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riservata/Florilegio della... · Web viewCresce ancora il rumore del treno. Tornano in scena anche...

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Florilegio della gentilezza (Gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede) 17 giugno 2016 La zoomata [FABIOLA, LUISA, NICOLETTA, SABINA, SILVIE, MARI] Le attrici sono sparse nello spazio, mischiate agli spettatori. Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Penombra. FABIOLA Nel cosmo c’è una galassia LUISA Nella galassia c’è una stella NICOLETTA Intorno alla stella gira un pianeta SABINA In questo pianeta c’è un continente SILVIE Nel continente c’è uno stato MARI Nello stato c’è una regione FABIOLA Nella regione c’è una provincia LUISA Nella provincia c’è un comune NICOLETTA Nel comune c’è un quartiere SABINA Nel quartiere c’è una via SILVIE Nella via c’è un palazzo MARI Nel palazzo c’è un appartamento, anzi, più appartamenti e un salone Si sente un colpo, tipo gong o piatto. SILVIE Nel vuoto c’è un protone SABINA Con altri protoni forma un nucleo NICOLETTA Intorno al nucleo gira un elettrone LUISA Nucleo ed elettroni formano un atomo FABIOLA Insieme ad altri atomi formano una molecola MARI Insieme ad altre molecole formano un cristallo SILVIE Insieme ad altri cristalli formano un granellino di materia SABINA Insieme ad altri granelli formano un pezzetto di materia NICOLETTA Insieme ad altri pezzetti formano un mattone LUISA Insieme ad altri mattoni formano un muro document.docx pag. 1/24 Gruppo Teatro Fragile - vIa XXIV Maggio, 18 - 24048 - Treviolo (Bergamo) - tel. e fax 035/693317 e-mail [email protected]
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Florilegio della gentilezza(Gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede)

17 giugno 2016

La zoomata [FABIOLA, LUISA, NICOLETTA, SABINA, SILVIE, MARI]

Le attrici sono sparse nello spazio, mischiate agli spettatori. Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Penombra.

FABIOLA Nel cosmo c’è una galassiaLUISA Nella galassia c’è una stellaNICOLETTA Intorno alla stella gira un pianetaSABINA In questo pianeta c’è un continenteSILVIE Nel continente c’è uno statoMARI Nello stato c’è una regioneFABIOLA Nella regione c’è una provinciaLUISA Nella provincia c’è un comuneNICOLETTA Nel comune c’è un quartiereSABINA Nel quartiere c’è una viaSILVIE Nella via c’è un palazzoMARI Nel palazzo c’è un appartamento, anzi, più appartamenti e un salone

Si sente un colpo, tipo gong o piatto.

SILVIE Nel vuoto c’è un protoneSABINA Con altri protoni forma un nucleoNICOLETTA Intorno al nucleo gira un elettroneLUISA Nucleo ed elettroni formano un atomoFABIOLA Insieme ad altri atomi formano una molecolaMARI Insieme ad altre molecole formano un cristalloSILVIE Insieme ad altri cristalli formano un granellino di materiaSABINA Insieme ad altri granelli formano un pezzetto di materiaNICOLETTA Insieme ad altri pezzetti formano un mattoneLUISA Insieme ad altri mattoni formano un muroFABIOLA Insieme ad altri muri formano una stanzaMARI Insieme ad altre stanze formano un appartamento, anzi, più appartamenti e un salone. Eccolo.

Si accendono le luci

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Saluti agli spettatori e presentazioneCARLO Buonasera, grazie di essere con noi, per questa serata di suggestioni e riflessioni intorno al

tema della percezione. Il titolo del nostro incontro è:

Si proietta la diapositiva del titolo.

CARLO Sono due i poeti che ci hanno ispirato titolo e sottotitolo. Il primo è Bertold Brecht, che nel componimento “A quelli nati dopo di noi” parla della gentilezza, da intendere come garbo, civiltà, cortesia nel trattare con altri, non solo sul piano interpersonale, ma evidentemente anche sociale. L’attualità dei versi che abbiamo estratto è sotto gli occhi di tutti.

Bertold Brecht - A quelli nati dopo di noi [FABIOLA, LUISA, NICOLETTA, SABINA, SILVIE, MARI]

Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Gli attori entrano in scena con un soprabito e le mani in tasca. Si mettono uno accanto all’altro, rivolti verso tutti gli spettatori. Tutti recitano all’unisono.

TUTTEChe tempi sono questi in cuiun discorso sugli alberi è quasi un reatoperché comprende il tacere su così tanti crimini! Ah, noiche volevamo preparare il terreno per la gentilezzanoi non potevamo essere gentili.

Tutte tolgono il soprabito e lo mettono sul braccio. Escono di scena.

Eugenio Montale – Ho sceso dandoti il braccioCARLO Il secondo poeta, quello a cui dobbiamo il sottotitolo, è Eugenio Montale. Nella lirica

dedicata alla moglie scomparsa da poco, così si esprime:

Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Parte la musica. Carlo si porta al microfono.CARLO

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scalee ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

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Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.Il mio dura tuttora, né più mi occorronole coincidenze, le prenotazioni,le trappole, gli scorni di chi credeche la realtà sia quella che si vede.Ho sceso milioni di scale dandoti il braccionon già perché con quattr’occhi forse si vede di più.Con te le ho scese perché sapevo che di noi duele sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,erano le tue. ”  

Carlo esce di scena. La musica continua.

Ludwig WittgensteinNARRATORE MariWITTGENSTEIN LuisaAMICO Sabina

Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Entra in scena il narratore.

NARRATORE Una storiella racconta dell’incontro, avvenuto negli anni Trenta del secolo scorso, tra il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein e un amico.

Il narratore schiocca le dita. Buio. Entrano in scena Wittgenstein e l’amico. Wittgenstein porta in mano una lampada a petrolio.

WITTGENSTEIN (Guardando il cielo) Rudolf, hai visto che bella giornata di sole c’è stata oggi?AMICO (Guardando il cielo) Sì, davvero. Ludwig, pensa: tempo fa il mondo era pieno di imbecilli

che erano convinti che il sole girasse attorno alla terra; invece, oggi, ogni bambino delle elementari sa perfettamente che è la terra a girare attorno al sole.

WITTGENSTEIN (Guardando il cielo) Sì, hai perfettamente ragione, solo che… che io mi domando una cosa: che avrebbero visto le persone ogni mattina se il sole avesse effettivamente girato attorno la terra?

Wittgenstein mette la lampada sopra la propria testa comincia a girare attorno all’amico, come la terra attorno al sole.

AMICO Be’, io credo che… che avrebbero visto...

L’amico ferma Wittgenstein e poi comincia a girare attorno a lui, come il sole attorno alla terra.

AMICO Avrebbero visto la stessa cosa! Ma allora… allora… Non basta dare fede a quello che si vede?

WITTGENSTEIN Una cosa è vedere, un’altra è capire…

Tutti escono di scena.

La conferenzaCARLO “Una cosa è vedere, un’altra è capire.” Vediamo un po’ insieme quali sono le situazioni in

cui il credere a ciò che si vede non basta, perché può essere ingannevole. Molte già le conoscerete senz’altro, ma vale la pena rimetterle in ordine.

Si proiettano le diapositive.

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CARLO “Una cosa è vedere, un’altra è capire.” Vediamo un po’ insieme quali sono le situazioni in cui il credere a ciò che si vede non basta, perché può essere ingannevole. Molte già le conoscerete senz’altro, ma vale la pena rimetterle in ordine.

CARLO Quali sono i segmenti più lunghi?

CARLO Quale dei due cerchi centrali è più grande?

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CARLO Quale delle due figure è più lunga?

CARLO Tra la casella A e la B, qual è la più scura?

CARLO Tra la casella A e la B, qual è la più scura?

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CARLO Tra le due figure indicate dalla freccia, qual è la più scura?

CARLO Tra le due immagini della torre di Pisa, qual è la più inclinata?

CARLO Tra queste immagini di una strada, qual è la più inclinata?

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CARLO L’immagine ci appare effettivamente perfettamente ferma?

CARLO Come può diventare a colori un’immagine in bianco e nero?

CARLO L’illusione ottica può essere anche un’invenzione geniale, come quella della prospettiva, che ci permette di cogliere anche la dimensione della profondità in un’immagine che di dimensioni fisiche ha solo la larghezza e l’altezza.

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CARLO Com’è possibile che tagliando e ricomponendo la tavoletta di cioccolato alla fine ne avanzi un quadretto?

CARLO In che direzione va il treno?

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CARLO Cosa si vede al centro dell’immagine?

CARLO Cosa ci sembra di riconoscere nella borsa?

CARLO Ci sono i moai su Marte?

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CARLO Conseguenze tragiche della pareidolia.

CARLO Riusciamo a leggere?

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CARLO Conseguenze attuali delle percezioni errate.

CARLO Se non è una pipa, cos’è?

Spiegazione.

CARLO Sentiamo cosa ne pensa in proposito Edgar Allan Poe.

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La sfinge (Edgar Allan Poe, 1848)

Silvie TUTTO

Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Parte la musica. Entra in scena Silvie.SILVIE

Durante la spaventosa epidemia di colera che infierì su New York, avevo accettato l'invito di un parente a passare un paio di settimane di isolamento in un suo cottage sulle rive dell'Hudson.

Disponevamo di tutto quanto normalmente può servire per le vacanze estive; eravamo attrezzati per le passeggiate e le escursioni nei boschi, per le gite in barca, per la pesca, i bagni, la musica e la lettura, avremmo potuto passare abbastanza piacevolmente il tempo se non fosse stato per le spaventose notizie che ci arrivavano tutti i giorni dalla popolosa città.

Non passava giorno senza che ci portasse notizia della morte di qualche conoscente.Poi, con l'aumentare della mortalità, avevamo imparato ad aspettare l'annuncio giornaliero della

morte di un amico.Finimmo così per tremare all'avvicinarsi di qualsiasi messaggero.L'aria stessa del sud ci sembrava recare odore di morte.Questo pensiero ossessionante s'impossessò a tal punto della mia anima che non riuscivo più a

dire, pensare, persino sognare, altro.Il mio ospite, che era di temperamento meno eccitabile, sebbene molto depresso nello spirito, si

sforzava di sollevarmi il morale.Dotato di grandi capacità speculative, non si lasciava mai influenzare da cose irreali.Era sensibile alla sostanza del terrore, ma non lo impressionavano le sue ombre.I suoi sforzi per trarmi fuori dallo stato di anormale depressione nella quale ero caduto, erano in

larga misura frustrati da certi volumi che avevo trovato nella sua biblioteca.Avevano la forza di far germogliare quei semi di atavica superstizione, latenti nel mio intimo.Avevo letto questi libri a sua insaputa e quindi egli era del tutto ignaro della profonda

impressione che avevano esercitato sulla mia fantasia.Uno dei temi da me preferiti era la credenza popolare sui presagi, una credenza che, in quel

periodo della mia vita, ero disposto a difendere prendendola quasi sul serio.Su questo argomento avemmo lunghe e animate discussioni; e mentre lui sosteneva l'assoluta

infondatezza delle credenze in materia, io, invece, gli obiettavo che sentimenti i popolari nati con assoluta spontaneità - cioè senza apparente traccia di suggestioni - avevano in se stessi elementi confondibili di verità e avevano quindi diritto al massimo rispetto.

Il fatto è che dopo il mio arrivo al cottage, mi capitò un incidente del tutto inesplicabile, che aveva in sé tanti elementi prodigiosi, da giustificare la mia inclinazione a considerarlo un presagio.

Mi spaventò e allo stesso tempo mi confuse e disorientò al punto che passarono molti giorni prima che mi decidessi a parlarne al mio amico.

Quasi al tramonto di un giorno eccezionalmente caldo, stavo seduto, con un libro in mano, davanti a una finestra aperta, lasciando errare il mio sguardo sul panorama lungo le rive del fiume, fino a una lontana collina, il fianco della quale, esattamente quello più vicino a me, era stato denudato della maggior parte degli alberi da una frana.

I miei pensieri si erano a lungo distolti dal libro che avevo davanti per indugiare sulla tristezza e la desolazione della vicina città.

Alzando gli occhi dalla pagina, mi caddero sul fianco nudo della collina, anzi furono attirati da un oggetto spaventoso, qualcosa come un mostro vivente di orribile aspetto che molto rapidamente scese giù dalla sommità alla base della collina, sparendo infine nella fitta foresta sottostante.

Quando questa creatura da incubo apparve ai miei occhi, in un primo momento dubitai della mia integrità, mentale o quantomeno della bontà della mia vista; passarono molti minuti prima che riuscissi a convincermi di non essere matto e di non aver fatto un sogno.

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Eppure, quando descriverò il mostro - che per altro ho visto distintamente e ho avuto modo di seguire con calma per tutto il tempo che ha impiegato a compiere il suo percorso - i miei lettori, temo, incontreranno più difficoltà a convincersi di questi fatti di quante non ne abbia avute io stesso.

Cercando di valutare la mole della creatura, in rapporto al diametro dei grandi alberi presso i quali passava, - i pochi giganti della foresta che erano sfuggiti alla furia della frana - conclusi che doveva essere più grande di qualsiasi nave di linea in attività.

Dico nave di linea perché la sagoma del mostro ne suggeriva l'idea, - lo scafo di uno dei nostri «settantaquattro» può dare un'idea abbastanza esatta del suo profilo.

La bocca dell'animale era posta all'estremità di una proboscide lunga una ventina di metri, e grossa come il corpo di un comune elefante.

Vicino alla radice di questa escrescenza si vedeva un'immensa quantità di arruffati peli neri - molti più di quelli che avrebbero potuto fornirne le pelli di una mandria di bufali; da questo pelame sporgevano, sui lati all'in giù, due zanne scintillanti, non diverse da quelle di un cinghiale, solo infinitamente più grandi.

Protesa, parallelamente alla proboscide e da ogni lato di essa, c'era una gigantesca asta lunga una diecina di metri, apparentemente di puro cristallo a forma di perfetto prisma; essa rifletteva nel modo più fantastico i raggi dei declinante sole.

La proboscide era a forma di cuneo con il vertice diretto verso terra.Da essa si aprivano verso l'esterno due coppie di ali - ogni ala raggiungeva la lunghezza di quasi

un centinaio di metri - in ogni coppia un'ala era piazzata sopra l'altra e tutte erano ricoperte da spesse scaglie di metallo; ogni scaglia aveva apparentemente un diametro di oltre tre metri.

Osservai che ogni ala superiore era unita alla corrispondente inferiore da una robusta catena.Ma la peculiarità principale di questa cosa orribile, era la raffigurazione di una Testa di Morto,

che copriva quasi interamente la superficie del suo petto, e che era tracciata con precisione in uno scintillante color bianco sul fondo nero dei corpo, come se fosse stata disegnata con grande cura da un artista.

Mentre guardavo il terrificante animale e più specialmente l'immagine sul suo petto, con un senso di orrore e di timore misti a una sensazione di sciagura incombente, che mi riusciva impossibile colmare malgrado ogni sforzo della ragione, vidi le enormi mascelle all'estremità della proboscide, spalancarsi all'improvviso; ne usci un suono così forte e pauroso, che colpi i miei nervi come un rintocco funebre.

Quando il mostro scomparve ai piedi della collina, caddi svenuto al suolo.Quando mi fui ripreso, il mio primo impulso fu naturalmente quello di informare il mio amico di

quanto avevo visto e udito - mi è difficile spiegare la riluttanza che, alla fine, mi impedì di farlo.Tre o quattro giorni dopo il fatto, una sera, eravamo seduti insieme nella stanza da cui avevo visto

l'apparizione; io occupavo la stessa sedia davanti alla stessa finestra, il mio amico un sofà vicino.Il ripetersi della situazione, nel tempo e nel luogo, mi diede l'estro di riferirgli il fenomeno

occorso.Mi ascoltò fino alla fine - in un primo momento rise di cuore - poi, poco alla volta si fece

estremamente serio, come se la mia pazzia fosse ormai fuori discussione.Fu proprio in quel momento che ebbi di nuovo la visione distinta del mostro sul quale, con un

grido di terrore, richiamai la sua attenzione.Egli guardò molto attentamente, ma ripeté che non vedeva niente, nonostante gli descrivessi

minutamente il percorso della creatura che discendeva verso il basso, sul pendio nudo della collina.Ora ero incontrollabilmente allarmato, e la visione mi sembrava un presagio di morte, o, peggio

ancora, il sintomo di un attacco di follia.Mi ritrassi bruscamente e mi accasciai sulla sedia e per qualche momento mi nascosi H viso tra le

mani.Quando mi scoprii gli occhi l'apparizione non era più visibile.Il mio ospite aveva riacquistato un contegno assolutamente calmo e mi fece domande molto

precise sull'aspetto della creatura immaginaria.

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Quando ebbi soddisfatto ogni sua domanda respirò profondamente, come se si fosse liberato da un peso intollerabile e cominciò a parlare, con una calma che mi sembrò crudele, di vari argomenti di filosofia speculativa, che erano già stati oggetto di discussioni tra noi due.

Ricordo la sua particolare insistenza (tra le altre cose) sull'idea che la principale fonte di errori in tutte le valutazioni umane risiede nella difficoltà di comprendere che le dimensioni di un oggetto possono essere sopravalutate o sottovalutate per una imprecisa stima della distanza a cui si trova.

«Per valutare, ad esempio», disse, «l'influenza esercitata sull'umanità dal diffondersi della Democrazia, non si dovrebbe tralasciare come elemento di giudizio la distanza nel tempo in cui questa diffusione potrebbe compiersi. Eppure può citarmi il nome di un solo autore di argomenti politici che abbia considerato questo particolare aspetto della sua specializzazione, almeno, degno di essere preso in esame?»

A questo punto fece una breve pausa, si avvicinò alla libreria e ne prese uno dei trattati correnti di Storia Naturale.

Mi chiese di scambiarci di posto per poter leggere meglio i minuti caratteri dei volume, spostò la mia poltrona verso la finestra e, aprendo il libro, riprese il suo discorso con lo stesso tono di prima.

«Se non fosse stato per la straordinaria precisione», disse, «della sua descrizione del mostro, molto probabilmente non mi sarebbe riuscito mai di dimostrarle che cosa fosse. Prima di tutto mi permetta di leggerle la descrizione a uso degli scolari dei genere Sphinx, della famiglia delle Crepuscolariae, dell'ordine dei Lepidoptera della classe degli Insecta, cioè insetti.

La descrizione è questa: «Quattro ali membranose coperte di piccole scaglie colorate di aspetto metallico; bocca a forma di proboscide arrotolata, creata per un allungamento delle mascelle, sui cui lati si trovano rudimentali mandibole ed appendici boccali pelose; le ali inferiori sono attaccate alle superiori da un filamento capillare rigido; le antenne hanno la forma di un bastone allungato prismatico; addome appuntito. La Sfinge Testa di Morto ha provocato un tempo molto terrore tra le genti del popolo per il grido lamentoso che emette e per i simboli della morte che porta sul corsaletto.»

A questo punto chiuse il libro e si sporse in avanti sulla sedia, disponendosi proprio nella posizione che io occupavo al momento di scoprire «il mostro».

«Ah! Eccolo!» - esclamò prontamente, «sta ridiscendendo il lato della collina ed è una creatura veramente notevole, lo ammetto. Soltanto, non è così gigantesca e distante quanto lei aveva immaginato; poiché sta compiendo il suo tortuoso cammino lungo un filo che qualche ragno ha teso sul telaio della finestra, ritengo che la sua lunghezza massima sia circa un millimetro e mezzo e che sia altrettanto distante dalla pupilla del mio occhio.»

Silvie esce di scena.

I dialoghi passivi[SABINA, LUISA, MARI, SILVIE, NICOLETTA]

CARLO A volte ci si incontra, ci si guarda, ci si parla... Ci si parla? A volte ci si parla addosso.SILVIE - NICOLETTA

Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Siamo nello scompartimento di un treno in viaggio, definito dal rumore in sottofondo e dalle luci che si alternano. Entrano in scena Silvie e Nicoletta. Si siedono una di fronte all’altra. Silvie ha un libro in mano e la gamba accavallata. Nicoletta tiene una pochette in grembo. Inizialmente il rumore del treno è troppo forte, per cui non si sente quel che dicono, ma solo si vede che muovono la bocca e gesticolano. Poi il rumore diminuisce e si sentono le loro voci. Nicoletta si alza in piedi.

SILVIE No, davvero, non mi chiedere niente. Io me ne sto lì a dormire, mica ti disturbo.NICOLETTA Ma per me questa è un’occasione troppo ghiotta per non provarci. Io devo provarci,

capisci? devo...document.docx pag. 15/20

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SILVIE Ma è proprio necessario? Guarda, questo è il mio posto. Io mi metto qui, leggo il mio libro. Anzi, guarda, leggo il mio libro solo per pochi minuti e poi mi addormento. No, guarda, quando tu arrivi sto già dormendo, il libro lo tengo qui. Guarda...

NICOLETTA Non ho mica detto che ti voglio mangiare, che diamine! Soltanto, voglio fare due chiacchiere con te. Dopo tutto questo è un viaggio di piacere per me. Non mi avrai per caso presa per una pendolare. Se ti dico che devo provarci è perché... devo. Dai, preparati che sto arrivando. Il libro...

SILVIE Tu adesso arrivi, mi squadri, io intanto faccio finta di continuare a leggere. Tu allora, che hai capito benissimo che è impossibile che io non ti abbia notata, visto che nello scompartimento ci siamo solo noi due, mi chiedi: “C’è posto qui?”

NICOLETTA (Andando a sedersi) Allora tu alzi lo sguardo fingendo stupore per avere udito la mia voce: “Credo di sì, sì certo.”

SILVIE Non le dispiacerebbe aiutarmi, (indicando qualcosa fuori che non si vede) questa valigia è molto pesante.

NICOLETTA Sì, certo, dove gliela devo mettere?SILVIE Non so, la metta pure qui.

Nessuno si muove per prendere la valigia.

NICOLETTA Tu adesso cominci a essere nervosa, perché non sai mai come devi comportarti in queste situazioni mondane.

SILVIE Quale situazione?NICOLETTA Come quale? Tu hai notato il mio sguardo e la mia aria da passerotta bagnata dalla

pioggia e ti senti un po’ a disagio.SILVIE Passerotta bagnata dalla pioggia... Veramente tu stai solo cercando qualcosa in borsa.NICOLETTA E allora perché hai cominciato ad agitarti? Guarda il tuo piede. Forza, chiedimi:

“Viaggia da sola di questi tempi?”SILVIE Questi tempi? E perché mai dovrei farti una domanda così stupida? Lo vedo benissimo che

sei sola e quindi non c’è nessun bisogno di chiedertelo.NICOLETTA Di’ piuttosto che non me lo vuoi chiedere perché pensi che un mio eventuale

accompagnatore potrebbe essere irritato dalla tua impudenza. (Alzando la voce) È facile essere impudenti quando non si sa come comportarsi, proprio come te.

SILVIE Ehi, non gridare! È solo che non sopporto quelle che con la scusa di chiederti: “Lei sa quante stazioni mancano per...”, dopo un quarto d’ora ti hanno già raccontato del mercatino dell’antiquariato: “C’era uno specchio delizioso. Sa, quelli con la cornice in peltro dorato a motivi floreali.” (Disgustata) Peltro dorato...

NICOLETTA Che cos’hai contro il mio specchio. (Gridando) Aaaaaaaahhh!SILVIE Non gridare, ti prego, non fare così.

Si alzano ed escono fuori scena. Cresce ancora il rumore del treno.SABINA - LUISA

Entrano in scena Sabina e Luisa. Sabina è immediatamente riconoscibile come maschio. Si siede e scrive qualcosa con una matita su un quaderno, cancellando poi con una gomma. Luisa ha in mano una rivista di grande formato non riconoscibile e osserva Sabina. Dopo un po’ Luisa volge lo sguardo altrove, mentre il rumore del treno diminuisce.

LUISA Che donna meravigliosa! Quando passiamo in mezzo ai campi di grano e lei vede i papaveri sorride. Tutte le volte lo stesso sorriso: solare, aperto. Come farà ad avere tutta quella confidenza con la sua stessa sensibilità? Sempre uguale.

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SABINA Che tipo. Da quando si è messo a scrivere su quel quaderno, non ha più nemmeno alzato la testa. Scrive, con quella matita dalla punta rotonda e, ogni tanto, cancella. Ha tutta la gomma sbriciolata sui pantaloni.

LUISA Cosa legge di bello? Lei legge una rivista con poche pagine, ma con molte fotografie a colori di grande formato. Immagini di gente come noi, ma vestita di tuniche chiare con ricami sottili. Gente sorridente e assorta in contemplazione. Lei legge quelle didascalie in carattere corsivo, sfoglia qualche pagina in avanti e poi ritorna indietro.

SABINA Mi scusi, signore, mi saprebbe dire che ore sono? Credo che il mio orologio si sia fermato.LUISA Come? Che ore? Ah, sì, l’ora. Sono le...,SABINA Di già, con questo buio?LUISA Sì signora, evidentemente il tempo... No, mi scusi, è proprio impossibile. Ecco, sì, si deve

essere fermato anche il mio.SABINA Non ha importanza. Anzi, meglio. Ogni tanto bisognerebbe slegarsi dalla schiavitù dello

scorrere del tempo. Ma lo sa che ci sono delle persone che, dopo molti anni di preparazione, riescono a invertire il corso del tempo?

LUISA Invertire il corso del tempo? Ma, veramente signora, secondo le leggi... Ah, sì? Interessante.SABINA Ma insomma, possibile che lei non si sia ancora reso conto della situazione?LUISA Quale situazione?SABINA I suoi pantaloni sono inzaccherati di gomma sbriciolata.LUISA Quali pantaloni?SABINA Quelli che ha addosso.LUISA Gomma sbriciolata?SABINA Baciami.LUISA Chi, io?

Si alzano ed escono fuori scena. Cresce ancora il rumore del treno.NICOLETTA - MARIANGELA

Entrano in scena Nicoletta e Mariangela. Nicoletta è immediatamente riconoscibile come maschio. Mariangela è nervosa: gioca con la collana che ha al collo, si guarda intorno, consulta l’orologio, ecc. Dopo un po’, il rumore del treno diminuisce.

NICOLETTA Chissà se riusciremo a vedere il tramonto da qui.MARIANGELA Vuoi vedere il tramonto, milady? Lasciami pensare. Adesso sono le... in punto.

Calcolando che qui siamo in pianura e la forza di gravità è un po’ più bassa e allora il sole scende più lentamente, tra circa un quarto d’ora, massimo mezz’ora, basterà guardare di là.

NICOLETTA Ma lei crede che riuscirò, prima, ad andare a prendere qualcosa da mangiare?MARIANGELA Non ti preoccupare, milady, il ragazzo dei sandwich passa sempre verso quest’ora a

raccogliere le ordinazioni.NICOLETTA (Ammirata) Certo che lei è un tipo!MARIANGELA Un tipo? Non faccio per vantarmi...NICOLETTA (Sarcastica) Si vanta? Non c’è proprio niente di cui vantarsi.MARIANGELA Ehi, milady, è un modo di dire.NICOLETTA (Arrabbiata) Odio le persone che si vantano. Non lo sa che chi si loda si imbroda?MARIANGELA Ma che ti prende adesso?NICOLETTA (Come tornando in sé) Niente, niente. Mi scusi, ma quando sento certe cose, io

proprio non ce la faccio a trattenermi.MARIANGELA Va be’, va’. Guardiamo il tramonto, che adesso passa il garzone.document.docx pag. 17/20

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NICOLETTA (Arrabbiata) Il tramonto è già passato, non lo vede che c’è buio? In quanto al ragazzo dei panini, qui non è previsto nessun servizio.

MARIANGELA Non ti preoccupare, milady, adesso vado io a...NICOLETTA (Come tornando in sé) Grazie. Lei è davvero gentile. Mi deve scusare, i viaggi mi

rendono un po’ irascibile.MARIANGELA Nessun problema, milady, tu...NICOLETTA (Arrabbiata) Non mi chiamo milady, e poi non mi pare di averle mai concesso il

permesso di darmi del tu.

Si alzano ed estraggono uno specchio. Cresce ancora il rumore del treno. Tornano in scena anche le altre. Ciascuna adesso ha in mano uno specchio e si guarda in esso, come a cercare qualcosa all’interno.

TUTTE (Come leggendo sulla superficie dello specchio dalla quale riescono a decifrare a fatica, aiutandosi a vicenda) “Essere un sogno, una meteorite o uno specchio. Ma, in fondo, che differenza fa?” (Guardandosi tra loro e ripetendoselo) Che differenza fa?.... Che differenza fa?....

Fanno spallucce ed escono di scena.

Liquido di piombo [FABIOLA, LUISA, NICOLETTA]

SABINA E gli uomini, come percepiscono le donne? E le donne, come percepiscono le donne, come percepiscono se stesse?

Si sente un colpo, tipo gong o piatto. Entra in scena la prima attrice. Tiene in mano un grosso gomitolo di lana di grosso spessore. Va ad appuntare il capo del filo in un punto dello spazio. Recita camminando all’indietro, srotolando il filo e agganciandolo negli angoli in vari appigli, in modo che resti teso.

FABIOLALiquido di piombo scorre adessoNei condotti delle mie aliImpedendomi il volo.

La prima attrice si ferma. Entra in scena la seconda attrice. Va dalla prima e le prende il gomitolo, srotolandolo a sua volta. Così faranno tutte e tre a ogni passaggio.

NICOLETTAIo che non volevo altroChe sfogliare il calendarioUna pagina per giornoCome vogliono tutti/tutte.

LUISAScrivendo nel velo del mio fiato sul vetroCerchi inanellati.

FABIOLACome avete potuto avere paura e catene per meCon le mie ali tarpateCon i miei passi uno alla voltaCon i miei capelli ancora da contare

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Come camminano e contano tutti/tutte?NICOLETTA

Io che non avevo altroChe poche scarpe in numero pariChe poche bambole vecchie ma ancora con braccia e gambeChe pochi quaderni a penna sottileCome del resto hanno tutti/tutte.

LUISACredevate forse che mi sarei nutrita del sangue dei figliDi quelli che mi avete dato da partorire facendone progenieCome vostre frecce scagliate oltre l’orizzonteE con questo nutrimento avrei ridato piume alle mie ali spezzate?

FABIOLAMa come avete potuto non vedereChe fui madreSonno vigile per i pianti e, dopo ventre, senoCome furono tutte?

NICOLETTAIo che non ero altroChe cammino quotidiano verso seraTentando di allontanare con unghie e rabbiaIl liquido di piomboChe scorre talvolta fuori confine

LUISAE dilaga silenziosoSotto il velo della dura madre

FABIOLAE dilaga roventeSotto i meandri della corteccia

NICOLETTAE dilaga lentoDentroCome non di rado capita a tutti/tutte.

LUISAIo che non facevo altroChe tenerezzaChe ammirazioneChe penaChe pauraCome prima o poi succede a tutti/tutte.

FABIOLAE pensavo che ridere facesse meno male che piangereChe luce facesse meno buio che ombra.

NICOLETTA

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Nutrendomi non di sangueLUISA

Nemmeno di pescheFABIOLA

Ma di altri mondi che la realtàCom’è uso tanto antico da sembrare destinoCui, alla fine, si abbandonano tutti/tutte.

L’attrice fissa l’ultimo aggancio e lascia cadere il gomitolo. Le tre attrici si avvicinano tra loro, estraggono delle grosse forbici. Si guardano tra loro. Buio.

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