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Date post: 23-Mar-2016
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più sicurezza dallo spazio
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21 21 quaderni di geostrategia 2012 gennaio-febbraio registrazione Tribunale di Roma n.283 del 23 giugno 2000 sped. in abb. post. 70% Roma numero 65 anno XIII euro 10,00 risk risk Difesa senza gravità La strategia italiana? Una forte collaborazione tra attività civili e militari JEAN PIERRE DARNIS E MICHELE NONES L’Italia in orbita Come fare ricerca senza dimenticare il business ENRICO SAGGESE Guerre stellari È giunta l’ora della geopolitica spaziale ANDREA NATIVI Il cielo dell’Europa Esa e Commissione Ue verso l’integrazione NICCOLÒ SARTORI A c q u e p e r i c o l o s e Antonio Picasso I d e e i n g u e r r a p e r s c o n f i g g e r e i l j i h a d Mario Arpino P I Ù S I C U R E Z Z A D A L L O S P A Z I O P I Ù S I C U R E Z Z A D A L L O S P A Z I O COME PUNTARE SULLE TECNOLOGIE AVANZATE PER SALVARE IL PIANETA E L’ECONOMIA COME PUNTARE SULLE TECNOLOGIE AVANZATE PER SALVARE IL PIANETA E L’ECONOMIA • quaderni di geostrategia • bimestrale • quaderni di geostrategia • bimestrale • quaderni di geostrategia •
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2121quaderni di geostrategia

2012gennaio-febbraio

registrazione Tribunale di Roma n.283 del 23 giugno 2000 sped. in abb. post. 70% Roma

numero 65anno XIIIeuro 10,00

Mario Arpino

Pierre Chiartano

Jean Pierre Darnis

Giancristiano Desiderio

Maria Egizia Gattamorta

Riccardo Gefter Wondrich

Virgilio Ilari

Alessandro Marrone

Andrea Nativi

Michele Nones

Antonio Picasso

Enrico Saggese

Niccolò Sartori

Alberto Traballesi

Anna Veclani

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2012

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IO riskriskDifesa senza gravitàLa strategia italiana? Una forte collaborazione tra attività civili e militariJEAN PIERRE DARNIS E MICHELE NONES

L’Italia in orbitaCome fare ricerca senza dimenticare il business

ENRICO SAGGESE

Guerre stellariÈ giunta l’ora della geopolitica spaziale

ANDREA NATIVI

Il cielo dell’EuropaEsa e Commissione Ue verso l’integrazione

NICCOLÒ SARTORI

Acque pericoloseAntonio Picasso

Idee in guerra per sconfiggere il jihad Mario Arpino

PIÙ SICUREZZADALLO SPAZIOPIÙ SICUREZZADALLO SPAZIOCOME PUNTARE SULLE TECNOLOGIEAVANZATE PER SALVARE IL PIANETAE L’ECONOMIA

COME PUNTARESULLE TECNOLOGIEAVANZATE PER SALVARE IL PIANETAE L’ECONOMIA

• quaderni di geostrategia • bimestrale • quaderni di geostrategia • bimestrale • quaderni di geostrategia •

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• DOSSIER •

Difesa senza gravitàJean Pierre Darnis e Michele Nones

L’Italia in orbitaColloquio con Enrico Saggese di Pierre Chiartano

Guerre stellari prossime ventureAndrea Nativi

Un vero traino per la ripresaAlberto Traballesi

Il cielo dell’EuropaNiccolò Sartori

Roma chiama Parigi via satelliteLucia Marta

Verso le stelle in tempo di crisiAnna Veclani

pagine 5/53

• Editoriali •

Michele NonesStranamore

pagine 54/55

• SCENARI •

Acque pericoloseAntonio Picasso

pagine 56/63

• SCACCHIERE •

Unione EuropeaAlessandro Marrone

AmericheRiccardo Gefter Wondrich

AfricaMaria Egizia Gattamorta

pagine 64/67

• LA STORIA •

Virgilio Ilari

pagine 68/73

• LIBRERIA •

Mario ArpinoGiancristiano Desiderio

pagine 74/79

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EditoreFiladelfia,

società cooperativa di giornalisti,via della Panetteria, 10/-1

00187 Roma.

Redazione via della Panetteria, 10/-1

00187 Roma.Tel 06/6796559 Fax 06/6991529 email [email protected]

AmministrazioneCinzia Rotondi

Abbonamenti40 euro l’anno

Stampa Centro Rotoweb s.r.l.via Tazio Nuvolari, 3-16

00011 - Tivoli Terme (Rm)

DistribuzioneParrini s.p.a.

Via di Santa Cornelia 900060 Formello

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REDATTOREPierre Chiartano

COMITATO SCIENTIFICOFerdinando Adornato

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RUBRICHEArpino, Incisa di Camerana, Ilari,

J. Smith, Gattamorta, GefterWondrich, Marrone, Ottolenghi, Tani

REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA

N. 283 DEL 23 GIUGNO 2000Impresa beneficiaria, per questa testata, dei contributi

di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni

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PIÙ SICUREZZA DALLO SPAZIO

L’Europa nello spazio è oggi a un bivio. Si sente forte l’esigenzad’integrazione tra lo stile Esa,l’Agenzia spaziale europea e l’Europa.Il primo è improntato alla ricerca e al mantenimento di un’industria nel settore di punta delle tecnologie,ma che tiene conto delle quotegeografiche, la Commissione europeainvece finanzia progetti in base a unaregola di efficienza e di convenienzaeconomica. In tempi di crisi il settoreaerospazio è quello su cui moltipuntano per rimettere in moto lo sviluppo in tutto l’Occidente. Anchein Italia con l’Asi e con il settoreaerospaziale dell’industria siamo inpossesso di uno strumento strategicoper mantenere il paese nel campodelle ricerche avanzate e delle suericadute economiche. Sempre di più si punterà su tecnologie duali, cioè dal doppio utilizzo civile e militare.Una politica che porterà a tagliaresprechi e a ottimizzare gli investimenti.Anche nelle alleanze industriali sistanno percependo dei cambiamentidegli equilibri geopolitici, e lo spaziodiventerà presto un terreno diconfronto sempre più serrato a livellostrategico. L’eccellenza italiana nelsettore dei satelliti radar ha portato asinergie con i cinesi, ma la tradizionalecooperazione con la Nasa continua,specialmente dopo le scoperte fattesu Marte: è grazie agli strumentiitaliani che si è raggiunta la certezzadella presenza di acqua sul Pianetarosso. I programmi a lunga scadenzadell’Asi garantiscono una continuitàoperativa assai preziosa in questoperiodo difficile. La dimensionestrategica dello spazio va sempretenuta presente, anche perché le capacità militari spaziali sono statecreate con la dissuasione nucleare –basti pensare al parallelo sviluppo dei missili intercontinentali – nonchéall'insieme delle tecnologie di comunicazione e d’osservazionesatellitare che sono tassellifondamentali per affrontare un bersaglio nell'ambito delladeterrenza planetaria. Anche se tuttociò rimane comunque valido e devetuttora spingere a non tralasciare letematiche della militarizzazione dellospazio, si è sviluppato negli ultimivent'anni un concetto di spazio e sicurezza molto più ampio. L’Onu sta provando a impedire che lo spazio diventi un nuovo campo dibattaglia attraverso una convenzioneinternazionale ma, come quasisempre accade, quando la macchinadiplomatica si è messa in movimentoera ormai tardi.

Ne scrivono: Chiartano, Darnis, Marta, Nones, Saggese, Sartori, Traballesi e Veclani

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di affermare la propria potenza spaziale basato sul-la capacità di distruggere alcuni asset nello spazio,come nel caso della Cina nel 2007. Questa dimen-sione strategica dello spazio va sempre tenuta pre-sente, anche perché le capacità militari spaziali so-no state create insieme alla dissuasione nucleare(basti pensare al parallelo sviluppo dei missili in-tercontinentali), nonché all’insieme delle tecnolo-gie di comunicazione e d’osservazione satellitareche sono tasselli fondamentali per affrontare unbersaglio nell’ambito della deterrenza planetaria.Anche se tutto ciò rimane comunque valido e de-ve tuttora spingere a non tralasciare le tematichedella militarizzazione dello spazio, si è sviluppatonegli ultimi vent’anni un concetto di spazio e sicu-rezza molto più ampio.Dal punto di vista militare, con la fine della guerrafredda abbiamo assistito a un nuovo utilizzo del-le forze convenzionali nei teatri di intervento. Que-sto ha comportato, fra il resto, l’affermarsi di dueesigenze particolari: 1) una dispersione non piani-ficabile su scala mondiale delle forze impegnatein missioni internazionali che richiede sempre più

il trasferimento di grandi flussi di dati e informa-zioni; 2) una conoscenza dei teatri altrettanto im-pianificabile e in continua e rapida evoluzione.Le applicazioni spaziali si sono dimostrate essen-ziali per far fronte a queste necessità. La flessibi-lità delle reti di comunicazioni basate sullo spazioha consentito di far fronte all’impiego delle forzein teatri operativi diversi e lontani in tempi rapi-dissimi. La crescente flessibilità dei sistemi di os-servazione basati nello spazio ha permesso di for-nire a queste forze e alla catena di comando pun-tuali informazioni sul teatro operativo. Il più re-cente sviluppo di piattaforme non pilotate, soprat-tutto aeree, per compiti di sorveglianza, ma ancheoffensivi è stato reso possibile proprio dallo svi-luppo delle capacità satellitari, soprattutto nellatrasmissione dei dati. La tendenziale crescita diqueste ultime capacità (che consentiranno di ridur-re l’impegno di risorse umane e, quindi, anche dilimitare le perdite) incontra uno dei maggiori li-miti proprio nella disponibilità di corrispondenticapacità di trasmissione sicura dei dati. La dispo-nibilità di sistemi di posizionamento satellitare ha

È VINCENTE IL MODELLO ITALIANO DI FORTE COLLABORAZIONE TRA ATTIVITÀ CIVILI E MILITARI

DIFESA SENZA GRAVITÀDI JEAN PIERRE DARNIS E MICHELE NONES

egli anni 80, il termine «guerre stellari» veniva usato per descriverela Strategic defence initiative promossa dall'amministrazione Reagan.Si trattava di un progetto per creare un insieme di capacità spazialiche avrebbero dato agli Usa una superiorità decisiva nel confrontocontro l'Urss. Ancora oggi assistiamo ogni tanto a qualche tentativo

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consentito sia una più esatta individuazione delleminacce e degli obiettivi, sia una riduzione dei ri-schi di danni collaterali e di «fuoco amico».

Nel contesto operazionale militare post-1990è, quindi, emersa, quindi, un’esigenza di maggioricapacità per la raccolta di dati (osservazione, quin-di intelligence) e la loro trasmissione (telecomuni-cazioni). Inoltre, le tecnologie di navigazione co-me il Gps si sono affermate come un elemento fon-damentale della catena di commando e controllo. Questa necessità è diventata sempre più forte, manon ancora soddisfatta: anche nel recente interven-to in Libia si sono registrate alcune mancanze dicapacità direttamente riconducibili alle tecnologiespaziali d’osservazione e trasmissione dati.A questo insieme di necessità corrispondenti al-l’evoluzione delle operazioni militari, si sono ag-giunte altrettanto importanti e crescenti esigenzecivili. Le tecnologie di navigazione sono diventateun’infrastruttura fondamentale per l’insieme dellasocietà, dai trasporti alla gestione delle emergenze.Sono cresciute le applicazioni derivanti dai satelli-ti d’osservazione della Terra per la gestione del ter-

ritorio, la gestione delle crisi, la pianificazione agri-cola o edilizia. Per i paesi europei, a partire dai con-flitti balcanici vi è stata una netta evoluzione dellepercezioni nei confronti delle tecnologie spaziali diosservazione: la dipendenza nei confronti degli Sta-ti Uniti è, infatti, emersa come uno dei fattori cri-tici. I maggiori paesi europei hanno conseguente-mente deciso di aumentare o creare capacità pro-prie per quanto riguarda l’osservazione militare.Nel contempo è aumentato anche il coinvolgimen-to dell’Unione Europea e dell’Esa nel campo dellasicurezza attraverso due programmi spaziali svilup-pati congiuntamente: il sistema di radionavigazio-ne satellitare Galileo-Egnos e quello d’osservazio-ne della Terra denominato Gmes–Global monito-ring for environnement and security. Entrambi pos-siedono, infatti, importanti potenzialità per lo svi-luppo delle capacità di sicurezza di carattere dualesia civile che militare.Nei documenti ufficiali dell’Unione europea sullealle attività spaziali non vi è un chiaro riferimentoad esigenze operative per la sicurezza di carattereesplicitamente militare. La Commissione europeaha infatti affermato che «per il futuro non è previstodi dare a Gmes una dimensione di difesa». Si pre-ferisce usare il termine «sicurezza» ovvero, più ingenerale, parlare di contributo informativo a sup-porto delle «azioni esterne dell’Ue», facendo rife-rimento piuttosto alla dimensione duale (civile emilitare) della politica spaziale. La dimensione disicurezza di Gmes è evidente negli aspetti quali laprevenzione e la risposta delle crisi relative a rischinaturali e tecnologici, la prevenzione dei conflitti,la politica di sicurezza e difesa comune: scopi chea ben vedere poco si discostano da alcune delle fi-nalità dell’azione militare. Allo stesso modo per ilprogramma Galileo, è stato affermato che si trattadi un «sistema civile sotto il controllo civile», mache, secondo i suoi stessi principi fondativi, ha evi-denti finalità di sicurezza e potenziale utilizzo mi-litare. In particolare il suo segnale Prs-Public regu-lated service, criptato e resistente alle interferenze,

Le capacità militari spazialisono state create insiemealla dissuasione nucleare(pensiamo al parallelo sviluppo dei missili intercontinentali), nonchéall’insieme delle tecnologiedi comunicazione e d’osservazione satellitareche sono tasselli chiave per affrontare un bersaglio nell’ambitodella deterrenza planetaria

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è stato indicato come contributo alla dimensione si-curezza anche «militare» del sistema di radionavi-gazione europeo, data la relativa accuratezza deglialtri quattro segnali utilizzabili per numerosissimiusi civili. Solo recentemente sono state superate al-cune difficoltà riguardanti l’interoperabilità con gliattuali sistemi di posizionamento satellitare che ren-devano complessa la cooperazione tra le forze ar-mate europee sullo specifico tema. In questa stessa ottica, più recentemente, si è ag-giunta un’altra area. Da un paio di anni si sta, in-fatti, cominciando a parlare dell’esigenza di un sis-tema europeo Ssa-Space situational awareness, “abinitio” di natura duale, in grado di individuare emonitorare sia i detriti che altri satelliti, potenzial-mente pericolosi per l’integrità degli assetti spa-

ziali in orbita. L’iniziativa, che intende affiancaregli Usa, attualmente gli unici a disporre di una ca-pacità Ssa su scala globale nonché fare tesoro deisistemi presenti in Francia e Germania (i soli paesieuropei che già possiedono una propria limitata ca-pacità Ssa nazionale), trae origine dall’Ssa-Prepa-ratory programme di Esa che ha come obiettivoquello di supportare l’accesso e l’utilizzazione in-dipendente dello spazio da parte dell’Europa attra-verso accurate acquisizioni di informazioni, dati eservizi afferenti l’ambiente spaziale ed in partico-lare le minacce alle infrastrutture spaziali prove-nienti da possibili collisioni con oggetti o detritidi manufatto, fenomeni o perturbazioni spaziali odetriti/asteroidi che attraversano l’orbita terrestre.La storia del settore spaziale europeo è diversa daquella russa o statunitense. In Europa, lo spazio siè largamente sviluppato con applicazioni civili.Certo, non va dimenticato il caso della Francia cheha perseguito obiettivi da potenza militare spaziale,legando il programma spaziale alla force de frappe,ovvero la dissuasione nucleare. Ma altri paesi spa-ziali europei, come la Germania e l’Italia, hannoseguito una logica diversa, nella quale l’aspettoscientifico e i programmi dell’Agenzia spaziale eu-ropea hanno avuto un ruolo strutturante. D’altrocanto a livello europeo la Commissione ha lanciatonell’ambito del sesto e poi settimo Programma qua-dro uno sforzo di ricerca tecnologica per la sicu-rezza. Queste azioni hanno contribuito a svilupparela percezione della necessità di associare lo svi-luppo tecnologico a un concetto esteso di sicurezzache ingloba le esigenze sia della sicurezza internache esterna, con attori civili e militari.

Nell’ambito di questo sforzo le tecnologiespaziali sono state strettamente associate alle esi-genze di sicurezza dell’Europa. A questo propositova ricordato il programma Astro plus, azione pre-paratoria per la ricerca nel campo della sicurezzache ha sviluppato un concetto globale dell’uso dellecapacità spaziali.

L’interpretazione italianadelle nuove esigenze in materia di sicurezza offreanche un modello particolarmente adattoall’evoluzione del concettodi sicurezza: si tratta della costellazione satellitareCosmo-Skymed ad usoduale, che associa utenza e finanziamento militare e civile. A questa impostazione, basata su unapolitica pubblica dove i principali attori sono le amministrazioni militarie civili, si aggiunge poi l’eventuale possibilità di accordi commerciali

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L’Italia è oggi ad un punto decisivo per le attivi-tà spaziali e la sicurezza. Il comparto industrialespaziale italiano ha consolidato una serie di pun-ti di eccellenza: i sistemi spaziali di telecomuni-cazione e di osservazione radar, la partecipazio-ne a quelli di navigazione, ma anche alla realiz-zazione di infrastrutture orbitali e di lanciatori, inparticolare quelli piccoli con il progetto Vega.Queste specializzazioni derivano da una forte vo-lontà pubblica che, tramite l’Asi, ha saputo soste-nere sia la ricerca scientifica (va ricordata l’im-portanza dei laboratori associati alle universitàitaliane, storicamente fulcro dello sviluppo spa-ziale) sia le filiere industriali.

La capacità del paese nel settore spaziale dis-cende direttamente dalle strategie politiche adot-tate. Il Governo con i grandi programmi può, in-fatti, orientare il processo di sviluppo del settore edell’industria a vantaggio del benessere del citta-dino e rafforzare il ruolo nazionale nel contesto eu-ropeo ed internazionale. La capacità di spesa isti-tuzionale, che rappresenta più della metà dei finan-ziamenti dell’intero comparto, è risultata ancorapiù determinante, negli ultimi anni, in un quadrogenerale di crisi finanziaria ed economica per sos-tenere il settore e ridare slancio alla crescita. Difatto, in tutto il mondo, il finanziamento privatonon è sufficiente a garantire la realizzazione deigrandi programmi spaziali, in quanto tale risorsatende ad orientare le sue iniziative principalmentesu attività in grado di generare un utile immediatoed in grado di ripagare nel breve periodo gli inves-timenti iniziali. Per tale motivo è indispensabilel’intervento dell’investitore istituzionale che, gra-zie all’impiego delle risorse pubbliche, è in gradodi garantire una visione di lungo periodo all’internodella quale sviluppare sia capacità nazionali stra-tegiche sia collaborazioni internazionali di ampiorespiro, come ad esempio la realizzazione dei pro-grammi Galileo e Gmes, l’Iss-International spacestation o la famiglia dei lanciatori Ariane.

L’interpretazione italiana delle nuove esigenze inmateria di sicurezza offre anche un modello parti-colarmente adatto all’evoluzione del concetto disicurezza: si tratta della costellazione satellitareCosmo-Skymed ad uso duale, che associa utenzae finanziamento militare e civile. A questa impo-stazione, basata su una politica pubblica dove iprincipali attori sono le amministrazioni militari ecivili, si aggiunge poi l’eventuale possibilità di ac-cordi commerciali. Con questo approccio innova-tivo l’Italia ha saputo interpretare sia le crescentiesigenze militari, ma anche il cambiamento delquadro di sicurezza, sempre più ibrido in quantocoinvolge l’insieme delle amministrazioni delloStato, e del quadro industriale, sempre più interes-sato a fornire servizi oltre che sistemi. Il compar-to industriale italiano ha subito una forte europeiz-zazione: presenza del fondo inglese Cinven comeazionista maggioritario di Avio; Ohb tedesca checontrolla la Cgs, Compagnia generale per lo spa-zio; joint venture Space alliance fra Finmeccanicae Thales che vede le due holding dividersi l’azio-nariato di Telespazio (a maggioranza italiana) eThales Alenia Space (a maggioranza francese); erecente presa di controllo della Space engeneeringda parte di Eads-Astrium.La presenza di investitori industriali esteri nel set-tore spaziale italiano è certamente un segno dellavalutazione positiva delle potenzialità di questomercato. Un passo ulteriore potrebbe essere com-piuto se con una nuova normativa si potesse orga-nizzare un controllo di questi investimenti stranie-ri in settori strategici, come avviene in altri paesieuropei: non si tratta di erigere barriere, anzi di fa-cilitare gli investimenti definendo binari precisi cherispecchino le esigenze della sicurezza nazionale.È questo un punto dolente del Sistema-Italia per-ché attualmente gli investimenti esteri non sono re-golamentati e si possono solo definire le modalitàper la tutela delle informazioni classificate. Ma, an-che in quest’ultimo caso, ci si deve quasi limitarealla verifica del possesso di un’adeguata abilitazio-

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ne degli addetti, compresi quelli non italiani. Sa-rebbe, invece, utile poter disporre di un insieme distrumenti coordinati che consentano di assicurareil mantenimento delle capacità tecnologiche e in-dustriali italiane indipendentemente dalle caratte-ristiche dell’assetto proprietario.La valorizzazione delle risorse del Sistema-Italiarichiede strumenti sempre più articolati, visti an-che come capacità di coinvolgere vari attori nel con-testo degli scenari europei di cooperazione o com-petizione: la recente iniziativa per una piattaformaindustriale spaziale Spin-It lanciata da Confindu-stria, va nel senso di contribuire alla definizione dipriorità tecnologiche in una logica di cluster cheben si integra nelle attività europee. Questa inizia-tiva si può anche collegare alla piattaforma indu-striale sulla sicurezza Serit che, parallelamente, stafavorendo la cooperazione fra mondo scientifico,accademico e industriale nel comparto della sicu-rezza. La competitività dei cluster italiani è senz’al-tro un fattore strategico. Mentre il futuro dei pro-getti europei sembra a volte difficile, come nel ca-so di Gmes, la ricerca di una maggiore coesione frai vari attori é certamente una strada da percorrere.L’Italia ha posto un particolare interesse sull’ulti-ma lettera della sigla, la «S» di Security di questoprogramma. Forte dell’esperienza di Cosmo-Sky-med, l’Italia intende giocare una sua specifica par-tita nella promozione della dualità dei nuovi siste-mi europei.

Il settore industriale spaziale ha delle mar-cate specificità: è caratterizzato dalla diffusa pre-senza di alta tecnologia, con un forte investimentosul capitale umano, e con delle ricadute importan-ti in termini di valore aggiunto economico, ma an-che politico. È un ambiente ostile per l’uomo, ana-logamente a quello sottomarino, che impone il rag-giungimento di prestazioni non paragonabili a quel-le richieste da altri settori. Nemmeno le attività mol-to pericolose (nucleare, chimica) lo richiedono:queste ultime, infatti, si svolgono comunque sulla

terra e consentono interventi di riparazione, seppu-re a prezzi elevatissimi in termini finanziari ed uma-ni (basti pensare alla Russia con Chernobil, all’In-dia con Bhopal, al Giappone con Fukushima). Nel-lo spazio, di conseguenza, è richiesto il raggiungi-mento di elevate prestazioni che spingono avantila frontiera della tecnologia: basti pensare, fra il re-sto, all’alleggerimento di satelliti e lanciatori, allariduzione di dimensione, peso e consumi dei pay-load, alla durata dei satelliti, all’aumento della po-tenza disponibile a bordo, alla protezione delle car-rozze, alla precisione del collocamento dei satelli-ti. Più in generale va sottolineata la quasi impossi-bilità di manutenzione e per ora rifornimento chefa sì che ogni guasto, anche minimo, rischi di com-promettere il funzionamento dell’intero satellite.Di qui la necessità di un livello elevatissimo di af-fidabilità. Per queste ragioni lo spazio rappresentauna delle principali sfide tecnologiche che l’uomosta affrontando. Il modello di governance italiano del settore spa-ziale corrisponde alla specifica storia: ruolo del-l’università, perseguimento di filiere industriali,creazione tardiva dell’Agenzia spaziale italiana eimportanza della cooperazione internazionale, conl’Esa e con la Nasa. Oggi, però, per fronteggiare leprospettive di un settore che rischia di soffrire acausa delle crescenti ristrettezze dei budget pubbli-

Il programma di navigazione satellitareGalileo, sarebbe un «sistema civile sotto il controllo dei civili», ma che, secondo i suoi stessi principi fondativi, ha evidenti finalità di sicurezza e potenzialeutilizzo da parte dei militari

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ci nazionali ed europei, assistiamo a nuovi sfor-zi di coordinamento, soprattutto nella defini-zione delle priorità. È una scelta necessaria chesi deve basare su una strategica condivisa. Sto-ricamente le attività spaziali della Difesa era-no considerate «altamente sensibili» e si pre-feriva trattarle in modo autonomo. Le nuovesfide globali così come i nuovi scenari econo-mici hanno reso necessario un approccio diver-so che oggi, per la Difesa italiana, è imprescin-dibile dal contesto della dualità.

La dualità, insita in tutte le tecnologie spa-ziali, può essere vista per un paese come l’Ita-lia di grandi ambizioni e potenzialità nel set-tore e purtroppo non sempre accompagnate daaltrettante capacità finanziare, il miglior stru-mento per condividere le risorse necessarie adassicurare lo sviluppo di programmi civili e mi-litari. In tale quadro vanno viste, negli ultimianni, le numerose iniziative congiunte Asi e Di-fesa, che hanno permesso, ottimizzando l’im-piego delle disponibilità economiche e tecni-che, l’attuazione dei maggiori programmi spa-ziali della Difesa. Inoltre, essendo i programmie le attività spaziali d’interesse di più istituzionie dicasteri, in primis i ministeri degli Esteri, In-terno, Difesa, Istruzione Università e Ricerca,Infrastrutture e Trasporti, Sviluppo Economico,nel 2010 è stato costituito presso la presidenzadel Consiglio dei ministri un tavolo di coordi-namento interministeriale con il compito di rea-lizzare le massime sinergie e l’indispensabileorganicità di trattazione dell’intera complessamateria tra i numerosi attori in gioco.Questa iniziativa ha portato il 22 ottobre 2010all’approvazione da parte del consiglio dei Mi-nistri del documento «Indirizzi del Governoper la politica spaziale italiana», che, per laprima volta, ha indicato le linee guida per tuttele iniziative civili e militari, scientifiche, tec-nologiche ed operative nel campo spaziale. È

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opportuno sottolineare, in particolare, duepunti del documento:

• Il riconoscimento dell’importanza e dellanatura duale delle attività spaziali: «Le ri-cadute di tali investimenti sono assoluta-mente positive, grazie anche alla scelta stra-tegica, e per certi versi innovativa, fattadall’Italia di cogliere le opportunità offertedalla natura intrinsecamente duale, civile emilitare, delle tecnologie spaziali. Una na-tura duale che è fattore abilitante per indurrele varie amministrazioni a concentrare e ot-timizzare l’impiego delle disponibilità eco-nomiche e tecniche su programmi congiunti,con maggiori opportunità di sviluppo, cosìcome dimostrano le numerose iniziativecongiunte Agenzia spaziale italiana - minis-tero Difesa già in atto».

• Il riconoscimento della necessità di unostretto coordinamento interministeriale, perdare coerenza alle diverse iniziative a partireda quelle civili e militari: «A tal fine, essendoi programmi e le attività spaziali di interessedi più istituzioni e dicasteri, in primis i minis-teri degli Esteri, Interno, Difesa, IstruzioneUniversità e Ricerca, Sviluppo Economico,sarà indispensabile – come auspicato da piùparti – che la presidenza del Consiglio dei mi-nistri prosegua e intensifichi una presenza is-tituzionale sempre più efficace di rigorosocoordinamento e impulso, così da realizzarele massime sinergie e l’indispensabile organi-cità di trattazione dell’intera complessa mate-ria tra i numerosi attori in gioco».

Le capacità spaziali che il paese riesce ad es-primere sono, quindi, da considerarsi una in-frastruttura strategica ed in quanto tale le atti-vità nel settore debbono essere oggetto di spe-cifica attenzione, programmazione pluriennalee prospettive sinergiche ed innovative.

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studio e l’applicazione della scienza in questo setto-re strategico. L’Agenzia spaziale italiana (Asi) è lapunta di diamante della ricerca ipertecnologica ita-liana ed è un modello per l’intero comparto industria-le italiano, anche se promuove ricerca in un settorein apparenza con un campo ristretto d’applicazione.Ma non è così. Storicamente le ricerche “spaziali”hanno avuto ricadute importanti nel campo commer-ciale. Ricordiamo, solo a titolo d’esempio, il teflonstudiato per le prime missioni lunari del progettoApollo. Poi diventato un materiale d’uso comune,specialmente in cucina. E in tempi di crisi, Aerospa-zio e Difesa sono tra i pochi settori in grado di crea-re nuovi posti di lavoro e far ripartire lo sviluppo.L’Asi è anche un modello di relazioni internaziona-li che va da Occidente, con la Nasa, a Oriente conl’Agenzia spaziale cinese, pur mantenendo un cuo-re europeo. L’Italia è il terzo contributor del consor-zio Esa, l’Agenzia spaziale europea. L’istituzione ita-liana segue logiche di mercato, posizionandosi in set-tori leader come il monitoraggio della Terra per lasalvaguardia dell’ambiente, oppure col progetto Ve-ga per un vettore di lancio per satelliti economici ein grado di renderci autonomi. L’Asi vara un’inizia-tiva pianificando subito il passo successivo, con Ly-ra, per “scodellare” satelliti di oltre due tonnellate inorbite più alte. Insomma, anche in tempi di crisi, ma

dovremmo dire “soprattutto in tempi di crisi”, un mo-dello operativo come quello dell’Asi dovrebbe farescuola. Sul ponte di comando dell’Agenzia c’è En-rico Saggese, ingegnere elettronico di origini luca-ne, passato, nei precedenti incarichi, dalla stanza deibottoni di Finmeccanica e Telespazio. Risk gli hachiesto di tratteggiare un quadro delle attività del-l’Agenzia presenti e future. La Luna è rimasta per circa trent’anni nell’immagi-nario comune come la frontiera dello spazio. Chi puòdimenticare la lunga diretta televisiva che ha tenutoinchiodati davanti ai teleschermi milioni di italianidurante la missione Apollo 11. Oggi quell’icona è sta-ta però sostituita dall’esplorazione su Marte. Questavolta però non siamo solo spettatori, perché una del-le scoperte più importanti è stata fatta con tecnologiaitaliana. Possiamo affermare che l’Italia abbia sco-perto “l’acqua fredda” sul Pianeta rosso. «Su Martesicuramente l’acqua sarà fredda. L’elemento impor-tante in quella missione è stato mettere alla prova duegrandi sistemi radar. Due apparati che hanno scoper-to delle differenze nella riflessione al suolo delle on-de elettromagnetiche, anche a grande profondità. Unfatto che gli scienziati affermano sia legato alla pre-senza di acqua. Il fatto che questa scoperta derivi damisure fatte da strumenti italiani è assolutamente ve-ro». Ma per Marte si sta facendo ancora di più. «C’è

IL PRESIDENTE DELL’ASI: COME LO SPAZIO PUÒ COMBATTERE LA CRISI

L’ITALIA IN ORBITACOLLOQUIO CON ENRICO SAGGESE DI PIERRE CHIARTANO

ella scoperta! Di solito è un’affermazione che commenta l’ovvietà di unargomento o del risultato di una ricerca, per quel che riguarda invecela tecnologia italiana utilizzata nello spazio diventa un’esclamazionedecisamente positiva. Una pura constatazione. Tutto questo grazie aun’istituzione che da oltre quarant’anni coordina e promuove lo

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il progetto Exomars dell’Agenzia spaziale europea(Esa) in cui l’Italia si è ritagliata il ruolo di nazioneguida. È un’iniziativa molto ambiziosa che prevededue missioni: una nel 2016 e un’altra nel 2018. Laprima dovrebbe consentire di entrare nell’atmosferamarziana e atterrare dolcemente (2016). Quella suc-cessiva prevede che ci sia un rover (un mezzo che sichiamerà Curiosity) che possa andare in giro su Mar-te e sul quale possa essere montato uno strumento ita-liano chiamato drill e che serve a perforare il suolofino a due metri di profondità, in modo da poter estrar-re dei campioni dal sottosuolo. Mentre tutto il siste-ma è molto complesso, stiamo negoziando tramiteEsa di coinvolgere anche Stati Uniti e Russia nel pro-getto». L’Italia è il terzo contributor dell’Agenzia eu-ropea, ma in tempi di crisi e di tagli ai bilanci c’è dasperare che la scure non si abbatta anche su un setto-re strategico, non solo per la ricerca, ma anche perl’industria nazionale. «L’Italia è effettivamente il ter-zo contribuente di Esa e grazie a programmi di lun-go periodo dovrebbe mantenere questo status. E do-vrebbero risultare stabili anche i contributi che lo Sta-to darà all’Asi. Una posizione di rilievo e di respon-sabilità che si manterrà anche nel futuro».

Sono i progetti di lungo periodo a garantire lacontinuità operativa dell’Agenzia. «Certo sono prin-cipalmente i programmi scientifici di medio e lungoperiodo. Le grandi missioni prevedono Baby Colom-bo su Mercurio, poi ci sarà un’altra grande missioneche partirà nei prossimi mesi. Per ciò che riguarda lemissioni medie c’è Orbiter (Solar Orbiter) per lo stu-dio del Sole e poi Euclid che si occuperà di ricerchesullo spazio profondo. Queste sono le cosiddette mis-sioni obbligatorie, perché fanno parte del contributoche gli Stati forniscono in funzione della percentua-le di pil, rispetto al totale di tutti i membri di Esa.L’Italia partecipa con circa il 12 per cento di risorsee ha in Baby Colombo un ruolo guida. Poi ci sonoprogrammi facoltativi come Exomars e attività cheprincipalmente vertono sull’osservazione della Ter-ra. Ora il grande programma europeo è il Global mo-

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nitoring for enviroment and security (Gmes) che os-serva la Terra con diversi satelliti. Si sta cercando dicapire con l’Unione europea se ci siano risorse perdelle costellazioni di questi satelliti che potremo de-finire delle sentinelle nello spazio. Vi sono poi attivi-tà che riguardano la meteorologia. Esistono anche ini-ziative dell’Esa, ma finanziate dall’Ue, come Galileoil sistema per la navigazione e i programmi di teleco-municazioni. Oltre al grande programma di esplora-zione umana che comprende la stazione spaziale, l’ini-ziativa che attira di più l’attenzione. E in cui l’Italiaè stata presente in quest’ultimo anno con due astro-nauti contemporaneamente a bordo della stazione or-bitale. Parliamo di Roberto Vittori e Paolo Nespoli».E per l’Asi non esistono figli e figliastri, programmidi seria A e serie B. «Tutte le iniziative sono importanti, chiaramente quel-li che coinvolgono i nostri astronauti, come quellodell’esplorazione umana hanno un grande richiamomediatico e di pubblico. Loro sono i nostri ambascia-tori, perché hanno una visibilità importante oltre a for-nire un contributo tecnologico evidente. Certamentei programmi d’osservazione della Terra, in un mo-mento in cui il nostro pianeta è minacciato da situa-zioni pericolose, come terremoti, tsunami e inquina-mento atmosferico, i satelliti che studiano tutti questiaspetti sono altrettanto importanti». Un altro aspettodi questi centri d’eccellenza scientifica sono le rica-dute industriali ed economiche, sia a livello naziona-le che intorno ai presidi territoriali dell’Asi dove laloro presenza può nel tempo contaminare positiva-mente il tessuto imprenditoriale spingendo le azien-de a scoprire gli aspetti positivi dell’alta tecnologia,primo fra tutti: l’alto valore aggiunto del prodotto, inun paese con un costo manodopera altrettanto alto.«Vi sono due grandi tipi di ritorno. Uno nel sistemapaese: pensiamo ai programmi d’infrastrutture comequelle delle telecomunicazioni e di osservazione del-la Terra. L’importanza è che l’Italia possa così dotar-si d’infrastrutture moderne. Poi c’è un progetto comeVega, un lanciatore spaziale (la prima missione è pre-vista ai primi di febbraio) che ci mette in evidenza nel

mondo tra i paesi in grado di concepire e realizzareuna simile iniziativa. È un progetto europeo ma l’Ita-lia partecipa per oltre il 60 per cento. Vega è impor-tante perché si tratta di un vettore di piccole dimen-sioni dai costi contenuti. Consente di portare una ton-nellata e mezza di carico a 700 chilometri d’altezza,che è proprio l’orbita dove stazionano i satelliti scien-tifici e quelli per l’osservazione della Terra. È un mez-zo particolarmente adatto a questo tipo di satelliti.Ariane 5 e Soyuz sono concepiti per enormi carichi(20 tonnellate), come quelli diretti alla stazione spa-ziale, oppure per payload destinati all’orbita geosta-zionaria per i satelliti per telecomunicazioni. Ogniclasse di lanciatore ha una sua applicazione. Vega èper l’osservazione della Terra. È il completamentodell’offerta europea in questo settore, con Ariane 5e Soyuz». Chiaramente Asi pensa anche al futuro eallo sviluppo del capitolo successivo di Vega. «Lyra

«Aerospazio e Difesa sonosettori su cui puntano tutti i paesi per creare nuovaoccupazione e poter superare una crisi che è mondiale. Le grandi missioni prevedono BabyColombo su Mercurio, poici sarà un’altra grande missione che partirà neiprossimi mesi. Per ciò cheriguarda le missioni mediec’è Orbiter (Solar Orbiter)per lo studio del Sole e poi c’è Euclid che si occuperà di ricerchesullo spazio profondo»

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appartiene alla fase successiva di Vega. Avrà dei mo-tori più potenti. È il futuro a cui pensiamo, una vol-ta che la prima versione avrà avuto successo e si sa-rà stabilizzata. Con Lyra il carico aumenterà a circadue tonnellate che è il peso di Cosmo- Skymed, i no-stri satelliti radar. Così avremo satelliti e lanciatoricompatibili». L’Agenzia non guarda solo oltre l’oriz-zonte tecnologico ma è sempre aperta a nuove col-laborazioni, non ultimi i rapporti instaurati conl’Agenzia spaziale cinese. «Lo spazio è un argomen-to relativamente semplice da concepire e proporre,per ciò che riguarda le collaborazioni internaziona-li. In particolare con la Cina abbiamo concepito unprogramma scientifico con degli strumenti – due deiquali potrebbero essere italiani – per lo studio di al-cune fasi critiche degli eventi tellurici. Oltre a mo-nitorare il territorio si cercherà di valutare segnali piùdeboli, di natura elettromagnetica che si possono svi-luppare sul terreno durante un terremoto. Parliamo

di onde elettromagnetiche non radar. Quindi dallospazio non ci limiteremo a verificare i danni di un si-sma, ma cercheremo di catturare i segnali che lo pre-cedono». Una ricerca scientifica strategica viste ledimensioni dei terremoti che flagellano la Cina, main prospettiva utile anche per essere utilizzata in Ita-lia. Chi non vorrebbe poter prevedere in anticipo unsisma come quello che ha raso al suolo L’Aquila?«Sul satellite ci sarebbero cinque strumenti cinesi edue italiani. Ogni analisi sarà fatta in un settore di-verso, poi dovremo correlare i dati per cercare di ar-rivare a un risultato». Con la Nasa invece si è di casa e non potrebbe esse-re altrimenti per l’Asi. «Le collaborazioni sono fre-quenti anche perché la Nasa ogni volta che progettauna nuova missione fa il cosiddetto announcementof opportunity dove fa sapere che c’è occasione diimbarcare degli strumenti in una missione d’esplo-razione. È un’opportunità che viene offerta a tutto ilmondo, a patto che ci siano caratteristiche di parti-colare pregio, ecletticità e capacità scientifica, oltreche a una buona connessione con le industrie in gra-do di produrre questi strumenti. Quando una di que-ste opportunità viene accettata l’Asi si fa carico difinanziare la ricerca».

Chiaramente lo spazio non è solo un campoper applicazioni civili ma sempre più spesso è fon-damentale per il settore militare. «Con l’Aeronau-tica militare italiano stiamo sviluppando delle ini-ziative di ricerca sui radar in banda P per capire chetipo d’informazioni potremmo utilizzare nello stu-dio del sottosuolo. In pratica è una derivazione ter-restre dei radar usati su Marte (Marsis e Sharad).Dobbiamo vedere se questi apparati, montati su ae-rei, possano dare dei risultati interessanti. Con l’Ae-ronautica naturalmente lavoriamo anche su Cosmo-Skymed e nel settore delle telecomunicazioni consatelliti dual use civile e militare». Quest’anno siterrà a Napoli l’Expo Spazio, un appuntamento im-portante non solo come vetrina. «A livello annualeè l’esposizione più importante in campo mondiale.

«Occorre comprendere che in America il rapportoinvestimenti-fatturato è nove a uno. Cioè per ognidollaro speso in ricercaspaziale l’industria ha venduto prodotti per nove dollari. Il ritorno economico è particolarmente rilevante. Servirebbe una buona politica di sviluppo delle start upcioè di quelle società chepartendo dalle tecnologieaerospaziali possano creare business e fatturato»

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Si è svolta a Seul, in Sud Africa, in Cechia e radu-na tutti i settori dell’aerospazio con tre-quattromi-la delegati. È un congresso globale dove ogni pae-se può mostrare tutte le migliori realizzazioni. Lofarà anche l’Italia nel padiglione della Fiera d’Ol-tremare di Napoli». È il momento che precede quel-li che poi, su altri tavoli, diventeranno dei veri e pro-pri accordi di tipo industriali. «È una vetrina scien-tifica, ma oggi la scienza è fortemente connessa colbusiness». E tanto per essere chiari sull’importan-za strategica del settore, specie in tempi di crisi –dove non bisogna perdere colpi di fronte a paesiemergenti dal basso costo manodopera – è uno deipochi campi in grado di ridare ossigeno alle econo-mie malate dell’Occidente. «Aerospazio e Difesasono settori su cui puntano tutti i paesi per crearenuova occupazione e poter superare una crisi che èmondiale». Uno dei punti chiave per attivare il bi-nomio scienza-sviluppo è creare una legislazioneche faciliti il trasferimento e la connessione velocetra ricerca ed economia. Il paragone con gli Usa èimmediato e inevitabile. «Occorre comprendere chein America il rapporto investimenti-fatturato è unoa nove. Cioè per ogni dollaro speso in ricerca spa-ziale l’industria ha venduto prodotti per nove dol-lari. Il ritorno economico è particolarmente rilevan-te. Servirebbe una buona politica di sviluppo dellestart up cioè di quelle società che partendo dalletecnologie aerospaziali possano creare business efatturato. Il problema del settore è l’alto rischio con-nesso agli investimenti nelle start up, che non sem-pre vanno a buon fine. Ad esempio, sempre restan-do in America, su dieci nuove aziende solo due otre hanno successo, le altre sono destinate a fallire.Bisogna solo capire che nell’innovazione e nella ri-cerca il fallimento fa parte del gioco. Non dobbia-mo pensare che il fallimento di un’idea condannitutto un settore». Ciò di cui parla Saggese è un pun-to chiave della cultura, non solo economica, di unpaese. È il concetto di competizione e di rischio co-me chiave dello sviluppo: chi oggi non risica nellospazio, rosicherà assai poco.

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affacciano sulla scena spaziale o intendono farloritengono, non senza ragione, che si tratti di un ten-tativo di bloccare il loro diritto di accesso militareallo spazio, senza che chi lo spazio già lo sfruttaampiamente a fini militari/strategici sia disposto acedere nulla o quasi. Del resto non ci si deve di-menticare che lo sfruttamento militare dello spazioè iniziato… proprio agli albori della conquista diquesta dimensione. Il lancio dello Sputnik, il pri-mo satellite, posto in orbita dall’Urss, era il fruttodi un progetto militare e il satellite fu lanciato daun razzo vettore ottenuto modificando un missilibalistico a testata nucleare. Gli Usa percepironocorrettamente la mossa del Cremlino come un guan-to di sfida militare in un nuovo terreno di confron-to e, potenzialmente, scontro. La minaccia era evi-dente e Washington fu subito massicciamente coin-volta in una corsa a due che la vide recuperare ra-pidamente lo svantaggio iniziale e poi affermare ilproprio predominio, già evidente anche prima delcollasso dell’impero sovietico. La situazione non è cambiata oggi e gli Usa hannoe mantengono saldamente il dominio nello spazioe non hanno alcuna intenzione di abdicare, anchenell’era dei tagli di bilancio e del ridimensionamen-to della spesa militare e spaziale. Che nella decli-nazione statunitense (come in Urss) marciano al-

l’unisono. Lo stesso programma Space Shuttle co-sì come le prime stazioni spaziali orbitanti aveva-no una veste scientifica “pacifica”, ma anche unaconnotazione militare. Ad esempio la navetta shut-tle può essere considerata come un veicolo spazia-le da ricognizione… e non solo. E gli equipaggidelle navette sono formati da militari in servizio at-tivo. La Nasa svolge da sempre una infinità di com-piti e attività di interesse strategico e militare, incampo spaziale ed aeronautico. Solo in Europa perlungo tempo ci si è baloccati con l’idea naif che leattività spaziali dovessero essere esclusivamenterivolte a finalità scientifiche o civili. L’Esa, Agen-zia spaziale europea, ha finalizzato ricerche ed in-vestimenti a programmi che non dovevano averela benché minima connotazione militare. Le attivi-tà con targa «militare» venivano così condotte so-lo a livello nazionale, il che ha portato alle soliteduplicazioni e sprechi, dei quali hanno beneficiatoi concorrenti. Oggi peraltro si sta voltando pagina,utilizzando come grimaldello i cosiddetti program-mi «duali» come quelli per la osservazione terre-stre, per far cadere tabù radicati. Ma l’esempio piùeclatante in questo senso è rappresentato dal pro-gramma Galileo relativo ad una costellazione di sa-telliti per navigazione/posizionamento, che fin dal-l’inizio ha previsto una dimensione pudicamente

L’EUROPA SENZA IPOCRISIE E LA GEOPOLITICA SENZA GRAVITÀ

GUERRE STELLARI PROSSIME VENTUREDI ANDREA NATIVI

Onu ci sta provando, c’è il tentativo di scongiurare che lo spazio diven-ti un nuovo campo di battaglia attraverso una convenzione internazio-nale ma, come quasi sempre accade, quando la macchina diplomatica siè messa in movimento era ormai tardi. Drammaticamente tardi, perché,come è già avvenuto in passato, i paesi emergenti, che solo ora si

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definita di «sicurezza»: i satelliti trasmettono an-che un segnale di posizione molto accurato e pro-tetto, accessibile solo a utenti certificati governa-tivi e militari. Si tratta di un inizio, altri passi inquesta direzione seguiranno, purtroppo con tem-pi non rapidissimi. Del resto è evidente che se l’Eu-ropa vuole contare qualcosa in campo spaziale perquanto riguarda sicurezza e difesa deve necessa-riamente integrare risorse economiche, capacitàindustriali e tecnologia. E sarà bene che si sveglie cominci a fare sul serio, se non vuole essereemarginata o perdere posizioni. Una politica spa-ziale militare comune è urgentissima, mentre dal-le cooperazioni bilaterali o multilaterali (comequelle tra Francia e Italia) si deve passare al piùpresto ad iniziative paneuropee cofinanziate e co-gestiste. Anche perché i concorrenti non si pongo-no questi problemi, basta guardare a Giappone, In-dia e Cina. Tutte queste nuove potenze stanno ef-fettuando colossali investimenti per costruire una

capacità spaziale militare completa. E l’esempiodei grandi e dei Bric viene seguito da moltissimialtri paesi: basta pensare alla Turchia, che vuoleessere in grado di progettare, costruire e gestiresatelliti, ma anche di lanciarli in orbita con proprivettori. Una capacità analoga è già da tempo diIsraele, in qualche misura anche dell’Iran, dellaCorea del Nord, del Brasile etc. Ormai non esisto-no barriere tecnologiche o finanziarie di accessotali da impedire ad una media potenza di svilup-pare una propria capacità militare spaziale, sia pu-re parziale e rudimentale. E chi ha ambizioni oproblemi di sicurezza globali, regionali o persinolocali vuole acquistare una capacità spaziale mi-litare indipendente, senza dover dipendere da quel-lo che si può comprare sul mercato o si può otte-nere dai propri partner ed alleati. Quindi la nobi-le crociata per evitare che i cieli stellati diventinoun nuovo teatro di guerra è fallita in partenza.

Perché la militarizzazione dello spazioChe lo spazio abbia una enorme valenza militare èevidente, anche solo pensando a due attività mili-tari elementari: l’osservazione e la comunicazio-ne. Qualunque comandante ha sempre cercato unaposizione di vantaggio, in genere orograficamen-te elevata, dalla quale seguire le mosse dell’avver-sario e delle proprie forze. La collina più alta og-gi è… un satellite. I satelliti da osservazione nonsono più un appannaggio delle sole grandi poten-ze, le immagini fornite da satelliti per telerileva-mento commerciali hanno raggiunto un livello diaccuratezza (risoluzione) che qualche anno fa sa-rebbe stato esclusivo appannaggio di sistemi mili-tari segreti e costosissimi. Si può dire che imma-gini con una risoluzione di classe metrica abbianogià una chiara valenza strategica militare. E se sa-telliti relativamente poco costosi e commercialihanno capacità di questo tipo si può immaginarecome sia diventata “acuta” la vista dei satelliti mi-litari, i quali oggi scattano immagini con una riso-luzione centimetrica. Una analoga corsa alla riso-

Che lo spazio abbia una enorme valenza militare è evidente, anchesolo pensando a due attività militari elementari: l’osservazione e la comunicazione.Qualunque comandante ha sempre cercato una posizione di vantaggio, in genere orograficamenteelevata, dalla quale seguire le mosse dell’avversario e delle proprie forze. La collina più alta è oggi un satellite

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luzione sempre più spinta riguarda i satelliti consensori all’infrarosso (immagini notturne o in con-dizioni meteo non ottimali) o con sensori radar (chesono gli unici realmente ognitempo). Ma non sitratta solo di scattare immagini. Quello che per lun-go tempo è stata solo una finzione cinematografi-ca, ovvero la possibilità di seguire costantementedallo spazio un bersaglio in movimento, come sipotrebbe fare con un telecamera dotata di zoom,sta diventando realtà grazie ai sensori satellitaricon capacità Mti (Indicatore di bersaglio mobile)che quindi forniscono informazioni con maggiorecontinuità (risolvendo in parte il problema dellacopertura, del campo di visione, dei «passaggi» pe-riodici sull’obiettivo tipici dei satelliti) e che po-trebbero anche fornire dati così accurati da consen-tire di effettuare inseguimento/designazione delbersaglio direttamente dallo spazio. In questo mo-do il satellite d’osservazione diventa uno strumen-to davvero tattico.I satelliti d’allarme sono invece un mezzo impor-tante per segnalare il lancio di missili balistici (enon solo), in modo da allertare i sistemi di difesaantimissile e eventualmente consentire un attaccodi risposta. Dallo spazio, da sempre, oltre all’os-servazione si può anche curiosare negli affari al-trui, ascoltando le comunicazioni, ogni tipo di emis-sione elettromagnetica: schiere di satelliti per si-gint, signal intelligence, sono utilizzati da grandie piccole potenze. Lo stesso dicasi per le comuni-cazioni. Se comunicare liberamente e possibilmen-te in modo sicuro è sempre stato un sogno sui cam-pi di battaglia, oggi, con l’avvento della guerra«net-centrica», le comunicazioni satellitari diven-tano un «a priori» imprescindibile, al punto che isatelliti militari dedicati non bastano per soddisfa-re la “fame” di canali e di banda e si impieganoquindi anche quelli commerciali. Dunque occorro-no satelliti per comunicazioni, ma anche satellitiche possa immagazzinare e “rimbalzare” dati e in-formazioni da un satellite ad un altro, ai centri dicomando e controllo a terra ed anche ai singoli

utenti. In generale, i satelliti stanno diventandosempre più capaci e meno costosi, mentre la “ba-nalizzazione” delle tecnologie consente anche apiccole industrie o enti universitari di realizzare sa-telliti con possibili applicazioni militari. Gli stes-si Usa utilizzando per molti ruoli satelliti commer-ciali, compresi quelli per osservazione, che per-mettono di evitare l’impiego dei propri più sofisti-cati satelliti per soddisfare esigenze meno priori-tarie o che non richiedono un livello elevato di det-taglio. E oltre a continuare a sviluppare satelliti co-stosissimi e enormi gli Usa cominciano anche adutilizzare satelliti militari più “spartani” e più pic-coli, ma disponibili in maggior numero. In praticaper ogni impiego c’è un satellite, mentre amplian-dosi la comunità dei potenziali utenti si è reso ne-cessario aumentare il numero dei veicoli spaziali,ma senza per questo accrescere gli investimenti.

Ci sono alternative al satellite?Un tempo per svolgere determinate attività diosservazione/spionaggio c’erano solo due possibi-lità: i satelliti o i velivoli da ricognizione. Questiultimi furono poi in larga misura superati dall’av-vento dei missili antiaerei (il famoso abbattimen-to del velivolo spia U-2 statunitense da partedell’Urss segnò la fine di un era, gli aerei spia chesorvolavano il territorio del paese di interessedivennero una eccezione, non la regola). Ora peròi satelliti saranno sempre più integrati da unanuova generazione di dirigibili d’alta quota e divelivoli senza pilota capaci di rimanere in azioneper settimane, mesi o addirittura anni. Questimezzi condividono con i satelliti alcune caratteri-stiche, come quella della persistenza e della«visione dall’alto», però sono anche relativamen-te più vulnerabili. A questi mezzi si andranno poiad aggiungere gli spazioplani, ovvero veicoli spa-ziali riutilizzabili, probabilmente senza equipag-gio, capaci di volare a quote e velocità elevatissi-me, raggiungendo nel volgere di minuti qualunquepunto del pianeta. Questi velivoli spaziali saranno

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difficilmente intercettabili e potranno svolgerediverse funzioni, dalla ricognizione fino all’attac-co, grazie all’impiego di speciali missili a grandegittata e enorme velocità. Tutto questo porterà asfruttare non solo lo spazio propriamente detto,ma anche gli strati alti dell’atmosfera che fino adoggi non sono stati utilizzati o “popolati”. Madirigibili, velivoli senza pilota d’alta quota e spa-zioplani non andranno a sostituire i satelliti, piut-tosto li integreranno. In poche parole, chi può per-metterselo cercherà di sfruttare al massimo ilcielo, l’alta atmosfera e lo spazio, perché ogni«strato» ed ogni mezzo offre vantaggi specifici edè la combinazione di questi mezzi che fornisce larisposta ottimale. Inutile dire che in questo campoè in atto una nuova competizione tecnologica eche gli Usa sono saldamente al comando. Solonegli Stati Uniti alla chiarezza di visione a lungotermine, con obiettivi ben identificati, si unisce unpiano di investimenti, di ricerche, di esperimentiche non sempre sono coronati dal successo, mache consentono di sviluppare e far maturare le tec-nologie, ridurre i rischi, comprendere i problemied arrivare per tentativi ed approssimazioni allarealizzazione di sistemi operativi.

Verso le guerre spazialiI guerrieri spaziali sono già una realtà consolida-ta in diversi paesi. A muoversi per primi in questadirezione sono stati ovviamente Russia e Stati Uni-ti, che hanno istituzionalizzato la creazione di ap-positi comandi, con reparti, basi e personale dedi-cati. Negli altri paesi in genere le attività spazialirappresentano una costola di quelle aeronautiche,ma non necessariamente. La guerra spaziale puòessere ovviamente sia difensiva sia offensiva, per-ché con lo spazio e dallo spazio si può condurreun vasto spettro di operazioni belliche. Ovviamen-te si cercherà di eliminare i satelliti altrui: non èuna operazione impossibile. Si possono utilizzareattacchi elettronici o cyber, oppure armi ad ener-gia diretta o armi ad energia cinetica o ancora mis-

sili o veicoli spaziali o esplosioni nucleari nellospazio. Dipende dalla natura del bersaglio. Usa,Russia, Cina hanno capacità di questo tipo. Natu-ralmente i satelliti militari vengono corazzati con-tro ogni tipo di minaccia e si è anche studiato ilmodo di far “scappare” un satellite contro il qua-le è indirizzato un veicolo killer o un missile op-pure di dotare il satellite di armi difensive. Ovvia-mente “l’indurimento” di un satellite comporta co-sti elevati, tecnologie sofisticate e l’impiego di unaparte del prezioso carico utile del veicolo spazia-le. Ma il rischio è già oggi così elevato che nonc’è satellite militare che non sia in qualche misu-ra protetto da interferenze e attacchi condotti daterra o dallo spazio. È in corso anche in questocampo l’abituale sfida tra cannone e corazza: sicercano i mezzi per distruggere i sistemi dell’av-versario ed al contempo per difendere i propri. Co-me accennato, non è necessario ottenere la distru-zione fisica dell’obiettivo, può essere sufficiente“accecarlo”, disturbarlo, destabilizzarlo, impedir-gli di ricevere ordini o di eseguire la sua missio-ne. Anzi, probabilmente è preferibile ottenere il ri-sultato desiderato attraverso un attacco poco evi-dente. Perché se un satellite killer va ad impatta-re su un satellite disintegrandolo l’attacco sarà re-gistrato come tale, ma se si riesce a danneggiareun satellite in modo che l’utilizzatore possa cre-

Una volta che si è realizzatauna navicella spaziale pressurizzata e riutilizzabilein grado di trasportareastronauti e di navigare in orbita bassa si è ancheottenuta la base tecnologicaper arrivare, in un secondotempo, ad un veicolo spaziale militare pilotato

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dere ad un guasto tecnico è ancora meglio. Certoin caso di conflitto generalizzato cautele del ge-nere non avrebbero molto senso, ma se si tratta dieliminare uno o due satelliti o di metterli fuori usoper qualche tempo, un attacco discreto sarebbe si-curamente preferibile. Ai tempi del progetto diReagan delle «guerre stellari», si ipotizzava dimontare sui satelliti armi di vario tipo per inter-cettare e distruggere i missili balistici dell’avver-sario durante la fase “spaziale” della loro traietto-ria. Oggi si ritiene molto più economico impiega-re missili basati a terra o in mare o montati su ae-roplani per intercettare questi missili. Ma la pos-sibilità tecnica rimane. E c’è chi ha studiato la pos-sibilità di realizzare un sistema di «specchi usto-ri» antimissile che utilizza specchi montati su sa-telliti o dirigibili d’alta quota. Senza contare cheun satellite può diventare una bomba orbitante.

L’accesso e la negazione allo spazioQuando si parla di guerre spaziali si pone eviden-temente la questione dell’accesso allo spazio, cherichiede necessariamente la disponibilità di vetto-ri, nonché la realizzazione di un segmento terrestreche consenta di controllare ed impiegare ciò che èstato collocato nello spazio. Quindi poligoni, raz-zi vettori, la filiera industriale che li realizza, le in-frastrutture terrestri dedicate sono elementi criticidi qualunque «sistema» spaziale. Chiunque ambi-sca a dotarsi di satelliti ed affini vuole anche af-francarsi dalla dipendenza dai vettori spaziali e daicentri di controllo di terzi, anche quando questi ul-timi sono messi a disposizione da partner fidati.Ovviamente il desiderio di indipendenza ha un co-sto. Ci sono paesi, come Iran o Israele che non han-no alternative, devono necessariamente far tutto oquasi da soli perché l’indipendenza strategica è es-senziale o semplicemente perché è difficile trova-re fornitori di servizi affidabili sia in tempo di pa-ce sia in tempo di crisi. Come abbiamo visto le ve-re potenze, vecchie e nuove, vogliono totale indi-pendenza, quindi sviluppano razzi vettori di vario

tipo e classe, veicoli spaziali, satelliti, stazioni spa-ziali, creano un corpo di astronauti, realizzano in-frastrutture per il controllo dei mezzi spaziali e co-sì via. È il caso di sgombrare il terreno da ogni pre-concetto: quando la Cina dice che vuole creare unapropria stazione spaziale permanente, che vuolemandare i suoi astronauti sulla Luna e magari suMarte, non cerca solo una affermazione in terminidi prestigio o di immagine: in effetti vuole anche,forse soprattutto, sviluppare le tecnologie necessa-rie per lo sfruttamento militare dello spazio e la suacolonizzazione. Per intenderci… una volta che si èrealizzata una navicella spaziale pressurizzata e riu-tilizzabile in grado di trasportare astronauti e di na-vigare in orbita bassa, si è anche ottenuta la basetecnologica per arrivare, in un secondo tempo, adun veicolo spaziale militare pilotato. Ovviamente tutti gli elementi essenziali di un si-stema spaziale completo diventano potenziali ber-sagli in caso di conflitto. Negare l’accesso allo spa-zio all’avversario è altrettanto essenziale che di-struggere le capacità e i satelliti già disponibili.Quindi tra i bersagli con la massima priorità ci so-no i poligoni spaziali e le rampe di lancio, i centridi controllo, i sistemi di comunicazione da e per lospazio, le industrie che producono i razzi vettori equelli che realizzano i satelliti e relativi componen-ti. Perché danneggiando o eliminando questi ele-menti si può cancellare, anche a lungo termine, lacapacità che un paese ha di sfruttare militarmentelo spazio. Non a caso le misure di sicurezza chevengono dispiegate per proteggere le infrastruttu-re spaziali stanno aumentando ovunque (non in Ita-lia, purtroppo) e non solo per scongiurare attacchiterroristici. I centri spaziali statunitensi, quello Ken-nedy, civile/militare e quello di Vandenberg, mili-tare, sono considerati obiettivi strategici e vengo-no protetti contro ogni tipo di minaccia, da quellaterroristica a quella militare convenzionale. E laFrancia ha adottato misure forse ancora più arci-gne per la sicurezza del cosiddetto centro spazialeeuropeo (in effetti Francese) di Korou, nella Guia-

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na Francese. Il dispositivo militare che Parigi schie-ra in permanenza in questo territorio d’oltremarenon serve tanto a assicurarne i confini, quando aproteggere il centro spaziale. E non parliamo deicentri spaziali cinesi o russi. I dispositivi di prote-zione sono poi ulteriormente potenziati con l’ap-prossimarsi di un lancio, sia esso commerciale,scientifico o militare. La protezione delle capacità spaziali si ottiene an-che con la ridondanza delle stesse e dei vettori econ la riduzione dei tempi necessari per preparareed effettuare un lancio. Anche in questo gli Usa so-no all’avanguardia: se è prassi normale mantene-re satelliti “di riserva” in orbita, pronti per essereposizionati ed attivati in caso di guasti o attacchi,gli Usa hanno anche satelliti di riserva a terra estanno introducendo in servizio nuove generazio-ni di vettori spaziali e spazioplani (anche commer-ciali o persino civili, per supportare i sogni di viag-gi di una élite di passeggeri straricchi) che possa-no essere lanciati o fatti decollare nel giro di qual-che giorno o addirittura qualche ora dal via, in mo-do da poter potenziare il proprio «ordine di batta-glia spaziale» in caso di necessità o, in futuro, persostituire le capacità distrutte dal nemico. Così co-me si possono potenziare gli schieramenti di for-ze sulla terra o sul mare e mandare rinforzi la stes-

sa cosa avviene e avverrà nello spazio. Si pensagià a come sia possibile inviare satelliti cargo chepossano rifornire quelli operativi, oppure possanoripararli, sostituire strumenti, sensori ed equipag-giamenti. I satelliti robot faranno dunque la spolaverso lo spazio. L’ideale è ovviamente poter au-mentare a piacimento le proprie “forze spaziali”impedendo all’avversario di fare altrettanto. Ed atale obiettivo non lavorano certo solo gli Stati Uni-ti. In questo contesto va anche compreso perchél’Europa non può rinunciare ad una propria auto-noma capacità: lanciare satelliti e sonde può ancheessere un business profittevole, ma anche se nonlo fosse, avere propri lanciatori spaziali senza di-pendere dai razzi commerciali che in caso di crisipotrebbero non essere più disponibili è essenzia-le. Quindi se Arianespace ha bisogno di sovven-zioni statali per rimanere sul mercato e compete-re per i lanci commerciali con cinesi e russi e inmisura minore con gli Stati Uniti… si deve paga-re, si tratta infatti di un investimento strategico,non di un modo per fare soldi. Poi che i razzi ed iservizi spaziali europei debbano costare meno è al-trettanto vero, ma non è questo l’aspetto cruciale.Non è un caso se negli Usa, per legge, un caricospaziale governativo può viaggiare solo su vetto-ri americani.

Per questi motivi è ridicolo che l’Italia abbiaseriamente pensato di “nazionalizzare” il program-ma per il vettore Vega, accarezzando poi l’idea dicreare una alternativa a Korou… in Kenya. Già…ammesso che ci fossero i soldi per condurre unapolitica di grandeur spaziale nazionale in contrap-posizione all’Europa e alla Francia (e non ci so-no), poi come avremmo potuto proteggere un po-ligono in Kenya? Conquistando Malindi? Acqui-stando un’enclave? Evidentemente l’Europa nello spazio, specie nel-la sua dimensione militare e strategica, deve ave-re un unico intento e parlare con una sola voce. Equando lo farà sarà sempre troppo tardi.

Chiunque ambisca a dotarsidi satelliti ed affini vuole anche affrancarsidalla dipendenza dai vettori spaziali e dai centri di controllo di terzi, anche quando questi ultimisono messi a disposizioneda partner fidati.Ovviamente il desiderio diindipendenza ha un costo

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cosiddetta general purpose technology, un elemen-to abilitante del nostro modo di comunicare, dellapossibilità di conoscere in modo approfondito leevoluzioni del nostro pianeta, di continuare a svi-luppare la conoscenza scientifica del nostro siste-ma solare e dell’universo, della possibilità di pre-venire e gestire catastrofi naturali nonché eventi in-fausti procurati dall’uomo ed infine di svilupparesistemi ed applicazioni rivolti alla sicurezza del ter-ritorio, dei cittadini e delle infrastrutture. Il nuovopanorama è frutto anche della globalizzazione, eser-citata – secondo l’Ocse – dagli investimenti tran-sfrontalieri in filiali estere di industrie multinazio-nali e dai robusti trasferimenti di tecnologie, concrescenti attività di import ed export di prodotti eservizi ad alta tecnologia.L’industria spaziale manifatturiera rappresenta diper sé solo lo 0.2 per cento del pil mondiale, circa75 miliardi di euro, ma crea un indotto pari a cir-ca 5 volte il valore dell’industria stessa ed i setto-ri che beneficiano di ricadute valgono ben il 22percento del pil mondiale, circa 8mila miliardi dieuro. Tali cifre indicano in modo chiaro la rilevan-za di del settore spaziale nell’economia mondialedi oggi. Dalle attività spaziali è nata la «space eco-nomy», che comprende innumerevoli sbocchi com-merciali, che vanno dal prodotti Ict all’impiego

delle risorse satellitari per la navigazione, le co-municazioni e l’osservazione della Terra nelle piùsvariate attività delle nostre società. Inoltre, si èsviluppata un’interessante convergenza nello svi-luppo delle tecnologie spaziali per le esigenze ci-vili e per soddisfare i requisiti richiesti dagli im-pieghi per la difesa e sicurezza. Fattore che ha por-tato a concentrare su programmi comuni di carat-tere duale le risorse economiche disponibili. Il ter-mine «tecnologia duale» (dual-use technology) èstato sempre più frequentemente utilizzato per in-dicare tecnologie suscettibili di applicazioni sia inambito civile che militare e riguarda uno spettroabbastanza ampio di tecnologie – dal nucleare al-le biotecnologie – nel quale un ruolo particolar-mente significativo hanno assunto le tecnologiespaziali. Ciò non deve destare sorpresa in quantotradizionalmente il dominio spaziale ha rappresen-tato all’inizio del ciclo di sviluppo dell’industriarelativa, ed ancora rappresenta, un campo di ricer-ca avanzata per applicazioni militari. Parallelamen-te, si sono osservate nel passato più recente dina-miche di accelerazione dell’utilizzo nel campo spa-ziale di tecnologie sviluppatesi in modo dirompen-te in ambiti commerciali (spin-in, breakthrough te-chnology) e che hanno portato in modo crescentealla costituzione di un set di tecnologie abilitanti

PRESENTE E FUTURO DELL’INDUSTRIA SPAZIALE ITALIANA

UN VERO TRAINO PER LA RIPRESADI ALBERTO TRABALLESI

e attività spaziali negli ultimi due decenni si sono sensibilmente sviluppa-te. Si è costituita una nuova mappa delle nazioni spaziali: da un club ristret-to di pochi paesi, si è passati a più di 50 stati con capacità in questo setto-re. Lo spazio, ovvero l'insieme di tecnologie e di sistemi relativi, rappresen-ta oggi un elemento essenziale per una molteplicità di attività umane, una

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comuni e alla possibilità di concepire e realizzaresistemi interamente duali.Se per anni siamo statiabituati a pensare alle applicazioni civili e a quel-le governative come ambienti separati, non comu-nicanti tra di loro, in quanto rispondenti a requisi-ti operativi e strategici diversi, oggi ciò non rap-presenta più la realtà. L’utilizzo dello stesso stru-mento per le applicazioni civili, ad esempio le ap-plicazioni a banda larga, e le esigenze di comuni-cazione istituzionale, ad esempio nei teatri d’ope-razione fuori area, è oggi un pilastro essenziale nel-le strategie europee, nelle quali l’Italia ben si in-nesta nella collaborazione con la Francia con i pro-getti Athena/Fidus e Sicral 2. La stessa considera-zione è parte essenziale del sistema per l’osserva-zione della Terra Cosmo-Skymed e delle sue ap-plicazioni e ricadute, ove settori, quali lo studiodelle foreste, del territorio, delle coste, dell’idro-logia, sono accompagnati dalle applicazioni gover-native di sicurezza e di controllo del terreno perapplicazioni strategiche. Anzi, con la sua costella-zione Cosmo-Skymed, concepita sin dall’iniziocon caratteristiche duali, l’Italia ha contribuito inmaniera determinante, e con anticipo rispetto allealtre potenze spaziali, alla definizione di questoapproccio innovativo al settore spaziale. Meno evidente, soprattutto per l’incapacità di in-formare adeguatamente l’opinione pubblica, è ilcontributo decisivo che tecnologie originariamen-te pensate per l’ambito militare hanno poi appor-tato al settore civile e scientifico. La capacità dipromuovere un adeguato trasferimento tecnologi-co costituisce per questo uno dei banchi di provadecisivi per ottimizzare l’impiego delle risorse del«sistema spazio» e per legittimare e rendere com-prensibili quelle scelte che hanno puntato sullo svi-luppo della tecnologia duale. I programmi spazia-li, peraltro, richiedono ingenti finanziamenti, perlo più governativi, e protratti nel medio e lungoperiodo, coerentemente con la dimensione plurien-nale dello sviluppo delle iniziative in questo cam-po, ovvero con la lunga incubazione necessaria nel-

la creazione di professionalità e know how nel set-tore. L’alto livello dei finanziamenti rende inelut-tabile per la maggior parte dei progetti la coopera-zione internazionale e la competitività nello spaziodi una nazione si misura sull’insieme delle sue ca-ratteristiche istituzionali e strutturali comparate aquelle delle altre nazioni spaziali. Si assiste ad unacrescente coscienza da parte dei responsabili delleistituzioni e delle industrie che le attività spazialirichiedono una partnership tra i governi o, meglio,tra i governi e le industrie.Un’analisi della situazione e delle prospettive del-l’industria spaziale italiana non può, quindi, pre-scindere da un suo inquadramento nello scenarioindustriale mondiale e, soprattutto, europeo.

Lo Scenario GlobaleLa «space economy» ha continuato a crescere ne-gli ultimi anni nonostante le perdite denunciate daaltri importanti settori industriali a fronte della per-durante crisi economica. L’incremento è stato nel2010 del 7.7 per cento, ben superiore al 5 per cen-to del 2008 e del 2009, in termine monetari pari a20 miliardi di dollari, con un totale stimato perl’economia spaziale di 276.52 miliardi di dollari.Una parte della crescita va attribuita all’aumentodelle spese governative, ma il 69 percento è meri-to del comparto commerciale: 32 per cento (87.39miliardi di dollari, con un incremento del 13 per

L’eccellenza dell’industriaitaliana si è evidenziatanegli ultimi anni a tuttocampo, dalla sistemistica ad elementi tecnologici allostato dell’arte e ha postol’Italia a buon diritto tra iprotagonisti internazionalidello spazio

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cento) nel settore manifatturiero e 37 per cento(102.00 miliardi di dollari, con un incremento del9 per cento) in quello dei prodotti e servizi spaziali.Imotivi di questo successo vanno ricercati nella stra-tegicità del settore spaziale, spesso protetto, nel-l’incremento dei paesi che investono nelle tecno-logie spaziali per conseguire obiettivi di crescitanazionale, ma soprattutto nella ciclicità dei sistemispaziali (ad esempio, il mercato di sostituzione diassetti giunti alla fine della loro vita operativa non-ché il rinnovo delle costellazioni) e nel crescentesuccesso dei servizi spaziali. I maggiori fatturaticontinuano a pervenire dalle telecomunicazioni, se-guite dal telerilevamento e dalla navigazione satel-litare. In particolare, è in aumento l’interesse nel-l’impiego delle immagini satellitari, nelle trasmis-sioni televisive e radio via satellite. Le istituzioni civili e militari, nonché diversi ope-ratori commerciali, seguitano a confidare nelle con-nessioni satellitari per le loro comunicazioni. Il su-peramento del digital divide sta ricevendo un de-terminante supporto dalla connessione ad internetvia satellite. L’industria dei lanciatori ha subito undecremento nel 2010 del 5 per cento, con 74 lanci

rispetto ai 78 dell’anno precedente, ma i carichi po-sti in orbita sono stati 118, contro i 111 del 2009.Tuttavia, nel mezzo di una crisi economica, segna-ta soprattutto dalla stagnazione del pil dei paesiBric e dall’austerità europea, l’andamento positi-vo del settore spaziale potrebbe subire una flessio-ne nei prossimi anni. La prevista riduzione in mol-ti paesi dei fondi, in particolare per la scienza e ladifesa, potrebbe avere qualche impatto, sia pur li-mitato, sui contratti delle agenzie e delle industriespaziali nei prossimi tre anni. Questo perché le in-dustrie continuano a dipendere dai bilanci pubbli-ci per la ricerca e sviluppo nei satelliti e nei lancia-tori. Peraltro, i principali clienti per i grandi e pic-coli satelliti continuano a essere i governi. Comun-que, per il momento i bilanci per lo spazio di di-versi paesi permangono stabili se non in crescita.

Lo Scenario EuropeoCon il Trattato di Lisbona del 2007 le istituzioni

dell’Unione europea hanno acquisito specifichecompetenze nella politica spaziale, sancendo la stra-tegicità della risorsa spazio. Le recenti scelte fan-no ritenere che la sicurezza diventerà l’obiettivochiave dei futuri investimenti nelle applicazionispaziali. Il sistema di navigazione satellitare Gali-leo, prima infrastruttura di proprietà dell’Ue, eranato con precise e conclamate caratteristiche «ci-vili». Ora il progetto è diventato essenziale per lasalvaguardia della sicurezza e della difesa dei cit-tadini europei, tanto che le maggiori attenzioni so-no riservate allo sviluppo e all’operatività del Prs(Public regulated service), il servizio di precisio-ne riservato alle istituzioni. Per l’Esa, l’Agenziaspaziale europea, non è più un tabù trattare le que-stioni di sicurezza e difesa in stretta collaborazio-ne con l’Eda (European defence agency). Analo-gamente, anche per il programma Gmes (Globalmonitoring for environment and security) sono sta-te superate tutte le ambiguità nell’interpretazionedel significato da attribuire alla «S» dell’acronimo,dando al progetto la caratteristica principale di sup-

Il termine tecnologia dualeè stato sempre più frequentemente utilizzato per indicare tecnologie suscettibili di applicazioni sia in ambito civile che militare e riguarda uno spettro abbastanza ampio di tecnologie nel quale un ruolo particolarmente significativo hanno assuntole tecnologie spaziali

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porto alla sicurezza europea, intesa come civile,ma in pratica anche militare. Ovvero, in ambitoUnione si assiste ad una convergenza nei fatti trasicurezza e difesa, anche se a parole continuanoa seguire vie separate. Al momento tutte le attivi-tà sono state concentrate sulla «sicurezza dallospazio» e solo nel recente passato si è comincia-to a discutere di un argomento di assoluta attua-lità ed importanza, ma che richiede ingenti risor-se, quale quello della «sicurezza dello spazio»,con lo «Space situational awareness preparatoryprogramme».L’industria spaziale europea è una nicchia strate-gica del vasto complesso industriale europeo del-l’aerospazio e difesa. A quattro larghe holding in-dustriali (Eads, Finmeccanica, Safran e Thales)risale più del 70 per cento degli impieghi nell’in-dustria spaziale europea. Le unità produttive de-dicate più significative si trovano in Eads Astriumed in Thales Alenia Space (joint venture tra Fin-meccanica e Thales). Questi due raggruppamen-ti transnazionali rappresentano il risultato in Eu-ropa dell’imponente processo mondiale di conso-lidamento del settore, che si è svolto nelle ultimedue decadi. Sono, come tutto il settore, caratte-rizzati da un’alta intensità di innovazione e diR&S. Qualità che rappresentano una barriera d’in-gresso per le Pmi, tendenzialmente con una mi-nor capacità d’investimento, come è possibile ri-levare nella realtà italiana. Le Pmi, infatti, rap-presentano meno dell’8 percento del totale degliimpieghi nell’industria spaziale europea, anchese esprimono il 43 per cento delle unità produt-tive del comparto.Il processo di consolidamento ha comportato an-che il fenomeno di una crescente esternalizzazio-ne. Se sino all’inizio degli anni Novanta l’impre-sa spaziale presentava una forte verticalizzazio-ne, oggi la vastità e complessità delle applicazio-ni ha imposto ai grandi gruppi di concentrarsi sulcore business, identificando nel contempo una re-te di collaborazioni e partnership per mantenere

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e rafforzare la capacità innovativa. Tale processoha determinato riposizionamenti nella catena delvalore dei sistemi spaziali ed ha come obiettivola concentrazione degli investimenti interni dellagrande impresa, con il presidio dello spettro del-le tecnologie e dei prodotti indispensabili per laprogettazione e la realizzazione di sistemi spazia-li competitivi. Nel 2010 il turnover dell’industriaspaziale europea è stato di 6.1 miliardi di euro, increscita rispetto ai 5.5 miliardi euro dell’anno pre-cedente. Un record in tempi di crisi economica,come record è stato l’incremento di occupati,35mila lavoratori a tempo pieno. I risultati posi-tivi vanno attribuiti per lo più alle commesse isti-tuzionali, dove, però, quelle per la difesa restanosotto il miliardo di euro e fanno capo solo ai quat-tro paesi di punta nelle attività spaziali, nell’or-dine: Francia, Germania, Italia e Regno Unito.Resta comunque alta, anche per il 2011, la con-correnza delle industrie americane sul mercatoeuropeo, nonostante che i clienti europei conti-nuino ad essere i principali acquirenti dell’indu-stria europea, con l’Esa in primo piano.

L’Industria Spaziale ItalianaL’industria spaziale è uscita ormai dal puro model-lo istituzionale per entrare a pieno titolo nel nove-ro delle attività che, pur conservando appieno siail loro rilievo strategico che un alto profilo scien-tifico, non possono non riferirsi a modelli compe-titivi, garantendo a qualsiasi tipo di azionista chele promuove adeguati ritorni economici.Una sfida difficile nel dover conciliare elevati tas-si di innovazione, soluzioni adeguate alle sfidescientifiche e a quelle industriali, una competizio-ne crescente da parte dei paesi emergenti ed infi-ne il presidio di competenze chiave nazionali in uncontesto di cooperazione, ma anche di competizio-ne sempre più vasto, europeo prima e mondialesuccessivamente. Certamente un’opportunità peril sistema industriale spaziale italiano, ma anche lanecessità di un attento presidio delle capacità si-

stema paese il cui sviluppo non può avere nessunasoluzione di continuità.Nel quadro che abbiamo delineato, l’industria spa-ziale nazionale opera a pieno titolo e con risultatidi rilievo, tanto da essere diventata il terzo playereuropeo nello sviluppo e commercializzazione deisistemi spaziali, dopo aver consentito al paese diessere la prima nazione europea, la terza nel mon-do, a porre un satellite in orbita. Nel 2010 il suoturnover ha superato i 1500 milioni di euro, in cre-scita per il terzo anno consecutivo, anche se conun ulteriore contrazione degli addetti, scesi sottole 5mila unità. Nello stesso anno il turnover dellesole Pmi è salito a 145 milioni di euro, con una ri-duzione dei dipendenti da 5870 a 3468.L’industria spaziale italiana rappresenta non solouno dei campi di superiorità tecnologica del pae-se, ma anche una realtà industriale di primo livel-lo, un settore rilevante per l’economia sia per quan-to riguarda la componente manifatturiera che per

La space economyha continuato a crescerenegli ultimi anni nonostante le perditedenunciate da altri settori a fronte della perdurante crisi economica.L’incremento è stato nel 2010 del 7,7 per cento,ben superiore al 5 per centodel 2008 e del 2009, in termine monetari pari a20 miliardi di dollari, conun totale stimato per l’economia spaziale di 276miliardi di dollari

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quella dei servizi associati ed a valore aggiunto.Occorre notare al riguardo che il menzionato pro-cesso di consolidamento del settore spaziale ha vi-sto protagonista il paese innanzitutto attraverso ilmondo Finmeccanica, con la costituzione della co-siddetta «Space Alliance» con Thales, nella qualela componente manifatturiera è rappresentata daThales Alenia Space, joint venture con Thales al 67per cento e Finmeccanica al 33 per cento, e la com-ponente servizi da Telespazio, ove lo schema azio-nario è speculare. Al gruppo fa riferimento anchel’unità di business che si occupa di spazio di SelexGalileo, con eccellenza nel campo delle tecnologiee sistemi ottici, degli strumenti scientifici e robo-tici e delle tecnologie di alimentazione. Nel campo dell’accesso allo spazio e dei lanciatoriil player “nazionale” è Avio, con una quota socie-taria considerevole posseduta da fondi di investi-menti internazionali e un ruolo preminente nel set-tore dei lanciatori ed in particolare nello sviluppodel piccolo lanciatore dell’Esa, ma con contributopreponderate ed essenziale dell’Italia, Vega. Seguo-no player minori da un punto di vista dimensiona-le, ma con importanti specializzazioni tecnologichee sistemiche, quali Cgs, Compagnia generale dellospazio, inserita nel gruppo tedesco Ohb, Space en-gineering, recentemente oggetto di acquisto di quo-ta maggioritaria da parte di Astrium, e un mondopiù frastagliato di Pmi di dimensioni minori.Que-sta presenza di compagini industriali straniere do-vrebbe, però, essere attentamente valutata e control-lata, perché se espressione dell’attrattiva esercitatadall’eccellenza della nostra industria, tale da tradur-si in investimenti nella nostra filiera produttiva chene potrebbero aumentare la base produttiva e la ca-pacità innovativa, è ovviamente auspicata e benve-nuta. Non altrettanto se si dovesse trattare di meriacquisti per potersi avvantaggiare dei flussi finan-ziari, che interessano la mostra industria e che po-trebbero essere reinvestiti con obiettivi non in lineacon le strategie nazionali. L’eccellenza dell’indu-stria italiana si è estrinsecata negli ultimi anni a tut-

to campo, dalla sistemistica ad elementi tecnologi-ci allo stato dell’arte e ha posto l’Italia a buon di-ritto tra i protagonisti internazionali dello spazio.Risultato che vede la componente industriale cometerminale di un sistema paese che – tramite le pro-prie istituzioni preposte, in primis Agenzia spazia-le italiana, con un ruolo significativo del ministerodella Difesa e sotto il coordinamento della presi-denza del Consiglio dei ministri – ha consentito ilconseguimento di questo successo.Come tutti i mondi di frontiera il contesto è tale,però, che non è possibile fermare nemmeno perun attimo l’evoluzione dell’ingegneria sistemicae della tecnologia spaziale. Nel momento in cui isistemi richiamati sono entrati o entreranno nelprossimo futuro in fase operativa, ci dobbiamo giàporre il problema di quali saranno le evoluzionifuture e di come le dobbiamo presidiare attraver-so la nostra industria inserita nel contesto indu-striale e di cooperazione paneuropea. Nel campodelle telecomunicazioni avremo sempre più l’esi-genza di sistemi flessibili, in grado di riconfigu-rare la risorsa satellite in funzione del traffico edelle condizioni operative e ciò avrà profondi im-patti nella sistemistica e nelle tecnologie abilitan-ti. Nel settore dell’osservazione, la possibilità di“vedere” oggetti in movimento sia sulla superfi-cie che in mare rappresenterà uno strumento dina-mico di particolar importanza per gli aspetti di si-curezza e per fini istituzionali. A valle delle esperienze sul campo cumulate ne-gli scorsi anni, soprattutto nelle operazioni di pea-ce-keeping, è emersa inoltre la necessità di ana-lizzare come poter aumentare la space responsi-veness, ovvero il dispiegamento di assetti spazia-li, limitato nel tempo e nello spazio ed in tempirapidi. Nel campo della esplorazione planetariasarà possibile capitalizzare l’esperienza accumu-lata nei moduli pressurizzati e più recentementenegli studi abilitanti su sistemi gonfiabili, per co-struire elementi prodromi della costituzione di pic-cole colonie spaziali attraverso lo sviluppo della

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tecnologia degli spazi abitativi pressurizzati. Duefiloni nei quali l’industria italiana ha un ruolo ri-conosciuto, ovvero rappresenta in alcuni casi fron-tiere di sviluppo. È doveroso anche segnalare l’im-pegno dell’industria italiana nel completamentodella stazione spaziale internazionale e la genera-zione di idee ed esperimenti (es. microgravità), es-senziali per lo studio dei materiali, della biologiamolecolare, della sintesi di molecole nello spazio,che tanti elementi conoscitivi ha portato e porte-rà alle scienze mediche e biologiche. Ma alla ba-se dei grandi programmi applicativi c’è uno spet-tro di tecnologie abilitanti vasto, nel quale nessu-na compagine industriale può essere isolata. Lacatena del valore di un sistema spaziale è costitui-ta da decine di fornitori integrati in un complessosistema di pianificazione, logistico ed industriale.In questo contesto, la centralità della piccola me-dia e impresa nel tessuto economico del paese rap-presenta un cardine della politica industriale ita-liana. Il nostro tessuto economico si caratterizza,infatti, in modo chiaro per una forte presenza diPmi e l’allargamento dei mercati, la dimensioneglobale della competizione, l’emergere di nuoveeconomie impone necessariamente una riflessio-ne su come sostenere e consentire al comparto ilrichiesto livello di competitività.Il collegamento della piccola e media impresa conla rete cooperativa, nata dopo il consolidamento el’esternalizzazione delle attività non core business,risulta l’unico modello che può consentire allePmi spaziali italiane di poter beneficiare di cana-li di accesso abilitanti a una crescita strutturale e,nel medio lungo termine, l’accumulo di compe-tenze, tecnologie e prodotti in grado di sostenereuna presenza redditizia e un ruolo significativonell’industria spaziale. Quindi, opportunamenteinnestate nelle strategie della grande impresa, po-ol di Pmi specializzate e complementari possonocontribuire ad arricchire e rafforzare competenzechiave della grande, in modo solido, robusto e red-ditizio. Tale visione impone una governance tec-

nologica complessiva di medio-lungo termine, checoinvolga tutti gli stakeholder della tecnologiaspaziale. Un modello di governance possibile po-trebbe essere ricavato da quello denominato «Ex-ploraLab», che è stato sviluppato nello studio com-missionato dall’Agenzia spaziale italiana per pro-porre una risposta efficace alle sfide del Program-ma di esplorazione del sistema solare, ma è adat-tabile a tutte le situazioni di sviluppo di tecnolo-gie spaziali abilitanti. ExploraLab è stato ideato come un cluster di cen-tri di Ricerca & Sviluppo, pubblici e privati, or-ganizzati in network. Più specificatamente, il la-boratorio è costituito dall’unione di infrastrutturee competenze, dedicate e condivise, e da un siste-ma per la loro gestione. Il pool di soggetti coin-volti nel cluster è suddiviso in diversi insiemi ca-ratterizzati da competenze e obiettivi comuni, nel-l’ambito delle attività di sviluppo dei sistemi e deisottosistemi pianificati: i network tematici. Ogninetwork presiede un segmento omogeneo del pro-gramma e s’incentra in un nodo primario di aggre-gazione, attorno al quale la rete cresce e si svilup-pa. Secondo questa nomenclatura si può efficace-mente definire ExploraLab come un cluster di net-work, dotato di governance, (la Cluster manage-ment company).Nel perseguimento delle tecnologie abilitanti, si-no alla realizzazione di sistemi e sottosistemi, ogninetwork deve esaltare la possibilità di impiegocommerciale dei risultati, per massimizzare le ri-cadute nel breve medio periodo in mercati anchedifferenti da quello spaziale ed ottimizzare i ritor-ni economici. Un esempio chiarificatore può es-sere quello delle serre spaziali, progetto ibrido che,sebbene sviluppato per supportare la vita umanacon colture in ambienti ostili come quelli lunari omarziani, ha generato, allo stesso tempo, tutta unaserie di prodotti e tecnologie ampiamente utiliz-zabili sulla Terra, per migliorare sia la qualità e ladiffusione della produzione agricola, sia l’impat-to che questa ha sull’ambiente.

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nuovo millennio, quando nel Duemila gli sforzi con-giunti di Commissione europea e Agenzia spazialeeuropea (Esa) hanno portato alla stesura del primodocumento europeo di natura strategica sullo spazio. Nel 2007, l’adozione da parte della Commissione edell’Esa di una Politica spaziale europea (Pse) hacontribuito a confermare definitivamente il ruolo stra-tegico dello spazio nella vita politica, economica esociale dell’Unione europea (Ue) e dei suoi stati na-zionali, fornendo linee guida fondamentali per accre-scere l’efficienza e l’efficacia delle diverse attivitàeuropee in ambito spaziale. Il documento ha contri-buito a delineare la missione strategica delle attivitàspaziali europee, fissando una serie di obiettivi perla Pse: sviluppare e favorire l’utilizzo di applicazio-ni spaziali in grado di servire gli obiettivi di politicapubblica europea, e le necessità di cittadini e impre-se; soddisfare le esigenze europee nei settori della si-curezza e della difesa; incoraggiare la crescita diun’industria spaziale europea forte e competitiva;promuovere il progresso tecnologico e scientifico,contribuendo allo sviluppo di una società basata sul-la conoscenza; assicurare l’accesso a tecnologie, si-stemi e capacità critici o di nuova produzione, chegarantiscano lo sfruttamento indipendente delle ap-plicazioni spaziali europee. Il Trattato di Lisbona, en-trato in vigore nel dicembre 2009, ha contribuito a

rafforzare l’impronta europea sulla politica spaziale,introducendo con gli Articoli 4 (3) e 189 una com-petenza specifica e condivisa all’Ue sulle materiespaziali, in particolare promuovendo iniziative co-muni, sostenendo la ricerca e lo sviluppo tecnologi-co, nonché coordinando gli sforzi per l’esplorazionee l’uso dello spazio. È importante notare che tale com-petenza non preclude in alcun modo quella degli sta-ti membri. Al contempo, la rinnovata intraprenden-za europea in ambito spaziale ha dato vita ad ambi-ziose iniziative, tra cui spiccano i due flagship pro-grams Galileo e Gmes. Il primo ha l’obiettivo di for-nire all’Europa un sistema globale di navigazione sa-tellitare, mentre il secondo punta a rafforzare le ca-pacità europee di osservazione e monitoraggio delpianeta Terra.L’esperienza maturata in Europa in questi anni haconfermato la necessità di un forte impegno istitu-zionale in ambito spaziale. A causa delle peculiaritàdel settore – un mercato limitato ma dall’alto valorestrategico, caratterizzato da forti barriere all’entratae da ingenti costi in R&D determinati dall’intensitàtecnologica e dai lunghi cicli di sviluppo dei prodot-ti – il sostegno pubblico, politico e finanziario, risul-ta un elemento fondamentale per garantire la conti-nuità delle attività spaziali in Europa e il raggiungi-mento degli ambiziosi obiettivi fissati dalla Pse.

LE LINEE GUIDA DELLA POLITICA SPAZIALE DEL VECCHIO CONTINENTE

IL CIELO DELL’EUROPADI NICCOLÒ SARTORI

egli ultimi quindici anni i successi europei in ambito spaziale hanno per-messo all’Europa di accrescere la propria indipendenza strategica, il pre-stigio scientifico e tecnologico, e la capacità di agire come un attore diprimo livello nel contesto internazionale. La necessità di un approcciocoordinato alle questioni spaziali è chiaramente emersa all’inizio del

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Tuttavia, l’efficacia dell’intervento pubblico a soste-gno del settore spaziale rischia di essere fortemente li-mitata dalle attuali caratteristiche della governancedello spazio in ambito Europeo. Infatti, nonostantenegli anni passati siano state avviate alcune impor-tanti iniziative in questo senso, la mancanza di chia-rezza sulle competenze e la duplicazione dei ruoli trai principali attori spaziali europei rappresenta ancoraun forte limite allo sviluppo equilibrato del settore.

La governance della politica spaziale eu-ropea è estremamente complessa, ed è a causa diquesta complessità che il settore dello spazio – no-nostante gli sforzi profusi – soffre di evidenti de-bolezze strutturali. Per descriverne il funzionamen-to si ricorre comunemente all’espressione «trian-golo istituzionale», che sintetizza in modo chiarola relazione tra l’Esa, l’Ue e i rispettivi stati mem-bri. I meccanismi del «triangolo istituzionale» evi-denziano i due nodi principali della governancespaziale europea: il rapporto tra Esa e Ue, e la pre-valenza del metodo intergovernativo nel decision-making europeo in ambito spaziale.Esa e Ue sono due istituzioni indipendenti, l’una dinatura intergovernativa, l’altra di carattere sovrana-zionale. Esse hanno differenti competenze, diversistati membri, e operano attraverso differenti regolee procedure. Mentre la prima nasce esplicitamentecon l’obiettivo di coordinare la politica spaziale inEuropa, la seconda ha rafforzato solo di recente – inparticolare grazie alle disposizioni dell’Art. 189 delTrattato di Lisbona – la propria competenza in ma-teria spaziale. L’Esa è stata creata nel 1975 conl’obiettivo di sostenere e promuovere la cooperazio-ne tra gli stati europei in ambito spaziale. Essa ha an-che il compito di coordinare la propria attività con iprogrammi delle agenzie spaziali dei suoi paesi mem-bri, nella prospettiva di una progressiva integrazio-ne delle iniziative nazionali con quelle europee. L’Esaè essenzialmente un ente di ricerca e sviluppo, ed haun ampio programma che include attività nei campidella scienza, dell’osservazione della Terra, delle te-lecomunicazioni e delle tecnologie del segmento spa-

ziale. Essa opera attraverso due tipi di programmi,«obbligatori e opzionali». I primi, ai quali contribui-scono tutti i paesi membri in modo proporzionale alloro reddito nazionale, comprendono le attività di ba-se dell’Agenzia. I secondi, che coinvolgono – a dif-ferenti livelli di partecipazione finanziaria – solo ipaesi membri interessati, riguardano settori specifi-ci come l’osservazione della Terra, le telecomunica-zioni, la navigazione, il volo spaziale con equipag-gio umano e i lanciatori. Le procedure di gestione deiprogrammi sottolineano la natura puramente inter-governativa dell’Esa, che ha un risvolto anche nellafunzione di sviluppo industriale dell’Agenzia: essa,infatti, gestisce le proprie attività applicando il prin-cipio del «ritorno geografico» (juste retour), lo stru-mento che garantisce agli stati membri un equo ri-torno industriale e tecnologico in base agli investi-menti effettuati su ciascun programma.La competenza dell’Ue in ambito spaziale è decisa-mente più recente, e la sua attività si basa su pratichee procedure radicalmente differenti rispetto a quelledell’Esa. La crescente rilevanza politica, economicae sociale dello spazio – le sue applicazioni possonoessere utilizzate, ad esempio, in ambiti come l’agri-coltura e la pesca, lo sviluppo e la cooperazione coni paesi in via di sviluppo, i cambiamenti climatici el’ambiente, i trasporti e l’energia – ha alimentato l’in-teresse dell’Ue a giocare un ruolo sempre più impor-tante nel settore. Dai primi anni Duemila l’Ue ha in-serito il tema spazio nella sua agenda politica – e alcentro del processo di integrazione europea – diven-tando a tutti gli effetti il secondo attore “istituziona-le” spaziale in Europa accanto all’Esa. La Commis-sione, attraverso l’attività della DG Enterprise&Indu-stry e gli strumenti finanziari forniti dal 6° e 7° Pro-gramma quadro, ha stabilito una politica di ricerca esviluppo nel settore spaziale che permetta all’Ue digiocare un ruolo chiave nello sviluppo di applicazio-ni e tecnologie spaziali a vantaggio dell’Europa, del-le sue imprese e dei suoi cittadini. A differenza del-l’Esa, la Commissione adotta un approccio competi-tivo nei confronti del mercato spaziale. Da un lato es-sa lavora per garantire una sempre maggiore integra-

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zione del mercato spaziale europeo, mentre dall’altroi finanziamenti erogati dalla Commissione non rispon-dono in alcun modo al principio del «ritorno geogra-fico» – irrilevante in ambito Ue – ma si basano sulprincipio della competizione.

L’obiettivo di una più efficace politica spa-ziale europea ha spinto le due istituzioni – nonostan-te le differenze appena sottolineate – verso un pro-gressivo rafforzamento della loro cooperazione. Il fra-mework agreement firmato da Esa e Commissionenel maggio 2004 fornisce le basi legali per l’appro-fondimento del dialogo interistituzionale. Grazie al-l’accordo è stato creato il segretariato congiunto Esa-Commissione europea, ed è stato istituito lo Spacecouncil europeo, il meeting unitario del Consiglio del-l’Unione europea (nella sua formazione Competitivi-tà) e del Consiglio dell’Esa a livello ministeriale in-caricato di discutere gli orientamenti e le priorità eu-ropee in ambito spaziale. Negli otto Space council te-nutisi sino ad oggi, Esa e Commissione hanno con-tribuito a definire il ruolo strategico dello spazio perl’Europa e le rispettive responsabilità in materia spa-ziale, a stabilire la roadmap per i programmi Gmes eGalileo, a identificare le linee guida della Pse e glistrumenti per portarla avanti, a definire il contributodelle attività spaziali all’innovazione e alla competi-tività dell’industria europea, e ad individuare le sfidefuture per il settore spaziale europeo.Accanto ai due principali attori istituzionali Esa e Ue,non va assolutamente dimenticato il ruolo dei singo-li stati nazionali nel definire le linee guida della po-litica spaziale in Europa. A conferma della natura pret-tamente intergovernativa che guida le iniziative inambito spaziale, gli stati nazionali mantengono an-cora forte controllo sull’indirizzo delle loro attivitàspaziali, e intraprendono iniziative nel settore al difuori dei tradizionali framework di cooperazione crea-ti da Esa e Commissione: programmi satellitari na-zionali quali Helios, Sar-Lupe e Cosmo-SkyMed so-no l’emblema del forte interesse dei paesi europei asviluppare e mantenere proprie capacità e competen-

ze in materia spaziale – e soprattutto nella sfera mili-tare. In ambito nazionale, la gestione della politicaspaziale è affidata, per la parte civile, dalle agenziespaziali o dai ministeri della ricerca e, per la parte mi-litare, dai ministeri della difesa, che poi operano an-che congiuntamente, come avviene in Italia per il pro-gramma Cosmo-SkyMed. Sebbene queste ammini-strazioni tendano a cooperare e coordinarsi tra loronello sviluppo di capacità nazionali, non mancano an-che a livello interno difficoltà nell’attribuzione dellecompetenze e sdoppiamento dei ruoli, data anche lanatura prettamente duale delle tecnologie spaziale.Infine, la crescente rilevanza delle attività spaziali nel-le politiche di sicurezza e difesa, in particolare comestrumento centrale per un’efficace Politica di sicurez-za e di difesa Comune (Psdc), ha contribuito all’asce-sa di un ulteriore attore europeo nella governance del-le politiche spaziali, l’Agenzia per la difesa europea(Eda). Unica agenzia europea direttamente menzio-nata da Trattato di Lisbona, l’Eda partecipa insiemea Commissione, Esa, Segretariato generale del Con-siglio e direzione per la Gestione delle crisi e la pia-nificazione (Cmdp) del Servizio europeo d’azioneesterna (Seae) ai lavori del Dialogo Strutturato sulloSpazio e la Sicurezza, forum di coordinamento dellerispettive attività istituzionali in ambito spaziale. Co-me sottolineato durante il settimo Space council: l’Eu-

In Europa vige la regoladella concorrenza, nell’Esaquella della ripartizionegeografica dei progetti che non segue logiche del mercato, con costiaggiuntivi. Per il futurò servirà trovare una sintesiper mantenere alto il valore strategico del settore spazio europeo

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ropa è chiamata a identificare modi per rafforzare leattuali e future necessità di gestione delle crisi garan-tendo l’accesso a robusti e sicuri assetti e servizi sa-tellitari per la comunicazione, l’osservazione dellaterra, il posizionamento e la navigazione, traendo van-taggio anche dalle sinergie emergenti in ambito dual-use (civile-militare). L’Eda, grazie alla sua azioneorientata principalmente all’armonizzazione dei re-quirement e al coordinamento degli sforzi europei diR&D nel settore della difesa, gioca un ruolo crescen-te nella determinazione delle necessità e delle priori-tà in termini di capacità spaziali. Tuttavia, il fatto chei programmi di sviluppo industriale e il procurementvengano condotti a livello nazionale al di fuori del-l’Agenzia stessa, limita fortemente la capacità di con-trollo “europeo” sulle attività del settore. Lo scenario che emerge dall’analisi degli attori isti-tuzionali attualmente coinvolti nei processi di gover-nance della politica spaziale europea mostra in mo-do abbastanza eloquente il sovraffollamento e la man-canza di chiarezza sui compiti, le competenze e le ge-rarchie sul lato della domanda pubblica. Questa situa-zione rischia di alimentare il divario tra il consolida-to potenziale europeo in ambito tecnologico e indu-striale e l’assenza di un’effettiva capacità di svilup-

pare una politica spaziale adeguata. L’incapacità diraggiungere un accordo sulla governance delle atti-vità spaziali in ambito europeo implica, in definitiva,uno spreco di competenze e denaro per l’Europa.

Le differenze con un modello di comprova-ta efficienza come quello americano fa risaltare in mo-do ancora più evidente il grande lavoro di razionaliz-zazione necessario in ambito europeo. Gli Stati Uni-ti, infatti, hanno una politica spaziale coerente cheprevede la suddivisione delle responsabilità tra dueattori principali, uno civile e uno militare, che gesti-scono la maggior parte del budget pubblico relativoalle attività spaziali. La National aeronautics and spa-ce administration (Nasa) agisce principalmente comeagenzia di ricerca e sviluppo, concentrandosi su atti-vità scientifiche e di avanzata ricerca tecnologica; ilDipartimento della Difesa (DoD), gioca un ruolo pri-mario nella gestione dei programmi di sviluppo indu-striale e di procurement, focalizzandosi sullo svilup-po di sistemi di navigazione, telecomunicazione e os-servazione della Terra. L’attività delle due istituzioniè sostanzialmente complementare, e caratterizzata dacontinui sforzi di cooperazione e interscambio. In Eu-ropa, come detto, l’Esa svolge più o meno (con bud-get sensibilmente minori) le funzioni di ricerca e svi-luppo portate avanti dalla Nasa. Accanto alle sue at-tività, tuttavia, le singole agenzie spaziali nazionalioperano in modo indipendente e con budget talvoltaben maggiore rispetto a quello dedicato al contribu-to per l’Esa, come nel caso francese. Questa situazio-ne crea un evidente sdoppiamento degli sforzi e unaperdita di efficienza nell’utilizzo delle risorse finan-ziarie disponibili. In ambito militare la situazione èancora più critica: non solo vi è lo sdoppiamento traattività europee – condotte dall’Eda – e quelle nazio-nali portate avanti dai singoli ministeri della Difesa,ma vi è anche un forte disequilibrio e mancanza di ri-sorse in seno all’agenzia di Bruxelles. Con un budgettotale di 30 milioni di euro, l’Eda non ha una capaci-tà propria di ricerca e sviluppo ma è costretta a opera-re come ente di coordinamento, mentre le attività tec-

La politica europea potrebbe pensare di favorire lo sfruttamentocommerciale delle applicazioni spaziali, nella speranza che i vari settori possano raggiungerelivelli sufficienti di auto-sostenibilità, comeaccaduto ad esempio nell’ambito delle telecomunicazioni

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nologiche e industriali vengono condotte dai vari mi-nisteri. Infine vi è il ruolo anomalo dell’Ue, non assi-milabile né a quello di un’agenzia impegnata nellaR&D né a quello di un’amministrazione incaricata digestire il procurement pubblico in ambito spaziale.L’Ue – il cui mandato non permette alcun tipo di ar-monizzazione delle disposizioni legislative e regola-mentari degli stati membri – attraverso la Commissio-ne e i fondi erogati dai suoi programmi quadro, finan-zia e coordina attività di ricerca e sviluppo nel tenta-tivo dotare l’Europa di una politica industriale per ilcomparto spaziale in grado di promuovere l’efficien-za e la competitività internazionale del settore. L’atti-vità della Commissione, inoltre, esclude le materie pu-ramente militari – dove gli stati nazionali mantengo-no ancora forte controllo sulle attività di investimen-to. Gli effetti negativi legati alla complessa governan-ce delle politiche spaziali in Europa si manifestano inmodo evidente nelle difficoltà sperimentate dai prin-cipali programmi spaziali condotti a livello europeo:Galileo e Gmes. Recentemente, le difficoltà nel finan-ziare e gestire questi complessi programmi scientifi-co-tecnologici di lungo termine hanno spinto la Com-missione ad escludere dal suo ultimo Piano di finan-ziamento pluriennale 2014-2020 (Multiannual finan-cial framework, Mff) il programma Gmes.

La Commissione, nella sua proposta di budget,ha deciso di rinunciare al finanziamento del suo pro-gramma – a lungo definito di interesse strategico perla politica europea e costantemente incluso tra le prio-rità della stessa – scaricandone la responsabilità suglistati membri. Essi – previo raggiungimento di un ac-cordo intergovernativo in seno al Consiglio – sareb-bero chiamati a finanziare su base nazionale lo svi-luppo del programma, attraverso un contributo fissa-to in base al proprio reddito nazionale lordo. Rimaneda sciogliere il nodo della governance del program-ma, rispetto alla quale la Commissione ha recente-mente avanzato una proposta parziale. Si prospettaun ruolo chiave per agenzie ed organizzazioni euro-pee competenti negli ambiti di applicazione di Gmes

land, emergencies, atmosphere, ma non vi sono an-cora indicazioni in merito ai campi marine e securi-ty. Per questi ultimi è ipotizzabile il coinvolgimentodi altre agenzie e organizzazioni specializzate, anchesfruttandone possibili sinergie. Si pensa per esempioa Emsa, Frontex, Eusc, Eeas, ed Eda. Tuttavia, è so-prattutto la definizione della governance della dimen-sione security di Gmes a creare più controversie edesitazioni, data la sensibilità delle informazioni coin-volte e gli interessi di sicurezza nazionale degli statimembri. Quanto alla Commissione, il ruolo propostoè di coordinamento politico e di gestione dei fondi;mentre l’Esa, in cooperazione con Eumetsat, si occu-perebbe dello sviluppo e delle operazioni delle Sen-tinelle. Nel prossimo Mff sarà invece rinnovato il fi-nanziamento di Galileo. Dopo le difficoltà sperimen-tate negli anni passati con il passaggio dalla malripo-sta gestione attraverso una Public-private partnership(Ppp) al finanziamento completamente pubblico sta-bilito nel 2007, la Commissione ha identificato le ap-plicazioni Gnss fornite dal sistema come un bene pub-blico, decidendo di allocare 7 miliardi di euro per ilproseguimento delle attività di Galileo nel prossimoMff. La scelta della Commissione sancisce l’impos-sibilità di mantenere l’investimento su Galileo su ba-se commerciale, e sottolinea la necessità di un impe-gno finanziario pubblico per tutta la durata del pro-gramma. Nota positiva, la Commisione ha propostouna governance della fase operativa del sistema chechiarisce il ruolo politico e tecnico degli attori giàcoinvolti nel programma, evitando l’istituzione di nuo-vi enti e sovrapposizioni di competenze. Le funzioni

La complessità e il caratterestrategico dello spaziorichiedono all’Europa di agire in modo rapidonella definizione dellagovernance delle proprieattività spaziali

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relative alle operazioni di Galileo sarebbero infatti af-fidate alla European Gnss agency (Gsa), mentre allaCommissione verrebbe attribuito un ruolo di super-visione politica, di gestione dei fondi, e di monitorag-gio dei progressi del programma per conto dell’Ue.L’Esa, attraverso accordi-delega, sarebbe responsa-bile dello sviluppo e del completamento dell’infra-struttura. La questione delle future modalità di finan-ziamento e gestione dei programmi diviene pertantoun elemento chiave di tutta l’architettura spaziale inEuropa. Nel caso si ritenesse necessario proseguirecon le procedure attuali e mantenere un finanziamen-to puramente pubblico, passi avanti possono e devo-no essere fatti per razionalizzare la governance isti-tuzionale. Infatti, il finanziamento pubblico implicail ricorso a risorse che attualmente non sono disponi-bili nel budget dell’Ue. Per ovviare a questa situazio-ne, una prima possibile opzione potrebbe essere l’in-corporamento dell’Esa nella struttura dell’Ue, con re-lativo assorbimento del bilancio Esa nella linea di bi-lancio spaziale dell’Unione.

Questa possibilità, poco condivisa in ambito po-litico, presenta problematiche non indifferenti. Primadi tutto, la difficoltà nel conciliare il principio del «ri-torno geografico» con l’approccio dell’Ue basato sulprincipio comunitario della libera concorrenza. Inol-tre, si dovrebbero fare i conti con le resistenze inter-ne all’Esa – che andrebbe a perdere potere e indipen-denza a vantaggio dell’Ue – nonché con l’effettivacapacità dell’Agenzia di diventare il braccio esecuti-vo di Bruxelles sulle tematiche spaziali senza perde-re il proprio dinamismo, derivante anche dalla sua na-tura intergovernativa e dalla struttura variabile. Danon trascurare, infine, la diversa composizione nazio-nale delle due istituzioni. Alternativamente, si potreb-be adottare un approccio intermedio, simile a quelloche ha ispirato la creazione dell’Eda. L’Esa verrebbeconcepita come l’Agenzia Europea per lo Spazio, po-sta sotto l’autorità ed il controllo politico del Consi-glio. Mantenendo una natura intergovernativa e a geo-metria variabile, tale scelta risolverebbe il problema

degli undici paesi membri dell’Ue che non parteci-pano alle attività dell’Agenzia. Resterebbero tuttavianon del tutto risolte le difficoltà nel conciliare il prin-cipio del «ritorno geografico» con quello comunita-rio, e la questione dei paesi Esa non membri dell’Ue,Norvegia e Svizzera. Nel caso invece si decidesse dimantenere l’indipendenza dell’Esa, sarà assolutamen-te necessario decidere (in modo chiaro) con quali mo-dalità l’Ue sarà chiamata a definire il proprio contri-buto al finanziamento di alcuni o di tutti i program-mi spaziali europei. Da un lato si potrebbe rinegozia-re il Framework agreement Esa-Ue, integrandolo condisposizioni che sanciscano il coinvolgimento siste-matico – seppur indipendente – dell’Esa come agen-zia di elaborazione sviluppo dei programmi spazialidell’Ue. Tale schema dovrebbe stabilire strutture eprocedure in seno all’Esa che assicurino la gestionedi un numero di programmi in base al modus operan-di dell’Ue, ma allo stesso tempo la continuità dei pro-grammi opzionali dell’Agenzia secondo le regole del«ritorno geografico». Una simile distinzione proce-durale è già applicata, non senza difficoltà e pressio-ni da parte degli Stati membri Esa, nell’ambito di Ga-lileo e Gmes. Inoltre, il nuovo accordo dovrebbe for-nire, agli Stati dell’Ue non membri dell’Esa e allostesso Parlamento europeo , gli strumenti adeguatiper monitorare le attività dell’Agenzia finanziate conbudget dell’Unione. Dall’altro lato si potrebbe raffor-zare il vincolo tra le due istituzioni attribuendo all’Uela membership dell’Esa. Tuttavia, questa possibilitàpresenta numerose criticità. Innanzitutto, risulta dif-ficile immaginare un ruolo paritario per l’Ue nel-l’Agenzia al fianco degli altri stati membri. Inoltre,rimarrebbero irrisolti i problemi relativi alle proce-dure di finanziamento e gestione dei programmi: sa-rebbe l’Ue soggetta alle procedure del «ritorno geo-grafico» al pari degli altri Stati membri? Come po-trebbe essere applicato questo principio ad un’entitàsovranazionale come l’Ue? Infine, resterebbe da chia-rire la questione del contributo di quei paesi che fannoparte sia dell’Esa che dell’Ue, che attraverso uno sche-ma simile si troverebbero a stanziare somme più ele-

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vate rispetto agli stati che non partecipano direttamen-te alle attività dell’Agenzia. La soluzione completa-mente pubblica potrebbe essere abbandonata se si do-vesse decidere di aprire il finanziamento dei comples-si programmi spaziali a lungo temine alla partecipa-zione di attori privati. Si potrebbe, infatti, pensare difavorire lo sfruttamento commerciale delle applica-zioni spaziali, nella speranza che i vari settori possa-no raggiungere livelli sufficienti di auto-sostenibili-tà, come accaduto ad esempio nell’ambito delle tele-comunicazioni, dove il grado di privatizzazione è for-te ed il settore è sostanzialmente finanziato da inve-stimenti privati. Sebbene sia attualmente difficile po-ter pensare alla sostenibilità commerciale di segmen-ti come quello dell’osservazione della Terra o dellanavigazione, dove il sostegno pubblico appare unanecessità ineludibile, in particolar modo se si consi-derano le condizioni dei competitori sulla scena glo-bale, alcune soluzioni di compromesso tra partecipa-zione pubblica e privata potrebbero essere trovate. Inquesto senso, l’esperienza negativa di Galileo potràcertamente fornire spunti di riflessione sulle caratte-ristiche dei partenariati da attuare.

La complessità e il carattere strategico dello spa-zio richiedono all’Europa di agire in modo rapidonella definizione della governance delle proprie at-tività spaziali. Il riconoscimento della rilevanza po-litica dello spazio da parte dell’Ue rappresenta il pun-to di partenza, ma anche la chiave di volta, di unapolitica spaziale che permetta all’Europa di giocareun ruolo da protagonista – indipendente e competi-tivo – nel contesto internazionale. La definizione de-gli assetti futuri dovrà pertanto prendere le mosse datale consapevolezza, senza tuttavia trascurare le com-petenze e l’esperienza accumulate in questi anni, siain ambito europeo che a livello nazionale. Soltantograzie allo sforzo sinergico – ma ben definito – daparte di tutti i suoi attori istituzionali, l’Europa po-trà mantenere il proprio prestigio nel settore dellospazio, e raggiungere gli ambiziosi obietti fissati dal-la sua politica spaziale.

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episodi. Tutto sommato la Francia resta un partner pri-vilegiato per l’Italia in questo settore, ma non ad ogniprezzo. Da anni l’Italia e la Francia sviluppano unacooperazione bilaterale solida nel settore spaziale mi-litare. L’obiettivo di questo articolo non è quello di ri-costruire le tappe di tale cooperazione o di fornire unadescrizione esaustiva dei programmi in corso. L’obiet-tivo è, piuttosto, di valutare la percezione e la visioneche i responsabili italiani hanno della Francia in quan-to partner nei programmi di cooperazione nel settorespaziale e militare in corso nel 2011. Una decina di in-terviste con diversi funzionari italiani di alto livello le-gati al settore spaziale e della difesa hanno permessola redazione di questo articolo. I colloqui con l’Agen-zia Spaziale Italiana, il minsitero della Difesa, la pre-sidenza del Consiglio e l’industria spaziale si sonosvolti a Roma tra il 10 e il 15 Aprile 2011. L’articoloè una versione breve dell’originale «Perceptions ita-liennes sur la coopération spatiale militaire avec laFrance», disponibile sul sito della Fondation pour laRecherche Stratégique (Note n°16/11). Da anni l’Italia e la Francia sono partner privilegia-ti nel settore degli armamenti. Contrariamente aquanto avviene nel settore terrestre, le attività spa-ziali sono oggetto di un livello importante di coope-razione. La collaborazione riguarda in particolare isettori dell’osservazione della Terra, giacché l’Ita-

lia e la Francia dispongono di due tecnologie diver-se e complementari. La Francia ha sviluppato siste-mi ottici per l’osservazione della Terra (Spot, Hé-lios e Pléiades), mentre l’Italia investe nella tecno-logia radar (Sar) attraverso il suo sistema duale Co-smo-SkyMed. La complementarietà di queste duetecnologie ha dato luogo a degli accordi per lo scam-bio di dati ed ha così permesso ai due Paesi di com-pletare la propria capacità di intelligence senza in-vestimenti aggiuntivi o costi importanti. Lo svilup-po del concetto duale è un punto in comune tra i duePaesi: Cosmo-SkyMed, come Pléiades, sono siste-mi a finalità sia civili che militari. Il futuro satellitedi comunicazione Athena-Fidus è concepito anch’es-so per un uso duale ed è sviluppato in cooperazio-ne. I due Paesi beneficiano dunque di una relazioneprivilegiata in questo settore: le amministrazioni ci-vili e militari, a Parigi come a Roma, condividonouna visione ed un’esperienza comune. Infine, la Fran-cia e l’Italia hanno anche stabilito una solida coope-razione industriale che si è concretizzata con l’Al-leanza Spaziale, ossia con degli investimenti incro-ciati nelle sussidiarie Thales Alenia Space Italia eTelespazio. Tenuto conto, ovviamente, della forzadi dissuasione nucleare francese.Gli investimenti italiani confermano l’interessenella cooperazione. Nel 2011, gli investimenti del

PROSPETTIVE E INCERTEZZE DELLA COOPERAZIONE FRANCO-ITALIANA

ROMA CHIAMA PARIGI VIA SATELLITEDI LUCIA MARTA

articolo basato su una serie di interviste valuta la percezione e la visio-ne che i responsabili italiani hanno della Francia in quanto partner neiprogrammi di cooperazione nel settore spaziale e militare in corso nel2011. Emergono i numerosi motivi di soddisfazione da parte italiana,ma non si nascondono le tensioni e le problematiche legate a certi

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ministero della Difesa italiano per programmi satel-litari ammontano complessivamente a 48,9 milionidi Euro. Una parte importante di tali investimenti èdedicata ai programmi condotti in cooperazione conla Francia: 27,5 milioni di Euro per la continuazionedei programmi Helios 1 e 2, Sicral 2, Athena-Fiduse Musis. Solo il ministero della Difesa ha dedicatoquindi più del 50 per cento delle sue risorse persistemi satellitari alla cooperazione transalpina. Ètuttavia importante notare che il ministero dellaDifesa italiano non è la sola amministrazione adinvestire in tali programmi. L’Asi partecipa al finan-ziamento dei programmi duali. Inoltre, il ministeroper lo Sviluppo economico mette a disposizioneogni anno delle risorse importanti a sostegno dellafase di R&S nel settore delle alte tecnologie, com-preso il settore aerospaziale.

La Francia, partner privilegiato… L’Italia considera la cooperazione con la Francia nelsettore spaziale militare globalmente positiva e frut-tuosa dal punto di vista operativo e militare, grazie an-che all’esperienza acquisita in seno alla Nato. La po-sizione di leadership della Francia nel panorama spa-ziale europeo è riconosciuta ed è uno dei motivi prin-cipali per cui l’Italia ha desiderato stabilire una rela-zione basata sulla cooperazione. La capacità francesedi integrare sistemi complessi è anch’essa ampiamen-te riconosciuta: un partner di questo livello offre quin-di opportunità stimolanti dal punto di vista tecnologi-co-industriale, politico ed economico. I numerosi ac-cordi firmati tra i due paesi testimoniano, anche daparte francese, un riconoscimento delle capacità tec-nologiche e industriali italiane e, di conseguenza, l’esi-stenza di interessi nazionali francesi in favore di talecooperazione. La soddisfazione reciproca è dunque ilmotore per la continuazione di programmi comuni eper lo sfruttamento di capacità complementari. Inol-tre, è nota la crescente difficoltà, per tutti, di persegui-re programmi spaziali su base puramente nazionaleper ragioni legate soprattutto alle enormi risorse richie-ste e al relativo rischio tecnologico-finanziario. Tal-

volta le conseguenze di tali difficoltà sono sottovalu-tate a livello politico, ma per le industrie esse sono rea-li e ampiamente percepite. Parallelamente, le difficol-tà legate ai programmi faro dell’Unione europea in-coraggiano la dimensione intergovernativa, e bilate-rale in particolar modo. L’accordo di Torino (2001) dàl’avvio alla cooperazione transalpina. Dopo un iniziodifficile dovuto, secondo alcuni, alla mancanza di fi-ducia sulle capacità tecnologiche e forse anche gestio-nali italiane, tale accordo ha aperto le porte ad una coo-perazione bilaterale proficua. Il programma Orfeo per-mette ai due paesi di condividere le proprie tecnolo-gie di punta e di ottenere dati di utilità e qualità senzapari nel settore dell’osservazione della Terra. Questoaccordo costituisce un esempio di non-duplicazione edi miglioramento delle capacità di difesa grazie alloscambio di informazioni sensibili tra i due ministeri,senza grandi investimenti aggiuntivi. Il buon esito deldialogo franco-italiano ha permesso, tra altri succes-si, di interrompere la fase di stallo del programma Mu-sis, fase in cui si trovava a causa dell’incapacità deisei paesi originariamente coinvolti a trovare una solu-zione comune per l’architettura del sistema. Il bisognoconcomitante di Italia e Francia di avviare lo svilup-

La mancanza di reciprocitàtra Francia e Italia è talvoltasentita anche sul pianooperativo. Nel quadro del programma Orfeo i quattro satelliti della famiglia Cosmo-SkyMedsono operativi da tempo,mentre il satellite Pléiades 1 é stato lanciato soltantonel dicembre 2011. Ciò ha comportato un’assenzadi scambi operativi

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po della futura generazione di sistemi di osservazio-ne, indipendentemente dalla sopravvivenza di Musis,ha certamente favorito l’intesa e creato le condizioniper un accordo bilaterale. La scelta di sviluppare duesegmenti terra dotati di un’interfaccia, invece che unoin comune, testimonia un calo di ambizione, ma an-che il proseguimento del programma, che non era da-to per scontato. L’esperienza di Orfeo e i precedentiscambi di dati hanno permesso la maturazione diun’esperienza unica di cui Musis potrà beneficiare.L’accordo per lo scambio di dati sensibili potrebbe se-condo alcuni ripresentarsi, malgrado l’esperienza Or-feo. Ma non ad ogni costo.

I momenti di tensioni nel passato e nel presente

La valutazione globalmente positiva della relazioneitalo-francese nel settore spaziale militare non esclu-de tuttavia una serie di difficoltà che mettono alla pro-va la cooperazione e che sono state evocate nel corsodelle interviste con i responsabili italiani. In partico-lare, Roma non ha completamente digerito l’episodiolegato al software del lanciatore Vega: nonostante gliaccordi previsti, la Francia ha rifiutato di trasmetterloalla società italiana Elv. L’episodio ha provocato ritar-di e costi supplementari, seguiti dalla decisione italia-na di sviluppare un nuovo sistema di controllo di vo-lo con la partecipazione dell’Agenzia spaziale euro-pea. Questo incidente ha molto irritato i responsabiliromani, come gli industriali e i circoli militari. Le ra-gioni evocate da Parigi sulle procedure dei trasferi-menti di tecnologie sensibili non hanno convinto Ro-ma. L’Italia si interroga perciò sulle vere ragioni di ta-le rifiuto e sugli insegnamenti da trarre. Sono esse ra-gioni di ordine politico o industriale? Si tratta forse diuna sorta di sistema «Itar» in Europa? O si cerca in-vece di rallentare i progressi compiuti da un Paese cheminaccia la posizione di monopolio nel settore dei lan-ciatori? Per alcuni, a Roma, la mancanza di spiega-zioni chiare e convincenti su questo episodio frena lacostruzione di una relazione di fiducia e nuoce allacooperazione. È prioritario non sottovalutare l’impor-

tanza del volet industriale. È dunque imperativo, findalla fase di negoziazione, chiarire nei dettagli la ri-partizione del lavoro tra gli attori industriali coinvol-ti. L’alleanza industriale rafforza certamente le rela-zioni bilaterali, ma è noto che la differenza di culturadietro la gestione di un’impresa richiede l’identifica-zione di dirigenti che assicurino un livello di compren-sione e apertura reciproca per garantire un dialogo co-struttivo. Questo aspetto non deve essere dato per scon-tato, poiché una joint-venture finanziaria non basta inassenza di una visione strategica comune e di un dia-logo aperto. Sul piano industriale, una mancanza direciprocità è anche sentita dai fornitori di servizi spa-ziali, in particolare in riferimento al ricorso insuffi-ciente a Telespazio da parte francese. Mancanza di re-ciprocità e talvolta sentita anche sul piano operativo.Nel quadro del programma Orfeo, per esempio, i quat-tro satelliti della famiglia Cosmo-SkyMed sono ope-rativi da tempo, mentre il satellite Pléiades 1 é statolanciato soltanto nel dicembre 2011. Ciò ha compor-tato un’assenza di reciprocità operativa, poiché le im-magini dei satelliti italiani sono ormai da tempo for-nite alle amministrazioni francesi, mentre la difesa ita-liana potrà solo ora cominciare a beneficiare delle im-magini provenienti da Pléiades. Inoltre, ed in manie-ra più generale, sembra esistere per l’Italia una certadifficoltà ad inserirsi nelle negoziazioni in una posi-zione paritaria vis-à-vis del proprio partner, sensazio-ne assente nelle negoziazioni con altri paesi. Più pre-cisamente, la tendenza francese a voler sempre assu-mere il ruolo di leader, anche nei settori di nicchia tec-nologici dove la competenza di altri paesi non lo giu-stificano, sembra dare all’Italia l’impressione di nonessere considerata come un partner dello stesso livel-lo. Infine, l’accordo franco-britannico è anch’esso unepisodio che ha sorpreso Roma. L’accordo, conclusoal di fuori del quadro europeo, esclude a priori la par-tecipazione dell’Italia. Il volet dedicato alle comuni-cazioni militari satellitari, per il dopo-Athena-Fidus,è percepito come un messaggio implicito sulla volon-tà di non continuare la cooperazione. Ciò solleva a Ro-ma alcune perplessità.

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Le incertezze per il futuroGli episodi appena ricordati sollevano una serie di do-mande circa il futuro delle relazioni franco-italiane edei programmi spaziali italiani. In seguito all’accor-do franco-britannico, l’Italia riflette sulla futura gene-razione di sistemi di comunicazione satellitare, chepotrebbe essere perseguita senza la cooperazione del-la Francia. Le possibilità includono lo sviluppo pura-mente nazionale del sistema, ed anche la possibilitàdi intraprendere una public-private partnership (ppp).Quest’ultima opzione sarà probabilmente oggetto distudio, ma con una certa cautela visti di dubbi che in-combono sulla gestione delle comunicazioni sensibi-li, il reale (o no?) vantaggio finanziario e la necessitàdi sostenere il comparto industriale manufatturiero.Un’altra possibilità per l’Italia sarebbe l’avvio dellacooperazione con un altro partner. Essa si dice apertaa tale possibilità – la partnership potrebbe essere ri-cercata in Europa o eventualmente a livello transatlan-tico, specialmente nel caso in cui il volet spaziale del-l’accordo fosse allargato alla Germania – anche se nonsi è ancora concretizzata. Un’ultima possibilità con-sisterebbe nell’integrare l’accordo franco-britannico,volet spaziale, e trovare una soluzione trilaterale. L’ac-cordo franco-britannico genera anche delle incertez-ze sull’avvenire del settore industriale manufatturie-ro. In particolare, la possibilità che la Francia possaadottare il modello britannico (ppp – paradigm) per leMilsatcom solleva una serie domande sul futuro del-le industrie spaziali legate alla produzione delle infra-strutture (Thales Alenia Space Francia e Italia). Se ilRegno Unito non sembra interessato a tali questioni,la stessa cosa non può dirsi né per l’Italia né per laFrancia, per le quali gli ordini istituzionali nel settorerestano ancora un importante mezzo di sostegno alleindustrie. Un dialogo tra Thales e Finmeccanica do-vrebbe essere stabilito per assicurare una visione stra-tegica dell’Alleanza spaziale che possa andare nellastessa direzione. Nel settore dell’osservazione l’Italiasi interroga anche sulla possibilità di sviluppare mez-zi di osservazione ottici a scopi militari. Questa ipo-tesi comporterebbe dei costi non indifferenti. Infine,

altre incertezze concernono i lanciatori. Questi ultimirientrano ormai tra le competenze italiane. L’utilizza-zione della base spaziale d’Europa a Kourou, essen-ziale per garantire l’utilizzo indipendente di Vega, do-vrebbe anch’essa essere oggetto di discussione al fi-ne di considerare una partecipazione finanziaria e,quindi, una gestione più europea. Un eccesso di pesorelativo della Francia nella gestione della base potreb-be portare l’Italia a cercare soluzioni alternative (adesempio in Argentina, Brasile o Kenia), anche se Kou-rou resta la soluzione più favorevole ai suoi interessi.Lo stesso ragionamento può essere applicato ad Aria-nespace, che commercializza lanciatori europei tra cuiVega, ed in particolare in riferimento al suo capitale ealla sua governance.

ConclusioniLa cooperazione nel settore spaziale militare con laFrancia è importante per l’Italia e ha dato dei risul-tati positivi e globalmente soddisfacenti. Il ministe-ro della Difesa, nel 2011, ha dedicato più della me-tà delle sue risorse per programmi spaziali a quelliin cooperazione con la Francia. Nonostante qualcheepisodio che ha irritato Roma, come l’accordo fran-co-britannico o il non trasferimento del software dellanciatore Vega, la cooperazione non è messa in di-scussione per il momento. Tuttavia, una riflessionesulle questioni evocate potrebbe essere condotta peril futuro. La percezione di una mancanza di recipro-cità operativa ed industriale in seno a certi program-mi, la difficoltà per l’Italia ad affermare il suo ruo-lo di partner alla pari in una relazione mutualmentevantaggiosa, una governance più collettiva della ba-se di Kourou e di Arianespace sono tematiche an-ch’esse evocate a Roma e che meritano una rifles-sione. Certi episodi hanno portato l’Italia ad inter-rogarsi circa la possibilità di avviare programmi conaltri partner o su base puramente nazionale, ma lacooperazione resta per il momento preferibile. Lariduzione dei budget militari conferma la logica del-la cooperazione, senza tuttavia escludere altre op-zioni in caso di insoddisfazione permanente.

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del razzo russo più utilizzato al mondo, frutto di unacooperazione tra l’Agenzia spaziale europea (Esa) equella russa (Roscosmos), ha effettuato il lancio inau-gurale lo scorso ottobre, portando in orbita i primi duesatelliti del futuro sistema europeo di navigazione Ga-lileo; il secondo, sviluppato da Esa nell’ambito di unprogramma a leadership italiana, entrerà in funzionenel prossimo mese di febbraio. I tre lanciatori consen-tiranno di soddisfare l’intera gamma dei requisiti dilancio, dai satelliti pesanti per le telecomunicazioni aquelli leggeri per l’osservazione della Terra. ComeAriane, Soyuz e Vega saranno commercializzati dal-la società di lancio Arianespace che, attraverso unamaggiore flessibilità delle soluzioni proposte, amplie-rà i margini di offerta, migliorando così la sua com-petitività sulla scena internazionale. Gli sforzi di diversificazione e ammodernamento tut-tavia non garantiranno all’Europa nel futuro un pro-prio accesso allo spazio. Il 2012 vedrà l’Esa impegna-ta a risolvere due nodi principali legati alla politicadei lanciatori: il Consiglio ministeriale, di previstaconvocazione a fine anno, dovrà, in primo luogo, de-cidere quali programmi preparatori e/o di sviluppo dilanciatori portare avanti e, in secondo, stabilire unastruttura appropriata di Arianespace e dell’industriadel trasporto spaziale tale da garantirne sostenibilitàe competitività nel lungo periodo. Il consenso su tali

scelte sarà un obiettivo difficile da raggiungere sia acausa di interessi nazionali divergenti e veicolati at-traverso i diversi programmi Esa (non solo relativi ailanciatori, ma anche all’esplorazione, all’osservazio-ne della Terra, ecc.), sia per i crescenti tagli alla spe-sa pubblica imposti a tutti i paesi europei dall’attua-le crisi economico-finanziaria internazionale. I pro-tagonisti di questa partita saranno principalmente Fran-cia, Germania e Italia, ovvero i paesi europei mag-giormente coinvolti nel settore del trasporto spazia-le. Sul primo fronte, relativo ai lanciatori del futuro,il dibattito riguarda la possibilità di avviare nell’im-mediato un programma preparatorio per il successo-re di Ariane 5 per ora noto come New generation laun-cher (Ngl) e/o un programma di sviluppo della ver-sione potenziata di Ariane 5 chiamata Midlife evolu-tion (Me). Per oltre un decennio il successo di Aria-ne 5 è stato garantito dalla possibilità di effettuare sialanci doppi di satelliti per telecomunicazioni in orbi-ta geostazionaria (fino a 10 tonnellate; uno dei duesatelliti può pesare fino a 6 tonnellate) che lanci sin-goli per il veicolo automatico di trasporto (Atv, finoa 20 tonnellate) in orbita bassa per il rifornimento del-la Stazione spaziale internazionale. Con opportunemodifiche la seconda configurazione di Ariane 5 po-trebbe arrivare a lanciare cluster di quattro satelliti diGalileo in orbita media. Dal punto di vista commer-

C’ERA UNA VOLTA ARIANE, OGGI CI SONO SOYUZ E VEGA

VERSO LE STELLE IN TEMPI DI CRISIDI ANNA VECLANI

l lanciatore europeo Ariane, nelle sue cinque versioni, ha garantito in oltretrent'anni di attività il successo in più di duecento lanci effettuati per missio-ni commerciali e istituzionali, civili e militari, tutti operati dallo spazioportoeuropeo di Kourou, nella Guyana francese. Oggi la famiglia di lanciatori euro-pei si apre a due nuovi vettori, Soyuz e Vega. Il primo, una versione europea

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ciale, i lanci doppi hanno permesso di abbassare ilprezzo applicato ai clienti, rendendo Ariane 5 unodei lanciatori pesanti di riferimento a livello mondia-le. Tuttavia, oggi, il lancio doppio richiede sforzisempre maggiori di calendarizzazione, ma anche diabbinamento dei carichi, considerato l’aumento delpeso medio dei satelliti per le telecomunicazioni. Sitratta quindi di due problemi che influenzano la ca-pacità di Ariane 5 di rimanere competitivo sul mer-cato, rendendolo sempre più costoso per l’operatoreArianespace e inadeguato rispetto alla domanda. Perquesti motivi le caratteristiche tecniche dei futuri vet-tori sono al momento oggetto di ripensamento da par-te degli stati membri Esa. Pertanto, il Ngl sarà vero-similmente caratterizzato da dimensioni più ridottee adatto a lanci singoli, in grado di portare satellitimedio-pesanti (tra le 3 e le 8 tonnellate) in orbita geo-stazionaria. Allo scadere dei termini dell’accordo conla Russia, tale lanciatore potrebbe sostituirsi alla ver-sione europea del vettore medio Soyuz, garantendola necessaria riservatezza di informazioni tecniche etecnologie critiche connesse al lancio di satelliti aduso militare. Il Consiglio ministeriale dell’Esa del2012 dovrà quindi decidere se avviare e finanziareimmediatamente il Ngl di prevista entrata in funzio-ne nel 2025. Ariane 5 Me sarebbe invece una solu-zione dedicata a coprire le esigenze del medio ter-mine. Grazie al nuovo motore Vinci, la versione evo-luta dovrebbe garantire un duplice vantaggio: l’in-

cremento della capacità di lancio del 20 per centocirca (ovvero due tonnellate in più) e la possibilitàdi rilasciare due satelliti pesanti (5 tonnellate l’uno)in orbita geostazionaria, ovvero satelliti diversi su diun più ampio spettro di orbite grazie alla riaccensio-ne del motore (re-ignitable engine). Ariane 5 Me as-sorbirebbe quindi in un solo lanciatore le funziona-lità delle due attuali e diverse configurazioni di Aria-ne 5. Il volo inaugurale potrebbe avvenire intorno al2017, qualora gli stati membri Esa ne approvino ilfinanziamento.

Posto che, ragionevolmente, sia Ariane 5 Meche il Ngl dovrebbero essere finanziati per garantirecontinuità all’accesso europeo allo spazio con unosguardo al 2025, la pressione ed il rigore sui contipubblici europei potrebbero imporre scelte dolorose,sacrificando una delle due opzioni, certo non senzaconseguenze. Mentre i sostenitori di Ariane 5 Me, perlo più tedeschi e italiani, ne sottolineano l’aderenzaalla domanda nel medio temine (2017-2025) a fron-te di costi equiparabili a quelli di Ariane 5, del Ngl,principalmente francesi, temono che i fondi destina-ti ad Ariane 5 Me possano ritardare lo sviluppo delnuovo lanciatore in un momento in cui le maggioripotenze spaziali ed alcuni attori privati emergenti stan-no già progettando o sviluppando soluzioni innova-tive di lancio. Tuttavia, le già ricordate difficoltà dicalendarizzazione e abbinamento riscontrate su Aria-ne 5 possono rivelarsi determinanti sia in termini diperdite economiche societarie che di affidabilità dellanciatore. Arianespace ha infatti rinunciato nel 2011ad una missione, chiudendo l’anno con cinque lancioperati contro una media consolidata di sei lanci/an-no, con possibili ripercussioni sui conti, già in perdi-ta nel biennio 2009-2010; inoltre, l’affidabilità di unlanciatore è direttamente proporzionale al numero dilanci di successo effettuati in un anno (cinque o seicome requisito minimo), in modo da consentire ilmantenimento delle competenze ingegneristiche, leattività di ricerca e sviluppo continue, cicli industria-li efficienti e soprattutto la sicurezza delle operazio-

Nel 2012 l’Esa dovrà decidere su quali lanciatoripuntare e stabilire unastruttura appropriata diArianespace e dell’industriadel trasporto spaziale taleda garantirne sostenibilità e competitività nel lungoperiodo

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ni. Per queste ragioni, dunque, sarebbe rischioso con-tare su Ariane 5 troppo a lungo. Inoltre, da un lato,l’evoluzione delle tecnologie e delle caratteristichedei satelliti, nonché della domanda globale di lanci,richiedono un adeguamento dell’offerta nel più bre-ve tempo possibile; dall’altro lato, il design e lo svi-luppo di un nuovo veicolo necessitano di almeno unadozzina d’anni. Quanto a Vega, l’Agenzia spazialeitaliana (Asi) ha già avviato un programma naziona-le, denominato Lyra, mirato ad aumentarne la capa-cità verso carichi più pesanti ed a sviluppare un soft-ware di volo innovativo. Lyra contribuirà pertanto adaccrescere le potenzialità di commercializzazione dellanciatore anche per missioni istituzionali militari,nonché a garantire lo sviluppo ed il controllo di com-petenze italiane per i sistemi di lancio, da far valerein ambito Esa, anche per il Ngl.

Il sistema di appalti alla base dello sviluppo edella produzione di Ariane, Soyuz e Vega prevede uncapocommessa per ogni lanciatore che poi consegnail vettore ad Arianespace. Quest’ultima commercia-lizza i lanciatori, adattandoli sulla base dei requisitidelle singole missioni, e segue direttamente le opera-zioni di lancio. Le industrie capocommessa prendo-no altresì parte alle attività di integrazione delle com-ponenti presso il cosmodromo di Kourou insieme alpersonale tecnico di Arianespace. Il capocommessadi Ariane 5 è Eads-Astrium, quello di Soyuz è l’Agen-zia spaziale russa (Rfsa) e quello di Vega è la Euro-pean launch vehicle (Elv), società italiana partecipa-ta dell’Asi (30 per cento) e di Avio (70 per cento). Inquesto sistema apparentemente lineare, l’anomalia èche i due grandi capicommessa dei lanciatori euro-pei, Eads-Astrium ed Elv, rappresentano allo stessotempo azionisti e fornitori di Arianespace, così comealcuni dei loro subappaltati. In tale organizzazione si riflettono le problematichelegate alla governance di Arianespace, il secondo fron-te su cui gli stati Esa dovranno confrontarsi nella mi-nisteriale del 2012. Infatti, solo una strategia di inve-stimento rigorosa e di lungo termine, nonché una chia-

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ra divisione dei ruoli dei principali attori, politici edindustriali, potranno rendere più efficace la pianifica-zione dei programmi di sviluppo e di produzione deilanciatori e rafforzare la solidità di Arianespace sulmercato internazionale.Nonostante i successi commerciali di Arianespace delpassato, per due anni di seguito la società ha chiuso iconti in perdita, costringendo gli azionisti all’adozio-ne di misure eccezionali e costose. Nel corso del 2011,ad esempio, gli azionisti hanno ricapitalizzato la so-cietà con 80 milioni di euro a fronte delle perdite di135 milioni di euro del biennio precedente. In aggiun-ta, su proposta del governo francese, il Consiglio del-l’Esa ha stanziato 222,5 milioni di euro su un oriz-zonte di due anni per il mantenimento dell’infrastrut-tura e delle operazioni di Ariane 5. Ciononostante,molti degli stati membri, ed in particolare l’Italia, so-no stati e continueranno ad essere restii a coprire leperdite di Arianespace, considerati gli investimentiche già veicolano nei programmi di sviluppo dei lan-ciatori. Non solo, nel 2010 si è concluso lo Europeanguaranteed access to space programme (Egas) che persei anni ha finanziato parte dei costi di produzione diAriane 5, al fine di rendere Arianespace autosufficien-te, ma senza successo.

Data la criticità della situazione, l’Esa ha ri-chiesto nel 2011 un audit esterno per fare chiarezzasulla gestione della società ed affrontare le cause del-le perdite accumulate. Da questo è emerso che in ba-se all’organizzazione industriale attuale di Ariane 5non esistono margini né di risparmio significativo(l’ordine sarebbe del 5 per cento) né di profitti “na-scosti” dalle aziende. Sebbene le difficoltà economi-che di Arianespace siano riconducibili a diversi fat-tori, è proprio l’inefficienza del ciclo industriale, do-vuta al meccanismo del «ritorno geografico», princi-pio cardine della politica industriale dell’Esa, a gra-vare sui costi di Ariane 5. Di fatto, tale principio nongarantisce che le aziende designate siano le più effi-cienti dal punto di vista dei costi e del ciclo produtti-vo come in un contesto di libera competizione. Inol-

tre, come accennato in precedenza, alcune aziendericoprono contemporaneamente il ruolo di azionistie di fornitori di Arianespace, configurando un evi-dente conflitto d’interesse. Vi è poi la necessità dimantenere prezzi competitivi sul mercato mondiale(ma insufficienti a coprire il costo di produzione deilanciatori), dove le potenze spaziali sostengono si-gnificativamente i loro sistemi di lancio sia per losviluppo che per l’utilizzo. In Europa invece il mer-cato istituzionale di lanci è molto limitato, determi-nando l’esigenza di apertura ai lanci commerciali afavore di operatori privati. A dimostrazione di ciò,nel 2010 Arianespace non ha effettuato lanci per con-to di governi europei, mentre la Cina ne ha operatiben 15 per esigenze istituzionali, civili e militari. Nel2011, invece, l’inaugurazione della versione europeadi Soyuz ha consentito l’effettuazione di 2 dei 3 lan-ci istituzionali operati da Arianespace. Tuttavia, ilmercato istituzionale europeo potrebbe recuperareulteriore terreno con il completamento di Galileo edi Gmes, i quali offriranno l’opportunità di lanciarepiù di trenta satelliti negli anni a venire. Ariane 5,non senza costi aggiuntivi, potrebbe essere adattato

Oggi la famiglia di lanciatorieuropei si apre a due nuovi vettori, Soyuz e Vega.Il primo, una versioneeuropea del razzo russo piùutilizzato al mondo, fruttodi una cooperazione tra Esae quella russa (Roscosmos).Ha effettuato il lancio inaugurale lo scorso ottobre, portando in orbitai primi due satelliti del futuro sistema europeodi navigazione Galileo

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per i lanci dei satelliti di Galileo, mentre Vega è giàstato selezionato per il lancio di due Sentinelle diGmes. Infine, anche la produzione svolta in Europae le attività di integrazione delle componenti nellaGuyana francese impongono altissimi costi di trasfe-rimento, così come i costi di produzione sostenuti ineuro ed i proventi dei servizi di lancio percepiti indollari implicano delle perdite legate al cambio. Tut-ti questi elementi giocano a sfavore della sostenibi-lità, efficienza e competitività delle capacità di lan-cio europee. Tuttavia, molte problematiche sono stret-tamente legate alla governance ed ai finanziamentidi Arianespace. Quindi soprattutto la struttura dellasocietà, oggi di natura pubblico-privata, ad essere og-getto di serie riflessioni in ambito Esa, sia dal puntodi vista politico che industriale.

Arianespace è una società internazionale ilcui capitale è detenuto da ventuno azionisti di diecidiversi paesi europei. La quota di maggioranza è de-tenuta dalla Francia, che grazie ai suoi sette azionisticontrolla il 64,1 per cento del pacchetto azionario, se-guita dalla Germania con il 19,85 per cento. Gli altriotto paesi, tra cui l’Italia, controllano il restante 16,05per cento con quote che non superano il 4 per centoper azionista. Ad uno sguardo d’insieme, ciò che bal-za all’attenzione è che la maggioranza relativa è de-tenuta dall’agenzia spaziale francese (Centro nazio-nale per gli studi spaziali, Cnes), mentre un’altra gros-sa quota del capitale è principalmente nelle mani del-le industrie che producono Ariane 5, in particolare delgigante europeo dell’aerospazio Eads attraverso seidelle sue controllate. Pertanto, le difficoltà economi-che riscontrate negli ultimi anni potrebbero essere su-perate riorganizzando la governance della società. Leopzioni a disposizione andrebbero da un azionariatototalmente pubblico, con la presenza dominante del-le agenzie nazionali spaziali, ad uno totalmente pri-vato. Tuttavia, entrambe le soluzioni presentano de-gli svantaggi inerenti alla natura del settore del tra-sporto spaziale e all’esiguità del mercato istituziona-le europeo, che rendono di fatto molto difficile avere

margini di profitto sulle attività di lancio. La primaipotesi è quella di trasformare Arianespace in una so-cietà interamente pubblica, conferendo alle agenziespaziali nazionali maggiore controllo sui conti dellasocietà. Tuttavia, come dimostrato dall’audit, mag-giore trasparenza non implicherebbe necessariamen-te una riduzione dei costi di gestione della società, es-sendo comunque applicato il principio del «ritornogeografico», al quale i governi difficilmente rinunce-rebbero. In tal caso però, dato il valore strategico at-tribuito all’accesso indipendente allo spazio e l’inte-resse dei governi nazionali a mantenere una capacitàeuropea nel settore, il supporto pubblico in favore del-l’attività in perdita di Arianespace sarebbe più facil-mente giustificabile. Non è altresì scontato che i go-verni siano disposti ad investire nella società e, so-prattutto, che dispongano delle risorse necessarie. Aldi là degli attuali tagli alla spesa pubblica, alcune le-gislazioni nazionali potrebbero imporre procedurespecifiche per consentire una tale operazione. Nel ca-so dell’Italia, ad esempio, sarebbe necessario un prov-vedimento legislativo ad hoc che autorizzi l’Asi adintervenire in tal senso, assegnandole le risorse ne-cessarie. Per ridurre l’onere delle agenzie spaziali na-zionali, l’Ue potrebbe entrare nelle fila degli azioni-sti, evidenziando il valore strategico per l’Europa del-l’accesso allo spazio e assicurando un impegno col-lettivo degli stati membri. La seconda ipotesi è quella di privatizzare Ariane-space, eliminando così gli «extra-costi» determinatidal «ritorno geografico» e lasciando l’azienda libe-ra di competere sul mercato internazionale senza «aiu-ti di Stato». Tale società privata, operando in base al-le regole del mercato unico europeo, non sarebbe ti-tolata a ricevere finanziamenti pubblici per coprireeventuali perdite, anche nel caso in cui alcuni gover-ni fossero disponibili a ricorrere agli appositi stru-menti di deroga. Inoltre, in assenza di sostegno pub-blico, la società potrebbe non riuscire a mantenere iprezzi relativamente bassi di oggi, incentivando i go-verni, ove possibile, a rivolgersi ad operatori di pae-si terzi più a buon mercato. Ad ogni modo, se la scel-

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ta dovesse ricadere sula privatizzazione, questa po-trebbe avvenire in tre modi diversi. Le strade percor-ribili vanno dalla quotazione in borsa alla costituzio-ne di una nuova società che includa alcune delle in-dustrie già altamente specializzate e coinvolte nelsettore. La quotazione della società sui mercati azio-nari potrebbe tuttavia rivelarsi difficoltosa a causadella situazione finanziaria attuale del consorzio.Inoltre, nel bel mezzo della crisi economica globa-le, potrebbe essere difficile trovare investitori priva-ti disposti ad acquisire il 34,68 per cento delle azio-ni attualmente nelle mani del Cnes.Una società di nuova costituzione, guidata da Eads-Astrium Space transportation e Avio, consentirebbeinvece una razionalizzazione delle attuali capacitàeuropee industriali nel settore del trasporto spaziale.Tale consorzio consoliderebbe in un unico attore, ol-tre alla produzione di Ariane e Vega e dei loro suc-cessori, attività che oggi sono variamente frammen-tate. In particolare, si potrebbero ricondurre alla nuo-va società le attività commerciali di Eurokot e Star-sem e quelle industriali di Europropulsion e Regu-lus. Queste aziende sono infatti partecipate in variamisura da Eads e da Avio, ma anche da Arianespacestessa. In particolare, Eads è azionista di maggioran-za di Eurockot launch services Gmbh, joint-venturecon il centro spaziale Khrunichev che commercia-lizza i lanci del vettore russo Rockot, nonché di mag-gioranza relativa di Starsem, consorzio russo-euro-peo che opera i lanci del vettore russo Soyuz dal co-smodromo di Baikonour (Kazakhstan). Allo stessotempo, attraverso la società partecipata Europropul-sion e la controllata Regulus, Avio ha progettato, qua-lificato ed attualmente produce i motori a propellen-te solido per Ariane 5. In aggiunta, in queste due ul-time aziende è significativamente rappresentata an-che l’industria francese. Grazie alle eccellenze delsettore, una tale soluzione consentirebbe altresì diprogettare in modo comprensivo lo sviluppo del Ngle delle evoluzioni di Vega già avviate in Italia. Lanuova società racchiuderebbe tutta l’attività di ricer-ca, sviluppo e produzione oggi svolta in ambito Esa

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e quella commerciale per missioni private e istitu-zionali attualmente gestite da Arianespace. L’orga-nizzazione industriale dovrebbe essere strutturata at-torno alle eccellenze nazionali, sottoposte a forme disupervisione e controllo dei governi rappresentati neiloro azionariati. Gli azionisti dell’azienda sarebberodunque Eads (che, a sua volta è partecipata dai go-verni francese e spagnolo e almeno temporaneamen-te da quello tedesco) e Avio (che, a sua volta, è par-tecipata da Finmeccanica, il cui 30 per cento è con-trollato dal governo italiano). In questo modo gli in-teressi dei governi europei che ad oggi più hanno in-vestito nell’accesso allo spazio, a livello nazionale etramite l’Esa, rimarrebbero tutelati, anche attraver-so una società privata. Come soluzione intermediadi privatizzazione, dato il significativo coinvolgi-mento attuale, Eads potrebbe acquisire l’intera Aria-nespace. Tuttavia, ciò porterebbe il completo con-trollo delle capacità europee di lancio in mano prin-cipalmente francese, non senza implicazioni poli-tiche e strategiche e con un’inversione di tendenzanel processo di europeizzazione dell’accesso allospazio e delle attività spaziali europee più in gene-rale. Nel dibattito sulla governance del trasportospaziale europeo si inserisce anche il centro spazia-le di Kourou, che la Francia ha messo a disposizio-ne dell’Esa per le attività di lancio in base ad ac-cordi di lungo corso che prevedono, tra le altre co-

se, la condivisione dei costi. Sebbene l’Esa sia pro-prietaria delle infrastrutture di lancio, la Francia ri-mane responsabile della sicurezza del centro e delcoordinamento di tutte le operazioni di lancio conpotere decisionale. La rilevanza del ruolo franceseha più volte sollevato il dubbio sulla dimensioneeuropea dello spazioporto. In questo contesto, lapossibilità che in futuro l’Ue sostenga i costi fissidel Centro spaziale va nella direzione di una mag-giore europeizzazione della base. Tutti questi sce-nari saranno comunque condizionati dalla riorga-nizzazione dei rapporti istituzionali tra l’Esa, l’Ueed i rispettivi stati membri, ovvero dalla ridefini-zione del “triangolo istituzionale”.

Durante la ministeriale Esa, i governi do-vranno dunque impegnarsi sensibilmente affinchésiano prese decisioni che favoriscano l’efficienzae la sostenibilità dell’accesso europeo indipenden-te allo spazio. L’eventuale discontinuità delle ca-pacità di lancio europee avrebbe serie conseguen-ze sia dal punto di vista politico che economico:da un lato, tutte le attività spaziali dell’Ue nell’am-bito della Politica spaziale europea, come Gmes eGalileo, e quelle delle agenzie spaziali nazionali,sarebbero affidate a paesi terzi creando dipenden-za dagli stessi anche per missioni di natura strate-gica; dall’altro, le aziende d’eccellenza europee fa-vorirebbero la crescita delle economie e delle in-dustrie aerospaziali straniere. Quanto all’Italia, es-sendo uno dei maggiori attori nel trasporto spazia-le europeo, avendo già contribuito in modo signi-ficativo allo sviluppo di Ariane e Vega, grazie al-la notevole competenza ed esperienza maturata nelsettore della propulsione solida, è fondamentaleche non abbandoni l’impegno sin qui dimostrato.Solo assicurando con misure credibili la necessa-ria continuità ai finanziamenti in ricerca, sviluppoed industrializzazione, sia in ambito nazionale chenel quadro dell’Esa, sarà possibile mantenere unruolo da autentico protagonista nel complesso per-corso di accesso europeo allo spazio.

Il pragmatismo americanodi superpotenza di lungocorso vede però ancora i limiti della politica turca, e Hillary Clinton ha piùvolte cercato di portare il governo di Ankara sul terreno di una presa di responsabilità sul pianointernazionale

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GLI EDITORIALI/MICHELE NONES

Joint strike fighter: un’altra guerra ideologica

La crisi economica e finanziaria e la necessità di ridurrela spesa pubblica hanno richiamato l’attenzione sulla par-tecipazione italiana al programma per il velivolo da com-battimento Jsf (Joint strike fighter). Ma, mentre le ForzeArmate, sulla base delle indicazioni date dal ministro DiPaola appena insediatosi, stanno definendo dimensionie caratteristiche di uno strumento militare sostenibile, al-cune organizzazioni e movimenti pacifisti hanno imme-diatamente rilanciato la campagna contro il Jsf (con labenedizione di quanti vorrebbero investire in altri pro-grammi militari). Gli ingredienti per attizzare le polemi-che ci sono tutti: è il maggiore e più costoso programmaprevisto per questo decennio, è ancora nella fase inizia-le e quindi deve essere messo a punto, è un velivolo dacombattimento, è una collaborazione transatlantica conun ruolo predominante degli Usa, è la cattiva memoriadell’Europa che non ha saputo né lanciare per tempo unprogramma alternativo né presentare uniti i paesi parte-cipanti di fronte agli americani. Ma, soprattutto, non èancora stato stabilita la dimensione e la pianificazionetemporale della partecipazione italiana e questo fa spe-rare agli oppositori che possa essere cancellata o conge-lata. Così le critiche passano da un aspetto all’altro sen-za un attimo di tregua. Da ultimo, si è sostenuto che, nonessendo previste penali, possiamo uscire dal programmasenza problemi, come se non ci fossero serie e tuttora va-lide motivazioni per rimanerci. Sarebbe bene, invece, af-frontare il problema in termini più seri perché difesa e si-curezza vanno coniugate al futuro, non al presente. Ci vo-gliono decenni per preparare uno strumento militare ef-ficiente ed equipaggiarlo in modo da poter far fronte aminacce e crisi che non sono facilmente prevedibili. Ilpunto di partenza non può che essere legato alla neces-sità di questo aereo. Bisognerà sostituire a partire dallafine di questo decennio circa 250 velivoli Amx, Av8B eTornado che andranno progressivamente in pensione. An-che gli americani e gli altri partecipanti hanno problemianaloghi con questi ed altri velivoli e non ci sono alter-native: per questo è certo che il programma andrà co-munque avanti. Qualcuno sostiene che non lo è altrettan-

to la versione a decollo corto e atterraggio verticale, ma,a meno che gli americani non cancellino l’aviazione deiMarines, vi sarà solo un ritardo sui tempi inizialmenteprevisti. La recente decisione del Giappone di acquisireil Jsf ha, per altro, ridato vigore al programma. dopo al-cuni tagli e rinvii da parte di molti partecipanti che, pe-rò, non hanno compromesso il suo proseguimento. Se,quindi, l’Italia vuole mantenere una sua capacità aero-tattica, il Jsf è indispensabile, così come lo è l’Eurofightercome intercettore. Avere un numero analogo di velivolispecializzati nelle due missioni (anche se secondariamen-te possono svolgere anche l’altra) sembra un obiettivoragionevole. Il Jsf è ancora all’inizio della sua vita e ri-chiede adeguamenti, messe a punto e miglioramenti, co-me tutti i nuovi mezzi. È stata anche la storia dell’Efa lacui prima tranche non aveva praticamente alcuna capa-cità operativa. Non c’è praticamente un programma ae-ronautico militare che non abbia avuto un difficile avvio:fra gli altri, il convertiplano americano V-22, il tankeramericano 767, il velivolo da trasporto europeo A 400M.Lo stesso avviene anche in campo civile: si sono già di-menticati ritardi e problemi del Boeing 787 o dell’Airbus380 o, in campo spaziale, dell’Ariane 5? Più un program-ma è complesso e più tempo impiega per andare a regi-me. Quanto ai costi, i valori sono sempre sottostimati al-l’inizio, un po’per vincere le resistenze e un po’perché èeffettivamente difficile definire il costo di equipaggiamen-ti e parti ancora da sviluppare. Nel caso italiano il costodi un po’meno di un centinaio di Jsf (fra Aeronautica eMarina) sembra compatibile con il nostro Bilancio dellaDifesa. Infine i tempi. Forse, considerando il ritardo delprogramma e la crisi finanziaria, la nostra partecipazio-ne può essere leggermente ritardata e diluita. Ma biso-gnerà tenere in debito conto la nostra partecipazione in-dustriale per non rischiare di compromettere i risultatigià raggiunti e quelli che si stanno perseguendo sia perla fase di produzione, sia, soprattutto, per quella del suc-cessivo supporto logistico: l’investimento nella base diCameri è giustificabile solo se poi diventerà il centro dimanutenzione per l’area europea e mediterranea.

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editoriali

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Dopo tanti anni o lustri di disattenzione totale, laDifesa ha avuto l’onore di conquistare le prime pagi-ne dei quotidiani e dei servizi dei Tg. E non si è trat-tato di un fatto di sangue nei teatri dove i nostri sol-dati operano e combattono o del solito servizio dicolore sulle donne in uniforme, bensì di una polemi-ca sui costi dello strumento militare e dell’opportuni-tà di tagliarli per destinare i soldi così risparmiatiper altre e più importanti finalità (come il serviziocivile?). «Bene o male, purché...» direbbe OscarWilde, ma in questo caso se ne parla male e soprat-tutto a sproposito. Perché come al solito l’informa-zione fornita è all’insegna del pressapochismo odella distorsione voluta ed ha preso a bersaglio lacasta con le stellette ed un programma di ammoder-namento, quello relativo al cacciabombardiere F-35.In realtà con l’avvento di un governo tecnico chepare possa far digerire ai partiti quasi qualunquecosa, dalla riforma delle pensioni alla liberalizza-zione delle professioni, anche per la Difesa si offrel’opportunità di condurre quella riforma complessi-va che attende invano da almeno un paio di lustri. Ela cosa potrebbe risultare più semplice perché allaguida del ministero della Difesa c’è l’ottimoGiampaolo di Paola. Il quale aveva già a suo tempodelineato e poi aggiornato un piano complessivo diriforma, all’insegna del superamento di quel model-lo professionale con 190mila uomini che era già evi-dentemente insostenibile quando fu varato e che èarrivato invariato fino ad oggi. Con il risultato cheoggi il 70 percento della spesa per la funzione dife-sa, 9,5 miliardi di euro all’anno, se ne va in stipendiper il personale militare e civile. Il resto è diviso perl’esercizio, circa l’11 per cento e l’investimento, 18per cento. Questi sono i dati dopo l’ultimo taglio albilancio 2012 che ha portato ad eliminare 1,4miliardi per gli investimenti. Del resto non c’eranoalternative, gli stipendi non si toccano e l’esercizio ègià stato massacrato negli scorsi anni.

È evidente dunque che la riforma della difesa, se ècondizionata dal fattore soldi e non da un ragiona-mento sul ruolo dell’Italia, le sue esigenze di difesa esicurezza e del livello di ambizione, deve “aggredi-re” la voce di spesa più importante. Il che vuol direscendere dai 180mila effettivi attuali a 150mila-140mila e ridurre anche il personale civile, pari a30mila unità. E visto che si tratta di professionisti evolontari e non di soldati di leva… buona fortuna alministro e al Governo. Però questa è la volta buonaper introdurre anche nuove piante organiche, unanuova legge di avanzamento che potrebbe eliminarele storiche disfunzioni che fanno dell’Italia uno deipaesi con più elevato tasso di generali, dirigenti equadri in tutta la Nato (e non solo).La spesa per l’esercizio, oggi insufficiente, potràcomunque in qualche misura ridursi se si riuscirànell’impresa di razionalizzare una volta per tutte ein chiave interforze l’elefantiaco apparato di sup-porto, territoriale, logistico, di istruzione, privile-giando la componente operativa a tutte le altre.Quanto all’investimento, il tasso di capitalizzazio-ne, ovvero quanto si spende per ogni soldato, nonpotrà ridursi, ma anzi dovrà essere mantenuto suglistandard internazionali, se vogliamo che le nostreforze armate possano operare al fianco di quelle dipartner ed alleati. Insomma forze armate più picco-le, meno capaci no. Il ministro ha già accennato alfatto che cambierà il modo di acquistare sistemi edequipaggiamenti per la difesa, perché ovviamente iquantitativi andranno a ridursi e i soldi disponibiliper finanziare ricerca e sviluppo andranno concen-trati in settori prioritari. Si dovrà fare maggiorericorso ai programmi in collaborazione e agliacquisti off the shelf (ma con pacchetti di offsets inlinea con gli standard internazionali).Insomma se ci si pensa bene la ristrutturazione delsistema difesa è una sfida, avrà dei costi, ma è ancheuna opportunità unica. Che non va sprecata.

GLI EDITORIALI/STRANAMORE

Attacco alla Difesa?

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Immaginiamo che il comandantedi una petroliera battente bandie-ra italiana debba fare rotta da

Trieste al Bahrein. Prima ancora disalpare, ha la sensazione di affronta-re uno dei viaggi più temerari dellasua carriera navale. Non è tanto loscopo della missione, quanto la rottada percorrere che lo preoccupa. Glibasta un rapido sguardo alla carta geo-grafica perché si renda conto che lasua nave dovrà affrontare tre punti cri-tici, sia a livello di sicurezza sia poli-ticamente. Sono cambiate molte coseda appena cinque, forse sei anni fa,quando attraversare Suez, tagliare leonde prospicienti il Corno d’Africa epoi risalire verso le calde acque delGolfo persico era un gioco da ragaz-zi. Oggi questa lunga tratta è segnatada almeno tre chock point, nei quali la petroliera,ma soprattutto l’equipaggio potrebbero trovarsi se-riamente nei guai. Il Canale di Suez appunto fa pen-sare a quel che è accaduto lo scorso anno in Egitto.Con la Somalia, la mente corre dritta alla pirateria,che così tanto si è intensificata dal 2008 a oggi. In-fine c’è Hormuz: l’ennesima provocazione lancia-ta dall’Iran al mercato globale.Premessa: questo viaggio parte da Trieste per unaserie di motivazioni. La nave è italiana ma l’arma-tore è tedesco, mentre la commissione di acquisto

di petrolio nasce da una partnership ditanti clienti dell’Europa orientale. Tut-to frutto dell’immaginazione, ma nonè così distante dalla realtà. L’avventu-ra che è di là da affrontare sembra ri-calcare una sintesi della Mitteleuropatrasportata nel Terzo millennio. Da do-ve potremmo partire quindi, se nonTrieste, la città più asburgica d’Italia?Questo, per giunta, è lo scalo petroli-fero più attivo di tutto il Paese, con isuoi 35 milioni di greggio qui scarica-ti ogni anno. Insomma, il viaggio è unasfida al quadrante geopolitico medio-rientale (in senso lato), realizzato conla bandiera dell’Unione europea issa-ta sul pennone della nave.La prima tappa è Suez. Il suo canale èsempre un protagonista essenziale nel-la storia politica ed economica tra il

Mediterraneo e l’Estremo oriente. Da qui passa l’8percento degli scambi commerciali di tutto il mon-do. E non si parla solo di petrolio. Anzi. È ormai ilmade in China a spadroneggiare nei cargo che at-traversano questo segmento di 164 chilometri di ma-re in pieno deserto. Per l’Egitto si tratta della suaterza fonte di reddito, dopo il Nilo e il turismo. Èstato calcolato che un eventuale blocco del canale,come avvenne nelle tre guerre combattute tra le for-ze egiziane e quelle israeliane, provocherebbe unaperdita di 7 milioni di dollari al giorno per il mer-

ScenariPENISOLA ARABICA

ACQUE PERICOLOSEDI ANTONIO PICASSO

L’Egitto non potràmai fare

a meno di gestireil transito di Suez.

Troppo forti gli interessi economici.

E Hormuz appare ancora lo spettro

che Khomeinisapeva agitare

così bene. L’unica vera

incognita rimane il Corno d’Africa

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scenari

cato globale. Nella rivoluzione araba del 2011, Suezverrà ricordata come la Sidi-Bouzid dell’Egitto, inriferimento alla città tunisina dove scoppiò la me-tastasi contro Ben Ali. Sono 450mila gli abitantidella città sul canale. Un numero esiguo, rispetto aimilioni di cairoti e di alessandrini. In termini di red-dito però si tratta di una fetta sociale influente. Lerimesse sempre positive del passaggio di navi inci-dono virtuosamente sulla popolazione locale. Neiprimissimi giorni del 2012, il ministro egiziano del-lo Sviluppo e della cooperazione internazionale,Faisa Abul Naga, ha reso pubblico il bilancio delleattività del Canale in riferimento all’anno che si èappena concluso. Ammontano a 12 i miliardi di dol-lari delle rimesse totali del 2011, 3 miliardi in piùrispetto all’anno precedente. Il 2 gennaio 2012 inol-tre, si è raggiunto il record assoluto di introiti nelpassaggio di navi in tutta la storia del canale: 18,9milioni di dollari, per un ammontare di 71 imbar-cazioni transitate (3 milioni di tonnellate totali). Èun successo per tutto il comparto marittimo nazio-nale, in barba a chi, caduto Mubarak, temeva uncrollo delle attività a Suez.Tuttavia, se il quadro economico della città restaflorido, non si può dire altrettanto del contesto po-litico. Da qui lo scetticismo del nostro marinaio inpartenza da Trieste e per forza di cose in transitoper il canale. È a Suez infatti che il 25 gennaio 2011è morto Mustafa Regab Mohamed, prima vittimadella rivoluzione. Nelle elezioni parlamentari di no-vembre e dicembre, la coalizione islamista di Fra-telli musulmani e dei salafiti, rispettivamente Free-dom and justice party e al-Nour, hanno ottenuto unavittoria significativa contro l’Egyptian bloc, l’alle-anza formata da liberali e socialdemocratici, oltreche sostenuta dai copti e dall’Islamist Sufi libera-tion party. La sconfitta è risultata dolorosa soprat-tutto per la comunità cristiana, 28mila elettori, il cuibenessere economico è legato ai comparti chiavedell’economia nazionale. Sono copti i massimi in-vestitori nel turismo del Mar rosso, così come neicommerci ad Alessandria e negli introiti del Cana-

le. Il cocktail di politica, religione ed economia, pe-rò, ha trovato in Suez l’ennesimo punto critico. Re-centemente, il governo del Cairo ha confiscato 2.100ettari a nordovest della città, acquistati ancora nel1996 da Naguib Sawiris e Ahmed Ezz. A suo tem-po, l’operazione era volta a fare dell’area un nuovopolo turistico e industriale. Tuttavia, la mancanza dirisultati in questi diciotto anni ha spinto la Giuntamilitare alle decisioni più estreme. Il fatto poi chele operazioni d’acquisto dell’appezzamento fosse-ro gravate dal sospetto di corruzione ha ancor piùmotivato il governo del Cairo. La vicenda lascia de-gli strascichi di scetticismo nel momento in cui la siosserva da una prospettiva politica. Sawiris è un cri-stiano copto, fondatore del Free Egypt party, un mo-vimento di opposizione all’attuale esecutivo e co-me pure alla maggioranza islamista che ha vinto leelezioni. Ezz, a sua volta, è un ex esponente del re-gime di Mubarak, per giunta arrestato a febbraio etuttora dietro le sbarre. Dando libero sfogo alla ma-lizia, è possibile che il sequestro di un immobile, dicui Sawiris ed Ezz sono proprietari, sia legato nontanto ai nobili motivi di fare giustizia in seno a unestablishment egiziano corrotto, bensì all’intenzio-ne di bloccare le attività di due tycoon pericolosi perla Giunta oggi e per il governo di domani?Se così fosse, sarebbe la conferma di come la ri-voluzione della primavera scorsa si stia traducen-do rapidamente in un’involuzione politico-confes-sionale. A Suez la Fratellanza ha celebrato la vit-toria del conservatorismo. Nulla da obiettare sullaterminologia. Bisogna capire però se l’obiettivo siadi superare il post-Mubarak (cosa necessaria) e im-porre al Paese gli abiti di una repubblica modera-tamente islamica. Operazione che farebbe storce-re il naso ai più. Perché in questo caso a rimetter-ci non sarebbe solo la classe dirigente nazionaleche è riuscita a salvarsi dallo tsunami politico del-lo scorso anno, bensì anche i rapporti con Occiden-te ed Estremo oriente.La grande incognita per Suez è: nell’ipotesi di un’af-fermazione delle fronde più estreme dei Fratelli mu-

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sulmani e dei salafiti (non tutti, solo alcuni sonofondamentalisti) che succederebbe alle navi chetransitano dal Canale? Un anno fa, quando piazzaTahrir era ancora l’entusiasmante esempio della ca-duta di un tiranno manu populi, il vice segretariodei Fratelli musulmani paventava la chiusura delcanale in caso di conflitto con Israele. Le ragioni diun blocco di Suez sono sempre nate da una guerracon il nemico dall’altra parte del Mar rosso: nel1956, nel 1967 e ancora nel 1973. Sappiamo inol-tre che gli islamisti vorrebbero sottoporre a referen-dum il trattato di pace con Israele (Camp David,1978). Il guaio è che Suez non è vincolata unica-

mente a rapporti e frizioni Cairo-Gerusalemme del-l’immediato futuro. Il Canale potrebbe essere bloc-cato per altri motivi. È infatti il mondo arabo-isla-mico, inclusi Corno d’Africa e Iran, a essere in cri-si, non solo il dialogo tra Egitto e Israele. Ricordia-moci che in questa parte del mondo sono tutti i go-verni occidentali a essere etichettati negativamen-te, non solo quello di Netanyahu. Il Cairo potrebbeaccusare l’Europa di essere troppo vicina alla co-

munità copta, oppure la Cina eccessivamente ami-ca dell’Iran. A ben vedere, molte sono le ipotesi,ma poche quelle prese in adeguata considerazionee che potrebbero mettere a rischio tutti gli accordidi transito, commercio e scambio relativi a Suez.C’è da chiedersi però quanto gioverebbe a qualsia-si governo egiziano prossimo venturo rinunciare aimilioni di biglietti verdi che galleggiano quotidia-namente tra Mar rosso e Mediterraneo, con doppiosenso di marcia. Laica o multiconfessionale, oppu-re islamista radicale, o ancora democratica o ditta-toriale, la prossima leadership egiziana dovrà co-munque garantire a tutta la cittadinanza un tenoredi vita migliore di quello che le veniva offerto daMubarak. Per farlo, le entrate di Suez per il bilan-cio nazionale sono irrinunciabili. Forse ancor piùdi quelle del turismo.Supponiamo comunque che tutte le angosce del co-mandante siano infondate e che la sua nave passitranquillamente Suez senza problemi. Tratto il so-spiro di sollievo però, la tensione torna subito ad au-mentare avvicinandoci al Corno d’Africa. Il capita-no in tal senso è realista. Già dopo Port Sudan, a me-tà del Mar rosso, la situazione potrebbe farsi criticae proseguire addirittura fino a Musqat, nell’Oman.Le miglia marine pericolose sono tantissime. Primaancora di salpare, era stata ventilata la rotta alterna-tiva di circumnavigare l’Africa. Armatore e clientel’hanno subito scartata. La lunghezza del viaggio, icosti e il premio assicurativo escludono una possi-bilità tanto anacronistica. È impensabile che il mer-cato mondiale debba rinunciare a varcare Suez escendere verso la Somalia solo perché un gruppo dipirati tiene in scacco un tratto di mare la cui giuri-sdizione dovrebbe spettare al governo di Mogadi-scio. Sembra di essere tornati alla prima epoca mo-derna, quando si doveva doppiare Buona Speranzaper acquistare spezie e seta agli empori delle Indieorientali. Peraltro lo stesso Golfo di Guinea non èun mare tranquillo. Stando all’ultimo report deiLloyds di Londra, i casi di arrembaggio e pirateriaavvenuti di fronte alla Nigeria sono identici a quel-

Il 2 gennaio 2012, si è raggiunto il record assoluto di introiti nel passaggio di navi in tutta la storia del canale:18,9 milioni di dollari, per un ammontare di 71 imbarcazioni transitate (3 milioni di tonnellatetotali). È un successo pertutto il comparto marittimonazionale, in barba a chi,caduto Mubarak, temeva uncrollo delle attività a Suez

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li della filibusta somala. Certo, le iniziative nel Cor-no sono tutte utili e sembrano funzionare. Almenodimostrano che, se l’interesse è comune, gli Stati so-no anche in grado di schierarsi tutti dalla stessa par-te. Tra Euronavfor e la Combined Task Force 150non c’è concorrenza. Da quando nel 2008 c’è statoil boom di attacchi, Stati Uniti, Unione Europea, in-sieme a Russia e Cina hanno saputo impiegare le ri-spettive forze navali per venire in soccorso dei na-vigli commerciali. In realtà, India e Giappone sonostati i due Paesi più impegnanti nel quadrante. Aquattro anni di distanza dalle prime grandi mano-vre, sono circa 40 le navi da guerra superaccesso-riate che tagliano le onde dinnanzi al Corno. Positi-vo in questo senso è che le singole unità non sianochiamate a intervenire solo in caso di arrembaggiodi un’imbarcazione connazionale. Non esisteun’esclusiva di bandiera.

Tuttavia, questo non basta. Il 2011 si è chiu-so con ben sei imbarcazioni di alto tonnellaggionelle mani dei terroristi del mare, per un totale di176 persone sequestrate. Le compagnie navali so-no preoccupate non solo per la tratta, ma ancheper i premi assicurativi che crescono a seguito de-gli incidenti in loco. Gli interventi dei governi,per quanto chirurgici possano apparire, risultanoinefficaci. Così come palliativa è la proposta diimbarcare contractor sulle navi civili e sui cargo.A prescindere dal rischio in cui si può incorrerenel far salire a bordo di una nave armi e altri stru-menti di difesa. I pirati non sono interessati soloal riscatto percepibile dal sequestro di una super-petroliera, ma anche al recupero di fucili, muni-zioni, razzi e tutto quanto occorra per proseguirela propria guerra di corsa. Certo, sull’immediatoil tornaconto dell’iniziativa potrebbe essere posi-tivo. Ma poi ci si renderebbe conto che con essonon verrebbero abbattuti i costi di viaggio e le os-sessionanti assicurazioni.Il vero problema infatti è sulla terraferma, a Mo-gadiscio, dove il governo non c’è, perché al sicu-

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ro in Kenya. Nel frattempo il Paese, dichiarato fal-lito ormai da vent’anni, ondeggia tra Shabab, al-Qaeda, signori della guerra e tribù rivali. Quest’an-no si dovrebbero tenere le elezioni. Ma il condizio-nale è inevitabile. Se la comunità internazionale sirendesse conto che per sistemare la pirateria fosseprioritario fare ordine sulla costa, magari non soloin Somalia, ma anche in Yemen, i mercantili attra-verserebbero il Mar rosso con meno palpitazione.Comunque, supponiamo che fortunatamente il no-stro Corto Maltese esca indenne anche dal Mar ros-so ed entri nel Mare arabico, o Golfo persico chedir si voglia. Qui si troverebbe al centro del ciclo-ne diplomatico che spadroneggia sulle prime pagi-ne di tutti i giornali dalla fine del 2011. La recen-te ammonizione del governo iraniano di bloccarelo Stretto di Hormuz alle navi in transito da e pertutti i grandi scali petroliferi del Golfo ha provo-cato una nuova impennata dei prezzi del greggio.«Se ci saranno altre sanzioni contro di noi, bloc-cheremo lo Stretto di Hormuz», ha detto il vicepre-sidente iraniano, Mohammad Rahimi. È vero che,dopo appena un giorno, è arrivata una smentita daparte dello Stato maggiore della Marina di Tehe-ran: «Sarebbe facile per noi chiuderlo. Come bereun bicchiere d’acqua. Ma non è necessario farloperché già lo controlliamo». La dichiarazione pe-rò suona come una beffarda provocazione che siaggiunge a quella precedente. Altrettanto signifi-cativa è la riflessione del ministero del Petrolio delregime: «Sarebbe un suicidio». Questo impone aigoverni occidentali di non reagire, né a parole nécon altre sanzioni, almeno per ora. Gli Ayatollahsono in preda a una fase di riassestamento interno.Non sfuggono le lotte di potere tra i moderati e di-sponibili dal dialogo da un lato e gli oltranzisti dal-l’altro, i quali non aspettano altro che un attaccostatunitense o israeliano per assumere il pieno con-trollo del Paese. È il realismo che si scontra conl’estremismo, ma è anche la manifestazione di unaframmentazione in casa sciita che forse qui in Oc-cidente non riusciamo a calcolare nella sua totali-

tà. «Qualsiasi atto per interrompere il traffico ma-rittimo non sarà tollerato», ha detto il Pentagono,mentre in Europa si è tornati a discutere del varodi nuove sanzioni.Forse però, sarebbe bene per Washington e Bruxellestemporeggiare. In gioco c’è la stabilità del mercatoenergetico mondiale. A Teheran questo lo sanno be-ne, non a caso ritirano fuori la carta Hormuz. Da quitransita circa un terzo del greggio mondiale, oltre 15milioni di barili al giorno e di questi 4 milioni vengo-no dai pozzi iraniani. Dunque la chiusura avrebbe ef-fetti catastrofici sulle nostre povere economie, già inrecessione. Ma si ripercuoterebbe anche sui Paesi invia di affermazione, vedi l’India e poi la lunga schie-ra di mercati dell’Estremo Oriente.

L’obiettivo di Teheran è semplice. Con la po-tenziale chiusura dello stretto – un budello lungo ap-pena 60 chilometri e largo 30 – si metterebbero incrisi le dinamiche diplomatiche intessute da Washin-gton per creare il cordone sanitario delle sanzioni in-torno al regime. Europei, giapponesi e sud coreani sitrovano nella non facile situazione di stare al fiancodegli Usa e, al tempo stesso, di salvaguardare le re-lazioni con gli iraniani. Se chiude Hormuz, le loco-motive industriali rischiano di rimanere a secco. Sitroverebbero quindi a non poter nemmeno riuscire adare mano forte agli Usa, né sul fronte politico né alivello militare ed economico. Con cisterne e serba-toi vuoti, gli aerei non decollano e le navi non salpa-no. In sede Ue e Nato, la sola a poter aiutare sul cam-po gli Stati Uniti sarebbe la Gran Bretagna. Ma conle riserve del Mare del nord bloccate per eventualiperiodi di vacche magre, Raf e Royal Navy restereb-bero bloccate a terra od ormeggiate. Vista così, Te-heran parrebbe aver schiacciato il bottone giusto.Tuttavia, lo spauracchio di Hormuz non è una no-vità. Nei casi precedenti in cui era stato tirato fuo-ri dall’armadio, gli Ayatollah si erano resi conto cheil saldo costi-benefici dell’operazione risultava po-co vantaggiosa. Negli anni Ottanta, durante il con-flitto con l’Iran, furono numerosi i momenti in cui

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si rischiò uno scontro tra la marina iraniana e le uni-tà della marina statunitense impiegate nelle operazio-ni di controllo delle attività belliche tra i due Paesi.La prima guerra del Golfo (1990-1991) aveva spintoil Pentagono a realizzare una flotta permanente da di-slocare in quelle acque e da lasciare attraccata nellabase del Bahrain. La decisione non poteva che susci-tare le ire degli iraniani, a quel tempo non così deter-minati nel loro progetto nucleare. Tuttavia, a Baghdadc’era ancora Saddam Hussein e Washington era con-vinta prima di tutto di far fuori il suo ex alleato. Poici si sarebbe occupati di Khamenei e company. Quelmomento è arrivato in meno di dieci anni. Un po’per-ché il tiranno iracheno ha fatto la fine che ha fatto, unpo’ perché il programma nucleare iraniano ha ingra-nato una marcia che nessuno di aspettava.Su questi precedenti di base, Hormuz è già stata unproscenio di tensioni. Tra il 2007 e il 2008, i velocibarchini della Marina iraniana hanno giocato a taglia-re la rotta alle corazzate Usa. La scena era molto si-

mile a quella dei motoscafi di Greenpeace che cerca-no di fermare le baleniere giapponesi immolandosinei mari artici. Solo che nel Golfo di naturalistico nonc’è nulla. Venti di guerra a parte, ci sarebbe un’alter-nativa per risolvere una volta per tutte il problema. Ecioè quella di bypassare Hormuz con un sistema oleo-dotti. Il progetto non è nuovo. Anzi, il disegno più av-veniristico risale a tempi non sospetti, quando in Me-dioriente a comandare erano davvero i governi occi-dentali insieme alla Sette sorelle. Il Trans-Arabia pi-peline porta la data del 1947. A quel tempo, gli StatiUniti non erano ancora presenti in maniera così ca-pillare nel Golfo. Il controllo della zona era nelle ma-ni della Gran Bretagna, grazie ai mandati post primaguerra mondiale e in Persia c’era un scià. L’oleodot-to trasportava via terra il greggio partendo da Qaisu-mah, in Arabia Saudita, fino al porto mediterraneo diHaifa. Con la nascita di Israele l’anno dopo, però, ilterminal divenne off limit. In un primo momento quin-di si pensò di dirottare il pipeline verso la Siria oppu-re il Libano. Poi l’infrastruttura venne abbandonataa se stessa. Di quell’impianto rimane una segmenta-zione di ben 1200 chilometri che taglia il deserto ara-bico in diagonale. È un oleodotto in disuso, le cui ca-ratteristiche non ne permettono un immediato utiliz-zo. Sette anni fa, il governo giordano ha calcolatoche basterebbero 500 milioni di dollari per ripristi-narlo. La cifra è esigua. Il problema però è mettered’accordo tutti i Paesi attraversati. Alla luce della Pri-mavera araba, ecco che l’idea si dimostra velleitaria.Ragionando su scale di intervento minore, gli Emi-rati arabi uniti (Eau) hanno dimostrato ancora unavolta di essere all’avanguardia. Salvo imprevisti del-l’ultimo momento, ad aprile prossimo sarò inaugu-rato l’Abu Dhabi crude oil pipeline (Adcop): 360 chi-lometri, di cui 15 off shore e una capacità stimata di1,5 milioni di barili giornalieri. L’infrastruttura par-tirà da Habshan, giacimento prossimo ad Abu Dha-bi, e terminerà a Fujairah, emirato membro della fe-derazione. Nella sua essenzialità è quanto basta pertagliar via Hormuz e tutti i suoi problemi senza chenessun Paese produttore vada a risentirne. Anzi. Te-

Ci sarebbe un’alternativaper risolvere una volta per tutte il problema delloStretto del Golfo Persico.Tagliare fuori Hormuz grazie a un sistema di oleodotti. Il progetto non è nuovo. Anzi, il disegno più avvenieristico risale a tempi non sospetti, quando in Medioriente a comandare erano davvero i governi occidentali e le grandi compagnie petrolifere

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nuto conto che, in seno al Consiglio di cooperazionedel Golfo (Gcc) c’è una gara a chi riesce a far per pri-mo le scarpe all’Iran, l’Adcop sembra soddisfare tut-te le ambizioni diplomatiche quanto energetiche. Inol-tre riduce la navigazione di qualche miglio in un ma-re di per sé difficile da navigare e potenzialmente da-rebbe nuovo lustro all’Oman e al suo golfo che, negliultimi anni, ha risentito del ridursi delle proprie risor-se estrattive. Insomma, l’Adcop sembra davvero al qua-dratura del cerchio. Tant’è che nessuna delle potenzeche mantengono un rapporto di cordialità con l’Iran –India, Russia, ma soprattutto Cina – ha avanzato pro-teste. L’idea che il nodo Hormuz venga sciolto senzatante polemiche piace a tutti. Poi si potrà tornare a par-lare di nucleare iraniano. Certo è che il potere contrat-tuale e di ricatto degli ayatollah sarà sensibilmente ri-dimensionato. Anzi, è già stato ricalibrato. Durante ilforum mondiale sull’energia, che si è tenuto ad AbuDhabi a metà gennaio, i sauditi si sono dichiarati benlieti di sopperire alle potenziali mancanze dovute a Hor-muz. Riyad non si lascia sfuggire di aumentare i pro-fitti anche da una crisi che rischia di scoppiare nel suogiardino di casa.

A questo punto, al nostro capitano appena sbar-cato in Bahrein non resta che condividere la ritrova-ta serenità con i colleghi cinesi e indiani, come purecon i militari statunitensi. Due delle tre criticità chelo angosciavano durante la traversata si sono rivela-te fittizie, Suez e Hormuz. La prima perché l’Egittonon potrà mai fare a meno di gestire il transito dellanavigazione mondiale. Hormuz invece appare lo spet-tro di quel drappo rosso che Khomeini sapeva agita-re così bene negli anni Ottanta. Khamenei, si sa, nonè all’altezza del suo predecessore. Questo non esclu-de un attacco all’Iran, ma fa scoppiare la bolla Hor-muz. Per quanto riguarda il corno d’Africa la que-stione resta preoccupante. Il comandante infatti nonvede all’orizzonte iniziative in soccorso della Soma-lia per la sua ricostruzione politica. E così si rendeconto di una cosa: dal Bahrein, con la sua petrolierache ha appena fatto il pieno, deve tornare a Trieste.

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lo scacchiereUnione europea /sulla difesa

si muovono tutti. ma non l’italiaSe Washington fa un passo indietro e la crisi morde ancora

Mentre i riflettori sono stati puntati sul-l’euro ed è cambiato il governo italia-no, nei mesi scorsi gli altri Paesi del-

l’Ue non sono rimasti inerti sul tema della dife-sa europea. Non tanto riguardo alle istituzioni oalle operazioni della Common security and de-fence policy (Csdp), come avveniva nello scor-so decennio, quanto piuttosto rispetto ad accor-di bilaterali o trilaterali intergovernativi, alle coo-perazioni su procurement e Research&Develop-ment (R&D), al coordinamento politico che con-tribuisce a definire l’agenda successivamente po-sta sui vari tavoli dell’Unione. In questo conte-sto, anche appuntamenti non ufficiali come l’im-ponente conferenza Security and Defence Day,organizzata lo scorso novembre a Bruxelles dal-la Security and Defence Agenda, danno segnaliimportanti sulla direzione in cui soffia il vento.Specialmente se ad aprire il rapporto della con-ferenza sono gli interventi del ministro della Di-fesa francese e del suo omologo tedesco. Il pri-

mo, Gérard Lon-guet, ha ribadito laposizione ufficialefrancese secondocui l’accordo fran-co-britannico del2010 non è unacooperazione bila-terale esclusiva edè anzi una compo-

nente della difesa europea. Eppure, sia la letterache l’attuazione dell’accordo puntano verso unadirezione opposta, di bilateralismo puro stile ini-zio Novecento. Longuet ha insistito inoltre sul-l’importanza dell’iniziativa sulla difesa europeaavviata con il vertice di Weimar del febbraio 2011tra Francia, Germania e Polonia, il cosiddettoWeimar triangle. Nel complesso Parigi perseguedunque una strategia, legittima e coerente, perbasare l’impianto della difesa europea su un in-sieme di cooperazioni bilaterali o trilaterali conal centro la Francia stessa. Il ministro della Difesa tedesco, Thomas de Mai-zière, dal canto suo ha posto l’accento sui tagliai bilanci della difesa dei Paesi europei, e sullecrescenti minacce alla sicurezza dell’Europa, persostenere la necessità di cooperazioni che eviti-no duplicazioni e preservino le capacità militaridei Paesi membri. Una posizione certo non inno-vativa, ma che presenta due sfumature nuove edinteressanti. La prima è l’assenza di un riferimen-to da parte del ministro tedesco a framework isti-tuzionali Ue, sostituiti invece dal «forte sostegnoper un processo guidato dagli Stati membri ri-spetto al pooling and sharing». La seconda è ilsostanziale “astensionismo” tedesco di fronte al-la vecchia disputa politico-ideologica tra i soste-nitori del (consolidato) primato Nato e quelli del(futuro) primato Ue in fatto di difesa europea. Inmodo pragmatico, oggi si sostiene invece che ca-pacità militari complementari e sinergiche tra i

DI ALESSANDRO MARRONE

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principali paesi europei servono tanto alla Natoquanto all’Ue, e non importa in che frameworkistituzionale verranno poi utilizzate in caso dieventuali operazioni militari. Anche questa affer-mazione riflette la posizione assunta dalla Ger-mania nel caso delle operazioni in Libia, e unacerta emancipazione di Berlino dalla lealtà a pre-scindere una volta dovuta alla Nato. Proprio lacampagna militare in Libia sembra aver trasmes-so almeno due lezioni ai paesi europei. La primaè che può accadere che gli Stati Uniti non abbia-no interesse a sostenere l’onere di un massiccioe prolungato intervento militare in una crisi nelvicinato europeo, e che quindi, come accaduto inLibia, offrano il minimo di capacità indispensa-bili alle operazioni lasciando che siano gli euro-pei ad esporsi maggiormente. Ciò specialmentedopo che, a causa del mancato accordo tra repub-blicani e democratici sul contenimento del debi-to pubblico, sono previsti tagli per 600 miliardidi dollari al bilancio del Pentagono tra il 2013 eil 2023. Gli europei devono quindi assicurarsi ilmantenimento di determinate capacità strategi-che se non vogliono rimanere inerti spettatori incaso di crisi nel loro cortile di casa. La secondalezione è che, dopo un tentativo iniziale france-se di condurre le operazioni in Libia su base na-zionale – tentativo respinto anche per l’opposi-zione dell’Italia – la Nato offre un buon frame-work per le operazioni militari congiunte tra glistati membri, come riconosciuto dallo stesso Lon-guet. In quest’ottica, la lettera inviata all’Alto rap-presentante Csdp, Catherine Ashton dai governidi Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagnaper avviare la costituzione di un quartier genera-le militare Ue, è probabile che rimanga letteramorta – e non solo per l’opposizione della GranBretagna e per l’incapacità della Ashton di dar-vi seguito. Il punto non sono infatti i quartier ge-nerali, già sovrabbondanti nel Vecchio Continen-te, ma le capacità militari europee che invece so-

no scarse e saranno ancora più scarse dopo gli at-tuali tagli ai bilanci della difesa. Poiché il puntosono le capacità militari, e quindi il procuremente le commesse per l’industria della difesa, coo-perazioni politiche come il Weimar triangle – pernon parlare dell’accordo franco-britannico – as-sumono maggiore rilevanza e non solo simboli-ca. È infatti all’interno di questi ambiti che, inmodo più o meno formale o informale, si getta-no i semi delle prossime cooperazioni militari eindustriali. E l’Italia? Tra gli speaker del Security and defen-ce day non c’era nessun rappresentante del go-verno, delle istituzioni o delle Forze Armate ita-liane, mentre erano numerosi non solo i rappre-sentanti francesi e tedeschi ma anche quelli po-lacchi – con il risultato, alquanto paradossale, diun ammiraglio polacco che tiene una relazionesulla sicurezza marittima del Mediterraneo. L’uni-co speaker italiano era il direttore generale per lagestione delle crisi del Servizio europeo di Azio-ne esterna, Agostino Miozzo, in veste però di al-to funzionario Ue e non di rappresentante del-l’Italia. Sulla difesa europea c’è di fatto un vuo-to da riempire con un’iniziativa politica da partedel governo italiano, in primis ministero della Di-fesa e ministero degli Esteri, nell’interesse di tut-to il sistema-Paese, e anche nell’interesse di unadifesa europea che non può essere impostata so-lo come un insieme di rapporti bilaterali. Appro-fittando della ritrovata maggiore coesione inter-na, nel 2012 l’Italia haforse l’opportunità, e dicerto la necessità, di re-cuperare parte del ter-reno perduto in Europa– per vari motivi – nel2010-2011, e non solosul fronte del debitopubblico e dei mercatifinanziari.

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Americhe/il brasile sfamerà il mondoLa battaglia ambientalista contro l’agroindustria per l’Amazzonia

DI RICCARDO GEFTER WONDRICH

In questi mesi si stanno definendo i contorni dellanuova normativa brasiliana nel settore ambienta-le, con riflessi sulla produzione agricola e sulla

preservazione delle foreste. Il tema è al centro di di-battiti e proteste. Il 26 per cento del Pil del Brasile vie-ne dal settore agroindustriale, che impiega il 37 percento della forza lavoro. La produzione cerealicola ètriplicata in trent’anni, superando i 160 milioni di ton-nellate. Nel 2010 le esportazioni di origine agricolahanno toccato la quota record di 76 miliardi di dolla-ri e, pur se la campagna in corso risentirà negativa-mente di una siccità eccezionale, il ministero dell’Agri-coltura entro il 2021 prevede aumenti del 20 per cen-to nella produzione di latte, del 23 per cento nei cerea-li, del 26 per cento nella carne. Quando la Fao affer-ma che la produzione di alimenti dovrà crescere del70 per cento per sfamare 9,1 miliardi di persone nel2050, aggiunge anche che ci si aspetta che il 40 percento di quest’aumento verrà proprio dal Brasile. Laricerca scientifica, gli investimenti e la tecnologia di-sponibile permettono di guardare al settore primariocon ottimismo. I problemi vengono dalla sostenibili-tà ambientale della produzione agro-zootecnica, e so-no tanto più complessi quanto più ci si sposta da Sta-ti iper-produttivi come Paraná e San Paolo verso la va-sta regione amazzonica, dove bisogna far quadrare esi-genze di sviluppo economico, tutela ambientale e ri-spetto delle leggi. L’agroindustria è importante anchedal punto di vista politico-elettorale. Per difendere ipropri interessi ha articolato una lobby potente, cheoggi è massicciamente dispiegata nella battaglia perla riforma del codice forestale. A dicembre il SenatoFederale ha approvato il progetto di legge con 58 vo-ti a favore e 8 contrari, e rinviato il testo alla Cameraper la votazione definitiva prevista per il 6 marzo. Ilcodice attualmente in vigore risale al 1965, con suc-cessive modifiche. Stabilisce le norme per l’utilizzo

commerciale del suolo, regolando la gestione delleAree di preservazione permanente e delle Riserve le-gali. Le prime sono zone vicine ai corsi d’acqua e aipendii delle montagne con potenziali rischi di erosio-ne, piene e smottamenti. La riserva legale è invecequella porzione della proprietà rurale che deve man-tenere la copertura vegetale originale per conservareo riabilitare i processi ecologici e la biodiversità. Trai vari punti, il progetto di riforma prevede una riduzio-ne delle App e Rl: dall’80 per cento al 50 per centonelle proprietà private della regione amazzonica in ta-lune situazioni, e da 30 a 15 metri ai bordi dei fiumidi minor larghezza. I movimenti ambientalisti sono sulpiede di guerra: per loro, se si vuole accrescere la pro-duzione agricola basterebbe rendere più efficiente l’al-levamento passando a forme più intensive, recuperan-do così oltre 60 milioni di ettari all’agricoltura (dati diuno studio dell’Università di San Paolo). Esiste un si-stema di sanzioni per chi viola la normativa ambien-tale, ma nei fatti è quasi inapplicabile. I governi pas-sati avevano tollerato se non addirittura promosso ildisboscamento, e i produttori agricoli sostengono cheè ingiusto far ricadere su di loro tutta la colpa. Di fron-te a questa impasse, il testo del nuovo codice prevedeun’amnistia per le violazioni commesse prima del2008, a cambio di un impegno da parte dei produtto-ri per recuperare le aree (App e Rl) degradate. Questoè però inaccettabile per gli ambientalisti, che parlanodi colpo di spugna sui disboscamenti illegali del-l’Amazzonia e puntano sull’opinione pubblica inter-nazionale per costringere il presidente Dilma Rous-seff a porre il veto alla legge. Un anticipo delle prote-ste si è avuto a Durban, in Sudafrica, durante il verti-ce Onu sul cambio climatico, ed è facile prevedere chequesto tema sarà protagonista nelle strade di Rio deJaneiro nel giugno prossimo, quando si terrà la confe-renza mondiale sullo sviluppo sostenibile «Rio+20».

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scacchiere

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Il 2012 si presenta come un anno insidioso per l’Afri-ca, ricco di pericolose sfide ma anche di grandi op-portunità. L’ondata di cambiamento, innescata or-

mai da alcuni mesi in Nord Africa con l’Arab Spring,prosegue inarrestabile il suo percorso con le consulta-zioni elettorali, tuttavia si è creato uno sfasamento tra leproteste sociali (che continuano nelle piazze) ed i nuovidetentori del potere. Dopo i primi momenti di euforia inTunisia, Egitto e Libia, si sono prodotti dei blocchi cheostacolano una nuova gestione responsabile, equilibratae scevra da vendette di parte. Da non sottovalutare poiil rischio di estremismi religiosi che – oltre a far regre-dire i singoli paesi – potrebbe provocare ulteriori faglietra le due sponde del Mediterraneo. Nell’area sub-saha-riana, ci sono ritardi evidenti. La volontà di modificaregli assetti istituzionali c’è ma è debole: non c’è coesio-ne tra i gruppi etnici, non c’è reductio ad unum dell’op-posizione (come dimostrato dalle recenti elezioni delCongo Kinshasa), non c’è una coscienza sociale. L’al-ternanza non riesce a decollare, né attraverso una prote-sta dal basso né tramite elezioni free and fair. Ad ecce-zione di Ghana e Mali, il voto per le consultazioni – sia-no esse presidenziali, parlamentari o locali – non lasciamolte speranze in Senegal, in Kenya, in Zimbabwe, inMadagascar, in Angola e Togo. In Senegal, la candida-tura del cantante Youssou N’dour per la più alta caricaistituzionale, piuttosto che coagulare la minoranza, puòspaccare ulteriormente l’opposizione e favorire l’85en-ne Abdoulaye Wade, al potere dall’aprile del 2000. InKenya, l’avvio caotico dell’operazione militare LindaNchi in Somalia ha messo in evidenza – oltre al premierOdinga – il ministro della Difesa Haji e quello della Si-curezza interna Salitoti, ma resta il dubbio sulle forma-zioni politiche dietro a questi uomini, e soprattutto c’èuna grande paura che si possano ripetere le violenze del-le competizioni del dicembre 2007. A ciò si aggiunge iltimore che possano verificarsi attentati organizzati da

gruppi terroristici collegati con al Qaeda. In Zimbabwe,l’87enne Robert Mugabe ha annunciato la sua candida-tura alle prossime elezioni ed ha assicurato che porteràancora una volta lo Zanu-Pf alla vittoria. L’accordo for-zoso con l’opposizione del Mdc di Morgan Tsvangirai,volto ad un governo inclusivo, non ha prodotto i risulta-ti auspicati e non poteva fare altrimenti. La partita è ar-rivata alla fase finale: non ci può essere mediazione, so-lo con la forza una delle due parti può assicurarsi la ge-stione del potere. Se il voto rappresenta una sfida aper-ta per il continente, non si può sottovalutare il rischio ter-rorismo in Somalia, Nigeria e Sahel. E non si tratta disingoli reparti: la sinergia di al Shabab, Boko Haram edal Qaeda nel Maghreb islamico potrebbe provocare dan-ni irrimediabili alla stabilità continentale. Ai protagoni-sti indiscussi del terrore, nella regione centrale si aggiun-ge il Lord’s resistance army (Lra). Le azioni del grupponord-ugandese hanno addirittura indotto un impegno diNazioni Unite, Unione Africana e Usa. Il quadro diven-ta ancora più fosco qualora si mettano a sistema connes-sioni di queste entità con il traffico di stupefacenti, di ar-mi e con la tratta di esseri umani.Per quanto concerne il settore petrolifero, resta il nododell’accordo mancante tra Sud e Sud Sudan: le accusereciproche non colmano la lacuna degli ultimi mesi emettono in pericolo la ricchezza nazionale di entrambi ipaesi nonché il lavoro di operatori stranieri. Se questo èil quadro generale, c’è da chiedersi da dove nascano al-lora le opportunità per il continente. Di certo dal modoin cui esso si impegnerà nel garantire i principi della go-od governance all’interno e dal modo in cui il continen-te saprà proporsi ai suoi interlocutori (asiatici, america-ni ed europei) all’esterno. È passato il tempo dell’apatiae degli slogan propagandistici in cui i problemi eranoesclusivamente originati dall’esterno. I grandi «padri afri-cani» (Mandela in primis) dimostrano che la vera oppor-tunità è l’impegno responsabile… su tutti i fronti.

Africa /la sfida nel maghreb islamicoLa “Primavera” è messa a rischio dall’asse al Shabab, Boko Haram ed al Qaeda

DI MARIA EGIZIA GATTAMORTA

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La storiaLa storia

di Virgilio Ilari

LOLOTTA“the beautifull”,

che amavai soldatini

Era l’estate del ‘54. Travolti da una botta divita, eravamo in vacanza in Riviera, dolo-ranti tra i sassi roventi e taglienti, baracca-ti in una fetida locanda gestita da un sici-liano. Pe famme sta’zitto m’avevano com-prato una panoplia da indiano, e fu proprio

quella dottoressa a provocare il trauma! L’avevo ap-pena appoggiata alla parete per mettermi a tavola, cheuna mia coetanea s’impadronì dellalancia e si scatenò in una selvaggiadanza di guerra. «M… mamma,qu..quella femmina m’ha preso lalancia!», riuscii appena a balbettare,strozzato di vergogna tra i cocci del-la mia identità. Yes, madam! Poi, cer-to, crescendo e studiando giurispru-denza, riconsiderai sotto un’altra an-golatura la concessione di lance incomodato d’uso alle allegre scespi-riane di Windsor. Ma er trauma c’erastato, eccome! In quel momento sta-vo facendo colazione con burro e

marmellata, e da allora quella mescolanza di bianco egiallastro me da il voltastomaco. No, dottoré, non èche me fa pensà alla «cuccarda der mezz’ovo tosto»messa in berlina da quel mangiapreti del Belli: si figu-ri se ce la posso avé co la Santa Sede io, che ho inse-gnato alla Cattolica e tutte le sere feriali m’aggusto Ra-dio Londra. No, anzi, la Chiesa la pensa come me: ilburro è burro, la marmellata è marmellata, e le donne

prete no pasaran. «No pasaran»?Ma se già si parla di aprire laguardia svizzera alle converse ti-cinesi! Avete poco da ridere, tar-tufi! Avete ceduto sul voto, tan-to stavate per abolire la democra-zia; e da allora giornaliste, magi-strate, chirurghe, ammiraglie, pa-pesse. E vabbé, tutto qui? pensa-te sornioni voi gattopardi vitello-ni e femminieri che tanto campa-te di rendita. Voglio vedere chefaccia farete quando il Tar impor-rà le quote rosa pure in serie A!

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Intanto già la Curva Sud è in mano alle ultrà e alle ce-lerine. A voi soldatinari non fa né caldo né freddo, ve-ro? Tanto la partita è roba da parrucchiere, come l’eser-cito, la patente, le Seychelles e l’Ipod ... Eh sì, voi zuz-zurelloni siete rimasti ad Hans Christian Andersen! Al-tro che soldatini di stagno e ballerine di carta! L’aveterimossa, quella scena iniziale di Miracolo a Milano incui la signora Lolotta (Emma Gramatica) non solo com-pra i soldatini a Totò il Buono(Francesco Golisano) ma è pro-prio lei che gl’insegna a giocarci,schierandoli abilmente sulle op-poste sponde del rigagnolo di lat-te sbollito fuori dal pentolino? An-naspate, vero? Lo so a che vi sta-te aggrappando: quello era un in-cubo comunista, come quelle fa-vole terrificanti delle amazzoni,delle gladiatrici, della Monja Al-férez, delle Kunoichi, mica una co-sa vera ... Infatti! È finita l’epocain cui le uniche donne che vi ac-

compagnavano alla fiera di Novegro erano le poveremogli-mamme che non vi possono mai lasciare da so-li; e le single, a Waterloo, si accontentavano di vestir-si da vivandiere! Alla fine li hanno incarnati, i vostrisogni inconfessabili: eccoli davvero, i team di soft-aire gli escuadrones de picas pullulanti di “ruzze” assa-tanate dall’invidia penis!Altro che comunismo! Stalin, sant’uomo, vietò infat-

ti Miracolo a Milano pro-prio per la scena reaziona-ria e piccolo borghese diLolotta coi soldatini; men-tre era proprio nell’Ameri-ca maccartista e capitalistache c’era una Lolotta in car-ne ed ossa e in dimensionekolossal! In realtà si chia-mava Anne Seldon Kinsol-ving Brown; aveva trent’an-ni meno di Emma Grama-tica, e, a differenza di Lolot-ta, era sposata e redditiera.

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La Kinsolving Brown aveva conosciuto

Dwyght Eisenhower, Omar Bradley e HermanBeukema quando erano

ancora dei cadetti all’accademia militare

e possedeva una collezione sconfinata

di soldatini lunga ben 5 chilometri

“Cantiniera” degli Chasseurs appiedati della Guardia imperiale di Napoleone III Il primo libro entrato nella Anne K. S. Military Collection

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Nata nel 1906 (a Brooklin), era figlia di una poetessae di un pastore episcopale di Baltimora e l’estate lapassavano (loro sempre!) al mare, vicino ad una bat-teria costiera (ancora puntata contro la Royal Navy).Affascinata dal cambio della guardia, sfoggiava il di-stintivo regalatole dai cannonieri, imparava a cavalca-re alla militare e un giorno fatale si beccò in fronte lapallonata di tre cretini che giocavano a baseball sottola batteria. Erano tre cadettini che facevano il corso ditiro, e che malgrado quell’esordio da conti di Toppo,fecero poi una certa carriera: si chiamavano DwyghtEisenhower, Omar Bradley e Herman Beukema (1891-1960), quest’ultimo poi professore di storia militare aWest Point, sosia di Richard Widmark e massimo in-terprete americano del pensiero geopolitico tedesco.D’inverno Anne guardava dal balcone le parate del«Dandy Fifth» (5th Maryland Infantry) e nel 1914, aotto anni, fu ammessa al corso per ufficiali di riservauscendone capitano del Girls’ Battalion (per chi nonlo sapesse, Balilla e Piccole italiane discendevano daiBattaglioni della speranza giacobini e mazziniani e ilmilitarismo fascista fu una blanda imitazione di quel-lo anglosassone). La collezione di Anne ebbe inizionel 1915, quando, per il suo nono compleanno, si fe-ce abilmente regalare da un esterrefatto collega del pa-dre The Wonder Book of Soldiers for boys and girls.Seguirono poi i soldatini da 10 cent (la paghetta di due

settimane), ma nel dopoguerra furono temporanea-mente smobilitati per far posto alle nuove collezionidi carnets de danse e di articoli di critica musicale eletteraria che Anne scriveva per il Baltimore Ameri-can (oltre a guidare locomotive e rodeare attorno alWashington Monument a bordo di un aereo da guer-ra). Il fortunato fu infine John Nicholas Brown II. Nel1930 la stampa si era ormai involgarita, e intitolò lanotizia delle nozze «Million-Dollar Baby Marries Cin-derella Girl», alludendo al fatto che il trentenne lau-reato di Harvard, discendente da uno dei fondatori diProvidence (nel 1636), era stato il neonato più riccodel 1900 e, grazie al crollo di Wall Street, aveva appe-na preso le redini delle aziende agricole e tessili di fa-miglia rilanciandole e aprendo nuove imprese. Assol-ti così brillantemente gli obblighi di leva, Anne potétornare alla sua eccentrica passione. Pure John era unraffinato collezionista (di libri e opere d’arte) e le ac-cordò generosamente un’intera stanza dell’avita dimo-ra di tre piani nell’Est Side di Providence per esporrein graziose vetrine i soldatini acquistati in Europa du-rante la luna di miele. Occupavano già 83 metri linea-ri (poi gli effettivi crebbero a 5mila), e per poterli clas-sificare correttamente Anne mobilitò tutti i librai ame-ricani per reperire regolamenti, trattati e stampe di uni-formi. Nel 1934 nacque il primo dei tre figli, John Car-ter Brown III, futuro direttore della National Gallery

Veterani napoleonici fotografati nel 1860 con le loro uniformi storiche Locandina del film di Vittorio De Sica

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storia

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of Art. Naturalmente Anne fu pure un’esponente dispicco della Lega femminile antiproibizionista e fer-vente rooseveltiana, ma fu grazie a Stalin che poté at-tingere alle favolose biblioteche dell’aristocrazia zari-sta messe gentilmente in vendita dal regime sovietico. Anne decise l’entrata in guerra ben prima di Pearl Har-bour, quando lesse che l’aviazione unna aveva barba-ramente coventrizzato la Rudolf Ackermann, casa edi-trice di tutti i principali libri (d’arte e di) uniformi pub-blicati in Inghilterra negli ultimi 150 anni. Decise co-sì di salvare il resto, acquistando ogni documento ico-nografico militare comunque reperibile in Europa. Fu-ribonde, Kriegsmarine e Regia Marina fecero del loropeggio, ma alla faccia degli U-boot tutte le casse spe-dite dalla Festung Europa arrivarono incolumi in Be-nefit Street a Providence. Poi intervenne John, sbarca-to a Omaha beach come consigliere culturale di Eisen-hower e addetto al recupero delle opere d’arte razzia-te dai nazisti. Il colpo più grosso delle sue trouvaillesfu, a Parigi, una colossale raccolta di iconografia mili-tare francese commissionata ad un bouquiniste colla-bo da altolocati feticisti nazisti e ovviamente finita aProvidence. Immobilizzata per due anni da una bruttacaduta dalla bicicletta, Anne dovette abbandonare leattività assistenziali della Croce Rossa e della Marina,ma in compenso poté mettere a punto una strategia dicatalogazione dello sterminato materiale che stava rac-

cogliendo: non solo libri, stampe, quadri, ma pure di-segni, acquerelli, fotografie, caricature, cartoline po-stali, pacchetti di sigarette, ceramiche, foulard e via se-guitando. (L’iconografia religiosa è meno ricca e fan-tasiosa di quella militare, e la Libreria Paolina e i ban-carellari di Medjugorje sono poca cosa rispetto a Peti-tot e Novero). Naturalmente pure Anne aveva la suabrava corte di maniaci: inizialmente un ferroviere, uncadettino e il gorilla del governatore. Tuttavia la cer-chia si allargò nei quattro anni (1946-1950) in cui An-ne seguì a Washington John, nominato da Truman as-sistant undersecretary alla Marina (dove serviva il lo-ro secondogenito, poi divenuto capitano di vascello).Così nel 1949, con altri cinque promotori, Anne fondòla Company of military collectors & historians (anco-ra attivissima) e nel 1951 affidò la catalogazione dellasua collezione a Richard B. Harrington. Il bibliotecario morì nel 1989, dieci anni dopo John(1979) e quattro dopo Anne (1985). Nel 1971 il PostOffice di Princeton recapitò una lettera dall’Italia. Eradi Piero Crociani, il principe degli uniformologi italia-ni: chiedeva se per caso avesse qualche dato sulle uni-formi napoletane. Due settimane dopo un postino ro-mano recapitò in via Padre Reginaldo Giuliani l’inven-tario della sezione napoletana della biblioteca di Anne,comprendente tra l’altro un libro «rilegato in maroc-chino rosso con le armi reali e i gigli d’oro», la famo-

«The Garibaldinians crossing the Tiber». Una delle 53 tavole del «Garibaldi Panorama» di John James Story

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Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 RomaAbbonamenti 06.69924088 • fax 06.69921938

Semestrale 65 euro • Annuale 130 euro

Economia, politica, cultura, scienza, religione: ne succedono di cose in ventiquattr’ore. E ci sono decine di televisioni e di giornali che ti assediano per raccontartele. Ma nessuno prova a spiegartele. Leggendo, dentro gli eventi, i segni di dove sta andando il mondo. E cercando insieme

le idee per renderlo migliore…

il quotidiano

Tutti i giorni in edicolalo fa solo liberal

…questo

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sissima serie Sassonia Teschen e molte altre minori perun totale di 1.453 stampe, in massima parte acquistatea Parigi nel dopoguerra. Nel 1973, in gita in Italia conJohn, invitò Piero a colazione all’Hilton di Roma. Gliuniformologi sono notoriamente capaci di percorrere icampi di battaglia, se dell’uopo finendo pure i feriti econtendendosi gli stivali con gli sciacalli ordinari, perreperire buffetterie ed altri effetti; così l’incidente nu-cleare di Three Mile Island (1979) dette modo a Gian-carlo Boeri, dirigente dell’Enea nonché compagno dimerende di Piero e mio, di trascorrere due giorni nellaospitalissima Nightinghale-Brown House. Tornò conmille foto de tutto, poi accolte col sopracciò da Massi-mo Fiorentino, che mascherava l’invidia criticando an-golature e messa a fuoco. Tra i contatti internazionali,particolarmente importante fu quello con l’associazio-ne della Sabretache e col Musée de l’Armée. Nel 1959Anne tradusse in inglese la monumentale storia dellaguardia imperiale di Napoleone I del comandante Hen-ri Lachouque (di cui Anne aveva apprezzato soprattut-to il famoso Dix siècles de costume militaire). La tra-duzione fu pubblicata nel 1961, con uno splendido cor-redo iconografico tratto dalla collezione di Anne e coltitolo The Anatomy of Glory, dalla Brown UniversityPress. Già, perché mi ero dimenticato di dire che la set-tima più antica università degli Stati uniti, fondata nel1764 a Providence da James Manning, porta il nomedel cofondatore e benefattore John Brown (1736-1803),che a differenza del suo più celebre omonimo, dovevala sua fortuna alla tratta dei negri. Pur mantenendo nel-lo statuto il divieto puritano di studiare legge ed eco-nomia (sterco del diavolo), la Braunensis è stata la pri-ma università non confessionale e una delle prime adammettere le ragazze. Dal 2001 è presieduta da una do-cente afroamericana e nel 2007 una commissione uf-ficiale ha contestato che il denaro del benefattore epo-nimo provenisse dal commercio di schiavi. Dopo l’11settembre la Braunensis ha istituito una cattedra di con-troterrorismo intitolata a John Nicholas II. Con 100 pro-fessori e 700 studenti residenti, ha una biblioteca di 6,8milioni di item a stampa e include tra l’altro decine dimigliaia di collegamenti elettronici e ben 250 collezio-

ni (collocate in gran parte nella John Hay Library, unodei due edifici della biblioteca). L’Anne K. S. Milita-ry Collection, è solo una di queste: suddivisa in 11 se-zioni (per tipologia di materiale e per soggetto) è ac-cessibile online tramite il catalogo online, il sito parti-colare (Anne S. K. Brown Military Collection) e la col-lezione digitale (Prints, Drawings & Watercolors fromthe ASKB Collection). Due riguardano il risorgimen-to italiano: una raccolta di 253 stupende illustrazionirelative agli eventi politico-militari del 1848-70 tratteda dodici giornali illustrati francesi, inglesi, austriaci,tedeschi e svizzeri dell’epoca e un “panorama” di 88metri in 53 tavole acquarellate sulla «vita eroica» diGaribaldi, costruito nel 1860 a Nottingham da John Ja-mes Story, acquisito dalla Brown nel 2005 e digitaliz-zato nel 2007 da Vincent J. Buonanno (curiosamenteomonimo del noto deputato leghista nonché sindacodel Comune, Varallo, a cui nel 2006 ho donato la miafamosa biblioteca militare). Tutto questo materiale, e ipezzi migliori delle altre collezioni sono liberamentescaricabili ad altissima risoluzione, sul principio delfair play che fa onore agli Stati Uniti e con l’impegnoda gentiluomini di non farne un uso commerciale. Mal-grado il devastante confronto con lo stato delle biblio-teche pubbliche italiane, è di conforto apprendere dalsito della Braunensis della sua feconda collaborazionecon l’Università di Bologna (Angela De Benedictis) econ l’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma el’Istituto Mazziniano di Genova. Vabbé, ma che c’azzeccano i soldatini co n’armanac-co strategico serio come Risk? direte delusi voi affe-zionati lettori, sempre che siate arrivati fin qui. Che vo-lete, cari amici. Quest’anno nella calza della Befanac’era solo carbone. Tirano aria di bancarotta e venti diguerra, Dio è morto e nemmeno io mi sento troppo be-ne. Ma, mentre passeggiavo per Milano in compagniadi Totò il Buono, abbiamo visto in piazza Duomo unascopa, dimenticata da qualche operatore ecologico se-negalese. Allora ci siamo guardati, l’abbiamo inforca-ta, e siamo volati a razzo oltre le nuvole, a giocare asoldatini con Lolotta Brown, a cavallo della Via Lat-tea. Nell’altra metà del cielo, quella delle Eroine.

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la libreria

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SE LE IDEE VANNOIN GUERRAPER SCONFIGGERE IL JIHADISMO

Per cercare di comprendere meglio le varie “prima-vere” nel mondo arabo e musulmano, le loro conse-guenze, gli episodi di riacutizzazione della lottasecolare tra sciiti e sunniti e gli episodi di crescenteintolleranza religiosa verso i cristiani e, sebbene conminore rilevanza, verso qualsiasi altra religione, ènecessario riprendere in mano qualche libro nonproprio recentissimo e rileggerlo alla luce di quanto

sta accadendo ai giorni nostri. Si scoprirà così che non è affatto vero ilmantra secondo cui «nessuno aveva previsto tutto ciò». Era prevedibile,eccome lo era, tanto che qualcuno, inascoltato, lo aveva sempre detto ecercato di spiegare. Ma in Occidente, ripiegati come siamo su noi stessie sui nostri valori, non abbiamo la modestia o il desiderio di cercare dicapire a fondo come la pensino gli “altri”. Quelli che vivono dal di den-tro mondi differenti dal nostro, o da questi mondi provengono, e alriguardo hanno quindi capacità di analisi e percezioni che per loro sononormali, mentre per noi sono casuali o del tutto inarrivabili. Rileggendo,si può comprendere perché le migliaia di giovani che alla prima ora ave-vano occupato le piazze animati da sano entusiasmo per il nuovo e per lalibertà – intesa nel senso più ampio – oggi si sentano frustrati, traditi oaddirittura sfruttati. Ora quelle piazze non le occupano più loro, bastavedere la differenza sui teleschermi per capire. Sono occupate principal-mente da coloro che hanno atteso nell’ombra che qualcuno aprisse la

di Mario Arpino

WALID PHARES

The War of Ideas

Palgrave-Macmillan Editori pagine 266 • 24,95 dollari

Walidi Pahares è nato e cresciuto in Libano, dove si è laureato ingiurisprudenza e scienze politiche, ha ricevuto un diploma anche in sociologia ed ha esercitato laprofessione di avvocato del foro di Beirut. In Francia ha ottenuto unmaster in affari esteri e negli Stati Unitiun Ph.D. in relazioni internazionali e scienze strategiche. Dal 2009 è co-segretario generale del Transatlantic legislative group on Counter terrorism e in tale qualità è testimone presso il Congresso, il Parlamento europeo e il Consiglio disicurezza (Onu) su questioni relative alla sicurezza internazionale e i conflitti mediorientali

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strada. È così che, in Egitto, i giovani della primapiazza Tahrir nelle prime tornate elettorali, dovegli islamisti superano il 70 per cento, sono rima-sti emarginati. Ma è comunque democrazia, dico-no alcuni, visto che a stravincere sono stati iFratelli Musulmani, che ora passano per modera-ti. Ed è anche probabile che cerchino di esserlo,finchè non saranno scavalcati dalle forze jihadisteche, in un ambiente per loro divenuto più permis-sivo, stanno trovando un terreno di coltura certa-mente meno accidentato. Idem in Siria e nelloYemen. Anche là le piazze si sono trasformate, eciò che vi accade sta addirittura permettendo giu-stificazioni ai repressori, che naturalmente non silasciano scappare l’occasione di fare d’ogni erbaun fascio. Ecco perché è bene fermarsi un attimoe tornare a documentarsi. Le fonti originali sonopiù d’una e, come si può ben comprendere, nessu-na di esse è totalmente oggettiva. Tutte, però, aiu-tano a capire. Tra queste ho scelto due libri nonrecentissimi e non pubblicati in Italia. Si tratta diWar of Ideas (Jihadism against Democracy) usci-to negli Stati Uniti nel 2007, e Future Jihad(Terrorist strategies against the West), del 2005.Entrambi sono di Walid Phares – ora vedremo chiè – ma mi soffermerò solamente sul primo citato,che conserva, pur senza ripetersi, anche l’essenzadei contenuti del secondo. È importante, in questocaso, identificare bene l’autore, prima di inoltrar-si nei contenuti. È nato e cresciuto in Libano,dove si è laureato in giurisprudenza e scienzepolitiche, ha ricevuto un diploma anche in socio-logia ed ha esercitato la professione di avvocatodel foro di Beirut. In Francia ha ottenuto unmaster in affari esteri e negli Stati Uniti un Ph.D.in relazioni internazionali e scienze strategiche.Dal 2009 è co-segretario generale delTransatlantic legislative group on Counter terro-rism e in tale qualità è testimone presso ilCongresso, il Parlamento europeo e il Consigliodi sicurezza (Onu) su questioni relative alla sicu-rezza internazionale e i conflitti mediorientali.

Dal 2006 è titolare della cattedra di strategie glo-bali presso la National defense University (Ndu)di Washington. Il suo libro più recente, TheComing Revolution, è del 2010. È qui che, basan-dosi sui concetti espressi nei due libri citati, haprevisto con un anno di anticipo le rivolte arabedel 2011. È spesso presente anche a Bruxelles,dove svolge attività come visiting fellow allaEuropean foundation for democracies.The War of Ideas, la Guerra delle Idee, è certamen-te il libro dove l’Autore rende maggiormente espli-cito il pensiero che è fondamento del suo credo, elo fa con metodo da professore ed in modo organi-co. Pur lontano dalle conseguenze del conflitto diciviltà ipotizzato da Samuel Huntington, è tuttaviaconvinto che la mancanza di comprensione tra ilmondo musulmano e quello occidentale derivi so-prattutto dal rifiuto, o della mancanza, della ricer-ca di questa comprensione. Questa difficoltà è am-plificata, da un lato, dall’estremismo jihadista e,dall’altro, dalla diffidenza che esso genera nell’Oc-cidente per tutto il mondo musulmano. Il quale asua volta, pur non condividendo nella sua più am-pia maggioranza la pratica del terrorismo, sinoranon è stato capace di fare nulla di esplicito per di-mostrarlo e così scrollarsi finalmente di dosso que-sta diffidenza. Che, a questo punto, diventa giusti-ficata, anche se all’origine dei problemi rimanesempre il fondamentalismo islamico. È questo,quindi, che va combattuto. Ma non con la guerraal terrorismo, che, secondo Phares, a volte addirit-tura rischia di favorirlo, ma con una guerra dialet-tica, mediatica e culturale all’idea stessa del fon-damentalismo, e quindi alla conseguente ideologiadello jihadismo. Questo altro non è che un’ideolo-gia che deriva da una visione semplificata del mon-do, che loro vedono suddiviso in «territorio del-l’Islam» (dar al Islam) e «territorio della guerra»(dar al harb). Mentre le democrazie guardano avan-ti, lo jihadismo guarda indietro, verso restaurazio-ni millenarie. Non c’è fretta, occorrerà il tempo ne-cessario, decenni o centinaia d’anni. Ma l’obietti-

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vo del califfato mondiale, dove l’unica legge siaquella coranica, la sharia, è per loro irrinunciabi-le. Fino ad allora la pace non esisterà, ma è ammes-sa una tregua, la hudna, che viene solo tempora-neamente accettata quando il nemico è così forteda rendere la guerra improduttiva o impraticabile.Non sono concetti affatto nuovi, e sono già noti atutti coloro che si occupano anche solo episodica-mente di questo tipo di problemi. Ma Walid Pha-res vi si dilunga per 266 pagine, scendendo nel det-taglio, esemplificando, convincendo e ricercando– anzi, suggerendo – ogni via d’uscita proponibi-le. Trattandosi di un unico argomento, ne deriva unlavoro decisamente articolato, appassionato, dovein tredici capitoli, un’introduzione e una conclu-sione che si avventura in sette raccomandazionipuntuali verso il mondo della politica, quello del-la cultura, i governi e le organizzazioni internazio-nali. L’auspicio è che si riequilibri un dibattito chevede l’Occidente ancora troppo distratto, il fonda-mentalismo islamico sempre più motivato e unmondo musulmano che, nonostante le cosiddette“primavere”, sembra non rendersi appieno contodella serpe che si sta nutrendo nel seno. Sono pre-monizioni che, alla luce delle recenti tornate elet-torali sulla costa nordafricana, fanno davvero ri-flettere. Se, come abbiamo osservato, alcuni letto-ri già esperti potrebbero non trovare in questo li-bro grandi novità, è anche vero che questa élite èabbastanza limitata, mentre con ogni probabilità lagran massa dei lettori, magari incuriosita dal tito-lo, scoprirà i tanti «perché» della realtà attuale, ri-cevendo così una nitida chiave di lettura di fatti edavvenimenti. Se sarà davvero così, il professor Pha-res ha indubbiamente conseguito uno degli obiet-tivi che si proponeva: diffondere cultura, sfatarepregiudizi e seminare consapevolezza anche tra i«non addetti ai lavori». Come tutti i libri, ancheThe War of Ideas andrebbe letto secondo la corret-ta sequenza dei capitoli, facendo anche molta at-tenzione alle dieci pagine di riferimenti e note espli-cative. Tuttavia, coloro che non avessero letto il li-

bro precedente, Future Jihad, potrebbero anche es-sere consigliati a saltare dal primo capitolo, che ri-guarda i dibattiti storici sulla materia, ai capitoli ot-to, nove e dieci, per riprendere successivamenteuna lettura ordinata. Il motivo di questo consiglioè presto detto. Si tratta di tre capitoli che seguonoun’evoluzione storico-temporale delle tre fasi delterrorismo jihadistico come maturazione all’inter-no del mondo islamico. Nel periodo della guerrafredda, tra il 1945 e il 1990, questo mondo si spez-za in due tronconi, affiancandosi l’uno al comuni-smo e l’altro all’Occidente. Lo jihadismo, pur nonessendo favorevole alla cultura occidentale, era de-cisamente schierato contro il comunismo. Ricor-diamo i mujiaiddin in Afghanistan. In una secon-da fase, tra il 1990 e il 2001, all’ombra dei regimiautoritari da un lato e di quelli nazionalistici dal-l’altro, prendevano coscienza della propria trasci-nante forza nella lotta ideologica contro l’Occiden-te i salafiti in campo sunnita e i khomeinisti in cam-po sciita. Ciascuno con il proprio brand di guerraideologica o terroristica, a seconda dei differentiobiettivi strategici. La terza fase comincia e si svi-luppa con alterne vicende – stagnazioni, riprese eframmentazione dell’unicità di comando – a parti-re dall’11 settembre 2001. In parallelo a queste trefasi, Walid Phares conduce un’indagine sull’atteg-giamento dell’Occidente a fronte di questa evolu-zione stop-and-go dello jihadismo.Si tratta di letture, o di riletture, indispensabili perchi davvero intenda acquisire le basi minime percomprendere ciò che avviene in quel mondo cosìdiverso, che ci circonda o che vive tra noi in mo-do separatamente vicino, ma con il quale dobbia-mo comunque trovare il modo di convivere. Lefrange più estreme sono dotate di una macchinaideologica inarrestabile, a meno che non venga fre-nata e devitalizzata da una maggior comprensio-ne tra il mondo dal quale trae origine e quello chenon può esimersi dal confrontarsi quotidianamen-te con esso. Se ciò non avverrà, sappiamo già qua-le dei due, alla distanza, è destinato a soccombere.

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GLI INDIANA JONES COL TRICOLORE

«Correva l’anno 1876, il giorno 7 luglio vol-geva al suo termine, caldo, infuocato; l’ariaera calma, il mare tranquillo; sul tardi pro-

fittando degli ultimi raggi del sole leggermente sospin-ta dalla brezza vespertina, una bianca vela usciva dalporto di Genova e con destinazione al largo s’allonta-nava. La stella bianca in campo azzurro sventolava sul-la svelta alberata ed i colori nazionali erano alzati a pic-co. Al crepuscolo sottentrò la notte ammantando ognicosa nelle tenebre e la bianca vela pur essa poco a po-co disparve nell’oscurità». Dal giornale di bordo di En-rico Alberto d’Albertis. E qui il luogo manzoniano cista tutto: Enrico Alberto d’Albertis, chi era costui?Va letto il libro di Stefano Mazzotti, Esploratori per-duti, edito da Codice edizioni. La storia che si raccon-ta, ricca di notizie, informazioni, spedizioni, volti, vi-te, morti, fedi, dei, fotografie, mondi altri, è una storiaitaliana poco nota, senz’altro trascurata. I suoi elemen-ti sono l’esotismo, lo spirito d’avventura, la sete di co-noscenza e atmosfere che ricordano i romanzi di Emi-lio Salgari. Ma naturalmente anche lo spirito di con-quista e di affermazione della giovane o nuova Italia.A cavallo tra Ottocento e Novecento, in piena epocacoloniale, le zone più selvagge e inesplorate dei cin-que continenti – Corno d’Africa, Borneo, Lapponia,Amazzonia, Alaska e Siberia – vennero attraversate dacoraggiosi scienziati italiani che dedicarono la loro vi-ta allo studio delle biodiversità della Terra. Sono uo-mini e personaggi poco conosciuti dal grande pubbli-co, che oltre ad aver vissuto vite straordinarie hannodato un contributo fondamentale allo sviluppo delle di-scipline scientifiche allora emergenti. Esploratori per-duti, appunto. Il libro di Stefano Mazziotti – a sua vol-ta curatore della sezione di zoologia dei vertebrati delMuseo civico di Storia naturale di Ferrara – recuperagli «esploratori perduti» le cui avventure sono tutte ac-

comunate «da uno spirito di conoscenza ed esplorazio-ne, da una curiosità che li rendeva irrequieti in patriae formidabili perlustratori e raccoglitori di nuove co-noscenze, nelle “terre incognite” di un pianeta ancoratutto da scoprire». E allora rispondiamo alla domanda:Enrico Alberto d’Albertis nacque a Voltri in Liguria il23 marzo 1846. Fu il perfetto esempio di uomo d’av-ventura dell’Ottocento: viaggiatore, scrittore, natura-lista curioso, affascinato dalla grande varietà delle for-me di vita che osservava durante i suoi molteplici viag-gi in giro per il mondo, si inserì in modo esemplarenella vicenda culturale e scientifica dell’Italia di fineXIX secolo. Una curiosità tra le curiosità: durante ilsuo ultimo viaggio portò via con sé da Calcutta unagiovane tigre che teneva libera a bordo come fosse uncane. Al suo ritorno la regalò al suo amico Doria, chel’allevò in un recinto del giardino della sua villa per 17anni. Ma l’impresa che rese celebre d’Albertis è un’al-tra: nel 1891, l’anno prima dei quattrocento anni dellascoperta dell’America da parte di un altro famoso ge-novese, con lo yacht Corsaro che si era fatto costruireper l’avventura, ripercorse la rotta di Cristoforo Co-lombo per raggiungere l’America centrale. In 27 gior-ni di navigazione, servendosi della stessa strumenta-zione utilizzata da Colombo, raggiunse le coste di SanSalvador. Il nuovo Colombo visse fino al 1932 a Mon-tegalletto nei pressi di Genova e al comune donò il suocastello con tutte le collezioni, con il desiderio che al-la sua scomparsa diventasse un museo. Oggi Castellod’Albertis è il Museo delle culture del mondo. Ai mo-delli di navi, strumenti e carte nautiche, numerosissi-me lastre fotografiche d’epoca, meridiane colleziona-te per tutta la vita da Enrico d’Albertis, reperti etnolo-gici e archeologici, una cospicua biblioteca e centina-ia di disegni, raccolti dal capitano durante gli innume-revoli viaggi attorno al mondo, si aggiungono le col-lezioni del cugino Luigi Maria, primo esploratore delfiume Fly, in Nuova Guinea. Gli ispiratori di cose di

di Giancristiano Desiderio

Alla scoperta degli “esploratori perduti” una storia poco conosciuta delle missioni italiane sui quattro continenti

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questo tipo sono Charles Darwin e AlfredRussel Wallace. L’opera di Darwin, in par-ticolare, darà all’Occidente un nuovo mo-do di vedere sia l’uomo sia la Terra. Nel-la seconda metà del secolo anche in Ita-lia uomini non comuni intrapresero «viag-gi straordinari in continenti inesplorati:Orazio Antinori in Eritrea ed Etiopia,Odoardo Beccari nel Borneo, Elio Modi-gliani a Sumatra, Luigi Robecchi Brichettin Somalia, Luigi Maria d’Albertis inNuova Guinea, Filippo de Filippi nel Cau-caso e nell’Himalaya, Giacomo Bove inPatagonia, Leonardo Fea in Birmania.Nessuno di questi dovette conoscere lafrase del filosofo Pascal che ripeteva, piùo meno: i guai dell’umanità si devono alfatto che l’uomo non sa stare nella suastanza di casa. E nella vita degli esplora-tori c’era un’inquietudine di fondo, ma laloro vita non fu solo avventura, scopertae meraviglia bensì privazioni fisiche, ma-lattie, incidenti, ostilità, violenze. Pochisopravvissero indenni alla loro sete d’av-ventura, e chi non trovò una fine violen-ta non scampò a lungo alla malaria, alladissenteria, alle febbri e, spesso, «all’in-capacità di tornare al ‘normale’stile di vi-ta europeo». Non seppero stare e viverenella stanza di casa né prima né dopo i lo-ro viaggi avventurosi. Non tutti si mos-sero perché spinti o suggestionati dalla ri-voluzione darwiniana. Grande importan-za nelle esplorazioni ebbero i missionari.Nel sistema coloniale dell’Ottocento lafigura dell’esploratore, consapevole o in-consapevole che fosse, fu importante,spesso decisiva. Gli esploratori furono deipionieri che giungevano prima dei gover-ni e contribuirono alla divisione dei ter-ritori e dei commerci. Così fu senz’altroper l’Italia. Il primo dei pionieri italiani

fu Giuseppe Sapeto: percorse le rive delMar Rosso, nel 1837 si stabilì ad Adua,scrisse alcune opere sull’Eritrea e l’Abis-sinia, e nel 1869 fu l’artefice dell’acqui-sto per conto della compagnia di naviga-zione Rubattino della baia di Assab cheacquistava, di fatto, con il benestare e ilsupporto del governo italiano. Sapeto ètante cose insieme: missionario, geogra-fo, naturalista, archeologo, etnologo, glot-tologo e «gran saccheggiatore di repertisacri delle chiese e dei conventi copti».Quindi è la volta di Guglielmo Massaja,altra figura straordinaria di religioso, me-dico, missionario, avventuriero, tradutto-re. Ma qui interessa sottolineare che Mas-saja svolse il ruolo di vero e proprio pun-to di riferimento per le prima spedizionidiplomatiche e scientifiche degli italianinell’Africa centro-orientale. Il valore po-litico del missionario crebbe a tal puntoda farlo diventare consigliere di Menelik,re dello Scioia, ed essere considerato unodei fondatori di Addis Abeba, capitale del-l’Etiopia dal 1889. Anche Giovanni Gia-cinto Stella è un fondatore di colonie interra d’Africa. Anche lui sacerdote, lega-to d’amicizia a Sapeto, cercò contatti conCavour perché lo sapeva interessato alleespansioni sulle coste africane. Entrò incontrasto con le gerarchie ecclesiastiche,convisse con un’indigena, smise l’abitotalare e nel «paese dei bogos» fondò lasua colonia che non ebbe però vita lunga.Diversa, invece, la storia di Daniele Com-boni che si adoperò per l’abolizione del-la schiavitù e fondò l’istituto dei missio-nari poi detti padri comboniani.Un’esplorazione tra gli «esploratori per-duti» che ha il senso della ri-scoperta edell’attualità in un mondo globale e purdiverso.

STEFANO MAZZOTTI

Esploratori perduti

Codice edizionipagine 239 • euro 16

La storia che si racconta,ricca di notizie, informazioni,spedizioni, volti, vite, morti,fedi, dei, fotografie, mondialtri, è una storia italianapoco nota, senz’altrotrascurata. I suoi elementisono l’esotismo, lo spiritod’avventura, la sete diconoscenza e atmosfereche ricordano i romanzi di Emilio Salgari. Ma naturalmente anche lo spirito di conquista e di affermazione dellagiovane o nuova Italia. A cavallo tra Ottocento eNovecento, in piena epocacoloniale, le zone piùselvagge e inesplorate deicinque continenti – Cornod’Africa, Borneo, Lapponia,Amazzonia, Alaska e Siberia– vennero attraversate dacoraggiosi scienziati italianiche dedicarono la loro vitaallo studio delle biodiversitàdella Terra. Sono uomini epersonaggi poco conosciutidal grande pubblico, cheoltre ad aver vissuto vitestraordinarie hanno dato un contributo fondamentaleallo sviluppo delle disciplinescientifiche allora emergenti.Esploratori perduti, appunto

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E F I R M EL del numero

MARIO ARPINO: generale, già capo di Stato Maggiore della Difesa

JEAN PIERRE DARNIS: vicedirettore area Sicurezza e difesa, Istituto affari internazionali

GIANCRISTIANO DESIDERIO: giornalista e scrittore, ha curato il libroLa libertà della scuola di Luigi Einaudi e Salvatore Valitutti

MARIA EGIZIA GATTAMORTA: analista internazionale, esperta di Africa e Mediterraneo

RICCARDO GEFTER WONDRICH: esperto di America Latina

VIRGILIO ILARI: già docente di Storia delle Istituzioni militari all’Università Cattolica di Milano

ALESSANDRO MARRONE: ricercatore presso lo Iai - Istituto affari internazionali nell’Area Sicurezza e Difesa

LUCIA MARTA: ricercatrice settore Aerospazio presso Foundation pour la recherche strategique, Parigi

ANDREA NATIVI: analista militare e giornalista

ANTONIO PICASSO: giornalista e scrittore. Autore di Il Medio Oriente Cristiano

ENRICO SAGGESE: presidente Agenzia spaziale italiana

NICOLÒ SARTORI: ricercatore Iai

ALBERTO TRABALLESI: generale, esperto presso l’ufficio del consigliere militare della presidenza del Consiglio

ANNA VECLANI: assistente ricercatrice Iai

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2121quaderni di geostrategia

2012gennaio-febbraio

registrazione Tribunale di Roma n.283 del 23 giugno 2000 sped. in abb. post. 70% Roma

numero 65anno XIIIeuro 10,00

Mario Arpino

Pierre Chiartano

Jean Pierre Darnis

Giancristiano Desiderio

Maria Egizia Gattamorta

Riccardo Gefter Wondrich

Virgilio Ilari

Alessandro Marrone

Andrea Nativi

Michele Nones

Antonio Picasso

Enrico Saggese

Niccolò Sartori

Alberto Traballesi

Anna Veclani

RIS

KG

EN

NA

IO-F

EB

BR

AIO

2012

P

IÙSI

CU

RE

ZZ

AD

ALL

OSP

AZ

IO riskriskDifesa senza gravitàLa strategia italiana? Una forte collaborazione tra attività civili e militariJEAN PIERRE DARNIS E MICHELE NONES

L’Italia in orbitaCome fare ricerca senza dimenticare il business

ENRICO SAGGESE

Guerre stellariÈ giunta l’ora della geopolitica spaziale

ANDREA NATIVI

Il cielo dell’EuropaEsa e Commissione Ue verso l’integrazione

NICCOLÒ SARTORI

Acque pericoloseAntonio Picasso

Idee in guerra per sconfiggere il jihad Mario Arpino

PIÙ SICUREZZADALLO SPAZIOPIÙ SICUREZZADALLO SPAZIOCOME PUNTARE SULLE TECNOLOGIEAVANZATE PER SALVARE IL PIANETAE L’ECONOMIA

COME PUNTARESULLE TECNOLOGIEAVANZATE PER SALVARE IL PIANETAE L’ECONOMIA

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