente inoltre al commissario straordinario di esercitare le azioni revocatorie anche nel caso di programma di ristrutturazione e di compiere (su autorizzazione del ministro) operazioni di cessione anche di aziende.

389) Gli organi della procedura - Il carattere misto della procedura implica la partecipazione di organi sia amministrativi che giudiziari. Il ministro delle attività produttive ha una generale funzione di vigilanza e inoltre,nel procedimento previsto per le imprese di maggiori dimensioni il suo compito è ancora più rilevante in quanto la stessa procedura si avvia a seguito di suo decreto e spetta a lui concedere la proroga del programma di esecuzione. Organo esecutivo è invece il commissario straordinario che sostituisce il commissario giudiziale (nominato con la dichiarazione dello stato di insolvenza, che per le imprese di maggiori dimensioni non è neanche previsto mancando in questo caso la fase intermedia). Il commissario giudiziale è nominato dal ministro, ha il compito di gestire l’impresa e di predisporre il programma di risanamento curandone l’esecuzione. Il comitato di sorveglianza ha compiti consultivi e di controllo esprimendo un parere sugli atti del commissario. Per quanto riguarda l’autorità giudiziaria hanno specifiche competenze il tribunale e il giudice delegato. Il tribunale decide se aprire la procedura di amministrazione o dichiarare il fallimento, decide sui ricorsi, decide la chiusura o riapertura della procedura o la conversione in fallimento. Il giudice delegato invece ha il compito di provvedere all’accertamento del passivo e alla ripartizione dell’attivo.

390) I programmi di risanamento e la cessazione della procedura – Abbiamo detto che la procedura di amministrazione straordinaria si basa sulla realizzazione del programma prescelto dal commissario straordinario con l’approvazione del ministro. Abbiamo detto che i due programmi hanno diverse implicazioni in quanto solo nel programma di cessione il commissario straordinario può esercitare le azioni revocatorie fallimentari. Inoltre solo con il programma di cessione si può avere la ripartizione dell’attivo in quanto nel programma di ristrutturazione la soddisfazione dei creditori è rinviata al momento del suo esito positivo (nel caso di esito negativo si avrà naturalmente la conversione della procedura in fallimento), La chiusura della procedura di amministrazione straordinaria può avvenire per motivi diversi: quando non siano state presentate domande di ammissione al passivo, quando l’imprenditore abbia recuperato la possibilità di far fronte ai creditori, quando nel programma di cessione si sia avuta la ripartizione finale dell’attivo. Inoltre la procedura può chiudersi con il decreto del tribunale che ne dispone la conversione in fallimento qualora risulti che la procedura non può essere proseguita o quando il programma non sia stato realizzato alla scadenza. La chiusura può avvenire anche con un concordato, richiesto dal commissario straordinario e approvato dal ministro, cui sono applicabili le regole previste per la liquidazione coatta. La mancata approvazione del concordato non comporta l’automatica conversione della procedura in fallimento che si verifica invece solo qualora il commissario straordinario non presenti entro sessanta giorni al ministro un

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programma di cessione dei beni aziendali da realizzarsi in due anni o quando il ministro non l’abbia autorizzato.

391) L’applicazione al fenomeno di gruppo - La disciplina della amministrazione straordinaria presenta particolari implicazioni nella sua applicazione ai fenomeni di gruppo. Infatti la legge consente, una volta aperta la procedura di amministrazione straordinaria di una impresa, di ammettervi anche le altre imprese del gruppo che siano insolventi anche se non hanno i requisiti dimensionali richiesti, Per far ciò occorre naturalmente valutare se tali imprese presentino concrete possibilità di recupero delle attività imprenditoriali o se comunque risulti opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo per raggiungere gli obiettivi della procedura. In tal modo si prende atto che essendo la situazione di crisi una vicenda che investe complessivamente l’intero gruppo anche la sua gestione deve essere unitaria e quindi la necessità di un programma di risanamento che tenga conto dei loro collegamenti. Per tale motivo la legge consente che il commissario straordinario sia autorizzato dal ministro ad effettuare dopo la dichiarazione di insolvenza le operazioni necessaria per salvaguardare la continuità della attività aziendali delle imprese del gruppo ed ammette la possibilità di un unico concordato per tutte le imprese del gruppo stesso.. Viene riconosciuta inoltre al commissario straordinario e a quello giudiziale la possibilità di esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci delle società del gruppo e una rilevante estensione dei termini previsti per la presentazione delle azioni revocatorie fallimentari nei confronti di altre imprese del gruppo.

CAPITOLO VI I REATI CONCORSUALI

392) Reati concorsuali e reati fallimentari – I reati concorsuali sono reati che presuppongono l’esistenza di una procedura concorsuale che costituisce quindi presupposto del reato o comunque condizione di punibilità in modo tale che il reato non sussiste o l’azione penale non può essere esercitata fin quando non inizia una procedura concorsuale. Nell’ambito dei reati concorsuali hanno fondamentale importanza i reati fallimentari che la legge disciplina in modo separato a seconda se siano commessi dal fallito o da persone diverse.

393) La bancarotta : natura e caratteri - Trai reati commessi dal fallito la bancarotta è reato fallimentare tipico. Essa può essere semplice o fraudolenta a seconda se l’elemento soggettivo del reato sia costituito da colpa o dolo. La legge espressamente stabilisce che presupposto della bancarotta è la dichiarazione di fallimento, stabilendo che l’azione penale può essere esercitata dopo la sentenza dichiarativa di fallimento (solo in caso di fuga o latitanza dell’imprenditore può essere esercitata l’azione in contemporanea alla presentazione della domanda di fallimento). La dichiarazione di fallimento è quindi condizione oggettiva di punibilità in quanto al di fuori del fallimento non vi è bancarotta e se il fallimento è revocato viene meno la bancarotta e l’azione penale eventualmente iniziata cade. Con il reato di bancarotta la legge punisce alcuni fatti (dolosi o colposi) che incidono sul fallimento alterando il patrimonio del fallito o alterando la posizione dei singoli creditori e anche se tali fatti sono molteplici il reato è unico in quanto la legge punisce non il fatto in se ma l’alterazione che viene a determinarsi nella procedura fallimentare. Per tale motivo la commissione di più fatti delittuosi costituisce solo aggravante e non si applicano i principi relativi al concorso di reati.

394) La bancarotta fraudolenta. . Sono punite a titolo di bancarotta fraudolenta le seguenti ipotesi :a) il fallito che prima o durante il fallimento occulti, dissipi o distrugga i suoi beni anche in parte o, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, abbia esposto passività inesistenti. In entrambi i casi è necessario il dolo specifico ma nel secondo caso occorre anche la dimostrazione della volontà di nuocere ai creditori. B) il fallito che prima del fallimento abbia sottratto, distrutto o falsificato in tutto o in parte i libri o le scritture contabili o li abbia tenuti in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio allo scopo di procurare a sé o a altri un ingiusto profitto o di nuocere ai creditori, o che durante il fallimento abbia sottratto, falsificato o distrutto i libri o le scritture contabili. Come si vede nella prima ipotesi è necessaria la dimostrazione che il fallito abbia agito per procurarsi un vantaggio o

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per nuocere ai creditori. C) il fallito che prima o durante la procedura fallimentare allo scopo di favorire qualcuno dei creditori abbia eseguito pagamenti o simulato titoli di prelazione (bancarotta preferenziale). Anche qui occorre il dolo specifico di favorire alcuni creditori a danno di altri. In aggiunta alla reclusione viene comminata in tutte le ipotesi come pena accessoria l’inabilitazione dall’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità a esercitare uffici direttivi per un periodo di 10 anni.

395) La bancarotta semplice – E’ punito a titolo di bancarotta semplice l’ìmprenditore fallito che: a) ha fatto spese personali o familiari eccessive rispetto alla sua condizione economica b) ha consumato notevole parte del patrimonio in operazioni imprudenti c) ha aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento o con altra grave colpa d) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare e) nei tre anni antecedenti al fallimento non ha tenuto i libri e le scritture contabili obbligatorie o le ha tenute in modo irregolare. Anche qui oltre alla reclusione è prevista come pena accessoria quella prevista per la bancarotta fraudolenta ma per una durata di due anni.

396) Il ricorso abusivo al credito – Altro reato fallimentare è il ricorso abusivo al credito che si ha quando l’imprenditore ricorra al credito dissimulando lo stato di dissesto o di insolvenza. Abbiamo qui un reato doloso caratterizzato dal dolo di pericolo in quanto viene messa in pericolo la possibilità di restituzione del credito. Oltre alla reclusione è prevista come pena accessoria la stessa prevista per la bancarotta per una durata massima di tre anni.

397) Circostanze aggravanti e attenuanti - Sono circostanze aggravanti (con aumento della pena della metà) la rilevante gravità del danno, l’aver commesso più fatti delittuosi tra quelli previsti dalla legge fallimentare e l’aver esercitato l’impresa contro un divieto di legge. E’ invece circostanza attenuante (con riduzione della pena fino ad un terzo) la speciale lievità del danno patrimoniale cagionato.

398) Altri reati commessi dal fallito. Altri reati sono la denuncia di creditori inesistenti nell’elenco nominativo dei creditori, la inosservanza dell’obbligo di depositare i bilanci, le scritture contabili e l’elenco dei creditori, e la inosservanza dell’obbligo di comunicare al curatore cambi di residenza o domicilio di presentarsi personalmente agli organi del fallimento.

399) Responsabilità penale dei soci illimitatamente responsabili – Nel fallimento delle società in nome collettivo e in accomandita semplice si applicano nei confronti dei soci illimitatamente responsabili per i fatti da loro commessi le disposizioni penali relative al fallito. In questo modo la legge rende applicabile ai soci illimitatamente responsabili le norme penali per l’imprenditore anche se non sono imprenditori e limita la loro responsabilità penale solo al caso in cui essi stessi hanno commessi il fatto delittuoso. Il socio illimitatamente responsabile non risponde invece per il fatto delittuoso commesso da altro socio.

400) Responsabilità penale degli organi e dell’institore - Per quanto riguarda le persone diverse dal fallito la legge prende in considerazione gli organi della società fallita, l’institore, il curatore e i creditori. Per quanto riguarda gli organi della società fallita ad essi si applicano le sanzioni previste per l’imprenditore nel caso abbiano commesso fatti costituenti bancarotta fraudolenta o semplice, abbiano fatto ricorso abusivamente al credito, abbiano denunciato crediti inesistenti o omesso di dichiarare beni da comprendere nell’inventario. Sono invece applicabili all’institore le sanzioni penali previste per l’imprenditore solo quando egli si sia reso colpevole di fatti costituenti reati concorsuali nella gestione affidatagli anche se il fatto sia stato compiuto per incarico dell’imprenditore.

401) Responsabilità penale del curatore e del coadiutore - Nei confronti del curatore, in quanto pubblico ufficiale, sono applicabili le comuni norme penali per i reati di peculato, concussione, corruzione e abuso di ufficio. Inoltre la legge fallimentare punisce il curatore qualora non ottemperi all’ordine del giudice di consegnare o depositare somme o altre cose del fallimento. Il reato sussiste in conseguenza della inesecuzione dolosa o colposa dell’ordine del giudice e quindi prescinde dal

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compimento di atti di appropriazione o distrazione che configurerebbero il reato di peculato. Le sanzioni previste sono applicabili anche nei confronti dei coadiutori del curatore nel fallimento.

402) Responsabilità penale dei creditori - La legge fallimentare considera reato (a parte l’eventuale concorso in bancarotta o favoreggiamento) il fatto del creditore che presenti domanda di ammissione al passivo di un credito fraudolentemente simulato, che sottragga o dissimuli beni del fallito dopo la dichiarazione di fallimento, o l’acquisto dei beni del fallito a prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato avvenuto precedentemente alla dichiarazione di fallimento ma con la consapevolezza dello stato di dissesto.

403) Reati concorsuali nel concordato preventivo, nella liquidazione coatta amministrativa e nell’amministrazione straordinaria - Nella procedura di concordato preventivo la legge punisce l’imprenditore che al solo scopo di essere ammesso alla procedura si sia attribuito attività inesistenti o che abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti. Inoltre le sanzioni penali previste per il fallimento si estendono al concordato preventivo nella misura in cui si ponga l’esigenza L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza nel caso di liquidazione coatta e la dichiarazione dello stato di insolvenza nella amministrazione straordinaria sono espressamente equiparati dalla legge alla dichiarazione di fallimento ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di reati fallimentari.

PARTE QUARTA GLI ATTI DELL’IMPRENDITORE

CAPITOLO I – CONSIDERAZIONI GENERALI

404)- 407) I singoli atti come elementi dell’attività imprenditrice_ conseguenze giuridiche – L’attività dell’imprenditore si risolve in concreto in una serie di atti singoli collegati tra di loro in vista dello scopo che l’imprenditore stesso persegue. A seconda dell’oggetto dell’impresa potrà trattarsi di atti di compravendita, di assicurazione o trasporto, di operazioni di credito o di atti di mediazione, commissione o spedizione. La disciplina dell’atto singolo non subisce in linea di principio modificazioni per il solo fatto di essere inserito nell’esercizio di una impresa e infatti che l’atto sia compiuto nell’esercizio dell’impresa o al di fuori di essa, il regime giuridico rimane identico e identici rimangono gli effetti prodotti dall’atto. Tuttavia il collegamento che si pone tra i vari atti non è privo di ogni rilevanza per il diritto in quanto determina particolari atteggiamenti e particolari problemi di cui il diritto deve tenere conto. Infatti l’attività imprenditrice ha particolari esigenze che ovviamente si riflettono sulla struttura degli atti. Ad esempio possiamo pensare all’esigenza nell’impresa di uniformare la propria attività a determinate direttive cui si ricollega il fenomeno della predisposizione di condizioni generali di contratto o dei contratti di adesione sulla base di formulari già predisposti, o alla possibilità di far credito ai clienti (credito al consumo) cui si ricollega il fenomeno della vendita a rate. Naturalmente tali fenomeni potrebbero realizzarsi anche al di fuori dell’impresa ma sarebbe un caso eccezionale in quanto è proprio nell’impresa che essi si sviluppano e trovano la loro normale applicazione. I particolari fenomeni che si verificano nell’esercizio dell’impresa determinano quindi l’applicazione di principi particolari ma sono proprio le particolari caratteristiche che gli atti assumono quando sono inseriti in una attività imprenditirice a giustificare la specialità della disciplina giuridica applicata e non il fatto stesso della inserzione dell’atto nell’esercizio dell’impresa. Inoltre occorre segnalare anche l’esigenza sempre più sentita della tutela del consumatore che ha delineato una distinzione tra i contratti in cui entrambe le parti intervengono come professionisti e quelli dove una parte appunto si presenta come consumatore, dando luogo ad una vasta produzione di leggi speciali di cui la gran parte è stata inserita nel codice del consumo del 2005.

CAPITOLO II - ASPETTI GIURIDICI DELLE ESIGENZE TECNICHE DELL’IMPRESA –

1) Contrattazione di impresa

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408) Coordinamento dei singoli atti in vista dell’unità della funzione a) condizioni generali di contratto e contratti di adesione; contratti porta a porta e contratti a distanza - L’imprenditore nell’esercizio della sua attività deve necessariamente improntare la sua azione ad una unità di criteri e direttive e pertanto è necessaria nei rapporti con i clienti la pretederminazione dei moduli e formulari e la imposizione al cliente di contratti già predisposti che il cliente può accettare o non accettare ma non può in linea di principio modificare. Tali schemi contrattuali sono in genere predisposti direttamente dall’imprenditore e imposti alla clientela dando luogo al fenomeno dei cosiddetti contratti per adesione. Non vi è dubbio che si tratti di contratti in quanto anche in questo caso l’elemento fondamentale, il consenso, è presente anche se la volontà di una parte è limitata all’accettazione o al rifiuto di uno schema predisposto al di fuori di essa. L’unica preoccupazione è in questo caso che il contraente abbia piena consapevolezza degli impegni assunti e che l’imprenditore non approfitti della sua situazione di preminenza per imporre al cliente clausole eccessivamente onerose o addirittura vessatorie. Per tale motivo la legge stabilisce che le condizioni generali del contratto sono valide per l’altro contraente solo se al momento della conclusione del contratto questo le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle con la normale diligenza, richiedendo per alcune clausole contrattuali la specifica approvazione scritta, stabilendo che le clausole contenute nei contratti per adesione si devono interpretare, nel dubbio, a favore dell’altro contraente, e stabilendo la invalidità di determinate clausole eccessivamente onerose. Le clausole che richiedono espressa approvazione scritta riguardano in genere limitazioni di responsabilità a favore di chi le ha predisposte o limitazioni alla facoltà dell’altro contraente di opporre eccezioni e lo scopo che si propone la legge richiedendo tale espressa approvazione è quello di rendere consapevole il contraente degli impegni che assume. Se in tal modo la legge riesce ad assicurare la consapevolezza da parte del contraente degli impegni assunti non riesce però ad escludere che colui che ha predisposto il contratto approfitti della propria situazione di preminenza. Per tale motivo sono intervenute leggi speciali oggi contenute nel codice di consumo che richiede per alcune clausole che determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, una negoziazione e quindi una trattativa individuale. Per tali clausole quindi non è sufficiente che il cliente le conosca ma è richiesta una specifica trattativa, in mancanza della quale esse devono ritenersi nulle e quindi inefficaci. Ovviamente si tratta di una nullità relativa che opera solo a vantaggio del consumatore e può essere fatta valere solo da questo oltre che essere rilevata d’ufficio dal giudice. Secondo il codice di consumo inoltre alcune clausole devono ritenersi vessatorie di per sé e quindi inefficaci. E’ chiaro che la normativa posta dal codice di consumo si applica solo nei rapporti contrattuali dove vi è una disparità economica tra le parti, e quindi dove troviamo da un lato un professionista e dall’altro un consumatore. Il codice di consumo pone poi altre regole per quei contratti che vengono stipulati fuori dai locali commerciali e quindi con tecniche di comunicazione a distanza che permettono di concludere il contratto senza la simultanea presenza fisica di entrambe le parti. Per questi contratti il codice di consumo stabilisce il diritto di recedere (diritto irrinunciabile come tutti i diritti riconosciuti al consumatore dal codice di consumo) che il consumatore può far valere dandone notizia all’altra parte entro 10 giorni. Con la ricezione da parte dell’imprenditore i contraenti sono sciolti dalle obbligazioni derivanti dal contratto.

409) b) i contratti tipo e i contratti di tariffa o normativi - I contratti tipo sono il risultato di accordi tra imprenditori che svolgono la stessa attività economica e che mirano a dare unità di indirizzo alle attività dei vari imprenditori determinando una standardizzazione dei contratti corrispondente alla standardizzazione dei prodotti. I contratti di tariffa o normativi mirano invece a fissare le condizioni contrattuali nei rapporti tra imprenditore e cliente quando tra essi deve attuarsi una serie continuativa di rapporti. Essi quindi non determinano il sorgere di obblighi immediati ma fissano le condizioni cui dovranno essere regolati i rapporti futuri tra le parti.

410) Interpretazione dei contratti predisposti unilateralmente - Per quanto riguarda l’interpretazione dei contratti per adesione valgono in generale i principi stabiliti dal codice civile per cui l’interpretazione deve essere fatta secondo buona fede e tenendo conto della comune intenzione delle parti. Tuttavia tenendo conto che si tratta di contratti in cui l’attività di una parte si limita alla adesione assume particolare rilievo la pratica generale vigente nel luogo dove il contratto è concluso e inoltre la

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legge stabilisce che il dubbio sulla interpretazione di una clausola debba essere risolto contro colui che ha predisposto il contratto stesso. Tale ultimo principio viene inoltre generalizzato tutte le volte in cui il contratto sia concluso tra un imprenditore e un consumatore anche se le clausole da interpretare non sono contenute in contratti predisposti dal professionista.

411) Norme uniformi e regole del commercio internazionale - Altro fenomeno di particolare rilievo nei rapporti commerciali è quello delle norme uniformi, ossia quel complesso di regole destinate ad operare in un determinato ambiente o in determinate categorie di rapporti commerciali. Tali norme da un lato hanno funzione interpretativa in quanto sono tese a chiarire il significato giuridico di alcune espressioni caratteristiche dell’ambiente o dei rapporti commerciali cui si riferiscono e dall’altro tendono a creare veri e propri schemi negoziali (es. usi di borsa, condizioni generali peri contratti bancari). Tali regole pur essendo desunte dalla prassi e dall’ambiente sociali in cui il contratto si pone non possono essere considerate come norme consuetudinarie in quanto sono il risultato di una elaborazione da parte di organismi qualificati che presiedono al commercio internazionale, alla borsa o alle banche e tendono ad indirizzare gli operatori verso questi schemi che appaiono i più opportuni e pertanto si può dire che essi tendono più a provocare una prassi che a recepirla. Tali norme uniformi si pongono su un piano diverso dalle condizioni contenute in moduli e formulari in quanto sono poste in funzione delle esigenze proprie di un determinato rapporto commerciale e non in funzione delle esigenze proprie di un determinato imprenditore Esse naturalmente sono sottoposte alla valutazione da parte dell’ordinamento e quindi, se si tratta di norme interne, non possono porsi in contrasto con norme imperative e con i principi dell’ordine pubblico. Nell’ambito del commercio internazionale l’esigenza di norme uniformi per l’attività commerciale è ancora più sentita in quanto occorre superare gli ostacoli e le incertezze che possono nascere dalle diverse soluzioni normative dei vari ordinamenti nazionali. Tale esigenza può essere soddisfatta tramite l’elaborazione di una disciplina uniforme predisposta dagli stati attraverso convenzioni internazionali o da organismi internazionali, privati o intergovernativi che pongono a disposizione delle parti modelli di disciplina cui esse possono, nei limiti delle norme imperative, avvalersi per regolare i loro rapporti.

2) Semplificazione dei rapporti giuridici

412) Contratti su documenti, documenti di legittimazione, titoli di credito - La molteplicità di rapporti giuridici che derivano dall’attività imprenditoriale creano l’esigenza di trovare dei mezzi tecnici che permettano di semplificare la disciplina generale per quanto riguarda l’accertamento del possesso e della regolarità formale dei documenti che attestano il regolare trasferimento dei diritti. Rientrano tra questi mezzi tecnici i contratti su documenti nei quali il contratto ha per oggetto i documenti rappresentativi della merce), i documenti di legittimazione (attraverso i quali la possibilità di pretendere l’adempimento dipende dalla esibizione di particolari documenti) e i titoli di credito (attraverso i quali il possesso del documento legittima il potere di disporre e di esercitare il diritto in esso contenuto indipendentemente dalla esistenza e regolarità dei rapporti attraverso i quali si attua la circolazione del diritto). Alcuni di tali mezzi tecnici verranno esaminati nel dettaglio più avanti.

413) Regolamento de rapporti in conto corrente: funzione e atteggiamento - Un altro mezzo utilizzato per semplificare i rapporti tra imprenditori e tra imprenditori e clienti è quello del conto corrente. Infatti nel conto corrente aperto tra le due controparti vengono segnate le partite di credito e debito conseguenti alle operazioni compiute in modo che in ogni momento ciascuna delle parti può esattamente conoscere la sua posizione complessiva nei confronti dell’altra. Naturalmente il conto corrente (che è molto usato ad esempio nella prassi bancaria) è solo una entità contabile e giuridicamente non ha altro valore che quello di provare le diverse operazioni compiute una volta che il conto sia stato approvato dalle parti. Il conto corrente può però assumere rilevanza giuridica qualora tra le parti venga stipulato un contratto, detto appunto contratto di conto corrente, con il quale le parti si obbligano non solo ad annotare in un conto i crediti derivanti dalle operazioni compiute ma anche a considerare tali crediti inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto stesso.

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414) Il contratto di conto corrente – Il contratto di conto corrente, una volta stipulato tra le parti, comporta l’obbligatorietà della annotazione in esso delle operazioni compiute tra le parti. Ovviamente la annotazione nel conto dei crediti non comporta la loro estinzione ma solo una proroga della loro esigibilità (posticipata come abbiamo detto al momento della chiusura del conto stesso) e pertanto i crediti immessi nel conto conservano la loro individualità restando sempre possibile ogni azione tesa alla nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del contratto da cui il credito stesso deriva.

415) continua – La chiusura del conto - Alla chiusura del conto che si attua alle scadenze stabilite nel contratto o dagli usi (o in mancanza alla fine di ogni semestre) viene effettuata la compensazione tra le diverse partite di dare e avere e il saldo del conto diviene esigibile. Se il pagamento non è richiesto dalla parte che ne ha diritto il saldo si considera come prima rimessa di un nuovo conto. Alla chiusura del conto viene inviato da un correntista all’altro un estratto conto il quale si intende approvato se non viene contestato nei termini pattuiti o d’uso o comunque in un congruo termine.

416) continua – Lo scioglimento del contratto - La chiusura del conto non deve essere confusa con lo scioglimento del contratto in quanto comporta solo la liquidazione dei rapporti di dare e avere tra le parti e l’esigibilità del saldo. Lo scioglimento del contratto può invece aversi per scadenza nei contratti di durata o mediante dichiarazione di recesso da parte di ciascun correntista nei contratti a tempo indeterminato. In tutti i casi è consentito alle parti di recedere in caso di interdizione, inabilitazione, insolvenza o morte dell’altra. La dichiarazione di recesso comporta che il conto viene bloccato e non possono essere esservi incluse altre partite ma non l ‘esigibilità del saldo che si determina solo al momento stabilito nel contratto per la chiusura del conto.

3) Circolazione dei rapporti giuridici

417) La cessione di contratto - Attraverso la cessione del contratto (che risponde all’esigenza di una veloce mobilizzzazione della ricchezza) si ha la sostituzione di un’altra persona alla persona del contraente e quindi la cessione riguarda sia la posizione attiva che quella passiva del contraente. La cessione del contratto è quindi possibile solo nei contratti a prestazioni corrispettive nei quali le prestazioni non siano state eseguite. Nel caso di contratti con obbligazioni per una sola parte e di contratti a prestazioni corrispettive dove una parte abbia già eseguito la sua prestazione si può parlare di cessione di credito e non di cessione di contratto.

418) La struttura del negozio - Il negozio di cessione è perfetto con l’accordo tra cedente e cessionario ma acquista efficacia nei confronti del contraente ceduto solo con la sua adesione, adesione che può essere successiva alla cessione o preventiva. In questo secondo caso la cessione è efficace nei confronti del contraente ceduto dal momento della notificazione o dal momento dell’accettazione.

419)continua – gli effetti del negozio – Dal momento in cui la sostituzione del contraente è efficace nei confronti del contraente ceduto il cedente è liberato. Questo effetto può essere però impedito qualora il contraente ceduto dichiari espressamente che non intende liberare il cedente e in questo caso il contraente ceduto può agire nei confronti del cedente qualora il cessionario sia inadempiente Il cedente è invece tenuto a garantire al cessionario la validità del contratto ma non l’adempimento del contraente ceduto. Questa garanzia infatti potrebbe essere solo l’effetto di un patto espresso attraverso il quale il cedente risponde come fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto.

4) Mezzi di pagamento

420) La moneta legale e i cosiddetti mezzi alternativi di pagamento - Le esigenze di sicurezza e velocità che caratterizzano l’attività imprenditoriale si pongono anche al livello dei mezzi di pagamento. Per quanto riguarda l’adempimento di obbligazioni pecuniarie la legge prevede che la prestazione consista nella consegna di moneta avente corso legale dello stato. Tuttavia per ridurre i rischi di sottrazione che la custodia e il trasporto di moneta legale comportano sono stati configurati mezzi di pagamenti alternativi la cui emissione e gestione è riservata dalla legge al sistema bancario.

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Tali mezzi di pagamento alternativi sono l’assegno bancario e l’assegno circolare che insieme all’assegno postale e ai vaglia postali e bancari sono oggi divenuti (a seguito della normativa dettata per l’antiriciclaggio) mezzi sostitutivi della moneta qualora si tratti di trasferire importi di valore pari o superiore a 12.500 euro. Altra forma di moneta diversa dalla moneta legale è data dal giroconto e in generale dal meccanismo del conto bancario che si è soliti indicare come moneta bancaria o scritturale. Abbiamo poi la moneta elettronica che la legge definisce come un valore monetario rappresentativo di un credito nei confronti dell’emittente che viene memorizzato su un dispositivo elettronico a seguito della ricezione di fondi di valore pari al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente. L’emissione di tale moneta è riservata dalla legge alle banche e agli istituti di moneta elettronica.

421) Sistemi e istituti di pagamento - Le tecniche di pagamento alternative alla moneta legale richiedono l’intermediazione di un soggetto che si pone tra chi paga e chi riceve il pagamento. Pertanto sono state elaborati specifici sistemi di pagamento e sono stati definiti dalla legge i servizi di pagamento che la legge riserva alle banche, agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento. Questi ultimi sono operatori che devono essere autorizzati dalla banca d’Italia, iscritti in un apposito albo e soggetti alla vigilanza della banca d’Italia stessa che ha il compito di sorvegliare l’intero sistema dei pagamenti. Gli istituti di pagamento devono aprire a nome dell’utilizzatore un conto di pagamento dove il cliente deve trasferire le somme da utilizzare esclusivamente per la prestazione del servizio. Tali conti costituiscono per ciascun cliente un patrimonio distinto da quello dell’istituto di pagamento e degli altri clienti dello stesso e perciò sugli stessi non sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario- Pertanto nell’ipotesi in cui l’istituto di pagamento svolga anche attività imprenditoriali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento deve essere costituito a tal fine un patrimonio destinato esclusivamente al soddisfacimento degli utenti del servizio fermo restando che nel caso di sua in capienza l’istituto risponde anche con il proprio intero patrimonio.

422) La carta di credito - La carta di credito è un documento che legittima il possessore a sostituire, nel pagamento di merci o servizi, alla moneta legale l’addebitamento su un conto che viene aperto a suo nome presso l’istituto emittente della carta e che deve essere periodicamente regolato alle scadenze stabilite. La funzione della carta di credito è quella di consentire al possessore di regolare in una unica soluzione alla scadenza prestabilita il prezzo degli acquisti fatti o dei servizi ricevuti nel periodo. In tal modo viene a crearsi un duplice rapporto. Da un lato il rapporto tra intermediario emittente della carta e titolare della carta che comporta l’apertura di un conto presso l’emittente sul quale addebitare l’importo delle operazioni compiute presso le singole imprese convenzionate con l’intermediari. Da questo punto di vista la carta costituisce uno strumento di pagamento. Da un altro lato vi è un rapporto tra intermediario e imprese convenzionate le quali hanno presso l’intermediario un conto nel quale vengono accreditati gli importi. L’intermediario emittente della carta regola alla scadenza i rapporti tra acquirenti e imprese convenzionate tra conti che hanno un saldo debitore e conti che hanno un saldo creditore. Per questa sua funzione e per il credito concesso l’intermediario riceve una commissione percentuale.

5) Rapporti contrattuali tra imprenditori

423) L’abuso di dipendenza economica – Una disparità di posizione economica tra le parti di un contratto può verificarsi non solo qualora un parte del contratto sia un consumatore ma anche nei contratti conclusi tra imprenditori qualora la posizione di una impresa risulti subordinata rispetto a quella di altre. Tale fenomeno si presenta soprattutto nei rapporti tra imprese che non sono in rapporti di concorrenza tra di loro in quanto in tal caso è escluso il ricorso alle regole della correttezza professionale alla quale devono essere improntati i rapporti tra imprenditori concorrenti. La legge fissa pertanto la disciplina dell’abuso di dipendenza economica che si riferisce alla situazione in cui una impresa sia in grado di determinare nei rapporti contrattuali con un’altra impresa un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi. Tale disciplina è posta dalla legge nell’ambito dei singoli rapporti contrattuali tra imprenditori e quindi va distinta dalla disciplina relativa all’abuso di posizione

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dominante che invece riguarda l’intero assetto del mercato e per la quale è rilevante solo l’abuso che sia in grado di incidere sulla concorrenzialità del mercato tesso. La disciplina del divieto di abuso di dipendenza economica comporta la nullità di patti ritenuti abusivi quali l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustamente gravose o discriminatorie.

424) I rapporti con i subfornitori - La legge disciplina poi i cosiddetti contratti di subfornitura al fine di tutelare le imprese di minori dimensioni che in questo tipo di contratti spesso trovano la ragione della propria sopravvivenza. Nei contratti di subfornitura la legge include sia i contratti con cui un imprenditore si impegna ad effettuare per conto di un’altra impresa lavorazioni su materie prime da quest’ultima fornita, sia i contratti con cui un imprenditore si impegna a fornire prodotti destinati ad essere utilizzati o incorporati nell’attività di un’altra impresa. ‘E’ chiaro quindi che nella nozione di contratto di subfornitura possono rientrare contratti diversi che vanno dall’appalto di opera o servizi, alla somministrazione alla vendita di cose future e la legge prevede che accanto alle regole dettate per tali tipi di contratto si applichino le regole previste per la subfornitura al fine sempre di tutelare il subfornitore. Quest’ultima disciplina prevede che i contratti di subfornitura debbano essere conclusi per iscritto e devono indicare espressamente alcuni elementi quali i requisiti del bene o servizio richiesto, i termini e le modalità di consegna e pagamento. La legge inoltre esclude la responsabilità del subfornitore per materiali fornitigli dal committente e detta una particolare disciplina relativamente ai termini di pagamento prevedendo che il pagamento al subfornitore debba avvenire entro sessanta giorni dalla consegna del bene e prevedendo in caso di ritardo un regime moratorio più gravoso per il committente rispetto a quello previsto dalla disciplina generale. E’evidente quindi come in questo modo si finisca con l’incidere sul contenuto del contratto e si limiti l’autonomia delle parti.

425) I termini di pagamento nelle transazioni commerciali - Altre limitazioni della autonomia privata sono poste in relazione ai termini di pagamento per tutti i rapporti contrattuali di scambio intercorrenti da imprenditori da una recente disciplina del 2002 fissata in attuazione di una direttiva comunitaria. Tale disciplina regola la mora del debitore prevedendo che gli interessi moratori decorrano automaticamente (senza necessità di messa in mora) dal giorno successivo al termine convenzionale di pagamento e che ad essi (in mancanza di diverso accordo tra le parti) si applichi un tasso più elevato di quello legale. Tale disciplina inoltre dispone la nullità di ogni accordo sulla data di pagamento che risulti iniquo per il creditore e ciò a prescindere dal fatto che costui si trovi o meno in una situazione di dipendenza economica. In tali casi la legge riconosce al giudice il potere di dichiarare anche d’ufficio la nullità dell’accordo e di applicare i termini legali ma anche di ricondurre ad equità il contratto stesso.

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CAPITOLO III I TITOLI DI CREDITO

SEZIONE I I TITOLI DI CREDITO IN GENERALE

1) Natura e struttura del titolo di credito 426) Il fenomeno dei titoli di credito - La funzione dei titoli di credito è principalmente quella di mobilizzare la ricchezza, prevedendo la circolazione, rapida, semplice e sicura del diritto di credito neutralizzando così i rischi e gli inconvenienti che presenta la disciplina della cessione di credito dove il diritto dell’ultimo cessionario sussiste solo a patto che sussista il diritto dell’originario creditore e purchè siano validamente costituiti tutti i rapporti intermedi di cessione di credito. Nel sistema dei titoli di credito invece grazie all’incorporazione del diritto nel documento si crea un collegamento tra diritto di credito e documento in modo tale che la circolazione del credito viene a dipendere dalla circolazione del documento permettendo che venga applicato invece che il regime della cessione dei crediti quello della circolazione delle cose mobili in base al quale il possesso di buona fede vale titolo e dove quindi all’acquirente in buona fede è garantita la titolarità del bene pur in difetto della stessa-.. Esteriormente i titoli di credito non sono differenti dalle altre categorie di documenti (documenti di legittimazione e titoli impropri) i quali però hanno un’altra funzione e per i quali non è applicabile la disciplina dettata per i titoli di credito.

427) Concetto di titolo di credito – La legge non descrive espressamente la nozione di titolo di credito e quindi la stessa deve essere ricavata dal complesso di norme che fanno riferimento a questo strumento. In base a ciò possiamo dire che nel nostro ordinamento il titolo di credito è un documento contenente una dichiarazione che può essere di contenuto diverso ma adempie comunque a due diverse funzioni: quella di costituire mezzo sufficiente per l’esercizio del diritto incorporato nel documento e quello di costituire uno strumento per la circolazione del diritto stesso. La prima funzione è comune anche ad altri documenti (documenti di legittimazione) ma la seconda è invece una caratteristica esclusiva dei titoli di credito e questo spiega perché l’accento della normativa ricada essenzialmente su di essa.

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430) Unità del fenomeno sotto l’aspetto circolatorio - Se ci concentriamo sulla prima caratteristica del titolo di credito vediamo che nella categoria rientrano diverse specie di titoli che esprimono diversi tipi di diritti. Infatti ad esempio una cambiale e un assegno bancario non possono essere confusi con l’obbligazione o l’azione di una società o con una polizza di carico ed è per questo che la legge pone l’accento sulla seconda funzione e quindi considera solo il profilo circolatorio, profilo sotto il quale tutti i titoli di credito al di là della differenza di contenuto, sono soggetti alla stessa disciplina.

431) Documenti di legittimazione e titoli impropri - La normativa dettata per i titoli di credito come abbiamo detto non si applica a quei documenti che non sono destinati alla circolazione anche se svolgono la funzione di legittimazione del credito. La legge prevede due categorie di questi documenti: a) i documenti di legittimazione che svolgono la loro funzione solo in sede di esercizio del diritto permettendo l’identificazione la persona che ha diritto alla prestazione. Sono documenti di questo tipo i biglietti di viaggio, di cinema o teatro o gli scontrini dei deposito bagagli. Questi documenti legittimano il possessore semplicemente come titolare originario del diritto e non svolgono alcun ruolo ai fini della circolazione dello stesso. Tali documenti si riferiscono spesso a titoli intrasferibili ma anche quando si riferiscono a diritti trasferibili ai fini della circolazione non basta la semplice trasmissione del documento essendo necessaria anche una cessione nelle forme ordinarie previste per la cessione dei crediti o una successione nei modi del diritto comune. b) i titoli impropri, i quali consentono il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione ma con gli effetti di quest’ultima. E’ titolo improprio ad esempio il vaglia postale che come la cambiale ha l’effetto di permettere la cessione del credito attraverso il trasferimento del possesso del documento accompagnato dalla girata ma che a differenza dalla cambiale non attribuisce al portatore legittimo un diritto letterale ed autonomo..

432) Creazione del titolo di credito : titolarità e legittimazione - Nei titoli di credito viene a realizzarsi tra documento e diritto, ai fini della circolazione, una connessione (detta incorporazione) per effetto della quale l’esercizio del diritto viene a dipendere dal possesso del documento secondo la legge di circolazione che gli è propria. E’ ovvio che la creazione e il rilascio di un titolo di credito trovano giustificazione in un preesistente rapporto tra emittente e primo prenditore, detto rapporto sottostante o causale. Per effetto della creazione del titolo di credito tale rapporto giuridico non viene modificato ma si ottiene l’effetto che la prestazione dovuta in base al rapporto giuridico stesso verrà adempiuta nei confronti del possessore del titolo indipendentemente dal fatto che questo sia l’originario contraente o una persona a cui il titolo sia pervenuto attraverso la legge di circolazione. Questo fatto ha sia un effetto positivo che negativo. Infatti attraverso l’incorporazione del diritto nel documento si consente l’esercizio del diritto anche al possessore che non sia il titolare nonché la possibilità di attribuire ad altri tale esercizio attraverso il trasferimento del documento (effetto positivo). Tuttavia però in questo modo viene impedito l’esercizio del diritto da parte del non possessore titolare e si vuota di contenuto l’eventuale trasmissione del diritto che questo abbia fatto ad altri (effetto negativo).

433) La legge di circolazione del titolo di credito - In relazione alla legge di circolazione si distinguono titoli al portatore, titoli all’ordine e titoli nominativi. Nei titoli al portatore la legittimazione ad esercitare il diritto è attribuita al possessore del titolo e la circolazione di tale legittimazione si attua attraverso l’impossessamento del titolo da parte di persona diversa. Nei titoli all’ordine e nei titoli nominativi invece la legittimazione all’esercizio del diritto presuppone sia il possesso del titolo che una certificazione documentale che si attua in modo diverso nei secondi rispetto ai primi. Infatti nei titoli all’ordine la legittimazione all’esercizio del diritto deriva dal fatto che il possessore è intestatario originale del titolo (prenditore) o un giratario in base ad una serie continua di girate. In questi titoli quindi la certificazione documentale consiste nella girata e cioè nell’ordine scritto sul titolo e sottoscritto dall’intestatario del titolo o dal giratario di compiere la prestazione alla persona a favore della quale la girata è fatta. La girata trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo e in linea generale il girante non è responsabile dell’adempimento della prestazione da parte dell’emittente. Nei titoli nominativi invece la legittimazione all’esercizio del diritto deriva dal fatto che il possessore è iscritto

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come tale nel registro dell’emittente. In essi quindi la certificazione documentale si attua attraverso la duplice annotazione da parte dell’emittente del nome del nuovo possessore nel titolo e nel registro. E’ anche possibile per i titoli nominativi una certificazione documentale in base alla girata solo che essa ha efficacia limitata e deve attuarsi secondo determinate forme. Essa infatti deve indicare il nome del giratario e la data e la sottoscrizione del girante deve essere autenticata da un notaio, da un agente di cambio o da una Sim. Inoltre il giratario, sulla base della girata, può solo pretendere l’intestazione del titolo a suo nome e l’annotazione nel registro ma non può esercitare immediatamente il diritto menzionato nel titolo. Con la girata pertanto si acquisisce solo il diritto ad esigere il completamento della certificazione documentale dalla quale solo deriverà la vera e propria legittimazione all’esercizio del diritto.

434) Il documento come indice di circolazione - Anche per quanto riguarda la legittimazione all’esercizio del diritto il documento deve essere considerato come strumento di circolazione. Infatti la titolarità del diritto anche se è incorporata in un titolo di credito si determina solo in base al negozio che lo costituisce o ai negozi successivi che lo trasferiscono. Essa prescinde anche dal possesso ad legittimationem del titolo. Infatti se il titolare di un credito cartolare subisce un furto o la distruzione del titolo di credito è ancora titolare del credito cartolare ma non può pretendere il pagamento dal debitore in quanto non potendo più presentargli il titolo ha perso la legittimazione d ottenere la prestazione indicata nel titolo stesso né tanto meno può trasferire ad altri il suo credito in quanto non è pi portatore legittimo del titolo di credito e quindi non può trasmetterne il possesso con l’osservanza della legge di circolazione propria del titolo. Il titolare del credito cartolare potrà però sempre far valere la titolarità per ricostituirsi la legittimazione attraverso la procedura di ammortamento o l’azione di rivendicazione o di restituzione. In un solo caso questa possibilità viene meno e cioè quando il titolo di credito sia pervenuto ad un possessore di buona fede di fronte al quale si arresta l’azione di rivendica da parte del titolare,.

435) Conseguenze della natura del titolo di credito- Dal fatto di essere connessa al documento solo la legittimazione derivano alcune conseguenze: a) pur essendo il documento necessario per l’esercizio del diritto occorre mettere in chiaro che il diritto può sorgere senza il documento o essere successivamente incorporato in esso, e inoltre che la distruzione volontaria del documento abilita il possessore a chiedere un altro mezzo di legittimazione b) è sempre possibile la sostituzione del documento con un altro senza che si modifichi la situazione giuridica preesistente. Questo avviene generalmente quando il titolo si sia logorato o quando siano esaurite le cedole degli interessi o dei dividendi. C) possono coesistere più documenti contemporaneamente ciascuno dei quali abilitati all’esercizio dell’unico diritto in essi menzionato. Si parla in tal caso di duplicati per i quali va comunque ribadito che essendo unico il debito del creatore del titolo questo ‘ liberato adempiendo la prestazione nei confronti del possessore di uno qualunque dei duplicati.

436) La dichiarazione cartolare : letteralità ed autonomia - Il titolo di credito si presenta come un documento contenente la dichiarazione del suo creatore di adempiere la prestazione in esso indicata nei confronti del possessore ad legittimationem del titolo stesso. Tale dichiarazione viene definita dichiarazione cartolare. Occorre rilevare che il titolo di credito si inserisce in un rapporto di cui realizza il fine economico (detto rapporto sottostante) e questo rapporto assume una diversa rilevanza nei riguardi del possessore del titolo che sia anche soggetto del rapporto sottostante e nei riguardi invece dei terzi possessori. Nei confronti del primo infatti il debitore (creatore del titolo) può opporre immediatamente tutte le eccezioni ricavabili dal rapporto sottostante, mentre nei confronti dei terzi possessori può opporre solo le eccezioni fondati sul contesto letterale del titolo stesso (es. difetto di titolarità quando il debitore sa che il titolo è stato sottratto o falsificato da chi glielo presenta per il pagamento e quindi può eccepire al portatore che egli non ha il diritto di esigere il pagamento) . Nei confronti dei terzi possessori quindi l’obbligazione risultante dal titolo presenta le due caratteristiche della letteralità e della autonomia.

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437) Fondamento giuridico della letteralità- La letteralità del diritto cartolare consiste nel fatto che il debitore che ha assunto una obbligazione cartolare deve compiere la prestazione esattamente indicata nel titolo e cioè quale risulta secondo i termini letterali delle clausole contenute nel documento e quindi senza potersi richiamare ad accordi successivi che modifichino tale contenuto e meno che tali accordi non siano intercorsi proprio con l’attuale titolare del credito cartolare. Ad esempio se uno dei precedenti titolari aveva concesso una proroga alla scadenza del credito cartolare il successivo acquirente non è tenuto a rispettare tale proroga in quanto la dilazione di pagamento deriva da una convenzione che ha dato luogo ad un rapporto diverso dal rapporto cartolare al quale egli è ugualmente estraneo. Il fondamento giuridico della letteralità sta nell’esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi.

438) Fondamento giuridico dell’autonomia - L’autonomia ha un duplice significato. In primo luogo l debitore cartolare non può opporre al terzo divenuto portatore legittimo del titolo le eccezioni derivanti dal rapporto sottostante ossia del rapporto giuridico che è alla base e ha dato luogo all’emissione del titolo di credito. In secondo luogo per autonomia si intende l’applicazione alla circolazione del credito cartolario del principio “il possesso di buona fede vale titolo”. Ovviamente chi in buona fede acquista un credito cartolare diventa portatore legittimo del titolo e acquista il credito cartolare anche se chi glielo aveva trasferito non era titolare. Ad esempio se A è titolare di un titolo al portatore che viene rubato da B, B non è diventato titolare del titolo e del credito in esso incorporato (in quanto il furto non costituisce un fatto giuridico idoneo a trasferire il titolo) ma pur non essendo titolare è ugualmente divenuto portatore legittimo del titolo avendone il possesso e trattandosi di un titolo al portatore. Pertanto se un terzo acquista da B il credito cartolare ritenendo che B ne sia il titolare e si fa trasmettere da B il possesso del titolo, acquista il credito anche se B non era titolare e pertanto A non può rivendicare la proprietà del titolo e perde il suo diritto di credito. La posizione giuridica di C e quindi il suo essere divenuto creditore cartolare non dipende ed è autonoma da quella di B che non poteva trasferire un diritto di cui era privo non essendo creditore cartolare. Secondo parte della dottrina il fondamento giuridico dell’autonomia starebbe nel fatto che il rapporto cartolare costituirebbe un rapporto diverso ed ulteriore rispetto al rapporto sottostante in quanto costituito sulla base di un fatto, la creazione del titolo di credito, che sarebbe diverso ed ulteriore rispetto al rapporto sottostante che ne costituisce la fonte. Tale tesi però non è sostenibile in quanto non spiega la rilevanza immediata che il rapporto sottostante ha invece nei confronti del possessore che sia anche controparte di tale rapporto. Inoltre occorre notare che la fonte del rapporto cartolare è comunque il negozio sottostante che rimane comunque decisivo non solo finchè il titolo rimane in mano al creatore ma anche finchè esso rimane in possesso dell’altro contraente. L’autonomia quindi non dipende dalla creazione del titolo ma dalla sua circolazione e quindi da un fatto successivo e diverso rispetto a quello della creazione. Solo in questo modo riusciamo a spiegare perché la autonomia sussiste solo nei confronti dei terzi possessori e non nei confronti del diretto prenditore.

439) Natura giuridica della dichiarazione cartolare – Occorre anche osservare che la creazione del titolo e quindi la fissazione nel documento della obbligazione nascente dal rapporto sottostante non produce di per sé effetti giuridici in quanto tali effetti si producono solo al momento dell’attribuzione del documento all’altro contraente. La creazione del titolo pertanto non può considerarsi come negozio giuridico ma solo come atto giuridico preparatorio del negozio che si concreterà solo al momento della trasmissione del titolo.

440) Requisiti di sostanza della dichiarazione cartolare. Volontà e capacità- Come atto giuridico la dichiarazione cartolare deve avere i requisiti della volontà e della capacità del suo creatore. L’atto pertanto non può essere rilevante se la volontà del suo creatore è viziata. Ne consegue che la violenza fisica è sempre opponibile a qualunque possessore. Occorre inoltre anche la capacità, sia naturale che legale del creatore. Occorre infine la riferibilità dell’atto alla persona dell’obbligato e tale riferibilità viene meno sia nel caso di sottoscrizione falsa che nel caso di difetto di rappresentanza. Nel primo caso l’atto viene fatto apparire come posto in essere da una persona mentre in realtà è opera di un’altra

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mentre nel secondo caso esso viene posto in essere da una persona in nome di un’altra quando non si ha il potere necessario per agire in nome di questa.

441) Requisiti d forma: titoli in bianco - La dichiarazione cartolare è anche una dichiarazione formale nel senso che in essa devono essere presenti alcuni elementi che sono ritenuti essenziali perché si producano gli effetti propri del titolo di credito. Non sempre però è necessario che tali requisiti essenziali sussistano già al momento della emissione del titolo. Ad esempio si parla di cambiale in bianco quando non è presente il nome del prenditore, o la somma o la data di scadenza e sussiste un contratto di riempimento successivo. Se gli accordi non vengono rispettati l’eventuale eccezione di abusivo riempimento non può essere opposta al terzo possessore salvo che questi abbia acquistato la cambiale in mala fede o con colpa grave. La facoltà di riempimento è sottoposta ad un termine di decadenza di tre anni dalla emissione del titolo.

442) La enunciazione della causa: titoli causali e titoli astratti- Sono astratti quei titoli di credito che possono essere emessi in base ad una pluralità di rapporti fondamentali e non contengono alcuna descrizione del rapporto che in concreto ha dato luogo alla loro emissione. Ad esempio titolo astratto è la cambiale che può essere emessa per vari motivi ma non contiene alcun riferimento al rapporto causale. Lo stesso discorso vale per l’assegno bancario e l’assegno circolare. Questi titoli si definiscono a letteralità completa in quanto in essi il diritto cartolare è determinato esclusivamente dalla lettera del titolo mancando ogni riferimento al rapporto fondamentale che ha dato luogo all’emissione. Nei rapporti tra emittente e terzo prenditore quindi è preclusa ogni possibilità di far riferimento ad altre fonti regolamentari anche legali per integrare quanto risulta dalla lettera del titolo. I titoli causali sono quelli che invece possono essere emessi solo in base ad un determinato tipo di rapporto fondamentale che risulta dal contesto del titolo. Es. azioni e obbligazioni di società, quote di partecipazione a fondi comuni di investimento, titoli rappresentativi di merci. Questi titoli si definiscono a letteralità incompleta in quanto in essi il contenuto del diritto cartolare è determinato non solo dalla lettera del titolo ma anche dalla disciplina legale del rapporto tipico richiamato nel documento. Anche ai titoli causali è però applicabile il principio dell’autonomia del diritto cartolare in sede di esercizio. Infatti il rapporto cartolare resta indipendente dal rapporto fondamentale e al terzo portatore non sono opponibili le eccezioni derivanti da quest’ultimo rapporto. Così ad esempio se il sottoscrittore di un prestito obbligazionario non ha versato la somma corrispondente la società non può eccepire tale circostanza al terzo portatore per contestarne il diritto al rimborso del capitale.

2) La circolazione dei titoli di credito

444) La circolazione del titolo come circolazione della legittimazione . – Una delle caratteristiche fondamentali dei titoli di credito è la distinzione tra titolarità del diritto cartolare e legittimazione all’esercizio della stessa. Titolare del diritto cartolare è infatti il proprietario del titolo mentre legittimato al suo esercizio è il possessore del titolo nelle forme prescritte dalla legge di circolazione del titolo, forme che sono diverse per i titoli al portatore, all’ordine e nominativi. La qualità di proprietario-titolare e possessore legittimato di regola coincidono nella stessa persona ma tuttavia nel corso della circolazione del titolo si può verificare una dissociazione delle due posizioni reali sul titolo (proprietà e possesso) e al riguardo possiamo distinguere tra circolazione regolare e circolazione irregolare del titolo. Per diventare portatori legittimi del titolo di credito occorre accertare a quale legge di circolazione essi sono soggetti e quindi distinguendo tra titoli al portatore, all’ordine o nominativi ricordando comunque che il presupposto comune per il trasferimento è che avvenga la trasmissione del possesso del documento. Mentre per i titoli al portatore è sufficiente essere possessori del titolo per esseri portatori legittimi per i titoli all’ordine oltre al possesso è necessaria una serie continua di girate (per girata si intende una dichiarazione scritta sul titolo e sottoscritta con cui l’attuale portatore legittimo del titolo detto girante ordina al debitore di adempiere nei confronti di un altro soggetto detto giratario), mentre nei titoli nominativi è necessario che l’emittente annoti il nome dell’acquirente sul titolo e nel registro. Solo con tale intestazione si diventa portatore legittimo del titolo e si possono esercitare i diritti ad esso inerenti.

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447) La circolazione regolare – La circolazione irregolare o anomala - Si ha circolazione regolare quando il titolo viene trasferito dall’attuale proprietario ad un altro soggetto sulla base di un valido negozio di trasmissione che di regola trova il suo fondamento in un preesistente rapporto causale tra le parti. Ad esempio in una vendita (rapporto fondamentale) si può convenire che il compratore pagherà il prezzo mediante girata di un assegno circolare a lui intestato. Il compratore quindi dovrà dare attuazione a tale accordo (negozio di trasmissione) girando l’assegno e consegnandolo al venditore perché possa riscuoterlo. Si ha invece circolazione irregolare quando la circolazione del titolo non è sorretta da un valido negozio di trasferimento. Es. il titolo di credito viene rubato. In tal caso il possessore (il ladro) non acquista la proprietà del titolo e la titolarità del diritto che restano al derubato ma ha però la possibilità di esercitare il diritto (legittimazione) e di far circolare ulteriormente il titolo. Si ha quindi dissociazione tra proprietà (titolarità) e possesso (legittimazione). Chi ha perso il possesso del titolo contro la sua volontà non è privo di tutela in quanto potrà esercitare l’azione di rivendicazione nei confronti dell’attuale possessore e riottenere il documento necessario ai fini della legittimazione. Inoltre se si tratta di titoli all’ordine o nominativi potrà anche avvalersi della procedura di ammortamento che gli consente di ottenere un surrogato del titolo smarrito. Tutto questo però finchè il titolo non perviene nelle mani di un terzo in buona fede, ignaro quindi del difetto di titolarità del venditore. Infatti a tutela di chi acquista a non domino scatta il principio dell’autonomia in sede di circolazione in quanto l’art. 1994 cc stabilisce che chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazione e quindi diventa anche proprietario del titolo e titolare del diritto cartolare. In questo modo la sua posizione diventa inattaccabile dall’ex proprietario che potrà solo esercitare l’azione di risarcimento danni nei confronti di colui che gli ha sottratto il titolo.

3) L’esercizio del diritto cartolare

449) La legittimazione all’esercizio del diritto cartolare - Il possesso del titolo di credito secondo la legge di circolazione attribuisce come abbiamo detto la legittimazione all’esercizio del diritto e quindi la facoltà di pretendere la prestazione indicata nel titolo. Poiché il portatore legittimo è legittimato all’esercizio del diritto cartolare il debitore che senza dolo o colpa grave adempie la sua prestazione nei suoi confronti è liberato dalla sua obbligazione anche se il portatore non è il titolare del diritto cartolare. Così ad esempio se il debitore paga la somma a B ignorando senza sua colpa grave che B è un ladro e quindi non è il titolare del diritto cartolare l’obbligazione cartolare è estinta.

450) Posizione del possessore legittimato - Il possessore legittimato può pretendere la prestazione senza dover dimostrare altro che l’esistenza della legittimazione. Spetta quindi al debitore dimostrare che nonostante la presenza della legittimazione, il vizio della causa del possesso ma solo quando egli possa dimostrare tale vizio o avesse potuto dimostrarlo usando la normale diligenza e prudenza. Il dolo pertanto può sussistere solo quando il debitore abbia prove precise per dimostrare la non titolarità del legittimato e la colpa grave quando egli avrebbe potuto procurarsi tale prova usando la normale diligenza. Il semplice dubbio invece circa il vizio del possesso non è sufficiente per escludere la validità dell’adempimento dato che questo costituisce un obbligo e non una facoltà per il debitore. Inoltre nel caso di titoli di credito a legittimazione nominale il debitore deve accertare la presenza delle condizioni di legittimazione (ad,. Es. la serie continua di girata) e la coincidenza della identità di chi esibisce il titolo con la persona che dal titolo stesso risulta essere il possessore legittimato.

451) Eccezioni opponibili al possessore legittimato: eccezioni assolute ed eccezioni personali - Il debitore può opporre al portatore legittimo solo le seguenti eccezioni: a) eccezioni personali al portatore legittimo, ossia derivanti da altri rapporti, diversi da quello cartolare, intercorsi tra il debitore e lo stesso portatore legittimo; b) eccezioni di forma derivanti dalla mancanza di uno dei requisiti formali previsti dalla legge (es. in una cambiale tale denominazione non è inserita nel contesto del titolo) c) eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo (es. nella cambiale è indicata la somma di euro 500.000 e il creditore ne richiede 600.000). d) eccezioni di falsità della firma, di incapacità o di difetto di rappresentanza al momento della emissione del titolo, nonché di mancanza di

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volontà (per violenza fisica) nella redazione del titolo e) eccezioni fondate sulla mancanza dei presupposti necessari per l’esercizio dell’azione giudiziaria (es. si esercita l’azione cambiaria di regresso contro un girante senza prima aver elevato il protesto). Tranne la prima eccezione (personale) le altre sono dette reali in quanto opponibili a chiunque sia il portatore legittimo del titolo di credito. Al portatore legittimo quindi il debitore non può opporre eccezioni fondate sui suoi rapporti personali con altri precedenti creditori,, sia che si tratti di eccezioni fondate sul rapporto sottostante sia che si tratti di altre eccezioni fondate su rapporti personali intercorrenti tra il debitore e precedenti creditori cartolari. A questa regola è posta però una deroga la quale prevede che il debitore possa opporre le eccezioni personali riferite al precedente creditore anche all’ultimo portatore legittimo quando costui, nell’acquistare il credito, ha agito intenzionalmente a danno del debitore (es. quando in base ad un accordo fraudolento il possesso del titolo sia stato trasferito ad altro possessore al fine di precludere al debitore l’opponibilità delle eccezioni personali) Tale strappo alla regola dell’autonomia e letteralità del titolo di credito si spiega con la considerazione che dal momento che detta regola è stata posta nell’interesse generale per favorire la sicurezza e rapidità nella circolazione dei crediti, la legge non può permettere che di essa si avvalga il creditore cartolare per abusarne a danno del debitore, sfruttandola quindi nel suo esclusivo interesse personale.

4) La estinzione del titolo di credito – Ammortamento del titolo di credito – Il principio della incorporazione dovrebbe comportare che l’esercizio del diritto cartolare è precluso anche in caso di perdita involontaria del titolo (smarrimento, sottrazione o distruzione). La legge tuttavia non giunge a queste estreme conseguenze in quanto a favore di colui che ha perso il possesso del titolo e la legittimazione sono apprestati rimedi che, pur nel rispetto della esigenza primaria di sicurezza della circolazione, consentono di svincolare l’esercizio del diritto dal possesso del titolo. Tali rimedi sono diversi per i titoli all’ordine o nominativi o per i titoli al portatore. Per i titoli all’ordine o nominativi è previsto l’istituto dell’ammortamento che è uno speciale procedimento diretto ad ottenere la dichiarazione giudiziale che il titolo originario non è più strumento di legittimazione. Chi ottiene l’ammortamento può infatti esigere il pagamento su presentazione del relativo decreto e se il titolo non è scaduto può ottenere dall’emittente un duplicato del titolo perduto. La procedura di ammortamento è ammesso solo in caso di perdita involontaria del possesso (smarrimento, sottrazione o distruzione) e si articola in due fasi, una necessaria e l’altra eventuale. La procedura inizia con la denuncia al debitore della perdita del titolo e con il contestuale ricorso dell’ex possessore al presidente del tribunale del luogo dove il titolo è pagabile: con tale ricorso si richiede appunto l’ammortamento del titolo. Il presidente del tribunale dopo gli opportuni accertamenti sommari sulla verità dei fatti e sul diritto del denunziante pronuncia con decreto l’ammortamento. Il decreto deve essere pubblicato sulla GU e deve essere notificato al debitore a cura del ricorrente. Solo con la notifica del decreto il debitore non è liberato se paga al detentore del titolo. Il debitore però non può pagare nemmeno al ricorrente prima che siano decorsi trenta giorni dalla pubblicazione del decreto sulla GU. Entro questo termine infatti il terzo detentore del titolo può proporre opposizione contro il decreto di ammortamento depositando il titolo presso la cancelleria del tribunale, Si apre così un ordinario giudizio di cognizione che ha per oggetto l’accertamento della proprietà del titolo e si chiude con la revoca del decreto se l’opposizione è accolta. Se invece l’opposizione è respinta il decreto di ammortamento diviene definitivo e il titolo è consegnato al ricorrente. La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore salvo alcune eccezioni tassativamente previste per i titoli a circolazione ristretta (es. assegni bancari al portatore). I possessore del titolo al portatore che ne provi la distruzione ha tuttavia diritto ad ottenere dall’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente. Nel caso invece di sottrazione o smarrimento del titolo al portatore (o di distruzione non provata) chi ha subito tali eventi e li ha denunziati all’emittente dandone la prova ha diritto alla prestazione decorso il termine di prescrizione del titolo. Solo così infatti il debitore è al riparo dal pericolo di un doppio pagamento.

5) Categorie di titoli di credito

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457) Titoli individuali e titoli di massa- I titoli individuali sono titoli di credito emessi ognuno per una distinta operazione economica (es. l’assegno e la cambiale). I titoli di massa sono titoli che rappresentano frazioni di uguale valore nominale di una unitaria operazione economica di finanziamento ed attribuiscono a ciascuno uguali diritti come azioni e obbligazioni. Pur avendo una differente funzione economica in quanto i primi sono strumenti di mobilizzazione del credito e i secondi strumenti di investimento e di mobilizzazione della ricchezza è fuori di dubbio che entrambi appartengono al sistema unitario dei titoli di credito. Infatti anche nei titoli di massa il valore del titolo è conseguenza del collegamento della sua emissione ad una operazione di prestito o di investimento e quindi della sua inserzione in un rapporto sottostante in base al quale spetta al portatore un effettivo diritto nei confronti dell’emittente. In secondo luogo anche per i titoli di massa al portatore è ammessa una specie di surrogato della procedura di ammortamento ed è previsto per il caso di distruzione del titolo il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente. Ciò dimostra che anche nei titoli di massa abbiamo una connessione ai fini della circolazione di un diritto ad un documento.

459) Categorie generali – I titoli di credito si distinguono nelle seguenti categorie generali : a) titoli cambiari – Appartengono a questa categoria la cambiale, l’assegno bancario, l’assegno circolare, il vaglia cambiario della banca d’Italia,del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, la fede di credito del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia. Tali titoli hanno tutti la caratteristica di costituire strumenti di pagamento - b) titoli di debito o di prestito - Si tratta dei titoli di debito pubblico la cui caratteristica essenziale è quella di rappresentare una frazione di una operazione collettiva di prestito rimborsabile secondo un determinato piano di ammortamento c) titoli rappresentativi di merci quali la polizza di carico, la polizza ricevuta per l’imbarco, la fede di deposito, la nota di pegno e gli ordini di consegna la cui caratteristica comune è quella di attribuire al possessore il diritto alla consegna di merci, il possesso delle medesime, e il potere di disporne mediante trasferimento del titolo d) i titoli di partecipazione che attribuiscono al possessore una posizione nell’ambito di una organizzazione sociale, posizione che lo abilita all’esercizio di diritti e poteri stabiliti dalla legge e dal’atto costitutivo, Titoli di partecipazione sono quelli emessi da società per azioni e in accomandita per azioni, le obbligazioni e gli strumenti finanziari non partecipativi purchè soggetti alla legge di circolazione dei titoli di credito.

SEZIONE II I TITOLI CAMBIARI

1) Le fonti del diritto cambiario 460 – 461) Il diritto cambiario italiano è regolato dalle seguenti leggi fondamentali con le quali si è data attuazione alla convenzione di Ginevra del 1930 per l’unificazione del diritto della cambiale: a) la cosiddetta legge cambiaria del 1933 b) la cosiddetta legge assegni del 1933. A questa normativa vanno aggiunte altre leggi relative alle cambiali finanziarie, alla cambiale tratta garantita da cessione di credito e i regolamenti della Banca d’Italia, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia per i titoli speciali emessi da questi istituti. Per quanto riguarda la regolamentazione internazionale occorre dire che essa riguarda unicamente la cambiale e l’assegno bancario e comunque anche per questi istituti essa non costituisce una legge uniforme essendo consentito ai singoli stati di derogare alla legge cambiaria uniforme rispetto ai punti riservati. 462) Il documento cambiario – La cambiale è un titolo di credito all’ordine contenente una dichiarazione (detta dichiarazione cambiaria) che costituisce un ordine di pagamento (cambiale tratta) o una promessa di pagamento (vaglia cambiario o pagherò cambiario). Il creatore della cambiale assume il nome di emittente. Con la cambiale tratta una persona (traente) ordina ad un’altra persona (trattario) di pagare una somma di denaro ad un’altra persona che è il prenditore, beneficiario dell’ordine di pagamento. Con il vaglia cambiario che è una promessa di pagamento l’emittente promette il pagamento al prenditore che è beneficiario della promessa di pagamento. La creazione della cambiale è la creazione di un documento che presenta tutti i requisiti formali richiesti dalla legge per essere valida come cambiale mentre l’emissione della cambiale è l’uscita del documento dalla sfera giuridica del creatore. Nella normativa precedente il bollo costituiva requisito di validità della

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cambiale ma nella normativa attuale la mancanza o l’insufficienza del bollo privano solo la cambiale della sua qualità di titolo esecutivo e pertanto la successiva regolarizzazione fiscale è necessaria affinchè il portatore possa esercitare in giudizio i diritti cambiari, ferma restando la perdita della qualità di titolo esecutivo. I requisiti richiesti dalla legge che devono risultare dal documento sono inoltre richiesti affinchè il documento valga come cambiale e non per la validità della dichiarazione e pertanto vi può essere una dichiarazione valida e produttiva di effetti giuridici anche quando il documento non è una cambiale ma un semplice chirografo. (e in questo caso non si determineranno gli effetti che per legge derivano dalla cambiale ma quelli che derivano dalla semplice promessa di pagamento). 463) Capacità cambiaria - Tutte le persone giuridicamente capaci possono assumere obbligazioni cambiarie. La persona limitatamente capace (minore emancipato, inabilitato) e il rappresentante legale dell’incapace possono assumere obbligazione cambiaria solo quando vi sia stata autorizzazione all’esercizio dell’impresa mentre in caso contrario la capacità cambiaria sussiste solo con l’assistenza e con le forme richieste dalla legge per il compimento di atti di straordinaria amministrazione. Occorre ricordare che anche in materia cambiaria l’incapacità non può essere eccepita quando il minore abbia con raggiri occultato la sua minore età. La capacità deve sussistere ovviamente al momento della emissione e quindi non rileva una incapacità eventualmente presente al momento della creazione ma venuta meno al momento della emissione. Al contrario l’obbligazione cambiaria non sorge validamente se il soggetto, capace al momento della creazione non lo era al momento della emissione. Per quanto riguarda l’incapacità naturale essa può essere causa di annullabilità solo quando con essa concorra anche l’elemento della malafede dell’altro contraente. 464) La rappresentanza - Le dichiarazioni cambiarie possono essere compiute anche per mezzo di rappresentanza: in tale ipotesi dalla dichiarazione e dalla sottoscrizione deve apparire che il dichiarante si obbliga in nome del rappresentato affinchè gli effetti dell’atto compiuto si riflettano direttamente sul rappresentato stesso. La procura generale, qualora il rappresentato non sia imprenditore commerciale, non si considera comprensiva della procura cambiaria. La legge considera con particolare rigore l’ipotesi in cui il rappresentante assuma obbligazioni cambiarie in nome del rappresentato senza averne poteri o eccedendo i propri poteri. In questo caso la legge stabilisce che il falso rappresentante si obbliga in proprio e se adempie all’obbligazione cambiaria ha gli stessi diritti che avrebbe avuto il rappresentato. Vediamo quindi come a differenza della normativa stabilita per il falso procuratore (per il quale la legge prevede una obbligazione da atto illecito e quindi un obbligo al risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo) per il falso rappresentante in materia cambiaria è prevista una vera e propria obbligazione cambiaria. Pertanto possiamo dire che se il potere di rappresentanza sussiste nel momento della dichiarazione (o viene attribuito successivamente tramite ratifica) l’obbligato cambiario è il rappresentato e se invece non sussiste allora l’obbligato cambiario è il rappresentante. E’ ovvio tuttavia che se con il pagamento della cambiale da parte del falso rappresentante viene estinto una obbligazione del rappresentato verso il prenditore sorgente da un determinato rapporto fondamentale allora il falso rappresentante, una volta pagata la cambiale, può ripetere le somme dal rappresentato almeno nei limiti dell’arricchimento. Nell’ipotesi invece di conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante la legge ritiene rilevante per i terzi tale conflitto solo quando esso sia conosciuto o conoscibile e quindi vi sia possibilità di riconoscerlo con la normale diligenza non solo da parte del singolo ma anche da parte della generalità. 465) Elementi essenziali del documento cambiario - Elementi essenziali della cambiale sono : a) la denominazione di cambiale inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui il titolo è redatto Per il vaglia cambiario possono essere utilizzate in alternativa le denominazioni “vaglia cambiario” o “pagherò cambiario”. B) l’ordine incondizionato nella cambiale tratta (pagherete a…) o la promessa incondizionata nel vaglia cambiario (pagherò a….) di pagare una somma determinata. Somma che di regola viene espressa sia in lettere che in cifre. In caso di discordanza prevale la somma scritta in lettere mentre se la somma è scritta più volte, in lettere o in cifre, vale la somma minore. L’apposizione di una condizione toglie al documento il carattere di cambiale. C) le generalità di chi è

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designato a pagare (trattario) nella cambiale tratta. Per l’imprenditore la indicazione può essere fatta anche tramite la ditta e per la società attraverso la ragione o la denominazione sociale. Può essere indicato come trattario lo stesso traente e in tal caso la designazione può essere indiretta risultando già dal titolo il nome della persona designata a pagare. In questo caso però la cambiale non si tramuta in pagherò ma rimane comunque una cambiale tratta disciplinata quindi dai principi posti per tale tipo di cambiale (per quanto riguarda quindi la mancata accettazione o il mancato pagamento) D) l’indicazione della scadenza che può essere a vista, a certo tempo vista, a certo tempo data, a giorno fisso. La scadenza è a vista se la cambiale è pagabile al momento della presentazione del titolo, a certo tempo vista se scade dopo un certo tempo dopo la presentazione, a certo tempo data se scade dopo un certo tempo dall’emissione del titolo. In mancanza di scadenza essa si intende a vista e quindi il pagamento deve essere fatto a richiesta del possessore. E) l’indicazione del luogo di pagamento. In mancanza di ciò la cambiale tratta è pagabile nel luogo indicato accanto al nome del trattario e il vaglia cambiario nel luogo di emissione del titolo. E’ possibile indicare come luogo di pagamento anche il domicilio di un terzo e in tal caso la cambiale si dice domiciliata. F) il nome di colui al quale o all’ordine del quale deve farsi il pagamento e quindi il prenditore che nella cambiale tratta può essere anche lo stesso traente. G) l’indicazione della data e del luogo di emissione. In mancanza del luogo di emissione la cambiale si considera sottoscritta nel luogo indicato accanto al nome del traente h) la sottoscrizione di colui che emette la cambiale (traente o emittente) accompagnata nel caso di vaglia cambiario dalle generalità dell’emittente. A differenza dagli altri requisiti la sottoscrizione deve essere autografa e quindi apposta manualmente dal traente o dall’emittente. Essa deve contenere il nome e il cognome o la ditta di chi si obbliga ma è valida anche la sottoscrizione in cui il nome si abbreviato o indicato con la sola iniziale. Quando la sottoscrizione sussiste il documento vale come cambiale anche se la sottoscrizione è falsa. Infatti i requisiti riguardano il documento e non la dichiarazione . Pertanto la falsità della sottoscrizione può comportare che colui la cui firma è stata falsificata non assuma alcuna obbligazione ma non comporta il venir meno del requisito formale della sottoscrizione e quindi rimane ferma l’efficacia delle altre obbligazioni cambiarie. 466) Effetti della mancanza di un elemento essenziale: la cambiale in bianco - Il documento che manca di uno dei requisiti essenziali cui non si può supplire attraverso la legge (scadenza, luogo di emissione o luogo di pagamento) non vale come cambiale ma può valere solo come promessa di pagamento o ricognizione di debito. Tuttavia non è necessario che i requisiti siano presenti all’atto di emissione del titolo in quanto basta che la cambiale sia completa al momento in cui se ne richiede il pagamento. La cambiale che circola sprovvista di uno o più requisiti essenziali si chiama cambiale in bianco e perché si possa parlare di cambiale, sia pure in bianco, occorre la sola sottoscrizione autografa e la denominazione cambiale in quanto il resto può essere aggiunto dopo ad opera del prenditore del titolo. Tuttavia purchè si possa parlare di cambiale in bianco occorre che al primo prenditore sia attribuito dall’emittente il potere di riempimento attraverso un accordo di riempimento con il quale si fissano le modalità del successivo riempimento del titolo. All’emissione della cambiale in bianco si ricorre infatti quando alcuni dati cambiari non sono attualmente determinabili ma lo saranno in futuro in relazione allo svolgimento di un determinato rapporto dalle parti. Chi lascia una cambiale in bianco ovviamente resta esposto al rischio che la stessa sia riempita dal prenditore in modo diverso da quanto pattuito nell’accordo di riempimento e quindi al rischio di un abusivo riempimento. Tale rischio è limitato se il pagamento della cambiale viene richiesto da colui con cui è intercorso l’accordo di riempimento in quanto a questo l’emittente potrà sempre opporre la violazione dell’accordo pur restando a suo carico l’onere di provare in giudizio il riempimento abusivo. Il rischio è più grave se l’immediato prenditore dopo aver completato il titolo in difformità dagli accordi lo gira ad un terzo. L’eccezione di abusivo riempimento infatti è una eccezione personale che non è opponibile al terzo prenditore a meno che questi non abbia acquistato la cambiale in mala fede o con colpa grave. In difetto di tale prova il debitore dovrà pagare la cambiale e potrà solo chiedere il risarcimento del danno all’autore dell’abusivo riempimento. Il portatore decade dal diritto di riempire la cambiale in bianco dopo tre anni dal giorno dell’emissione del titolo La cambiale in bianco essendo già dall’inizio destinata a diventare una vera cambiale produce subito gli effetti cambiari consentiti dagli elementi già esistenti. Pertanto anche prima del riempimento gli effetti cambiari si producono rispetto ad

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elementi già esistenti e quindi l’accettazione, l’avallo o la girata anche se apposte su una cambiale in bianco producono subito gli effetti loro tipici. 467) Elementi accidentali del documento cambiario - Elementi accidentali della cambiale sono alcune clausole che vengono inserite nel testo con l’intenzione di produrre un effetto particolare. Tali clausole non sempre sono considerate dalla legge come valide. Una prima categoria di tali clausole è considerata dalla legge nulla, con nullità limitata in alcuni casi alla clausola vietata e in altri casi all’intera dichiarazione cambiaria. Esempi del primo tipo li abbiamo nelle clausole che la legge considera come non apposte come ad esempio la condizione apposta alla girata o la rinuncia alla prescrizione. Esempi del secondo tipo li abbiamo nella clausola di esonero dell’accettante o dell’emittente a pagare o la clausola che prevede il pagamento non in denaro. In questi ultimi casi infatti la clausola eliminerebbe addirittura la volontà cambiaria escludendone alcuni effetti caratteristici e per tale motivo la legge, in presenza, di esse, considera invalida l’intera cambiale. Per quanto riguarda le clausole valide esse possono distinguersi in due categorie: le clasuole cambiarie che influiscono direttamente sul rapporto cambiario e le clausole connesse che pur inserite nella cambiale non influiscono sul rapporto cambiario ma sono relative ai rapporti sottostanti. Per quanto riguarda la prima categoria distinguiamo le clausole complementari che integrano il rapporto cambiario (es. clausola con cui si nomina un domiciliata rio o clausole che contengono la promessa di interessi nelle cambiali a vista o a certo tempo vista) e le clausole derogative che hanno invece l’effetto di modificare il rapporto cambiario. Esempio di queste ultime sono la clausola non all’ordine che apposta sia dal traente che dall’emittente escludono la qualità di titolo circolante della cambiale mentre esempio di clausole connesse sono “ per conto di”, “documenti contro accettazione”, valuta merci, ecc- Tutte queste clausole non influiscono sul rapporto cambiario ma danno indicazioni al trattario circa la giustificazione causale della tratta in modo che possa meglio regolarsi circa l’accettazione e il pagamento della tratta stessa. 468) La cambiale tratta con cessione della provvista - La cambiale tratta con cessione della provvista è un particolare tipo di cambiale garantita in quanto in essa il credito cambiario è garantito dalla cessione pro solvendo del credito derivante da forniture di merci che il traente ha nei confronti del trattario, cessione che viene attuata tramite apposita clausola indicata nella tratta. La legge pone alcuni limiti all’adozione di tale clausola e in particolare il fatto che la provvista deve consistere necessariamente in un credito derivante da fornitura di merci e il fatto che la cessione della provvista può essere attuata solo a favore di una banca. La garanzia consiste nell’attribuire al portare il potere di agire nei confronti del trattario sulla base di un rapporto sottostante (fornitura di merci) e quindi è destinata a funzionare per le cambiali tratte che non devono essere presentate per l’accettazione o nella eventualità che la cambiale non venga accettata. Infatti qualora sia intervenuta l’accettazione la funzione della garanzia viene meno in quanto per effetto di essa sorge l’obbligazione cambiaria diretta del trattario. La clausola può essere inserita solo dal traente e pur dovendo il primo prenditore o giratario essere una banca la garanzia opera a favore di tutti i successivi prenditori della cambiale. 469) La cambiale ipotecaria - La cambiale ipotecaria è anch’essa una cambiale garantita e si caratterizza perché la garanzia del credito cambiario è costituita da una ipoteca iscritta su immobili o beni mobili registrati. Una volta eseguita la iscrizione dell’ipoteca e la relativa annotazione sul titolo la circolazione della cambiale comporta anche la circolazione della garanzia ipotecaria senza bisogno di ulteriori annotazioni. B) L’ACCETTAZIONE 470) Rapporto di provvista e accettazione della tratta - L’emissione di una tratta presuppone un rapporto giuridico tra traente e trattario che giustifica l’ordine di pagamento del primo al secondo che si denomina rapporto di provvista. Tale rapporto di provvista è un rapporto extracambiario che diventa rapporto cambiario solo con l’accettazione da parte del trattario. Infatti finchè non interviene l’accettazione la cambiale tratta contiene solo la promessa del traente di accettazione futura da parte

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del trattario in quanto in caso di mancata accettazione il debitore emittente dovrà rispondere in via di regresso. L’accettazione della tratta da parte del trattario può essere prevista come suo obbligo nel rapporto di provvista ma se così non è il trattario non può essere considerato obbligato all’accettazione per il solo fatto di essere debitore del traente. Per tale motivo è consentito al traente di apporre la clausola “senza accettazione”(clausola derogativa) per effetto della quale viene vietata la presentazione al trattario per l’accettazione. Tale clausola non può essere apposta quando la cambiale sia pagabile presso un terzo, o in luogo diverso dal domicilio del trattario o sia ad un certo tempo vista. 471) Presupposti, modalità ed effetti della accettazione - L’accettazione è la dichiarazione con la quale il trattario si obbliga a pagare la cambiale alla scadenza e quindi con essa il trattario diventa obbligato principale e diretto. Essa si attua mediante l’apposizione sulla cambiale della formula “accetto”, visto o anche con la semplice sottoscrizione sul titolo del trattario accompagnata dalle proprie generalità. L’accettazione presuppone la presentazione della cambiale che avviene con l’esibizione della cambiale al trattario al proprio domicilio, tale presentazione può avvenire fino alla scadenza della cambiale ma il traente può porre un termine iniziale e un termine finale per la presentazione (nella cambiale ad un certo tempo vista la presentazione deve avvenire entro un anno dalla data di emissione o nel termine minore o maggiore fissato dal traente). L’accettazione deve essere incondizionata ma può essere fatta per una parte sola della somma. L’apposizione di condizioni equivale a rifiuto di accettazione anche se l’accettante rimane obbligato nei limiti della sua dichiarazione. L’accettazione non produce effetto se viene cancellata prima della restituzione del titolo, tuttavia se il trattario abbia dato notizia dell’accettazione al portatore della cambiale o ad uno dei firmatari di essa e poi abbia cancellato l’accettazione gli effetti di questa permangono nei confronti di quel portatore e di quel firmatario della cambiale. 472) Accettazione per intervento - Se la cambiale non viene accettata il portatore può esercitare azione di regresso prima della scadenza nei confronti del traente. Per evitare tale inconveniente la legge prevede la figura dell’accettazione per intervento con la quale l’accettazione può avvenire con l’intervento di persona diversa dal trattario sia che tale intervento sia fatto per indicazione del traente ()indicazione di bisogno) sia che l’intervento sia spontaneo (intervento per onore). L’accettazione per intervento è ammesso solo in caso di mancata accettazione o di fallimento del trattario prima dell’accettazione e determina il fatto che il regresso nei confronti del traente non può essere esercitato prima della presentazione della cambiale all’interventore e fino a quando il suo eventuale rifiuto sia stato fatto constatare tramite protesto. L’accettazione per intervento deve essere apposta sulla cambiale mediante sottoscrizione dell’interveniente che deve anche specificare a favore di chi interviene. In mancanza di ciò la legge presume che l’intervento sia fatto per conto del traente. L’accettazione per intervento comporta che l’interveniente assuma obbligazioni pari a quella della persona per conto della quale interviene. L’accettazione per intervento cessa di essere efficace e la relativa obbligazione dell’interveniente si estingue se la cambiale non viene presentata per il pagamento all’interveniente entro il giorno successivo a quello consentito per elevare protesto per mancato pagamento. C) LA GIRATA 473) La girata: funzione e forma - Come tutti i titoli all’ordine anche la cambiale circola tramite girata. Il trasferimento della cambiale mediante girata può essere esclusa dal traente o dall’emittente apponendo sul titolo la clausola “non all’ordine” o altra simile ma in tal caso la cambiale è trasferibile solo nella forma e con gli effetti di una cessione ordinaria e quindi l’acquirente subentra a titolo derivativo nei diritti cambiari restando esposto a tutte le eccezioni opponibili ai precedenti portatori. La girata a pena di nullità deve essere apposta sulla cambiale (o sul foglio di allungamento della stessa) e deve essere sottoscritta dal girante, può essere piena o in bianco (e cioè non indicare il nome del beneficiario). La girata deve essere incondizionata e ogni condizione apposta si considera come non scritta. E’ nulla la girata parziale. Per le cambiali però la girata non ha solo una funzione in merito alla circolazione del titolo ma anche la funzione di promessa cambiaria. Infatti il girante (se non vi è

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clausola contraria) risponde dell’accettazione e del pagamento della cambiale nei confronti del portatore della cambiale. Si tratta di una obbligazione indiretta (ossia di regresso) e non di obbligazione diretta in quanto il girante non promette un fatto proprio ma un fatto di un terzo e quindi la responsabilità sorge solo qualora il terzo non ponga in essere quanto promesso. Tale funzione di garanzia della girata può essere eliminata con la clausola “senza garanzia” o altra similare o può essere limitata al giratario diretto mediante una clausola che vieti la successiva circolazione del titolo. Tale funzione di garanzia non sussiste neanche nella girata per l’incasso o per procura in quanto con queste clausole il giratario assume la figura di un mandatario del girante, puro detentore del titolo e quindi solo come tale potrà esercitare per conto del girante tutti i diritti inerenti alla cambiale e non potrà girarla a terzi se non per procura. D) L’AVALLO 474) L’avallo – funzioni e carattere – Le obbligazioni cambiarie possono essere assistite da garanzie personali e tale garanzia può essere prestata fuori dal documento cambiario con una fidejussione o in forma cambiaria e quindi sulla cambiale mediante l’avallo. L’avallo è una obbligazione cambiaria di garanzia e quindi costituisce una obbligazione accessoria rispetto alla obbligazione cambiaria garantita. Tuttavia tale accessorietà deve essere intesa secondo i principi del diritto cambiario e quindi assume un significato diverso rispetto alla accessorietà della fidejussione, la quale è accessoria ad una obbligazione principale e ne segue le sorti. Tale accessorietà dell’avallo secondo i principi del diritto cambiario pone le seguenti conseguenze: la prima à che l’avallo viene meno solo quando l’obbligazione garantita non esiste come obbligazione cambiaria e quindi quando esistono quei vizi di forma che rendono nulla la cambiale secondo i principi cambiari. Invece quando l’obbligazione pur esistendo come obbligazione cambiaria è nulla l’avallo è comunque valido. 475) Accessorietà dell’obbligazione dell’avallante : conseguenze e limiti – Altre conseguenze sono le seguenti: a) l’avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo viene dato e quindi in via principale se è stato garantito l’emittente e invia di regresso se è stato garantito un girante. B) l’avallante che paga acquista i diritti cambiari contro l’avallato e contro coloro che erano obbligati nei confronti di quest’ultimo. C) l’obbligazione dell’avallante si estingue se si estingue l’obbligazione dell’avallato e quindi l’avallante può opporre al portatore della cambiale l’estinzione del debito dell’avallato qualunque ne sia la causa (pagamento, remissione del debito, prescrizione). D) è dubbio se l’avallante possa opporre al creditore le eccezioni che avrebbe potuto opporre l’avallato. Infatti l’art 37 della legge cambiaria esclude che l’avallante possa opporre le eccezioni (diverse da quelle fondate su un vizio di forma) che sono relative all’esistenza dell’obbligazione cambiaria dell’avallato (es. falsità della sottoscrizione, mancanza di volontà, difetto di rappresentanza) ma non esclude la possibilità da parte dell’avallante, ferma restando l’esistenza della obbligazione cambiaria dell’avallato, di opporre al portatore della cambiale le eccezioni che avrebbe potuto opporre l’avallato sulla base del suo rapporto con il portatore. L’art. 37 legge cambiaria quindi sancisce solo che l’avallante rimane obbligato anche se non vi è obbligazione cambiaria dell’avallato ma non sancisce che, quando l’obbligazione esiste, l’avallante non possa opporre al portatore le stesse eccezioni che avrebbe potuto porre l’avallato. 476) Forma e contenuto dell’avallo - L’avallo è una dichiarazione cambiaria con la quale un soggetto (avallante) garantisce il pagamento della cambiale per tutta o parte della somma mediante la formula “per avallo” sottoscritta dall’avallante sulla cambiale o sul suo foglio di allungamento. In mancanza di tale formula si considera avallo anche la firma di persona diversa dall’emittente, traente o trattario, apposta sulla parte anteriore della cambiale. L’avallo deve indicare la persona per la quale è prestato e in mancanza si ritiene dato per il traente nella tratta e per l’emittente nella cambiale diretta. Nel silenzio della legge si deve ritenere che sia valido l’avallo condizionato e quindi l’efficacia della apposizione di una eventuale condizione. E) IL PAGAMENTO

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477) Il pagamento della cambiale: presentazione per il pagamento - Legittimato a chiedere il pagamento è il portatore della cambiale che giustifica il suo diritto con una serie continua di girate anche se l’ultima è in bianco. Chi paga alla scadenza deve controllare la regolarità formale delle girate e la loro continuità e non l’autenticità della firma dei giranti e più in generale la loro validità sostanziale. Eseguiti tali controlli e identificato l’attuale possessore il debitore cambiario è liberato anche se paga al non titolare a meno che da parte sua non vi sia dolo o colpa grave, Il possessore della cambiale, alla scadenza deve presentare la cambiale per i pagamento al trattario (anche se non ha accettato)nella cambiale tratta e all’emittente nel pagherò cambiale e se la cambiale è domiciliata al domiciliatario, Se il trattante o l’emittente sono defunti la presentazione deve essere fatta ai loro eredi. Nella cambiale a giorno fisso o a certo tempo data o vista la presentazione deve essere fatta nel giorno della scadenza o in uno dei due giorni feriali successivi. La cambiale a vista invece deve essere presentata per il pagamento entro un anno dalla data di emissione. L’omessa presentazione nei termini comporta la perdita dell’azione cambiaria nei confronti degli obbligati di regresso. Il termine della scadenza nelle cambiali deve intendersi posto dalla legge a favore di entrambe le parti e quindi il debitore non può pagare in anticipo senza il consenso del creditore. In deroga ai principi del diritto civile il portatore della cambiale non può rifiutare un pagamento parziale che deve essere annotato sul titolo che resta comunque in possesso del portatore. Come l’accettazione anche il pagamento può essere fatto per intervento. Il pagamento per intervento non può essere parziale e deve essere effettuato al più tardi nel giorno successivo all’ultimo giorno consentito per elevare il protesto per mancato pagamento. Se alla scadenza il possessore rifiuta di accettare il pagamento del terzo non potrà più rivolgersi in regresso nei confronti di quegli obbligati che in conseguenza dell’intervento sarebbero stati liberati. Il pagamento per intervento deve essere annotato per quietanza nella cambiale con l’indicazione della persona per la quale l’intervento è stato fatto; in mancanza l’intervento si presume fatto per l’ultimo obbligato in via di regresso (traente nella cambiale tratta, prenditore nella cambiale diretta). F) LE AZIONI CAMBIARIE 480) Le azioni cambiarie: azione diretta e azione di regresso - Il diritto del portatore al pagamento della cambiale sussiste direttamente nei confronti dell’accettante, dell’emittente e dei loro avallanti e in via di regresso nei confronti dei giranti, del traente e dell’accettante per intervento e dei loro avallanti. Pertanto nel caso in cui l’emittente o l’accettante non paghino alla scadenza il portatore ha due possibilità: esercitare l’azione diretta nei confronti dell’emittente, dell’accettante o dei loro avallanti o esercitare l’azione di regresso nei confronti degli altri obbligati cambiari. Occorre dire che mentre l’azione diretta non richiede alcun adempimento e non è soggetto a decadenza ma solo a prescrizione di tre anni, l’azione di regresso richiede particolari adempimenti (levata del protesto) ed è soggetta a breve termine di decadenza. L’azione di regresso spetta al portatore della cambiale. A) alla scadenza se il pagamento da parte delle mittente o del trattario (abbia accettato o meno) non ha avuto luogo b) prima della scadenza se l’accettazione è stata rifiutata in tutto o in parte, in caso di fallimento del trattario o dell’emittente, in caso di esecuzione infruttuosa sui loro beni e in caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile (purchè non sia stata accettata per intervento). L’azione di regresso spetta inoltre all’obbligato in via di regresso e all’interveniente che abbiano pagato la cambiale al portatore e in tal modo hanno riacquistato i diritti cambiari nei confronti degli obbligati antecedenti. 481) Presupposto formale dell’azione di regresso: il protesto - Presupposto fondamentale per esercitare l’azione di regresso è la constatazione dei fatti che autorizzano al regresso stesso. Nel caso in cui il regresso dipenda dalla dichiarazione di fallimento del trattario o dell’emittente (e nel caso di cambiale non accettabile del traente) tale constatazione si ha attraverso la sentenza dichiarativa di fallimento. Negli altri casi invece la constatazione deve essere fatta tramite il protesto. Il protesto è una dichiarazione solenne dei fatti mediante atto pubblico redatto da notaio o ufficiale giudiziario o un suo aiutante (se nel comune non esiste un notaio o un ufficiale giudiziario anche dal segretario comunale). Il notaio e l’ufficiale giudiziario possono avvalersi della collaborazione di presentatori, nominati dal presidente della corte di appello, che presentano il titolo, ne incassano l’importo o

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constatano il mancato pagamento. L’atto di protesto viene invece redatto successivamente dal notaio o dall’ufficiale giudiziario , il protesto può essere annotato sulla cambiale o posto su un atto separato e ha valore di atto pubblico. Il protesto per mancata accettazione esenta il portatore dalla presentazione della cambiale per il pagamento o dal protesto per mancato pagamento. Efficacia pari al protesto è riconosciuta alla dichiarazione di rifiuto dell’accettazione o del pagamento scritta dal trattario sulla cambiale. Il portatore può essere esonerato dall’obbligo del protesto se sulla cambiale sia stata posta la clausola “senza protesto” o altra equivalente. Però la clausola deve essere apposta dal traente o dall’emittente in quanto se è apposta da un girante o da un avallante ha valore solo nei confronti di questo e quindi nei confronti degli altri il portatore non è esonerato dall’obbligo del protesto L’esonero dal protesto non dispensa comunque dagli altri adempimenti richiesti (presentazione della cambiale, avviso ai giranti). La legge fissa precisamente i termini per elevare protesto. Il portatore, indipendentemente dal protesto, ha l’obbligo di dare avviso al proprio girante, al traente e agli eventuali avallanti di questi della mancata accettazione o del mancato pagamento entro i quattro giorni successivi al protesto (o alla presentazione in caso di clausola “senza protesto”) e ogni girante deve a sua volta dare avviso al proprio girante. La mancata presentazione o il mancato protesto nel caso questo sia obbligatorio comportano decadenza per il portatore dall’azione di regresso mentre il mancato avviso comporta solo l’obbligazione al risarcimento degli eventuali danni. 482) L’esercizio del regresso - Il portatore può rivolgersi con l’azione di regresso nei confronti di qualunque obbligato senza dover rispettare l’ordine delle girate, può agire contro uno solo di essi o congiuntamente contro più di essi. Lo stesso diritto spetta a colui che, obbligato in via di regresso, abbia pagato il portatore nei confronti degli obbligati anteriori e che quindi può chiedere a ciascuno di essi il rimborso integrale di quanto pagato oltre agli interessi e alle spese. L’obbligato che ha pagato non può esercitare invece azione cambiaria di regresso nei confronti degli eventuali coobbligati di pari grado (es. coavallanti) e contro questi potrà agire solo in via extracambiaria esercitando il diritto di rivalsa in base ai principi posti dal diritto civile per le obbligazioni solidali. All’obbligato di regresso che paga deve essere consegnata la cambiale e il protesto e egli ha il diritto di cancellare dalla cambiale la propria firma e quella degli obbligati successivi. G) IL PROCESSO CAMBIARIO 483) Realizzazione giudiziale dei diritti cambiari: titolo esecutivo e processo cambiario – L’azione cambiaria (diretta o di regresso) gode di un particolare regime processuale volto a consentire al creditore un più rapido recupero della somma dovutagli. A tale proposito la legge stabilisce una procedura esecutiva tramite la quale la cambiale originariamente in regola con il bollo vale come titolo esecutivo. Il possessore pertanto può iniziare la procedura esecutiva sui beni del debitore senza doversi munire preventivamente di un provvedimento giudiziale di condanna. In alternativa è previsto il procedimento ordinario in base al quale il portatore della cambiale può avvalersi dell’ordinario procedimento di cognizione volto ad ottenere la sentenza di condanna. Questa è peraltro l’unica via praticabile qualora la cambiale non fosse originariamente in regola con il bollo e purchè sia stata successivamente regolarizzata. Su istanza del creditore il giudice deve emettere sentenza provvisoria di condanna se le eccezioni opposte dal debitore sono di lunga indagine imponendo al creditore il versamento di una cauzione qualora lo ritenga opportuno. L’esecuzione può essere sospesa qualora il debitore disconosca la propria firma o il potere di rappresentanza di chi ha sottoscritto la cambiale o ricorrano gravi e fondati motivi ma in questo caso la sospensione è subordinata alla prestazione di una cauzione, Per quanto riguarda le eccezioni opponibili dal debitore vale quanto già detto in generale per i titoli di credito. 484) Prescrizione dei diritti cambiari – I diritti cambiari si prescrivono in tre anni per gli obbligati principali e di un anno o sei mesi per gli obbligati di regresso. h) LE AZION IEXTRA CAMBIARIE

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485) L’azione causale - L’emissione e la circolazione della cambiale hanno di regola fondamento in un rapporto preesistente di debito tra chi da e chi riceve il titolo e tale rapporto non si estingue con l’emissione o la girata della cambiale a meno che non si provi che il rilascio della cambiale ha prodotto novazione del rapporto causale. Per realizzare il proprio credito quindi il portatore della cambiale ha a disposizione oltre alle azioni cambiarie (diretta o di regresso) anche l’azione causale. Ovviamente l’azione causale è possibile solo quando l’esercizio dell’azione cambiaria non sia più possibile o si sia prescritta o quando, essendo mancata l’accettazione e il pagamento il portatore non abbia più interesse ad esercitare l’azione cambiaria o la stessa si sia prescritta e oltretutto la legge sottopone tale possibilità ad alcuni limiti. A parte il limite per cui deve sussistere la necessità di far ricorso all’azione causale (e quindi questa non può’ essere esperita con preferenza sull’azione cambiaria per libera scelta del portatore) esiste l’altro limite per cui va tutelata la posizione di colui contro il quale l’azione si rivolge in modo tale che gli sia permesso di esercitare a sua volta i diritti cambiari in sostituzione del portatore. Quando quindi l’azione causale è rivolta contro un obbligato di regresso l’azione causale è consentita solo quando questo sia in condizione di poter esercitare a sua volta i diritti cambiari nei confronti dei precedenti obbligati di regresso. La legge richiede quindi in questo caso per l’esercizio dell’azione causale che la cambiale sia stata depositata presso la cancelleria del giudice e che sia stato levato il protesto e compiute le formalità necessarie per conservare l’azione di regresso. Tali formalità non sono ovviamente necessarie qualora l’azione cambiaria si rivolta contro il debitore principale. Pertanto in caso di decadenza o prescrizione dell’azione cambiaria l’azione causale può rivolgersi solo contro il debitore principale ed è preclusa nei confronti degli obbligati di regresso. 486) L’azione di arricchimento - Può verificarsi che il portatore della cambiale abbia perduto, per decadenza o prescrizione tutte le azioni cambiarie e non abbia alcuna azione causale da esercitare. In questo caso la legge cambiaria gli consente di agire contro il traente, l’accettante, l’emittente o il girante per la somma di cui si siano arricchiti ingiustamente a suo danno. L’azione, inquadrabile in quella generale d ingiustificato arricchimento, sarà in concreto esercitabile solo nei confronti dell’obbligato cambiario beneficiario dell’arricchimento. Quindi di regola nei confronti dell’accettante nella cambiale tratta o dell’emittente nel pagherò. L’azione di arricchimento cambiario si prescrive in un anno al giorno della perdita dell’azione cambiaria.

i) La cambiale come mezzo di finanziamento

487 – 488)) L’accettazione bancaria – Le cambiali finanziarie - Le cambiali sono state utilizzate anche per operazioni non di credito individuale ma volte alla raccolta di pubblico risparmio. In un primo tempo ciò avveniva tramite le accettazioni bancarie, operazione complessa che prevedeva un duplice rapporto tra imprenditore e banca e imprenditore e società finanziaria. Oggi tale strumento non è più utilizzato ed è stato sostituito da quello della cambiale finanziaria che costituisce il nuovo strumento di finanziamento delle imprese. La loro funzione è quella di offrire alle imprese, soprattutto a quelle non abilitate ad emettere obbligazioni, uno strumento per raccogliere direttamente tra il pubblico il capitale di credito a breve termine alternativo rispetto al ricorso al credito bancario spesso troppo costoso. Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine emessi in serie, con scadenza non inferiore a 3 mesi e non superiore a 12 mesi dalla data di emissione e con un taglio minimo non inferiore a circa 51.000 euro. La loro struttura è quella del pagherò cambiario e quindi contengono una promessa incondizionata di pagamento da parte dell’emittente.

2) GLI ASSEGNI

489) Funzioni e caratteri degli assegni - A differenza della cambiale che è uno strumento di credito gli assegni hanno la funzione di mezzi di pagamento sostitutivi della moneta. Tale funzione è messa in luce anche dalla disciplina antiriclaggio che, imponendo la clausola di non trasferibilità agli assegni di importo pari o superiore a 12.500 euro riconosce loro il ruolo di mezzo che necessariamente deve sostituire la consegna di denaro. Da un punto di vista formale anche gli assegni contengono una

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dichiarazione simile a quella della cambiale che si concreta in un ordine o promessa di pagamento ma a differenza della cambiale per l’emissione dell’assegno è richiesta l’esistenza della provvista (ossia della somma necessaria per il pagamento) tanto è vero che sono previste sanzioni amministrative per il mancato pagamento per difetto di provvista. Gli assegni inoltre, proprio perché mezzi di pagamento, sono sempre pagabili a vista e quindi all’atto della presentazione, non richiedono accettazione e sono soggetti ad un breve termine legale di presentazione e inoltre qualunque promessa di interessi inserita nell’assegno si considera come non scritta.

A) L’ASSEGNO BANCARIO

490) L’assegno bancario : struttura e presupposti – L’assegno bancario è un titolo di credito all’ordine o al portatore contenente un ordine diretto ad una banca di pagare al possessore del titolo secondo la legge di circolazione la somma indicata sull’assegno. La dichiarazione contenuta corrisponde a quella della cambiale tratta ma l’ordine di pagamento deve essere necessariamente diretto ad una banca e l’emissione dell’assegno prevede l’esistenza di somme disponibili presso la banca cui l’ordine è diretto di cui il traente deve avere autorizzazione a disporre. Tuttavia l’esistenza di somme disponibili e l’autorizzazione a disporne mediante assegno sono requisiti di regolarità ma non di validità dell’assegno in quanto la dichiarazione cambiaria del traente come quelle degli eventuali giranti sono valide ed efficaci anche quando tali requisiti non sussistono. Come abbiamo detto l’emissione di assegni senza autorizzazione o senza provvista comporta l’applicazione al traente di sanzioni amministrative pecuniarie e l’obbligo di pagare una penale al prenditore o al giratario.

491) La posizione della banca trattaria - A differenza della cambiale tratta per l’assegno vige per la banca il divieto di accettazione e pertanto per la banca nell’assegno bancario non sorge in nessun momento una obbligazione cambiaria nei confronti del portatore del titolo. Certamente con l’apertura del conto corrente la banca si obbliga ad onorare gli assegni nei limiti dei fondi disponibili. Ma si tratta di una obbligazione ex mandato che la banca assume nei confronti del cliente e non nei confronti del prenditore degli assegni. Ne consegue che il rifiuto ingiustificato di pagare l’assegno espone la banca a responsabilità contrattuale nei confronti del traente e non del prenditore. Tuttavia deve ritenersi che a carico della banca nei confronti del prenditore debba sussistere una obbligazione extracambiaria che trova il suo fondamento nella convenzione di assegno il cui rilievo non può essere limitato alle parti contraenti. Tale obbligazione infatti non ha pero oggetto tanto il pagamento di una somma quanto l’attuazione della destinazione che emettendo l’assegno il traente ha dato alla sua provvista presso la banca. Essendo il contratto tra banca e cliente il presupposto dell’assegno l’esecuzione dell’ordine da parte della banca non può essere considerato solo un fatto interno ma deve assumere necessariamente rilievo giuridico anche per il prenditore il quale ha ricevuto l’assegno proprio nel presupposto del suo adempimento. Deve ritenersi quindi che la banca non possa arbitrariamente o d’accordo con il traente negare quella destinazione della provvista imposta dall’emissione dell’assegno una volta che l’assegno dia stato emesso e quindi deve ritenersi che la banca sia responsabile verso il portatore se non paga l’assegno pur avendo presso di sé i fondi disponibili e pur essendo il portatore possessore legittimo dell’assegno. Il vincolo di destinazione sorge in momenti diversi per il traente e per la banca. Per il traente sorge al momento dell’emissione dell’assegno e pertanto quando il traente consegna l’assegno l’ordine di pagamento non può essere revocato né possono essere eliminati con un suo atto di volontà gli effetti giuridici che ne conseguono circa la provvista. Per la banca invece il vincolo di destinazione sorge al momento della presentazione dell’assegno. Pertanto essendo per il traente decisivo il momento dell’emissione le vicende successive riguardanti la sua persona non possono modificare la situazione creata con l’emissione (es, morte del traente, sua sopravvenuta incapacità, dichiarazione di fallimento del traente). Essendo invece per la banca decisivo il momento della presentazione la banca deve pagare l’assegno anche se le disponibilità non esistevano al momento della emissione e sono state create prima della presentazione mentre la banca non è tenuta a pagare se la disponibilità esistente al momento della emissione sia venuta meno al momento della presentazione. Spetta infatti al traente e non alla banca assicurarsi che la disponibilità non venga meno per tutto il periodo di

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presentazione e lo stesso traente sa che se ha più rapporti con la banca la banca stessa ha diritto di compensare i suoi crediti con le somme disponibili nel conto.

493) La dichiarazione di assegno - La dichiarazione di assegno è soggetta agli stessi requisiti di capacità della dichiarazione cambiaria. Un differenza sta invece nel fatto che il potere di emettere assegni si ritiene insito nella procura generale anche se non conferita dall’imprenditore con riferimento all’esercizio dell’impresa (salvo se non sia espressamente esclusa) mentre per la cambiale la procura generale comprende anche la facoltà di obbligarsi cambiariamente solo se rilasciata dall’imprenditore con riferimento all’esercizio dell’impresa. . Il rappresentante senza poteri o che abbia ecceduto dei suoi poteri è obbligato cambiariamente come se avesse firmato l’assegno in proprio. La dichiarazione di assegno è una dichiarazione documentale e la legge fissa norme rigorose circa i requisiti che il documento deve avere perché possa valere come assegno, requisiti che devono sussistere al momento della presentazione. La regolarità del bollo non è invece requisito di validità dell’assegno ma è solo un presupposto della sua efficacia come titolo esecutivo.

494) Elementi essenziali del documento - Sono requisiti formali di validità la cui mancanza comporta che il titolo non vale come assegno bancario (e quindi come documento) i seguenti: a) la denominazione di assegno bancario inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui lo stesso è redatto b) l’ordine incondizionato di pagare una somma determinata, di regola espressa in lettere e in cifre c) l’indicazione del trattario che può essere solo una banca d) l’indicazione del luogo di pagamento, ma in mancanza vale quello di emissione e) la data e il luogo di emissione dell’assegno - L’assegno posdatato costituisce una irregolarità e comporta applicazione di sanzioni fiscali f) La sottoscrizione del traente per la quale valgono le considerazioni fatte per la cambiale. Non è invece necessaria l’indicazione del prenditore perché in tal caso l’assegno è al portatore (cosa vietata se l’assegno supera 12.500 euro). Sono invece requisiti di regolarità, la cui mancanza non comporta né l’invalidità del titolo né l’invalidità della obbligazione del traente, ma solo sanzioni amministrative pecuniarie: a) l’esistenza presso la banca trattaria di fondi disponibili per somma pari all’assegno emesso (in mancanza si parla di assegno a vuoto) b) l’esistenza di una convenzione espressa o tacita (convenzione di assegni) che attribuisce al traente il diritto di disporre dei fondi disponibili mediante assegni bancari (si parla in caso contrario di assegno non autorizzato). Semplice requisito di regolarità è anche l’osservanza delle norme sul bollo in mancanza della quale l’assegno perde la qualità di titolo esecutivo.

495) Caratteri comuni e caratteri differenziali con la tratta - L’assegno bancario è sottoposto allo stesso regime della cambiale tratta per quanto riguarda la validità della sottoscrizione, la responsabilità del traente e dei giranti, l’avallo, la circolazione, il pagamento, le azioni che spettano al possessore e l’ammortamento. Tuttavia esistono le seguenti differenze : a) L’assegno non consente accettazione da parte della banca, Non deve confondersi con l’accettazione il visto posto sull’assegno dalla banca trattaria che non comporta obbligo di pagamento ma ha solo l’effetto di accertare l’esistenza dei fondi ed impedirne il ritiro da parte del traente prima della scadenza del termine di presentazione. B) la scadenza dell’assegno bancario è solo a vista c) L’assegno deve essere presentato per il pagamento entro 8 giorni dalla data di emissione, se è pagabile nel comune dove è stato emesso e entro 15 giorni se è pagabile in altro comune. L’omessa presentazione dell’assegno dei termini comporta solo la perdita dell’azione di regresso contro i giranti e i loro avallanti ma non contro il traente. La banca è quindi libera di pagare anche dopo la scadenza dei termini salvo che abbia ricevuto dal traente l’ordine di non pagare. La revoca infatti è senza effetto durante il termine legale di presentazione ma acquista efficacia dopo che questo è decorso. D) qualunque promessa di interessi posta sull’assegno si considera non scritta E) l’azione cambiaria in caso di mancato pagamento da parte del trattario è permessa al portatore solo come azione di regresso contro il traente, i giranti e i loro avallanti. La disciplina dell’azione ricalca quella della cambiale ma con la differenza che la presentazione del titolo alla banca nei termini di legge e la constatazione del rifiuto di pagare tramite protesto sono necessarie solo per agire contro i giranti e i loro avallanti. Non sono invece necessarie per esercitare l’azione di regresso contro il traente e i suoi avallanti F) mancando ogni obbligazione

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cambiaria da parte della banca e dovendo il pagamento attuarsi solo in base all’ordine del traente la banca in sede di pagamento deve accertare non solo la legittimazione del possessore ma anche la provenienza dell’ordine dal cliente e cioè l’autenticità della firma sulla base della firma depositata dal traente (specimen) al momento dell’apertura del conto corrente. Tutti questi sono controlli necessari perché la banca non versi in colpa grave nel pagamento e possa legittimamente addebitare al traente l’importo dell’assegno pagato. Si tratta quindi di controlli che la banca deve eseguire con la diligenza professionale dell’accorto banchiere per esonerarsi da responsabilità nei confronti del traente.

496) Clausola non trasferibile, di sbarramento, di accreditamento e di assegno turistico – La circolazione dell’assegno bancario presenta maggiori rischi rispetto a quelli della circolazione cambiaria e pertanto la legge consente l’adozione di particolari clausole che tendono ad escludere o limitare i pericolo inerenti alla circolazione. Il mezzo più radicale è quello della apposizione della clausola non trasferibile sull’assegno. Tale clausola toglie all’assegno il carattere di titolo di credito impedendone la circolazione in quanto l’assegno con questa clausola è pagabile solo al prenditore e non può essere da questo girato se non al banchiere per l’incasso. In caso di smarrimento o sottrazione non è necessario ricorrere alla procedura di ammortamento ma basta la semplice denuncia. La clausola “non all’ordine” ha invece effetto più limitato in quanto non consente la circolazione nelle forme proprie di circolazione del titolo ma il titolo può essere trasferito con le forme e gli effetti propri della cessione. Le altre seguenti clausole invece non intaccano la trasferibilità del titolo ma limitano la legittimazione. Lo sbarramento consiste nell’apporre due rette parallele sulla parte anteriore dell’assegno. La sbarratura può essere generale quando tra le sbarre non vi è indicazione o vi è la parola banchiere o speciale quando tra le sbarre è scritto il nome di un determinato banchiere. L’assegno sbarrato è pagabile dal trattario solo ai propri clienti e nel caso di sbarramento speciale solo al banchiere indicato. Lo sbarramento offre una tutela limitata contro i rischi di furto o smarrimento evitando che il pagamento sia effettuato a persona che non abbia già avuto rapporti con la banca trattaria. L’assegno turistico è un assegno bancario che viene tratto da una banca su una propria filiale estera. E’ di regola stilato in valuta estera e rilasciato al prenditore dietro contestuale versamento dell’importo corrispondente. Chi si deve recare all’estero dispone perciò di un titolo agevolmente negoziabile in quanto la copertura è sicura. Inoltre il pericolo di smarrimento e furto è attenuato. Caratteristica dell’assegno turistico è infatti che il pagamento è subordinato alla presenza sul titolo di una doppia firma conforme del prenditore. La prima firma è apposta al momento del rilascio del titolo e la seconda al momento del pagamento e la banca trattaria o il giratario possono così agevolmente controllare l’autenticità della seconda firma confrontandola con quella esistente sull’assegno. La clausola di accreditamento comporta invece che l’assegno non può essere pagato in contanti ma chi intende incassare l’importo deve versarlo sulla banca trattaria se ne è cliente al fine che venga accreditato sul proprio conto.

497) Assegni vademecum e assegni a copertura garantita – La carta assegni - La circolazione dell’assegno bancario è basata fondamentalmente sulla fiducia nella persona del traente in quanto, in mancanza di una obbligazione cambiaria del trattario, il pagamento potrà essere effettuato solo se alla presentazione ci saranno i fondi disponibili. Per tale motivo l’accettazione di assegni avviene in genere nei rapporti tra persone conosciute. Per aumentare la diffusione degli assegni come strumento di pagamento sono stati introdotti gli assegni vademecum e gli assegni a copertura garantita. Tali strumenti danno al possessore la sicurezza dell’esistenza presso la banca dei fondi disponibili per il pagamento in quanto il traente ha provveduto a vincolare presso la banca le somme necessarie per la copertura degli assegni a copertura garantita. Esiste poi un altro meccanismo quello della carta assegni con la quale la banca assicura al primo prenditore il pagamento dell’assegno purchè sia presentato nei termini prescritti dalla legge per il protesto. La funzione della carta assegni è simile a quella degli assegni a copertura garantita ma nei secondi l’obbligazione della banca deriva dalla dichiarazione di esistenza dei fondi, che vengono bloccati al momento del rilascio del libretto di assegni e quindi sussiste nei confronti di tutti i successivi portatori e giratari dell’assegno. Nella carta assegni invece l’obbligazione della banca deriva dal rilascio della carta e viene assunta soltanto nei confronti del prenditore. In tal modo la banca assume l’obbligo di pagare anche se nel conto non vi

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sono fondi disponibili fornendo essa stessa le disponibilità necessarie per il pagamento ma tale garanzia non si estende nei confronti dei terzi possessori.

498) Sanzioni amministrative, pecuniarie ed accessorie - La disciplina sanzionatoria in materia di assegni bancari e postali è stata totalmente modificata sostituendo alle originarie sanzioni penali sanzioni amministrative. Per quanto riguarda l’emissione di assegni senza autorizzazione o senza provvista la legge prevede una sanzione amministrativa pecuniaria e una serie di sanzioni amministrative accessorie quali il divieto di emettere assegni per un certo periodo o l’interdizione per un certo periodo dall’esercizio di una attività professionale o imprenditoriale o il divieto di contrattare con la pa. L’inosservanza di tali divieti assume rilevanza penale ed è punita con la reclusione. Inoltre per l’emissione di assegni senza provvista è previsto anche il pagamento di una penale a favore del prenditore o giratario pari al 10 per cento della somma dovuta e non pagata.

B) L’ASSEGNO CIRCOLARE

499) L’assegno circolare: struttura e presupposti – L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine, emesso da un istituto autorizzato che contiene la promessa di pagare a vista la somma indicata sul titolo. Elementi essenziali del titolo sono la denominazione di assegno circolare inserita nel titolo, la promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata, l’indicazione del prenditore, l’indicazione della data e luogo di emissione e la sottoscrizione dell’istituto emittente. A differenza dall’assegno bancario che ha la struttura di una tratta e non comporta obbligazione cambiaria della banca l’assegno circolare ha la struttura del pagherò e comporta obbligazione cambiaria della banca. Per tale motivo l’assegno circolare è un mezzo di pagamento più sicuro dell’assegno bancario in quanto chi lo riceve in pagamento può essere sicuro sul fatto che esso sarà pagato dalla banca emittente che lo ha emesso. A maggiore garanzia è anche stabilito che gli istituti autorizzati ad emettere assegni circolari devono depositare presso la banca d’Italia una cauzione in titoli a garanzia degli assegni stessi. Inoltre poiché l’assegno è emesso a seguito di costituzione della relativa provvista da parte di chi ne fa richiesta per utilizzarlo come strumento di pagamento, la legge nel caso di assegno intestato a terzi emesso con la clausola non trasferibile riconosce al richiedente il potere di chiedere il ritiro della provvista previa restituzione del titolo. Si applicano all’assegno circolare le disposizioni poste per la cambiale con la differenza che il termine legale di presentazione è fissato in trenta giorni dall’emissione (la mancata presentazione in questo termine comporta decadenza dall’azione di regresso) mentre l’azione nei confronti dell’emittente si prescrive nel termine di tre anni dalla emissione.

C) I TITOLI SPECIALI

500) I titoli speciali della Banca d’Italia - la legge sugli assegni regola anche tre titoli speciali della Banca d’Italia : il vaglia cambiario, l’assegno bancario libero e l’assegno bancario piazzato. Il vaglia cambiario è un tipo particolare di assegno circolare che non può essere emesso se non contro versamento nelle casse dell’istituto del corrispondente importo . A garanzia dei vaglia cambiari emessi la Banca d’Italia deve costituire apposita riserva in oro o divise estere convertibili in oro. L’assegno bancario libero è un titolo all’ordine emesso per conto della banca d’Italia contro versamento del relativo importo da corrispondenti autorizzati a seguito di versamento di idonea cauzione. Anche per questo titolo deve essere costituita la particolare garanzia prevista per il vaglia cambiario. La funzione dell’assegno bancario libero come quella del vaglia cambiario è quello di consentire l’emissione di titoli della banca d’italia in quelle località dove la banca d’Italia non ha filiali e dove quindi essa si avvale dell’organizzazione bancaria altrui e autorizza, dietro versamento di una cauzione, il corrispondente ad emettere assegni sui moduli filigranati da essa stessa consegnati. Concretamente l’assegno bancario libero ha quindi la struttura del vaglia cambiario ma la legge parlando della banca d’Italia come trattario e del corrispondente come traente richiama la disciplina dell’assegno bancario. Proprio per questo si è sostenuto che l’assegno bancario libero non comporta una obbligazione cambiaria della banca d’Italia e si è assimilato questo titolo ad un assegno bancario a copertura garantita dando alla cauzione la funzione di garanzia a favore del portatore dell’assegno. In realtà ciò non è accettabile in

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quanto la diversità dell’assegno bancario libero con il vaglia cambiario sta solo nelle modalità di emissione in quanto nel primo è la stessa Banca d’Italia ad emettere l’assegno, nel secondo il corrispondente autorizzato. Tuttavia in entrambi i casi vi è obbligazione cambiaria della banca d’Italia come è dimostrato dal fatto che per entrambi i titoli è necessaria la costituzione di una garanzia. Il fatto che il corrispondente agisca in nome proprio comporta come conseguenza che anch’egli sia obbligato cambiario ma non elimina l’obbligazione cambiaria della banca d’italia. Diversa è invece la natura dell’assegno bancario piazzato in quanto questo è un titolo che ha la struttura dell’assegno bancario. E’ un titolo all’ordine emesso per conto della banca di Italia da corrispondenti autorizzati e pagabile presso una sola filiale dell’istituto di emissione. A differenza dall’assegno bancario libero non è richiesto il versamento preventivo del controvalore.

501) I titoli speciali del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia - La legge sugli assegni contiene inoltre la disciplina di alcuni titoli rilasciati dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia. Anche questi istituti possono emettere vaglia cambiari e assegni bancari liberi. Il vaglia cambiario corrisponde a quello della Banca d’Italia differenziandosene solo perché non è prevista la costituzione di una garanzia né di una cauzione e perché la sua emissione è consentita solo se vi sono somme disponibili da parte del prenditore come avviene per gli assegni circolari. L’assegno bancario libero è del tutto conforme a quello della Banca d’Italia e quindi disciplinato dalla stessa disciplina. (anche qui si deve affermare l’esistenza di una obbligazione cambiaria di questi istituti). Documento tipico del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia è invece la fede di credito o polizzino. Essa è un vaglia cambiario di cui condivide la disciplina generale con la particolarità che la girata può contenere l’indicazione della causale per la quale viene fatta e la indicazione delle condizioni alle quali il pagamento deve essere subordinato. In questo caso la girata deve essere sottoscritta dal girante e la firma autenticata da un notaio. In questo caso quindi la promessa della banca non è incondizionata ma sottoposta ad una condizione che sospende il pagamento finchè il possessore non dimostri il verificarsi di essa..

SEZIONE III I TITOLI NON CAMBIARI

1) I titoli obbligazionari 502) Fondamento e caratteri - I titoli obbligazionari sono titoli di credito emessi da enti privati o enti pubblici per il collocamento sul mercato di prestiti a lunga scadenza, costituiscono frazioni di un unico prestito, emesso sulla base di un solo programma, sono assistiti da garanzie collettive e rimborsati sulla base di un piano di ammortamento stabilito per l’intero prestito. I titoli obbligazionari sono ricompresi nei titoli di credito e quindi soggetti alla relativa disciplina per quanto riguarda l’incorporazione del diritto nel documento e la funzione di legittimazione che permette l’esercizio del diritto incorporato nel titolo a prescindere dalla prova sulla proprietà. Tuttavia pur costituendo una categoria unitaria vi sono differenze tra le varie categorie per quanto riguarda la posizione di autonomia attribuita all’obbligazionista. Infatti per quanto riguarda i prestiti obbligazionari pubblici o emessi da banche la posizione dei singoli obbligazionisti è totalmente autonoma mentre per quanto riguarda i prestiti emessi dalle società per azioni o dalle società in accomandita per azioni l’autonomia del singolo obbligazionista viene ad essere limitata dalla presenza di posizioni soggettive di gruppo che vengono realizzate attraverso organi comuni come l’assemblea degli obbligazionisti e il rappresentante comune. Pertanto i titoli obbligazionari emessi dalle società per azioni sono non solo titoli di massa ma anche veri e propri titoli di partecipazione. L’emissione di titoli obbligazionari è possibile per legge solo per le società per azioni (le società a responsabilità limitata possono emettere solo titoli di debito), per stato, province e comuni e per le banche. I titoli obbligazionari possono essere rimborsati a scadenza fissa o su un piano di ammortamento, possono essere a reddito fisso o variabile, possono essere assistiti da garanzie reali o personali, possono essere emessi in moneta dello stato o moneta estera. I titoli obbligazionari possono essere al portatore o nominativi ma mai all’ordine.

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503) Le obbligazioni bancarie – La capacità di emettere obbligazioni rientrando nella funzione della raccolta del risparmio tra il pubblico è tipica delle banche e quindi possiamo dire che la possibilità di emettere obbligazioni da parte delle società non bancarie e degli enti pubblici deve considerarsi come una eccezione. La relativa disciplina è contenuta nel testo unico bancario.

2) I titoli rappresentativi di merci 504) Nozioni e categorie - I titoli rappresentativi di merci sono quegli strumenti che, riguardando merci determinate e specificate, producono oltre ai normali effetti obbligatori (che consistono nel diritto di esigere la prestazione alla scadenza) anche effetti reali in quanto secondo la legge attribuiscono il diritto alla consegna, il possesso e il potere di disporre delle merci mediante trasferimento del titolo (non attribuiscono però la proprietà delle merci). Sono titoli rappresentativi i titoli di trasporto e i titoli di deposito quando ad essi sia attribuita la funzione e il carattere di titoli di credito e non quando per volontà delle parti la loro funzione si limita al campo della prova. 505) I titoli di trasporto - Nei trasporti terrestri sono titoli rappresentativi di merci il duplicato della lettera di vettura e la ricevuta di carico. Il mittente se il vettore lo richiede deve rilasciare un duplicato della lettera di vettura o una ricevuta di carico. Tali documenti se vengono emessi con la clausola all’ordine costituiscono titoli di credito e in questo caso solo chi è legittimato dal titolo può esercitare i diritti nascenti dal contratto di trasporto. Il trasferimento di tali diritti avviene mediante girata. Nei trasporti marittimi il vettore una volta assunto il trasporto deve rilasciare al caricatore un ordinativo di imbarco delle merci da trasportare o una polizza ricevuto per l’imbarco che fa prova dell’avvenuta consegna della merce al vettore ma non dell’avvenuto imbarco di essa sulla nave. Dopo l’imbarco il comandante è tenuto a rilasciare al caricatore una ricevuta di bordo per le merci imbarcate. Il vettore inoltre, qualora non vi abbia provveduto il comandante deve rilasciare una polizza di carico che fa prova dell’avvenuta caricazione delle merci sulla nave. Il vettore, prima di emettere la polizza deve assicurarsi che le merci indicate siano conformi a quelle imbarcate. Sono inoltre titoli rappresentativi gli ordini di consegna propri con cui il vettore ordina al comandante della nave o all’impresa di sbarco di consegnare al possessore del titolo le singole partite o frazioni d i merci in esso specificate e questo rende più facili i commerci facilitando la divisione e la distribuzione del carico. Non sono invece titoli di credito gli ordini di consegna impropri che sono invece semplici titoli di legittimazione perché si limitano ad indicare una persona alla quale il vettore può consegnare la merce. Questa indicazione è però sempre revocabile e il possessore della polizza non perde mai la disponibilità delle merci. Nei trasporti aerei costituiva titolo di credito la lettera di trasporto aereo la cui disciplina però a seguito della accresciuta rapidità con cui i trasporti aerei si attuano è stata abrogata. 506) I titoli di deposito - Nei contratti di deposito i tioli eventualmente emessi dal depositario hanno di solito funzione probatoria e solo la fede di deposito e la nota di pegno emesse dai magazzini generali hanno efficacia rappresentativa di e di titolo di credito. La fede di deposito è un titolo all’ordine, emesso dal magazzino generale su richiesta del depositante in cui sono indicate le merci depositate con tutti gli estremi atti ad individuarle, il luogo del deposito, il nome del depositante ed è specificato se per le merci siano stati pagati i diritti doganali e se essa sia stata assicurata. La nota di pegno è un documento allegato alla fede di deposito che consente di costituire pegno sulle merci depositate e serve ad ottenere, per il possessore, eventuali anticipazioni sulle merci. La fede di deposito e la nota di pegno possono circolare sia congiuntamente che separatamente e infatti vengono separate quando sulle merci depositate si costituisce un diritto di pegno.

CAPITOLO IV IL MERCATO FINANZIARIO

507) Nozioni generali - La nozione di valore mobiliare è stata in passato incentrata sul concetto dei titoli di massa. A seguito di una lunga evoluzione legislativa influenzata anche da direttive comunitarie è stata individuata una nozione diversa dove il valore mobiliare viene ad indicare ogni valore in grado di essere negoziato sul mercato dei capitali.

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508) Strumenti finanziari e prodotti finanziari - Nella nuova disciplina accanto al concetto di valore mobiliare come sopra descritto sono stati posti i concetti più ampi di strumento finanziario e di prodotto finanziario. Ne risulta un sistema che potrebbe definirsi a cerchi concentrici dove i valori mobiliari sono contenuti negli strumenti finanziari che a loro volta sono contenuti nei prodotti finanziari. In tal modo i valori mobiliari in quanto negoziati sul mercato dei capitali comprendono le azioni e obbligazioni delle società oltre ai titoli che consentono di acquistarli o venderli e quelli che con riferimento ad essi prevedono un regolamento in contanti. Gli strumenti finanziari invece comprendono oltre ai valori mobiliari, gli strumenti del mercato monetario (buoni del tesoro, certificati di deposito) e i cosiddetti strumenti finanziari derivati. La categoria degli strumenti finanziari è una categoria parzialmente chiusa in quanto compete al Miinistro dell’Economia e delle Finanze individuare nuove categorie di strumenti finanziari. Una categoria invece aperta è quella dei prodotti finanziari la quale oltre agli strumenti finanziari (e quindi anche i valori mobiliari) comprende ogni altra forma di investimento di natura finanziaria. E’ chiaro che, comprendendo i prodotti finanziari ogni altra eventuale forma di investimento di natura finanziaria a proposito di essa si pone una normativa volta a tutelare il risparmiatore nei confronti di tutte le operazioni di appello al risparmio in qualunque forma esse si attuino. 509) L’appello al pubblico risparmio - Nel concetto di prodotto finanziario viene a ricomprendersi il fenomeno dell’appello al pubblico risparmio. Tale fenomeno viene disciplinato dal testo unico bancario e consiste in ogni operazione di massa, gestita da un promotore o da un terzo, che viene offerta al pubblico degli investitori con la prospettazione di un profitto e che ha caratteristiche tali da escludere che gli investitori possano gestirla o controllarla in modo determinante. Secondo il testo unico bancario l’appello al pubblico risparmio può concretizzarsi in un appello diretto all’investimento (e quindi avente per oggetto la vendita o sottoscrizione di prodotti finanziari) o al disinvestimento (e quindi avente per oggetto l’acquisto o lo scambio di prodotti finanziari). La disciplina prevista dal testo unico bancario si applica solo in relazione ad operazioni che raggiungano determinati limiti relativamente al numero dei soggetti cui l’offerta è diretta e al suo ammontare complessivo. 510) Continua – trasparenza e controlli - L’appello al pubblico comporta specifiche esigenze di tutela dei risparmiatori, destinatari della sollecitazione stessa. E’ ovvio che la normativa punta alla tutela del risparmiatore e non di qualsiasi investitore tanto è vero che la disciplina prevista dal testo unico bancario non è applicabile nell’ipotesi in cui destinatari dell’appello al pubblico siano esclusivamente investitori qualificati. E’ altrettanto ovvio che la disciplina ha l’obiettivo di dare al risparmiatore una effettiva consapevolezza circa l’operazione che si accinge a compiere e non in linea di principio una valutazione della validità economica dell’operazione stessa. Ciò è dimostrato dal fatto che è richiesta un diverso grado di consapevolezza a seconda se l’operazione riguardi un investimento e quindi la vendita di prodotti finanziari o un disinvestimento e quindi il loro acquisto o scambio. La disciplina posta dal testo unico bancario impone modalità volte ad assicurare la necessaria trasparenza dell’operazione affidando un ruolo preminente alla Consob cui sono attribuiti i poteri necessari per assicurare la tutela degli investitori e l’efficienza e la trasparenza del mercato. L’offerta deve essere preceduta da una comunicazione alla Consob cui deve essere allegato un documento destinato alla pubblicazione: a) detto prospetto informativo nel caso di offerta al pubblico di vendita o sottoscrizione- In tale prospetto devono essere contenute le informazioni necessarie affinchè gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’emittente e sulle prospettive di rendimento b) detto documento di offerta nel caso di offerta pubblica di acquisto e scambio. E’ chiaro che nel primo caso sono richieste informazioni che nel secondo caso non sono necessarie in quanto essendo l’appello di acquisto rivolto agli attuali titolari dei prodotti finanziari oggetto dell’appello essi dovrebbero già essere informati delle loro caratteristiche. La Consob oltre a stabilire con proprio regolamento il contenuto e le modalità di pubblicazione di tale documento esercita anche una attività di controllo tesa a verificare la completezza e correttezza dell’informazione e le è attribuito il potere di sospendere o vietare le operazioni non coerenti con la

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disciplina. Inoltre dalla data di pubblicazione del documento fino alla conclusione della operazione la Consob può richiedere informazioni e notizie agli emittenti, richiedendo che siano rese pubblici notizie e documenti necessari per l’informazione del pubblico e compiere ispezioni direttamente presso la sede degli emittenti. 511) I servizi di investimento - Per la nozione di strumenti finanziari è fondamentale la disciplina dei servizi di investimento. Il legislatore distingue a tale proposito : a) i servizi di investimento che hanno per oggetto la negoziazione,, il collocamento o sottoscrizione di strumenti finanziari b) i servizi accessori che comprendono la custodia e amministrazione degli strumenti finanziari, la locazione di cassette di sicurezza, la concessione agli investitori di finanziamenti per effettuare operazioni che hanno per oggetto strumenti finanziari. Il testo unico finanziario pone a proposito dei servizi di investimento regole volte da un lato ad individuare i soggetti abilitati a svolgere tali attività e dall’altro ad individuare i criteri che devono presiedere all’esercizio degli stessi e al loro svolgimento. Per quanto riguarda il primo punto il testo unico finanziario riserva l’esercizio dei servizi di investimento alle Sim (società di intermediazione mobiliare) oltre che naturalmente alle banche. Le sim sono appunto società autorizzate dalla Consob a svolgere servizi di investimento che possono prestare anche i servizi accessori. L’autorizzazione è subordinata ad una serie di condizioni quali l’adozione della forma di società per azioni, il possesso da parte dei dirigenti e dei titolari delle partecipazioni dei requisiti richiesti per gli intermediari, l'iscrizione in un apposito albo tenuto dalla Consob e l’adesione ad un sistema di indennizzi a tutela degli investitori riconosciuto dal Ministero dell’economia. 512) Continua – Lo svolgimento dell’attività - Dal secondo punto di vista il testo unico finanziario pone criteri generali cui devono uniformare il loro comportamento i soggetti che prestano servizi di investimento. In particolare il testo unico finanziario impone il rispetto dei canoni di diligenza, correttezza e trasparenza non solo nell’interesse dei clienti ma anche per l’integrità dei mercati. Citiamo a tale proposito l’obbligo di dotarsi di una organizzazione idonea ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi, l’obbligo di adottare misure idonee ad evitare conflitti di interesse. Inoltre nei giudizi di risarcimento danni causati al cliente nello svolgimento dei sevizi spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la diligenza richiesta. Il testo unico finanziario detta inoltre regole precise circa il regime della separazione patrimoniale e dei contratti relativi ai servizi di investimento e ai servizi accessori. Per quanto riguarda il primo punto il testo unico finanziario stabilisce che gli strumenti finanziari e le somme pertinenti al singolo cliente debbono costituire un patrimonio distinto a tutti gli effetti sia da quello dell’intermediario che da quello degli altri clienti e non possono essere utilizzati dall’intermediario se non nell’interesse del cliente di cui sono di pertinenza. Per quanto riguarda i contratti invece è richiesta a pena di nullità la forma scritta (la nullità può comunque essere fatta valere dal solo cliente). Inoltre la legge disciplina in modo particolare l’ipotesi in cui l’attività di prestazione di servizi di investimento sia eseguita direttamente nel domicilio degli investitori e comunque in luogo diverso dalla sede dell’emittente. A tale proposito in primo luogo la legge richiede che per tale attività l’emittente debba avvalersi esclusivamente di promotori di servizi finanziari iscritti in apposito albo nazionale tenuto dalla Consob. Inoltre l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari è in tal caso sospesa per 7 giorni. Entro tale termine l’investitore può comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivi da versare al promotore finanziario. Analoga disciplina è posta dal codice delle assicurazioni private per l’attività di intermediazione assicurativa. 513) Continua . La vigilanza – La prestazione di servizi di investimento è sottoposta ad un complesso sistema di controlli in base ad una ripartizione di competenze tra Consob e Banca d’Italia, dove la prima è competente per quanto riguarda la correttezza e trasparenza dei comportamenti e la seconda per il contenimento del rischio e la sana e prudente gestione patrimoniale. In base a ciò sia Banca d’Italia che Consob hanno forti poteri di intervento ed ispettivi nonché il potere di dettare con regolamento la disciplina relativa allo svolgimento dell’attività. In via d’urgenza inoltre la Consob può disporre la sospensione degli organi amministrativi della società in caso di gravi irregolarità nell’amministrazione o di gravi violazioni dei regolamenti in materia. Lo scioglimento definitivo degli

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organi amministrativi invece può essere deciso solo dal Ministero dell’Economia in caso di gravi irregolarità, o gravi perdite nel patrimonio e in tal caso si dà luogo ala procedura di amministrazione straordinaria i cui adempimenti sono di competenza della Banca d’Italia, Se le perdite o le irregolarità sono di eccezionale gravità si dà luogo invece alla liquidazione coatta amministrativa e anche in tal caso la direzione della procedura spetta alla Banca d’Italia. Sono inoltre richiesti per gli amministratori, per coloro che ricoprono funzioni di controllo e per coloro che detengono partecipazioni nella società i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti dal Ministero dell’Economia, la mancanza dei quali comporta la decadenza dalla carica. Sono previste infine comunicazioni preventive alla Banca d’Italia e successive alla Consob in caso di acquisto o vendita di partecipazioni qualificate in tali società. 3) I fondi comuni di investimento 514) Nozioni e categorie - Accanto alla prestazione dei servizi di investimento il testo unico finanziario disciplina anche i fondi comuni di investimento. La prestazione di tale servizio che a differenza di quello dei servizi di investimento non riguarda solo strumenti finanziari (in quanto può avere per oggetto anche crediti o beni mobili o immobili) è attribuita solo alle SICAV e alle società di gestione di risparmio (SGR) che possono promuovere, organizzare e gestire il patrimonio raccolto e svolgere anche i relativi servizi accessori. Il fondo comune di investimento è definito come il patrimonio autonomo, suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti e raccolto mediante una o più emissione di quote. La disciplina di tali fondi è fissata dal testo unico finanziario che distingue tra fondi aperti e chiusi, dove nei primi i partecipanti hanno diritto di chiedere in ogni tempo il rimborso delle quote mentre nei secondi il diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto solo a scadenze predeterminate. I fondi mobiliari possono assumere la forma sia di fondo aperto che chiuso mentre quelli immobiliari (e quindi investiti in crediti o altri beni) possono assumere solo la forma di fondo chiuso. Il testo unico finanziario detta inoltre una disciplina che prevede una distinzione tra la società di gestione e il fondo. Il fondo infatti è un patrimonio autonomo, distinto sia dal patrimonio della società di gestione che dal patrimonio dei partecipanti. Da ciò deriva che il fondo è insensibile alle azioni sia dei creditori della società di gestione che dei singoli partecipanti e i creditori di questi ultimi possono agire solo sulla rispettiva quota di partecipazione. Le società di gestione di risparmio devono assumer e la forma di società per azioni e devono avere apposita autorizzazione da parte della Banca d’Italia. 515) Disciplina dei fondi comuni – La società di gestione del risparmio (che può essere diversa da quella che ha istituito il fondo) risponde verso i partecipanti secondo le regole del mandato e quindi è richiesto l’obbligo di diligenza professionale. Deve essere emanato un regolamento del fondo secondo le regole generali fissate dalla Banca d’italia che stabilisce le modalità di partecipazione, il rimborso delle quote, le modalità di liquidazione del fondo e il tipo di beni (strumenti finanziari o altri valori) in cui è possibile investire il patrimonio del fondo. 516) La banca depositaria - Un ruolo di particolare rilievo è attribuito alla banca depositaria. Essa ha il compito di custodire il patrimonio del fondo ma anche quello di controllare la legittimità delle operazioni relative alla sua gestione. Inoltre essa ha anche un compito esecutivo in quanto esegue le istruzioni della società di gestione del risparmio fermo restando che non deve trattarsi di istruzioni illegittime dato il dovere di controllo da parte della banca depositaria stessa. Essa si pone quindi su un piano di sostanziale autonomia tanto è vero che il testo unico finanziario stabilisce che la banca depositaria è direttamente responsabile sia nei confronti della società di gestione che nei confronti dei partecipanti per i danni derivanti dall’inadempimento dei propri obblighi.

517) I fondi esteri . I fondi pensione – Il testo unico finanziario regola anche l’operatità all’estero di società di gestione italiane e l’attività in Italia delle società di gestione estere. Una posizione particolare è riservata alle società di gestione armonizzate che sono quelle che hanno la sede legale in

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un altro stato appartenente alla comunità europea e sono state autorizzate sulla base di una comunicazione preventiva alla Banca d’italia e alla Consob a stabilire succursali in Italia e a svolgervi attività. Per l’offerta in Italia di quote di fondi di investimento non armonizzati occorre invece una autorizzazione della banca d’Italia che deve verificarne la compatibilità con la disciplina fissata per gli organismi italiani. Il legislatore ha anche disciplinato i fondi pensione fissando una disciplina simile a quella prevista per i fondi comuni di investimento.

3)Le società di investimento a capitale variabile 518) Natura e funzione - Il testo unico finanziario affida il servizio di gestione collettiva di risparmio alle società di gestione di risparmio e alle Sicav (società di investimento a capitale variabile). La differenza fondamentale dal punto di vista dell’investitore è che nel primo caso egli instaura con la società di gestione un rapporto contrattuale in base al quale gli compete un diritto al rimborso della quota mentre nel secondo caso egli diventa socio della società di investimento e quindi gli spetta il diritto di voto e il diritto di recesso. Questa diversità di fondo non porta però ad una sostanziale differenza della disciplina in quanto anche per le Sicav è prevista l’autorizzazione ministeriale, e l’esigenza di una banca depositaria. Inoltre nel caso di Sicav a più comparti ogni comparto costituisce patrimonio autonomo distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti. 519)La variabilità del capitale – La Sicav è caratterizzata dalla variabilità del capitale sociale che non è conseguenza solo (come per le società cooperative) della variabilità del numero dei soci (possibilità di ingresso di nuovi soci e di recesso di vecchi) ma anche di una sostanziale coincidenza tra capitale sociale e patrimonio netto della società. Tale coincidenza che è frutto di una scelta politica volta a rendere immediatamente conoscibile la situazione patrimoniale della società, comporta la totale disapplicazione della disciplina di diritto comune relativa alle riserve, alla riduzione e all’aumento di capitale. 520)I soci investitori e l’assemblea - L’eliminazione della funzione del capitale sociale nell’ambito del patrimonio netto spiega perché ai soci della Sicav spetta in ogni momento il diritto al recesso e alla liquidazione della quota, il che evidentemente riduce la differenza tra la loro posizione e quella dei creditori sociali. Le azioni della Sicav possono essere nominative o al portatore Nel primo caso esse attribuiscono il voto con riferimento alla porzione di patrimonio corrispondente mentre nel secondo caso attribuiscono al socio un solo voto indipendentemente dal numero di azioni possedute. Pertanto a differenza dalle società di gestione l’investitore può anche, esercitando i poteri di socio, influire sulla gestione del suo investimento. Il legislatore, suddividendo le azioni in nominative e al portatore, quindi presuppone che possa esservi un gruppo di soci interessati solo all’investimento del risparmio e un gruppo di soci interessati anche alla gestione della società. Per tale motivo il legislatore ha cercato anche di stabilire strumenti tecnici che agevolino la partecipazione all’assemblea prevedendo la possibilità di un voto di corrispondenza e eliminando i quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea (in seconda convocazione l’assemblea può validamente deliberare qualunque sia la quota di capitale sociale intervenuta). Norme particolari sono poi dettate per le modificazioni dello statuto delle Sicav (che devono essere approvate con meccanismo del silenzio assenso dalla Banca d’Italia), per lo scioglimento e liquidazione, per le operazioni di fusione e scissione che sono sottoposte alla preventiva autorizzazione della Banca d’Italia.. Inoltre per le Sicav è fissato un divieto di trasformazione in società diverse da quelle di gestione del risparmio.

4) Mercati regolamentati e contratti di borsa

521) I mercati regolamentati – Come abbiamo osservato gli strumenti finanziari assumono rilievo non solo ai fini dell’investimento del risparmio ma anche con riferimento al mercato. Per tale motivo il legislatore si è preoccupato di istituire mercati finanziari regolamentati al fine di organizzare mercati efficienti per lo scambio degli strumenti finanziari e che offrono adeguate garanzie a tutela sia degli emittenti che dei risparmiatori. Il concetto di mercato regolamentato è un concetto più ampio di

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quello di borsa in quanto comprende accanto alla borsa valori, un mercato ristretto (per i titoli che non hanno ancora le caratteristiche per essere negoziati sul mercato ufficiale di borsa), un mercato degli strumenti derivati, un nuovo mercato (per le azioni di nuove emittenti con alto potenziale di sviluppo). L’attività di organizzazione e gestione dei mercati regolamentati è affidata dal legislatore alle società di gestione del mercato, società per azioni alle quali si applicano le regole e le forme di vigilanza pubblica richieste per le società di investimento. Le società di gestione del mercato adottano un apposito regolamento per disciplinare la propria organizzazione e gestione e tra le loro funzioni è fondamentale quella di agevolare la formazione dei prezzi rendendo più semplici le quotazioni, Il regolamento del mercato deve essere conforme alla disciplina comunitaria e deve essere idoneo ad assicurare la trasparenza del mercato stesso, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori . A tale proposito le società di gestione oltre ad avere i requisiti fissati dalla legge hanno bisogno dell’autorizzazione della Consob per esercitare la loro attività e per eventuali modificazioni del loro regolamento. Inoltre la Consob esercita poteri di vigilanza sull’operato delle società di gestione e in caso di gravi irregolarità può disporre, per assicurare la continuità delle negoziazioni, il trasferimento temporaneo della gestione del mercato ad altra società che vi consenta. Il sistema previsto dal legislatore consente una pluralità di mercati regolamentati e anche una concorrenza tra essi per migliorare la loro efficienza.

522) I contratti di borsa: nozione e categorie - I contratti di borsa possono essere : a mercato fermo, quando i contraenti si obbligano ad eseguirli secondo il contenuto stabilito al momento della conclusione e a mercato libero (o a premio) quando un contraente versa all’altro una somma acquistando il diritto di variare il contenuto del contratto o di sciogliersi da esso. Entrambi i tipi di contratto possono poi essere a contante (o a pronti) quando vanno eseguiti entro il termine massimo di dieci giorni dalla stipulazione e a termine quando prevedono una esecuzione differita rispetto al momento della stipulazione del contratto. Funzione del contratto a termine non è tanto quella di lasciare alle parti il tempo necessario per la esecuzione della prestazione quanto quella di consentire alle parti di beneficiare delle diverse quotazioni che possono aversi alla data del contratto e a quella della sua esecuzione e quindi di speculare tra i due prezzi. Ciò determina anche un particolare contratto di mercato fermo a termine, detto contratto differenziale, con il quale le parti non si obbligano di trasferire strumenti finanziari ma solo a liquidare la differenza tra il prezzo pattuito e il prezzo corrente al momento della scadenza. E’ evidente che il contratto differenziale è un contratto di pura speculazione e presenta evidenti analogie con il gioco e la scommessa.. Per tale motivo,data l’influenza che la speculazione può esercitare sul mercato, il legislatore ha previsto l’imposizione del deposito, all’atto della conclusione del contratto, di una parte dei titoli venduti e di una parte del prezzo. I contratti a mercato libero o a premio sono invece quelli dove uno dei contraenti mediante il pagamento di un premio di riserva la facoltà di recedere dal contratto o di variarne il contenuto. Nel giorno della risposta premi il compratore del premio deve dichiarare se intende o meno eseguire il contratto e in caso affermativo deve precisare la quantità di titoli che intende ritirare o consegnare secondo il tipo di contratto a premio stipulato. Altri contratti particolari sono i Financial Futures e le options. Il contratto Futures è un contratto con il quale una parte si impegna a vendere all’altra, ad una data predefinitia, una determinata quantità di uno strumento finanziario. L’altra parte ovviamente si impegna a d acquistare. Ciò che differenzia il contratto futures dai contratti a termine è la specifica determinazione del tipo di strumento oggetto della negoziazione, della sua quantità e di tutte le modalità di negoziazione. L’options è un contratto che attribuisce all’acquirente il diritto e non l’obbligo di comprare (opzione call) o di vendere (opzione put) uno specifico strumento finanziario ad un determinato prezzo. Il diritto è conferito dal venditore al compratore previa corresponsione di un premio detto prezzo dell’opzione.

523) I contratti a termine : i diritti e gli oneri inerenti ai titoli oggetto del contratto . La legge si preoccupa di regolare la sorte dei diritti e degli obblighi derivanti dagli strumenti finanziari venduti nel periodo intercorrente tra la conclusione e l’esecuzione del contratto. In tema di vendita a termine di titoli di credito la legge stabilisce che i diritti e gli obblighi spettano al compratore sin dal momento della conclusione del contratto ad eccezione del diritto di voto inerente ai titoli azionari venduti il

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quale spetta invece al venditore fino al momento della consegna. Pertanto spettano al compratore gli interessi e dividendi esigibili dopo la conclusione del contratto e gravano sul compratore i versamenti sui titoli non liberati che devono essere eseguiti nel periodo tra la conclusione del contratto e la consegna dei titoli.

524) continua – l’esecuzione coattiva in borsa - Nei contratti di borsa il termine è essenziale e il mancato adempimento

il diritto di avvalersi (oltre che dell’esecuzione coattiva di cui al codice civile) anche della liquidazione coattiva di borsa (che rappresenta un mezzo di tutela più rapido ed efficace). La liquidazione coattiva avviene ad opera di commissari liquidatori nominati dalla Consob i quali, dopo aver proceduto alla liquidazione dei contratti, rilasciano per la differenza che rimane scoperta un certificato di credito che ha valore di titolo esecutivo. (cosa che differenzia la liquidazione coattiva di borsa dalla esecuzione coattiva di cui al codice civile).

525) continua – il contratto di riporto - Con il contratto di riporto una persona (riportato) trasferisce in proprietà ad un’altra persona (riportatore) titoli di credito di una determinata specie per un prezzo determinato e il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, al termine stabilito,la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie contro il rimborso del prezzo che può essere aumentato o diminuito nella misura convenuta. Il contratto di riporto è un contratto reale che si perfeziona con la consegna dei titoli mentre l’obbligazione del riportatore è una obbligazione di genere- La funzione pratica del riporto è quindi quella di un prestito garantito che può attuarsi in un duplice senso: il proprietario dei titoli ha bisogno di una somma di denaro e non intende privarsi definitivamente della proprietà dei titoli o una persona ha bisogno di un prestito di titoli che non intende acquistare definitivamente (es. vuole procurarsi una partecipazione azionaria in occasione di una assemblea di una società). Nella prima ipotesi la garanzia è data dal trasferimento della proprietà dei titoli, nel secondo caso dal versamento del prezzo. Nella prima ipotesi il corrispettivo è dovuto dal riportato e viene corrisposto attraverso un aumento del prezzo stabilito all’atto del trasferimento iniziale (riporto), nella seconda il corrispettivo è dovuto dal riportatore e viene corrisposto mediante una diminuzione del prezzo iniziale (deporto). Occorre dire che il riporto è un contratto unico in quanto sulla base dell’originario consenso trovano origine e giustificazione tutti gli effetti che derivano dal contratto stesso. In questo contratto unico le due operazioni di scambio servono a realizzare lo scopo fondamentale che le parti si propongono ossia la temporaneità del trasferimento e tale scopo si attua sulla base di un duplice trasferimento, ciascuno dei quali se pur consacrato nello stesso contratto e frutto della stessa volontà conserva la sua autonomia. Ne consegue che le vicende relative al secondo trasferimento non possono in nessun modo influire sul primo trasferimento rispetto al quale quindi l’esecuzione rappresenta il momento di perfezione del contratto. Se pertanto gli obblighi assunti con riferimento al secondo trasferimento non saranno eseguiti al termine fissato soltanto rispetto ad essi si determineranno gli effetti dell’inadempimento e quindi la possibilità di scegliere tra adempimento coattivo e risoluzione.

527) L’abuso di informazioni privilegiate: insider trading – Le caratteristiche particolari dei mercati regolamentati e il fatto che in esso le negoziazioni non avvengono direttamente tra gli interessati ma tramite intermediari e quindi si caratterizzano in termini di anonimato hanno indotto il nostro legislatore anche in attuazione a direttive comunitarie a vietare il cosiddetto insider trading. Infatti a tale tipo di negoziazione sarebbe difficile applicare regole generali del diritto comune come il dolo contrattuale o la responsabilità precontrattuale e inoltre per esse si pone l’esigenza di tutelare direttamente il mercato e cioè promuovere la fiducia in esso da parte degli investitori eliminando i rischi in cui essi possono incorrere a seguito della disparità di informazioni in possesso dei vari operatori. La disciplina dell’insider trading si basa su tre elementi: l’elaborazione di una nozione di informazione privilegiata, la definizione dei soggetti che in quanto insider ne sono in possesso e non possono utilizzarla, e l’ndividuazione dei comportamenti che risultano vietati. Per il primo aspetto la normativa richiede che l’informazione privilegiata non si a pubblica, si riferisca a strumenti finanziari,

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sia di carattere preciso e sia tale da influire in modo sensibile sul prezzo dello strumento finanziario in questione. Per il secondo aspetto la normativa considera insider coloro che dispongono dell’informazione riservata grazie alla loro qualità di membro di organo di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente o dell’esercizio di una professione o di una funzione. Per quanto riguarda il terzo aspetto è vietato il compimento (diretto o indiretto) di ogni operazione relativa allo strumento finanziario in oggetto e posta in essere utilizzando le informazioni privilegiate. Si vieta inoltre di comunicare agli altri tali informazioni o di raccomandare in base ad esse il compimento di tali operazioni. Per tali comportamenti sono previste sanzioni amministrative e penali. Sono affidate a tale proposito alla Consob funzioni sia preventive che ispettive oltre che di denuncia all’autorità giudiziaria per il processo penale. Il legislatore poi si è occupato anche della manipolazione del mercato e in particolare della diffusione di notizie false o il compimento di operazioni simulate idonee a provocare una sensibile alterazione dei prezzi degli strumenti finanziari con la previsione di sanzioni penali.

5) La gestione accentrata di strumenti finanziari

528) L’attività di gestione accentrata di strumenti finanziari - Gli strumenti finanziari possono formare oggetto di una gestione accentrata che consente di ridurre i costi e rischi connessi alla loro custodia. La gestione accentrata è possibile in quanto gli strumenti finanziari, essendo fungibili, possono essere depositati in una unica massa e possono essere adottate per essi tecniche di trasferimento tra i depositanti basate su meccanismi scritturali evitando in tal modo la consegna del documento. La gestione accentrata di strumenti finanziari era in un primo tempo affidato solo alla Monte Titoli Spa ma il testo unico finanziario ha previsto la possibilità di soggetti diversi denominati società di gestione accentrata e ha previsto modalità (talvolta obbligatorie e talvolta facoltative) di gestione de materializzata grazie all’intervento di un intermediario abilitato. L’attività di gestione accentrata è quindi riservata dalla legge alle società di gestione accentrata che devono avere la forma delle società per azioni e avere per oggetto esclusivo la prestazione di questo servizio. Tali società sono assoggettate ad una disciplina analoga a quella prevista per tutti i soggetti operanti nell’ambito dell’intermediazione finanziaria e al controllo congiunto da parte di Banca d’Italia e Consob. Per quanto riguarda gli strumenti finanziari rappresentati da titoli (e quindi per i quali non opera il regime di de materializzazione) la legge prevede un contratto di deposito stipulato tra l’interessato e un intermediario finanziario il quale provvede poi a sub depositare gli strumenti finanziari presso una società di gestione accentrata. In tal modo tutti gli strumenti finanziari della stessa specie vengono immessi in un'unica massa presso la società di gestione accentrata e ogni investitore rimane proprietario pro quota in base ai titoli immessi, sui quali conserva l’esercizio dei relativi diritti. Il trasferimento dei titoli avviene sulla base della stessa disciplina prevista per la dematerializzazione (che vedremo dopo) e quindi non avviene pi mediante la consegna degli strumenti stessi (che rimangono depositati presso la società di gestione accentrata) ma attraverso una semplice scritturazione contabile in base alla quale viene variata nelle scritture contabili della società di gestione e del depositario la persona dell’avente diritto. Ne consegue che il sub deposito degli strumenti finanziari presso la società di gestione smaterializza la loro circolazione e quindi si comprende come per la gestione accentrata si rinvii alla disciplina prevista per la de materializzazione.

529) La de materializzazione e gi strumenti finanziaria dematerializzati - >Secondo il testo unico finanziario i titoli di stato e gli strumenti finanziari destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati non possono essere rappresentati da titoli e pertanto per essi viene prevista la dematerializzazione obbligatoria. A differenza dalla gestione accentrata vista prima in questo caso quindi manca addirittura il documento rappresentativo dello strumento finanziario in questione che viene rappresentato quindi solo dalle risultanze dei conti nel quale è registrato. Accanto alla dematerializzazione obbligatoria la legge prevede una dematerializzazione facoltativa consentendo agli enti emittenti di strumenti finanziari di assoggettarli a questa disciplina. Gli strumenti de materializzati sono soggetti ad un regime di gestione accentrata ma anche ad un particolare regime di circolazione che prevede un complesso sistema di conti. Infatti presso ogni emittente di strumenti finanziari sono aperti una serie di conti intestati ognuno ad un diverso intermediario dove vengono

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registrati i movimenti finanziari disposti tramite lo stesso intermediario. Presso il singolo intermediario sono poi aperti altri conti in ognuno dei quali sono registrati gli strumenti finanziari di pertinenza dello stesso intestatario nonché il trasferimento e gli eventuali vincoli su essi disposti. E’ proprio in base alla registrazione nel conto acceso presso l’intermediario che viene riconosciuta al titolare del conto la legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari. La registrazione nel conto presso l’intermediario quindi è l’unico modo per trasferire gli strumenti finanziari de materializzati oltre che per costituire vincoli sui medesimi. Gli altri diritti possono invece essere esercitati direttamente da parte dell’intestatario del conto tramite le necessarie certificazioni rilasciate dall’intermediario. E’ evidente anche come la legge sottoponga ad una disciplina uniforme gli strumenti finanziari de materializzati e i titoli di credito tanto è vero che dispone che a colui che ha ottenuto la registrazione possano essere opposte dall’emittente solo le eccezioni a lui personali e quelle comuni agli altri titolari degli stessi diritti e inoltre dispone anche che chi ha ottenuto la registrazione in base ad un titolo idoneo e in buona fede non è soggetto a pretese e ad azioni da parte di precedenti titolari. E’evidente quindi l’intenzione di equiparare chi ha ottenuto la registrazione a chi è possessore legittimato di un titolo di credito, intenzione che può essere spiegata considerando la dematerializzazione come una evoluzione del sistema dei titoli di credito, Infatti l’incorporazione del diritto nel documento (nei titoli di credito) risponde certamente all’esigenza di assicurare l’esclusività del suo possessore riducendo i rischi derivanti da eventuali altrui pretese e a tale esigenza risponde anche il sistema della dematerializzazione solo che la situazione di esclusività viene qui garantita non in base al possesso di un documento ma attraverso la registrazione nel conto aperto presso l’intermediario.

Contratti bancari

L’attività delle banche risulta di una duplice categoria di operazioni: raccolta di capitali presso i risparmiatori (passive), e quelle di distribuzione dei capitali (attive), la prestazione di certi servizi definiti come bancari verso il pubblico. Oltre gli schemi contrattuali di diritto comune, sono utilizzati altri schemi derivati, di cui un presupposto è che uno dei soggetti del contratto sia una banca e la legge li ricomprende nella unica categoria dei contratti bancari. Il contratto bancario è necessariamente un contratto di impresa. La disciplina legislativa viene integrata non solo dagli statuti e regolamenti delle banche, ma anche dalle norme uniformi e dalle condizioni generali del rapporto tra banca e cliente, in base al protocollo sottoscritto dall’A.B.I. nel 2000 con le associazioni dei consumatori. Non sempre le norme uniformi hanno valore di uso giuridico: spesso la loro efficacia vincolante deve essere affermata in quanto nei singoli contratti a tali norme viene fatto diretto riferimento o in quanto rientrano tra le pratiche generali interpretative ex art. 1368.

La trasparenza delle condizioni contrattuali

La eccessiva disparità economica tra banca e cliente si traduce in una esigenza di tutela del secondo, oltre l’art. 1341. La l. 154/92 detta una disciplina sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, trasfusa poi nel D. Lgs. 385/93. Per le condizioni generali poste da una banca non basta la conoscibilità, ritenendosi che esse debbano essere rese pubbliche. È pertanto prevista la nullità delle clausole contrattuali che prevedono condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate; se un testo contrattuale poi non indica prezzi e condizioni praticate, si applicano quelli resi pubblici; in mancanza di pubblicità nulla invece è dovuto. Il singolo rapporto contrattuale può derogare le

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condizioni generali solo in senso più favorevole al cliente. L’obbligo di pubblicità non può nemmeno essere soddisfatto mediante un rinvio agli usi; le clausole di rinvio agli usi si considerano nulle e non apposte. È richiesta anche la redazione per iscritto del contratto e la consegna di un esemplare al cliente, e viene precisato che nel testo contrattuale debbano essere indicati il tasso di interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticata. In caso di contratto di durata, la variazione delle condizioni contrattuali sono inefficaci se unilateralmente disposte dalla banca e non comunicate al cliente, che ha comunque il diritto di recedere e ottenere la liquidazione sulla base delle precedenti condizioni nel termine di 15gg. Significativo poi che si riconosca alla Banca d’Italia, d’intesa con la Consob, il potere di prescrivere un contenuto tipico determinato per particolari contratti, dettandosi la nullità di quelli divergenti. Le situazioni di nullità possono essere fatte valere solo dal cliente (nullità relativa).

Operazioni passive

Deposito di denaro

Importante è il deposito di denaro con cui la banca si assicura i capitali che poi ridistribuisce. Si ricollega al deposito irregolare e perciò assoggettato alle norme sul mutuo. Attraverso il deposito bancario non è tanto il depositante, ma la banca stessa a ricavarne una utilità, e cioè l’acquisto della proprietà e della disponibilità di somme da impiegare a suo piacimento fin quando rimangono presso di se. La banca paga un corrispettivo per la utilizzazione delle somme depositate. Tuttavia il depositante realizza la sicurezza sulla custodia e sa di poter contare sulla restituzione alla scadenza stabilita o a sua richiesta. La banca quindi deve stare in tal senso coperta per poter far sempre fronte agli obblighi di restituzione. Giuridicamente, il depositante è un creditore della banca, sfornito di azioni reali, mentre la banca acquista la proprietà e la disponibilità sulle somme depositate con l’obbligo di restituirle alla scadenza o su richiesta. Il credito del depositante si qualifica come credito disponibile, consentendo di riconoscere la funzione monetaria dei depositi bancari (il depositante può usufruire della somma anche tramite assegno).

Categorie di depositi bancari di denaro

Il deposito semplice soddisfa il bisogno di sicurezza del cliente; quello in conto corrente riserva la possibilità di modificare la somma depositata con prelievi e depositi nel corso del rapporto; in quello a

risparmio il depositante tende a formare nel tempo un capitale attraverso modesti versamenti. Se il deposito è vincolato la restituzione non può avvenire se non dopo una certa scadenza; vi sono poi quelli a scadenza fissa, quelli liberi con restituzione a vista o previo preavviso. La differenziazione serve alla banca per capire la disponibilità che può avere delle somme e tale si riverbera poi sul saggio di interesse applicato.

Disciplina giuridica del rapporto : il libretto di risparmio

L’efficacia del libretto di deposito si esplica in due sensi: rispetto alla prova, in quanto le annotazioni fanno piena prova nei rapporti tra depositante e banca, ed è invalido ogni patto che deroga tale principio; rispetto alla legittimazione, questa è diversa a seconda se il libretto è pagabile al portatore o è nominativo. Se il libretto è pagabile al portatore la banca non ha l’obbligo di accertare la identità di chi lo presenta, bastando la esibizione del libretto; viceversa se il libretto è nominativo (resta documento di legittimazione perché la funzione del libretto si esplica solo in caso di esercizio del diritto, non è quindi titolo di credito). I libretti di deposito non sono destinati alla circolazione, e la diversità riguarda solo l’accertamento della legittimazione in sede di esercizio del diritto. In base

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all’art. 1836, non sarebbe neanche titolo di legittimazione, ma mero contrassegno di legittimazione, dato che il possesso del libretto non attribuisce al possessore la legittimazione a ritirare somme depositate. La banca potrebbe sempre pretendere all’esibitore di dimostrare la sua qualità di depositante.

I sistemi di garanzia dei depositanti

I sistemi di garanzia dei depositanti sono sistemi consortili di diritto privato, che devono essere riconosciuti dalla Banca d’Italia e soggetti alla sua vigilanza. Questi effettuano rimborsi nei casi di liquidazione coatta amministrativa delle banche autorizzate in Italia.

Emissione di assegni circolari e risconto

Tra le operazioni passive rientrano la emissione di assegni circolari e il risconto: il primo presuppone il versamento da parte del richiedente della somma portata dal titolo, che rimane nella disponibilità della banca fin quando il titolo rimane in circolazione; il secondo è una operazione con cui la banca che ha anticipato capitali ad un cliente con lo sconto, si fa a sua volta anticipare da altra banca i capitali, utilizzando il credito scontato al cliente.

Operazioni attive

Apertura di credito

Contratto con cui la banca mette a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato periodo o a tempo indeterminato, in funzione di una futura ed eventuale utilizzazione. L’accreditato gode di un credito disponibile, liquido ed esigibile solo per lui, in quanto la banca può adempiere solo su richiesta dello stesso. La somma utilizzata non sarà più disponibile, tranne nei casi di conto corrente con cui la somma può essere ripristinata con versamenti del cliente. L’accreditato avrà l’obbligo di corrispondere gli interessi sulla somma utilizzata, oltre la provvigione per la messa a disposizione della somma, e di restituire la somma alla scadenza pattuita o a quella legale.

Natura giuridica

Giuridicamente è un contratto definitivo e tipico, da non confondere col mutuo, in quanto non sussiste obbligo di prelevamento. Oggetto non è il godimento di una somma, ma il godimento di una disponibilità. La disponibilità ha un valore intrinseco, al di là della effettiva utilizzazione. All’onere della banca che deve rispettare tale disponibilità, corrisponde l’obbligo dell’accreditato di pagare una provvigione. La eventuale utilizzazione crea un nuovo rapporto di godimento di una somma. Tale può essere valutato autonomamente, al fine di stabilire i propri effetti, o con riferimento alla apertura di credito, e in tal caso l’effetto è costante: la riduzione della disponibilità dell’accreditato.

Apertura di credito semplice e in conto corrente

L’apertura di credito può essere di vari tipi: semplice o in conto corrente, se non può o può effettuare rimborsi e utilizzare nuovamente il credito reintegrato.

Apertura di credito allo scoperto e apertura di credito garantita

Può essere allo scoperto o garantita: nella prima la banca mette a disposizione la somma senza pretendere garanzie se non il patrimonio dell’accreditato; nella seconda la banca richiede una garanzia

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specifica, reale o personale. L’apertura di credito allo scoperto è anche quella in cui vengono rilasciate cambiali in bianco per lo più da utilizzarsi all’atto della cessazione del rapporto per il recupero delle somme utilizzate. Infatti il rilascio delle cambiali ha come effetto di apprestare un titolo esecutivo, ma nonostante ciò in tal caso la banca è sempre in posizione di parità rispetto agli altri creditori, diversamente dal caso di apertura di credito garantita. Per quest’ultima valgono due principi: fin quando la garanzia non è prestata, la banca può rifiutare la utilizzazione del credito; la garanzia reale o personale non si estingue se non con la cessazione del rapporto. Inizialmente la garanzia riguarda debiti futuri, ipotesi prevista negli artt. 1956 e 2852 cc e riguarda tutti i crediti che trovano fonte in tale contratto. In caso di proroga del contratto e di garanzia prestata da terzi,, rispetto a questi non può avere effetto la estensione della garanzia ai crediti sorti durante il periodo di proroga, a meno che non vi sia una manifestazione di volontà in tal senso. Se poi il terzo non acconsente e l’accreditato non procura l’estensione della garanzia, la banca può recedere dal contratto per giusta causa. Se la garanzia invece è stata prestata dall’accreditato, se ne afferma l’estensione ai crediti sorti durante il periodo di proroga.

Utilizzazione del credito

Le modalità di utilizzazione sono rimesse alla volontà delle parti. In mancanza, l’art. 1843 prevede che l’accreditato possa utilizzare in più volte il credito, secondo le forme d’uso, e possa mediante successivi versamenti ripristinare la disponibilità. Così oltre al pagamento diretto all’accreditato, la banca dovrà pagare anche la persona indicata e autorizzata dall’accreditato o al cessionario di questo. In tali ipotesi la banca non e direttamente obbligata verso il portatore del titolo, ma paga la persona indicata. Invece nel caso di tratte spiccate dall’accreditato vi è l’obbligo della banca di accettare, in quanto è direttamente obbligata verso il portatore della cambiale. L’accreditato può richiedere anche il rilascio di assegni circolari o di moneta elettronica.

Estinzione dell’apertura di credito

Il rapporto di apertura di credito si estingue per la scadenza del termine finale, se il contratto è a tempo determinato, o per recesso della banca o dell’accreditato se a tempo indeterminato; per recesso della banca per giusta causa anche se a tempo determinato. L’estinzione comporta la cessazione della disponibilità e la restituzione delle somme in conformità ai patti contrattuali. Si aggiunge l’obbligo di regolare il pagamento delle commissioni e provvigioni di conto e degli interessi sulle somme utilizzate. La dichiarazione di recesso ha effetto immediato se per giusta causa e riguarda la disponibilità, mentre la restituzione avviene dopo 15gg. In caso di scadenza del termine, questa importa anche la restituzione delle somme e degli accessori, in base all’art. 1183, salvo patto contrario. La legge non precisa il concetto di giusta causa: le parti possono stabilire che determinati fatti debbano essere considerati tali; in difetto, possono essere considerati tali fatti che importano una modificazione nelle basi essenziali del contratto tale da impedire la prosecuzione del rapporto. In caso di insolvenza, può aversi la decadenza dal beneficio del termine per la restituzione delle somme e degli accessori. Il contratto può estinguersi anche per sopravvenuta impossibilità della prestazione, o per morte o sopravvenuta incapacità dell’accreditato, in quanto si tratta di contratto fiduciario. Da distinguere comunque se l’accreditato sia imprenditore o meno. Se l’accreditato è imprenditore in quanto permanga l’impresa deve anche permanere il contratto. Rispetto all’accreditato non imprenditore, la sopravvenuta incapacità o morte possono costituire una giusta causa di recesso, quando valgano a determinare una modificazione essenziale delle basi del contratto.

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Apertura di credito documentale o a favore di terzi

Nel linguaggio bancario il termine apertura di credito viene usato in alternativa a quello di credito documentale o di lettera di credito per indicare quel rapporto che si inserisce in una operazione del commercio internazionale e per effetto del quale la banca interviene per conto del compratore e a favore del venditore in modo da consentire al venditore di esigere il prezzo della merce verso consegna alla banca dei documenti pattuiti. Quando non sussiste un obbligo della banca nei confronti del venditore della merce si parla di apertura di credito semplice o revocabile; se sussiste un obbligo diretto della banca verso il venditore si parla di apertura di credito confermato o irrevocabile.

Anticipazione bancaria

Nella prassi bancaria il termine anticipazione individua due tipi di operazioni: semplice o a scadenza fissa che importa la dazione effettiva, da parte della banca, di una somma con obbligo del contraente di restituirla alla scadenza stabilita; in conto corrente che importa la messa a disposizione da parte della banca di una somma, con facoltà dell’altro contraente di prelevarla a sua discrezione e di ricostruire mediante versamenti l’originaria disponibilità, di procedere a nuovi prelevamenti, fin alla scadenza del contratto e con l’obbligo di restituire nel termine contrattuale le somme di cui in tale momento egli sia debitore verso la banca. La dazione o la messa a disposizione delle somme sono in funzione della costituzione in pegno di titoli, merci o denaro, a garanzia del credito attuale o eventuale della banca, e in cui l’ammontare della somma si commisura in ogni momento del rapporto, con criterio di proporzionalità rigorosa e sulla base di una decurtazione percentuale detta scarto sul valore del pegno. Se tale rapporto si modifica e viene a risultare inferiore rispetto a quello stabilito, o si ripristina mediante supplemento di garanzia il rapporto iniziale o l’anticipazione cessa. Il contraente è libero di diminuire la garanzia nel corso dell’operazione perché corrispondentemente riduca in misura proporzionale l’anticipazione, lasciando inalterato lo scarto fissato. L’anticipazione è un negozio complesso risultato della combinazione di due negozi: uno di credito e uno di garanzia. Il collegamento si attua sulla base di un rapporto di proporzionalità.

Il negozio di credito

Il negozio di credito può assumere la natura giuridica del mutuo nell’anticipazione semplice, o di apertura di credito in quella in conto corrente. Saranno applicabili le disposizioni dell’uno o dell’altro contratto.

Il negozio di garanzia

Il negozio di garanzia si caratterizza per la natura dell’oggetto della garanzia. È essenzialmente di natura mobiliare e costituita su titoli, merci o denaro. Presupposto è che il valore del pegno possa essere agevolmente determinato. Nei titoli vanno ricompresi sia titoli individuali che di massa, i libretti di deposito e altri documenti di legittimazione relativi a somme di denaro. Il pegno può essere regolare con rilascio di documenti che prendono il nome di cartella di anticipazione o polizza. Alla fine del rapporto o in caso di esercizio della facoltà ex art. 1849 la banca deve restituire le stesse cose e perciò ha gli obblighi del creditore pignoratizio. Nel caso di pegno irregolare, proprietà e disponibilità passano alla banca, ed è obbligata solo alla restituzione di una quantità equivalente di titoli o merci della stessa specie e qualità. In tal caso l’anticipazione è detta irregolare.

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Collegamento tra credito e garanzia

Il collegamento tra negozio di credito e di garanzia si attua sulla base di un rapporto di proporzionalità. Non è applicabile il principio della indivisibilità della garanzia ex art. 2799: riducendosi il credito si riduce la garanzia, rimanendo fisso lo scarto inizialmente fissato. Se lo scarto si riduce di almeno un decimo la banca può chiedere un supplemento di garanzia e in mancanza procede alla vendita dei titoli o delle merci date in pegno. Lo scarto può invece essere ricomposto anche con una riduzione dell’esposizione debitoria, consentita ex art. 1849. Se lo scarto non viene ristabilito la banca può considerare cessato il rapporto e di pretendere la restituzione delle somme anticipate, realizzando, all’occorrenza, il pegno nei modi di legge.

Sconto bancario

Lo sconto è il contratto con cui la banca, previa deduzione dell’interesse (sconto), anticipa al cliente l’importo di un credito verso terzi non scaduto mediante cessione salvo buon fine al credito stesso, ex art. 1858. La sostanza dell’operazione consiste nel consentire al cliente la realizzazione immediata di crediti che il cliente stesso avrebbe potuto conseguire soltanto in un momento successivo verso il trasferimento nelle forme previste dalla legge del diritto di credito nei confronti del terzo e salvo buon fine. La banca anticipa la somma corrispondente all’intero credito decurtata esclusivamente dell’interesse e delle commissioni. Lo sconto è una operazione complessa che risulta dalla combinazione di una operazione di credito (mutuo) con un negozio di garanzia (trasferimento pro solvendo di un diritto di credito). I due rapporti sono collegati nel senso che la banca non può chiedere allo scontatario la restituzione, se non quando il debitore ceduto abbia rifiutato il pagamento. Con la conseguenza che, se il debitore ceduto adempie alla scadenza, il rapporto si estingue; se invece non paga, lo scontatario è tenuto sulla base del rapporto di sconto alla restituzione della somma anticipata con i relativi interessi. Tuttavia la posizione dello scontatario è e rimane quella che deriva da un rapporto di mutuo per il quale è prevista una particolare forma di adempimento.

Sconto di cambiali

L’ipotesi più frequente è lo sconto dei crediti cambiari. Qui il trasferimento del credito si attua mediante trasferimento del titolo e nelle forme di circolazione dello stesso. Il credito trasferito è solo il credito cartolare, non quello sorgente dal rapporto sottostante, a meno che lo sconto non si attui anche con la cessione della provvista in quella ipotesi in cui ciò è ammesso dalla legge. Attuando si il trasferimento della cambiale o dell’assegno bancario mediante girata, lo scontatario viene ad assumere, per effetto della girata, obbligazione cambiaria in via di regresso. L’art. 1859 prevede che alla anca competa in aggiunta ai diritti che derivano dal titolo cambiario, il diritto alla restituzione delle somme anticipate sulla base del contratto di sconto. Nell’ipotesi di sconto cambiario quindi la banca ha verso il terzo debitore l’azione diretta ove questi abbia accettato, e nel caso di tratte non accettate o senza accettazione, ma con cessione della provvista, l’azione in base al rapporto di provvista. La banca ha inoltre verso lo scontatario l’azione cambiaria di regresso e l’azione causale sulla base del contratto di sconto. I rapporti tra queste diverse azioni sono regolati dai principi del diritto cambiario. L’art. 1860 disciplina lo sconto delle tratte documentate, cioè emesse dal compratore ed accompagnate dal titolo rappresentativo della merce e dagli altri documenti. In tal modo il venditore delle merci realizza anticipatamente il prezzo delle stesse, trasferendo alla banca mediante girata la tratta e consegnando alla stessa i documenti. Dal punto di vista giuridico l’operazione si complica in quanto al rapporto di sconto si aggiunge un rapporto di mandato per la esecuzione del

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contratto di compravendita intercorrente tra scontatario e debitore. In ciò trova la giustificazione il privilegio attribuito alla banca fin quando il titolo rappresentativo delle merci rimanga in suo possesso.

Factoring

altro strumento di mobilitazione dei crediti a breve termine. Si differenzia dallo sconto per due caratteristiche: nello sconto la cessione del credito avviene a scopo di garanzia (cessione pro solvendo), mentre nel factoring la cessione può essere pro soluto e in tal caso il factor assume su di se l’alea di un eventuale inadempimento. Inoltre il factoring è una operazione globale che riguarda tutti i crediti dell’imprenditore con la sola eccezione di quelli che il factor ritenga non graditi. Il factoring può adempiere a due ulteriori funzioni: esazione dei crediti, esonerandone l’imprenditore; una funzione assicurativa quando il factor assume su di se le alee di eventuali inadempimenti. Se l’operazione presenta la struttura della cessione del credito, la legge 52/91 disciplina la cessione di crediti di impresa riservata alle ipotesi in cui non solo il cedente è imprenditore, ma che lo sia anche il cessionario, come banca o intermediario finanziario. Quindi, seppure in via di principio il contratto di factoring è stipulabile da chiunque, in caso di imprenditori si applica la legge 52/91 e non la disciplina della cessione del credito. La legge 52/91 detta una disciplina che precisa che la cessione di crediti può avvenire anche in massa e può riguardare anche crediti futuri; si presume pro solvendo salvo rinuncia del cessionario; regola l’operazione verso i terzi e il fallimento: perciò, la cessione diviene opponibile ai terzi aventi causa o creditori del cedente quando sia avvenuto il pagamento da parte del cessionario del corrispettivo della cessione e tale pagamento abbia data certa; con riferimento al fallimento del debitore ceduto invece, si sottraggono all’azione revocatoria i pagamenti del fallito al cessionario, prevedendosi la possibilità di proporre tale azione verso il cedente che conoscesse al momento del pagamento lo stato di insolvenza del debitore ceduto. In caso di fallimento del cedente, si prevede sia un potere di recesso del curatore, sia la possibilità di far dichiarare in opponibile la cessione (revoca) mediante la prova da parte del curatore che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente al momento in cui aveva pagato il suo corrispettivo e perché tale pagamento sia avvenuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Cartolarizzazione dei crediti

Operazione con cui si effettua una cessione in massa di crediti pecuniari a favore di una apposita società (società veicolo) la quale poi procede all’emissione di titoli di debito (obbligazionari), destinati ad essere offerti al pubblico e che dovranno essere soddisfatti con le somme incassate a seguito del pagamento dei debiti ceduti. L’impresa cedente è in tal modo in grado sia di depurare il proprio bilancio dai rischi di realizzo dei crediti ceduti sia di effettuarne una smobilitazione tramite il ricorso al mercato finanziario. La cessione avviene pro soluto. A tutela degli investitori, i titoli emessi in tali operazioni sono qualificati come strumenti finanziari, richiedendo la loro offerta al pubblico l’utilizzazione di un prospetto informativo. Le somme corrisposte dal debitore o dai debitori ceduto sono destinate in via esclusiva, dalla società cessionaria, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi, per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione. Da ciò deriva che i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni, potendo agire su tale patrimonio solo i portatori dei titoli ed i creditori per ragioni connesse all’operazione.

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IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE

1. Nozioni generali

Impresa di assicurazione e contratto di assicurazione

Le assicurazioni possono essere riguardate sotto un duplice aspetto: come attività e come operazione singola . considerare l’assicurazione come attività significa fissare lo statuto dell’impresa di assicurazione , considerarla come operazione singola significa fissare il regolamento del contratto di assicurazione. Tra i due aspetti del fenomeno sussiste una connessione, ma si tratta di una connessione che penetra nella struttura stessa del contratto, rendendo inconcepibile un’operazione singola di assicurazione al di fuori dell’impresa assicurativa.

Evoluzione nella funzione dell’assicuratore

Funzione dell’assicuratore fu quella di assumere in origine su di sé i rischi inerenti al patrimonio o alla persona dell’assicurato. L’aversio periculi e la susceptio periculi costituivano un tempo l’essenza del contratto e la funzione dell’assicuratore. Il vantaggio di quest’ultimo dipendeva dal mancato verificarsi dell’evento; il corrispettivo dell’assicurazione era commisurato al rischio assunto nel caso specifico. Funzione attuale dell’assicuratore è invece quella della compensazione dei rischi o della distribuzione di essi tra i vari partecipanti allo svolgimento della vita economica .

Evoluzione nella struttura del contratto

Correlativamente alla funzione dell’assicuratore si sono modificate le basi del contatto di assicurazione. Già nella definizione del contratto di assicurazione la legge si richiama a un concetto,

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quello di premio. Premio non è il corrispettivo preteso dall’assicuratore sulla base della valutazione del rischio assunto con il singolo contratto, premio è quel corrispettivo che si determina in funzione di una data categoria di rischi, astrattamente considerati e sulla base dell’astratta probabilità del loro verificarsi desunta dalla legge dei grandi numeri. Il premio si compone di due parti: il cd premio puro che corrisponde al rischio determinato secondo i calcoli delle probabilità e secondo la legge dei grandi numeri; e le maggiorazioni corrispondente alle spese e all’utile dell’assicuratore. Di fronte al premio sta come contropartita la prestazione dell’assicuratore. L’art 1882 del c.c. fa consistere la prestazione dell’assicuratore nel pagamento della somma assicurata al verificarsi dell’evento. Trattandosi di una prestazione solo eventuale,una corrispettività può essere ravvisata tra le obbligazioni, non tra le prestazione, con la conseguenza che il contratto di assicurazione dovrebbe considerarsi come un contratto aleatorio. Nel c.c. del 1865 il contratto di assicurazione era compreso tra i contratti aleatori. Tuttavia la qualificazione del contratto di assicurazione come contratto aleatorio contrasta con la sia funzione sociale e individuale. L’assicurazione non è diretta a procurare un vantaggio all’assicurato e chi la contrae non lo fa nella speranza che l’evento si verifichi, ma la contrae per far fronte alle necessità economiche conseguenti al suo verificarsi sul presupposto che l’evento anche se deprecabile, è nel campo delle possibilità. Si è rilevato che l’assicurato realizza il suo interesse già con la stipulazione del contratto e si è qualificata la prestazione dell’assicuratore come una prestazione di sicurezza. Nel sistema legislativo attuale la prestazione dell’assicuratore ha un contenuto più complesso di quello che risulta dall’art 1882 c.c. questo sistema consiste nella inserzione del rischio singolo nella collettività dei rischi e del premio singolo nella massa dei premi, attraverso questa inserzione non soltanto entrano in funzione le norme che prevedono la costituzione delle riserve tecniche e delle riserve matematiche e le forme di investimento stesse, ma l’assicurato viene a beneficiare di quelle garanzie della collettività che la legge prevede a favore di tutti gli assicurati. Questa definizione è stata accolta dalla stessa legge nel codice delle assicurazione private che definisce l’attività assicurativa come un’attività che non si esaurisce nell’assunzione dei rischi ma implica la loro gestione. Contratto di assicurazione nel sistema attuale non è ogni contratto diretto alla copertura di un rischio , ma è quel contratto in cui l’assicuratore si obbliga a gestire i rischi e cioè ad inserire i singoli rischi nella massa di rischi omogenei, in modo che la copertura del rischio possa avere come corrispettivo il pagamento da parte dell’assicurato di un premio e possa trovare una effettiva realizzazione secondo i princìpi della tecnica assicurativa e una garanzia specifica sulla massa dei premi.

Struttura e caratteri del contratto di assicurazione: l’impresa come presupposto del contratto

L’impresa costituisce pertanto un elemento del contratto, e non soltanto un suo presupposto. L’impresa costituisce il punto di passaggio necessario perché l’assunzione del rischio si attui sulla base del pagamento del premio. Nella definizione legislativa del contratto di assicurazione l’impresa non emerge direttamente e il rapporto essenzialmente si pone tra il rischio e il premio. Si tratta di un elemento implicito e non solo di un presupposto subiettivo. L’impresa è una condizione obiettiva perché un determinato contratto possa essere considerato come contratto di assicurazione. E se obiettivamente una qualunque impresa è presupposto sufficiente perché si abbia contratto di assicurazione, la legge pone come requisiti soggettivi per poter assumere la qualifica di assicuratore, che l’impresa assumi una determinata forma e che l’organizzazione si attui ed operi secondo determinati criteri.

Ambito e caratteri del fenomeno assicurativo: le cosiddette assicurazioni sociali

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La funzione dell’assicurazione può esplicarsi nei più diversi campi dell’attività umana : ogni qualvolta in conseguenza di un determinato evento sia possibile l’insorgere per una persona di un bisogno da soddisfare, la funzione dell’assicurazione può teoricamente esplicarsi. Ciò spiega la progressiva evoluzione del fenomeno assicurativo. L’art 1882 c.c. lascia indeterminata la natura dell’evento assicurativo, solo richiedendo che si tratti di un evento produttivo di danni a carico dell’assicurato o di un evento attinente alla vita umana e consente perciò al contratto di assicurazione sempre nuove possibilità di applicazione. L’assicurazione come forma di previdenza risponde sempre a una evidente funzione sociale. Vi sono : Le assicurazioni obbligatorie- infortuni sul lavoro, contro la resp civile conseguente a sinistri automobilistici; le assicurazioni automatiche-assicurazioni sociali. Mentre le assicurazioni obbligatorie conservano la struttura propria delle assicurazioni e il loro fondamento contrattuale, anche se il contratto è stipulato in conseguenza di un obbligo legale a contrarre, nelle assicurazioni automatiche il rapporto assicurativo si instaura su basi essenzialmente pubblicistiche, è determinato ex lege nel suo contenuto e non trova più la base in un contratto e tanto meno in un contratto sinallagmatico. Quando quei determinati eventi si verificano, l’assicuratore è tenuto alla corresponsione dell’indennità.

Il rischio

Ove si prescinda dalle assicurazioni sociali le quali hanno una struttura essenzialmente pubblicistica, il rapporto assicurativo trova il suo fondamento in un contratto a titolo oneroso, i cui elementi essenziali sono rappresentati dal rischio e dal premio. La sostanza del contratto di assicurazione si pone nell’obbligo assunto dall’assicuratore dietro corrispettivo di un premio, di pagare una somma al verificarsi di un evento futuro e almeno in qualche suo elemento, incerto, e cioè in definitiva nell’assunzione di un rischio verso corrispettivo di un premio. Oggetto del contratto di assicurazione è l’assunzione di un rischio. Trattandosi di un rischio convenzionale è evidente che lo spostamento dell’onere economico si attua solo in quei limiti e sotto quei presupposti che sono stabiliti nel contratto. Giuridicamente , l’assunzione del rischio si concreta nella promessa dell’assicuratore di pagare la somma stabilita nell’eventualità che l’evento futuro e incerto si verifichi. Funzione del contratto è quella di dare, attraverso la promessa dell’assicuratore una sicurezza economica di fronte al possibile verificarsi dell’evento. Il rischio è elemento essenziale e non accidentale del contratto. Se il rischio non esiste o più non esiste al momento della conclusione del contratto, un contratto di assicurazione non può sorgere validamente; se il rischio cessa di esistere successivamente, il contratto di assicurazione si scioglie. Rischio è possibilità di avveramento dell’evento. Se l’evento è impossibile o già verificato alla conclusione del contratto, il contratto è nullo. Se l’evento diviene impossibile dopo la conclusione del contratto, il contratto di assicurazione si scioglie. A questo riguardo possono farsi due ipotesi: quella che l’impossibilità dell’evento si determini prima ancora che gli effetti dell’assicurazione debbano prodursi, nel qual caso l’assicuratore ha diritto solo al rimborso delle spese; quella in cui l’impossibilità si determini quando gli effetti dell’assicurazione sono già iniziati, nel qual caso l’assicuratore conserva il diritto ai premi fin quando della cessazione del rischio non abbia avuto conoscenza per comunicazione dell’interessato o altrimenti e, quando tale conoscenza si determini nel corso di un singolo periodo, l’assicuratore ha diritto al premio relativo all’intero periodo di assicurazione in corso.

Collaborazione del contraente nella determinazione del rischio

L’assicuratore deve conoscere con esattezza la situazione oggettiva al momento del contratto e da ciò la necessaria influenza sul regolamento contrattuale delle modificazioni che in tale situazione

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oggettiva si determinano e importano una modificazione del rischio. Il contratto di assicurazione non riguarda un rischio generico e astratto, ma il rischio specifico e concreto che è inerente a una determinata situazione oggettiva. È necessario che l’assicuratore conosca tutte le circostanze che possono influire sulla probabilità del verificarsi dell’evento. La legge impone a colui che l’assicurazione contrae, l’obbligo di dichiarare tutte quelle circostanze che siano rilevanti nella determinazione del rischio e sulle quali l’assicuratore richiama la sua attenzione attraverso appositi questionari. Quindi vi deve essere una collaborazione del contraente con lo stipulante ai fini della precisazione della situazione oggettiva.

Dichiarazioni inesatte e reticenze: la clausola di incontestabilità

La legge distingue a seconda che le dichiarazioni inesatte o reticenze siano o meno dovute a dolo o colpa grave del contraente. Nel primo caso la legge attribuisce all’assicuratore l’azione di annullamento del contratto; nel secondo caso, il diritto di recesso. Presupposto comune all’azione di annullamento e del diritto di recesso è che la dichiarazione inesatta o la reticenza riguardino circostanze rilevanti nella determinazione del rischio, per modo che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato a quelle condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose. Elemento comune alle due ipotesi è che la volontà di esercitare il diritto di impugnativa o di recesso , deve essere dichiarata sotto pena di decadenza entro 3 mesi dal giorno in cui l’assicuratore ha avuto conoscenza dell’inesatta dichiarazione o reticenza. Diversa è nelle due ipotesi l’efficacia del contratto nel caso in cui l’evento si verifichi prima della dichiarazione della volontà di proporre l’azione di annullamento o di recedere, o quando ancora non sia decorso il termine di decadenza previsto per tale dichiarazione. Nell’ipotesi di dolo o colpa grave l’assicuratore non è tenuto a pagare la somma assicurata; negli altri casi invece è tenuto a pagare una somma ridotta sulla base della differenza tra il premio convenuto e quello dovuto in relazione alla situazione effettiva. Si opera una specie di ortopedia del contratto, al quale si conserva efficacia in quei limiti più ristretti che sono consentiti da un proporzionamento del rischio effettivo al premio pagato. Per limitare le conseguenze che possono derivare dalle dichiarazioni inesatte o reticenze del contraente, sono a volte inserite nelle polizze le clausole di incontestabilità, in conseguenza delle quali nessuna contestazione sulla validità ed efficacia dell’assicurazione può essere sollevata dall’assicuratore quando sia decorso un determinato periodo dalla conclusione del contratto. Rimane fuori dalla clausola di incontestabilità l’ipotesi di dolo del contraente.

Modificazione del rischio

La situazione oggettiva può modificarsi e di conseguenza possono modificarsi le probabilità di avveramento dell’evento. Questa modificazione ha un’influenza sul contratto di assicurazione in quanto importi un aggravamento del rischio, sia in quanto ne comporti una diminuzione. L’aggravamento del rischio ha un’efficacia diretta sul contratto di assicurazione: l’oggetto stesso del contratto viene a modificarsi. Vi sono rischi che gli assicuratori ritengono addirittura di non poter assumere; se pertanto durante il contratto il rischio si modifica talmente da rientrare in questa categoria, non soltanto l’assicuratore ha diritto di recedere dal contratto con effetto immediato, facendo la relativa comunicazione per iscritto, ma l’assicuratore non risponde quando l’evento si sia verificato prima di tale termine. Quando l’aggravamento avrebbe determinato solo la corresponsione di un premio più elevato, rimane il diritto di recesso dell’assicuratore ma anzitutto gli effetti del recesso operano dopo 15 gg dalla dichiarazione e se l’evento si verifica prima del decorso del termine concesso per il recesso o prima che questo diventi operativo, l’assicuratore è tenuto a corrispondere la

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somma in quella misura ridotta che risulta dal rapporto tra premio pagato e premio dovuto in relazione al rischio effettivo. Analoghi principi valgono, nel caso di assicurazione sulla vita, per quegli aggravamenti del rischio che derivano da cambiamento di professione o di attività dell’assicurato. Il contraente deve cooperare con l’assicuratore per la determinazione del rischio e deve portare a conoscenza dell’assicuratore i mutamenti oggettivi che aggravano il rischio. La mancata comunicazione importa che non inizia il decorso del termine per la dichiarazione di recesso e che pertanto l’assicurato corre il rischio di non vedersi corrisposta la somma, nel caso in cui l’evento si verifichi e l’aggravamento sia stato tale da escludere il rischio dal novero di quelli assicurabili. La diminuzione del rischio non ha un efficacia diretta sul contratto ma solo autorizza il contraente a richiedere una riduzione del premio. Questa non si opera immediatamente con la comunicazione della diminuzione del rischio, ma si opera a decorrere dalla scadenza del premio o della rata di premio successiva alla comunicazione, e viene espressamente riconosciuto all’assicuratore il recesso. Gli effetti del recesso non si producono immediatamente ma operano dopo un mese dalla dichiarazione in modo da consentire la eventuale copertura del rischio presso l’assicurato.

Obbligo di non interferire sulla determinazione dell’evento

Le probabilità di avveramento dell’evento sono calcolate essenzialmente su basi oggettive. Deve escludersi la possibilità da parte dei soggetti che possono avere interesse a che l’evento si verifichi, di influire attraverso il loro comportamento sul prodursi dell’evento. L’obbligo dell’assicuratore viene a cessare ogni qualvolta che l’evento si verifichi in conseguenza del dolo o della colpa grave di uno di tali soggetti. L’obbligo dell’assicuratore permane se l’evento è determinato da dolo o colpa grave de8 dipendenti dell’assicurato e in genere delle persone del fatto delle quali questi deve rispondere. Principi particolari vigono per il suicidio: la legge ammette l’obbligazione dell’assicurato, stabilendo come presupposto che il contratto abbia avuto effetto per almeno due anni dalla stipulazione o, nel caso che vi sia stata una sospensione degli effetti per mancato pagamento dei premi, dal giorno in cui la sospensione è cessata.

Il premio

Corrispettivo dell’assunzione del rischio è il pagamento del premio. Il premio consiste in una somma di denaro che si determina in funzione di due elementi: - il premio puro che corrisponde all’equivalente matematico del rischio; - il caricamento che è costituito dalla spese e dalla quota di utili dell’assicuratore. Il premio può essere unico, cioè pagato una sola volta, o essere periodico, pagato periodicamente in relazione ai singoli periodi nei quali è suddiviso il rapporto assicurativo. Il premio è indivisibile, esso deve essere corrisposto per l’intero. Il pagamento del premio deve essere eseguito al domicilio del creditore: nella prassi assicurativa è tuttavia molto diffuso l’esigere i premi di assicurazione al domicilio del debitore. Il pagamento del premio costituisce un obbligo vero e proprio per chi contrae l’assicurazione nel senso che la copertura del rischio è in funzione del pagamento del premio. Ciò vale per tutti i tipi di assicurazione. Senza il pagamento del premio il contratto di assicurazione non è operativo, nel senso che il rischio non è coperto fin quando il premio non sia pagato. Si determina cioè una sospensione dell’assicurazione, immediata se non è pagato il primo premio o il premio è unico; dopo 15 gg dalla scadenza, se il mancato pagamento riguardi i premi o le rate di premio successivi. Sospensione dell’assicurazione non equivale a inefficacia del contratto, ma

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significa solo non copertura del rischio. L’assicuratore può agire per la riscossione dei premi dovutogli e soltanto se tale azione non si propone nel termine si sei mesi dalla scadenza del premio o della rata di premio, il contratto di assicurazione si scioglie, fermo restando il diritto dell’assicuratore al premio per il periodo in corso e al rimborso delle spese.

L’interesse assicurativo

La funzione di previdenza che è tipica dell’assicurazione, pone in evidenza un ulteriore presupposto: l’interesse. Interesse è la relazione che intercorre tra una persona e l’evento e in conseguenza della quale l’evento si ripercuote su quella persona, determinando in essa il sorgere di taluni bisogni economici. Se la relazione mancasse e se l’evento fosse destinato a ripercuotersi su un'altra persona, l’assicurazione si tramuterebbe in una pura scommessa. L’interesse, come presupposto dell’assicurazione è espressamente enunciato con riferimento all’assicurazione contro i danni. È nullo il contratto di assicurazione se, nel momento in cui l’assicurazione deve avere inizio, non esiste un interesse dell’assicurato al risarcimento del danno. Per l’assicurazione sulla vita questo presupposto non è espressamente enunciato, ma ciò nn significa che esso non sia necessario, significa solo che esso è considerato implicito nel fatto che l’assicurazione riguarda un evento proprio dell’assicurato. Se l’evento riguarda un fatto relativo alla vita dell’assicurato, la relazione necessariamente sussiste senza bisogno di dimostrazione. È soltanto quando l’assicurazione sia contratta sulla vita di un terzo, che questa relazione deve sussistere. L’art 1919 c.c. ha aggiunto un ulteriore presupposto già implicito dell’interesse, e cioè il consenso scritto della persona alla quale l’evento immediatamente si riferisce, se pure nelle sue conseguenze economiche è destinato a ripercuotersi sull’assicurato. L’interesse è diverso nell’assicurazione contro i danni e in quella sulla vita. Nella prima l’interesse consiste nel ripercuotersi del danno, provocato dall’evento, sul patrimonio dell’assicurato; nella seconda l’interesse consiste nel ripercuotersi dell’evento sulla propria posizione economica o su quella di persone che sono legate all’assicurato da determinati rapporti di parentela o di amicizia o di dipendenza o anche di solidarietà umana. L’interesse deve però avere un contenuto economico. L’interesse è un presupposto dell’assicurazione, non anche l’oggetto del contratto. Oggetto dell’assicurazione è l’assunzione del rischio e l’interesse serve appunto a giustificare il trasferimento del rischio come atto di previdenza.

Carattere non unitario dell’assicurazione

Parte della dottrina ha preteso porre come carattere generale dell’assicurazione, la funzione indennitaria. In tutti i casi, secondo questa dottrina, le prestazioni dell’assicuratore sarebbero dirette a risarcire un danno, precisamente il danno causato dall’avveramento dell’evento assicurato. Tuttavia questa tendenza dottrinale non può essere condivisa. Non solo si confonde in tal modo la causa (danno) con l’effetto (bisogno), ma si trascura che l’effetto può essere conseguenza di una causa che in nessun modo può essere qualificata come danno. L’espressione danno ha il significato di diminuzione patrimoniale, non si può qualificare come danno un evento che lasci esattamente integra la situazione patrimoniale e determini solo nuovi bisogni. L’assicurazione postula costantemente un bisogno a cui supplire, ai bisogni che derivano da un evento esattamente individuato.

Assicurazione contro i danni e assicurazione sulla vita

La legge raggruppa i diversi possibili eventi in due grandi categorie: eventi produttivi di danni e eventi attinenti alla vita umana. Alla base della distinzione è posta la diversa funzione che l’assicurazione ha nelle due ipotesi: nell’assicurazione danni il contratto ha una funzione indennitaria; nell’assicurazione

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vita il contratto, pur proponendosi di procurare i mezzi necessari al soddisfacimento dei bisogni economici dell’assicurato, in relazione al verificarsi dell’evento assicurativo, non ha funzione indennitaria. Da ciò derivano differenze sostanziali nelle due ipotesi. Nell’assicurazione danni, il danno è il presupposto e il limite dell’assicurazione, nell’assicurazione vita questo presupposto e limite non sussiste, in quanto l’assicurazione non ha funzione indennitaria ma ha la funzione di assicurare una somma atta a soddisfare i bisogni che si produrranno con il verificarsi dell’evento.

2. Il contratto e le sue vicende

La conclusione del contrato

La conclusione del contratto di assicurazione è regolata dai principi generali in tema di contratti.

• Una prima deroga ai principi generali è posta in relazione alla efficacia della proposta. Stabilisce l’art 1887 cc che la proposta scritta diretta all’assicuratore rimane ferma per il termine di 15 gg o di 30 gg ,se occorra una visita medica a decorrere dalla data di spedizione o di consegna all’assicuratore o ad un suo agente. Questa deroga trova una giustificazione nella necessità che l’assicuratore ha di accertare quelle circostanze oggettive che sono rilevanti nella valutazione del rischio e nella determinazione del premio.

• Altra deroga riguarda la prova del contratto: il principio della libertà della prova trova una limitazione in tema di assicurazione richiedendosi la prova scritta del contratto. Tale prova è apprestata dalla polizza di assicurazione o da altro documento che l’assicuratore è obbligato a consegnare al suo contraente e del quale a richiesta e a sue spese è tenuto a rilasciare duplicati. La funzione della polizza è quella di prova del contratto, talora la polizza viene redatta all’ordine o al portatore ed in tal caso assume la natura di titolo improprio attuandosi attraverso il trasferimento della polizza la cessione del credito nei confronti dell’assicuratore e riconoscendosi al giratario o al portatore della polizza la legittimazione ad esigere. La circolazione della polizza importa circolazione del credito verso l’assicuratore e non anche automaticamente la circolazione dell’assicurazione. La richiesta della prova scritta risponde ad esigenze di certezza rispetto ad un contratto particolarmente complesso. Sostanzialmente alla volontà delle parti è rimesso il regolamento dei reciproci rapporti, il legislatore però intende che alcune disposizioni dettate a tutela dell’assicurato considerato contraente più debole, non possono essere derogate se non nel senso più favorevole all’assicurato, e dispone che le clausole che stabiliscono deroghe a norme in senso meno favorevole all’assicurato siano sostituite di diritto da corrispondenti disposizioni di legge. Ad esempio la legge intende reagire a quella prassi seguita nelle polizze per effetto della quale si stabiliscono lunghi termini di durata del contratto o si rende eccessivamente oneroso l’esercizio del diritto di recesso alla scadenza (cd disdetta) disponendo che nel caso di durata poliennale l’assicurato ha facoltà di recedere annualmente dal contratto senza oneri e con preavviso di 60 gg e limitando nel tempo l’efficacia della proroga tacita.

Assicurazione per conto altrui e per conto di chi spetta

Vi può essere una non coincidenza della persona di colui che contrae l’assicurazione con la persona dell’assicurato sia perché l’assicurazione è contratta a mezzo di rappresentante sia perché pur essendo

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contratta l’assicurazione in nome proprio essa è tuttavia contratta per conto altrui o per conto di chi spetta.

Nel caso in cui l’assicurazione sia contratta a mezzo di rappresentante la sola deroga riguarda l’ipotesi del rappresentante senza poteri per la quale si dispone:

- L’obbligazione personale del rappresentante senza poteri all’adempimento del contratto fin quando non interviene la ratifica o il rifiuto della ratifica da parte dell’interessato deve corrispondere il premio relativo al periodo di assicurazione in corso al momento della comunicazione del rifiuto di ratifica.

- La possibilità di ratifica dell’interessato anche dopo la scadenza ddel contratto o il verificarsi dell’evento.

Il contratto di assicurazione posto in essere dal rappresentante vincola il rappresentante senza poteri all’adempimento degli obblighi assunti in nome altrui e vincola altresì l’assicuratore essendo rimesso unicamente all’interessato di farlo proprio o di farne cessare gli effetti.

Nel caso in cui l’assicurazione sia contratta in nome proprio ma x conto altrui o per conto di chi spetta particolari deroghe vengono apportate ai principi del mandato senza rappresentanza. Infatti mentre nel mandato il mandatario acquista i diritto e gli obblighi derivanti dal contratto stipulato con il terzo, anche se questi è a conoscenza del mandato, nell’assicurazione in questione pur rimanendo a carico del contraente gli obblighi e pur non avendo l’assicuratore alcun diritto nei confronti del mandante i diritti derivanti dal contratto spettano esclusivamente all’assicurato e il contraente non può farli valere senza espresso consenso di lui anche se è in possesso della polizza. La deroga si giustifica il base ai principi dell’assicurazione i quali non consentono che sulla base del contratto di assicurazione possa acquistare i diritti chi non ha interesse all’assicurazione.

Polizze di abbonamento. Polizze globali o collettive

Il contratto di assicurazione può riguardare l’assunzione di un rischio singolo o di una pluralità di rischi. In questa seconda ipotesi può accadere che i rischi possano al momento del contratto essere determinati soltanto nella loro configurazione astratta e non anche nel loro numero, nella loro consistenza si parla in tal caso di polizze di abbonamento o globali o collettive. Mediante le polizze di abbonamento si assicurano tutti i rischi di una determinata categoria afferenti la persona dell’assicurato nel tempo di durata del contratto, mediante quelle globali o collettive si assicurano i rischi afferenti la persona dell’assicurato in funzione della comprensione delle cose assicurate in una determinata azienda o della relazione di dipendenza di una determinata persona da una determinata impresa. I singoli rischi possono assumere una loro autonomia e dar luogo a distinti rapporti di assicurazione o invece essere dedotti in contratto come una pluralità unificata.

Assicurazione di pluralità di rischi autonomi

Quando il contratto è destinato a coprire una pluralità di rischi autonomi possono verificarsi tre ipotesi:

• L’assicurazione dei singoli rischi è facoltativa per entrambe le parti. In qst caso manca la volontà attuale di stringere un rapporto di assicurazione, le parti si limitano a fissare lee modalità di futuri contratti in previsione della loro stipulazione.

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• L’assicurazione dei singoli rischi è obbligatoria per una delle parti. In qst caso è previsto l’obbligo di una parte di stipulare questi contratti quando la parte in facoltà ( di solito l’assicurato) lo richieda.

• L’assicurazione dei singoli rischi è obbligatoria per entrambe le parti. . in qst caso esiste sia la predisposizione di una regolamentazione dei futuri rapporti di assicurazione sia la volontà attuale di stringere tali rapporti.

Stipulazione del contratto a mezzo di agenti

Il contratto di assicurazione può essere stipulato oltre che dall’assicuratore a mezzo dia genti espressamente autorizzati alla conclusione dei contratti. I poteri di rappresentanza dell’agente sono quelli che risultano dalla procura. I contratti conclusi con gli agenti possono modificare e risolvere i contratti stessi a meno che ciò non sia escluso nell’atto di conferimento di poteri e la legittimazione attiva e passiva nelle controversie relative ai contratti da essi posti in essere. È riconosciuto all’agente di assicurazione la legittimazione a ricevere il pagamento di premi.

Le vicende del contratto di assicurazione

Esse in quanto non siano regolate da principi particolari sono disciplinate da principi generali in tema dei contratti, essendo particolare la struttura del contratto di assicurazione cioè un contratto di durata a titolo oneroso. Esistono specifiche norme al fine di fissare le conseguenze che sul contratto determinano le vicende relative all’impresa di assicurazione. La legge prevede distintamente le ipotesi di fusione, scissione, concentrazione di azienda e di cessione del portafoglio e stabilisce che in qst ipotesi il contratto di assicurazione non si scioglie ma continua con la società incorporante o che risulta dalla fusione o con la società che assorbe l’azienda ecc. in caso di liquidazione coatta amministrativa il contratto di assicurazione si scioglie ma lo scioglimento non è automatico ma si attua su richiesta degli assicurati, da dirigersi al commissario liquidatore e con effetto dal ricevimento della richiesta. In mancanza i contratti di assicurazione rimangono efficaci per 60 gg dalla pubblicazione del decreto di liquidazione nella GU. L’assicurato ha diritto di far valere la nullità del contratto con conseguente restituzione dei premi pagati quando esso sia stipulato da impresa non autorizzata o alla quale sia stato fatto divieto di assumere nuovi affari.

Prescrizione dei diritti derivanti dal contratto

Il diritto al pagamento del premio si prescrive in un anno a decorrere dalla scadenza mentre il diritto all’indennità si prescrive in due anni a decorrere dal giorno in cui si è verificato l’evento.

3. L’assicurazione contro i danni

I vari rami dell’assicurazione contro i danni

Un evento può determinare un danno:

• In quanto distrugga o menomi un bene esistente nel patrimonio dell’assicurato (esempio assicurazioni contro gli incendi, i furti, il gelo, la mortalità del bestiame)

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• In quanto imponga a carico dell’assicurato una responsabilità

• In quanto determini la cessazione di un lucro

Funzione indennitaria e interesse nell’assicurazione contro i danni

Presupposto dell’assicurazione è in tutte le ipotesi l’interesse all’assicurazione, cioè fino alla conclusione del contratto ci deve essere una relazione tra la persona dell’assicurato e l’evento assicurativo, tale che verificandosi l’evento il danno incide sul patrimonio dell’assicurato. Nelle assicurazioni di cose tale interesse sussiste non solo quando l’assicurato è proprietario ma anche quando l’assicurato abbia un diritto reale più limitato di godimento o di garanzia. L’interesse all’assicurazione oltre che presupposto costituisce nell’assicurazione danni un limite nel senso che non soltanto non ci può essere un’assicurazione senza interesse ma non ci può essere assicurazione oltre l’interesse. La funzione indennitaria dell’assicurazione impone che l’assicuratore sia tenuto al risarcimento del danno subito e che l’assicurazione non sia contratta per una somma superiore a quella che corrisponde al massimo danno che l’assicurato può risentire in conseguenza del verificarsi dell’evento.

Sovrassicurazione e pluralità di assicurazioni

In relazione alle assicurazioni relative a cose la legge fa divieto della sovrassicurazione cioè dell’assicurazione per una somma superiore a quella che rappresenta il valore economico del diritto che l’assicurato ha sulla cosa. La violazione del divieto se c’è stato dolo del contraente importa invalidità del contratto, se non ci è stato dolo il contratto ha effetto fino a concorrenza del valore reale. La legge impone che nel caso in cui per lo stesso rischio siano contratte più assicurazioni da diversi assicuratori, l’assicurato dia avviso dell’esistenza di esse a tutti gli assicuratori. La violazione se dolosa esonera gli assicuratori dall’obbligo del pagamento dell’indennità.

Il danno risarcibile: la surroga dell’assicuratore

Principio fondamentale è quello che il valore delle cose perite o danneggiate va determinato con riferimento al momento del sinistro , solo nell’assicurazione dei prodotti del suolo il danno si determina in relazione al valore che i prodotti avrebbero avuto al tempo della maturazione o della raccolta. Ci può essere anche una determinazione preventiva del valore della cosa assicurata al momento della conclusione del contratto attraverso una stima accettata per iscritto dalle parti ( articolo 1908 cc). L’obbligo dell’assicuratore sussiste nei limiti stabiliti dal contratto soltanto in relazione al danno effettivamente subito in conseguenza del verificarsi dell’evento. Tale obbligo si ripartisce tra i vari coassicuratori nel caso di coassicurazione. Il danno risarcibile è soltanto il danno emergente. Al fine di evitare che l’assicurato ricavi un lucro dall’assicurazione la legge prevede la surrogazione dell’assicuratore nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili fino a concorrenza dell’indennità corrisposta. La surrogazione non si attua quando il danno sia causato senza dolo da parte di parenti o affini dell’assicurato con lui conviventi o da domestici. L’assicurato non deve pregiudicare il diritto di surrogazione ritenendolo altrimenti responsabile nei confronti dell’assicuratore. L’assicuratore non risponde dei danni o dei maggiori danni determinati da vizio della cosa non denunciato nel contratto.

Obbligo di avviso e di salvataggio

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Alla funzione indennitaria del contratto rispondono altresì gli obblighi che incombono sull’assicurato di fronte al verificarsi del sinistro e cioè l’obbligo di avviso e di salvataggio. In mancato adempimento ha rilevanza giuridica solo in quanto colposo o doloso.

• L’obbligo di avviso si trae dalla necessità dell’assicuratore di conoscere esattamente come si è determinato il sinistro e le conseguenze dannose che ne sono derivate e ciò hai fini dell’accertamento del danno. L’avviso deve essere dato all’assicuratore o all’agente nel termine di tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o in cui l’assicurato ne ha avuto conoscenza.

• L’obbligo di salvataggio si trae dalla necessità di limitare al massimo il danno. A esso corrisponde l’obbligo dell’assicuratore di rimborsare le spese e risarcire i danni materiali provocati dai mezzi adoperati per il salvataggio. Il rimborso e il risarcimento vanno proporzionati all’interesse che l’assicuratore aveva nel salvataggio e cioè tenendo conto della parte che il valore assicurato rappresenta rispetto al valore della cosa.

L’inadempimento di tali obblighi in caso di dolo comporta la perdita del diritto all’indennità, ne comporta una riduzione dell’indennità in caso di colpa.

Circolazione del rapporto assicurativo

Non si deve confondere la necessità dell’esistenza del rapporto tra assicurato ed evento assicurativo con la necessità di una permanenza di questo rapporto in capo alla stessa persona. Al fine di consentire il permanere dell’assicurazione nonostante il mutamento della persona dell’interessato la pratica ha escogitato l’assicurazione per conto di chi spetta nella quale assicurato è colui che al momento del verificarsi dell’evento si trova con questo nel rapporto voluto dalla legge, a questo fine la legge all’articolo 1918 cc prevede il trasferimento ex lege del rapporto assicurativo come conseguenza dell’alienazione delle cose assicurate. Tale congegno soddisfa le esigenze pratiche stabilendosi la continuazione del rapporto assicurativo, a beneficio dell’acquirente, e consentendosi sia all’acquirente sia all’assicuratore di non continuarlo.

L’assicurazione della responsabilità civile

Il codice pone espressamente i principi fondamentali sull’assicurazione della responsabilità civile. Quest’ultima è contratta al fine di tenere indenne l’assicurato di quanto è tenuto a pagare a un terzo, in conseguenza di un fatto dannoso accaduto durante il tempo dell’assicurazione nello svolgimento dell’attività prevista nel contratto. La responsabilità dell’assicurato nei confronti del terzo può dipendere anche da un fatto illecito dell’assicurato. La legge esclude i danni derivanti da fatti dolosi. Da ciò è sorto il dubbio se l’obbligo del risarcimento debba ritenersi escluso oltre che nel caso di fatto doloso dell’assicurato anche in quello di fatto doloso delle persone di cui l’assicurato debba rispondere. La giurisprudenza e la dottrina. Considerando che l’assicurazione di responsabilità civile rientra nel genus assicurazione danni ritengono che sia coperto dall’assicurazione anche il danno derivante dal fatto doloso delle persone di cui l’assicurato deve rispondere. Anche secondo ferri la soluzione appare esatta. È infatti da tener presente che il danno tenuto a risarcire è quello che si produce nel patrimonio dell’assicurato, non quello subito dal terzo danneggiato. Orbene questo danno quando sia conseguenza dell’operato di persone di cui per legge si deve rispondere non deriva mai da fatto doloso esso è conseguente al rapporto di preposizione e trova il suo fondamento nella legge.

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Il terzo danneggiato non ha azione diretta nei confronti dell’assicuratore e difronte all’inerzia dell’assicurato nei riguardi dell’assicuratore egli potrebbe avvalersi solo dell’azione surrogatoria quando ne ricorressero gli altri presupposti. Il credito del terzo danneggiato nei confronti dell’assicurato ha privilegio sull’indennità dovita dall’assicuratore. L’obbligo dell’assicuratore è limitato alla somma assicurata, infatti manca la possibilità di una determinazione preventiva del valore assicurabile. L’obbligo dell’assicuratore si estende anche alle spese di giudizio sostenute dall’assicurato per resistere all’azione del terzo danneggiato purchè non superino il quarto della somma assicurata. Le polizze determinano con precisione le ipotesi in cui l’obbligo dell’assicuratore sorge e i fatti dannosi che sono coperti dall’assicurazione. Determinano anche i rapporti tra assicuratore e assicurato in ordine alla gestione della lite nei confronti del terzo danneggiato. Il diritto dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore si determina in funzione del diritto del terzo nei confronti dell’assicurato in conseguenza di ciò il termine di prescrizione, due anni, decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all’assicurato o ha promosso contro di questo l’azione.

L’assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti

Particolari atteggiamenti assume l’assicurazione della resp civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Non soltanto si è posto il principio dell’obbligatorietà dell’assicurazione ma si è costituito presso una società concessionaria servizi assicurativi pubblici (consap) un fondo di garanzia per le vittime della strada e si è posto a carico di questo fondo il risarcimento del danno nelle ipotesi in cui il sinistro sia provocato da un veicolo o da un natante non identificato, qualora il veicolo o il natante non risulti coperto da assicurazione, l’impresa di assicurazione presso la quale questi sia stato assicurato si trovi in stato di liquidazione coatta amministrativa o il veicolo sia posto nin circolazione contro la volontà del proprietario o ancora il sinistro sia stato cagionato daa un veicolo privo di assicurazione spedito in italia da altro stato comunitario. Un risarcimento del danno se pur in misura più limitata è apprestato quindi anche al di fuori di un contratto di assicurazione. Per quanto attiene al rapporto assicurativo i profili più significativi consistono da un lato nell’attribuzione al danneggiato di un’azione diretta nei confronti dell’assicuratore dall’altro lato al riconoscimento al danneggiato di una posizione autonoma rispetto a quella dell’assicurato nei limiti della polizza. Si tratta di un’azione diretta e non di un diritto proprio del danneggiato nei confronti dell’assicuratore. Già nel sistema del codice il danneggiato era legittimato a ricevere la prestazione dall’assicuratore. L’azione diretta rispondendo alla causa stessa dell’assicurazione di resp civile è attribuita al danneggiato anche quando l’assicurazione ecceda i limiti entro i quali essa sia obbligatoria. Mentre nel sistema originario soltanto nei limiti dei massimali minimi stabiliti dalla legge si riconosceva al danneggiato un’autonomia di posizione rispetto a quella dell’assicurato, nel sistema attuale sono inopponibili nei confronti del danneggiato le eccezioni derivanti dal contratto o dalle sue clausole per

l’intero massimale di polizza con la conseguenza che la posizione del danneggiato e stata resa interamente autonoma eliminandosi così quella duplicità di posizione in parte di autonomia e di parte di dipendenza che sussisteva nel sistema precedente. Le ragioni sono che si intende accelerare la liquidazione dell’indennità e il primo presupposto per raggiungere questa finalità è quello di svincolare dal contratto il diritto al pagamento dell’indennizzo. I rapporti tra assicuratore e danneggiato riguardano l’accertamento della resp e la determinazione del danno risarcibile, se questo danno rientra nel massimale della polizza la corrispondente indennità deve essere comunque pagata dall’assicuratore. Oggi l’autonomia della posizione del danneggiato riguarda l’intero massimale previsto in contratto riguarda cioè un diritto che dal contratto deriva e che soltanto dal contratto può derivare. Oggi quindi si tratta di stabilire come e perché un diritto derivante da un contratto si

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autonomizzi quando sia fatto valere dal terzo danneggiato. Una giustificazione può ricavarsi dal fatto che la legge speciale in aggiunta al contratto e cioè alla polizza di assicurazione richiede l’emissione da parte dell’assicuratore un certificato di assicurazione e di un contrassegno di assicurazione da lui firmato nel quale sono indicati il numero della targa del veicolo e dell’anno mese e gg di scadenza dl periodo di assicurazione per il quale sono stati pagati i premi. Sono qst i documenti rilevanti ai fini della circolazione dei veicoli e sulla base di essi che il danneggiato è legittimato a proporre l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore. La polizza di assicurazione pur essendo il presupposto per il rilascio di questi documenti rimane un atto puramente interno. Vi è cioè in aggiunta al contratto e alla polizza una dichiarazione unilaterale dell’assicuratore che attesta che un’assicurazione è in atto fino a una certa data e che i relativi premi sono stati pagati e che quindi esso assicuratore è tenuto al pagamento dell’indennità. Si tratta di una dichiarazione che si dirige ai terzi e che è rilevante nei loro confronti. La fonte diretta del rapporto per il terzo danneggiato non è il contratto ma la dichiarazione contenuta nel certificato e nel contrassegno di assicurazione.

4. l’assicurazione sulla vita

Funzione e atteggiamenti

L’assicurazione sulla vita, pur assolvendo a funzioni di previdenza, non ha carattere indennitario. L’assicurato attraverso il pagamento di un premio mira a procurarsi una somma o una rendita in relazione a un evento della vita umana. L’ammontare della somma o della rendita è rimesso alla determinazione dell’assicurato. Eventi attinenti alla vita umana sono gli eventi normali e cioè comuni alla vita di ogni uomo e sostanzialmente si riducono alla morte e alla sopravvivenza. Il rischio assunto dall’assicuratore nelle assicurazioni sulla vita è essenzialmente connesso alla durata della vita umana o alla morte, e appunto per questo si distinguono la assicurazioni per il caso di morte e quelle per il caso di vita. Il rischio può dipendere dal fatto che si renda esigibile la somma assicurata, in conseguenza della morte dell’assicurato o della sua longevità, come può dipendere dal fatto che in conseguenza della morte dell’assicurato si arresti il pagamento dei premi. Sono assicurazioni per caso di morte, quelle in cui la morte costituisce l’evento dal quale dipende il rischio dell’assicuratore, nel senso che il suo verificarsi importa un aggravamento nella posizione dell’assicuratore; sono assicurazioni per caso di vita quelle in cui è la sopravvivenza che importa un aggravamento nella posizione dell’assicuratore. La assicurazioni a termine fisso per le quali l’assicuratore si obbliga al pagamento di un capitale ad epoca fissa, convenendo però che in caso di morte dell’assicurato, si arresti il pagamento dei premi, o le assicurazioni miste, per le quali l’assicuratore si obbliga a corrispondere un capitale alla morte dell’assicurato o in caso di sopravvivenza oltre un dato limite, rientrano tra le assicurazioni per il caso di morte in quanto è questo l’evento al quale è connesso il rischio dell’assicuratore. Sono assicurazioni per il caso di vita quelle in cui l’assicuratore si obbliga a corrispondere un capitale ad epoca fissa o in determinate occasioni, se l’assicurato sarà ancora in vita, o si obbliga a corrispondere una rendita vitalizia, perché in questi casi è dalla sopravvivenza che dipende l’aggravarsi della posizione dell’assicuratore.

Assicurazione sulla vita di un terzo e assicurazione a favore di terzo

L’assicurazione può essere contratta sulla propria vita o su quella di un terzo, ma in quest’ultimo caso se si tratta di assicurazione per il caso di morte è necessario un ulteriore presupposto, quello del consenso scritto del terzo o di un suo legale rappresentante. L’assicurazione sulla vita può essere

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validamente stipulata a favore di terzi. Il beneficiario acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione in conseguenza della designazione, la quale può essere fatta sia nel contratto di assicurazione, sia mediante successiva dichiarazione, sia per testamento. Equivale a designazione di beneficiario l’attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una persona determinata. L’assicurazione a favore del terzo beneficiario rientra nella figura più generale del contratto a favore di terzi. La designazione può essere revocata anche quando il beneficiario abbia comunicato all’assicuratore per iscritto di voler profittare del beneficio. La designazione del beneficiario diviene irrevocabile:

• Quando essendovi stata rinunzia scritta alla revocabilità da parte del contraente, il beneficiario ha dichiarato al contraente di voler profittare del beneficio e la rinunzia del contraente e la dichiarazione del beneficiario sono state comunicate per iscritto all’assicuratore

• Con la morte del contraente, essendo il potere di revoca un potere personalissimo non trasmissibile agli eredi

• Quando, essendosi verificato l’evento, il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficio

In queste ipotesi, la revoca che fosse successivamente disposta non ha addirittura effetto. Anche quando la designazione del beneficiario sia irrevocabile, essa non ha effetto se il beneficiario attenti alla vita dell’assicurato e può essere revocata, ove la designazione sia stata fatta a titolo di liberalità, per ingratitudine o per sopravvenienza dei figli.

Acquisto iure proprio del diritto all’indennità da parte del terzo beneficiario

Anche quando la designazione del beneficiario è contenuta nel testamento, il beneficiario acquista il diritto iure proprio, non anche iure haereditario: egli pertanto conserva i benefici dell’assicurazione anche quando rinunci all’eredità. Questo diritto egli acquista direttamente nei confronti dell’assicuratore e pertanto la somma assicurata in nessun momento può considerarsi entrata nel patrimonio dell’assicurato. I creditori dell’assicurato nessun diritto possono vantare sulle somme assicurate e gli eredi dell’assicurato non possono in alcun modo ricomprendere nell’asse ereditario la somma assicurata. Data la funzione di previdenza alla quale risponde l’assicurazione sulla vita, la legge sottrae espressamente le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario alle azioni esecutive e cautelari dei creditori.

Recesso dal contratto: riscatto e riduzione della polizza : Nelle assicurazioni sulla vita di durata pluriennale è consentito al contraente di recedere ad nutum dal contratto, dopo il primo anno, e come la legge desume la volontà di recedere dal mancato pagamento dei premi alle scadenze stabilite. In relazione a questa possibilità di recesso ad nutum è posta la norma che prevede, per il caso di recesso , la possibilità di riscatto o di riduzione della polizza. La legge tiene conto infatti che attraverso il pagamento dei premi il contraente ha adempiuto parzialmente la sua prestazione, mentre l’assicuratore, in conseguenza del recesso, viene ad esimersi dal compiere la sua.

5. la riassicurazione

Coassicurazione e riassicurazione; i trattati di riassicurazione

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Lo stesso assicuratore si trova normalmente nella necessità di riversare in tutto o in parte, i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività assicurativa su altro assicuratore. Ciò si attua attraverso la coassicurazione, nella quale più assicuratori assumono uno stesso rischio, ciascuno per una determinata quota ,sua attraverso la cessione di portafoglio, per effetto della quale viene ceduto ad altro assicuratore tutto un complesso di contratti di assicurazione, sia attraverso la riassicurazione. Con la coassicurazione il rischio viene ripartito tra più assicuratori per quote determinate. Il sistema vigente ne conosce due forme: quella dell’art 1911 c.c. secondo cui in tal caso ogni assicuratore è responsabile unicamente per la sua quota e di conseguenza l’eventuale incarico ad uno di essi di gestire l’intero rapporto nei confronti dell’assicurato ( la c.d. delega) significa soltanto l’attribuzione di un potere di rappresentanza degli altri; e la coassicurazione comunitaria in cui cioè la ripartizione delle quote di rischio avviene tra imprese con sede in altro stato membro della comunità europea, che deve essere stipulata con un contratto unico e deve obbligatoriamente prevedere la nomina di un delegatario tenuto, salva la rivalsa nei confronti degli altri assicuratori, al pagamento dell’intera indennità assicurativa. La riassicurazione è un contratto di assicurazione con il quale nei limiti stabiliti nel contratto stesso, l’assicuratore si copre il rischio assunto nei confronti dell’assicurato. Può essere contratta in relazione a singoli rischi sulla base di contratti stipulati di volta in volta; normalmente però è contratta globalmente o per categorie di rischi sulla base di contratti normativi, i cc.dd. contratti o trattati generali di riassicurazione. I trattati di riassicurazione possono essere diversamente conformati: possono prevedere l’obbligo dell’assicuratore di riassicurare tutti i rischi della categoria prevista nel contratto e l’obbligo del riassicuratore di coprire tutti i rischi nella misura stabilita; l’obbligo dell’assicuratore di assicurare tutti i rischi e la facoltà del riassicuratore di non accettare quelli che non siano di suo gradimento. Nell’ipotesi di riassicurazione mediante trattati è necessario distinguere il trattato di riassicurazione dalla singola applicazione assicurativa. Il rapporto di riassicurazione è l’effetto delle singole applicazioni mentre i trattati hanno, salvo quelli obbligatori per entrambe le parti, valore di accordo normativo. Il sorgere dei singoli rapporti di riassicurazione è subordinato a presupposti diversi a seconda che l’assicurazione, in base al trattato, sia obbligatoria o facoltativa per entrambe o una delle parti. La legge si limita ad affermare la necessità della forma scritta ai fini della prova del trattato di riassicurazione, mentre sottrae le singole applicazioni e i contratti di riassicurazione per i singoli rischi alle esigenze di prova previste per l’assicurazione in genere.

Natura ed effetti della riassicurazione: La riassicurazione rientra nella categoria della assicurazioni danni, in quanto mira a coprire l’assicuratore dalla diminuzione patrimoniale che deriva dall’obbligo del pagamento della somma assicurata, quando l’evento si verifichi. Si tratta di una specie analoga anche se distinta, alla assicurazione della responsabilità civile; la diversità consiste infatti soltanto in ciò che nella riassicurazione il rischio dipende dal sopravvenire di una obbligazione contrattuale, nell’assicurazione della responsabilità civile il rischio dipende dal sopravvenire di una obbligazione di risarcimento danni ( contrattuale o extracontrattuale). La riassicurazione non crea rapporti tra l’assicurato e il riassicuratore, ma soltanto rapporti tra riassicurato e riassicuratore. Il diritto del riassicurato nei confronti del riassicuratore si fionda sull’insorgere dell’obbligo del riassicurato di corrispondere l’indennità di assicurazione. È soltanto in quanto un obbligo dell’assicuratore sussista che sorge l’obbligo del riassicuratore.

Il conto di gestione: Normalmente i rapporti tra riassicuratore e riassicurato vengono regolati mediante un conto di gestione nel quale vengono indicate le partite attive e passive e che viene per lo più chiuso annualmente.

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