RICERCHIAMOCI 2011 Si “fa famiglia” in comunità?
Interazioni discorsive e rapporto con la famiglia d’origine
ATTI DEL SEMINARIO
Trento, 13 maggio 2011
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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© Copyright Progetto 92 Cooperativa Sociale – 2012
I Quaderni di Progetto 92 n. 2
Atti del seminario A cura di Marzia Saglietti e Luisa Dorigoni
Anno 1 – N. 2 Trento Gennaio 2012
Quadrimestrale della Cooperativa Progetto 92
Aut. Trib. di Trento n. 2 del 25/01/12
Direttore responsabile: Nadine Brugnara
Redazione: Luisa Dorigoni Ha collaborato: Marzia Saglietti
Redatto presso la sede della Cooperativa,
via Solteri, 76 38121 Trento
Stampato da Litografia Amorth
Via del Pioppeto 28, 38121 Trento
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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INDICE
6 INTRODUZIONE di Luisa Dorigoni
9 PARTE I di Marzia Saglietti
10 Una zuppa di sasso
11 La centralità degli artefatti e delle interazioni nel lavoro educativo
12 Analisi degli artefatti e delle interazioni con la famiglia d’origine
13 Analisi delle interazioni discorsive nelle comunità per minori
17 PARTE II di Marzia Saglietti
18 LAVORI DI GRUPPO
18 Obiettivi e materiali
19 Estratti conversazionali
25 Risultati
27 RIFLESSIONI CONCLUSIVE: COSA CI PORTIAMO A CASA? di
Marzia Saglietti e Luisa Dorigoni
29 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
30 APPENDICE: IL SISTEMA DI TRASCRIZIONE JEFFERSONIANO
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INTRODUZIONE
L’idea del seminario nasce dall’incontro con Marzia Saglietti, dottore di ricerca
in Psicologia dell’Interazione, della Comunicazione e della Socializzazione
presso l’Università “La Sapienza” di Roma, con la quale la Cooperativa
Progetto 92 ha avviato una riflessione sulle potenzialità e sull’importanza della
ricerca e del fare ricerca all’interno di un’organizzazione, in merito alle proprie
pratiche educative.
La riflessione parte dalla constatazione che l’agire educativo è rappresentativo
della cultura e del pensiero di un’organizzazione. Questo agire si realizza
attraverso la scelta, la definizione e la costruzione di strumenti, volti al
raggiungimento degli obiettivi educativi che mano a mano si delineano nella
relazione educativa.
Progetto 92 utilizza numerosi strumenti che ha elaborato nel tempo. Per fare
un esempio, nel rapporto tra educatori e famiglia d’origine, si può guardare
alle telefonate, agli sms, alle mail, agli incontri formali e informali, spontanei o
strutturati (cfr. Loss, 2011). Ma con che frequenza si utilizzano? Con quali
modalità? Per quali ragioni? Inoltre, quanta consapevolezza c’è, in ciascun
operatore, della portata e del significato degli artefatti che utilizza
quotidianamente nel proprio lavoro? Quali sono le teorie di riferimento che
stanno dietro il loro impiego?
Nel corso del seminario si guarda anche ad altri strumenti abituali del lavoro
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educativo: il PEI (progetto educativo individualizzato); la verifica del PEI; la
relazione per i Servizi Sociali o per il Tribunale per i Minorenni; il diario; alcuni
documenti interni che descrivono l’orientamento della Cooperativa su
specifiche tematiche, e alcuni spazi di lavoro, fondamentali, come le equipe
metodologiche, le supervisioni, la formazione.
La riflessione fa dunque riferimento all’attenzione necessaria e costante che va
riposta nell’utilizzo di determinate pratiche, per chiarirne il senso e
svilupparne piena consapevolezza, al fine di migliorarle nel tempo.
Rispetto al tema della ricerca, inoltre, va considerato che nel lavoro educativo
si produce ogni giorno un’enorme quantità di materiale (informazioni, dati,
riflessioni) che rischia, a volte, di essere oscurata dal fare e quindi di essere
messa da parte, senza trovare giusta valorizzazione e condivisione. Da qui
l’idea e la proposta fatta agli educatori di provare ad essere ricercatori di se
stessi, di lavorare cioè sulla proprie capacità di chiarire ed esplicitare i
significati del proprio agire educativo e di strutturarlo in una riflessione ampia.
E’ certamente un percorso lungo che ha bisogno di costanza, impegno, tempo e
risorse. Il seminario avvia in maniera più approfondita questo tipo di
ragionamenti, con la speranza di riuscire in futuro a realizzare una vera e
propria formazione sul “fare ricerca”, insieme ad una sperimentazione pratica
di questo metodo di lavoro.
La raccolta e l’utilizzo di dati in maniera sistematica e funzionale consentirebbe
di avviare nuove riflessioni e di valutare gli elementi messi in evidenza (come
potrebbe essere, ad esempio, un lavoro di ricerca sulla valutazione d’efficacia
degli interventi). Lo scopo finale è quello di raggiungere un livello di
consapevolezza e competenza ampio e condiviso all’interno della Cooperativa.
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Il tutto a favore della qualità dei servizi che rivolgiamo a bambini, ragazzi,
giovani e famiglie in difficoltà.
Luisa Dorigoni
Responsabile Servizio Formazione
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PARTE I
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Una zuppa di sasso
La scelta di utilizzare una favola per bambini per iniziare l’incontro formativo
nasce da alcune consapevolezze: in primo luogo, esse funzionano come
catalizzatore di attenzione e di immagini dense che possono essere riprese
all’interno della giornata; in secondo luogo, esse sanno descriverci in maniera
efficace perifrasi o situazioni che spesso sarebbe complesso affermare con la
medesima semplicità.
Il libro “Una zuppa di sasso” di Anaïs Vaugelade (2001) ha rappresentato una
lettura metaforica del potere degli strumenti nell’interazione con la famiglia
d’origine. La storia, infatti, narra di un lupo dall’aspetto inquietante che una
notte bussa alla porta della casa di una gallina che, incuriosita, gli apre alla
richiesta di poter cucinare una zuppa di sasso. In bilico fra la paura di essere
mangiata e la curiosità dello strumento del lupo - un sasso, appunto - la storia
si dipana fra tensione e curiosità, accoglienza e timori da parte della comunità
degli amici della gallina, la sua rete.
La storia si prestava a diverse letture dell’interazione difficile con la famiglia
d’origine e i partecipanti si sono prestati a partire dalla loro esperienza
quotidiana per descrivere i momenti in cui si sentono gallina o lupo e gli
strumenti che utilizzano in tale interazione. Per tale ragione, è stata proposta
ad ogni partecipante la seguente traccia:
− Qual è lo strumento di lavoro che mi rappresenta maggiormente?
− Quale/i strumento/i utilizzo maggiormente con la famiglia d’origine dei
minori che la mia struttura/servizio ha in carico?
− Quali sono le difficoltà e le risorse di strumenti?
Tali questioni hanno, quindi, rappresentato gli stimoli per una riflessione
congiunta che ha permesso ad ogni partecipante di presentarsi e di poter
contribuire ad una prima analisi del tema e della pregnanza del lavoro sugli
strumenti di interazione. Gli strumenti portati all’attenzione sono stati diversi:
il linguaggio come principale artefatto di interazione, la persona dell’educatore
con le sue caratteristiche di apertura e disponibilità all’accoglienza, la
manualità come mezzo di espressione e di contatto, la mediazione, la cucina
come contesto di convivialità e di riflessione, la telefonata con i genitori, la
formazione, lo strumento dell’ascolto, la rete.
Attraverso questa prima discussione si è creato il contesto per poter analizzare
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i dati delle due ricerche presentate (Saglietti, 2011 e Loss, 2011).
La centralità degli artefatti e delle interazioni nel lavoro educativo
La scelta di concentrare la giornata sugli strumenti di interazione prende forma
dall’orientamento teorico proposto, quello della psicologia storico-culturale
(Vygotskji, 1932/1990; Zucchermaglio, 2002; Mantovani, 2009) che nella
mediazione degli artefatti culturali trova il quid specifico offerto dalle
comunità di agenti in interazione. All’interno di questo approccio, gli artefatti –
e il più utilizzato fra essi, il linguaggio (Vygotskji, 1990) – vengono, quindi,
definiti come oggetti materiali o ideali/simbolici creati all’interno di una
comunità per svolgere determinate attività. Tale concezione li porta ad essere
intesi come progetti umani incarnati, ovvero specifiche entità che rappresentano
scopi, intuizioni, rappresentazioni umane (cognitive, simboliche, emozionali,
ecc.) all’interno di un contesto ben preciso. Alcuni di questi artefatti sono,
inoltre, rinominati inscriptions (Latour, 1986; Alby, 2007) perché iscrivono in se
stessi in maniera visibile le loro stesse funzioni e possono fungere come oggetti
ponte fra diverse dimensioni spazio-temporali. Tipici casi di inscriptions sono
tutte le tracce scritte, che lasciano un segno che può essere tramandato e
trasmesso anche all’interno di spazi e tempi alquanto dilatati.
Per la psicologia culturale, gli artefatti sono fondamentali per capire com’è
organizzata la mente in relazione alla creazione di scenari culturali di
mediazione con gli altri e con il mondo.
Secondo questa visione, gli artefatti:
1) incorporano obiettivi e teorie sul funzionamento organizzativo e
interattivo dei contesti (i.e. dal modo in cui sono fatti e utilizzati
svelano le teorie di riferimento del gruppo sociale che li adotta);
2) producono e riproducono le conoscenze distribuite in
un’organizzazione e ne strutturano le pratiche (i.e. contribuiscono a
formare le azioni pratiche delle persone che vivono nei contesti);
3) fanno parte della cultura, portando le tracce della storia delle
mediazioni passate (i.e. funzionano come report dei cambiamenti
sociali del gruppo e delle diverse fasi di vita).
Non tutti gli artefatti, però, sono funzionali rispetto all’attività che supportano.
Il lavoro su artefatti più consapevoli, più utili e maggiormente situati
contribuisce in primo luogo a chiarire le teorie implicite d’azione degli
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operatori e dei propri servizi (cfr. Fruggeri, 1997), nell’ottica di un
miglioramento delle pratiche quotidiane di tutti gli attori coinvolti.
Analisi degli artefatti e delle interazioni con la famiglia d’origine
L’analisi degli artefatti di interazione con la famiglia d’origine può essere un
utile viatico per comprendere le pratiche implicite che si celano dietro le
“normali” comunicazioni quotidiane con essa. Tale traccia permette inoltre di
poter lavorare su più piani: uno operativo-materiale e uno più simbolico,
contribuendo a modificare entrambi.
Occorre, però, fare chiarezza su che cosa intendiamo per famiglia d’origine,
analizzando in particolare la letteratura sulle famiglie disfunzionali-
multiproblematiche. Da un punto di vista sociale, ci chiediamo, quindi, che
differenza ci sia fra una famiglia «normale» e una che non lo è, in linea con le
più recenti riflessioni di Fruggeri (2011).
A fare la differenza non sono, infatti, la struttura, la composizione, la presenza
di disagi, conflitti o periodi critici – perché elementi presenti in tutti i sistemi
familiari – ma lo stile di funzionamento, ossia come vengono affrontati e gestiti
i disagi, negoziati i conflitti, come vengono utilizzate le risorse per adempiere
alle proprie funzioni familiari di mantenimento della coesione e di spinta
all’autonomia dei membri. Alcuni principi-cardine dell’organizzazione
funzionale della famiglia sono uno stile comunicativo chiaro, una struttura
esplicita dell’autorità, la capacità di esprimere apertamente contrasti, ecc
(Ibidem).
Non è però chiaro come gli operatori (non solo socio-educativi, ma anche
sanitari, ad esempio) debbano mettersi in relazione a tale complessità, sia che
si tratti di una famiglia cosiddetta normale sia che si tratti di una famiglia
multi-problematica, come quelle naturali dei minori presi in carico dai servizi e
affidati a comunità, centri diurni, gruppi appartamento, affidamenti familiari o
supportati attraverso un lavoro di supporto di tipo domiciliare.
Le recenti riflessioni hanno portato la letteratura a comprendere che agli
operatori vengono chieste principalmente due capacità: quella tecnica – che
consiste nell’effettuare la prestazione richiesta, dando risposte concrete e
affermando la propria competenza professionale – e quella relazione, che sta a
significare la capacità di costruire contesti interattivi all’interno dei quali gli
utenti possano trovare le risposte più adeguate, nell’obiettivo finale di
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partecipare congiuntamente alla costruzione di relazioni complesse all’interno
delle quali tutti i soggetti (incluso l’operatore stesso) possano essere e sentirsi
competenti. Si richiede, in altre parole, a qualsiasi operatore, di lavorare con le
famiglie, non sulle famiglie.
A maggior ragione, tale modello trova il suo contesto preferenziale
nell’interazione con la famiglia d’origine dei minori ospitati, nell’ottica della
costruzione di modelli co-evolutivi e costruttivi di intervento (Fruggeri, 2002),
all’interno dei quali i genitori dei minori si possano sentire portatori di un
qualche aspetto di positiva identità genitoriale, in un’ottica di attivazione delle
capacità resilienti in seno al contesto familiare.
Inoltre, evidenze delle ricerche ci riportano da anni che la riduzione del danno
del minore è strettamente correlata all’intervento effettuato sulla sua famiglia
d’origine (e, laddove non sia più presente, sul lavoro di rielaborazione dei
vissuti familiari del minore), in un’ottica di un’attivazione di modelli complessi
di rete (cfr. Bastianoni & Taurino, 2009; Saglietti, 2009).
In questo senso, dunque, la famiglia è realmente considerata un interlocutore
indispensabile del progetto educativo del minore, attraverso un mantenimento
di un contatto costruttivo con essa, per quanto possibile, come criterio di una
buona riuscita dell’accoglienza residenziale.
Attraverso quali artefatti e quali interazioni si costruiscono tali modelli?
Analizziamo il caso di una ricerca etnografica in tre comunità per minori
romane (Saglietti, 2011).
Analisi degli artefatti e delle interazioni discorsive nelle comunità per
minori
Anzitutto, occorre chiarire che ci sono artefatti cosiddetti “vuoti” e artefatti
“pensati”. Come mostrato negli esempi riportati (il caso di un’agenda degli
operatori e quello di un PEI), si è potuto analizzare come gli artefatti vuoti
siano quelli che incorporano un’idea confusiva dei ruoli e delle diverse
funzioni sia degli operatori che dell’utilizzo degli artefatti stessi, segno di una
mediazione difficoltosa e della presenza di poca consapevolezza del processo
di interazione sociale. Gli artefatti pensati, invece, sono quelli che incorporano
un’idea chiara della distribuzione dei compiti, del senso dell’artefatto
all’interno di un sistema e, pur essendo perfettibili e migliorabili,
rappresentano un processo di mediazione definito all’interno della comunità di
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pratiche che l’ha prodotto.
L’analisi delle griglie di due diversi PEI mostrati che appartengono al corpus
della ricerca analizzata (cfr. Saglietti, 2010) ha permesso un’approfondita di-
scussione sul format dello strumento, sulle aree e sulle scelte compiute dagli
operatori all’interno dei propri contesti lavorativi. In particolare, la riflessione
comune ha riguardato la scelta di alcune comunità di partire nel PEI dalle ri-
sorse del ragazzo e sull’opportunità di inserire o meno la storia familiare pre-
gressa del ragazzo.
Una prima traccia di analisi emerge dalla discussione del lavoro di ricerca di
Manuel Loss che è stato visionato e discusso insieme, in un’ottica di intreccio
delle esperienze locali (l’indagine riportata aveva a che fare con i gruppi appar-
tamento della cooperativa Progetto 92) con riflessioni di carattere più generale.
L’obiettivo dell’indagine era quello di analizzare le interazioni fra comunità,
minore e famiglia d’origine.
I principali dati, emersi da un lavoro di auto-rilevazione da parte degli educa-
tori durato otto settimane, parlavano di un contatto per ragazzo a settimana,
principalmente con la madre (55% dei casi) e per via telefonica e per la metà
dei casi su espressa richiesta dell’educatore in maniera non programmata. Lo
studio, che affronta il caso dei gruppi-appartamento trentini della cooperativa,
attesta quello che la letteratura nazionale rimanda come centrali: le telefonate,
in particolare con la mamma.
Tali riscontri si trovano, infatti, in linea con i dati riportati dall’approfondita
analisi etnografica che in questa sede viene solo riportata per la sua pregnanza
con l’argomento focus della giornata: le interazioni con la famiglia d’origine.
I dati mostrati, frutto dell’indagine etnografica con tre comunità per minori
romane (cfr. Tabella), parlano principalmente di due modelli messi in atto nei
confronti delle interazioni con la famiglia d’origine, che si pongono in definiti-
va antitesi.
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Comunità Staff Comunità Fa-
miglia
Comunità Re-
ligiose
Ragazzi ospitati
al momento
dell’indagine
5 ragazzi dai 13
ai 17 anni
6 ragazzi dai 10
ai 16 anni
7 ragazzi dai 4
ai 13 anni
Composizione
dell’équipe e-
ducativa
7 educatori (4
donne e 3 uo-
mini)
coppia residen-
te, 6 educatori
(4 donne e 2
uomini)
1 religiosa resi-
dente, 1 psico-
loga consulente,
1 educatrice
part-time e 3 re-
ligiose collabo-
ratrici
Coordinamento
Responsabile
della comunità
e presidente
dell’Associazio
ne “La Nuova
Vita” Onlus
Responsabile
della comunità
e membro della
coppia residen-
te (vice-
presidente
dell’Associazio
ne “Casa Mia”
Onlus
Responsabile
della comunità:
Suor Paola (re-
sidente) Mana-
ger generale:
Suor Silvana
Gestione am-
ministrativa
Associazione
“La Nuova Vi-
ta” Onlus
Associazione
“Casa Mia” On-
lus
Ordine religio-
so nazionale
In particolare, nella cosiddetta Comunità Religiose – quella, cioè, gestita da re-
ligiose residenti –, l’articolazione delle pratiche interattive ha permesso di ap-
profondire quanto le teorie implicite degli operatori sul rapporto con la fami-
glia d’origine influenzino le interazioni quotidiane con i bambini in comunità e
tra questi e i loro genitori. Il modello sostitutivo (Cfr. Fruggeri, 1997) persegui-
to da questa comunità si attualizza nel modo in cui vengono progettate e rea-
lizzate le interazioni tra minori e famiglia di origine. Tali momenti di conversa-
zione privata esposta pubblicamente sono progettati dalla figura adulta in a-
perta competizione interattiva con l’attività della cena. Tale scelta fa emergere
la centralità di una teoria specifica del bambino in affidamento e del suo rap-
porto con il contesto d’origine. Emerge, così, una strategia di difesa a priori del
bambino rispetto ai contatti con la famiglia d’origine (ne è la dimostrazione il
fatto che tale cornice interattiva è messa in atto con due bambini diversi), che
sembra essere una caratteristica del sistema interattivo stesso della Comunità
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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Religiose, rigido e ‘centripeto’, perché centrato sulle esigenze di mantenimento
dell’ordine interattivo da parte della figura adulta (Cfr. Saglietti, 2011).
Agli antipodi, il sistema co-evolutivo della Comunità Famiglia – struttura ge-
stita da una coppia con figli co-adiuvata da un gruppo di educatori – che in-
corpora la famiglia all’interno della vita quotidiana della struttura e del bam-
bino, pur con attenzioni e specificità.
I risultati indicano, quindi, come siano messe in campo diverse tipologie di re-
lazione fra le comunità per minori e le famiglie d’origine: comunità che sento-
no il bisogno di lavorare con e/o per il sistema familiare in vista di un ricon-
giungimento futuro e comunità che negano la presenza del contesto d’origine,
lavorando, invece, per cercare/trovare un’altra famiglia (quella affidata-
ria/adottiva).
La questione mette in primo piano gli obbiettivi educativi delle comunità e de-
gli operatori, l’investimento sul progetto del minore e richiama la necessità di
approfondire le teorie implicite di lavoro all’interno dei contesti di cura. Tali
dimensioni impattano direttamente non solo sulle pratiche interattive, ma an-
che sulle prospettive di sviluppo e socializzazione culturale del minore “oltre”
la comunità.
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PARTE II
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LAVORI DI GRUPPO
Il lavoro di gruppo proposto ha riguardato l’analisi di alcuni momenti di
interazione fra adulti e bambini nelle tre comunità per minori precedentemente
descritte. Sono stati per tali ragioni forniti alcuni stimoli di riflessione ai
partecipanti dei due gruppi, esposti in un primo momento alla visione
immediata dei video e in una seconda fase alla visione mediata con l’ausilio del
trascritto conversazionale.
Obiettivi e materiali
Gli obiettivi della proposta di lavoro sono consistiti:
a) nell’analisi di scene di interazione quotidiana molto simili a quelle
vissute quotidianamente dai partecipanti in comunità con l’ausilio di
una prospettiva teorica e metodologica definita;
b) nella familiarizzazione dei partecipanti con gli strumenti di ricerca
etnografica (in questo caso, con le video-riprese e con gli artefatti di
trascrizione conversazionale, cfr. Pontecorvo & Fasulo, 2001);
Lo scopo ultimo dell’attività proposta consisteva, quindi, nel dare spazio a
interrogativi e riflessioni sulle pratiche di interazione quotidiana all’interno di
strutture per minori.
Ai due gruppi sono stati, quindi, mostrati 3 estratti video-registrati tratti dalle
cene in comunità. Tali spezzoni riguardavano episodi in cui alcune regole
venivano messe in discussione, in maniera esplicita oppure attraverso richieste
da parte dei ragazzi.
Ad una prima visione, gli operatori dovevano cercare di cogliere il senso
dell’interazione, mentre con l’ausilio del trascritto conversazionale, dovevano
cercare di rispondere alle seguenti tracce proposte.
1) Qual è la regola?
2) Chi propone la discussione?
3) A chi si rivolge in maniera diretta?
4) Chi partecipa?
5) Come si risolve l’interazione?
6) Quali esiti ha?
Tali stimoli avevano come obiettivo quello di cogliere come nell’esplicitazione,
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richiesta, dubbio, ecc. sulla natura e sullo scopo delle regole, si potessero
chiaramente intravedere gli stili comunicativi adottati dagli operatori.
Estratti conversazionali (cfr. Saglietti, 2010)
Estratto n. 1: Comunità Religiose_Costruzione di regole1
“E che cosa avete fatto che non bisognava fare?”
(mercoledì 14 maggio 2008)
(L’interazione si svolge nella terza cena video-registrata nella Comunità Religiose. Nella stanza
sono presenti Suor Paola con Danile (3 anni e mezzo), Federico (5 anni), Martina (12 anni),
Matteo (12 anni) e Paola (9 anni). L’interazione si svolge dopo pochi minuti dall’inizio della
cena).
00:00 1. Suor Paola: (0.2) e che cosa avete fatto che non
bisognava fa:re?(0.9) che cosa hai fatto?
(0.5)
2. (Federico): (um).
3. Suor Paola: e? dimmi. ((allontanando il cestino del pane da Danilo))
4. (2) ((Federico batte sul braccio Suor Paola)) 5. Martina: io che non lo so (.) ↓dai.
6. Suor Paola: che non si ↑face:va:? ((rivolta verso Danilo))
7. (0.7)
8. Martina: >che avete fatto< ↓vo[i
9. Suor Paola: [che cosa è che non
si face:va:? ((rivolta a Federico))
10. Federico: giù- ((indicando con la mano))
11. (0.8)
12. Suor Paola: bra:vissimo. (.)[ANDARE
13. Martina: [>SONO ANDATI GIU’< SENZA
DIRT[ELO?
14. Suor Paola: [((annuisce)) 15. (.) 16. Suor Paola: ANDA:[RE GIU’:.
00:27 17. Martina: [e chi >ha aperto la porta<.
18. Suor Paola: =lui ha aperto (.) ché è più [grande
((indicando Federico)) 19. Matteo: ((indicando Federico)) [sì lui è
capace a aprirla!
1 Sia in questa sezione che nella successiva, i nomi di bambini e operatori sono stati
opportunamente mutati in seguito all’accordo di anonimato garantito dalla ricercatrice
ai partecipanti della ricerca tramite la procedura di consenso informato.
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20. Suor Paola: lui ha aperto la porta [ma chi è stato a
dire an-andiamo giù?
21. Martina: [bru:tto cattivone
((indicando Federico)) 22. (0.5)
23. Suor Paola: chi l’ha detto andiamo giù (.) tu?
((indicando Danilo)) 24. (2)
25. Suor Paola: tu hai detto andiamo giù
26. (1.5)
27. Martina: sì- lui lo dice spesso [andiamo giù ( )
28. Suor Paola: [STO A PARLA’ CO-
TE ((rivolta a Danilo, togliendogli il pezzo di pane dalle
mani)) 29. Martina: ( )
30. Suor Paola: tu l’hai detto andiamo [giù:?
31. [((Danilo annuisce)) 32. (0.5) ((Federico annuisce diverse volte)) 33. Suor Paola: e lui ha aperto la porta:.
34. (1.5) ((Suor Paola indica Federico)) 35. Matteo: ( [ )
36. Suor Paola: [NON SI FA (1) pericoloso
37. (0.5)
38. Suor Paola: sì o [no.
39. Martina: [figurati se non ce stava suor
antonella: sotto.
40. Suor Paola: SE NON C’ERA SUOR ↑ANTONELLA: CHE
FACEVATE? ((battendo le mani sul tavolo)) 41. (0.8)
42. Martina: >stavano da soli<
43. Suor Paola: ↑eh?
44. (1)
45. Suor Paola: da soli (.) io↑ se vi mando io↑ che vi
gua:rdo dalla finestra ((si porta una mano agli
occhi e indica il gesto di guardare)) 46. (1)
47. Suor Paola: allora io vi guardo vedo e poi vi dici
48. (0.5)
49. Suor Paola: oh! state qui sotto sotto ((indica con la mano))
50. (0.5)
51. Suor Paola: cosi vi vedo be:ne: (1.5) eh.
52. (0.8) ((Suor Paola inizia a dar da mangiare a Federico)) 01:09 53. Martina: Suor Pa(tr)ì? (però) sai che spavento me
sa che te-te sei presa
54. (0.8)
55. Suor Paola: io avevo sentito aprire la porta.
56. Federico: vu:[m!
57. Suor Paola: [um! (.) e:satto!
58. (0.5)
59. Suor Paola: POI HO SENTITO silenzio
60. (0.5)
61. Suor Paola: poi ero cosi presa dalla-dalla
stupidaggine: (1) tralALTRO IO MI SONO
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DETTA: (.) troppo silenzio (0.5) no?
62. Martina: questi ndo stanno oh: ((ridendo e muovendo le
mani)) 63. Suor Paola: e pure manuela manuela ha detto (.) troppo
silenzio
64. (1)
65. Suor Paola: °e cosi°
66. (0.7)
67. Paola: PATRì[ ) di là non
ci sono! ((con un gesto delle mani))
68. Martina: [chissà che stanno a combinà questi
69. (0.5)
70. Suor Paola: non c’erano giù con i bambini e antonella
diceva mah (.) chissà ma suor patrizia
quando viene giù? (.) che strano [che
strano
71. [((Danilo fischia nel
bicchiere))
72. Martina: e t’ha telefonato. ((con un gesto delle mani))
73. (0.9)
74. Suor Paola: no! (.) no non c’ha il telefon[ino
75. Danilo: [u u u [u u?
((giocando con il bicchiere))
76.
[((Suor Paola si gira immediatamente verso il bambino))
77. (0.8) ((Suor Paola guarda Danilo))
78. Suor Paola: MA-?
79. (2)
80. Matteo: ha fatto (in mano) il microfono.
81. (0.5)
82. Suor Paola: ma che (.) scherziamo?
83. Paola: mh mh e mi mi [mi mi mi mi mi mi mi
84. Suor Paola: [(a ok) pass.
85. (0.5)
86. Paola: mi passi
87. Suor Paola: e t’ha-t’ha massacrato (.) sto maccarone
qua.
88. Paola: º(grazi)ie:º
89. (1)
90. Suor Paola: °ecco° un po’ di pa↑ne:
91. (1.5)
92. Martina: ( ) piccolo eh di [là
((alzandosi))
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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93. Federico: [a:hm
94. (7) ((Martina raccoglie i piatti mentre Suor Paola continua a
imboccare Federico. Gli altri ragazzi rimangono ai loro
posti)) 95. Suor Paola: e quindi? (.) si va giù da so:li?
96. (0.5) ((Federico prima annuisce poi scuote la testa))
97. Suor Paola: non si va giù da soli (.) vero?
98. (1.5) ((Federico indica la suora))
99. Suor Paola: bisogna dirlo a me. ((indicando se stessa))
100. (0.5)
101. Suor Paola: PA:TTI:? (0.5) possiamo andare giù:?
102. (1) ((Federico annuisce))
103. Suor Paola: e io dico SI:. (0.5) vi guardo (0.5) NO:.
(0.5) aspetta:te (0.8) vero?
104. (3) ((Federico annuisce))
Estratto n. 2: Comunità Staff_Costruzione di regole
“Ma se me metto d’accordo con l’amico mio?” (lunedì 5 maggio 2008)
(Prima cena video-ripresa. Sono presenti Educatrice M (Manuela) con Antonio, Claudio, Ilaria e
Giada. Claudio si è da poco seduto a tavola.)
00:00 1. Claudio: ((versandosi dell’acqua nel bicchiere)) ma se me metto
d’accordo con un amico mio.
2. (2.5)
3. Claudio: sabato.
4. (0.5)
5. Educatrice M: uh
6. (1)
7. Claudio: a se:[ra
8. Giada: [om: ((fa un gesto con le mani))
9. (1.5)
10. Claudio: posson- venì a dormì↑ qua?
11. (0.8)
12. Educatrice M: °ho detto-che t’ho detto (a te)° bisogna
chiede- (.) a rober[to
13. Claudio: [A: è vero NO: (.) oggi
ce stava: (mo:)=
14. Educatrice M: =e beh c’è pure martedì.
15. (3)
16. Educatrice M: °come non l’avessimo de:tto° (0.2) ma chi
sarebbe? (0.8) claudio: o:
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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17. (0.8)
18. Claudio: ((bevendo al bicchiere con la mano indica no e poi l’altro)) cristia↑no.
19. Educatrice M: (.)cristiano
20. (4)
21. Claudio: perché ce sta: (0.8) e: (.) sto tratta↑to?
22. (1.5)
23. Educatrice M: °perché: no?°
24. (0.8)
25. Claudio: mamma mia↑ ((avvicinandosi ad Antonio))
26. (2)
27. Educatrice M: °perché [a casa mia° si fa così.
28. Claudio: [( ) ((ridendo rivolto ad Antonio))
29. (2)
30. Educatrice M: (perché) °a castel romano si fa così°.
31. (1) ((Claudio fa un’espressione ironica)) 32. ((Antonio e Educatrice M ridono)) 33. Educatrice M: ehm:
Estratto n. 3: Comunità Famiglia_Costruzione di regole
“Domani mattina non mi svegliate!” (lunedì 19 maggio 2008)
(Sono presenti a cena tutti i ragazzi della comunità: Tommaso (11 anni), Ivo (10 anni), Marta (11
anni), Nadia (10 anni), Roberto (10 anni), Silvio (17 anni) più un volontario, l’educatrice D, la
mamma, il papà e loro figlia, Daniela (3anni). La conversazione si svolge dopo una ventina di
minuti dall’inizio delle riprese, mentre viene servito il primo.)
00:00 1. Tommaso: domani mattina non mi ↓sveijate (.) eh?
2. (0.7)
3. Mamma: domani mattina ↑non ti svegliamo? (0.5)
perché?
4. (0.8)
5. Tommaso: >non ho dormito per< tre giorni.
6. (0.5)
7. Mamma: BEH?
8. (1.5)
9. Mamma: >magari ci dovremmo svegliare domani mattina
(alle dieci) a scuola<?
10. (0.4)
11. Tommaso: ºperchè (così) dormivo un po’ de piùº
12. Mamma: EE:?
13. Tommaso: così DORMO UN PO’ DI PIU:
14. (1.4)
15. Mamma: tesoro vai a letto stasera alle dieci (.)
anche prima.
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16. Tommaso: se: (.) c’abbiamo dnd2 [stasera (.) no?
17. Mamm [e be (.) [↑ma non è un
problema! (.) puoi andare a letto lo stesso
18. Educatrice D: [(
) ((scuotendo la testa)) se sei stanco
puoi andare a dormire.
00:26 19. Tommaso: º(no no non so- più stanco)º
2 D’ND: gioco di ruolo che si svolge il lunedi sera in comunità con operatori, volontari
e ragazzi.
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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Risultati
L’analisi congiunta insieme ai gruppi dei partecipanti ha permesso di
descrivere i tre episodi interattivi per poter costruire insieme alcune riflessioni
pratiche da utilizzare all’interno del proprio lavoro.
Rispondendo agli stimoli analitici proposti, i partecipanti hanno descritto i tre
episodi in termini di contesti interattivi, ruolo dell’adulto nell’interazione e ruoli
discorsivi dei ragazzi.
Gli episodi sono, quindi, stati descritti nella seguente forma.
a) Contesto interattivo de-responsabilizzante e paritario per l’episodio
della Comunità Staff, dove l’educatrice svolge un ruolo non
rielaborativo, ironico e dove, rivolgendosi ad un sistema organizzativo
“altro” (cioè richiamando che il permesso per ospitare un amico
dev’essere chiesto al coordinatore della comunità), si svuota della
capacità di agire nei confronti dei ragazzi. Questi, da parte loro, sono
considerati gli effettivi protagonisti dell’interazione, perché gestori del
flusso di discorsi e particolarmente attivi (anche per via della loro età).
b) Contesto interattivo centripeto (cfr. Saglietti, 2011) con un adulto al
centro che gestisce i flussi discorsivi e alcuni ragazzi che svolgono ruoli
di appendice nella Comunità Religiose. La figura adulta ha un ruolo
centrale nell’avvio della conversazione, nella gestione degli interventi
dei bambini (dà la parola a specifici bambini, apre a interventi di altri,
ecc.) e nelle comunicazioni dei bambini, che vi si rivolgono sempre. I
ruoli discorsivi dei ragazzi, descritti come “surgelati” e “subalterni”
vista la rigidità del modello discorsivo, sono distinti rispetto ai ruoli di
Martina e Matteo, i due bambini più grandi. Martina è colta all’interno
di un ruolo naturale di appendice della figura adulta, allenata a
svolgere una funzione di rinforzo delle parole dette dalla religiosa,
tanto che suggerisce le domande, fornisce risposte a domande retoriche
(anche quando non richieste) e si impone come unico altro interlocutore
accettato dall’adulto. A Matteo, invece, tale ruolo non è concesso e si
sperimenta unicamente nel ruolo di “spia”: riporta i discorsi e le azioni
di altri, rinforza le colpe e le affermazioni, come se fosse il testimone
all’interno di un processo giudiziario non solo di esplicitazione delle
regole, ma di conferimento delle colpe. c) Contesto interattivo aperto (cfr. Saglietti, 2010) nella Comunità
Famiglia, dove l’adulto interroga il ragazzo lasciandogli però lo spazio
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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per costruirsi proprie strategie retoriche ed argomentative. Anche se il
tentativo del ragazzo di trasgredire alla regola non viene raggiunto,
l’interazione si configura come uno spazio aperto alla negoziazione
delle regole e delle impostazioni di vita quotidiana. Il ruolo discorsivo
dell’adulto è quello di problematizzatore, mentre il ragazzo
protagonista, Tommaso, è il problematizzato.
In generale, gli estratti conversazionali hanno permesso ai partecipanti di
riflettere sulla costruzione e sul mantenimento delle regole nelle comunità:
come la stessa regola, cioè, possa essere gestita e costruita dagli interlocutori in
maniera differente a seconda degli obiettivi educativi. Tali pratiche, infatti,
anche se legate a micro-situazioni, risultano efficaci nel rivelare alcuni
presupposti impliciti dell’agire educativo: la teoria implicita di che cos’è un
bambino in difficoltà (se un agente in se stesso, oppure una persona incapace
di utilizzare i dispositivi tipici di interazione, ecc.), che cosa significa
l’intervento sociale (è assimilabile ad un intervento ortopedico – ti rompi il
braccio e io te lo riparo – oppure chiede altri tipi di teorie di azione?), quali
teorie sono attive quando si parla di famiglia problematica, ecc.
I partecipanti hanno, quindi, avuto modo di costruire una riflessione congiunta
a partire da alcune domande: nelle nostre quotidiane pratiche, come
costruiamo contesti interattivi di sviluppo? In questi contesti di
comunicazione, le regole sono funzionali per noi operatori oppure sono
realmente impattanti per lo sviluppo del ragazzo?
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RIFLESSIONI CONCLUSIVE: COSA CI PORTIAMO A CASA?
La formazione e le pratiche di lavoro quotidiane
Al termine di questa esperienza formativa evidenziamo alcune delle
considerazioni più significative emerse:
1) l’importanza di riflettere sulle interazioni reali (e non su costrutti de-
contestualizzati e/o clinici, che però si allontanano da cosa succede ogni
giorno in comunità) nella formazione;
2) l’interesse e la curiosità da parte del lavoro sociale di avvicinarsi alla
ricerca e alle sue potenzialità, non più vista come un mondo
accademico e distante, ma come fonte di informazioni utili e concrete
rispetto alle proprie pratiche di lavoro quotidiane;
3) il legame tra ricerca e pratiche di lavoro può essere esplicitato e
realizzato attraverso la formazione, come scelta strategica e innovativa,
consentendo di rimanere aderenti alle effettive necessità degli utenti e
degli operatori, di discostarsi da semplici suggestioni o impressioni e di
affondare le riflessioni su dati reali;
4) la forza e l’impatto dell’utilizzo di video in ambito formativo, il cui
impiego offre la possibilità di osservare attentamente e di riflettere sulle
pratiche di lavoro di altre realtà esterne. Appare evidente l’enorme
potenziale di questo strumento, soprattutto se realizzabile all’interno
della propria organizzazione;
5) la possibilità di esplorare ambiti di interesse specifici, come nel caso di
Progetto 92, che da qualche anno nella formazione rivolge la propria
attenzione sul rapporto con la famiglia d’origine dei minori seguiti
dalla Cooperativa. Emerge anche un interesse, da promuovere e
sviluppare, sul tema della valutazione d’efficacia degli interventi,
aspetto che nel sociale andrebbe affrontato in maniera più sistematica,
soprattutto per quanto riguarda gli aspetti qualitativi;
6) il proposito o, quantomeno, l’augurio di condividere questo tipo di
percorso formativo ed esperienziale con altre realtà affini (diversi
stimoli, ad esempio, sono sorti grazie alla collaborazione con la
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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Comunità Murialdo di Trento) per cui si vorrebbe in futuro procedere
con un confronto tra diverse realtà del territorio, mettendo in comune
ed intrecciando eventuali ulteriori riflessioni.
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Zucchermaglio, C. (2002). Psicologia culturale dei gruppi. Roma: Carocci.
Ricerchiamoci 2011 – Atti del seminario 13 maggio 2011
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APPENDICE: IL SISTEMA DI TRASCRIZIONE
JEFFERSONIANO (Sacks et al., 1974; Jefferson, 1985 in Pontecorvo & Fasulo, 1999)
(1.5) Durata di una pausa espressa in secondi
(.) Pausa molto breve (inferiore a 0.5 secondi)
: Prolungamento della vocale che precede
= Mancanza di scansione tra due parole o periodi
? Tono ascendente marcato
, Tono ascendente lieve
! Tono animato
_ Stile sottolineato: enfasi
M Carattere maiuscolo: aumento di volume
[xxx] Inizio e fine della sovrapposizione tra parlanti
( ) Turno bianco: una o più parole non sono comprensibili
(xxx) Parole o frasi non perfettamente decifrabili
h°/°h Espirazione/inspirazione marcate
. Tono discendente
↓ Caduta del tono
↑ Innalzamento del tono
>xxx< Tono accelerato
<xxx> Tono decelerato
°xxx° Sottovoce
- Staccato
((xxx)) Aspetti del comportamento non-verbale (o co-verbale) ritenu-ti rilevanti ai fini dell’interazione