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RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN ......in Folio 3 Il numero di In Folioche avete tra le mani è...

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in Folio 9 GENNAIO 2000 RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELLE UNIVERSITÀ DI PALERMO CATANIA E REGGIO CALABRIA Paolo La Greca Ignazio Vinci Angela Badami Giuliana Panzica La Manna Francesca Starrabba Flavia Schiavo Giuseppa Santapaola Filippo Schilleci Ferdinando Trapani Chiara Barattucci Francesco Indovina Roberto Giannì Patrick Geddes Giuseppe Carta www.unipa.it/infolio
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inFolio

9GENNAIO 2000

RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELLE UNIVERSITÀ DI PALERMO CATANIA E REGGIO CALABRIA

Paolo La Greca

Ignazio Vinci

Angela Badami

Giuliana Panzica La Manna

Francesca Starrabba

Flavia Schiavo

Giuseppa Santapaola

Filippo Schilleci

Ferdinando Trapani

Chiara Barattucci

Francesco Indovina

Roberto Giannì

Patrick Geddes

Giuseppe Carta

www.unipa.it/infolio

in Folio 1

indice

n. 9, gennaio 2000

EDITORIALEPaolo La Greca

IDENTITÀ E TRASFORMAZIONE. MAPPE PER IL RIPENSAMENTO DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIOIgnazio Vinci

PER IL PAESAGGIOAngela BadamiSei temi di riflessione, sei progetti per il Paesaggio. Le Sessioni Tematiche della Prima Conferenza Nazionaleper il Paesaggio (a cura di Angela Badami)

LA IV RASSEGNA URBANISTICA NAZIONALE: I TEMI DEL DIBATTITOGiuliana Panzica La Manna

GLOBALIZZAZIONE, MONDO E SOCIETÀ. IL PENSIERO DI LATOUCHE SULLE TRASFORMAZIONISOCIALI E SULLE CONTRADDIZIONI DELL’ECONOMIA CAPITALISTICA OCCIDENTALE.Giuseppa Santapaola

IL LINGUAGGIO DEL PIANO, IMMAGINI E PERCORSI DI TRASFORMAZIONE DEL DISCORSOURBANISTICOFlavia Schiavo

TRASFORMAZIONE DEL TERRITORIO PERIURBANO: ELEMENTI PER L’INTERPRETAZIONE DEIPROCESSI DI RIQUALIFICAZIONE URBANAFrancesca Starrabba

POLITICA URBANA E GOVERNANCE DEI SISTEMI TERRITORIALI NELL’EUROPA DEGLI ANNI NOVANTAIgnazio Vinci

RETI ECOLOGICHE E STRUMENTI DI PIANIFICAZIONEFilippo Schilleci

LO STATO DELLA PIANIFICAZIONE COMUNALE NELLA SICILIA SUD ORIENTALE. BILANCIO DIATTUAZIONE DELLA L.R. N.15/1991Ferdinando Trapani

inFolio E LA RETEIgnazio Vinci

L'INNOVAZIONE DELL'AZIONE URBANISTICA TRA ATTIVITÀ DI RICERCA E PRATICA PROFESSIONALEATTRAVERSO DUE SEMINARI SUL RAPPORTO TRA PROGETTO URBANO E ARCHEOLOGIAChiara Barattucci

INNOVAZIONE NELLE POLITICHE URBANEFlavia Schiavo

BEGINNINGS OF A SURVEY OF EDINBURGHPatrick Geddes(Introduzione di Ignazio Vinci)

IN RICORDO DI BRUNO ZEVIGiuseppe Carta

RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELLE UNIVERSITÀ DI PALERMO CATANIA E REGGIO CALABRIA

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attività

ricerca

tesi

reti

dibattito

antologia

Le immagini di questo numero sono di Edimburgo agli inizi degli anni novanta.

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Il numero di In Folio che avete tra le mani è dedicato all’innovazione delle politiche urbane.L’interesse verso il tema non è nuovo per questa rivista nata e cresciuta, a partire dalla prima metàdel decennio trascorso, grazie all’impegno dei dottorandi che ne hanno animato di volta in volta laredazione.Sfogliandone i numeri precedenti si ritrovano molte riflessioni sull’argomento condotte in forme e modidiversi: dai rapporti sulle attività di ricerca ai resoconti su seminari e convegni in Italia ed all’estero,dalle recensioni di libri d’autorevoli protagonisti del dibattito disciplinare alle antologie proposte. Losguardo comune ai diversi contributi è quello proprio dell’urbanista che osserva il territorio fisico e lesue mutazioni nella prospettiva di chi è chiamato a gestirlo, a progettarlo, a contribuire a prefigurare lepolitiche per il suo governo. Non è casuale, però, che il primo numero del nuovo decennio della rivista di un Dottorato inPianificazione Urbana e Territoriale che è stato attivato nel corso degli anni novanta rivolga una rifles-sione particolare all’innovazione delle politiche pubbliche che proprio all’inizio di quegli anni hannosubito una profonda accelerazione.Quest’innovazione in Italia è stata possibile anche per l’effetto di numerose leggi che hanno determi-nato un nuovo assetto normativo in grado di trasformare in maniera sostantiva l’azione di una pubblicaamministrazione fino ad all’allora ancora sostanzialmente basata sul modello ottocentesco. Si è cerca-to di superare, cioè, l’assoluta incapacità sia nel metodo (l’azione burocratica) che nei soggetti prepo-sti all’azione (i funzionari pubblici) a rispondere alle domande di una società sempre più complessa. Il“provvedimento amministrativo” sul quale era stato basato senza soluzione di continuità quel sistemadi amministrazione, non poteva più rispondere alle domande sempre più complesse che provenivanodalla necessità di regolare le interazioni fra il soggetto pubblico, a qualsiasi livello di governo, ed i sog-getti privati motori sempre più determinanti dei processi di sviluppo.Fra le diverse politiche pubbliche anche quelle urbane hanno subito una profonda mutazione. Nell’avvio di quest’innovazione ha giocato un ruolo non secondario la necessità di adeguarsi ad unoscenario in rapido mutamento che sul piano internazionale trova il suo fondamento, proprio all’iniziodegli anni ’90, sia nel ‘principio di sussidiarietà’ introdotto dal trattato di Maastricht che nell’etica inter-generazionale della ‘sostenibilità dello sviluppo’ sulla quale è stata fondata l’Agenda 21 di Rio e più inparticolare le strategie per le agende 21 locali meglio definite con la carta di Aalborg (confermate, peral-tro, nel corso della conferenza Hannover 2000 tenutasi nel febbraio di quest’anno).La complessità della città contemporanea ha imposto il superamento di modelli basati sulle certezzedella razionalità tecnica obbligando a nuovi sguardi che superassero le tradizionali sequenzialità di ana-lisi, sintesi e progetto. I nuovi fenomeni urbani conseguenti alle nuove economie, alla globalizzazionedei mercati ma anche alla ricerca di equità sociale come precondizione per un modello urbano sosteni-bile hanno portato ad una crisi profonda degli approcci orientati ad una rigida razionalità di mercato.Gli scenari prefigurati al vertice di Davos per il nuovo sistema economico mondiale – sempre più cen-trato su flessibilità, differenziazione e necessità di adattarsi alle mutevoli domande – hanno conferma-to, una volta di più, la necessità di adottare politiche sempre più attente alla razionalità sociale. Strategie

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Editoriale

Paolo La Greca

editoriale

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urbane delineate senza il consenso e la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nei processi decisio-nali sono destinate al fallimento. Da un’attività di governo diretto (government) si è passati ad un’attività di governo vista come costru-zione di capacità per gestire ed accompagnare processi di sviluppo locale (governance).Spesso i concetti di ‘governance’ e di ‘locale’ si affiancano o si identificano nelle più recenti esperien-ze di ricerca urbana prefigurando anche nuovi figure per l’urbanista e nuovi scenari nella costruzionedel “locale” come disciplina autonoma che acquista una dimensione sempre più specifica nelle politi-che pubbliche del territorio.Un recente confronto fra modelli ed esperienze sulle pratiche dello sviluppo locale promossodall’Università del Wisconsin, dal significativo titolo di “Regional governance that works”, ci ha offer-to l’occasione per confrontare best practices di sviluppo locale in atto in numerosi paesi dell’UnioneEuropea con iniziative in corso in diversi stati dell’unione. In quella prestigiosa sede si è confermatocome la governance urbana rappresenti la capacità di attivare una cornice di senso condivisa, in gradodi coinvolgere gli attori principali del processo di costruzione di una politica pubblica in una riflessio-ne strategica con riferimento ad un progetto comune che sempre di più si conferma in grado di confi-gurare i luoghi. Le città si candidano come i luoghi deputati alla gestione diretta di un modello urbanoche miri allo sviluppo di modi di vita sostenibili.Le politiche urbane, prime fra tutte quelle volte al miglioramento dell’accessibilità, alla prevenzionedell’inquinamento, alla risoluzione dei conflitti generati dalle politiche NIMBY, per potere essere attua-te necessitano di strumenti amministrativi e di gestione urbana basati su soluzioni negoziate e che tro-vino in un governo locale efficiente l’elemento fondamentale, nel principio di sussidiarietà, per potereaffrontare i problemi positivamente ed in maniera integrata.In uno scenario di così profonda mutazione appare sempre più difficile comprendere quale potrà esse-re il ruolo del Piano regolatore generale in Italia dove il processo di formazione è, ancora, vissuto damolte amministrazioni come il momento più alto della costruzione della politica urbana. Nella realtàquesto processo, in maniera non dissimile da altre azioni della pubblica amministrazione, è stato finoad oggi percorso come un mero procedimento amministrativo che, pur con specifiche metodiche diampliamento della fase di verifica delle scelte (opposizioni ed osservazioni), ha visto i diversi attoriprotagonisti della vita urbana sostanzialmente estranei alla fase di costruzione delle decisioni.È fin troppo evidente, anche nelle esperienze più qualificate in corso nel Paese, come il Piano regola-tore abbia mostrato pesanti limiti nel rendere gli investimenti pubblici e privati coerenti con gli obiet-tivi sociali e di lungo periodo che sono contenuti nell’idea di sostenibilità dello sviluppo. Decisamente innovativa è apparsa la stagione delle politiche urbane conseguenti a due azioni noncasualmente parallele. Da una parte i programmi urbani complessi lanciati dai bandi ministeriali perdivulgare la filosofia dell’integrazione fra i soggetti, risorse e funzioni urbane; dall’altra gli strumentidella ‘nuova programmazione’ economica promossa dall’Unione Europea e dal governo nazionale.Strumenti flessibili ed incisivi quali i programmi ‘Urban’, i ‘Patti territoriali’, i ‘Contratti d’area’ hannoprodotto in pochi mesi mutazioni dello spazio fisico certamente superiori a quanto non avessero fattorigidi piani regolatori resi operativi dopo anni di defatigante azione amministrativa. Ciò è accaduto proprio mentre tutte le grandi città italiane trovano enormi difficoltà senza riuscire adotarsi di un piano urbanistico comunale. Eppure la necessità che azioni diverse possano avere unareale cornice di senso per non rimanere episodiche e spesso contrastanti azioni di trasformazione fisi-ca impone la celere conclusione del processo di riforma di questo strumento.Il nuovo decennio si apre con la definizione della commissione Ambiente e Territorio della Camera diun disegno di legge che, forse, potrà contribuire a riformare l’urbanistica nel nostro paese. Occorrel’impegno di tutti affinché ciò possa giungere a compimento.

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Il passaggio dal concetto di identità come condensato divalori stabili e perfettamente rappresentabili ad uno in cuiassumono rilevanza elementi di “culturalità” – come lanatura dell’osservatore, le specificità dei contesti di osserva-zione – rappresenta uno dei risultati maggiormente signifi-cativi dell’applicazione del pensiero post-moderno allo stu-dio dell’arte, dell’architettura, del territorio. Sul concetto diidentità, in particolare, si sono fatte convergere straordinariee molteplici possibilità interpretative, e particolarmentefecondo è stato l’accoppiamento con termini in qualchemodo opposti o antitetici e che hanno condotto alla costru-zione di binomi di grande efficacia interpretativa come, peresempio, quello di identità/differenza nelle scienze sociali oquello di identità/trasformazione (innovazione) nelle disci-pline, a vario titolo, “progettuali”.

Nel campo delle discipline territoriali, inoltre, la velocitàcon cui si è affermato il fenomeno della globalizzazione inmolte di quelle componenti (economiche, sociali, ambien-tali) che offrivano un tempo dinamiche perfettamenteinquadrabili all’interno di modelli interpretativi razionali egerarchizzabili ha rappresentato un motivo di profonda ina-deguatezza dei modelli di conoscenza cui quelle disciplinehanno fatto ricorso. La deformazione dei riferimenti spazio-temporali, l’asimmetria e la discontinuità dei comporta-menti sociali rispetto al territorio (come per esempio il pro-cesso di sub-urbanizzazione degli anni ottanta) hanno postoalla geografia, all’urbanistica, alla pianificazione numerosie complessi campi di riflessione scientifica, l’impegno dirivedere la parte più squisitamente deterministica del pro-prio armamentario epistemologico e la necessità di costrui-re nuovi modelli di interpretazione che riuscissero a fornireuna qualche via per l’azione progettuale. In molti casi l’ap-proccio ad alcuni dei temi posti dalla globalizzazione harappresentato lo stimolo per la costruzione (o il recupero) distrumenti scientifici, come l’uso delle reti nell’interpretazio-ne del fenomeno urbano, che hanno imposto rapide revisio-ni anche del concetto di identità urbana. In altri, antichi valo-ri delle città e del territorio, come quelli legati alla storia ealla cultura, opportunamente reinterpretati, continuano arappresentare importanti matrici per lo sviluppo delle nostresocietà e per il rapporto che esse instaurano con lo spaziofisico.

La globalizzazione ha poi aperto due feconde aree didibattito cui converrà accennare.

La prima riguarda la dialettica tra il “locale” e il “globa-le”, che continua a rappresentare un vasto campo di rifles-sione scientifica nelle scienze sociali e una chiave interpre-tativa largamente utilizzata nelle scienze del territorio1. È unopinione ampiamente diffusasi negli anni novanta che lecondizioni di “globalità” e “località” non siano necessaria-mente in alternativa. L’esistenza di una dimensione localenon solo si affianca e sopravvive a un regime di globalizza-zione, ma piuttosto sembra trarne vantaggi nella misura essasappia offrire determinati elementi di completamento (peresempio in termini di cultura e radicamento, di ambiente eservizi sociali) che solo nel locale possono avere una con-creta esplicitazione.

La seconda area di dibattito riguarda le città. Seppureesse abbiano mantenuto un ruolo di centralità lungo tuttala storia delle civiltà esse hanno conosciuto periodi diflesso, fasi in cui determinati svantaggi della condizioneurbana (degrado, povertà economica, esclusione sociale)sono apparsi prevalenti rispetto ai suoi vantaggi.Nonostante non sia possibile dimostrare la scomparsa ditali svantaggi, le città sembrano essere tornate al centrodella mappa che distribuisce economie e potere politico eciò secondo un processo che passa proprio per il rappor-to tra locale e globale. La globalizzazione ha bisognodelle città in quanto esse si prestano a fornire e riprodur-re, quel concentrato di cultura e innovazione che rappre-senta – accanto agli aspetti più squisitamente economicidella libera circolazione dei flussi finanziari – il vero “car-burante” della globalizzazione2.

In entrambe le situazioni l’identità gioca un ruolo deli-catissimo, che non smentisce il significato tradizionale chesiamo abituati ad attribuirle ma che piuttosto necessita diuna reinterpretazione che la ripone tra gli strumenti che con-feriscono “vantaggi” (talvolta competitivi) ai luoghi.Accanto ad una dimensione statica dell’identità, sintesi divalori consolidati, va assumendo rilevanza quindi unmodello di identità strumentale, in cui gli elementi che con-corrono a formarla si costituiscono rispetto a determinaticaratteri delle società locali e dei processi di valorizzazioneche esse riescono ad innescare.

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attività

Identità e traformazione.Mappe per il ripensamento dellecittà e del territorio

Ignazio Vinci

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L’identità e la trasformazione (delle città e del territorio)hanno rappresentato le tematiche centrali di due recentiincontri internazionali in cui si è posto grande attenzione alrapporto tra globalizzazione e territorio e alle sfide conse-guenti portate alle discipline territoriali.

“Il Mondo e i Luoghi: geografie delle identità e del cam-biamento” è un convegno tenuto presso l’Unione Industrialidi Torino il 14 e il 15 ottobre 1999, organizzato dall’IRESPiemonte, dalla Società Geografica Italiana e dalDipartimento Interateneo Territorio del Politecnico diTorino. Il convegno, articolato in quattro sessioni, avevacome obiettivo di stimolare nuove riflessioni sugli effettiterritoriali della globalizzazione, di misurarne gli effetti perla scala locale, sia in termini di rappresentazione che in ter-mini di progettualità, e quindi chiedendo alle scienze delterritorio di formulare nuove strategie per la conoscenza eper l’azione3.

La prima sessione, dal titolo “Immagini e identità terri-toriali”, ha visto interventi sul tema delle nuove identità ter-ritoriali emergenti e sull’interazione di tali forme con leimmagini più consolidate del territorio. L’intervento diAlberto Magnaghi, per esempio, ha centrato l’attenzionesulla necessità di produrre nuove e complesse immagini ter-ritoriali a partire sia dal recupero di quei caratteri insediati-vi smarriti con lo sviluppo quantitativo degli ultimi decen-ni, sia dalla produzione di nuove morfologie territoriali inaccordo con una visione eco-sostenibile dello sviluppo eattenta alle società locali.

Gli interventi della seconda sessione, intitolata“Competitività dei luoghi”, hanno cercato di rappresenta-re il concetto di “competitività” nelle sue nuove forme, inparticolare nell’apprezzamento che le nuove economieglobalizzate tendono ad attuare nei confronti di determi-nati caratteri qualitativi delle città come il tessuto cultura-le e l’integrazione delle società locali, la capacità di pro-durre innovazione, non ultima la qualità dell’ambientenaturale e costruito. Su questo punto è stato più volte sot-tolineato che se le economie che determinano le nuovecentralità urbane sono quelle maggiormente legate all’in-novazione, i protagonisti di tali economie (manager, ricer-catori) rappresentano i portatori di nuove e sofisticatedomande di ambiente e servizi cui una città che mira allacompetitività deve sapere rispondere.

Nella sessione “Rappresentare e progettare il territorio”i relatori hanno affrontato la questione della scienza geo-grafica come strumento per la predisposizione di scenarifuturi. Particolarmente vivace è stato il dibattito tra RogerBrunet e Pasquale Coppola, il primo, presentando alcunepassate esperienze compiute alla direzione della Datar, haespresso il valore delle “visioni” territoriali nell’indirizzarelo sviluppo del territorio e ha fatto riferimento al ruolo eser-citato dalla “banana blu” nell’immaginario geo-politicodell’Europa unita, il secondo che si è espresso in terminipiù prudenti, ha inquadrato la disciplina in termini meno

positivisti, accennando ai limiti e ai rischi scientifici chepuò presentare un uso della ricerca geografica superficiale,in particolare quando essa si propone di indirizzare scena-ri di sviluppo futuro.

La quarta sessione, infine, dal titolo “Ricerca geografi-ca e tecniche GIS (Sistemi Informativi Geografici)” e coor-dinata da Vincenzo Guarrasi, ha proposto un quadro deinuovi strumenti a disposizione della ricerca geografica e inparticolare della loro predisposizione a produrre nuove ecomplesse conoscenze a partire dall’integrazione di grandiquantità di informazioni attraverso l’uso delle tecnologiedigitali.

I lavori sono stati integrati da una tavola rotonda dal tito-lo “Il territorio come produttore di conoscenza” nella qualei partecipanti, tra i quali Arnaldo Bagnasco e GiuseppeDematteis, hanno valutato i risultati della discussione e sug-gerito, da prospettive pluri-disciplinari, alcune ulteriorilinee di ricerca, in particolare sui temi legati al territoriocome spazio delle società locali. Bagnasco ha posto l’atten-zione sulla differenza tra città ortogenetiche – depositarie ditradizioni uniche e millenarie – e città eterogenetiche cheaccolgono invece culture diverse e integrate e che in qual-che modo, essendo caratterizzate dalla presenza di societàlocali attive e riconoscibili, corrispondono al prototipo dellacittà moderna. Un ulteriore aspetto posto in evidenza daBagnasco è il rapporto tra la globalizzazione e l’emergeredi forme politiche come le città e le regioni che, come avevagià sottolineato Weber, emergono quando i poteri superiori– in questo caso lo Stato – presentano elementi di debolez-za. Dematteis ha messo in risalto l’importanza, per le città eil territorio, di riuscire a produrre un’immagine esterna rico-noscibile. Tra gli elementi che possono garantire il succes-so di una città o di un sistema territoriale, ancor più che lapresenza di valori stabili, è determinante la capacità di auto-rappresentarli, di fornire un’identità aggregata e funzionalealle relazioni (politiche, economiche, etc.) che le città ten-dono ad innescare e questo riconduce la questione alla pre-senza di società locali attive e consolidate in grado di tra-durre in vantaggi competitivi determinati valori territoriali.

“Villes européennes en transformation – EuropeanCities in Transformation” è un convegno tenuto a Parigi il22 e il 23 ottobre presso l’Ecole Nationale des Ponts etChaussées, organizzato dal Laboratoire Technique,Territoires et Sociétes e dalla European Urban ResearchAssociation. Gli obiettivi dell’incontro, organizzato in seiworkshop tematici, erano di chiamare accademici, ricerca-tori, ed amministratori europei (ma erano presenti anchestudiosi provenienti dagli Stati Uniti e dal Canada) a discu-tere delle evoluzioni in atto nella città contemporanea euro-pea4. Dal convegno, in cui sono state presentate le dinami-che e le esperienze di governo urbano in corso in numero-se città europee, sono emerse alcune questioni di granderilevanza:a) Il problema della marginalità e dell’esclusione sociale in

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attività

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particolare nelle città più grandi. L’onda lunga della crisieconomica che ha condotto alla formazione di grandi sac-che di declino urbano, seppur venuti meno alcuni dei carat-teri che l’hanno determinata, continua a manifestare dram-maticamente i suoi effetti. Molte delle politiche pubblichecontro la marginalità urbana continuano ad incontrare diffi-coltà di applicazione se non rifiuto da parte dei potenzialibeneficiari. Ciò perchè sfugge, nella maggior parte dei casi,la dimensione sociale del problema che viene ricondotto,piuttosto ad una dimensione personale. Un elemento positi-vo emerso dai lavori e che alimenta ottimismo per il futuroè il processo di convergenza in atto tra le politiche condot-te nei vari paesi europei, frutto di sempre più numeroseforme di cooperazione trans-nazionale nelle quali riveste unruolo importante la politica dell’Unione europea.b) La città come aggregato di interessi e la politica urbanacome strumento per l’uscita dal declino sociale ed econo-mico. La città ha subito gli effetti più drammatici del decli-no economico avviatosi con gli anni settanta e legato allatransizione verso un’economia post-industriale. In essa orasi concentrano gli interessi principali delle politiche di svi-luppo dei paesi di antica industrializzazione, da un lato perrisolvere gli effetti del declino urbano e dall’altro perché,come abbiamo già sottolineato, le nuove economie di mer-cato tendono ad apprezzare determinati elementi competiti-vi che solo nelle città sono presenti. Quasi ovunque questopassa per la formazione di nuove coalizioni di interesse(società miste di sviluppo locale, camere di commercio,associazioni di industriali) che si affiancano a quelle più tra-dizionali e che agiscono prevalentemente sulla base di pro-getti di sviluppo a lungo termine.c) La ridefinizione complessiva degli strumenti (e delle isti-tuzioni) del governo urbano. Tale fenomeno passa per alcu-ni processi politici in atto nella maggior parte dei paesieuropei e in particolare: i) il decentramento di molti organiamministrativi riguardanti le città e di molte responsabilitàpolitiche riguardanti la promozione dello sviluppo locale. Inquesto senso è stato riportato il caso significativo di Londrache, dopo alcuni decenni e a seguito della riforma ammini-strativa promossa dal governo laburista, torna ad eleggereun sindaco ed una assemblea elettiva; ii) il consolidamentodella politica urbana e territoriale dell’Unione europea checostringe, al di là dell’effettiva efficacia degli interventi, adun trasferimento di esperienze e metodologie da un paeseall’altro e che stimola, attraverso il ricorso alle reti di parte-nariato e di cooperazione, anche le città dei contesti piùsvantaggiati a confrontarsi con gli ambienti internazionali.

In conclusione, volendo trarre qualche elemento dicomune rilevanza emerso dai due convegni, sembranoemergere alcuni messaggi per le discipline territoriali. Unoriguarda il peso crescente che la complessità e la rapiditàdelle evoluzioni sociali trasferiscono all’identità delle città.Le relazioni politiche ed economiche che connettono a varilivelli gli elementi delle società, dalle reti globali ai rappor-

ti all’interno delle comunità locali, introducono disconti-nuità che si affermano con imprevedibile velocità e checostringono le nostre proiezioni progettuali al trattamento divariabili sempre più complesse. Le discipline di governodel territorio dovranno acquisire la capacità di trattare,accanto alla dimensione lenta dell’identità storica dellecittà, quella delle evoluzioni più rapide, dell’apertura versol’esterno, della riqualificazione non soltanto come fine maanche come strumento per la competitività economica e lacoesione sociale. Un altro riguarda la necessità di fornireuna marcata connotazione politica alle nostre azioni proget-tuali. Le forme di apertura competitiva delle nostre città,richiedono costruzioni sociali fortemente coese, comunitàpolitiche che sappiano bilanciare il peso dell’economia conquello della coesione e dell’equità. In questo senso la piani-ficazione può assumere un ruolo importante purché sappiarinunciare alle componenti più rigidamente deterministichedel suo strumentario, che sia in grado di produrre strumen-ti flessibili, all’interno dei quali possano trovare applicazio-ne quelle politiche necessariamante aperte alle trasforma-zioni delle nostre società.

Note

1. Sul rapporto tra globale e locale nell’ultimo decennio e con varie chiaviinterpretative è stata prodotta una letteratura amplissima. In questo scrittosi fa riferimento ad almeno i seguenti contributi: Appadurai A. (1990),“Disgiunzione e differenza nell’economia culturale globale”, tr. it. inFeatherstone M. (a cura di), Cultura globale. Nazionalismo, globalizza-zione e modernità, Edizioni Seam, Roma, 1996; Perulli P. (1993),Globale/Locale. Il contributo delle scienze sociali, FrancoAngeli, Milano;Bagnasco A. (1994), Fatti sociali formati nello spazio, FrancoAngeli,Milano; Giddens A. (1994), Le conseguenze della modernità, il Mulino,Bologna; Touraine A. (1993), Critica della modernità, il Saggiatore,Milano.2. Cfr. Dematteis G. (1990), “Modelli urbani a rete. Considerazioni preli-minari”, in Curti F., Diappi L. (a cura di), Gerarchie e reti di città: tenden-ze e politiche, FrancoAngeli, Milano; Dematteis e Guarrasi (1995), UrbanNetworks, Patròn, Bologna; Camagni R. (1990), “Strutture urbane gerar-chiche e reticolari: verso una teorizzazioni”, in Curti F., Diappi L. (a curadi), Gerarchie e reti di città: tendenze e politiche.3. Alla prima sessione, “Immagini e identità territoriali”, hanno partecipa-to Claude Raffestin, Alberto Magnaghi e Angelo Turco; alla seconda,“Competitività dei luoghi”, Sergio Conti e Jacques Levy; alla terza,“Rappresentare e progettare il territorio”, Roger Brunet, Pasquale Coppolae Ola Söderström; alla quarta, “Ricerca geografica e tecniche GIS (SistemiInformativi Geografici)”, Vincenzo Guarrasi, Stefano Boffetta, FiorenzoFerlaino e Emilio Misuriello. La tavola rotonda, presieduta da FrancoSalvatori, ha visto tra i partecipanti Cristiano Antonelli, Arnaldo Bagnasco,Fiorenzo Ferlaino, Riccardo Roscelli, Gabriele Zanetto e GiuseppeDematteis.4. Nei sei workshop sono stati affrontati i seguenti temi: I) “Dealing withurban dysfunctioning: new approaches?”, II) “Territorial citizenship”, III)“Cities: networks and cooperation”, IV) “Globalisation and Europeancities: convergence?”, V) “Economic interest, institutions and territorialorganisation”, VI) European integration and Cities: dialogue betweenreserchers and decision makers”.

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Al plesso di San Michele a Ripa Grande a Roma delMinistero per i Beni e le Attività Culturali si è svolta,dal 14 al 16 ottobre 1999, la Prima ConferenzaNazionale per il Paesaggio che, in base alle intenzionidel Ministro Melandri, affronta per la prima volta inItalia a livello istituzionale il tema del paesaggio iden-tificandolo come ambito specifico di riflessione e diintervento, coinvolgendo nei lavori interdisciplinaried intersettoriali numerosi rappresentanti delle istitu-zioni (nazionali, regionali e locali), delle disciplinecoinvolte, dell’associazionismo, degli organismi dicategorie interessate ai temi del paesaggio, nonchéscrittori tra i quali Piero Citati e Giovanni Raboni,registi come Franco Rosi e Fernando Ferrigno, gior-nalisti come Piero Angela e Mario Fazio; la seduta dichiusura dei lavori, nella quale il Ministro ha presen-tato la relazione conclusiva, si è svolta alla presenzadel Presidente della Repubblica Carlo AzeglioCiampi.

Non è un caso che per la conferenza che inaugura ilmandato del Ministro Melandri, al quale si accompa-gna la riforma del nuovo Ministero per i Beni e leAttività Culturali, sia stata preferita alla più tradizio-nale titolazione “sul paesaggio” la senza dubbio piùsignificativa dedica “per il paesaggio”. La scelta cor-risponde ad una precisa opzione culturale che, pren-dendo atto della marginale se non residuale considera-zione riservata fino ad oggi al paesaggio dalle politi-che italiane di tutela e valorizzazione, raramente sup-portate da un approccio scientificamente adeguato,intende restituire al paesaggio (o meglio ai paesaggiitaliani) la dovuta attenzione in termini di aggiorna-mento culturale concettuale, di elaborazione legislati-va specifica, di definizione di indirizzi programmaticie operativi, di recupero della qualità paesaggisticaattraverso la qualità urbanistica e ambientale.

Il paesaggio, in linea con le indicazioni del proget-to per la Convenzione Europea del Paesaggio delConsiglio d’Europa, viene assunto come patrimonioculturale ed ecologico, come intreccio di natura e sto-

ria che contribuisce all’identità locale e nazionale, maanche come risorsa economica e sociale non deloca-lizzabile, una fondamentale fonte di ricchezza la cuitutela si pone come condizione imprescindibile perarrestare i processi di degrado e impoverimento e perpromuovere uno sviluppo sostenibile.

La riflessione sulle politiche di tutela rimandaurgentemente alla questione di una necessaria evolu-zione ed aggiornamento della legislazione in materiadi paesaggio: il punto di partenza viene fornito daiprincipi della giurisprudenza costituzionale, con parti-colare riferimento a quelli stabiliti a seguito dell’ema-nazione della legge Galasso; l’aver inserito con lalegge 431/85 un principio di tutela diffusa del paesag-gio, a fronte della tutela puntuale promossa dalla leggeBottai, «introduce una tutela del paesaggio improntataa integrità e globalità, vale a dire implicante una ricon-siderazione assidua dell’intero territorio nazionale allaluce ed in attuazione del valore estetico-culturale»1. Ilvalore innovativo della legge Galasso, della cui appli-cazione la Conferenza illustra un significativo bilancioattraverso numerosi casi di studio2, è stato quello diaver spostato l’accento dalle singole bellezze naturali,intese come dimensione estetica del territorio, al pae-saggio come bene culturale, riconoscendo valore dibene culturale a vaste porzioni del territorio nazionale.

I ritardi con i quali le Regioni hanno provvedutoalla redazione dei piani previsti dalla legge hanno pur-troppo spesso vanificato gli intenti del legislatore: l’in-dicazione necessariamente generica delle aree paesag-gisticamente rilevanti doveva trovare infatti il suocompletamento in una pianificazione affidata alleregioni che poteva specificarne l’applicazione; inoltreil sistema di subdeleghe ai Comuni per il rilascio deinulla-osta – sebbene in linea di principio strumentoper la responsabilizzazione culturale e ambientaledelle comunità locali – appare oggi in molte occasionigestito in termini burocratico-formali in assenza diadeguati processi di maturazione.

Il clima di attenzione ai problemi del paesaggio ita-liano si registra attraverso numerose iniziative pro-mosse a livello istituzionale, coinvolgendo nel proces-

Per il paesaggio

Angela Badami

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attività

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Sei temi di riflessione, sei progettiper il PaesaggioLe Sessioni Tematiche della PrimaConferenza Nazionale per ilPaesaggioa cura di Angela Badami

La Prima Conferenza Nazionaleper il Paesaggio si è articolata insei sessioni tematiche, dipanandole questioni connesse all’indivi-duazione di nuovi strumenti legi-slativi, procedurali e pianificatoriattraverso il confronto aperto tratutti i soggetti coinvolti, dalle isti-tuzioni al mondo della cultura, dalmondo imprenditoriale alla societàcivile, al fine di rendere raggiungi-bile l’obiettivo della difesa e di unamigliore qualità globale dei pae-saggi italiani.

1. Paesaggio: legislazione di tutelae normative per il territorio

La necessità di una revisionedella vigente normativa in materiadi tutela paesistica parte dall’assun-zione della concezione di paesaggiocome “bene culturale” nel senso

affermato dalla giurisprudenzacostituzionale, ed è volta non sol-tanto alla tutela e conservazionedegli assetti esistenti ma anche alrecupero delle zone degradate.

L’applicazione del vincolo pae-saggistico, nell’accezione introdottadalla legge Galasso, risulta tuttorapassaggio obbligato per la tutela delpaesaggio dove nodale si pone ilrapporto tra il vincolo apposto exlege ed il processo di pianificazio-ne: a 15 anni dalla sua emanazioneè possibile tracciare un bilancio edevidenziarne i punti critici, tra cui lamancanza di principi generali chedisciplinino l’attività delle ammini-strazioni coinvolte capaci di deter-minare criteri uniformi di azione edi limitare la discrezionalità; un piùcorretto svolgimento della funzionedi controllo nelle deleghe e subdele-ghe concesse ad enti subregionali elocali; la proliferazione di piani ter-ritoriali.

Tra le linee di intervento per unariforma normativa sono state postein evidenza da Piergiorgio Ferri eMarcello Pacini, coordinatori delgruppo di lavoro, in primo luogo la

definizione della nozione di paesag-gio da cui i criteri per l’individua-zione dei beni oggetto della tutelaed i criteri per la graduazione deivalori paesistici, i contenuti, gliambiti e le funzioni essenziali dellapianificazione paesistica o di stru-menti di pianificazione alternativi,le competenze ed i possibili model-li di concertazione nonché la fun-zione di controllo in caso di pianifi-cazione condivisa e non.

2. Paesaggio e sviluppo sostenibile

Modernizzazione, globalizza-zione e spinte omologanti hannoalterato e reso irriconoscibili, conparticolare evidenza a partire dallaseconda metà del secolo, molti deipaesaggi originari, producendonuovi “ambienti insediativi” ai qualinon corrispondono tuttavia coerenticonfigurazioni paesistiche.

La resistenza del paesaggio ita-liano a tali processi di trasformazio-ne, supportata dai lunghi e comples-si processi di stratificazione storicache caratterizzano il nostro Paese,offre tuttavia numerose occasioni di

so anche le questioni territoriali e ambientali stretta-mente correlate alla politica di tutela e valorizzazionedel paesaggio. Il Governo ha infatti assunto in manie-ra corale l’iniziativa di affermare la centralità dellepolitiche di tutela, conservazione e valorizzazione delpatrimonio culturale e paesaggistico del Paese, recu-perando la coscienza della sua bellezza e della sua ric-chezza; sotto il profilo territoriale è stato dato nuovoimpulso all’iter della legge-quadro sull’urbanistica; ilConsiglio dei Ministri ha approvato il disegno di leggesulle demolizioni delle abitazioni abusive ed ilMinistro dei Lavori Pubblici ha ribadito il diniego alricorso a nuove sanatorie e condoni; è stato varato ildisegno di legge proposto dal Ministero per i Beni e leAttività Culturali per la promozione della culturaarchitettonica e urbanistica. Dal punto di vista dellapolitica ambientale, invece, sono in corso di elabora-zione le Carte della Natura e sono già da tempo atti-vate le politiche europee per gli spazi rurali e infra-strutturali; viene rilanciata in chiave ambientale la pro-grammazione dei fondi strutturali europei; è stata uffi-cializzata la proposta del Ministro per l’Agricoltura di

difendere i prodotti tipici quali perno del paesaggioagricolo italiano.

Ciò che la Conferenza si prefigge è dunque di met-tere a punto nuove e più efficaci forme di tutela per ilpaesaggio, di adeguare le norme vigenti alle nuove esi-genze, di migliorare il quadro delle attribuzioni dellecompetenze istituzionali statali e regionali secondo ilprincipio collaborativo, di attivare rapporti corretti dipartecipazione con i cittadini e le imprese; finalitàgenerale è la capacità di progettare il paesaggio delfuturo, di produrre qualità e bellezza.

Note

1. Sentenza della Corte Costituzionale n.151/86; con sentenze suc-cessive (n.379/94, n.417/95, n.341/96) la Corte Costituzionale haulteriormente chiarito la concezione di tutela paesistica che infor-mava la L.1497/39.2. Tra le trasformazioni infelici e abusive del territorio italiano sonostate evidenziate in particolare l’Oasi del Simeto, la Valle dei Templidi Agrigento e Pizzo Sella di Palermo in Sicilia, Punta Perotti inPuglia, il “caso Fuenti” sulla costiera amalfitana.

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recupero e preziose opportunità diqualificazione dello sviluppo insenso ecologico ed ecosostenibile,prospettando un possibile quantonecessario connubio tra le istanzeconservative del paesaggio e ladimensione evolutiva della sua con-tinua trasformazione.

Concorrono dunque come prin-cipi ispiratori di una politica delpaesaggio inteso come risorsa peruno sviluppo sostenibile: l’assun-zione del paesaggio come fonda-mento dell’identità nazionale; l’ac-crescimento dell’importanza delpaesaggio in tutte le azioni di piani-ficazione; la promozione di formedi governo attivo e condiviso delletrasformazioni del paesaggio cherichiedono il concorso e la corre-sponsabilizzazione dei diversi pote-ri centrali e locali; la promozione diun approccio integrato e trasversaleper favorire le interdipendenze trapolitiche del paesaggio e dei beniculturali con quelle dell’ambiente,del territorio e delle opere pubbli-che; la promozione della partecipa-zione locale nei progetti di rivaluta-zione del paesaggio.

Il gruppo di lavoro, coordinatoda Alberto Clementi e SalvatoreMastruzzi, ha individuato per cia-scun criterio ispiratore una serie diproposte operative e temi di rifles-sione intesi a dare coerenza e attua-bilità ad una nuova filosofia di inter-vento impostata sulla conciliazionedelle antinomie tutela/sviluppo,conservazione/trasformazione.

3. Paesaggi italiani e qualità dellaprogettazione

Pio Baldi e Vezio De Lucia sonostati i coordinatori del gruppo dilavoro incentrato sui temi connessialla qualità della progettazione, pre-requisito irrinunciabile per la difesaed il miglioramento della qualità deipaesaggi. Le questioni dibattute sisono incentrate sui temi dell’indivi-duazione dei possibili strumenti dicontrollo della qualità per gli inter-

venti sul territorio, della progetta-zione del recupero dell’edilizia sto-rica, della riqualificazione dell’in-dustria edilizia e infine delle pro-spettive aperte dall’ingegneriaambientale.

La verifica della carenza di unsupporto di conoscenze, di consape-volezze e di professionalità checostituiscano un orientamento certoe permanente per gli operatori delpaesaggio, evidenzia l’urgenzadella redazione di un documentoriassuntivo di riferimento, una sortadi Carta italiana del paesaggio (inomologia d’intenti con la Carta ita-liana del restauro) che avvii lamessa a punto di esigenze, defini-zioni, requisiti, direttive, raccoman-dazioni e indirizzi sul tema; l’urgen-za di un quadro di riferimento è evi-denziata anche dalla redigendaConvenzione Europea del Paesag-gio, in corso di avanzata elaborazio-ne da parte del Consiglio d’Europa,dalla quale la Carta italiana dovreb-be trarre principi e finalità.

4. Archeologia e caratteri storicinel paesaggio italiano

L’archeologia svolge un ruolocostitutivo del paesaggio in quantocomporta implicazioni sulle trasfor-mazioni del territorio modificando ipaesaggi e creandone di nuovi: leattività connesse all’archeologiaripropongono un’interpretazionedei reperti per la fruizione del benearcheologico integrato nel suo con-testo ambientale, suggerendo in unalettura contemporanea i valori cul-turali e paesaggistici del passato.

I beni archeologici territoriali, inquanto parte integrante del paesag-gio storico italiano, possono diven-tare essi stessi presupposto per laprotezione e la riqualificazione delpaesaggio: negli intenti della legge1089/39, nonostante la tutela stori-co-artistica sia impostata sull’impo-sizione di un vincolo diretto sul sin-golo bene, tra gli elementi costituti-vi del vincolo è inclusa la salva-

guardia “della luce e del decoro”,con esplicito riferimento alla tuteladel contesto; e ancora, la tutela pae-sistica della legge 1497/39 interessal’intero territorio su cui è ubicato ilbene, ovvero il contesto di giacenzadel patrimonio archeologico. Lanovità introdotta dalla leggeGalasso consiste nella possibilità diperimetrare i paesaggi caratterizzatida elementi archeologici, rendendonecessario definire la relazione spa-ziale tra il complesso monumentaleed il territorio sul quale insiste, per-mettendo l’applicazione del vincoloanche su vaste zone; la perimetra-zione e la tutela dei beni archeologi-ci territoriali si evolve in tal modo insenso paesaggistico.

La conservazione del paesaggiostorico è inoltre coinvolta nelle pre-visioni della strumentazione urbani-stica in quanto sistema in continuatrasformazione, interagente con ledinamiche evolutive del territorio edella società: soltanto una politica disviluppo consapevole può consenti-re le indispensabili trasformazioniassicurandone la compatibilità conil mantenimento dei caratteri storiciinsiti nel territorio.

Il tema dei rapporti tra archeolo-gia, paesaggio, territorio e ambien-te, indagato da Adriano La Regina eMario Torelli, non può non appro-dare infine all’annoso problema deiparchi archeologici: riconosciutal’importanza della valorizzazionedei contenuti storici dei complessiarcheologici, rimane tutto da defini-re il rapporto tra tali beni, l’ambien-te naturale ed il paesaggio. La que-stione comporta di conseguenza unariflessione sul concetto giuridico diparco archeologico, sulla necessitàdi definire strumenti di piano e stu-diarne le interrelazioni con gli stru-menti pianificatori e urbanistici esi-stenti, sulle competenze dei diversisoggetti istituzionali e loro momen-ti di integrazione, sulle esigenze digestione e possibile partecipazionedei privati nella valorizzazione enella gestione dei parchi.

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5. Modelli culturali e politicheper il paesaggio in Europa

Lo scenario del dibattito con-dotto da Alessandra MeluccoVaccaro e Tullio D’Aponte è costi-tuito dal panorama sulle politichepaesaggistiche e sui sistemi nor-mativi vigenti in Europa per latutela del paesaggio.

Nelle strategie volte allacostruzione di un’unità europea ilpaesaggio assume un ruolo centra-le in termini di coesione e identità,per cui dovrebbe assumere unruolo sempre più centrale neimodelli di sviluppo sostenibilenazionali e transnazionali e vederriconosciuto il valore prioritario dielemento costitutivo della qualitàdella vita. Dai documenti prodottidalla UE sul tema dello sviluppospaziale è stato progressivamentericonosciuto che la specifica carat-teristica del territorio europeo,confrontato con altre aree econo-miche, è la sua varietà culturale: loSDEC (Schema direttore per l’or-ganizzazione dello spazio dellacomunità europea) assume talespecificità spaziale come uno deipiù significativi fattori di sviluppo,riscattando il territorio dalla con-cezione di supporto inerte ed indif-ferente alle trasformazioni e con-notandolo con le tematiche pae-saggistiche.

La proposta di un testo diConvenzione Europea delPaesaggio, da parte del Congressodei Poteri Locali e Regionali delConsiglio d’Europa, si pone comestrumento di riflessione e di dibat-tito sui temi del paesaggio, propo-nendosi di trovare una definizionedi paesaggio valida come base uni-ficante per tutti i Paesi membri,superando i diversi approcci setto-riali di impostazione naturalisticao antropico-culturale. Alla basedella riflessione è la concezionedello spazio in modo relazionale(in relazione all’attività dell’uo-mo): solo in quest’ottica si posso-

no realizzare unità di regole e digoverno e modelli coerenti di svi-luppo sostenibile superando l’anti-nomia patrimonio naturale/patri-monio culturale.

Dal dibattito emerge la grandeimportanza del ruolo svolto dallecomunità locali nella difesa delpaesaggio, nella crescente consa-pevolezza che le trasformazionidel territorio devono trovare un piùelevato equilibrio con gli assettistorici del paesaggio inteso comeintegrazione tra natura e cultura,tra costruito e non costruito, traambiente urbano e rurale; l’appro-do a strumenti urbanistici e di pia-nificazione capaci di garantire uncorretto uso del territorio è peròl’esito di un processo di formazio-ne di una coscienza civile e di unamentalità collettiva capaci disostenere tale politica di sviluppo eparte dal coinvolgimento, sensibi-lizzazione e partecipazione dellapopolazione ai processi di piano.

Dal panorama europeo emergo-no alcune tendenze già in atto chedirigono verso le finalità proposte,ovvero verso uno spostamento del-l’interesse dal sistema di vincoliper aree eccezionali a nuovi stru-menti per una regolamentazionedel paesaggio “quotidiano” e dif-fuso; verso la trasformazione deglistrumenti di intervento da vincolidiretti, piani e norme a strumenti dicarattere preliminare ed orientati-vo emanati da organismi nazionalial fine di indirizzare in modo omo-geneo la definizione degli ulterioristrumenti di pianificazione diresponsabilità regionale e locale.

6. Paesaggio, comunicazione,educazione e formazione

La sesta sessione tematica,coordinata da Marisa DalaiEmiliani e Velia Rizzo, si puòconsiderare come il momentopropedeutico a tutto il convegnoin quanto incentrata sull’impor-tanza e l’insostituibilità dell’edu-

cazione per scoprire, comprende-re e sviluppare una definizione eduna coscienza di paesaggio; evi-denzia cioè la necessità di renderela popolazione capace di sentirel’importanza della percezione edei punti di vista, la relazione tranatura e storia, i valori estetici edetici, il ruolo dell’affettività edella memoria, il rapporto spazio-temporale, la complessità e lestratificazioni, la differenza trapaesaggio, territorio e ambiente,l’impegno civile per la tutela e lavalorizzazione.

Sia il Ministero per i BeniCulturali e Ambientali che ilMinistero per l’Ambiente hannoda tempo attivato iniziative perl’educazione ai valori culturali eambientali del territorio, mentrealtre iniziative sono state prese daEnti e Associazioni che hannorivolto la loro attenzione sui temidel paesaggio spesso includendo-lo nell’ambito di altri concettiquali quelli di natura, ecologia,ambiente, sviluppo sostenibile,beni culturali; a tutt’oggi perònessuna di queste iniziative è stataespressamente dedicata agli spe-cifici valori paesaggistici, per cuioccorre ancora lavorare per unaimpostazione didattica di base chesviluppi una specifica cultura delpaesaggio.

L’educazione al paesaggioassume infatti caratteristiche pecu-liari che la differenziano rispettoall’educazione al patrimonio cultu-rale e all’educazione all’ambientein quanto impostata sulla capacitàdi vedere, sulla “intelligenza spa-ziale”, sul rapporto tra continuità ecambiamento, sull’identità cultu-rale, sul senso di appartenenza esul riconoscimento delle diversità.

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La IV Rassegna UrbanisticaNazionale: i temi del dibattito

Giuliana Panzica La Manna

Il termometro dello stato di fatto della pianificazionein Italia: ecco come si è presentata la IV RassegnaUrbanistica Nazionale svoltasi a Venezia dall’8 al 13novembre 1999.

La mostra, nodo centrale di tutta la manifestazio-ne, ha evidenziato come il contatto tra amministrato-ri, tecnici, ricercatori e studiosi possa generare ai varilivelli (dalla dimensione territoriale, a quella comu-nale fino al livello sublocale evidenziato dall’espe-rienza dei Contratti di Quartiere) approcci pianifica-tori pregni di caratteri innovativi.

All’esposizione delle prassi urbanistiche piùattuali agenti sul territorio e sulla città, si è affianca-ta un’ampia riflessione sui temi del dibattito piùrecente.

L’articolazione dei contenuti proposti in sei ses-sioni1 ha rispecchiato il criterio con cui sono statiesposti i casi in mostra.

All’interno delle sessioni sono stati presentatialcuni “casi di studio” emblematici che avevano ilpreciso scopo di evidenziare la relazione tra i temi indiscussione e le esperienze pianificatorie concreta-mente in atto.

Questa manifestazione ha mostrato come i sogget-ti operanti sul territorio abbiano definito, attraversoazioni esplicitate in strumenti di piano, politiche, pro-getti e strategie, una linea di contenuti coerenti aduna diffusa volontà di riformismo.

Nella sua prolusione, Dematteis sottolinea comel’attenzione dell’Unione Europea rivolta alla città edal territorio – tramite la produzione di documenti pro-grammatici2 e lo stanziamento di fondi direttamenteaccessibili da parte degli Enti Locali – abbia esplici-tato una chiara intenzionalità verso l’integrazione ter-ritoriale dei sistemi locali.

Dalla quantità dei casi esposti nella sezione sullapianificazione locale e in quella sui progetti di tra-sformazioni urbane3, emerge come questa fase del-l’urbanistica sia attraversata dalla tensione verso itemi della riqualificazione urbana ed ambientale.

La valorizzazione delle specificità locali viste dalpunto di vista qualitativo, è infatti presupposto deter-

minante per l’inserimento dei territori in una rete disistemi locali capaci di contrastare quei fenomeni diframmentazione generati dalla competitività econo-mica connessa alla globalizzazione.

La sessione sulla “Pianificazione locale” haimperniato il dibattito attorno alla necessità di unnuovo modello di piano4 che si articoli su tre punticaratterizzanti:1) la separazione della componente strutturale da

quella operativa;2) l’applicazione del meccanismo perequativo quale

criterio oggettivante nelle scelte urbanistiche emezzo per garantire efficacia al piano;

3) l’attenta valutazione dei nuovi contenuti discipli-nari che tendono ad integrare urbanistica ed eco-logia dando ampio spazio alle strategie volte alconseguimento della riqualificazione dei territoricomunali in tutte le loro componenti.La sessione sui “Progetti delle trasformazioni

urbane” ha evidenziato la differenza di approcciooggi seguita rispetto alla fase del progetto urbanodegli anni ’80. La fase precedente, legata alle cosid-dette “grandi occasioni”, spesso celava forti incoe-renze dovute alla dicotomia tra progetto e strategiadel piano; oggi invece si tenta di dare maggiore risal-to all’aspetto strategico entro il quale inscrivere l’a-zione progettuale.

Le sperimentazioni più interessanti, in atto sindagli anni ’90, si sono mosse nella direzione dellaproposizione di una struttura strategica del piano cuiva affiancata una struttura formale maggiormentelegata al progetto5.

Il dibattito inerente “La pianificazione provincia-le: i Piani Territoriali di Coordinamento”, ha fattodiscutere anche sulla valutazione degli effetti dellalegge 142 del 1990.

Le tendenze manifestate si muovono su due temidi fondo:1) la problematica della questione ambientale

affrontata a livello di area vasta e risolta preva-lentemente con un approccio analitico/descrittivoe prescrittivo;

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2) la modificazione delle strutture territoriali in rela-zione all’esplosione della città diffusa ed il conse-guente sviluppo della mobilità. Ciò non va affron-tato esclusivamente dal punto di vista dell’infra-strutturazione (azione sull’offerta) ma anche sulfronte della domanda agendo sulla forma e la qua-lità dell’insediamento e dunque abbassando lanecessità di alta mobilità.La sessione “Azioni regionali: piani settoriali,

quadri di insieme, programmazione”, ha mostratonuovi impulsi rilevabili nel ruolo attribuito alle risor-se locali quali potenziali fattori di sviluppo.

Nei piani dei parchi, nei piani di bacino ed inquelli di risanamento delle aree a rischio si riscontrala centralità dell’ecologia. Le sperimentazioni pre-sentate hanno mostrato una comune tendenza neltutelare i cosiddetti valori del non-uso incentivandoforme di autosostenibilità economica capaci dientrare attivamente nel binomio conservazione-valorizzazione.

In questo quadro di contenuti coerentemente arti-colati tra loro, tuttavia si nota come esista ancora unacerta confusione di competenze pianificatorie nelleazioni di governo del territorio che dovrebbero impli-care una concertazione su più livelli o comunque unpunto di riferimento comune come ad esempio lacostituzione di uno sportello unico

“Conservazione e valorizzazione del territorio,del paesaggio e della città storica”, questa sessione didibattito ha evidenziato la grande attenzione postadagli amministratori alla tutela dei patrimoni storico-culturali costituiti dall’interazione tra ambiente natu-rale ed antropico. La tendenza manifestata è quella diuna tutela attiva che leghi la conservazione ai proces-si di trasformazione. Nelle azioni per il centro stori-co sembra superata la contrapposizione tra conserva-zione e intervento poiché il restauro ha, intrinseca,l’idea di progetto e dunque una tensione verso inter-pretazioni che non possono essere cristallizzate. Lastessa cosa vale per il paesaggio contemporaneo incui il paesaggio storico perde significato se sconnes-so al sistema globale di cui fa parte e con il qualediviene nella sua totalità un “valore”6.

Le ultime osservazioni vanno correlate alla ses-sione “Strategie e politiche urbane” che ha introdottole innovazioni sul fronte della pianificazione strategi-ca in Italia, allineandosi ad impulsi provenienti dalcontesto comunitario.

L’assenza di un quadro di riferimento normativocoerente con queste nuove tendenze da un lato hadato vita ad interessanti sperimentazioni, dall’altroha fatto affiorare forme imprevedibili e dunque diffi-cilmente governabili. I casi di studio più significativipresentati hanno manifestato una comune tendenza

nella direzione di modelli che superino le proceduredi pianificazione più tradizionali con l’utilizzo diprocessi di integrazione degli strumenti ordinari e deicosiddetti programmi complessi.

Dalla breve esposizione dei contenuti principalidella manifestazione si coglie un filo conduttore chelega le diverse esperienze di governo della città e delterritorio ai fermenti culturali che permeano il dibat-tito urbanistico contemporaneo: il perseguimentodella qualità è determinante per evitare il declinodella compagine fisica, sociale ed economica dellacittà e del territorio sia in rapporto alla dimensionelocale che alle reti nazionali e sovranazionali.

Lo schema interpretativo del territorio, propostoda Dematteis nei suoi studi in termini di relazioniorizzontali, verticali e complesse, sembra idoneo percomprendere come convertire ciò che circola nellerelazioni orizzontali in impulsi capaci di radicarsi nelbackground di ogni nodo e far si che diventi metodonella regolazione dei rapporti di territorialità.

Questa regolazione è la sfida della pianificazione:attivare le reti di soggetti locali in grado di trasfor-mare le loro potenzialità inespresse in elementi divalorizzazione economica e culturale.

Note

1. Le sei sessioni hanno fatto riferimento ai temi delle sezioniespositive. 1) Pianificazione locale (presieduta da Federico Oliva);2) Pianificazione provinciale: i Piani Territoriali diCoordinamento (presieduta da Piero Cavalcoli); 3) Azioni regiona-li: piani settoriali, quadri di insieme, programmazione (presiedutada Attilia Peano); 4) Strategie, politiche urbane e di sviluppo loca-le (presieduta da Michele Talia); 5) Conservazione e valorizzazio-ne del territorio, del paesaggio e della città storica (presieduta daPaolo Avarello); 6) Progetti di trasformazioni urbane (presiedutada Fabrizio Mangoni).2. Il riferimento va ai diversi studi quali Europa 2000 (1991),Europa 2000+ (1995), allo Schema di Sviluppo dello SpazioEuropeo (1998), al Libro Bianco per le politiche dei trasposti, alQuadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile, fino alle piùrecenti esperienze come Urban 2 e Interreg 3.3. Il 50% dei casi in mostra era relativo alla prima ed alla sesta ses-sione.4. Sin dal 1995 l’INU ha proposto la riforma della legge urbanisti-ca nazionale che non ha trovato ancora una risposta da parte degliorgani legislativi nazionali.5. La dimensione operativa e progettuale si è legata ad esperienzeconnesse alla famiglia dei Programmi Complessi, dai Piani diRiqualificazione Urbana, ai Contratti di Quartiere, ai PRUSST.6. Sembra opportuno a tal riguardo ricordare la posizione diCorboz nel suo saggio “Il territorio come palinsesto” dove il pae-saggio è una pergamena da raschiare e riscrivere. È implicita l’a-zione progettuale seppure vagliata da attente valutazioni che eviti-no la formazione di buchi sul supporto ossia la desertificazione; A.Corboz, “Il territorio come palinsesto”, in Ordine sparso, Milano,1998.

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Globalizzazione, mondo e società.Il pensiero di Latouche sulletrasformazioni sociali e sullecontraddizioni dell’economiacapitalistica occidentale

Giuseppa Santapaola

Era il migliore dei tempi e il peggiore; l’età della saggezzae della stupidità; l’epoca della fede e quella dell’incredu-lità; la stagione della luce e quella delle tenebre; era la pri-mavera della speranza e l’inverno della disperazione; tuttosi offriva a noi come nostro e non possedevamo assoluta-mente niente, andavamo tutti verso il cielo, tutti ci precipi-tavamo verso l’inferno.(Charles Dickens in Storia di due città).

La vera ingenuità alla fine del XX secolo consiste nel crede-re che la società umana possa continuare a vivere in questomodo per un tempo indefinito.(Ken Booth in Wuman Wrongs and international).

Il 10 dicembre del 1999, presso la Sala delle Capriate diPalazzo Steri di Palermo, il prof. Serge Latouche è stato invi-tato a tenere una conferenza sul tema: “Mondializzazione eOccidentalizzazione”. L’incontro si è svolto nell’ambito delleattività promosse dal Corso di Dottorato di Ricerca inPianificazione Urbana e Territoriale.

Serge Latouche – docente presso la Facoltà diGiurisprudenza dell’Università di Parigi XI e presso l’I.D.E.S(Institut d’Etude du Developement Economique et Social) diParigi – ha incentrato l’intervento sui grandi temi socioeco-nomici che investono il nostro secolo, tra cui il rapporto e lecontraddizioni dell’economia capitalistica occidentale, le tra-sformazioni sociali e l’attuale crisi economico sociale cheinveste il pianeta.

Latouche afferma che «l’economia è la religione delnostro tempo», e che il Progresso, la Ragione, la Scienza, laTecnica sono «i più credibili candidati alla divinità».L’economista asserisce, inoltre, che «la devozione al pro-gresso, il dogma dello sviluppo, il culto della tecnica, lavalorizzazione quasi sacra del benessere materiale, fino aidiritti dell’uomo e l’intoccabile democrazia, sono fonda-mentalmente, direttamente o indirettamente legati all’eco-nomia utilitaristica» e che la «mondializzazione non è altroche la punta ultima della mercificazione del mondo e dellasua economicizzazione»1.

Attualmente ci troviamo in presenza di una profonda crisidel precedente modello socio-economico. Ormai i termini

“mondializzazione” e “globalizzazione” sono diventati quasidelle parole magiche, sotto cui vengono definiti tutti i com-plicati e contraddittori processi che caratterizzano il sistemasocioeconomico mondiale.

La “mondializzazione”, può essere definita come la siste-matica tendenza all’interazione sociale che deve permearsi inmisura sempre più ampia a livello planetario di “modelli con-divisi”, perpetuando una strategia politica che nel tempo, siapure a scala localizzata è adoperata per l’acquisizione del-l’assenso alle formulazioni e/o alle decisioni.

La civiltà occidentale ha prodotto nel mondo la primavera cultura globale e tutte le istituzioni politiche, sociali, eco-nomiche e culturali sono state investite da processi di globa-lizzazione, tanto da poter affermare che in tutto il mondo nonesiste più nessun individuo che possa partecipare alla vitasociale senza rapportarsi con le istituzioni globalizzate.L’ascesa del mondo occidentale attraverso il soddisfacimen-to degli individui del “sogno americano” del XX secolo, rap-presentato dall’elevazione del tenore di vita per mezzo delconsumo su larga scala, trasmesso attraverso canali globali diflusso, ha creato un mondo sempre più “globalizzato” e“americanizzato”. La civiltà occidentale non è più posiziona-bile in un preciso ambito geografico o geopolitico in quantoè diventata espressione di un atteggiamento rispetto ai fattoridi mondializzazione, ovvero, una «macchina impersonalesenza padrone, senz’anima che ha messo l’umanità al proprioservizio»2.

Clive Glambe sostiene che il primo risultato della globa-lizzazione dovuto a comportamenti intenzionali ed a scelteprogrammate è dato dalla «totale distribuzione dell’HomoSapiens sulla terra»3. Ma per lo sviluppo della cultura globa-le del XX secolo è stato diverso, in quanto esso ha convo-gliato una congèrie di tendenze che hanno esercitato una seriedi influenze, dalle quali è difficile sottrarsi, che coinvolgonotutti gli abitanti della terra ed investono gli aspetti più signifi-cativi, quotidiani ed intimi della vita.

Anthony Giddens definisce la globalizzazione come una“disaggregazione”, ovvero «l’enuclearsi di rapporti socialidai contesti locali d’interazione e il loro ristrutturarsi attraver-so archi di spazio-tempo indefiniti»4.

Ciò significa che le persone, attraverso l’assimilazionenella loro vita delle influenze derivanti da fonti globali, esten-

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dono – nel tempo e nello spazio – ulteriormente la globaliz-zazione delle istituzioni sociali, facendo si che lo svilupposociale in senso lato si globalizzi.

Ma la globalizzazione, mentre da un lato contribuisce allosviluppo economico-tecnologico, dall’altro genera nuovi tipidi ineguaglianza e insicurezze, che raggiungono proporzionitali da minacciare sia la coesione sociale, sia la sostenibilitàdello stesso sistema economico. L’attuale “crisi” o “transizio-ne” del Welfare State5 riflette un complesso di dinamiche chetravalicano i confini dello Stato-nazione, essa è caratterizzatadai modi di produzione post-industriali (che hanno eroso edistrutto molti valori etici e spirituali diffondendo una sete diprofitto senza limiti), dalla crescente globalizzazione, dalledinamiche di integrazione sovranazionale, dai risvegli locali-stici, dai rapidi mutamenti nei rapporti sociali e dal generaleripensamento del ruolo e dei compiti dello Stato.

Lo stato del benessere europeo, oggi fa i conti con unanuova configurazione di rapporti sociali (dovuta sia alla tra-sformazione dei nuclei tradizionali della famiglia, sia ai nuovistili di vita), non sempre capaci di autosufficienza e/o espostial rischio di divenire vittima di diverse possibili “trappole” –povertà, dipendenza, esclusione, disoccupazione emargina-zione politica, disgregazione sociale – causate spesso dalsistema economico e dai vigenti istituti di protezione e di tas-sazione che hanno generato da un lato gli “inclusi” dal siste-ma, che beneficiano di un vero e proprio nucleo di garanziae dall’altro gli “esclusi”, che dispongono solo di esili sostegnie spesso solamente per coincidenza o per fortuna. Gli “esclu-si” dal sistema stanno diventando sempre più numerosi e persopravvivere – secondo Latouche – devono inventare nuovesoluzioni. Essi possono divenire “mostri” o essere recuperatidalla “macchina sociale” ma, nel contempo alimentano la«speranza che il blocco della macchina stessa non sia la finedel mondo, bensì l’alba della nuova ricerca di una umanitàpluralista»6.

Il volto della nostra società è stato trasformato dalla moder-nizzazione. La cultura di massa, l’intensificazione degli scam-bi, i nuovi stili di vita, l’uso di un linguaggio sempre più stan-dardizzato, minacciano la sopravvivenza delle culture locali,spingedole verso l’estinzione, verso il “genocidio culturale” omeglio, come lo definisce Latouche, verso la “deculturazione”.L’economista afferma che la diffusione a livello mondiale diuna “cultura dei consumi” non reca la fertilizzazione incrocia-ta delle diverse culture, ma l’imposizione di una “cultura delvuoto”. Alla culturizzazione del nord, corrisponde la decultu-rizzazione del sud, ma la cultura “schiacciata”, ritorna ovunquesotto le forme più perniciose, quali l’esplosione identitaria (fra-zionamento nazionalista, di pulizia etnica) e l’islamismo e lesue derivazioni (buddismo, brathaismo, ecc.) generando unaingovernabilità del mondo attuale e l’urgenza di una “politicadi sicurezza” a scala planetaria.

La globalizzazione in atto è un fenomeno dai moltepliciaspetti, si tratta di uno scontro politico, economico, sociale,culturale, senza precedenti che comporta un indebolimento,

una destrutturazione della società che erode ed elimina le dif-ferenze culturali e le personalità dei singoli. «L’innesto di unsistema produttivo in una cultura che gli è estranea ne causala disgregazione e di riflesso lo sdradicamento umano, la per-dita d’identità»7.

La globalizzazione, in virtù della sua complessità priva lasocietà di sicuri criteri di riferimento e genera nei singoli e neigruppi fragilità ed incertezza, in quanto non riesce ad assicu-rare agli stessi stabilità di appartenenza e sicurezza di identifi-cazione. Essa, quindi, nega uno dei primordiali bisogni del-l’essere umano, quello del “riconoscersi”, cioè, come essereche ha un certo valore e dignità. La domanda di “bisogno delriconoscersi” e dell’“affermazione della propria identità”diventano nell’attuale società – anche se universalmenteammessi – problemi di notevole portata e di non facile risolu-zione. Il problema di forzate esaltazioni e del riconoscimentod’identità costituisce una delle fondamentali strategie retori-che praticate attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Latouche prosegue affermando che il riferimento su cuibisogna fare affidamento è la “solidarietà” – che è un’idealeregolativo dell’etica sociale – che può evitare che la pluralitàdegeneri in indifferenza nella cultura transnazionale uniformeprodotta dalla megamacchina tecno-scientifica. Questa societàdefinita individualistica, democratica, sviluppa per Latouchequalcosa di estremamente contrario: il conformismo.

Infine, Latouche richiama il problema del posizionamen-to di una strutturazione, esemplificando gli elementi fonda-mentali in un triangolo equilatero, all’interno del quale il bari-centro costituisce il punto di equilibrio e la strutturazionesociale e del suo comportamento politico, i vertici invece rap-presentano le categorie fondamentali del comportamento edell’organizzazione, ovvero:

– la sopravvivenza;– la resistenza;– la dissidenza.Nel triangolo di Latouche, il codice di base della soprav-

vivenza è il codice sociale del “diritto a sopravvivere”, comeprimo elemento di un complesso sistema di diritti; la resi-stenza, viene invece definita come il modello comportamen-tale dell’uso del codice morale per fini ideologici (diritto allasopravvivenza, diritto alla vita, diritto alla fruizione dei beni edell’ambiente)8; la dissidenza, infine, è un atteggiamento dimediazione tra i due.

La società di oggi non è più una società visibile, ma èdiventata una “società invisibile”, dove non si riescono più acapire né i problemi individuali, né quelli di gruppo, la societàha oggi bisogno di nuovi scenari di visibilità entro cui posi-zionarsi ed identificarsi.

Per Latouche, si deve andare alla ricerca di un equilibriodominato da un “profilo etico”, che offra la possibilità dimigliorare l’ordine individuale e globale, che allontani gliuomini dalla disperazione, dalla disponibilità alla violenza ele società dal caos, attraverso il ritrovamento del “senso dellavita”, ormai perduto e di trasmettere ai giovani una «fede non

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costruita sulle illusioni, non più passionale ma ragionevole».Ciò significa «cambiare l’atteggiamento interiore, l’interamentalità, appunto il cuore dell’uomo ed indurlo ad una con-versione da una via errata ad un nuovo atteggiamento neiconfronti della vita»9. Dunque, la rinascita di una nuova eticaattraverso una cultura della solidarietà e della reciprocaappartenenza e attraverso l’inserimento dell’economia nelsociale, vivendo secondo una “logica sociale” e non secondouna “logica economica”, in quanto il “legame sociale”, comeafferma Latouche è più importante del “legame economico”,in cui lo “scambio economico” deve essere mediato dallo“scambio sociale”. Lo scambio, inoltre, deve avvenire attra-verso lo spirito del “dono”, quindi non per guadagnare, perun “Do ut des”, ma per rafforzare il legame sociale.

Latouche si muove sul difficile rapporto tra due modelli:il primo derivante dal livello di organizzazione sociopoliticadesiderata; il secondo caratterizzato da un’improbabilemodello di natura utopica legata ai principi di autorganizza-zione e di autoriproduzione socio-politica, che però non èpossibile sulla base della criticità strategicamente indotta deiprocessi-obiettivo di globalizzazione.

I processi di globalizzazione se non contenuti e sociopo-liticamente controllati rischiano di non produrre certezze eli-minando quel campo di incertezze o il loro contrario, indi-spensabili a costruire legami tra un’era ed un’altra, sulla con-siderazione espressa da Richard Tawney secondo cui “le cer-tezze di un’era sono i problemi di quella successiva”.

Note

1. Il capitalismo porta ad «invadere e trasformare tutte le sfere dell’economiae della società. Tutte le regioni del globo a“mercificare” ogni cosa» (BartoliH., voce: “globalizzazione”, Enciclopedia Treccani).2. Si veda Latouche S., L’Occidentalizzazione del mondo, BollatiBoringhieri, Torino, 1992.3. Si veda Gamble C., Timewalkers: the prehistory of global colonization,Alan Sutton, Londra, 1994.4. Si veda Giddens A., The consequences of modernity, Polity Press,Camridge, 1990. Trad. in it. Le conseguenze della modernità, il Mulino,Bologna, 1994; ed in part. pag. 21 e trad. it. pag. 32.5. Il Welfare State, nasce come politica di tutela, sostegno e protezione socia-le, capace di assicurare e garantire ai cittadini - e soprattutto alle classi menoabbienti - i diritti sociali. Esso si fonda su tre tipologie di diritti fondamentali da garantire:

1. il diritto alla cittadinanza;2. il diritto alla rappresentanza;3. il diritto alla partecipazione.

6 Si veda Latouche S., La megamacchina, Bollati Boringhieri, Torino, 1997.7 Si veda Balducci E., La terra del tramonto, S.Domenico Fiesole, 1992, inpart. pag.75.8 Si veda Kung H., Kuschel K.J. (a cura di), Per un etica mondiale, Rizzoli,Milano,1995.Vi sono delle norme etiche immutabili, incondizionate in tutte le religioni,esse sono:– dovere di una cultura della non violenza e del rispetto per ogni vita;– dovere di una cultura della solidarietà e di un ordine economico giusto;– dovere di una cultura della tolleranza;– dovere di una cultura della parità dei diritti e della solidarietà tra uomo e donna.

Solo nello spirito dei principi comuni si possono trovare soluzioni appro-priate per Questioni controverse.9 Op. cit., pag. 22. Per etica mondiale s’intende «il consenso di fondo neiconfronti di valori vincolati, di norme immutabili e di fondamentali com-portamenti personali già esistenti». Si ritiene che ogni comunità senza unconsenso di fondo sarà prima o poi minacciata «dal caos o da una dittatura,e le singole persone perdono le speranze».

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in Folio 17n. 8, luglio 1999

1. Premessa

Il linguaggio, in una definizione data da S. Freud1,è «una complessa struttura controllata da esigenzesociali e sintattiche che ci allontanano da espressio-ni proprie dei processi primari»: in tale efficaceespressione le configurazioni linguistiche sonosistemi di rappresentazione e di comunicazionegovernati ed edificati su un insieme di regole e diconvenzioni sociali e culturali.

Il linguaggio è forse il più potente e immediatotra i mezzi che rendono possibile contemporanea-mente la restituzione di immagini della realtà e lacostruzione di “visioni” progettuali della stessa. Lastruttura linguistica, quale “complesso” e articolatosistema, è soggetto ad una dinamica evolutiva edagisce su più livelli: un primo livello, immediato esuperficiale, manifesto ed esplicito; un altro, piùprofondo e implicito, che veicola concetti e imma-gini non dichiaratamente manifesti. Partendo da talipremesse il percorso di ricerca vuole rintracciarenel linguaggio urbanistico - studiandone le trasfor-mazioni - le ragioni profonde dell’affermarsi delledifferenti forme espressivo-liguistiche disciplinari;queste non vengono osservate solo da un punto divista strettamente lessicale o sintattico, ma ricer-cando matrici culturali e motivazioni che hannocondotto alle modificazioni linguistiche e alla loroformalizzazione.

Le discipline scientifiche, e tra queste l’urbani-stica, infatti, edificano il proprio statuto anche permezzo del linguaggio, di un particolare linguaggioche si discosta dal parlare quotidiano e che - nono-stante gli obiettivi e le premesse, legati ad unavolontà di rappresentazione “totale” ed esaustivadella realtà - amplifica la distanza esistente tra “leparole e le cose”. In tale ottica va considerato che ilprocesso di fondazione e di costruzione del lin-guaggio urbanistico è influenzato anche da paradig-mi, spesso provenienti da campi esterni, quali l’ar-te, la scienza, la filosofia, la fisica.L’identificazione di questi, considerati come matri-

ci di riferimento, è determinante per riflettere sulmodo in cui la disciplina stessa si relaziona concategorie fondamentali come per esempio il tempoo lo spazio.

Le trasformazioni linguistiche che si possono“leggere” esplorando i piani, sono relative sia acomponenti endogene alla disciplina, legate appun-to al presunto e dibattuto processo di costituzionedell’urbanistica come “scienza addizionale” (para-digmi, conoscenze diverse, apporti extradisciplina-ri), sia a componenti esogene; ci si riferisce a quel-le variabili “esterne” che presentano una certa auto-nomia dalle dinamiche previste o innescate dal pro-cesso di pianificazione, e a quelle relative ai feno-meni legati alle trasformazioni territoriali e alle“nuove” forme della città.

Il progetto di ricerca parte da tali considerazionidi fondo e si propone di affrontare criticamente,attraverso una lettura cronologica e comparativa, letrasformazioni del “linguaggio urbanistico” (dellastruttura, della terminologia e dei significati varia-bili delle espressioni o delle singole parole2 e delle“derive” linguistiche3), inteso come strumento atti-vo-progettuale4 e ostensivo, cioè come mezzo dicostruzione-rappresentazione di visioni soggettivee parziali.

Sono stati identificati, come “oggetto” dell’e-splorazione, alcuni piani regolatori comunali5, ana-lizzando attraverso di essi e per mezzo di una lettu-ra cronologica e di una chiave mutuata dall’analisilinguistica, alcune delle trasformazioni subite dalladisciplina. Assunto di base è dato dalla convinzioneche tali variazioni siano rispecchiate proprio dallemodificazioni strutturali e terminologiche6 del “lin-guaggio” su cui tali piani sono costruiti. In tale otti-ca il singolo piano viene osservato, quindi, come sefosse un testo7 (oggetto dello studio sono le fontioriginali, cioè i documenti di piano e gli apparatiteorici che, eventualmente, lo completano) che pos-siede, oltre ad una valenza tecnica, istituzionale epolitica, una qualità più strettamente “culturale”: ledescrizioni e le spiegazioni contenute nei piani, e

ricerche

Il linguaggio del piano, immagini epercorsi di trasformazione deldiscorso urbanistico

Flavia Schiavo

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che tra l’altro possiedono una indubbia componen-te progettuale8, restituiscono una particolare inter-pretazione del “mondo”, influenzata dai diversiparadigmi9 scientifici, dalle politiche e dalla cultu-ra locale10. Questa relazione viene restituita attra-verso una particolare architettura linguistica, attivasul piano del contenuto e dell’espressione11, e chemanifesta, contemporaneamente, “intenzionalitàpolitica” e intellettuale. Il “linguaggio del piano” -i “codici convenzionali”, le norme, le immaginiverbali e visive - utilizza segni, simboli, terminicome «metafore che consentono di rappresentareaspetti della realtà, al fine di pervenire ad una loromigliore definizione»12. In tale accezione i piani,osservati come fossero testi, possono essere consi-derati - convenzionalmente - come “sistemi chiusisolidali”, cioè come arbitrarie architetture concet-tuali complesse e globalmente coerenti attraversocui, in forma traslata, i fenomeni sociali, politici,antropici, biologici, vengono interpretati e inclusinel progetto.

2. Campi della ricerca. Obiettivi e metodo

Dopo un lungo e impegnativo sforzo di fonda-zione e di definizione disciplinare coincidente conuna visione fortemente utopica13, dopo le tensioniculturali orientate alla creazione di un linguaggiocomune basato su “codici condivisi”, le mutatecondizioni del contesto contemporaneo, hannomesso in luce - attraverso una nuova fase di “disa-gio” disciplinare inauguratasi verso i primi anni’60 - la necessità di compiere una profonda revi-sione degli strumenti, della legislazione, dell’ap-proccio culturale. La crisi dei modelli interpretati-vi costruiti su immagini urbane e territoriali inforte trasformazione14, ha spinto il fronte di avan-zamento disciplinare, come in parte era successonel periodo di fondazione, verso la ricerca di nuovedescrizioni-interpretazioni dello spazio, in condi-zione di rappresentare le trasformazioni in attoattraverso nuove categorie concettuali e nuovi stru-menti di produzione di senso.

La difficoltà a riconoscere grandi parti omoge-nee tra loro distinte, con caratteri congruenti o spa-zialmente distinguibili (su questa realtà territorialee su queste modalità di lettura del territorio si è inparte costruita la disciplina), mette in evidenza lagrande difficoltà che gli strumenti urbanistici“ortodossi” hanno nella descrizione di contestidotati di specificità e differenze non facilmentericonducibili a “tipizzazioni” culturali, o esperibiliattraverso “coppie dicotomiche” verbalmente con-solidate, evidenziando quanto sia difficile riferire

le realtà territoriali a sistemi di analisi, codici esimboli decisi “a priori”, strutturati su modi desue-ti di leggere il contesto, e sulla persistenza dimodelli di riferimento disciplinare di matrice otto-centesca, non più idonei alla “descrizione“ ed alla“spiegazione” di ambiti territoriali estremamentedisomogenei. La mutata realtà richiede la forma-zione di nuovi linguaggi, descrittivo-progettuali;tali tentativi di riformalizzazione e di revisione deimodi storici di fare urbanistica, affrontano critica-mente e tentano il superamento, attraverso amplia-menti e rifondazioni disciplinari e riorganizzazionimetodologiche, di alcune rigidità “linguistiche”.Queste sono relative alla presenza di vocabolariopoco variato, povero, tendente all’omologazione,espresso da “enunciati generalizzanti”15, fondati inprevalenza su una “visione” orientata a evidenzia-re, gli aspetti tecnici, economici e funzionali; ledescrizioni, le analisi territoriali e la parte proget-tuale dei piani, frequentemente e in maggior misu-ra in quelli a scala comunale, sono dirette univoca-mente e costruite su un impalcato che evidenziaprevalentemente gli aspetti distributivi, non consi-derando che «l’organizzazione urbana dovrebbetravalicare questa dimensione» e che il ruolo crea-tivo degli strumenti urbanistici «attiene alle capa-cità di scoprire il territorio, di mettere in luce glielementi di novità e di innovazione che le pratichesociali attivano e di indagarne e renderne espliciti imeccanismi del loro funzionamento»16.

L’urbanista che, attraverso il piano, si fa inter-prete delle realtà locali, “ridisegna di volta in voltala mappa dei problemi” cioè interpreta, anche gra-zie agli strumenti offerti dai variabili statuti disci-plinari, lo stato e le trasformazioni per lui rilevantie per far questo si deve misurare con un contesto“interno” ed “esterno” profondamente cambiato.

Al fine di evidenziare e riflettere sulla relazioneesistente tra le trasformazioni del contesto e lemodalità di “rappresentazione” e interpretazione,sono stati identificati alcuni temi portanti, reputaticentrali nella formazione del linguaggio urbanisti-co. Questi sono rappresentati da 5 “assi” o “binomiverbali”, che sintetizzano alcuni degli aspetti dina-mici ed evolutivi della disciplina. Più che essereintesi come coppie verbali dicotomiche e oppositi-ve, anche se sono stati costruiti associando concet-ti apparentemente antitetici, tali binomi vengonoosservati - si ricorre infatti al termine “asse” cheriporta ad una immagine di unione piuttosto che diseparazione - come oscillazioni stimolanti cheriflettono modalità, paradigmi e ideologie in conti-nua evoluzione.

All’asse “stabilità – trasformazione” corrispon-

in Folio 19n. 9, gennaio 2000

ricerche

de la questione relativa alla formazione del “corpusdottrinario”, l’urbanistica è una scienza “incer-ta”17, ma mira alla costruzione di un linguaggioche sia in qualche modo riconoscibile, unitario eapplicabile. P. Marconi nel 1929 afferma che ivistosi simboli grafici, usati dai progettisti, vannoa scapito della comprensione e che sarebbe megliostabilire notazioni convenzionali in “modo da evi-tare arbitrio e empirismo”. Stabilità – trasforma-zione vuole riflettere sulla dinamica evolutiva diun linguaggio che si struttura stabilmente e che ècontemporaneamente soggetto a continue “riorga-nizzazioni gestaltiche”18.

L’asse “memoria – oblio” sottolinea la presenza,all’interno della disciplina, di un rapporto spessoconflittuale con la storia. Il linguaggio disciplinarerisente degli spostamenti ideologici e di metodoche il concetto di storia subisce. A tali questioni siricollegano, in urbanistica, le “tecniche” legate allamemorizzazione. La selezione delle informazioni,le liste, le legende, indicano riconoscimento e“nominazione” di valori e negazione di altri. Comei “cartulari” medievali, i piani possono essere con-siderati moderni «supporti della memoria», attra-verso cui si riduce «l’immensa aula della memo-ria», dove «riposano i tesori delle innumerevoliimmagini di ogni sorta di cose introdotte dalle per-cezioni e dove è depositato ciò che l’oblio non haancora inghiottito»19.

“Analisi – sintesi” riflette, partendo dal sistemadelle analisi e dai processi di selezione e riduzionemessi in atto dagli strumenti urbanistici, sul rap-porto tra organizzazione della conoscenza e proget-to nel piano. Come, infatti, sostiene P.C. Palermo«la produzione di conoscenza e di consenso pre-suppone necessariamente una dimensione interpre-tativa: occorre interpretare il contesto e le tradizio-ni influenti prima di (e per poter) concepire proget-ti d’azione per una sua eventuale modificazione»20.

L’asse “apertura – chiusura” vuole affrontare letrasformazioni del linguaggio urbanistico tenendoconto che la disciplina, come sostiene B. Secchi, sistruttura come scienza “addizionale”, costituita daun sapere “cumulativo”. I fenomeni territorialisono descritti attraverso concetti, termini, immagi-ni che appartengono spesso a campi del saperecodificati come “esterni” alla disciplina: l’urbani-stica costruisce il proprio repertorio linguisticopure attraverso rapporti con altre modalità conosci-tive. In questo confronto con altre discipline cercadi spingersi oltre ciò che Lacan ha definito “equi-valenza terminologica”21, cioè una sola omologia oisotropia linguistica. Le “permeazioni” più interes-santi tra urbanistica e scienze esterne, infatti, si

attuano attraverso la manifestazione di una volontàdi confronto di espressioni e contenuti diversi, non“letteralmente” corrispondenti con i significatiaccreditati. In ambito territoriale si assiste, infatti,al “transito” di vocaboli, locuzioni, immaginiextradisciplinari che divengono parte del lessicourbanistico e a cui vengono spesso associati campisemantici differenti.

“Qualità – quantità” si interroga sulla oscilla-zione, presente nel linguaggio urbanistico, tradescrizione oggettiva e visione soggettiva. Taleasse vuole riflettere sul rapporto tra i linguaggi“notazionali” e le lingue “naturali” e per estensio-ne sullo scollamento esistente tra ciò che viene per-cepito e rappresentato mentalmente dalle comunitàe ciò che viene codificato attraverso i linguaggi delpiano.

Tali “assi”, insieme ad una “griglia interpretati-va”22, costruita per “leggere” i piani studiati, costi-tuiscono la struttura metodologica concepita perinterpretarli e compararli, attraverso un metodo dilettura delle fonti mirato all’evidenza di locuzioni eparole chiave, termini rappresentativi, espressioniparadigmatiche; questo insieme viene indicato eraccolto in un glossario tematico, in cui sono evi-denziate le variazioni di significato, la presenza dineologismi o la cancellazione di alcune espressionio termini, gli incroci, cercando sempre la relazionecol contesto culturale e politico.

La ricerca, pertanto, si articola all’interno di unagrande area tematica legata alla revisione critica ealla costruzione della “pratica discorsiva” e dellaefficacia progettuale dell’urbanistica e, contempo-raneamente, all’interno del campo afferente allostudio delle modificazioni del «vocabolariodescrittivo-progettuale degli urbanisti»23 che, nelcorso degli ultimi anni, è profondamente mutato.Questo, attraverso cui le idee portanti del pianovengono formalizzate e rese comunicabili all’ester-no, è considerato come la prima struttura visibiledel progetto di piano.

3. Riferimenti

La costruzione di una struttura metodologica dilettura dei piani considerati come “testi”, ha richie-sto, al fine di una analisi delle trasformazioni lin-guistiche, un allargamento del campo a disciplinequali la semiologia, la linguistica, l’epistemologia,la psicoanalisi, la geografia che affrontano in mododifferente questioni relative alla costruzione, all’a-nalisi critica e all’efficacia di sistemi verbali e visi-vi, con la consapevolezza che il ruolo di tali stru-menti sia quello di “mediazione culturale” tra il

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contesto e la rappresentazione dello stesso. Talidiscipline hanno intrattenuto col linguaggio strettie privilegiati rapporti, studiandone la formazione,la struttura e riflettendo sui contenuti e sulla effica-cia espressiva e progettuale. Gli sconfinamentidisciplinari proposti appaiono, in questa ottica,come un tentativo di arricchimento delle modalitàdi lettura dei piani studiati.

4. Struttura generale della ricerca e casi di stu-dio

La ricerca è composta da una parte introduttiva“teorica”, che tratta il rapporto tra linguaggio urba-nistico e altre forme linguistiche, una più “tecnica”esplicativa della metodologia prefigurata per la let-tura dei piani e una sezione denominata “casi distudio”. All’interno di questa alcuni piani - ritenutiparticolarmente rappresentativi, sia dal punto divista dell’innovazione disciplinare sia relativamen-te all’influenza sul contesto locale - vengono ana-lizzati attraverso la analisi sistematica di letturaproposta; questa viene applicata in primo luogosulle fonti originali, cioè sui documenti di piano,relazioni, grafici e sugli apparati teorici (se presen-ti) che completano la documentazione; integranoqueste tre principali sezioni alcune “appendici eallegati”, una “antologia delle fonti”, alcune brevi“interviste” e un “glossario tematico”. Ogni caso distudio è costituito da un insieme di piani, relativoad uno specifico luogo (Barcellona, Firenze,Catania): partendo da un piano considerato come“origine” si analizzano le trasformazioni linguisti-che in rapporto alle modificazioni indotte daglistrumenti urbanistici successivi, considerando larelazione e la convergenza tra l’evoluzione scienti-fica disciplinare, gli avanzamenti culturali “ester-ni”, le dinamiche locali e le politiche.

Il lavoro di decostruzione o scomposizione ana-litica, portato avanti sul linguaggio urbanistico,tiene infatti conto del fatto che la formazione di unrepertorio linguistico-scientifico risente e partecipasia degli avanzamenti disciplinari “interni”, siadelle condizioni “esterne” dei contesti. Tale divi-sione è solo strumentale, e si fonda sulla convin-zione che espressione linguistica e contesto sonolegati da una relazione co-evolutiva: il linguaggio ètra gli elementi che partecipano attivamente alladeterminazione della “realtà”.

Per il linguaggio attraverso cui si esprime ecostruisce la disciplina urbanistica, tale rapportointerattivo tra “interno” ed “esterno” è costitutivo;infatti teorie urbanistiche e piani non si possonosviluppare fuori da un contesto, per questo qualsia-

si esplorazione è diretta implicitamente alla ricercadei rapporti esistenti tra piano e contesto “globale”e di “base”.

La scelta dei “casi”, in tale senso, non va lettaquindi come frutto di una volontà agiografica obiografica e, anche se il ruolo dell’autore o degliautori del piano, riveste grande importanza, si ècercato di eludere una chiave di lettura che pones-se al centro il ruolo creativo di un soggetto o di ungruppo di soggetti impegnati nella redazione distrumenti teorico-pratici, concepiti per interpretaree dirigere i processi dell’habitat umano.L’interpretazione proposta intende suggerire unavisione - differente da quella che viene considerataunilaterale - che mira ad un esame delle fonti,ponendo al “centro” i luoghi, il piano e le architet-ture teoriche che lo completano, esplorando questoinsieme e osservando le convergenze e gli esitidello scambio “circolare” tra “interno” ed “ester-no”: il linguaggio del piano è osservato mettendo inevidenza piuttosto che il valore “assoluto”, la por-tata “relativa” (piano/contesto e piano/disciplina).Lo strumento urbanistico è inteso, secondo talechiave di lettura, come una delle “possibili” rispo-ste, in stretto legame con le condizioni culturali,come sistema di traduzione di obiettivi, spessoprivi di materialità diretta, in elementi concreti ecome espressione di un processo in cui si sviluppa-no e catalizzano le energie intellettuali e operativedella comunità.

Il periodo considerato è stato orientativamentefissato tra il secondo dopoguerra e gli anni ’80, el’ambito geografico studiato è relativo ad esempiredatti in Spagna e in Italia. (Barcellona: dal Plandi I. Cerdà del 1859 al Plan de la AreaMetropolitana del 1976; Firenze: dal Piano del1962 di E. Detti al recente Piano di G. CamposVenuti; Catania: dal Piano di L. Piccinato del 1934al recente piano di P.L. Cervellati, in itinere).

Dal punto di vista temporale è stata compiuta, incorso d’opera, una digressione, soprattutto in ambi-to spagnolo. Per quanto riguarda Barcellona lascelta di partire dal Plan Cerdà è stata avvertitacome “inevitabile”: il piano del 1859, in ambitolocale, ha rappresentato un modello teorico esoprattutto pratico di grande impatto. Le elabora-zioni urbanistiche posteriori non hanno potuto farea meno di “confrontarsi” con la Barcellona, insie-me concreta e ideale, del XIX secolo. I rimandisono infatti continui, anche se va sottolineato che il“trasferimento” del linguaggio del piano del 1859,all’interno degli strumenti urbanistici successiva-mente elaborati è a volte solo un trasferimentoretorico.

in Folio 21n. 9, gennaio 2000

5. Aperture successive, problemi aperti e bilan-cio in corso d’opera

La ricerca ha in sé alcune potenzialità relative adifferenti e probabili sviluppi successivi. Più checonclusioni, infatti, almeno in questa fase, si vuoleaccennare ad alcuni possibili problemi e interessiaperti, legati alle valenze ed ai campi trattati. Unprimo aspetto è sicuramente relativo al tema dellariforma dei linguaggi e dei “codici normativi“ inurbanistica; come già detto la trasformazione deicontesti richiede un aggiornamento ininterrottodelle tecniche descrittivo-progettuali: la ricercavuole riflettere sull’efficacia e sulla revisione con-tinua dei linguaggi attraverso cui si costruisce ilprogetto di piano. Un'altra apertura, più legata alcampo della storiografia e della critica urbanistica,affronta il tema dell’analisi delle fonti, ed in parti-colare delle strutture fondative della disciplina: apartire dallo studio condotto su I. Cerdà, infatti,possibili sviluppi della ricerca potrebbero essereorientati alla comparazione di ulteriori apporti“originari”, cercando di rintracciare persistenze evariazioni nelle strutture successive del linguaggiourbanistico.

Note

1. S. Freud, Il motto di spirito, 19052. Oggetto di indagine della ricerca è anche una analisi sullevariazioni dei “campi semantici” dei termini utilizzati nel lin-guaggio urbanistico. Alla variazione del campo semantico è col-legata anche una riflessione sui rapporti interdisciplinari e sulle“permeazioni” tra diversi campi del sapere: il rinnovamento ter-minologico “interno” di un ambito disciplinare, infatti, si com-pie anche in relazione con ambiti “esterni” alla disciplina. Inquesto caso, come sostiene J. Lacan in Scritti, 1966 «la parola èspecchio della trasformazione»; si può affermare che qualsiasirinnovamento disciplinare è in stretto rapporto con il rinnova-mento linguistico, questo si può esprimere attraverso “slitta-menti progressivi del significato”, “risemantizzazioni”, “sostitu-zioni”, “rimozioni”, neologismi”. Tale struttura in trasformazio-ne diviene una sorta di palinsesto su cui potere leggere alcunipercorsi evolutivi disciplinari.3. Il termine “derive” linguistiche vuole identificare quelleespressioni che si discostano dal lessico comune o accreditato;l’evidenza di tali forme espressive è orientata a sottolineare queiprocessi di rinnovamento linguistico in itinere, non ancora inse-riti nel bagaglio disciplinare, legati a tensioni non del tutto“risolte” o in corso, presenti nella disciplina. 4. Il linguaggio viene considerato come strumento attivo, di sco-perta e costruzione della realtà. P. K. Feyerabend in Contro ilmetodo, 1975 a proposito della formazione di nuove teorie e delruolo che il linguaggio riveste all’interno di questo processo,sostiene: «ora, quando noi tentiamo di descrivere e di compren-dere sviluppi di questa sorta in un modo generale, siamo ovvia-mente costretti a fare appello alle forme d’espressione verbale

esistenti, le quali non sono in grado di rendere ragione di situa-zioni del genere e devono essere distorte e usate in forme arbi-trarie, costrette a forza in nuovi modelli per potersi adattare asituazioni impreviste». Va sottolineato che se non si facesse usoarbitrario e “distorcente” del linguaggio non potrebbero esserciné scoperte né progresso.5. La scelta di analizzare soprattutto piani regolatori comunalideriva dalla considerazione che tali strumenti sono stati sogget-ti ad una “codificazione” più rigida; a partire dagli anni ’30 inItalia o in Spagna e ancora di più dal secondo dopoguerra, sinota un forte impegno disciplinare sia sul livello dell’elabora-zione legislativa e teorica, sia della prassi, mirato alla organiz-zazione di codici, metodologie operative e riferimenti orientatialla edificazione di un bagaglio comune, fondato su un linguag-gio destinato a diventare, come afferma F. Choay in OrdreCritic, 1979 «attributo dell’establishment urbanista». 6. A tale proposito S. Tagliagambe in Epistemologia del confine,1997 chiarisce la differenza e le relazioni tra “terminologia” e“termine”: quando ci si riferisce ad una “terminologia” si inten-de un insieme di elementi coordinati resi solidali da una costru-zione teorica e in cui i “termini” rappresentano le parti in colle-gamento. 7. Nella ricerca i piani sono visti oltre che come strumenti digoverno del territorio anche come sistemi di lettura, di “traslit-terazione”, di conoscenza ed interpretazione delle realtà, cioècome “testi” complessi che trascrivono, selezionandole e inter-pretandole, le dinamiche e la struttura dei contesti e che parlanoun linguaggio multiplo costituito da una codificazione che siavvale di immagini e parole (cioè da un sistema di comunica-zione misto “verbo-visivo”). Esiste un ampio e differenziatoambito di ricerca della critica urbanistica che affronta tali tema-tiche, appoggiandosi anche a discipline “esterne”, quali lasemiotica o la linguistica. Il riferimento è ad autori tra cui S. J.Mandelbaum, A. Belli, G. Ferraro, B. Secchi, P. Gabellini, M.Romano, P.C. Palermo, L. Mazza.8. L’analisi portata avanti sull’intera architettura linguisticadel piano non tiene conto della differenza tra analisi e proget-to. Si ritiene infatti che non esistano analisi “neutrali” e che lacomponente delle analisi possiede una fortissima valenza pro-gettuale. 9. Si utilizza il termine “paradigma” nella accezione proposta daT. S. Kuhn in La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1969. 10. Nella ricerca tale rapporto è definito come scambio tra con-testo “esterno” (le trasformazioni disciplinari e teoriche rappre-sentate dall’avanzamento scientifico disciplinare ed extradisci-plinare) ed “interno” (la cultura materiale o locale, la storia, lecomponenti definibili come più strettamente endogene). Glistrumenti urbanistici mediano tale relazione, e il linguaggio sucui sono costruiti rappresenta la mobile linea di intersezione trastatuto scientifico, politiche, luogo e comunità insediata.11. Espressione e Contenuto rappresentano due componenti fon-damentali delle strutture linguistiche. Il senso dei termini, par-tendo dall’etimologia, sottolinea quanto il linguaggio sia carat-terizzato da un duplice aspetto: uno manifesto, l’altro nascostoe non direttamente esplicitato; “Espressione” (dal lat. exprime-re) significa infatti “premere per far uscire” e “Contenuto” (dallat. continere) vuol dire “racchiudere, raccogliere, comprende-re”. Per la definizione “tecnica” dei due vocaboli, v. U. EcoTrattato di semiotica generale, 1975.12. G. Nencioni Lingua e linguistica, in Intorno alla linguistica,ed C. Segre, 198313. In Italia, durante gli anni della ri-fondazione disciplinare,tale linea viene portata avanti soprattutto da G. Astengo e A.Olivetti. Astengo su Urbanistica n. 1 del 1949 in Attualità

ricerche

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dell’Urbanistica scrive: «l’urbanistica moderna ha un orizzonteanche più vasto (…) Essa mira ad offrire un apporto alla nuovagestazione di quella cultura, di quel nuovo orientamento dellaciviltà che sta per delinearsi attraverso le perturbazioni. (…) Lasocietà attuale (…) tende a istituire un coordinamento della tec-niche in atto e a volgere a fini sociali le forze e i mezzi mate-riali».14. A. Corboz in L’urbanistica del XX secolo: un bilancio inUrbanistica n. 101 del 1990 afferma che «l’dea- forza che haguidato il pensiero di tutto un secolo sembra esaurita», abbiamobisogno di «elaborare con urgenza una nozione di città comeluogo della eterogeneità, della frammentazione e della trasfor-mazione ininterrotta»; «la nostra rappresentazione spontaneadella città (come “artefatto collettivo che si contrappone allacampagna”, “dotato di forte coesione architettonica” e che“esercita funzione di centro”) è diventata praticamente anacro-nistica».15. B. Secchi “Il senso delle differenze” in Urbanistica n. 79 del1985.16. F. Indovina “Pianificare? È una necessità” in Sapere, Aprile1999.17. M. Romano “Piano urbanistico e metodo scientifico” inUrbanistica n. 76-77 del 1984.18. T. Kuhn op. cit, 1969.19. Agostino Confessioni, 397 – 398 d. C.20. P. C. Palermo Interpretazioni dell’analisi urbanistica, 1992.21. J. Lacan La scienza e la verità, 1965-66 in Scritti, 1966.22. Tale griglia, la cui struttura è esplicitata nella II parte delladissertazione, non è strutturata rigidamente. Intento della ricer-ca è tentare una interpretazione dei piani, non proporre unaschedatura. A tal fine la “griglia” è formulata come un insiemedi problemi aperti - (presenti ma non direttamente esplicitati),che servono da guida per la lettura dei piani - non come unastruttura stabile o fissa entro cui incasellare i piani stessi.23. B. Secchi “Una nuova prospettiva” in Urbanistica n. 81 del1985.

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Trasformazione del territorioperiurbano: elementi perl’interpretazione deiprocessi di riqualificazione urbana

Francesca Starrabba

Un percorso di ricerca: obiettivi, metodologie econtenuti

Si propongono alcune riflessioni riguardanti le trasforma-zioni degli assetti del territorio periurbano in relazione aifenomeni di espansione urbana mediante l’interpretazionedegli elementi che ne influenzano l’evoluzione. In relazio-ne al tema della ricerca, si intendono studiare ed interrela-re tra loro l’aspetto conoscitivo, quello interpretativo-pro-gettuale relativo agli intenti ed alle opportunità di recuperoe quello operativo riferito alla concreta possibilità di ren-dere attuabili le scelte progettuali. Lo studio dell’interpre-tazione del paesaggio urbano si propone, in un’ottica delrecupero, sulla base di un articolato sistema di interrelazio-ne tra gli elementi in riferimento all’identità morfologica,culturale e ambientale legata al contesto. Nella lettura dellatrama del territorio e nell’interpretazione del paesaggiourbano, il recupero di un sistema di interrelazione deglielementi, si basa sull’individuazione di due categorie divalutazione alle quali appartengono, da una parte, gli ele-menti delle attività che aumentano il valore del territorio,dall’altra gli elementi, pur necessari, ma che devono esse-re posti nelle condizioni di compatibilità con il contestoterritoriale. Secondo un processo di revisione critica saràpossibile inquadrare gli studi nell’ottica di un’interpreta-zione delle relazioni tra politiche, intenti e realizzazioni.

Periferie, oltre il limite

Facendo riferimento al primo degli obiettivi prefissatiriguardante l’interpretazione e la definizione del concettodi “periferia urbana”, una riflessione riguarda il termine“periferia” che, recentemente, viene riferito alla città1.Molte delle definizioni di periferia hanno a che fare con lanozione di confine e di limite. La nascita della periferia èassociata allo sfondamento del limite che segnava l’urba-no nella città preindustriale: un limite reale, come le muradi difesa, ma anche virtuale, simbolico, legato all’immagi-nario collettivo. Come sottolinea Clementi, «l’attenzioneai problemi della qualità riporta in primo piano il bisognodi misura, di ritrovamento del limite, non nel senso di unarestituzione fisica del tema di bordo, ma piuttosto come

riarticolazione degli aggregati urbani al fine di istituireambiti spaziali entro cui i frammenti acquistino un nuovosenso»2. Una riflessione sul tema dei “limiti” del sistemaurbano è stata posta da diversi studiosi facendo riferimen-to all’organizzazione dell’esistenza quotidiana che muta,nel tempo, il confine ed il limite del sistema urbano, nelpassaggio da una città compatta ad una città diffusa, dovel’espansione si attua attorno ai nodi in uno spazio reticola-re. La definizione del termine periferia si associa, così, aquello di “zona pioniera”, capace di cambiare nel tempo3.Un’interessante riflessione riguarda l’intreccio tra spintediffusive e centralizzatrici che può essere spiegato in ter-mini di crescente organizzazione “reticolare” dei sistemiterritoriali respingendo la chiave interpretativa della cittàcontemporanea come il dualismo città/campagna o il dua-lismo centro/periferia. A tal proposito Gambino (1995)scrive che «la periferia appare sempre più la frontieramobile e ubiquitaria della trasformazione urbana, piuttostoche la tradizionale fascia di transizione tra città e campa-gna.». La parola periferia deriva, quindi, da un’immaginegeografico-spaziale, ma il suo significato va oltre la sem-plice denotazione spaziale (Dematteis, 1990). La nozionedi periferia copre una realtà profondamente eterogenealegata alla diversificazione dei contesti. Si vuole rifletteresulle dinamiche e trasformazioni urbane legate ai contestiin un quadro di riferimento entro cui confrontare le speci-fiche situazioni. Operativamente sono identificabili tre tipidi contesto: le periferie consolidate, interne alla città, inglo-bate nel processo di crescita fisica che ha generato ulterio-ri periferie; le periferie moderne pubbliche, realizzateall’interno dei piani per l’edilizia economica e popolaredella L. 167/62, secondo finalità assistenziali e logichedistributive estranee al profitto; le periferie diffuse, sia abu-sive che legali, in cui l’esaltazione della sfera del privato edell’individualismo è la negazione della città, caratterizza-te da bassa densità e larghi vuoti. Una considerazioneriguarda il rapporto tra la “città pubblica” ed il contestodella città costruita in cui è inserita. I “quartieri pubblici”sono i luoghi dove è possibile verificare che i “valori pub-blici e collettivi”, non sono immediatamente sovrapponi-bili poiché pubblico fa riferimento ad un regime di pro-prietà e collettivo all’uso del suolo e del manufatto e non

in Folio 25n. 9, gennaio 2000

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sempre ad un luogo pubblico corrisponde un uso colletti-vo. Spesso le aree all’interno dei quartieri rimangono privedi funzione, aree di risulta oppure trascurate per problemidi manutenzione e gestione. Quaroni, già nel ’57 sottoli-neava i nodi problematici ed i limiti dei nuovi quartieri inquanto non risolvevano il problema della città in relazioneai rapporti con il contesto. Il problema dell’edilizia pubbli-ca coinvolge questioni più generali relative alla ridefini-zione dello spazio non costruito pubblico, collettivo e l’in-sieme di relazioni che esso stabilisce con gli edifici e conil contesto4.

La conoscenza come carattere necessario per il gover-no delle trasformazioni

Come scrive Dematteis (1995), l’analisi del territorioperiurbano è necessario che si fondi sull’interpretazionedei principi organizzativi, delle peculiarità storiche, deivalori presenti allo stato latente e potenziale. «A primavista il problema delle periferie urbane sembra specular-mente opposto a quello del paesaggio, dove la ricchezza dasalvaguardare è contrapposta alla povertà da riscattare. Ciòche manca nelle periferie è ciò che vorremmo conservarenel paesaggio». Al centro dell’odierno dibattito, il temadella riqualificazione del territorio strettamente connessoalla qualità urbana, è considerato un grande obiettivo dellacittà attuale, in un rinnovato interesse verso il decentra-mento urbano come luogo di “non congestione”, dallenumerose potenzialità. Una lettura che parte dall’esterno,dalla struttura suburbana, si basa sull’interpretazione dellelogiche interne dei luoghi. Nel processo dello sviluppourbano si manifestano contraddizioni e tensioni emergentitra le diverse realtà: si determinano problemi di sovrappo-sizione di tessuti differenziati privi di elementi unificanticon il paesaggio naturale ed il contesto storico-antropico.Magnaghi (1991) pone l’accento sull’interazione delle trecomponenti costitutive del territorio e sostiene che «il ter-ritorio è un intreccio inscindibile di ambiente fisico,costruito e antropico. Il sistema di relazione tra queste trecomponenti ambientali genera l’identità di un luogo unicoper forma, storia e paesaggio». Uno dei nodi problematicidelle periferie moderne è la perdita di identità. È probabileche in gran parte dipenda dallo smarrimento dei rapportitra segni della storia, della natura e caratteri insediativi. Siindividua un’ipotesi di una «nuova cultura progettuale fon-data su un uso creativo delle memorie, assunte come stru-mento di risignificazione della città esistente e dell’interoambiente insediativo attraversato dai grandi segni direttoridella storia e della natura» (Clementi, 1990). Fondare sullainterpretazione delle memorie la risignificazione dell’esi-stente è quanto propone la cultura progettuale odierna, alfine di riammagliare quella “catena di significanti” chedetermina il senso di identità della città. La “conservazio-ne” presuppone una certa tensione innovativa e ogni

“innovazione” propone un crescente impegno conservati-vo nei confronti dei siti e delle risorse che costituiscono imateriali stessi degli attuali processi di trasformazione(Gambino, 1997). In tal senso il tema del riuso e della valo-rizzazione del territorio, non può certamente tradursi nellasemplice tutela dei “segni” ancora presenti. Una cono-scenza del territorio finalizzata al progetto si fonda sullacapacità di comprensione del processo evolutivo delle con-figurazioni succedutesi nel tempo i cui elementi e relazio-ni sopravvivono, anche se in forme meno visibili o latenti,ai cambiamenti e sono aperti a possibili strategie evolutive.Corboz indica una possibile corrispondenza tra il disordi-ne della periferia ed “un ordine da indovinare” in relazio-ne al fatto che «i problemi della città-che-si-sta-costituen-do-sotto-i-nostri-occhi non sono più quelli dei centri, maquelli delle zone, delle appendici, dei margini, delle encla-ves, coestensivi a questa città, cioè in ciò che chiamiamoperiferia»5.

La città contemporanea si configura sempre menocome un tessuto compatto ed uniforme e la complessastruttura reticolare, nelle trasformazioni urbane, lega lelocalità periferiche tra loro e non solo con l’ambito centra-le. La rete può costituire un’utile supporto per lo studiodella città contemporanea e per l’interpretazione delle tra-sformazioni urbane. Come scrive Emanuel (1989), la cittàreticolare è ricca di contraddizioni: a tale proposito, la retese da un lato evidenzia l’organismo urbano sempre menolegato ad un unico epicentro di sviluppo ma appoggiato suun circuito di centralità disperse, dall’altro risalta in nega-tivo lo stato di crisi, di degrado e di abbandono che inevi-tabilmente subiscono i soggetti più deboli e certi luoghi.Tale immagine sembra negare l’idea di città «tuttavia essasembra apparire sempre più vera non solo nel tessuto fisi-co e funzionale, ma anche quello sociale».

Le politiche comunitarie in ambito urbano

Un altro obiettivo riguarda lo studio degli orientamen-ti delle politiche mirate agli interventi di riqualificazionedelle aree periferiche, nella direzione dello sviluppo soste-nibile, in un processo evolutivo – qualitativo al fine di for-nire un quadro di riferimento, in linea con le politiche euro-pee. A tal fine, si intende procedere a uno studio sull’evo-luzione delle politiche della Comunità europea finalizzatealla tutela ed allo sviluppo. L’attenzione è rivolta da un latoall’analisi degli orientamenti delle politiche europee e dal-l’altro agli effetti che queste hanno sulle politiche locali,analizzando il caso dell’Italia con la valutazione, in un qua-dro normativo in evoluzione, delle esigenze, dei problemiemergenti e delle possibili connessioni con le esperienzeeuropee.

Il dibattito relativo alle politiche urbane europee, sibasa sul riconoscimento dell’importanza del ruolo dellecittà in quanto luoghi di interazioni sociali e culturali, fonti

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di prosperità economica e di sviluppo sostenibile, in consi-derazione del fatto che la qualità della gestione locale con-diziona la capacità di rilevare le nuove sfide. Tali docu-menti hanno come obiettivo l’elaborazione degli elementiprincipali per una pianificazione sostenibile delle cittàeuropee. Le politiche adottate in Europa, rivolte al proble-ma del decentramento nelle periferie, mirano alla identifi-cazione di un sistema urbano europeo policentrico ed equi-librato: un correttivo alle politiche di pianificazione basatesulla zonizzazione è stato introdotto dalle politiche di rete(urbane, infrastrutturali, ecologiche) privilegiando le esi-genze di connessione rispetto a quelle della separazione edil valore delle eterogeneità e della differenziazione rispettoa quello dell’omogeneità. In un’ottica di definizione delleperiferie, una nuova centralità inquadra l’organizzazione ditutto il sistema urbano complesso, articolato nel territorio ecostruito da un sistema portante di nodi (centro storico,aree consolidate, periferie, aree periurbane) e di reti.Possono essere individuate le ragioni fondamentali per lequali l’U.E. debba porre un’attenzione crescente alla que-stione urbana. Queste riguardano il fatto che nelle cittàabita l’80% della popolazione dell’U.E. È nelle aree urba-ne che si riscontra la maggiore concentrazione dei proble-mi economici, sociali e demografici, inerenti al sovracon-sumo di energia e di risorse naturali, alla produzione discorie e di inquinamento, ai rischi naturali e tecnologici. Dicontro, proprio perché le risorse economiche materiali edintellettuali vi si concentrano, le città sono anche per eccel-lenza luoghi di comunicazione, di creatività, di innovazio-ne ed identità culturale. Gli obiettivi delle politiche tendo-no a coniugare lo sviluppo economico, in termini di com-petitività delle città, alla valorizzazione delle risorseambientali e umane, in termini di qualità ambientale eoccupazione. A livello europeo, l’interesse verso i proble-mi della città è crescente ed è testimoniato dalla considere-vole produzione di materiale documentario6. Il tentativo èdi offrire una sintesi dei principali punti che sono emersi daun processo di consultazione, riguardante lo SSSE, per ini-ziativa comune con gli Stati Membri e dalla Commissioneeuropea con le autorità nazionali, regionali e locali. Questoprocesso di consultazione prese il via in particolar modo dauna serie di seminari transnazionali e workshop attuatinelle diverse parti dell’Unione durante il 1998 e culminatinel FORUM dello SSSE che si è svolto a Bruxelles all’i-nizio del febbraio del 1999, dove sono state valutate ediscusse le conclusioni del dibattito che ha attraversatol’Europa. Lo scopo non è quello di presentare un esaustivoelenco dei vari punti affrontati durante i seminari ed ilForum, ma di organizzarli secondo una coerente tracciache individua i principali temi che sono stati consideratimeritevoli di particolare attenzione durante tutto l’iter pre-paratorio dello SSSE in un processo evolutivo che mira agarantire un equilibrato e sostenibile sviluppo nell’Unione.Con riferimento allo SSSE l’interesse si concentra sulle

iniziative riguardanti lo sviluppo integrato sul territorio perquanto riguarda la fase delle sperimentazioni.

Gli strumenti per la riqualificazione urbana inItalia: nuove politiche e strategie operative

Il campo di indagine riguarda le attuali tendenze nellepolitiche urbane e le esperienze più innovative relative aiprocessi di trasformazione che interessano il contesto urba-no. L’intento, quindi, è quello di costruire un quadro di rife-rimento articolato sull’evoluzione delle politiche urbane edegli strumenti di intervento al fine di confrontare l’aspet-to degli intenti e quello della resa effettiva, operando un’in-dagine sul piano degli strumenti utilizzati nel governo deiprocessi di trasformazione. Negli ultimi anni l’interesseverso i temi pertinenti la riqualificazione urbana si è accre-sciuto in relazione alla fase di mutamento delle politicheurbane, orientate verso il recupero e la riqualificazionedella città esistente. Il riferimento va ai nuovi strumenti diintervento che vanno sotto la corrente denominazione di“programmi urbani complessi”. Un elemento di disconti-nuità rispetto al passato è costituito dal fatto che assumonoun peso sempre maggiore le istanze sociali oltre che quel-le economiche ed il disagio abitativo è sempre più connes-so con la deprivazione di qualità urbana ed ambientaleoltre che dell’alloggio. Tali riflessioni ribadiscono che iproblemi di qualità non sono solo urbanistico-edilizi. Lacostruzione di un quadro comparativo dei provvedimentilegislativi ha lo scopo di individuare l’evoluzione delleprocedure, del ruolo dei diversi soggetti e dell’impostazio-ne progettuale. Le diverse leggi7 che introducono iProgrammi di edilizia residenziale, i Programmi di recu-pero urbano, i Programmi di riqualificazione urbana, iContratti di quartiere, i Prusst, poste a confronto, rivelanoaspetti divergenti ma anche caratteristiche comuni. Dalpunto di vista operativo, un’attenzione maggiore agliaspetti legati alla multidimensionalità delle problematichedella riqualificazione, cui si è accennato, è data almenonelle intenzioni, dai Contratti di quartiere in quanto tengo-no in considerazione in modo esplicito i fattori ambientali,storico-culturali, il consenso degli attori coinvolti, ecc. Unaconsiderazione opportuna e basilare, nell’ambito di un’a-nalisi finalizzata all’interpretazione delle condizioni dellatrasformabilità di parti del conteso urbano, riguarda la pre-disposizione di apparati conoscitivi e di procedure valuta-tive al fine di guidare le scelte in maniera articolata. Unaprima riflessione riguarda il passaggio, per questo tipo distrumentazione urbanistica, da una fase di straordinarietàad una di ordinarietà, almeno nelle intenzioni e si avvertel’interesse da parte delle Amministrazioni locali per iProgrammi complessi in relazione alla volontà di conse-guire un più efficace controllo delle trasformazioni urbaneed al reperimento di risorse finanziarie finalizzate ad inter-venti di riqualificazione. Una lettura trasversale dei casi

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ricerche

prescelti mette in evidenza l’importanza dell’informazionerelativa agli interventi e della partecipazione delle comu-nità alle scelte di trasformazione urbana come metodo dilavoro perseguito nelle esperienze di progettazione speri-mentale. L’obiettivo consiste nell’operare un’analisi deiprogrammi innovativi in ambito urbano, i programmicomplessi, in relazione ai caratteri innovativi, ai limiti, ainodi problematici. Uno dei nodi problematici riguarda ilimiti ed i rischi nell’applicazione dei programmi com-plessi, che consistono nel prevalere della logica della rispo-sta estemporanea all’offerta di risorse pubbliche, al fine diottenere un finanziamento in assenza di riferimenti a poli-tiche urbane in termini di efficacia e di priorità. O peggio,per legittimare interventi in contrasto con i piani urbanisti-ci vigenti, senza dovere giustificare la coerenza della sin-gola variante rispetto agli orientamenti urbanistici, datal’eccezionalità dello strumento. Un filo conduttore è indi-viduabile nella dimensione costruttiva dei provvedimenti ilcui obiettivo prioritario è il recupero, la riqualificazioneurbana, la diversificazione funzionale, la promozione delrapporto pubblico-privato, e soprattutto la riqualificazionedei tessuti, degli spazi aperti, dei servizi urbani. Per quan-to riguarda gli intenti, vi è un generale consenso nell’indi-viduazione degli obiettivi finali riguardanti una maggioreintegrazione tra le componenti della città e l’incrementodella qualità insediativa.

Lo strumento dei Contratti di Quartiere assegna centra-lità all’intervento sulle aree a forte degrado fisico e disagiosociale delle periferie urbane, ed in particolare nei quartie-ri di edilizia residenziale pubblica caratterizzati da scarsaqualità ambientale, in particolare dello spazio pubblico, eda una spiccata monofunzionalità. La progettazione nondella singola opera, ma dell’insieme degli interventimediante l’organizzazione degli spazi aperti viene consi-derata decisiva.

Un caso di studio: Napoli

Napoli, alla fine degli anni ’70, è stata la prima città ita-liana che assume la periferia come questione centrale nellestrategie urbanistiche del governo locale finalizzate allariqualificazione del territorio periurbano attraverso la valo-rizzazione del sistema delle permanenze, privilegiando ilrecupero e la riqualificazione dell’aggregato urbano esi-stente rispetto alla possibilità di una nuova espansioneurbana. Il Piano delle Periferie si pone come quadro di coe-renza delle politiche di riqualificazione e costituisce laprima vicenda urbanistica italiana che pone la periferia alcentro di un vasto programma straordinario di interventi. Èpossibile leggere questa esperienza come un fatto certa-mente innovativo nell’ambito delle politiche pubblichedella riqualificazione in Italia in quegli anni. Al di là degliinterventi resi operativi, è necessario cogliere le strategieinnovative del Piano delle Periferie che si sono mantenute

nel passaggio dalle procedure ordinarie dell’amministra-zione a quelle straordinarie previste dal PSER, nel clima diemergenza del dopo terremoto, con la legge 219/1981. Unprimo elemento significativo riguarda il fatto che l’ammi-nistrazione, nonostante i poteri straordinari, rese operativigli strumenti urbanistici approvati precedentemente inregime ordinario dal consiglio comunale. Uno degli aspet-ti emergenti dell’esperienza napoletana consiste nell’averpuntato sulla valorizzazione dell’armatura territoriale sto-rica dei casali all’interno di un processo di riqualificazionedella periferia attraverso un disegno organico di interventidiffusi e distribuiti in modo strategico. Si tratta di una stra-tegia fortemente innovativa la cui traduzione, dal punto divista operativo, non è commisurabile al notevole sforzoteorico prodotto ed uno dei nodi problematici è riferibile alfatto che gli interventi si sono riferiti soprattutto ai nodi delsistema, i casali definiti “i centri storici della periferia”, piùche alla rete dei tracciati in un processo di riordinamento edi ricucitura con l’esterno.

Riflessioni conclusive

Si impone l’avvio di decisioni coordinate e non episo-diche per gli insediamenti periferici, sorti in risposta ad esi-genze abitative pressanti e consistenti, e la cui lontananzadai centri urbani è di molto superiore a quella spaziale. Unadelle problematiche emergenti riguarda la relazione tra glistrumenti di riqualificazione ed il Piano. La dotazione stru-mentale attuale finalizzata alla trasformazione di partiurbane degradate o marginali, individua nuove modalità diazione che pongono l’accento sul ruolo del soggetto priva-to accanto a quello pubblico e sulla partecipazione del cit-tadino, utente finale delle trasformazioni medesime. In unalogica che parte dal particolare per riformulare l’assetto piùgenerale, gli strumenti attuativi hanno portato ad instaura-re un nuovo rapporto significativo tra il Piano, inteso comestrumento di regolamentazione, ed il programma, qualeespressione di tipo puntuale. Si assiste ad un cambiamentodel soggetto pubblico tradizionalmente inteso.

L’amministrazione acquisisce un nuovo ruolo. Comesostiene Indovina, «il futuro delle città non dipenderà tantodalle novità tecnologiche, ma dalla capacità degli ammini-stratori di governare le trasformazioni al fine di realizzarecittà socialmente aperte e culturalmente ricche». In taleottica, il Piano è considerato una decisione politica tecni-camente assistita: un ruolo fondamentale gioca, quindi,l’individuazione degli strumenti che si adottano per rag-giungere gli obiettivi del Piano con cui la città possibilepuò essere realizzata. Indovina pone una riflessione riguar-do il rapporto tra pratiche sociali e politiche. Mentre le pra-tiche sociali sono l’affermazione di interessi individuali edi parte, le politiche sono di interesse generale. Un latonegativo riguarda la parzialità che caratterizza le pratichesociali: la città non è mai stata interpretata come l’esito del

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realizzarsi di singoli interessi, ma con l’affermarsi di unaconvivenza che i singoli interessi travalica8.

Note

1. Nella seconda metà dell’800, il Dizionario della lingua italiana diTommaseo e Bellini (1869) dà una definizione di pertinenza esclusiva-mente geometrica legandola al concetto di circonferenza e perimetro:«linea che forma un circolo, o termina un’ellissi, una parabola o altra cur-vilinea regolare figura». Non si fa riferimento alla topografia cittadinaneanche negli anni ’20. Nella prima metà dell’900, nello Zingarelli, perla prima volta, il concetto di periferia dalla geometria è trasportato nel-l’urbanistica e descritto come «parte esterna più lontana dal centro dellacittà: giro fino al quale si allarga la sua azione».2. A. Clementi “Periferie, oltre i cento confini” in Eupolis la riqualifica-zione delle città in Europa - periferie oggi, a cura di A. Clementi e F.Perego, ed. Laterza & figli, Bari 1990. 3. Il tema è stato trattato da V. Guarrasi e G. De Spuches nel Seminario“Trame urbane e ordito territoriale”, febbraio 1999, Dipartimento Città eTerritorio, Palermo.4. L. Quaroni “La politica della quartiere”, Urbanistica n. 22/1957. 5. Corboz “Avete detto spazio?”, Casabella n. 597/598, 1993.6. Si fa riferimento al Libro Verde per l’ambiente urbano, elaborato nel1991 dal Commissario per l’Ambiente della Cee, che costituisce il primoatto ufficiale della Comunità europea su questioni attinenti la città ed esa-mina la condizione urbana in relazione alle vicende succedutesi a partiredagli anni ’80 e declina le problematiche urbane in termini ecologico-ambientali; al documento Europa 2000+ (Ce, Dg XVI, 1994) che, nellaSezione B “Aree urbane, verso un sistema più equilibrato”, fa esplicitoriferimento al problema delle aree urbane degradate e disagiate; alloSSSE Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo che sottolinea la neces-sità di uno sviluppo urbano equilibrato e policentrico; al Quadro di Azioneesaminato dal Forum urbano tenuto a Vienna il 26/27-11-1998. 7. Legge 12 luglio 1991, n. 203, “Provvedimenti urgenti in tema di lottaalla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’atti-vità amministrativa” (art. 18), pubblicata nella Gazzetta ufficiale dellaRepubblica Italiana del 12/07/1991, n. 162. Legge 17 febbraio 1992, n.179, “Norme per l’edilizia residenziale pubblica” (art. 16), pubblicatanella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 29/02/1992, n. 50.Legge 4 dicembre 1993, n. 493, “Disposizioni per l’accelerazione degliinvestimenti ed il sostegno dell’occupazione e per la semplificazione deiprocedimenti in materia edilizia” (art. 11), pubblicata nella GazzettaUfficiale della Repubblica Italiana del 4/12/1993, n. 285. DM MinisteroLL.PP. del 21/12/ 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dellaRepubblica Italiana del 29/12/1994, introduce i “Programmi diRiqualificazione Urbana” a valere sui finanziamenti di cui all’art. 2,comma 2, della legge 179/92 e successive modifiche ed integrazioni.- DM Ministero LL.PP. del 22/9/1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficialedella Repubblica Italiana del 30/1/1998, “Approvazione del bando di gararelativo al finanziamento di interventi sperimentali nel settore dell’edili-zia residenziale sovvenzionata da realizzare nell’ambito di programmi direcupero urbano denominati Contratti di Quartiere” con allegata la Guidaai Programmi di Sperimentazione. DM Ministero LL.PP. del 8/10/1998Gli elementi innovativi dei PRU trovano idoneo sviluppo nei“Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile delTerritorio” (PRUSST), relativi alla riqualificazione urbana e ambientalealle strategie di sviluppo locale “Promozione di Programmi innovativi inambito urbano denominati Programmi di Riqualificazione urbana e disviluppo sostenibile del territorio”. 8. F. Indovina “Pianificare? È una necessità”, Sapere, aprile 1999.

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1. Ristrutturazioni politico-economiche, nuovi ruoliper le città e il territorio

Le evoluzioni nel governo dei sistemi territoriali inEuropa nell’ultimo decennio vanno interpretate alla lucedi due processi strettamente interdipendenti. Il primo, cheha una connotazione più marcatamente politica e istitu-zionale, riguarda la riarticolazione dei livelli di governoavviata in molti paesi europei a partire dalla riforma delleautonomie locali negli anni settanta e continuata con l’af-fermazione dell’Unione europea come soggetto politicoin grado di incidere sulle politiche nazionali, regionali elocali nei due decenni successivi (Marks e Sharpf, 1996).Il secondo riguarda gli effetti della ristrutturazione eco-nomica compiuto nei paesi occidentali attorno al declinodelle logiche di industrializzazione fordista, alla crescitadella globalizzazione in campo finanziario, all’emersionedell’economie ancorate al settore dei servizi e dellenuove tecnologie dell’informazione (Castells, 1989;1996; Lever e Bailly, 1996).

Gli elementi di interdipendenza sono evidenti in par-ticolare nella transizione che si è compiuta verso unmodello di sviluppo che affianca alle dinamiche globaliuna sempre più ampia e articolata dimensione locale.Sebbene alcuni osservatori abbiano sostenuto che la cre-scita dell’integrazione economica a livello mondiale e lafluidità dei mercati finanziari tenderebbe a dissolverel’importanza delle specificità geografiche e territoriali(O’Brien, 1992; Badie, 1995), le domande di decentra-mento e di autonomia territoriale e la riemersione delleeconomie regionali hanno orientato economisti, scienzia-ti politici e sociologi ad attribuire al livello locale unanotevole rilevanza nella descrizione delle dinamiche ter-ritoriali e ad utilizzare sempre più frequentemente termi-ni quali “locale” e “regionale” per descrivere i processi disviluppo in atto a livello europeo (Dunford e Kafkalas,1992).

Un’area di osservazione particolarmente interessanteriguarda alcune caratteristiche qualitative del capitalismomoderno che tendono a ridefinire i fattori di competitivitàa livello territoriale. Se è vero che la globalizzazionedetermina la comparsa di una nuova geografia dello svi-

luppo a geometria tendenzialmente variabile e che questasi accompagna alle fluttuazioni di mercati sempre piùaperti e destrutturati è altrettanto vero che le economiepost-industriali necessitano di alti livelli di innovazione edi organizzazione territoriale (Veltz, 1996). Esse sonocostrette ad interagire costantemente con le opportunitàofferte da un vasto panorama di sistemi territorializzatientro cui si svolgono quei processi culturali che consen-tono di produrre valore nelle nuove economie dell’infor-mazione. Un ulteriore aspetto riguarda la tendenza dellegrandi imprese globalizzate ad organizzarsi in rete, tra-scinando all’interno della loro struttura reticolare anche lecittà e i sistemi regionali che, accogliendone le sedi e icentri di comando, ne rappresentano gli agganci sul terri-torio (Cappellin, 1990; Perulli, 1995; Pichierri, 1995).

La produzione di economie deriva quindi strettamen-te dalla dialettica tra questi due livelli di organizzazione.Da un lato, le città, le regioni, i sistemi territoriali, sullabase della posizione strategica assunta nella nuova eco-nomia, guardano al globale sviluppando autonome politi-che di apertura internazionale e di attrazione di risorse einvestimenti. Dall’altro il globale, e la società post-indu-striale che ne è interprete, produce nuove domande di ter-ritorio, non più (e non solo) esclusivamente condizionatedai criteri localizzativi della vecchia economia fordista(per esempio buone infrastrutture, ampi mercati di lavo-ro a basso prezzo, etc.) ma anche dalla presenza di valo-ri culturali storicamente radicati, di un ambiente urbanoben pianificato e privo di squilibri ecologici, di societàlocali dinamiche e in grado di produrre innovazione.

2. Lo spazio europeo come arcipelago di sistemi terri-toriali

La dialettica tra le componenti politiche ed economi-che cui abbiamo fatto riferimento agisce nel contestoeuropeo in uno stato di frammentazione che ha radiciantiche. La fase di formazione degli Stati nazionali chedal XVIII secolo ha caratterizzato l’articolazione deipoteri pubblici in Europa ha intercettato una tradizione diautonomie territoriali che – attraverso le città-stato, lerepubbliche marinare, i regionalismi a matrice etnica e

Politica urbana e governance deisistemi territoriali nell’Europa deglianni novanta

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territoriale – hanno sempre opposto forti resistenze all’e-sercizio di un controllo eccessivamente centralizzato deipoteri politici ed economici. Il processo recente di con-trazione del potere degli stati nazionali nel caso europeonon va quindi letto soltanto come conseguenza della cre-scita delle interdipendenze economiche a livello globalema anche come cedimento rispetto alla riemersione diuna spinta regionalista e federale che la fase degli statinazionali aveva solo in parte mitigato (Jones e Keating,1995; Le Galès e Lequesne, 1998).

Negli ultimi due decenni sono emerse in Europa alcu-ne ulteriori spinte centrifughe, che scaturiscono dallacomplessa combinazione di fattori politici, economici eidentitari e che si caratterizzano per la richiesta di formecrescenti di autonomia nella gestione delle risorse e nellaproduzione delle politiche di sviluppo a livello territoria-le. Esse possono essere ricondotte ai seguenti fattori:a) La presenza di nuove regionalità economiche che si

affiancano alle spinte indipendentistiche più tradizio-nali. Il panorama regionale europeo non è soltantoquello definito dalla carta delle regioni istituzionalima comprende anche un certo numero di regioni“artificiali” come per esempio la Rhône Alpes e ilBaden Wurtemberg. L’identità regionale in questicasi deriva da una complessa combinazione di fatto-ri tra cui la forte integrazione tra i processi di svilup-po industriale con le economie pubbliche locali (for-mazione, ricerca, innovazione), la posizione compe-titiva assunta rispetto ad altri sistemi territoriali, lepolitiche condotte in forma trasversale rispetto allagerarchia istituzionale per consolidare i propri van-taggi competitivi (Perulli, 1998). In molti casi taliregioni hanno manifestato un’attitudine a svilupparepolitiche tendenzialmente trasversali rispetto allamorfologie istituzionali entro cui si collocano, peresempio contrattando localizzazioni con le grandiimprese multinazionali o esercitando azioni di“lobbying” nei confronti dell’Unione europea(Newhouse, 1997).

b) La diffusione in alcuni paesi europei, come l’Italia ela Germania, di modelli di sviluppo endogeno comei sistemi locali di piccole e medie imprese e distrettiindustriali (Bagnasco e Sabel, 1995; Garofoli, 1994).I sistemi locali si fondano sulla compresenza di varifattori quali un’antica tradizione produttiva in deter-minati settori industriali, mercati del lavoro altamen-te qualificati che derivano sia dall’accumulazione diconoscenze professionali che da strutture di forma-zione specialistica, la presenza simultanea di rappor-ti competitivi e collaborativi tra le imprese che con-sente una diffusione incrementale delle innovazioni,il radicamento dell’attività produttiva nel tessutosociale e nelle istituzioni locali (Becattini, 1989).Tali fattori hanno rappresentato dei vantaggi che in

molti contesti hanno marginalizzato gli effetti dellarecessione economica nella fase di declino dell’indu-strializzazione fordista e accresciuto i meccanismi diidentificazione territoriale, la partecipazione locale aiprocessi di sviluppo, la costruzione di politiche disviluppo locale nella fase di più recente apertura deimercati;

c) La presenza di un tessuto di città dinamico e diversi-ficato, tendenzialmente abituato a sviluppare formeautonome di governo locale, ad intrecciare formecooperative con altri soggetti istituzionali e a svilup-pare politiche reticolari (Brunet, 1989; Curti eDiappi, 1990). L’aumento delle interdipendenze alivello internazionale, per esempio, ha spinto moltecittà a specializzarsi all’interno di determinati settoricome la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologi-ca, l’offerta culturale, fornendo i presupposti per losviluppo di politiche reticolari tendenzialmentesganciate dai rispettivi contesti nazionali e regionali(Soldatos, 1991; Sassen, 1994).

La crisi finanziaria dei governi centrali e il riconosci-mento delle potenzialità di sviluppo contenute in un’arti-colazione per sistemi territoriali locali hanno inoltremutato gli indirizzi di programmazione nazionale inmolti paesi europei. Nel corso degli anni novanta si assi-ste alla nascita di una nuova generazione di strumenti diprogrammazione economica, come i Patti territoriali inItalia e i programmi Pays in Francia, che ribaltano il tra-dizionale orientamento gerarchico delle politiche nazio-nali e ricorrono piuttosto a pratiche di programmazione“negoziata” che prediligono la i rapporti “orizzontali” ela partnership tra attori pubblici e privati (Bonomi, 1998).Sebbene tali strumenti prevedano in genere un ruolo diregia e di coordinamento per il livello nazionale, è moltosignificativo il livello di autonomia concesso ai livelli ter-ritoriali locali nella produzione degli scenari progettuali enella gestione dei meccanismi di concertazione tra gliattori. Il ruolo dell’Unione europea in questo campo nonè stato marginale e la politica distributiva dei fondi comu-nitari dalla fine degli anni ottanta ha spinto deliberata-mente per accrescere le capacità di programmazionedelle singole regioni e per incrementare le forme di coo-perazione tra i sistemi territoriali.

Nel complesso è possibile osservare una destruttura-zione delle tradizionali gerarchie di attori operanti nellepolitiche pubbliche per lo sviluppo del territorio. Gliapprocci gerarchici sono tendenzialmente sostituiti dalleforme di cooperazione tra soggetti di diversa natura (pub-blici e privati) e appartenenti ai ranghi intermedi dellagerarchia istituzionale (comunità e istituzioni locali). Letendenze attuali mostrano una progressiva transizione daun modello verticale, in cui le scelte di governo del terri-torio seguono la gerarchia isitituzionale dall’alto verso ilbasso, a quella che Hooghe (1996) ha definito efficace-

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mente una governance policentrica, cioè un modello incui la combinazione degli attori non avviene secondoschemi precostituiti, ma piuttosto segue la capacità deglistessi attori di rappresentare i propri interessi e di perse-guire obiettivi strategici identificabili.

3. Le evoluzioni nella politica urbana

La città è probabilmente il livello maggiormente coin-volto dalle trasformazioni politiche ed economiche cuiabbiamo fatto riferimento. Da un lato perché lo spessoredella civiltà urbana in Europa ha una dimensione che ciconsente di leggere buona parte della sua storia, dalleinnovazioni più esaltanti ai conflitti più laceranti, attra-verso il ricorso alla storia delle città. Dall’altro perché laristrutturazione delle economie industriali ha riversatoproprio sulle città alcuni dei suoi effetti più diffusi, tra-sformando in pochi anni la geografia sociale ed econo-mica di grandi aree del vecchio cuore industriale europeoe innescando un processo di suburbanizzazione che hadestabilizzato l’articolazione del fenomeno urbano cosìcome si era consolidato in Europa (Hall, 1993). Le cittàsono andate assumendo quasi ovunque una duplice veste.Sedi delle aspettative più promettenti nella nuova econo-mia per il concentrato di cultura e innovazione che rie-scono ad esprimere e teatro delle più drammatichepovertà urbane e marginalità sociali. Le evoluzioni avve-nute hanno condotto le città, nel corso degli anni novan-ta, a modificare sostanzialmente il loro approccio allepolitiche urbane. Tale transizione è ricostruibile attraver-so almeno i seguenti passaggi:• La città come prodotto delle politiche di adattamento

alla ristrutturazione economicaIl declino industriale è un processo che, attraverso lacittà, ha introdotto una frattura nella dialettica econo-mia-territorio così come si era configurata dalla rivo-luzione industriale in poi. Le città di antica industria-lizzazione, in particolare, hanno subito in pochi annirapidi processi di dismissione delle attività produttivelocalizzate all’interno delle aree urbane, con l’emer-gere altrettanto rapido di fenomeni quali la crescita deltasso di disoccupazione, l’aumento dei conflitti socia-li e la perdita di un’identità urbana in molti casi diret-tamente dipendente da quella economica e produttiva(Pichierri, 1991). In molte città europee il conteni-mento e l’inversione degli effetti del declino indu-striale hanno fortemente caratterizzato la politicaurbana a partire dagli anni ottanta, dando luogo allaproliferazione di approcci miranti all’integrazionedelle esigenze di riqualificazione fisica della città conquelli di rigenerazione del tessuto economico e pro-duttivo (Parkinson et al, 1992). La crescita del settoredei servizi e le politiche di attrazione di nuove impre-se sono stati obiettivi perseguiti attraverso la reinven-

zione complessiva dell’identità urbana (Paddison,1993), sia attraverso politiche soft come l’organizza-zione di politiche culturali (Bianchini, 1993) chefacendo ricorso ad ampie riprogettazioni urbanistichedelle aree centrali.

• La città come impresa collettivaUn fenomeno che si accompagna alla ristrutturazioneeconomica nelle città è la ricerca di una dimensionecompetitiva entro cui collocare le proprie strategie ter-ritoriali. L’apertura dei mercati internazionali e la cre-scita della mobilità del capitale finanziario hannospinto molte città a condurre strategie di city marke-ting per l’attrazione di imprese e visitatori. Tali sfidein genere sono sostenute a livello locale da una fortemobilitazione delle élites politiche ed economiche,dalla formazione di coalizioni urbane e agenzie per ilcoordinamento delle politiche, il ricorso a forme dipianificazione e di visioning strategico (Ciciotti ePerulli, 1991; Harding, 1997). Il sostegno alle politi-che competitive richiede un forte potere di coordina-mento che in alcuni casi ha condotto alla predisposi-zione di programmi di finanziamento di iniziativa sta-tale, come City Challenge in Inghilterra, per il soste-gno allo sviluppo di partenership tra i principali atto-ri pubblici e privati della città (Parkinson, 1996).

• La città come nodo di reti di cooperazioneIl processo di riarticolazione dei livelli di governourbano in campo nazionale e la crescita delle politicheurbane dell’Unione europea si sono tradotti in unamoltiplicazione dei referenti istituzionali offerti allecittà nell’impostazione delle politiche di sviluppo. Daun lato in molti paesi europei si è diffusa la preferen-za verso gli approcci che fanno ricorso a forme dipartnership a livello sub-regionale e che spingonoverso un’articolazione territoriale per di reti di città.Dall’altro l’orientamento dell’Unione europea neglianni novanta è stato di subordinare la partecipazionealle iniziative comunitarie alla nascita di reti di coope-razione tra le istituzioni locali dei diversi paesi(Dematteis e Bonavero, 1997). I governi urbani ten-dono quindi ad affiancare all’espletamento delle fun-zioni interne una sempre più intensa “politica estera”,rivolta a consolidare l’immagine istituzionale dellacittà negli ambienti nazionali e internazionali in cui sideterminano decisioni chiave per l’attrazione di risor-se e investimenti (Cappellin, 1990).

4. Dalla regione al territorio, dal territorio allecittà: la componente spaziale nelle politichedell’Unione europea

Lo sviluppo di un’esplicito orientamento territorialenella programmazione della Comunità europea si produ-ce a partire dalla fine degli anni ottanta. I due limiti più

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rilevanti ad un’approccio territorialista erano stati fino aquel momento la difficoltà di rimuovere l’impostazionefortemente settorializzata attribuita alla politica comuni-taria sin dalla sua nascita negli anni cinquanta e la limita-ta competenza comunitaria nel campo delle politiche ter-ritoriali entro cui i governi nazionali mantenevano (emantengono tuttora) ampie quote di sovranità nazionale(Williams, 1996). Con l’applicazione dell’Atto unicoeuropeo (1988) tuttavia si riconoscono i limiti dell’inter-vento settoriale nella riduzione degli squilibri regionali inEuropa e si pongono le premesse per la costruzione di unquadro di programmazione direttamente rivolto alleregioni. Il Quadro comunitario di sostegno 1989-93 inau-gura quindi un nuova fase della politica comunitaria incui alle azioni “orizzontali”, rivolte all’intero territoriocomunitario secondo obiettivi di settore (agricoltura,energia, industria, etc.), si affianca un’articolazione perobiettivi territoriali in ragione del livello di sviluppo delleregioni rispetto alla media comunitaria (Jones e Keating,1995; Rhodes, 1995).

È nel corso degli anni novanta che si riconoscono lenotevoli ricadute territoriali della politica regionale e chesi produce lo sfrozo di orientarne gli esiti attraverso unapolitica di coerenza spaziale. Dal punto di vista analiticoi risultati più rilevanti sono la produzione dei due rap-porti Europa 2000 (Cce, 1991) ed Europa 2000+ (Ce,1995) che introducono un approccio omogeneo alla let-tura del territorio europeo, esplicitandone i limiti e lepotenzialità di sviluppo rispetto agli obiettivi perseguitidall’Unione. Il rapporto Europa 2000+, in particolare,cerca di tradurre i principi generali sulla competitività ela coesione contenuti nel Trattato di Maastricht e nelLibro Bianco di Delors, facendo ricorso a una lettura delterritorio europeo attraverso i sistemi di città, le reti ditrasporto, le aree ad alto valore ambientale, e inquadran-done i risultati all’interno di un sistema di opzioni eser-citabili dalla politica dell’Unione. Di fatto viene ricono-sciuto il ruolo del territorio (e delle città) nelle interdi-pendenze tra la dimensione globale, all’interno dellaquale l’Unione intende collocarsi con un proprio ruolocompetitivo, e la dimensione locale sulla quale le politi-che comunitarie si propongono di costruire uno specifi-co modello di sviluppo fondato sull’equilibrio e la soste-nibilità (Camagni, 1996).

La seconda metà degli anni novanta è la fase in cuisi concretizzano molti degli intendimenti sulle politi-che urbane e territoriali emersi negli anni precedenti1.È possibile ricostruirne i caratteri attraverso i seguentielementi:a) la crescita in seno all’Unione europea del dibattito

istituzionale sulle tematiche urbane che fino a quelmomento era stato condotto in termini quasi esclusi-vamente scientifici e il riconoscimento politico delladimensione urbana come strategia irrinunciabile per

il perseguimento degli obiettivi di “equlibrata com-petitività” dell’Unione2;

a) l’acquisizione come metodologia condivisa la costru-zione dei programmi diretti per le città, come Urbane i Progetti pilota urbani, che finanziano azioni inte-grate di valorizzazione e riqualificazione urbana incontesti caratterizzati da particolari problemi econo-mici e sociali;

b) la produzione del dibattito, tra i ministri responsabilidel territorio nei paesi membri prima e a livellocomunitario dopo, sulla necessità di fornire un qua-dro di coerenze spaziali alle azioni dell’Unione checondurrà alla redazione del primo Schema diSviluppo dello Spazio Europeo (Ssse).Tali risultati presentano numerosi elementi di rilevan-

za culturale e politica sui quali converrà soffermarsi.Il primo riguarda il ruolo innovativo esercitato dalle

Iniziative comunitarie per le aree urbane. I Progetti pilo-ta urbani finanziati dall’art. 10 dei Fondi strutturali, peresempio, hanno inaugurato una nuova procedura di con-certazione inter-istituzionale che ha condotto al dialogodiretto tra le municipalità coinvolte nei progetti e laCommissione europea. Sia i Progetti pilota che Urban,hanno alimentato, da un lato, la diffusione di metodolo-gie incentrate sull’ascolto “dal basso” nelle aree affette dacomplesse problematiche urbane e, dall’altro, la culturadella selezione di pochi e visibili temi attorni ai quali rac-cogliere la partecipazione degli attori locali e l’organiz-zazione delle misure attuative.

Nel caso dei paesi con ordinamenti urbanistici anco-rati a strumenti di tipo “ordinativo” (Mazza, 1995) – oappartenenti a quella che Newmann e Thornley (1996)chiamano la “famiglia latina” della pianificazione euro-pea – come la Francia, la Spagna, l’Italia, inoltre, le ini-ziative comunitarie hanno rappresentato la prima occa-sione per il superamento di una concezione settorialenelle politiche urbane e l’applicazione di misure integra-te (tra il fisico, il sociale e l’economico) alle problemati-che emergenti nelle aree urbane. Le reti di partenariato tracittà, che in molti casi hanno rappresentato il presuppostoper l’erogazione dei finanziamenti, hanno effettivamenteinnescato un’apertura dei governi locali e fatto in modoche i migliori risultati conseguiti sul campo in alcune cittàdiventassero patrimonio di conoscenze condivise per gliinterventi nelle altre.

Una seconda area di riflessione riguarda il travagliopolitico e culturale che ha condotto alla redazione delloSchema di Sviluppo dello Spazio Europeo (Css, 1999),cioè il primo documento dell’Unione europea che produ-ce indicazioni di strategia territoriale estese all’intero ter-ritorio comunitario. Lo Ssse si propone di fornire unacoerenza territoriale alle politiche dell’Unione attraversotre obiettivi: (1) lo sviluppo di un sistema urbano poli-centrico ed equilibrato in grado di evitare la polarizzazio-

in Folio 33

ricerche

n. 9, gennaio 2000

ne attorno a pochi centri e la marginalizzazione di altri;(2) la creazione di condizioni di pari accessibilità rispettoalle infrastrutture e alle “infostrutture”; (3) una gestioneequilibrata del patrimonio culturale e ambientale. Leindicazioni di strategia territoriale vengono poste comeopzioni politiche per orientare l’azione dell’Unione equelle dei paesi membri senza che tuttavia queste sianovincolanti sul piano giuridico. Tale carattere è inevitabileperchè la nascita dello Ssse si innesta in un panoramaeuropeo caratterizzato da alcuni grandi “blocchi” cultura-li e va interpretato come la dialettica tra i paesi tradizio-nalmente predisposti alla redazione di quadri urbanisticidi area vasta e che presentano esperienze di pianificazio-ne nazionale, come la Francia e l’Olanda da un lato, e ipaesi tendenzialmente ostili a visioni territoriali onni-comprensive come la Germania e i paesi anglosassonidall’altro. Lo Ssse assume rilevanza politica quindi piùall’interno di alcune tematiche effettivamente riconosciu-te di livello continentale, come l’indicazione delle strate-gie trans-frontaliere, che come strumento operativo perl’indirizzo “diffuso” delle politica territoriali nei paesidell’Unione.

La politica spaziale dell’Unione va quindi valutataall’interno della dialettica tra una visione che accetta laframmentazione e che tende ad esaltare l’efficacia del-l’intervento diretto per le aree urbane ed un’altra chericerca una coerenza territoriale estesa all’intero territoriocomunitario. Entrambi gli aspetti presentano dei nodi irri-solti che pongono numerosi interrogativi per il fututo. Perciò che riguarda le aree urbane, per esempio, la principa-le disfunzione riguarda lo scarto tra la quota di popola-zione che all’interno dell’Unione europea vive all’inter-no delle città e che corrisponde a circa l’80% di quellatotale e la quota di finanziamenti esplicitamente assegna-ti alle politiche urbane. Sebbene le indicazioni contenutenell’Agenda 2000 facciano lievitare la quota di finanzia-menti complessivi per l’obiettivo 2, che è stato orientatoad un più esplicito ruolo nella politica urbana, tale quotarimane di poco superiore al 10% di quella complessiva3.Esiste inoltre un’eccessiva assimilazione delle problema-tiche urbane a quelle derivanti dal declino industriale,confinando a pratiche talvolta puramente “simboliche”buona parte delle azioni in altri campi di politica urbana.

La seconda visione, quella che ricorre alla prospettivadi una super-pianificazione territoriale europea e cheattribuisce allo Ssse il compito di indicarne gli obiettivi,ha il suo principale limite nella persistente ridotta com-petenza dell’Unione nel campo delle politiche territorialidei paesi membri. Sebbene dal punto di vista culturalesiano stati ampiamente riconosciuti alcuni concetti, comequello di armatura urbana e di reti di città, e il ruolo chepossono esercitare nel sostenere i processi di competizio-ne a scala globale, la ricerca di una coerenza di area vastasi scontra con la complessità che, a livello locale, deter-

mina la produzione delle politiche territoriali e che deri-va, per esempio, dalle forze del mercato, dalle coalizionie dalle forme di partnership che si innescano a livellolocale, dalle altre forme di programmazione pubblica,etc. In questa prospettiva l’Unione europea può attribuireagli strumenti di “visione” territoriale come lo Ssse ilsemplice ruolo di orientamento delle politiche di settoresu cui gode di una piena legittimità, cercando eventual-mente di renderne compatibili le ricadute a livello urba-no con le linee strategiche adottate.

Note

1. Cfr. Cce, Commissione delle Comunità europee (1993), LibroBianco. Crescità, competitività, occupazione, Uffico delle pubblicazio-ni ufficiali delle Comunità europee, Bruxelles-Luxembourg.2. Cfr. la comunicazione della Commissione Towards an Urban Agendain the European Union, 6/5/1997.3. Cfr. comunicazione della Commissione The Structural Funds andtheir coordination with the Cohesion Fund. Guidelines for programmesin the period 2000-06, 1/7/99.

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in Folio 35n. 8, luglio 1999

I presupposti per una ricerca

È cosa ormai nota che il “capitale ambientale” è un beneimportantissimo e soprattutto non riproducibile. La situa-zione in cui versa il pianeta Terra, dal punto di vistaambientale, non è delle migliori. Prova ne sia che daqualche anno le più grandi organizzazioni mondiali,nazionali e locali, si stanno mobilitando per assicurare unfuturo più vivibile. Tale problema, definito genericamen-te “questione ambientale”, si è sempre più intrecciato conquello del “governo del territorio”. È necessario faresubito una precisazione. Essendo, a volte, il termineambiente “ambiguo” risulta utile associarlo ad un agget-tivo che specifichi meglio l’ambito che si intende tratta-re. Nel presente lavoro di ricerca l’aggettivo più appro-priato è sicuramente “naturale”; si parlerà, allora, diambiente naturale per la cui conservazione si rendononecessarie alcune operazioni: di tutela e di salvaguardia lìdove ancora si possono riscontrare valori; di trasforma-zione, accorta e mirata al recupero di valori, dove inveceil tempo, ma forse più che il tempo l’uomo, ha danneg-giato l’ambiente naturale minando la vita degli habitat.

Le aree del territorio dove questo tipo di azioni pos-sono ancora portare a risultati positivi per la “salute del-l’ambiente”, sono le aree naturali e seminaturali, per lequali, almeno inizialmente, non risulta necessario effet-tuare alcuna distinzione di localizzazione o dimensione.Il metodo, infatti, per attuarvi una corretta conservazio-ne è quello di operare sugli elementi che compongono ilgrande sistema degli spazi naturali, siano essi aree nelterritorio non urbanizzato, che all’interno di aree densa-mente o mediamente urbanizzate e che possono giocareun ruolo molto importante nella nuova filosofia dellaconservazione.

Uno dei primi obiettivi, allora, è quello di cercare dicapire come poter arrivare ad operare una organizzazio-ne, ed una gestione, di queste aree secondo una conser-vazione ispirata a modelli di “tutela ambientale diffusa”e che, contemporaneamente, non utilizzi il metodo della“cristallizzazione delle aree” ma che ipotizzi un usocompatibile di queste integrandole il più possibile conl’ambiente circostante, evitando di creare barriere di

separazione, nette ed invalicabili, passando da una stra-tegia conservativo-naturalistica tradizionale a nuovestrategie eco-sostenibili.

Problema iniziale è quello di superare l’attuale statodi frammentazione con cui si presentano le aree natura-li; tale situazione ostacola, e a volte impedisce, gli scam-bi biologici necessari alle specie animali e vegetali persopravvivere. Lo sforzo deve essere quello di individua-re i metodi per la connessione di queste aree in un gran-de sistema, attraverso la conoscenza dei cicli vitali deglielementi delle aree naturali e la costruzione, o tutela, dicondizioni ideali.

Secondo obiettivo è quello di capire i rapporti chesarà necessario instaurare con il grande, e nel casodell’Italia a volte complesso, quadro degli strumenti dipianificazione del territorio, con lo scopo di fare diven-tare questo metodo istituzionalmente operante.

Al fine di perseguire questi obiettivi uno dei metodi,almeno nel campo teorico, per attuare una conservazio-ne orientata secondo questi principi è sicuramente quel-lo delle “reti ecologiche” delle quali una interessantedefinizione può essere quella data dall’Unione Europeache inizialmente la definì come il “sistema connettivocostituito dai corridoi ecologici, di dimensione e carat-teri assai variabili a seconda della scala considerata edelle specifiche interazioni ecologiche da salvaguarda-re”. Le considerazioni, inoltre, sono da riferire non piùsolo a territori locali o nazionali, ma anche ad un terri-torio più vasto, quello europeo, e sarà necessario parla-re di “ecosistemi e non più di singoli siti, di habitats enon più di singole specie”, sforzandosi di superare il“concetto limitante” di confine amministrativo.

E in tal senso le politiche europee hanno effettiva-mente già avviato le procedure per attuare una correttaconservazione dell’ambiente naturale, in particolarmodo con l’esperienza di Eeconet, la rete ecologicaeuropea, proposta nel 1993, a cui molti Stati membridell’unione Europea, così come alcuni Stati esterni adessa, stanno da tempo lavorando.

Una ulteriore riflessione deve riguardare il ruolo chequesto strumento deve avere per superare il limite distrumento di analisi e diventare strumento di progetto e

tesi

Reti ecologiche e strumentidi pianificazione

Filippo Schilleci

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normativo e, ricostruendo il rapporto che sino ad oggi èesistito tra pianificazione ambientale e pianificazioneterritoriale-urbanistica in Italia, ragionare sul suo inseri-mento nei diversi livelli di pianificazione.

La ricerca si è basata, almeno inizialmente, su alcu-ni riferimenti precisi quali la teoria delle reti, utilizzatacome metodo di interpretazione del territorio e dellecittà già da alcuni anni1 e la teoria degli ecosistemi e sualcuni aspetti problematici quali la questione ambienta-le e la conservazione della diversità. Altri riferimentiteorici, che fanno riferimento a campi disciplinari diffe-renti ma strettamente connessi al tema della conserva-zione dell’ambiente naturale, possono essere la teoriadella “suddivisione del territorio in ambienti separati enon più collegati”2 e quella, più legata alla sfera econo-mica, di “reti di città”3.

I diversi tipi di rete che si possono leggere nel terri-torio si devono pensare come dei piani sovrappostiall’interno dei quali nodi e linee si rapportano con pre-cise relazioni di tipo orizzontale. Ma se la teoria retico-lare è caratterizzata prioritariamente da relazioni oriz-zontali, esistono anche delle relazioni verticali che met-tono in connessione i nodi con l’ambiente circostante, eche rappresentano i rapporti necessari tra i diversi livel-li di rete.

Un modello reticolare in cui le suddette caratteristi-che si riscontrano è proprio quello delle reti ecologiche.Negli ambiti disciplinari della pianificazione e dellaconservazione dell’ambiente naturale si sente semprepiù la necessità di utilizzare questo modello e tale esi-genza è sentita soprattutto in ambiente europeo.Attraverso l’analisi di alcuni “casi studio” nel corsodella ricerca si è cercato di costruire un ragionamentomirato a fornire una ipotesi di relazioni tra le reti ecolo-giche e gli strumenti di pianificazione che, ad oggi, nor-mano l’uso del territorio. Questo soprattutto per evitarequegli scollamenti, oggi purtroppo spesso presenti, trastrumenti di analisi e strumenti di progetto4, il cui rap-porto ci si augura sia presto normato in maniera chiara,univoca e non eludibile.

L’oggetto della ricerca: la rete ecologica.

Prima di passare all’analisi delle “reti ecologiche”sarà opportuno fare qualche cenno sul tema dei rappor-ti tra i vari livelli, su accennati, che si potranno riscon-trare poiché grande importanza essi assumono nel darealla rete un significato non solo fisico ma anche rela-zionale. Le relazioni che si devono sempre ricercareaffinché l’interpretazione possa essere valida ed effica-ce, devono essere sia di tipo “orizzontale” che di tipo“verticale”5. Uno degli aspetti importanti, infatti, delsistema delle reti è che oltre a sussistere un rapporto didipendenza reciproca tra gli elementi nodali e tra questi

Reti ecologiche e strumenti di pianificazione

Indice

1 Premessa

1.1 Obiettivi e contenuti della ricerca1.2 La “rete” come paradigma di interpretazione

2 Le reti ecologiche

2.1 Caratteri e componenti della rete ecologica2.2 Gli elementi nodali2.3 Gli elementi lineari2.4 Le relazioni tra le componenti

3 Le politiche per la conservazione dell’ambiente naturale

3.1 Le prime esperienze per la costruzione di sistemi di aree naturali3.2 L’Unione Europea e le politiche per la protezione della areenaturali3.2.1. La direttiva “Oiseaux”3.2.2. La direttiva “Habitats”3.2.3. Il progetto “Corine Biotopes”3.2.4. La Rete Ecologica Europea: “Eeconet”

4 Casi di studio in Europa

4.1 Le esperienze degli Stati Membri della Unione Europea4.1.1 La sperimentazione in Olanda4.1.2 La sperimentazione in Spagna: il caso della regione diMadrid4.1.3 L’esperienza dei paesi dell’arco alpino4.1.4 La situazione in altri Stati membri dell’Unione Europea4.2 La situazione nei paesi del nord ed est Europa

5 Casi di studio in Italia

5.1 La rete ecologica in Italia: applicazioni ed esperienze5.1.1 La rete verde regionale dell’Appennino centrale5.1.2 La rete ecologica della provincia di Pavia (Piano faunistico-venatorio e di miglioramento ambientale)5.2 La rete ecologica all’interno della pianificazione di area vasta5.2.1 Il Piano Ambientale per il Parco dei Colli Euganei5.2.2 Il Progetto delle aree periurbane dell’area metropolitana diBologna (P.E.G.A.SO.)5.2.3 Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Mantova

6 Strumenti di pianificazione e reti ecologiche in Italia

6.1 La rete come strumento nella pianificazione6.2 La rete ecologica nella legislazione nazionale e regionale6.3 Le misure economiche

7 Conclusioni

7.1 I risultati7.2 Gli sviluppi

Riferimenti bibliografici

Sezione 1. Riferimenti generaliSezione 2. Sul tema delle reti ecologicheSezione 3. Sul tema dei rapporti tra pianificazione urbanistica eproblematiche ecologicheSezione 4. Siti Internet

Indice delle immagini

Sigle utilizzate

Allegati

a) La proposta francese degli anni ’80 per la formazione di unsistema nazionale a rete di spazi protettib) La Convenzione di Ramsar (1971)c) La Convenzione di Bonn (1979)d) La Convenzione di Berna (1979)e) La Convenzione delle Alpi (1991) f) La Convenzione sulla Diversità Biologica di Rio (1992)g) La Dichiarazione di Eeconet (1993)h) La Direttiva 79/4097/CEE “Oiseaux”i) La Direttiva 92/43/CEE “Habitats”

in Folio 37n. 9, gennaio 2000

tesi

e gli elementi lineari (relazioni orizzontali), esistonoaltri tipi di rapporto che legano i singoli nodi e tutto ilcomplesso di elementi che vivono al loro interno, conl’ambiente locale (relazioni verticali). Nel caso specifi-co, allora, lo strumento della rete ecologica assume unadoppia funzione: “paradigma interpretativo del territo-rio” nell’accezione di lettura di alcune categorie benprecise e stabilite a priori; strumento di progetto cheanalizza, ma nello stesso tempo regola e norma, i rap-porti tra questi elementi e la restante parte del territorio.

Per cominciare ad entrare più nel merito delle retiecologiche, un’interessante definizione la possiamoprendere a prestito da M. Guccione, che sostiene che“da un punto di vista strettamente ecologico-paesaggi-stico sono una recente proposta concettuale di gestioneintegrata dello spazio fisico territoriale che, tutelando leinterconnessioni tra gli habitat, rendono possibili i flus-si di patrimoni genetici degli esseri viventi da un’areaall’altra. Ciò rappresenta un elemento indispensabile aifini della conservazione della biodiversità e della soste-nibilità in relazione al fatto che uno dei maggiori pro-blemi dell’attuale uso del suolo, è la frammentazionedel territorio”6. Un altro interessante contributo sullereti ecologiche viene dall’ecologia del paesaggio7. V.Ingegnoli, autorevole esponente di questa disciplina,mette in evidenza come “le reti ecologiche sono stretta-mente dipendenti dalla teoria e dalle applicazioni del-l’ecologia del paesaggio”. Ricorda infatti come per par-lare di paesaggio, inteso come sistema interagente diecosistemi, non ci si può limitare solo ad uno “studiodell’eterogeneità spaziale delle componenti ecologi-che”. Egli ritiene che solo la perfetta conoscenza e com-prensione dei processi ecologici permetterà un giustoapproccio alle reti ecologiche intese come sistema.

Queste prime definizioni ci permettono di precisarealcuni caratteri per la costruzione delle reti ecologiche.Lo studio, e il disegno, di tale rete8 dovrebbe agire attra-verso la selezione di alcuni elementi ben precisi; questielementi sono:1. le “zone nodali” per la protezione o “aree ad alta

naturalità” (core areas) che rappresentano aree cheracchiudono in sé valori connessi all’alta naturalitàpresente. La definizione di una core area deve obbe-dire ad alcuni precisi criteri di selezione che, a livel-lo di U. E., sono stati genericamente codificati inestensione ad ogni condizione ambientale prevalente(presenza di specie endemiche o minacciate, gradodi biodiversità e ruolo dell’habitat per le specie).

2. le “zone cuscinetto” studiate con lo scopo di proteg-gere le zone nodali dalle influenze negative esterne(buffer zones)9. Strettamente legata alle prime, laloro definizione comporta un preciso vaglio di quel-le che possono essere le minacce per i caratteri pecu-liari dell’area.

3. i “corridoi ecologici” da creare, o riconoscere, intutto il territorio e non solo nelle aree protette, inalcuni particolari percorsi o punti studiati caso percaso con lo scopo di determinare le interrelazioniecologiche per la dispersione e la migrazione (eco-logical corridors e stepping stones)10. Una primadefinizione che esprima i caratteri generali dei corri-doi, attenendoci inizialmente alla funzione che aquesti elementi viene affidata, può essere quella datada R. Jongman, il quale dice che “i corridoi ecologi-ci sono delle strutture del paesaggio di conformazio-ne variabile che possono assumere forme e dimen-sioni diverse, più o meno larghi, con un percorsoirregolare o rettilineo e che rappresentano i collega-menti per la permeabilità biologica del paesaggio e iquali mantengono o ristabiliscono la connettivitànaturale. Sono per lo più strutture di paesaggio mul-tifunzionale. Oggi molti dei corridoi ecologici sonoprincipalmente il risultato di interventi umani nel-l’ambiente naturale: siepi, muri a secco, paesaggi amosaico, con boschetti, canali e corpi d’acqua regi-mentati. La loro struttura spaziale e di densità sul ter-ritorio muta secondo il tipo di uso del suolo. La lorocapacità di connessione è molto variabile e dipendedalla loro struttura, composizione, disposizionenello spazio-paesaggio e dalla loro gestione. In unsistema di isole di naturalità, nel fabbisogno di inter-connessione degli habitat, i corridoi ecologici svol-gono un ruolo complementare, che però varia aseconda della loro tipologia. Ne consegue che l’ap-proccio nella pianificazione e nella gestione paesag-gistica dei corridoi ecologici è diversa a seconda deicasi di uso del suolo”11.

4. le “aree per la riabilitazione” degli habitat danneg-giati, per la creazione di nuovi habitat e per l’espan-sione delle zone nodali esistenti allo scopo di miglio-rare la rete (nature restoration areas). Quasi sempresaranno rappresentate da aree che al momento nonpossono essere considerate vere e proprie core areasa causa delle cattive condizioni degli habitats pre-senti che sono notevolmente danneggiati per lepesanti alterazioni, ma che possiedono le potenzia-lità per far parte integrante di una rete ecologica.La costruzione di una rete ecologica, quindi, risulta

un’operazione abbastanza complessa. Emerge, infatti,come gli elementi con cui “lavorare” presentano unastretta relazione con l’annoso problema del rapporto trauomo e territorio, visto, sinora, forse più come rapportovincolistico e non, come suggerito da questo strumento,come rapporto di salvaguardia tesa al benessere dell’u-no nel rispetto dell’altro.

La rete ecologica, infatti, se concepita, studiata equindi applicata, con questi presupposti, potrebbe rap-presentare uno strumento atto a contrastare, attraverso il

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contenimento della frammentazione degli habitats, ilfenomeno dell’erosione genetica e forse l’ideale pre-supposto per conciliare bisogni umani e conservazionedella biodiversità per ciò che è definito governo soste-nibile del territorio.

“Costruire” oggi una rete ecologica, non vuole,comunque, dire cominciare da zero, né vuole dire met-tere a punto una metodologia generale di lavoro total-mente nuova. Quasi tutti gli elementi che hanno unruolo in questa operazione sono esistenti. Inoltre, già daqualche anno, sono state messe a punto delle normative,che prevedono sia la conservazione degli habitat12, ondeevitare la “erosione genetica”, sia la costruzione dellarete ecologica13.

Parlare di elementi areali o puntuali ci porterebbe apensare che le aree protette istituite e quelle da istituiresiano da considerare gli elementi principali della rete,riflessione non del tutto esatta; infatti, proprio perchéper gli elementi puntuali esiste già un qualche mezzo ditutela, sono gli elementi lineari i più delicati in quantoprivi di una qualsiasi forma di protezione. Ma sono pro-prio questi che alla fine ci permettono di parlare di reteecologica e di realizzare quel sistema di protezione sulterritorio atto a garantire la migrazione e la dispersionenecessari alla sopravvivenza delle specie.

I problemi connessi alla valorizzazione dei “rappor-ti tra gli elementi della rete”, fanno emergere un altrofattore molto importante, quello dei livelli nell’applica-zione del sistema reticolare. La struttura cui tendere,allora, deve essere composta almeno da quattro livelli:quello locale, quello regionale, quello nazionale e quel-lo internazionale. Partendo da quello superiore, si devesubito dire che gli elementi che vi appartengono saran-no sicuramente presenti anche ai livelli inferiori. Non èinvece necessariamente vero il contrario.

Se, infatti, pensiamo ad una rete ecologica di livellolocale, quella cioè che dovrebbe entrare a far parte deglistrumenti di pianificazione di livello comunale, gli ele-menti, siano essi lineari o nodali, avranno delle dimen-sioni spesso anche minute, proprio perché la scala didettaglio cui si lavora necessita di utilizzare tali dimen-sioni e soprattutto perché le necessità sono rapportate adambienti più limitati. Si lavorerà, quindi, con alberatu-re, corsi d’acqua, siepi e giardini, che creeranno il tes-suto connettivo urbano relazionato a quello delle partiperiurbane della città. Nel momento in cui cambia lascala del ragionamento, alcuni elementi, siano essinodali o lineari, avranno un valore, per quella scala,ininfluente dato che le necessità cui dare una rispostadiventeranno di interesse internazionale o, meglio,europeo14.

Le relazioni acquistano allora una grande importan-za per la comprensione del sistema della rete ecologica.Gli elementi che la compongono devono essere consi-

derati come singoli ma anche come facenti parte di unsistema. A tal fine, il rafforzare tali relazioni, attraversola costruzione dei corridoi ecologici che connetterannotutti gli elementi, risulterà la migliore cura contro quelmale che oggi, da più parti, viene denunciato e definito“isolamento ambientale”.

Per una nuova “cultura della conservazione”

Storicamente, nella cultura della conservazione dellanatura, uno dei temi che ha giocato un ruolo di “primoattore” è stato quello del parco naturale che negli anni,evolvendo il concetto iniziale di luogo naturale da pro-teggere, si è trasformato in un ambito non più ristrettoma “dilatato alle dimensioni globali del territorio e aquelle interdisciplinari della pianificazione e dell’usodella risorsa ambientale”15. Le prime realizzazioni diparchi naturali risalgono al XIX secolo, quando i primiepisodi di tutela pubblica della natura scaturirono, confinalità tipicamente estetiche, da una concezione ancoraromantica del paesaggio, seppur già indirizzata alla con-servazione dell’ambiente.

Ma l’avvento del XX secolo “porta in primo pianocon più incisività le esigenze ed i criteri delle scienzenaturali, e particolarmente in Europa, dove mancano legrandi estensioni di territorio selvaggio e dove l’erosio-ne antropica del paesaggio naturale è decisamente piùsensibile e minacciosa che non nel continente america-no”16 e, attraverso incontri internazionali, si comincianoa definire criteri istitutivi per la creazione dei parchinaturali17.

Contemporaneamente nuove correnti di pensieroinfluenzano le politiche per la conservazione delle areenaturali, correnti caratterizzate da un’esigenza di pensa-re all’ambiente naturale in una “visione globale”: è l’av-vento dell’ecologia che fa emergere l’importanza di stu-diare i fenomeni del territorio in rapporto con gli esseriviventi e che spinge al passaggio dalla “protezione dellebellezze naturali” alla “protezione dei valori ecologici”.

Un’altra grande rivoluzione, più recente, è quelladella “scala” cui questi problemi si stanno cominciandoad affrontare. L’avere infatti cominciato a parlare di“misure internazionali”, al posto di quelle nazionali, hadato una svolta ai ristretti concetti di protezione e tuteladelle aree naturali che per anni avevano obbeditosoprattutto a criteri quantitativi e legati a decisioni chetralasciavano i principi ecologici che, da sempre, gover-nano la natura.

Oggi, se parliamo di “misure internazionali”, di“tutela senza confini”, è immediato il riferimentoall’Unione Europea, dove, a seguito della seconda guer-ra mondiale, la concezione unitaria delle politiche diintervento è stata uno dei principi per cui alcuni statieuropei si riunirono al fine di realizzare l’integrazione

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europea. Ed è proprio in ambito europeo che la questio-ne ambientale è vista come “autentica questione delfuturo equilibrio mondiale”.

L’U.E. agisce attraverso l’emanazione di“Regolamenti” di portata generale, che sono obbligato-ri in tutti i loro elementi e sono applicabili direttamentein tutti gli Stati membri, e di “Direttive”, leggi dell’U.E. che si applicano agli Stati membri.

Numerosi sono stati finora sia i regolamenti che leiniziative e le direttive a favore della conservazione del-l’ambiente naturale in Europa, e tutte si inseriscono inun quadro programmatico ben delineato.

Due sono forse le direttive principali sull’argomentoambiente e che qui vale la pena ricordare: una del 1979e l’altra, più recente, del 1992. La prima, denominata“Oiseaux” (79/409/CEE), concerne la conservazionedegli uccelli selvatici ed è entrata in vigore nel 1981. Lesue disposizioni richiedevano che venissero individua-te, dagli Stati membri, le Aree Speciali Protette (A.S.P.)“in superficie ed in numero sufficienti per assicurare unbuon livello di vita e la sopravvivenza per 175 specie esottospecie di uccelli particolarmente vulnerabili, e perprendere misure identiche per le specie migratorie, conuna menzione speciale per le zone umide”18.L’articolato della direttiva prende vita da alcune consi-derazioni fatte, allora, dal Consiglio delle ComunitàEuropee sulla necessità di provvedere all’attuazione diuna politica comunitaria per l’ambiente e sulla crescen-te e, a volte, disastrosa scomparsa di molte specie diuccelli che porta ad una consequenziale scomparsa del-l’ambiente naturale. L’articolo 1, difatti, recita “La pre-sente direttiva concerne la conservazione di tutte le spe-cie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvaticonel territorio europeo degli Stati membri al quale siapplica il trattato. Essa si prefigge la protezione, lagestione e la regolazione di tali specie e ne disciplina losfruttamento”. Se applicata in maniera appropriata,seguendo cioè i criteri prestabiliti per l’individuazionedelle aree, aggiornando in maniera costante i databasecosì costruiti e perseguendo una gestione corretta edadeguata, le misure dettate da questa direttiva potrebbe-ro contribuire in maniera preziosa alla identificazione diaree naturali che di diritto entrerebbero a far parte dellaRete ecologica europea.

La seconda, denominata “Habitats” (92/43/CEE),riguarda invece la protezione degli habitats naturali eseminaturali e della flora e fauna selvatiche; adottata nel1992, presenta un calendario ben preciso con impegni escadenze per ogni Stato membro. Tale calendario pre-vede che nel giugno del 2004 ogni singolo Stato debbaavere definito le Aree Speciali per la Conservazione(A.S.C.). Il suo principale obiettivo, come recita l’arti-colo 2 al punto 2, è quello di adottare misure “intese adassicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di

conservazione soddisfacente, degli habitat naturali edelle specie di fauna e flora selvatiche di interessecomunitario”. Di grande interesse è quanto espressodall’articolo 3, dove si legge che «È costituita una reteecologica europea coerente di zone speciali di conser-vazione, denominata Natura 2000. Questa rete, formatadai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencatinell’allegato I e habitat delle specie di cui all’allegato II,deve garantire il mantenimento ovvero, all’occorrenza,il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacen-te, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specieinteressati nella loro area di ripartizione naturale. Larete ‘Natura 2000’ comprende anche le zone di prote-zione speciale classificate dagli Stati membri a normadella direttiva 79/409/CEE». In stretta connessione coni contenuti dell’articolo 3 sono le indicazioni dell’arti-colo 10, che recita «Laddove lo ritengano necessario,nell’ambito delle politiche nazionali di riassetto del ter-ritorio e di sviluppo, e segnatamente per rendere ecolo-gicamente più coerente la rete Natura 2000, gli Statimembri si impegnano a promuovere la gestione di ele-menti del paesaggio che rivestono primaria importanzaper la fauna e la flora selvatiche. Si tratta di quegli ele-menti che, per la loro struttura lineare e continua (comei corsi d’acqua con le relative sponde, o i sistemi tradi-zionali di delimitazione dei campi) o il loro ruolo di col-legamento (come gli stagni o i boschetti) sono essenzia-li per la migrazione, la distribuzione geografica e loscambio genetico di specie selvatiche». Ecco allora chevengono delineati gli elementi lineari della rete ecologi-ca, i corridoi ecologici. L’applicazione della direttivapotrebbe portare ad una condizione ideale per una cor-retta tutela ambientale, permettendo la realizzazione diuna fitta rete ecologica comprendente migliaia di areeprotette. Ma tale applicazione sembra avere incontratonon poche difficoltà nel decollare; come sempre, trat-tandosi di un ambito disciplinare vastissimo e in cui l’o-perazione ha coinvolto più di un soggetto istituzionale,ci ritroviamo con un quadro che vede paesi che hannogià effettuato quanto di loro competenza e paesi, inve-ce, che risultano in difetto. L’Italia, uno dei paesi che sipresenta con qualche ritardo, per adempiere alla diretti-va, ha elaborato attraverso il Ministero dell’Ambiente epiù specificatamente attraverso il Servizio conservazio-ne della Natura, un progetto denominato BioItaly arti-colato in due fasi ben distinte: nella prima fase si è pro-ceduto ad un censimento dei siti e biotopi ritenuti diimportanza comunitaria; nella seconda fase, in corso, sista procedendo alla individuazione di quei siti e biotopiche, nonostante non presentano valori tali da essere con-siderati come i primi, sono ritenuti ugualmente degni diinteresse nazionale o locale.

Ambedue le direttive individuano elementi per lacostruzione di Natura 200019, “una rete dove la totalità

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degli habitats è rappresentata, sono comprese le piùimportanti aree dei diversi tipi di habitats e dove sianoinglobate appropriate interconnessioni che facilitino ladispersione e la migrazione”20. In queste direttive vienesottolineata quindi la necessità dell’uso di un sistemareticolare per le azioni di conservazione dell’ambientenaturale. Quando, e se, gli Stati membri applicherannoquanto imposto dalla allora Comunità Europea, si potràavere una fitta rete di aree protette e si potrà superare“l’isolamento” in cui oggi versano.

Le iniziative internazionali (e non solo quindi comu-nitarie) hanno fatto dei passi avanti dal 1992, anno delladirettiva “Habitats”. Nel 1993 infatti, durante la prepa-razione della II Conferenza per l’Ambiente, laRepubblica Federale tedesca propose che una Rete pan-europea di aree protette fosse creata per estendere la reteNatura 2000 verso le parti confinanti con l’U.E. cuiseguì, a Maastricht nel 199321, l’adozione della“Dichiarazione di Eeconet” in cui, al punto 3, venivaspecificato che una European ECOlogical NETwork,Eeconet appunto, «dovrebbe essere sviluppata, dovepossibile, sul modello di Natura 2000 od iniziative simi-li dando una coerenza con le reti ecologiche nazionali eregionali».

Fatte queste premesse per i riferimenti istituzionali,cerchiamo di entrare più nel merito di questa Rete eco-logica europea, il cui sviluppo, è ormai chiaro, potràessere raggiunto solo se la struttura della politica per laconservazione della natura verrà determinata dalla strut-tura ecologica dell’Europa e non da quella geografica o,ancora meno, politica, e se sussisterà una maggiore coo-perazione ed un maggiore coordinamento tra i livellinazionali e quelli internazionali.

La costruzione di una rete ecologica deve tendereverso un obiettivo principale: quello di salvaguardarei più importanti habitats e far sì che i rapporti tra que-sti siano mantenuti o anche incrementati dove neces-sario. Tale “complessa operazione” può, inizialmente,essere sintetizzata in quattro punti: 1) selezione di areechiave per le operazioni di salvaguardia; 2) sviluppo diuna politica protezionistica per queste aree rispetto ainfluenze esterne ad esse e quindi negative; 3) deter-minazione delle relazioni ecologiche tra i siti ed indi-viduazione, o creazione, dei “corridoi” per la disper-sione e la migrazione; 4) incremento e gestione dellarete.

Oltre alle suddette direttive, esistono altre iniziative,a livello comunitario, tese alla tutela dell’ambientenaturale che meritano di essere ricordate e sono: il pro-gramma “Per uno sviluppo durevole e sostenibile”,meglio conosciuto come “5° Programma d’AzioneAmbientale”, approvato dal Consiglio nel 1993, che hasegnato una fase evolutiva molto significativa dellapolitica ambientale, in particolare per l’enfasi posta sul-

l’impiego di strumenti di economia di mercato permodificare i comportamenti dannosi per l’ambiente; lacreazione, nel 1990, dell’Agenzia europea per l’am-biente, che ha il compito di mettere a disposizione infor-mazioni oggettive per elaborare ed attuare politiche effi-caci di tutela dell’ambiente; il “Regolamento Life” che,istituito nel 1992, rappresenta lo strumento operativoper l’accesso ai contributi comunitari per l’applicazionedella direttiva “Habitats”.

Un ultimo cenno, e non certo per minore importan-za, va fatto allo strumento delle Convenzioni fatte tra ipaesi dell’U. E. e gli Enti internazionali. Quelle che piùpossono aiutare nel lavoro di conservazione del patri-monio naturale sono alcune mirate a tutelare particolariambienti o elementi minacciati, come la Convenzionedi Ramsar (1971), la Convenzione di Bonn (1979),quella di Berna (1979) e quella di Rio de Janeiro (1992).

Alcuni casi di studio

Prendendo spunto dalle “Direttive”, dai“Regolamenti” e dai “Programmi” già emanati dallaU.E., dalle diverse possibilità di effettuare“Convenzioni” tra stati confinanti, sono state avviateinteressanti e importanti operazioni di programmazionee di pianificazione per una corretta politica nazionale,ed internazionale, mirata alla protezione ed alla tuteladell’ambiente. L’operazione in tal senso maggiormentedegna d’attenzione risulta essere, in questo momento,proprio la creazione della Rete ecologica europea.

Mettere a confronto tali esperienze è utile per sotto-lineare alcuni elementi; pur basandosi praticamentesugli stessi principi metodologici e sugli stessi elemen-ti strutturali, risulta ovvio che essendo le realtà, fisiche,politiche, economiche e sociali, a volte molto diversetra loro, le operazioni pratiche di costruzione della retesono differenti soprattutto: nella definizione e nel rico-noscimento degli elementi, lineari e puntuali, della rete;nei rapporti che essa instaura con gli strumenti di piani-ficazione vigenti; nelle diverse opportunità, o necessità,che le nazioni hanno di lavorare rapportandosi con i“vicini” per una strategia comune. La metodologia dilavoro, invece, è comune, basandosi sempre sullavolontà di una “conservazione sistematica” dell’am-biente naturale al fine di evitate l’isolamento delle areesottoposte a tutela.

Per avere un quadro di ciò che si sta facendo, dicome lo si sta facendo e attraverso quali strumenti si stalavorando, si possono prendere in esame due casi daritenere i più esemplificativi. Il primo, quellodell’Olanda, è forse l’esperienza più avanzata e il suostudio, quindi, può dare parecchi spunti di riflessione.L’altro, quello della Spagna, o per essere più precisidella regione di Madrid, è uno di quelli dove si è comin-

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ciato a porre le basi per la creazione della rete ecologi-ca. Oltre a mostrare due esperienze ad uno stadio abba-stanza avanzato, la scelta ha anche il significato di volermostrare due ambiti notevolmente differenti per caratte-ristiche territoriali, paesaggistiche, economiche, socialie legislative.

Le principali linee della politica del governo olande-se inerente la conservazione della natura sono stateespresse nel Nature Policy Plan, piano strategico a livel-lo nazionale adottato nel 1990. L’obiettivo principale diquesto piano era di arrivare ad uno sviluppo naturalesostenibile, attraverso il mantenimento, il ripristino e losviluppo di sistemi naturali e seminaturali attraverso lacreazione di una rete ecologica nazionale (R.E.N.)22.

Le sfide principali sono quelle tese ad invertire l’an-damento del degrado e della frammentazione deglihabitats causato da influenze esterne. L’intensità dell’u-so del suolo, e in particolar modo l’uso agricolo e leinfrastrutture per il trasporto, hanno condotto ad unaerosione di tutte le aree degli habitats naturali e semina-turali, alla loro frammentazione in tante piccole unità eal loro isolamento con la creazione di ambienti ostilifrapposti o di barriere fisiche. Il risultato è che il nume-ro delle specie di popolazioni locali è diminuito e habi-tat di dimensioni contenute risultano più vulnerabili.

Nel delineare le core areas, il piano ha consideratoun certo numero di fattori come, ad esempio, la dimen-sione. Inizialmente sono state inglobate quelle aree diinteresse nazionale e internazionale per la conservazio-ne che avessero una dimensione di almeno 500 ettari,precisando poi che, qualora si tratti di aree di altissimovalore, sarebbe stata sufficiente anche la metà. Sonostate inserite, come core areas, le foreste, le valli flu-viali, le zone dunali, i grandi laghi e la parte olandesedel Mare del Nord.

In Olanda, nello studio per la definizione delle coreareas, non si è esclusa a priori la presenza di “funzioninon naturali”. In un’area che presenta particolari valorinaturali, determinate funzioni, che supportino ad esem-pio l’agricoltura, la forestazione, la pesca o determinateattività ricreative, possono essere combinate in modosinergico per aumentare il valore ecologico dell’area23.A queste si è aggiunta la previsione di alcune “poten-ziali core areas” che assicurino l’integrità ecologicadella rete soprattutto dove si sono riscontrate lunghedistanze tra aree utilizzate ad esempio da alcune speciemigratorie.

Passando agli elementi lineari, la funzione di corri-doio ecologico, in Olanda, la si può riscontrare affidatasia ad interi paesaggi (le dune costiere), che alle cosid-dette stepping stones24 (le aree argillose marine nellaparte ovest del paese) o ad alcuni elementi del paesag-gio agrario (come la rete di dighe drenanti nelle zoneumide). Molti dei più importanti corridoi ecologici della

rete olandese sono localizzati nelle vaste pianure delReno e della Mosa. Inoltre questi stessi fiumi rappre-sentano il “legame” con le future reti ecologiche deglistati confinanti dato che arrivano dal Belgio o dallaGermania per andare a sfociare nel Mare del Nord.L’importanza di questi sistemi internazionali è ovvia-mente stata riconosciuta durante le fasi preparatorie perla definizione del Nature Policy Plan; durante le qualisono state effettuate particolari ed approfonditi studisulla popolazione vegetale ed animale di queste zone.

Anche se a prima vista il sistema della rete ecologi-ca nazionale adottato dal governo olandese può sem-brare uno dei migliori esempi in questo settore, non èesente da alcune critiche. Il passaggio dalla teoria allapratica non ha portato, sinora, grandi risultati. Inoltre, larete prevista dal piano rimane sempre uno strumentostrategico a livello nazionale. Non sono infatti previsti,al suo interno, strumenti attuativi; anzi è perfettamentechiaro che i dettagli sono rimandati alle scale regionalie locali. Ciò crea qualche problema nell’attuazione delsistema, in quanto i livelli locali non sembrano mostra-re la stessa sensibilità, e solerzia, che ha raggiunto illivello nazionale.

Nel secondo caso, quello della regione di Madrid inSpagna, le politiche per la conservazione hanno dovuto,e devono, fare i conti con una popolazione di cinquemilioni di persone, concentrate principalmente in città.Questo fattore, come pure quello dei sistemi di agricol-tura intensiva, gioca un delicato ruolo per la tutela del-l’acqua, dell’aria e del suolo.

Un primo tentativo di disegnare la Rete ecologicaspagnola risale al 1991 e l’elenco delle aree proposte,più di 2.000, potrebbe essere utilizzato per contribuirealla realizzazione della “Rete Natura 2000”. Di questodi studio è stato fino ad ora portato avanti, il caso dellaregione di Madrid25, puntando ad identificare gli ele-menti strutturali per la rete e le “chiavi dei processi eco-logici”, a creare la struttura legale e finanziaria per inte-grare la conservazione della natura con le attività eco-nomiche e sociali e a ottenere il supporto delle comu-nità. Molte le aree naturali nella regione, ma il pianonon propone di inserirle tutte come core areas ma diconsiderare solo quegli habitats che presentano impor-tanti processi ecologici, tutelandone i caratteri. La defi-nizione, invece, degli elementi lineari, si è basata sul-l’esistenza di una morfologia particolare, sulla estesarete dei principali fiumi e su quella delle vie utilizzatedal bestiame.

Le due esperienze appena esposte non sono, comegià detto, da considerarsi le uniche. Se si prova ad esa-minare la situazione di tutto il territorio europeo il qua-dro che viene a delinearsi mostra un certo numero di ini-ziative tendenti alla costruzione della rete ecologicanazionale. Tra gli Stati membri dell’U.E. hanno avviato

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gli studi: il Belgio, esperienza circoscritta all’area delleFiandre e dettagliatamente descritta nell’EnvironmentalPolicy Plan and the Nature Development Plan forFlanders del 1991, dove è chiaramente prevista la GreenMain Structure for Flanders, ovvero la rete ecologicaper le Fiandre; la Danimarca, dove i primi studi tesi adefinire gli elementi per la costruzione di una rete eco-logica risalgono al 1973 con l’applicazione nella regio-ne di Copenaghen cui sono seguiti quelli per altre zonecircoscritte; la Germania, con il PVB (PlannungVernetzter Biotopsysteme method) della regione rena-na, un metodo per il disegno della rete di habitat, del1989; la Grecia, attraverso la promulgazione, nel 1986,della legge sulla “Protezione dell’Ambiente”; ilPortogallo, con l’esperienza dell’Area Metropolitana diLisbona (AML) considerata “un’area unica per caratte-ri ecologici e culturali”.

Se gli Stati membri dell’U.E. per le loro politichesulla conservazione dell’ambiente naturale attraversol’uso della rete ecologica fanno ormai riferimento alladirettiva “Habitats” del 1992 ed alla dichiarazione diEeconet del 1993, da qualche anno ha preso posizioneuna scuola di pensiero che ha portato, nel 1995 a Sofia,all’estensione del desiderio di trovare una metodologiache superasse il già citato “isolamento ambientale”anche nel resto dell’Europa e portasse ad una rete “pan-europea”.

È in conseguenza alle motivazioni su esposte che nel“resto dell’Europa”, si sono avviati studi per il disegnodella rete ecologica nazionale vista con un’aperturaverso quella pan-europea. Le esperienze sono comun-que ancora una volta abbastanza limitate e riguardano:l’Estonia, che ha sviluppato un sistema teso a controbi-lanciare l’impatto delle attività umane sul territorioattraverso la creazione di “aree ecologiche compensati-ve”; la Lituania, che norma il sistema naturale comesistema di territori ecologici atti alla compensazione dautilizzare per la stabilizzazione del paesaggio; laPolonia, che ha avviato gli studi per la redazione di unPiano Nazionale della Natura (NNP) “nella cui struttu-ra trovasse posto anche la costruzione di una rete ecolo-gica nazionale lanciata verso la definizione di Eeconet”;la Slovacchia, che ha basato la sua politica sullo svilup-po di Sistemi Territoriali di Stabilità Ecologica, percreare una struttura spaziale di ecosistemi connessi incui la diversità biologica e le relazioni tra gli elementivengano protette e sviluppate per il futuro.

Un discorso a parte merita la situazione italianadove, a livello nazionale, la conservazione dell’ambien-te è uno dei compiti del Ministero dell’Ambiente. Inottemperanza alle prescrizioni dell’U. E. il Ministero haavviato politiche atte al censimento e catalogazione diaree naturali di interesse nazionale e internazionale inattuazione della direttiva “Habitats” ed in virtù delle

disposizioni della legge n.394/91, legge quadro sullearee protette, predisponendo il progetto BioItaly. Lelinee fondamentali di tale progetto hanno riguardato laraccolta, l’organizzazione e la sistematizzazione delleinformazioni sull’ambiente e in particolare sui biotopi,sugli habitat naturali e seminaturali di interesse comu-nitario al fine di indirizzare specifiche forme di tutela edi gestione degli stessi. Il progetto prevedeva due fasi dilavoro: la prima, conclusasi formalmente nel giugno del1995, con la redazione da parte delle regioni e provin-cie autonome di un primo elenco ufficiale di “Siti diInteresse Comunitario” (SIC); la seconda conclusasi,anch’essa formalmente, nel dicembre del 1997 con laredazione delle “Schede BioItaly” relative ai “Siti diImportanza Nazionale e Regionale” (SIN e SIR). Il pro-getto prevedeva, inoltre, per il 2000, la realizzazione diuna “rete di aree protette che rappresenterà un punto diriferimento di respiro comunitario”.

Essendo queste iniziative di livello nazionale ancorain itinere; non essendoci un sistematico avvio di lavoroper la costruzione di una rete ecologica nazionale;essendo, quindi, tutto affidato alla sensibilità ed allabuona volontà di singoli gruppi o delle istituzioni, alcu-ne singole esperienze risultano di enorme interesse pro-prio per la possibilità di inquadrarle con quelle avviatenel resto dell’Europa per la costruzione delle reti ecolo-giche nazionali. Una di queste è quella che si sta con-ducendo sulle aree protette dell’Appennino centrale.L’obiettivo posto è quello di perseguire la continuità ter-ritoriale delle aree protette naturali mediante la realizza-zione di biocanali che contribuirebbero a dare «una con-tinuità fisica tra le aree protette dell’Appennino con unaserie di corridoi caratterizzati da una fisionomiaambientale che, seppur generalmente meno pregevoledi quella delle core areas dei parchi, si presenta con unbuon livello di ‘naturalità’ e fornisce l’opportunità dicongiungere i parchi medesimi»26.

Particolarmente interessante, «L’esperienza di stu-dio (...) vuole costituire un contributo per affrontare l’i-neludibile problema delle reti ecologiche, utilizzandouna campionatura territoriale rappresentata da unaregione, l’Abruzzo che, per la quantità e la dislocazionedei suoi parchi, presenta alla scala regionale quelle stes-se problematiche di cui si è appena riferito a propositodel territorio europeo e che, necessariamente, vannorisolte attraverso la costruzione di tante microreti localiinterrelate»27.

Altra esperienza che, anche se in maniera differenteper scala e tipologia di piano, tende a lavorare attraver-so il “riconoscimento dell’infrastruttura ecologica delterritorio” risulta essere quella del Piano ambientale peril Parco dei Colli Euganei che si presenta come unadelle esperienze di pianificazione di parchi, in Italia, incui il modello tradizionale viene aggiornato e rivisitato

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attraverso l’applicazione dei nuovi principi che negliultimi anni governano la tutela e la conservazione dellearee naturali. Si tratta di un parco regionale non parti-colarmente esteso che soffre di una forma di soffoca-mento causata dall’urbanizzazione che si è sviluppatatutto intorno. Partendo da una “ricerca dell’identità deiluoghi” si è voluto arrivare al riconoscimento ed alladefinizione “delle unità di paesaggio in cui si articola ilpaesaggio Euganeo, intese come ambiti caratterizzati daspecifici e distintivi sistemi di relazioni visive, ecologi-che, funzionali, storiche e culturali, che conferisconoloro una precisa fisionomia ed una riconoscibile iden-tità”28. L’aspetto interessante di questa operazione èriscontrabile nello sforzo fatto per passare da “analisivalutative multidisciplinari” a “sintesi progettuali” delpiano, intendendo quindi il paesaggio come eterogeneoe come luogo di “relazioni strutturanti” e nella volontàdi evidenziare le connessioni che legano le diverse unitàattraverso un sistema di “reti ecologiche, funzionali,fruitive od organizzative”. È dichiarato allora che tra isistemi reticolari riconosciuti vi è anche quello delle retiecologiche, che sono utilizzate, potremmo dire, a piùlivelli: sia come mezzo di “connessione locale” all’in-terno del parco stesso, sia come mezzo per connettere ilparco ed i suoi elementi al territorio circostante.

La rete come strumento nella pianificazione

Leggere il territorio, analizzarne i suoi fenomeni,descrivere le relazioni che su di esso si intrecciano uti-lizzando il metodo delle reti può risultare molto effica-ce consentendo di vedere come tra gli elementi che sipossono “definire” sul territorio esistano infinite rela-zioni, spesso fonte stessa di sopravvivenza; basti pensa-re ai rapporti economici, sociali, che tra elementi sparsinel territorio vengono instaurati con processi che a voltedurano da secoli e che proprio per queste ragioni devo-no essere salvaguardati. Nel caso delle reti ecologiche sipuò affermare che inquadrare in maglie reticolari talielementi e connetterli attraverso linee che rappresenta-no le relazioni che tra essi intercorrono, o che sarebbenecessario intercorressero, risulta uno dei metodi piùefficaci.

Uno dei problemi però che non sembra ancora avertrovato soluzione è quello del passaggio della rete, eco-logica nel nostro caso, da sistema analitico a sistema diprogetto. Una sovrapposizione di strumenti, tra pianifi-cazione ordinaria e pianificazione specialistica, nongiova alla salvaguardia del territorio, poiché uno deglieffetti spesso prodotto è quello della confusione sia dicompetenze che di livelli.

In Italia certamente la situazione non è, da questopunto di vista, la migliore. Anche se da un lato la pre-senza di alcune leggi mirate a risolvere il problema della

tutela e della conservazione delle aree naturali riesce asalvaguardare una parte del territorio, studiando lemetodologie per la costruzione delle reti ecologiche si èchiaramente visto come molte altre parti del territorio,che probabilmente non rientrano nelle categorie che leleggi salvaguardano, potrebbero costituire elementi fon-damentali per tale rete.

Sino a quando il sistema delle reti ecologicherimarrà ancorato al solo campo delle analisi, prassicomunque importantissima nella fase analitica, unaparte delle sue funzioni verrà vanificata. Se infatti inquesta prima fase la sua utilità è indiscutibile non solonel censimento ma soprattutto nella fase più legata allaconcezione ecologica, cioè nel mettere in evidenza lerelazioni, ancor più necessario risulterà il metodo, nellafase di progettazione, per rafforzarle e conservarle.

Avendo stabilito che sicuramente una delle necessitàper il perseguimento di corrette politiche per la conser-vazione dell’ambiente naturale è quella della concezio-ne della pianificazione per reti, un altro fattore moltoimportante risulta questa presenza a tutti i livelli. Ilmetodo, infatti, non deve essere inteso come utile odapplicabile solo a grandi scale. Dai piccoli elementipuntuali rintracciabili negli ambienti urbani che caratte-rizzano ristretti, anche se vitali, ecosistemi ai grandisistemi naturali riconoscibili nel territorio.

In Italia, come si è precisato, la legislazione nazio-nale vigente non prevede l’uso delle reti ecologiche e lepoche esperienze fatte, o in corso, sono da considerarsicome vere e proprie sperimentazioni, senza cioè alcunpreciso riferimento normativo.

A questo punto la meta da raggiungere sembra chia-ra: trovare la giusta collocazione delle reti ecologicheall’interno degli strumenti di pianificazione previstidalla legislazione italiana di settore. E anche in questosenso, sullo sfondo di oltre venti anni di esperienze diamministrazione regionale dell’urbanistica, anni con-trassegnati da notevoli ritardi tranne rare eccezioni,rinunce e progressiva banalizzazione dei temi iniziali,diverse regioni, spinte anche dalle nuove attribuzioni dicompetenze urbanistiche/territoriali alle Province,hanno innovato, o si accingono a riformulare, le proprieleggi urbanistiche.

Emilia Romagna, Liguria, Lazio, Abruzzo,Basilicata, Toscana, costituiscono le punte avanzate diquesto processo di rinnovamento che purtroppo, però,non arriva ancora oggi a coinvolgere la tanto attesariforma urbanistica nazionale quale quadro generale diriferimento in una visione aggiornata ai disegni di rifor-ma costituzionale in corso di elaborazione che indivi-dui, in un quadro di principi e di regole, poche ma pre-cise attribuzioni legislative in via esclusiva allo Stato, epieno potere alle regioni per tutte le altre.

La necessità di una riforma delle leggi urbanistiche

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nazionale e regionali, soprattutto per cercare di porrerimedio alla dualità di percorso che pianificazioneurbanistica-territoriale e pianificazione ambientalehanno intrapreso in Italia, è inderogabile. A dire il vero,negli ultimi anni, un certo processo di “contaminazio-ne” tra i due livelli di pianificazione è avvenuto, anchese con una certa difficoltà, e non arrivando, ancora, aquella “unione” che, invece, in alcune realtà europee ègià presente. Ma è anche vero che da qualche anno sicominciano a vedere nel campo della riforma dellalegge urbanistica, nazionale e regionale, numerose pro-poste che nella loro articolazione contengono dei chia-ri riferimenti alla “questione dei sistemi ambientali”. Inquesta situazione sembrano obiettivamente più avanza-te, oltreché ovviamente più specifiche, certe leggi (e/oproposte) regionali, che non le proposte di riforma dilivello nazionale che in alcuni casi addirittura sembra-no ignorare le tematiche ambientali, mostrando arretra-tezza culturale. Nelle recenti legislazioni urbanisticheregionali una delle posizioni disciplinari che semprepiù emerge nello scenario delle innovazioni è quellache assume come centrale, nella ridefinizione del siste-ma normativo, i temi del “restauro del territorio” comericonoscimento delle identità locali, il “potenziamentodelle armature urbane minori” per costituire un sistemareticolare alternativo alle polarità metropolitane e laconseguente “ricucitura delle reti naturali” come ele-mento di sostenibilità. Sta maturando, in questi casi,una concezione forte ed unitaria del territorio, non piùcostituito in modo discontinuo di forti polarità urbane edi aree protette, ma concepito in modo relazionale conuna grande attenzione verso il riconoscimento delleindividualità e nel tentativo assai gravoso di «ricom-porre posizioni ecologiste tradizionalmente legate alvincolo con quelle rivolte alle politiche urbano-centri-che legate alle infrastrutturazioni tradizionali comebase del volano produttivo».

Un altro ambito da considerare è certamente quellodell’economia. L’individuazione delle misure econo-miche che sono necessarie per realizzare le reti ecolo-giche è strettamente legata alla natura dei presuppostigenerali posti a base delle politiche di sviluppo nazio-nale, che dovrebbero riconoscere come strategico,anche dal punto di vista economico, il ruolo dellerisorse naturali.

Nello stabilire le politiche ambientali, quindi, sarànecessario chiarire quale sia il modello di sviluppo chesi intende adottare. Nella cultura disciplinare dell’eco-nomia, diversi autori hanno sottolineato la profondadifferenza che esiste tra modelli di “crescita economi-ca”, “crescita economica sostenibile” e “svilupposostenibile”29. Questa scelta è preliminare e sarà deter-minante per qualunque azione futura, in quanto ognu-no di questi modelli considera in modo diverso le risor-

se naturali e di conseguenza rivolgerà una minore omaggiore attenzione alle questioni ambientali neimomenti di definizione degli obiettivi, delle strategie eprogrammi attuativi.

Per avere una sua validità ed efficacia la costituzio-ne del sistema delle reti ecologiche deve sì diventare,come più volte ribadito, uno degli obiettivi politicinazionali, ma all’interno di una più ampia strategia edeve, contemporaneamente essere in grado di innescareprocessi di sviluppo reale e non di pura crescita quanti-tativa attraverso il potenziamento della struttura dellerisorse ambientali e naturali. Una volta riconosciutocome obiettivo che assicura non solo la conservazionema anche una ricaduta positiva sull’economia locale enazionale, la costituzione della rete può essere integratain tutti quegli interventi operativi che ne assicurano larealizzazione.

Conclusioni

Le riflessioni che scaturiscono da quanto sinoradetto e dalla lettura dei numerosi documenti, più volterichiamati, portano a non avere più dubbi sulla neces-sità pressante di porre un rimedio al notevole degradoin cui versa il nostro ambiente perseguendo una piùvasta azione di salvaguardia dell’ambiente naturale dilivello nazionale e che faccia parte di un’unica politicaeuropea.

Sinora, infatti, analizzando le politiche per la con-servazione dell’ambiente naturale si è potuto constatareche tra quelle promosse dall’U.E., e quelle che possia-mo chiamare “politiche nazionali per l’ambiente” nonc’è stata una grande connessione. Il risultato è stato che,se a livello comunitario i principi della conservazionedell’ambiente con l’utilizzo del sistema delle reti ecolo-giche sono stati inseriti nelle politiche ambientali, ilrecepimento di questi principi sembra non decollare alivello sia nazionale che regionale. La squilibrata situa-zione che si è potuta riscontrare, rispetto a questi temi,può portare a dei disagi ancora più gravi per il futuro.Infatti se tutti gli Stati, siano essi interni che esterniall’U.E., non si affrettano ad attuare politiche di salva-guardia adeguate ai nuovi problemi che sempre piùemergono, si prospetta un futuro incerto e sicuramentecaratterizzato ancora dal “fenomeno dell’isolamento”.

Nel campo dell’ambiente naturale, infatti, non ha piùsenso parlare di conservazione di singoli elementi, di“protezione chiusa” di determinate aree, poiché soloparlando «di protezione di habitats, e non più di specie,di ecosistemi, e non più di siti, di misure internazionali,e non più di misure nazionali» si riuscirà ad operare unapolitica nuova e corretta. La politica della tutela sinoraha sempre agito con l’identificazione iniziale di un peri-metro entro il quale poi operare la conservazione. Non

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tesi

si sta affermando che non sia necessario dare una deli-mitazione agli elementi da proteggere ma, al contrario,che questa delimitazione deve essere ripensata e consi-derata come un elemento permeabile. La sopravvivenzadi queste ultime, infatti, è innegabilmente dipendentedalla possibilità, per le specie animali e vegetali che lepopolano, di poter “migrare” e “disperdersi”.

L’applicazione del metodo delle reti ecologiche,allora, diventa la soluzione al problema dell’isolamen-to ambientale, dato che con esse si può superare il pro-blema dei confini. Il “sistema dei livelli di reti” devedivenire la chiave per connettere, in maniera funzional-mente corretta, le diverse aree. In questo modo tutti glielementi trovano un posto ed un ruolo nel sistema. Unodei problemi che si è riscontrato in tale applicazione èche il recepimento da parte dei singoli governi tarda;ciò non fa altro che creare un aggravio allo stato in cuiversa l’ambiente naturale pur avendone individuatouna soluzione30.

Un’altra considerazione, come suggerito dalle diret-tive emanate dall’U.E., è la necessità di creare dei data-base sempre aggiornabili che abbiano per oggetto i sitinaturali, le specie (vegetali ed animali), e tutti gli ele-menti dell’ambiente naturale o seminaturale che com-prendano, oltre che un censimento e una quantificazio-ne in modo che i cambiamenti che subiscono nel tempopossano essere monitorati, anche lo stato di salute e lecaratteristiche ecologiche di ognuno di essi31, tutteinformazioni che andranno a formare la struttura ecolo-gica del Paese.

Una volta realizzata questa base di indagine genera-le, questo censimento dei siti naturali, del sistema idro-grafico, delle specie animali e vegetali, dei loro habitat,del sistema degli ecosistemi, distinguendo come le stes-se direttive comunitarie impongono quelle di importan-za internazionale da quelle poi di importanza nazionalee locale, si potrebbe considerare raggiunto un primosignificativo ed efficace risultato per la costruzionedella rete ecologica nazionale.

Un’altra strada da percorrere è quella di inserire que-sto sistema all’interno degli strumenti di pianificazionelavorando sul passaggio dalla teoria, che si potrebbedefinire ben chiara, alla pratica, che si è visto inveceessere ancora all’inizio.

Affinché queste operazioni possano trovare una giu-sta utilizzazione, per superare l’impasse tra fase analiti-ca e fase progettuale, è necessario che un altro impor-tante lavoro sia effettuato in ambito istituzionale.Abbiamo visto come in Italia la componente ambienta-le è entrata a far parte degli strumenti di pianificazionein tempi relativamente recenti e, cosa più importante,limitatamente ad alcune settori della pianificazione;mentre la cultura disciplinare negli ultimi anni ha senti-to la necessità di allargare il campo di applicazione della

conservazione della natura a tutti i settori ed ha indica-to le politiche ambientali come elemento base in tutti ilivelli di pianificazione.

A questo proposito una nota di merito va ad alcuneregioni dove le nuove leggi urbanistiche danno moltaimportanza all’analisi ed alla tutela dei “sistemi ecolo-gico-ambientali”. È necessario che anche le altre regio-ni avviino la revisione della propria legge urbanistica eche, nello stabilire i principi, venga inserito quello dellarete ecologica articolata sin dal livello comunale perarrivare, attraverso i livelli intermedi, al più grandesistema nazionale. È vero comunque che non basteràche il processo di cambiamento avvenga a livello regio-nale. I nuovi principi dovranno essere inseriti anche inuna nuova legge urbanistica nazionale, di cui oltretuttosi parla da anni.

La legge urbanistica nazionale, seppur limitatamen-te alla “individuazione di principi e regole generali”,dovrà dare gli indirizzi da seguire nel processo di tra-sformazione del territorio e nella sua gestione. Le pro-poste analizzate nel capitolo precedente non hanno datol’impressione che tra gli indirizzi previsti vi sia quellodella conservazione dell’ambiente attraverso un metodosistemico.

La strada da fare è “segnata”, ma sarà difficile per-correrla senza sbandamenti o deviazioni se non si lavo-rerà per cambiare la concezione della conservazione deibeni ambientali e naturali, che da tutela di elementi iso-lati diventi occasione di sviluppo teso ad ottenere una“vita migliore anche per le generazioni future”.

Note

1. Per fare qualche cenno a qualcuno dei primi è quasi un obbligo par-lare del Modello tradizionale di gerarchia urbana o C-L-B, basatosulle teorie di Christaller, che propone la “organizzazione gerarchicadel territorio sulla base di domini economici areali sempre più larghie sovrapposti tra di loro facenti capo alla città”, di Losch che vede lacittà “come aggregazione casuale di funzioni non dimensionate”, diBeckmann che alla teoria di Losch vi aggiunge la dimensione. Talemodello è un modello semplificato ed astratto, dove i problemi legatialle attività economiche vengono reputati non sovrapponibili. Oggi siha la necessità di sovrapporre di integrare il modello con altri princi-pi di organizzazione spaziale per dare ragione a nuove strutture reti-colari ed alla loro integrazione alle strutture gerarchiche preesistenti esovrapposte.2. Portata avanti inizialmente da A. Magnaghi e dal suo gruppo diricerca. Cfr. A. Magnaghi (a cura di), Il territorio dell’abitare, 1992.3. Di cui si è ampiamente occupato R. Camagni. Si veda, ad esempio,il suo intervento al Convegno Internazionale “Le aree periurbane.Verso una pianificazione ambientalmente sostenibile”, svoltosi aBologna nel marzo del 1997.4. Diceva V. Romani in un suo articolo di pochi anni fa che spesso lostudioso è indotto a “preferire il più confortante lavoro di analisi, discomposizione dei vari elementi, nell’impossibilità di controllarlicontemporaneamente; egli quindi si rifugia nell’appagante compito diclassificare, di ordinare, di approfondire i meccanismi della singola-

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rità”. Denuncia cioè uno scollamento tra pratiche analitiche e pratichepianificatorie in special modo nell’ambito degli spazi naturali, in quelpaesaggio che, abbandonata la sola concezione “crociana”, diventa«l’insieme degli elementi, delle relazioni e dei processi che costitui-scono l’ecosfera, colti nella loro unitarietà, nel loro dinamismo, nellaloro differenziazione ecologica (naturale ed antropica) che li configu-ra come un sistema complesso ed interrelato di ecosistemi, che legapassato e futuro in un solo divenire, che accoglie il singolo manufat-to e la singola aggregazione di strutture e di funzioni ecologiche».5. A proposito delle relazioni orizzontali e verticali si rinvia ai lavoridi G. Dematteis che, dal punto di vista del geografo, ha a lungo trat-tato il tema delle reti e dei rapporti che esistono tra i loro elementi. Cfr.G. Dematteis, Il progetto implicito, 1995.6. Matteo Guccione, paesaggista, lavora presso l’ANPA,Dipartimento stato dell’ambiente, prevenzione, risanamento e sistemiinformativi - Settore componenti biotiche, dove si occupa di ricercaapplicata sul tema delle reti ecologiche, coordinando gruppi di studioed organizzando workshop a livello nazionale.7. Tale disciplina, sin dagli anni ’40, anni in cui C. Troll biologo tede-sco che per primo ha adoperato il termine Landshaftöcologie, ha inte-so il paesaggio come base di coordinazione di metodi ecologici ‘presia prestito da altre discipline’per lo studio del paesaggio o, più in gene-rale, dei sistemi ambientali.8. A proposito di questa rete, definita “rete ecologica”, negli anninovanta è stata proposta una “Rete ecologica europea” sotto l’egidadell’IUCN, al fine di conservare le diversità biologiche e di protegge-re maggiormente la natura. Cfr. IPEE, Vers un réseau écologiqueeuropéen: EECONET, 1991.9. Tali “aree cuscinetto” sono assimilabili, nel caso dei parchi o dellearee naturali protette, alle “aree di protezione” che le apposite leggi,nei diversi paesi europei, istituiscono a “contornare le aree di riservaintegrale e generale”. Nel caso dell’Italia, ad esempio, la legge n.394del 6 dicembre 1991, legge quadro sulle aree protette, all’articolo 12,punto 2, lettera c) cita le aree di protezione. Interessante, inoltre, nellastessa legge è la definizione e la normativa della “aree contigue” allearee protette e contenuta all’articolo 32. Trattando infatti il problemadella perimetrazione e della gestione, viene ipotizzato anche l’even-tuale coinvolgimento delle regioni vicine qualora l’area fosse estesaad esse.10. L’idea del corridoio ecologico non è esclusivamente legata allerecenti “questioni ambientali”. Un riferimento precedente è sicura-mente quello delle greenways statunitensi, il cui ideatore vieneidentificato in P. Lewis, che già negli anni ’80 venivano sviluppateper definire l’aspetto del paesaggio naturale ed umano assumendo,a seconda dei casi, funzione di connessione di vaste aree protettema anche funzioni scenografiche, ricreative, di compensazione,turistiche.11. Robert Jongman, del WAU, Department of EnvironmentalSciences, Land use group, in Olanda, ha effettuato studi approfonditisulle reti ecologiche ed ha avuto modo di sperimentare, almeno conun’applicazione teorica, questi principi nel Nature Policy Plan, ilPiano Nazionale per la Rete ecologica olandese. Cfr. Anpa,“Workshop sulle reti ecologiche”, Sintesi dei lavori, 1997, pag. 8.12. Per fare qualche riferimento alla situazione italiana, si può vederela legge di tutela delle bellezze paesaggistiche del 1939, la legge perle zone di particolare interesse ambientale del 1985, la legge quadrosulle aree protette del 1991 a livello nazionale e le leggi regionali cheregolano la materia.13. Qui il riferimento principale appartiene all’U.E. che, oltre allasemplice definizione della rete e dei metodi di lavoro per realizzarla alivello nazionale, spinge verso una importante innovazione con lavolontà di creare la rete “Natura 2000”, definita all’art. 3 della diret-tiva CEE n.92/43 del 1992, “rete ecologica europea coerente di zonespeciali di conservazione”.

14. La rete ecologica europea prevede per il censimento delle aree dainserire nel sistema alcuni parametri tra cui il riconoscimento diun’importanza europea.15. Cfr. V. Giacomini, V. Romani, Uomini e parchi, 1985, pag.1316. Cfr. V. Giacomini, V. Romani, Uomini e parchi, 1985, pag.16.17. Tra i diversi incontri promossi per uniformare la definizione deiparchi naturali si ricordano la Conferenza di Londra del 1933, laConferenza di Washington del 1940, l’incontro di Basilea del 1946 equello di Brünnen del 1947, la Conferenza di Delhi organizzata dallaneo-nata UICN, oltre ai tentativi fatti negli anni ’70 dal Consigliod’Europa.18. Cfr.: UICN, De parcs pour la vie: des action pour les airesprotégées d’Europe, 1995, pag. 90.19. La definizione di Natura 2000 è contenuta all’art. 3 della direttiva92/43/CEE del 21 maggio 1992.20. Cfr. Ipee, Towards a European Ecological Network, 1991, pag. 28.21. La conferenza “Conserving Europe’s Natural Heritage: Towards aEuropean Ecological Network” fu organizzata dai governi olandese eungherese in collaborazione con l’IPEE.22. La rete ecologica nazionale è una rete coerente di aree, esistenti opotenziali, che sono già di importanza nazionale o internazionale, oche hanno un potenziale per arricchire questo stato attraverso il ripri-stino o lo sviluppo.23. In Olanda si è addirittura provveduto a degli incentivi per aiutarea realizzare un’agricoltura che possa adattare le pratiche tradizionalialle necessità della natura e del paesaggio, approccio già sviluppatosin dal 1975.24. Con tale termine vengono indicate zone puntuali di sosta peranimali.25. Cfr. IEEP, Towards a European Ecological Network, 1991 eCIFGB, Hacia una red ecologica de conservation en la Comunidad deMadrid, 1995.26. Cfr. B. Romano, Oltre i parchi. La rete verde regionale, 1996, pag.19.27. Cfr. B. Romano, op cit., pag. 8.28. Cfr. R. Gambino, Progetti per l’ambiente, 1996, pag. 13.29. Per crescita economica si intende “che il PNL reale pro capite staaumentando nel tempo. Ma la constatazione di tale tendenza nonimplica che la crescita sia sostenibile”. Per crescita economica soste-nibile si intende «che il PNL reale pro capite sta aumentando neltempo e l’aumento non è minacciato dall’effetto di ritorno derivantedall’impatto biofisico (inquinamento, problemi di esaurimento dellerisorse) o dall’impatto sociale (disgregazione sociale)». Per svilupposostenibile si intende “che l’utilità o il benessere pro capite ed uninsieme di indicatori di sviluppo stanno aumentando nel tempo”.30. L’attuazione della direttiva “Habitats”, ad esempio, che prevede lacostruzione di “una rete ecologica europea coerente di zone specialidi conservazione denominata Natura 2000”, da parte dell’Italia èavvenuto con un D.P.R. del settembre 1997.31. Tale operazione in Italia si è avviata con il “Programma BioItaly”che sta producendo alcuni risultati con il censimento dei “Sitid’Importanza Comunitaria”, dei “Siti d’Importanza Nazionale” e dei“Siti d’Importanza Regionale”.

Riferimenti bibliograifici

SEZIONE 1. I riferimenti bibliografici riportati in que-sta prima sezione, sono relativi a testi, articoli e docu-menti di carattere generale che, oltre ad essere servitinel costruire l’ossatura della ricerca, inquadrano piùvaste tematiche quali quelle delle aree naturali e del

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tesi

loro rapporto con il territorio, del paesaggio, dell’eco-logica e delle reti. Sono infatti citati testi che supporta-no ragionamenti e riflessioni sulle problematiche ine-renti i difficili rapporti tra ambiente-territorio-paesag-gio-tutela e alla rete come paradigma di interpretazio-ne dei fenomeni del territorio. Testi quindi i cui conte-nuti hanno contribuito a costruire una metodologia dilavoro, inducendo a sottolineare le svariate e a voltedifficili, anche perché non sempre immediate, intercon-nessioni tra i differenti campi disciplinari.

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SEZIONE 2. Se il tema delle reti naturali non può van-tare una letteratura molto vasta, ancor meno può farloquello delle reti ecologiche. Ciò è anche dovuto al fattoche sono temi su cui si dibatte, soprattutto in Italia, darelativamente poco tempo. Contenuto, allora, di questaseconda sezione di bibliografia sono non solo i relati-vamente pochi testi che documentano il dibattito sianazionale che internazionale, ma anche tutti i rapportie le pubblicazioni della Unione Europea e delle diverseassociazioni, nazionali ed internazionali, che hannoaffrontato il tema delle reti ecologiche.

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SEZIONE 3. La terza sezione è dedicata a testi e arti-coli che trattano il difficile, ma attualissimo, tema delrapporto tra la pianificazione urbanistica e le tematicheecologiche, sia nell’ambito della Unione Europea, siain quello di singole esperienze nazionali.

Aa.Va., “Progetto preliminare di riordino urbanisticoecologico per Reggio Emilia”, Parametron.196/’93.

Aa.Vv., Le aree naturali protette in Umbria a due annidalla L.R. 9/95, Quaderni Regione dell’Umbria, col-lana P.U.T. n. 3, Perugia 1997.

Albanese G., D’angelo M.E., L’urbanistica tra territo-rio e ambiente, Gangemi Editore, Roma 1992.

Bresso M., Per un’economia ecologica, NIS, Roma1993.

50

Budoni A., Ricci L., “Urbanistica ed ecologia: specifi-cità o integrazione?”, Urbanistica Informazionin.131/’93.

Campos Venuti G., “Il preliminare del Prg di ReggioEmilia: sottolineature. Una garanzia ecologicaper gli interventi urbanistica”, Urbanistican.104/’95.

Colombo G., Pagano F., Rossetti M., Codice dell’urba-nistica, nona edizione, Pirola ed., Milano 1996.

Costantino D., Carta M., Marchese R., Raccolta delleproposte di legge in materia di governo del territo-rio, IV Congresso regionale INU, Palermo 1997.

Curti Gialdino C., Il trattato di Maastricht sull’UnioneEuropea, 2 voll., Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato,Roma 1993.

Falque M. Galand A., Méthodologie de la planificationécologique, Doc. Soc. Canal de Provence 1975.

Falque M., “Pour une planification écologique”,L’irrigant, 59/’72.

Forman R. T. T., Hersperger A. M., “Ecologia del pae-saggio e pianificazione: una potente combinazione”,Urbanistica n.108/’97.

Legnani F., “La stagione sperimentale”, Urbanistican.107/’97.

Lieser P., “Gungurtel Frankfurt. Una nuova strategia ol’ultima battaglia per la natura in città?”,Urbanistica n.107/’97.

Martinez-Alier J., Economia ecologica, Garzanti,Milano 1991.

Oliva F., “L’ecopiano di Reggio Emilia”, VerdeAmbiente, V/’95.

Pagano F., “Impatto ambientale. Propensione alla rimo-zione”, Costruire n. 181/’98.

Pearce D., Markandya A., Barbier E., Progetto per unaeconomia verde, il Mulino, Bologna 1991.

Treu M.C., “Il piano di Mantova: un approccio ecologi-co”, Urbanistica n.107/’97.

SEZIONE 4. Nell’organizzazione di una bibliografiaper argomenti, si è ritenuto opportuno dedicareanche una sezione ad un nuovo strumento di studioche sempre più, oggi, può servire da supporto allaricerca: il sito Internet. Oltre alla possibilità di unaricerca di informazioni “rapida” che questo mezzooffre, nel caso specifico e in special modo per tutta laparte riguardante i casi di studio e le esperienzeeuropee, le notizie, i dati, i rimandi ritrovati sui siti,sono stati, a volte, le uniche fonti di informazionipossibili da utilizzare. Questo, sia per l’ancora limi-tato numero di testi dedicati alle reti ecologiche ealle esperienze loro collegate, sia per la possibilità,che offerto da tale strumento, di un continuo aggior-namento. I siti elencati, grazie alla loro strutturaipertestuale, danno la possibilità, dopo l’accesso, di

approfondire l’argomento creando dei collegamentilogici e dialettici.

http://www.arpnet.it/iuse, Ist. Univers. Studi Europeihttp://www.eea.dk, Agenzia Europea Ambientehttp://europa.eu.int/eurostat.html, Eurostathttp://stars.coe.fr/, Consiglio d’Europahttp://www.ecnc.nl/doc/lynx/lynxhome.html, LYNXhttp://www.ecnc.nl/doc/lynx/publications/eeco_pl.htm,

Polonia (rete ecologica)http://www.ecnc.nl/doc/lynx/publications/eeco_sk.htm,

Slovacchia (rete ecologica)http://www.ecne.nl/doc/lynx/publications/emerald.htm,

Emerald Networkhttp://Dau.Ing.Univaq.it/Reti_Ecologiche.htm, Progetto

PLANECOhttp://iridia.ulb.ac.be/Projects/biolo.html, Ricerca IRI-

DIAhttp://alt-www.uia.ac.be/u/matthys/vlina.html, Progetto

per la valutazione della funzione dei corridoihttp://www.ecnc.nl/gif/eeconet.gif, Eeconethttp://alt-www.uia.ac.be/u/matthys/vlina.html, Corridoi

ecologicihttp://europa.eu.int, Unione Europeahttp://europa.eu.int/eur-lex/it/index.html, Legislazione

europeahttp://www.ecnc.nl/doc/europe/legislat/bernconv.html,

Convenzione di Bernahttp://www.venicelagoon.com/agenda/aalborg/carta.ht

m, Carta delle Città Europee per un modello urbanosostenibile Carta di Aalborg

http://wwwbioitaly.casaccia.enea.it/natura.htm, ReteNatura 2000

http://wwwbioitaly.casaccia.enea.it/bioita.htm, ProgettoBioItaly

http://wwwbioitaly.casaccia.enea.it/life98.htm,Regolamento Life Natura

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in Folio 51n. 9, gennaio 2000

tesi

Premessa

Il contesto normativo della Regione siciliana deglianni novanta è caratterizzato dall’introduzione distrumenti parzialmente innovativi contenuti nellalegge della Regione Siciliana n. 15/’91 che si inte-grano alla legge urbanistica n. 71/’78 e di cui oggiè possibile valutare gli effetti sulle pratiche di pia-nificazione urbanistica di livello comunale. I cam-biamenti della forma del territorio pongono peròdomande a cui le nuove norme non sono in gradodi fornire risposte soddisfacenti. Vi è stato un cam-biamento dei metodi di consultazione pubblica conl’istituzione delle direttive generali (ex art. 3 dellalegge citata) di competenza del consiglio comuna-le (CC) da intendersi come avvio del processo dipiano. Influisce sull’iter del piano non solo lalegge del ‘91 ma l’insieme delle procedure previsteanche da altri provvedimenti legislativi successiviche regolano i rapporti tra amministrazione, consi-glio comunale e Regione.

La ricerca parte dall’assunto della necessità diun monitoraggio dell’attività di pianificazione nelmomento in cui dovrebbe essere possibile registra-re i tentativi di reazione alla profonda crisi socioe-conomica manifestatasi nel ‘93 e nel periodo in cuisi avvertono sempre più presenti gli effetti: i) dellasospensione dei finanziamenti straordinari dellaCassa del Mezzogiorno, ii) della presa d’atto dellacrisi reale del bilancio della Regione, iii) dellasituazione di stallo del rapporto di sussidiarietà traRegione e Comuni.

Si è voluto esaminare lo stato di attuazionedella pianificazione di ambito comunale su unaporzione di territorio regionale sufficientementeampia e dotata di caratteristiche omogenee, perpoter raffrontare i diversi comportamenti registratilocalmente rispetto ad un quadro generale confron-tabile in termini di sfondo e di orizzonte di svilup-po, comune e condivisibile. Le precedenti espe-rienze di valutazione dei piani (Bertuglia, Clarke eWilson, 1993; Erba 1979; Gabrielli, 1986, 1996;

Balducci, 1991; Faludi, 1995; Alexander e Faludi,1989; Mazza, 1994, 1997; Stanghellini, 1996;Tutino, 1986) fanno da sfondo metodologico peruna guida interna all’articolazione dei passi com-piuti durante lo studio.

La punta sud - orientale siciliana possiede lecaratteristiche di omogeneità necessarie al campio-namento di dati comparabili. Ogni esperienza dipianificazione recente viene classificata in modosemplificato secondo una griglia identificativa erelazionata nei tratti principali utilizzando unaschedatura creata appositamente per questo studio.

I casi di studio

In seguito all’esperienza della fondazione didiverse città durante la conquista spagnoladell’America Latina, nella Sicilia del ‘600 si ebbeun laboratorio di sperimentazione come estremotentativo di conservare il potere di censo delleclassi nobiliari, dopo la crisi dall’apertura deinuovi mercati oltre il Mediterraneo. Vi fu un perio-do di colonizzazione territoriale in cui si creò inSicilia la rete di città che si è mantenuta sino adoggi (Iachello e Signorelli, 1987, p. 90). A tale retesi sono sovrapposte le attuali densificazioni edili-zie sulla costa e le nebulose dell’edilizia sparsanelle regioni interne dell’isola. Queste trasforma-zioni segnano in qualche modo il percorso dellasocietà rurale siciliana: dal sei-settecento in cui siconsolida il giardino mediterraneo (Sereni, 1986,p. 266 e segg.) a quando l’unico problema sembraessere quello della produttività agricola per lasopravvivenza (Iachello e Signorelli, ib.) fino aquello, avviato negli anni ‘70, della difesa delrisparmio familiare e delle rimesse del ritornodegli emigranti investendo nell’edilizia o ricorren-do all’autocostruzione (Nocifora, 1994, p. 47) econfermando la tendenza nazionale all’abbandonoda parte del mercato immobiliare dell’ediliziaintensiva (Della Puppa, 1997).

L’area della ricerca è quella della Sicilia sud-

Lo stato della pianificazionecomunale nella Sicilia sudorientale. Bilancio di attuazionedella L.r. n.15/1991

Ferdinando Trapani

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orientale, che dal periodo arabo venne chiamatoVal di Noto, e che poi venne caratterizzata dallapresenza della Contea di Modica, (una sorta diregno autonomo dentro le Due Sicilie). La ricercaprende in esame la situazione urbanistica di 43comuni di quattro province siciliane1.

L’area della punta estrema sud-orientale dell’i-sola si presta bene all’esame dello stato di attua-zione della pianificazione di ambito comunale poi-ché costituisce una porzione di territorio sufficien-temente ampia e dotata di caratteristiche omoge-nee rispetto ad un quadro generale di sviluppo con-frontabile e di identità storico-culturale assai simi-le. Su questo sfondo si è cercato di individuare letematiche costanti che si sono delineate durante gliincontri con gli uffici tecnici.

Obiettivi dello studio

1. Verificare se le innovazioni, poche ma impor-tanti2, operate nella legge urbanistica siciliana n.15/’91, abbiano effettivamente comportato varia-zioni in positivo dei processi di formazione e nellaqualità intrinseca dei piani o se le eventuali varia-zioni sono avvenute per effetto di altri fattori;2. Esaminando un’area sub - regionale dotata dicaratteristiche storico - culturali, sociali ed econo-miche correlate, verificare se la lettura dei proces-si di pianificazione comunale (considerati nel qua-dro delle trasformazioni reali del territorio urbano,rurale e naturale) fornisce un contributo all’inqua-dramento delle strategie di area vasta.In generale la ricerca intende verificare la corret-tezza della seguente ipotesi: la pluralità delleofferte di pianificazione e locale generale ed attua-tiva rappresentate dalle leggi regionali più recentie dai piani complessi non riescono a scalfire, nonsolo dal punto di vista delle procedure, la centra-lità del piano regolatore, il suo essere indispensa-bile. Ne deriva che sarebbe necessario configurare,per la organizzazione normativa e pratica dellapianificazione locale, uno stato di perfezionamen-to graduale e continuo nella durata delle trasfor-mazioni territoriali.

Nell’analisi dei territori comunali del caso distudio è emerso il problema della riconnessione traaree costiere ed aree interne. La concentrazione dipopolazione sulla costa siciliana è un fatto recente.Solo le grandi città, che sempre si sono sentiteognuna, a turno, capitale, si sono inserite bene nelgioco dei flussi di conquista, di governo e di cul-tura nel Mediterraneo. I luoghi delle funzioni terri-toriali centrali in Sicilia sono sulla costa mentre le

Lo stato della pianificazione comunale nellaSicilia sud orientale. Bilancio di attuazionedella L.r. n.15/1991

Indice

Premessa

Cap.1 Ricominciare a far città dopo il disastro. 1.1. Il Val di Noto dopo il sisma del 16931.2. Lisbona e Pombal dopo il sisma del 17501.3. Tardobarocco a confrontoCap.2 La ricerca e i temi del piano2.1. Metodologia della ricerca2.2. Conformità: i contenuti della strumentazione urbanistica

2.2.1. Leggi regionali e problematiche del piano2.2.2. Processi di piano e d’architetture2.2.3. Il “growth management” negli Stati Uniti2.2.4. Centri storici: problematiche generali2.2.5. Centri storici: piani complessi (un caso siciliano)

2.3. Compatibilità, conoscenza e autosostenibilità2.3.1. Equità e giustizia distributiva2.3.2. Efficienza economica e piano2.3.3. Analisi, progetto e ambiente

2.4. Cultura, accumulo, comprensione e partecipazione 2.4.1. Modelli di sviluppo e diversità culturali2.4.2. Resistenze meridiane2.4.3. Partecipazione e implicazioni per il piano.

2.5. Problemi di valutazione2.5.1. Valutare i piani2.5.2. C’é un piano: è un bene o è un male?

Cap.3 L’immagine attuale della Sicilia sud-orientale3.1. Criteri di perimetrazione3.2. Immagini e mutamenti nel territorio regionaleCap.4 Conclusioni4.1. Un bilancio provvisorio della legge regionale n.15/914.2. Quale futuro senza il piano?

Schede di sintesi degli strumenti urbanistici

Allegati: Documenti relativi ai contesti sociali ed economico-produttivi dell’areain esame; problematiche di pianificazione locale siciliana e un esempiodi piano (per un centro storico) nell’area in esame.

1 - Informazioni e dati sulle aree della Sicilia sud-orientale1.1 - La provincia di Caltanissetta: il gelese1.2 - La Provincia di Ragusa (note; dati della Camera di CommercioProvinciale 1996; Bozza del Piano Territoriale Provinciale)1.3 - La provincia di Catania : il Calatino (note; Studio sul Calatinodell’Istituto di Sociologia Luigi Sturzo)1.4 - Provincia di Siracusa(Relazione consuntiva Camera di Commercio Provinciale di Siracusa,bilancio del 1996)

2 - Tipologie edilizie nel paesaggio costruito3 - Il vino4 - Il reddito prodotto dalle 103 province nel quinquennio 1991-1995(ISTITUTO TAGLIACARNE, luglio 1998)5 - Patto Territoriale per l’Occupazione “Calatino Sud Simeto”6 - Patto territoriale comprensorio Val D’Anapo7 - Circolare n°1/92 D.R.U. Direttive in ordine all’applicazione dellalegge regionale 30 aprile 1991, n.158 - Rapporto conclusivo del Consiglio Regionale dell’Urbanistica(C.R.U.) quadriennio 1994-1998)9 - Coreco - sezione centrale, decisione 4 novembre 1994: Incarico reda-zione Piano regolatore - onere superiore a 200.000 ECU; applicazionedirettiva CEE n.50/1992.10 - “Completata in sicilia la riforma delle autonomie locali” di AndreaPiraino11 - Integrazione dati sulla legge regionale urbanistica siciliana ai dati diSeassaro (1998)12 - Relazione del Piano Particolareggiato Esecutivo di Giarratana (pro-gettista Alberto Agnello)13 - Immagini

in Folio 53n. 9, gennaio 2000

tesi

aree interne, pur avendo una certa consistenzademografica e una buona offerta di beni culturali,attendono ancora una interpretazione progettualeche ne rilanci le potenzialità di sviluppo in modoalternativo rispetto alla prospettiva di aree “dipen-denti” da quelle costiere così come la tendenzadegli ultimi anni conferma pienamente.

L’analisi e le riflessioni contenute nello studiosi limitano ad una trattazione “testuale” dei dati edelle condizioni operative in cui sono maturate leesperienze di piano. Di queste ultime si presentasolo la sintesi dei materiali principali che sonoattinenti ai temi del piano e che sono state ritenuteutili per un processo di valutazione. Con ciò si sot-tolinea che scopo della ricerca non è quello di“esaminare” una quarantina di piani, né di stabili-re quale è il migliore, quello più interessante, quel-lo che rappresenta meglio di altri le contraddizionied i problemi disciplinari emergenti in Sicilia(Esposito e Di Leo, 1996) riguardo ai temi dellaprogrammazione economica (Aa.Vv., 1994;Hoffmann, 1986 a e b; Tulumello, 1995). Si è inve-ce ritenuto opportuno ed utile, al fine di esprimerein modo esauriente il contenuto tecnico a cui leriflessioni della presente dissertazione sono dedi-cate, raccogliere brani tratti o sintetizzati da alcu-ni testi tecnici relativi alla pianificazione localenell’area di studio considerata3.

Poiché non vi è certezza “scientifica” sullacompletezza dei dati visionati e soprattutto delleinterpretazioni di essi dagli attori dei piani stessi(amministratori, tecnici comunali, progettisti,rappresentanti degli enti di controllo), si è dovu-to dare preferenza ai documenti tecnico ammini-strativi che determinano la scansione dell’iter diformazione dei piani e che si arricchiscono divolta in volta dei giudizi e dei consensi da partedei rappresentanti delle utenze locali. Tali docu-menti sono le direttive generali dei consiglicomunali e le relazioni tecniche redatte dagliUTC come supporto alle prime, le delibere diapprovazione degli schemi di massima (prelimi-nari di piano) e delle prescrizioni esecutive (pianiparticolareggiati obbligatori e dimensionati perun decennio), le delibere di adozione, i pareri delConsiglio Regionale di Urbanistica (CRU4) e idecreti assessoriali.

Nel caso di piani il cui iter si è completato ilparere del CRU contiene la sintesi degli studisopra menzionati. In ogni caso gli studi vengonocomunque presi in considerazione nel caso di par-ticolari problematiche di settore.

Il metodo di analisi si attua attraverso la sche-datura dei resoconti degli incontri avuti diretta-

mente con gli uffici tecnici comunali e delle visiteai luoghi (con o senza la guida dei tecnici locali).Sono presi anche in esame i confronti con ammini-stratori e progettisti che si sono resi disponibili araccontare le loro esperienze. Il periodo di rileva-mento diretto si è concentrato nel periodo di apri-le/maggio 1998 (coincidente con il periodo pre-elettorale per i consigli provinciali e delle elezionicomunali per alcuni centri) e quindi i dati sono piùrecenti sia rispetto agli esiti della mostra AISRe(Siracusa 8/11 ottobre 1997) che della pubblica-zione dei dati contenuti nel n. 108 di Urbanistica(giugno 1997), dove viene presentato lo stato diattuazione dei piani regolatori siciliani. In que-st’ultima pubblicazione sono presentati alcunipiani e diversi resoconti su diverse aree dellaSicilia. Il bilancio che viene presentato, dato illivello regionale dello studio, è di ordine statisticoe proviene dai dati dell’Assessorato regionale alterritorio ed ambiente. Non è contenuto un panora-ma sistematico dei piani intesi come resocontodelle vicende e dei processi dei vari iter di forma-zione dei piani.

In questo lavoro si è inteso puntare, più che allainterpretazione del territorio e dei soggetti, adindividuare i nodi della legge urbanistica regiona-le in stato di continuo cambiamento dal ‘91 adoggi e delle risposte che la cultura del piano hasaputo dare di conseguenza. In questo senso laricerca sui piani del Val di Noto si pone come com-pletamento e arricchimento per la conoscenza dellivello di qualità dei processi di pianificazionelocale su una porzione “omogenea” di territorioregionale.

I contenuti delle domande standard negli incon-tri con i tecnici sono stati i seguenti: contenutodelle direttive e delle relazioni tecniche di suppor-to, approvazioni dei preliminari di piano (schemidi massima), adozioni e modifiche operate in sededi consiglio comunale e contenuto dei pareri delConsiglio Regionale di Urbanistica. Viene presavisione degli elaborati di piano, delle legende e, incaso di particolari proposte innovative (rarissime),delle norme tecniche di attuazione. Ma, in effetti,il centro degli incontri si è rivelato essere nontanto il processo di formazione di piano ma ilmodo in cui si riesce a commentarlo. Inoltre si ècercato di mettere in evidenza il quadro delle dero-ghe e degli strumenti alternativi ed integrativi checostituiscono la vera strategia di trasformazioneterritoriale in qualche modo accordata tra le partisociali e legittimata dal complesso della normativavigente. In questo senso si registra la totale assen-za di strumenti di pianificazione sovraregionale

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che non siano vetusti e consunti (piano regionaledell’Ente di Sviluppo Agricolo degli anni ‘60, delPiano Territoriale di Coordinamento Ibleo per leprovince di Siracusa, Catania e Ragusa), o chehanno valore indicativo e di mera vincolistica(Linee Guida del Piano Territoriale PaesisticoRegionale). Altri strumenti invece hanno ancoragrande importanza e condizionano fortemente losviluppo di talune aree soprattutto costiere (Pianiregolatori dei Consorzi A.S.I.) che dovrebberocambiare la loro struttura tecnico-amministrativa eche invece si comportano in modo totalmente indi-pendente dal territorio circostante e dalle stessepolitiche comunali. Infine i provvedimenti delloStato in ordine agli effetti del terremoto del 1990(il terremoto di “S.Lucia”).

Un bilancio provvisorio degli effetti della leggeregionale n. 15/91 nella Val di Noto

Gli argomenti principali che seguono sono statitoccati durante ognuno degli incontri con gli ufficitecnici, pertanto è stato possibile individuare alcu-ne costanti nelle risposte che nei comuni si sonodate in termini di piani, progetti e politiche ai temiproposti.

Partecipazione.La nuova legge regionale avrebbe dovuto rendereconto delle istanze oramai da tempo acquisite incampo disciplinare rispetto al tema della pianifica-zione partecipata (Borri, 1994), delle analisi rivol-te alla critica dell’approccio razionale al piano infunzione degli schieramenti in gioco (Crosta,1973, 1990; Balducci, 1991, 1994), delle pratichedi supporto ai dibattimenti pubblici (Wright, 1985;Susskind, Field, 1996; Volkema, 1997) ed in effet-ti qualcosa poteva cambiare con l’introduzionedelle cosiddette “direttive generali”.Lo strumento delle “direttive generali” dovevaessere l’occasione per l’attivazione del dibattitopolitico tra le parti sociali già prima dell’inizio delpiani. Inoltre la possibilità, data dalla legge, dellaredazione di una relazione tecnica da partedell’UTC, come supporto a tale processo parteci-pativo, doveva anch’esso costituire un momento incui le forze progettuali comunali potevano espri-mere meglio e più compiutamente i contenuti con-creti delle tematiche da affrontare nella redazionedel piano. Ciò che emerge nei casi esaminati è cheil documento tecnico viene quasi sempre tralascia-to dai Consigli Comunali. Cosa che invece nonsuccede quando vengono istituiti gli uffici dipiano. La circolare esplicativa n°1/92 chiarisce che

prima della formulazione della delibera delle diret-tive è opportuno sentire le categorie sociali e sta-bilire un rapporto fitto di dibattito intorno alle que-stioni generali che poi finiscono per essere il docu-mento a cui il progettista deve obbligatoriamenteattenersi pena la bocciatura del piano da partedello stesso Consiglio Comunale. I documentidelle direttive sono generalmente vaghi sulle que-stioni localizzative pertinenti la materia del pianomentre gli stessi rivelano una precisione, a voltesorprendente, nel proporre soluzioni e questioni sutemi che poco hanno a che fare con la materiagenerale del piano (gestione dei rifiuti urbani,gestione asili, trasporto pubblico, decoro e arredourbano, segnaletica, aumento dei posti di lavoro,ecc.). La valorizzazione e la tutela delle risorselocali ha in genere lo stesso livello di priorità dellavolontà di difendere i posti di lavoro nell’industriaedile e soprattutto nella difesa dei diritti acquisitirelativi ai piani vigenti. Generalmente pochissimointeresse viene dimostrato nei confronti delle cate-gorie deboli se non quando in tale categoria sicomprende l’intera cittadinanza. Nel documentodelle direttive, essendo documenti di natura essen-zialmente politica, possono esserci anche, e sonomolto frequenti, richieste che non possono essereaccolte dal progettista, tali sono quelle che chiedo-no direttamente o in modo velato il dimensiona-mento sproporzionato delle previsioni di espansio-ne, la “liberazione” delle case “vecchie” dai centristorici assieme alla riduzione o al non ampliamen-to del perimetro di zona “A”. Dopo il primo perio-do successivo alla legge del ‘91 si riscontra unacerta burocratizzazione o una sottomissione di taleatto cogente alle regole dei partiti e delle fazioniportatrici di interessi privati. Ciò è dovuto al fattoche a livello locale non vi è alcuna abitudine a tro-vare consenso su argomenti di interesse generale econdividendo l’obiettivo del bene comune.5

Previsioni di espansione.La maggioranza dei piani contengono previsioni diespansione in tutte le direzioni dello spazio circo-stante i nuclei urbani (specialmente dopo le modi-fiche richieste e ottenute da parte dei ConsigliComunali);

Studi di settore complementari.Non ci sono esempi (tranne Siracusa) di affianca-mento di studi propedeutici alla stesura dei pianiaffidati a specialisti di settore (ancora una volta aSiracusa invece è presente uno studio del CRE-SME sulla situazione immobiliare urbana);

in Folio 55n. 9, gennaio 2000

tesi

Qualità della rappresentazione del piano e diffu-sione dei dati.Solo in alcuni casi si sperimenta l’innovazionedella rappresentazione grafica del piano (SdM diCaltagirone, Ragusa, Comiso, Palazzolo Acreide eSiracusa) e in nessun caso ci si giova delle retitelematiche per la partecipazione dei cittadini(unico caso a Ragusa e solo per il piano del centrostorico).

Centri storici.Riguardo alle politiche di recupero dei centri stori-ci si può facilmente fare un bilancio sulle unicherealtà cogenti in termini di cantieri aperti e di areeed edifici effettivamente recuperati: tutto sembradipendere più da leggi speciali che da piani veri epropri. Tali leggi sono quelle per Ortigia, per Ibla,per la frana di Niscemi (che finora ha avuto comeeffetto tangibile quello di aver potenziato le strut-ture tecniche dell’Amministrazione comunale) esoprattutto del terremoto “di S. Lucia” del 1990che ha finanziato progetti pubblici e privati direcupero per le province di Catania, Ragusa eSiracusa.

Vincoli.Molti piani contengono le informazioni di rito perla vincolistica; ma pochi riescono a rappresentarliin uno alle previsioni di destinazione d’uso. Soloalcuni riescono a interpretare i vincoli (soprattuttoquelli che rientrano “nella Galasso”) in opportu-nità di disegno e di pianificazione per i piano.

Infrastrutture per la produzione artigianale/ indu-striale e servizi per le imprese.Rispetto alle risorse economico-produttive risaltail grande dibattito intorno ai patti territoriali (PT).Si è messo in secondo piano, volutamente, che nes-sun progetto, anche se inserito nei PT, potrà essereportato avanti senza la presenza di uno strumentourbanistico vigente, non essendo sufficiente infat-ti, la richiesta di una variante. Questa, assieme airitardi ed alle inadempienze dello Stato, è stata unasgradita sorpresa per molti che avevano puntato sutale opportunità per ottenere i finanziamenti neces-sari all’avvio di molte iniziative produttive.

Viabilità e trasporti.L’innovazione nel campo dei trasporti è probabil-mente uno dei nodi principali dello sviluppo per larealizzazione delle infrastrutture basilari per l’in-dustria. In realtà nel Val di Noto, nonostante l’ab-bandono del ferrato, le strade, i porti e gli aeropor-ti ci sono, ma non sono affatto orientati all’inte-

grazione con il resto della regione e delMediterraneo. Non esiste l’autostrada e questo perun’area che contiene il porto di Augusta, uno deipiù importanti del Mediterraneo, è assai negativo.Le ferrovie sopportano il peso dei carichi pericolo-si attraversando anche aree urbane.

Correlazioni territoriali.Con la proposizione di questo tema si intendevadiscutere, assieme ai tecnici comunali, attorno allaquestione delle urban network (Dematteis, 1986,1989, 1996; Dematteis e Rossignolo, 1997) anchein considerazione della storia della fondazione erifondazione dei centri del Val di Noto dalla colo-nizzazione di fine cinquecento sino agli esiti suc-cessivi alla catastrofe del 1693. Si può subitointuire che né i piani, né le politiche comunali,tranne per i grandi centri e qualche realtà locale(Scordia), tengono conto di questa possibile aper-tura alla rete di collaborazione tra comuni per ilraggiungimento di obiettivi condivisi. Dal punto divista settoriale invece, al di fuori della sfera delleamministrazioni sono presenti alcune iniziativeconsortili di agriturismo, per il prodotto agricolo ezootecnico tipico. Ben poco si fa per la viticoltura.Pochi piani tengono presente la possibilità di rela-zioni con i comuni vicini anche solo in fase anali-tica (tranne Siracusa).

Partnership comunitarie.Sembra totalmente assente la sinergia tra pianifi-cazione urbana e programmi europei. Esistonoinvece casi in cui la contestualizzazione del terri-torio rurale in termini di agriturismo ha permessola sperimentazione di programmi di investimentostrutturali comunitari6 totalmente al di fuori dellepratiche di piano.

Risorse culturali.Rispetto all’insieme delle risorse culturali si puòfacilmente registrare solo la preoccupazione ditipo vincolistico. Tutta la pianificazione si bloccadi fronte al tema della gestione e della mancanzareale di finanziamenti o riguardo alla problematicadel coinvolgimento diretto dei privati ad investirein questo settore assieme o in sostituzione delloStato e della Regione.

Rischio per la qualità dell’aria.Per il rischio ambientale relativo alla qualità del-l’aria delle aree di Gela, Melilli, Priolo e comuniconfinanti (per il caso di Gela le ricadute delle pol-veri sui terreni agricoli di Niscemi costituisconoun gravissimo problema) non vi è alcuna azione o

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programma di piano perché il tema viene solita-mente messo sotto l’attenzione di tipo giudiziario.Solitamente l’inquinamento dell’aria non è unadelle componenti ambientali di cui la pianificazio-ne ordinaria si fa carico essendo materia inerentesoltanto alle perizie di settore. È di grande impor-tanza la presenza di un piano di riqualificazioneambientale del Ministero della Protezione Civileper le aree di grande rischio ambientale. In talepiano era previsto il finanziamento di diverseopere per ovviare ai problemi delle vie di fuga e diminimizzazione degli impatti ambientali (compre-si quelli per il miglioramento del livello della qua-lità ambiente urbano. Anche il suolo è fatto ogget-to di impatti gravi alla stessa stregua delle areeindustrializzate o di agricoltura non biologica delnord del paese. A questo proposito in nessun piano,o meglio in alcun comune tra quelli considerati, siscorgono cenni di politiche finalizzate a tal fine.Esiste però un notevole dibattito sul tema dell’a-gricoltura biologica anche per la grande importan-za che in questa area ha sempre avuto la zootecniae più di recente la viticoltura.

Rischio idrogeologico.Gli studi geologici generali, gli approfondimentinecessari per la redazione dei piani particolareg-giati, il parere del Genio Civile reso ai sensi del-l’art. 13 della L. 64/’74 e il parere del CRU, costi-tuiscono l’unico sistema di controllo della compa-tibilità ambientale delle scelte di piano previsteall’interno della procedura ordinaria.Naturalmente l’introduzione dello studio agrofore-stale contribuisce in modo significativo alla cono-scenza del territorio per la tutela del suolo attra-verso la difesa delle colture esistenti, limitando ilpiù possibile i fenomeni di abbandono e indivi-duando in modo preciso la localizzazione deiboschi e delle aree idonee per la riforestazione.Tutto questo risulta del tutto insufficiente a farfronte alle problematiche riguardanti la presenzadei bacini idrici artificiali. A questo scopo vengo-no redatti dei piani da parte della Protezione Civileper la protezione delle aree abitate in caso di eson-dazioni e di manovre dello scarico di fondo deiserbatoi.

Considerazioni sui risultati delle schede e deiresoconti

Le innovazioni prodotte dalla legge n. 15/’91hanno causato un certo ritardo nella stesura deipiani perché non vi erano esperienze precedenti,ma anche adesso, che i nuovi comportamenti sono

stati messi a regime dagli apparati tecnico ammi-nistrativi, non sembra migliorare di molto lasituazione.

L’esame delle vicende singole all’interno di uncontesto territoriale omogeneo di riferimento allascala vasta in modo diretto nel contesto locale, nonlimitandosi quindi soltanto a ciò che compete alleautorità regionali o ai singoli progettisti, permetteanche di valutare come la struttura delle norme edelle azioni riguardanti il piano si relazionano o siscontrano con il resto delle tipologie di azioni cheesulano dalla sfera del piano regolatore e cheinfluiscono a vario titolo sulla effettiva trasforma-zione dello spazio della città e del territorio aper-to. I provvedimenti “straordinari” infatti incidonoprofondamente, a volte, sulla città reale, costitui-scono il supporto base delle reali politiche di tra-sformazione fisica ed anche di partecipazione econcertazione nelle città. Come pure le leggiregionali che prevedono deroghe, sanatorie e san-zioni finiscono per svuotare i piani e renderne pro-blematico il completamento dell’iter.

La legge regionale ha variato la procedura dipiano rendendola più trasparente (ma è più lentaper la verifica dei vincoli geologici e agroforesta-li) e permettendo la valutazione sia dall’esternoche dall’interno dei soggetti interessati (utenza cit-tadina, amministrazione, consiglio, Regione edegli altri enti di controllo). Ciò nonostante per-mangono le condizioni di bassa operatività in ter-mini di efficienza e qualità del piano. Infatti glielaborati di piano consegnati, nella media dei casi,sono del tutto simili a quelli dei piani precedentialla legge del ‘91. Questo vuol dire che le occasio-ni di sperimentazione offerte dalla legge non sonostate sfruttate né da parte degli autori dei piani nédai consigli comunali. Questi ultimi formulanodomande (i contenuti delle direttive generali) chesono del tutto convenzionali, frutto del lavoro diassemblee pressate delle fazioni partitiche locali.

Dal punto di vista dell’efficacia del piano non èpossibile fare un bilancio se non a distanza dimolti anni dall’effettiva conclusione/approvazionedei piani. Ma, essendo la nuova generazione deipiani del tutto simile a quella che li ha preceduti,con riferimento alla media dei casi e non solo ai“piani di autore”, considerando inoltre che le pre-visioni dei piani degli anni settanta e ottanta sistanno realizzando compiutamente proprio in que-sti ultimi anni, è possibile prevedere che gli effettidei nuovi piani saranno analoghi a quelli prece-denti fatte salve talune differenze dovute al calotendenziale delle previsioni di nuova cubaturaresidenziale e nella progressiva realizzazione dei

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servizi previsti da tempo e mai realizzati.La minore quota di espansione prevista dai

nuovi piani raffrontati con quelli precedenti èimputabile al decisivo cambiamento dell’imposta-zione valutativa dei piani da parte del CRU negliultimi anni. Tale comportamento, improntato aduna maggiore attenzione al tema del controllo deldimensionamento delle previsioni dei piani, hacercato di bloccare o di contrastare quelle logicheche la stessa Regione aveva condiviso negli annidella ripresa dal secondo dopoguerra. Allora ladomanda sociale si esprimeva con maggiore urgen-za nella mancanza di case di abitazione civile.

Le leggi regionali, senza risolvere i problemidell’appiattimento del senso dell’azione di pianoper effetto della deformazione amministrativa eburocratica, consentono almeno teoricamente uninnalzamento dell’efficienza dei piani in ragionedella loro qualità tecnica. Infatti il miglioramentodei livelli partecipativi e della diagnostica del ter-ritorio sono evidenti anche senza la revisione dellelogiche degli standard urbanistici e dello zoning7.

Quale futuro senza il piano?

“È ancora necessario oggi, di fronte a problemicosì diversi rispetto a quelli in relazione ai quali siè formata la disciplina urbanistica e la prassi dellapianificazione, utilizzare quest’ultima, i suoi stru-menti, le sue procedure? E in particolare, è ancoranecessario il piano regolatore comunale, oppure èmeglio, usciti da un’epoca, gettare via, o deposita-re in un museo, gli attrezzi a quell’epoca omoge-nei? Occorre osservare... che la pianificazione hala sua ragione di fondo in un’esigenza che ètutt’altro che scomparsa... Se le trasformazioni nonvengono governate tenendo conto dell’insieme deiloro effetti (o meglio se non si governa l’insiemedelle trasformazioni), se non si garantisce, o non sitenta di garantire, una sufficiente coerenza all’as-setto del territorio e alla sua dinamica, il risultatofinale è del tutto casuale. Più una società è com-plessa, più è dinamica più è necessario un governocoerente delle sue trasformazioni” (Salzano, 1987,p. 15 e segg.).

L’urbanista dovrebbe essere capace di incideresulla qualità della vita nell’ambiente naturale esociale di un dato territorio, in termini di realtà con-creta, e questo in base alle sue premesse di tipodisciplinare; questo è almeno quello che la gente siaspetta da lui. L’esperienza della pianificazione apartire dal secondo dopoguerra ci induce inveceverso un orientamento di giudizio che, apparente-mente, tradisce le premesse disciplinari e le attese

dei cittadini nel senso che si può ragionevolmentesostenere che i piani non determinano la città.L’idea che ci possano essere leggi che “automatica-mente” possano permettere l’attivazione dei proces-si di trasformazione urbana dovrebbe essere consi-derata illusoria non solo all’interno delle sedi scien-tifiche ed accademiche ma soprattutto nelle pratichequotidiane di pianificazione locale ordinaria.

L’applicazione del principio legale/tecnicistaproduce solo ipotesi di urbanistica, di pianificazio-ne ed anche di architettura tutte incluse nel mondo“cartaceo” che si intende a sua volta legato agliaspetti più negativi della burocrazia e del sepoltomercato degli incarichi8.

Gli abitanti hanno sempre l’ultima parola edevono continuare ad averla; il problema è che isoggetti delle azioni del piano non vogliono (nonsanno, non possono) stare solo a parlare, a riflette-re o a partecipare in modo dialettico, preferisconoreagire contro ogni ipotesi di rispetto delle regoleesterne ed invece seguono rigidamente una sorta dicodice sociale di comportamento9.

In un certo senso l’utilità del piano si individuanel grado di utilizzo delle sue previsioni (nel sensodi Faludi, 1995). Ne consegue che il piano, nonpotendo avere alcuna cogenza nei confronti deiprocessi di trasformazione d’uso del territorio emeno che mai nel recupero/variazione di destina-zione degli edifici per la finalità pubblica (com-prendendo anche la sostituzione) e questo per lanatura temporanea e non temporale del piano (inquanto proposta chiusa in una temporaneità istan-tanea rispetto ai processi di trasformazione reale),assume un ruolo di testo base per l’orientamentodelle decisioni che più da vicino tenderanno adesprimersi in termini fisici sulla città consolidata esul territorio.

Un ulteriore aspetto che influirà direttamentesul giudizio complessivo dei piani (in termini diefficacia e di efficienza10) sarà sicuramente ilgrado di immersione/partecipazione alle relazionidi area vasta.

Dall’esame comparativo delle leggi regionalirecenti ed innovative dell’impianto originario del1942 non emergono particolari differenze sostan-ziali. Le letture operate pur mirando ad evidenzia-re le innovazioni presenti nelle leggi regionali ita-liane come attestazione della volontà di abbandonodi una strumentazione inutile e dannosa e non giàdi una volontà di governo che deve perfezionarsi,attualizzarsi e che discende da un’esperienzacomunque significativa, quella della legge 1150/42che ha potuto misurare il sistema delle differenze,ovvie, delle singole regioni. Tale affermazione si

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può motivare con la difficoltà che tutte le leggiregionali dimostrano di avere nel discostarsi strut-turalmente, è il caso di dire, dalla concezione arti-colata della legge fascista.

Oltre i nominalismi e delle necessarie possibi-lità di azione, limitatamente alle differenti conte-stualizzazioni storico/culturali/economiche e socia-li, risulta difficile sostenere che la separazione del-l’unità formale del Piano Regolatore GeneraleComunale costituisca tout court un cambiamentosostanziale dell’impianto ordinativo dello strumen-to di governo delle trasformazioni territoriali delloStato. In realtà quello che cambia non è la strutturadello strumento di governo dello sviluppo (checomprende tanto la espansione di qualunque entità/impatto quanto gli strumenti complessi della con-servazione) ma il connettivo socio - economico chedentro tale ossatura transita ad ogni fase di cambia-mento della società italiana nel modo in cui il diva-rio infrastrutturale delle risorse umane, tecnologi-che e ambientali lo consente.

Quello che cambia è il meccanismo autoritarioverticale tra centro e luoghi periferici. Certamentebasta dire che non c’è più il fascismo. Cambiaanche, dappertutto ma soprattutto adesso in Sicilia,il rapporto tra potere politico rappresentativo (equindi elettorale) dei comuni rispetto alle provinceed anche, inaspettatamente, rispetto alla regione.Tali cambiamenti hanno determinato le condizioniper cui sia le regioni che le provincie, ma anche glienti statali, hanno dovuto concedere notevoliincentivi e aiuti alle necessità dei comuni.Interventi che non si esauriscono sul versante deifinanziamenti (garanzia di ritorno elettorale perqualunque finanziatore pubblico) ma soprattuttoadesso sul versante dell’autonomia. Tale autono-mia, sempre più reale e concreta, dal G7 di Napoliin poi, ha delle rifluenze non indifferenti soprattut-to sulle procedure di approvazione dei piani comu-nali che sempre di più vanno nella direzione, asse-gnata già dalla L.n.142/90, di un controllo localesempre più totale. Quello che cambia è dunque ilcriterio di responsabilizzazione delle scelte chedeve sempre più essere affidato ai soggetti reali diconsumo del piano comunale, ovvero la comunitàinsediata.

I principi del federalismo, che tardano ancora amanifestarsi in senso maturo, tendono a risolvere iproblemi economici creati dalla crisi del modellodello stato sociale ma, in effetti, generano tutta unaserie di altre domande di funzionamento, gestionee durata della programmazione economica e terri-toriale che hanno spinto le giunte regionali a prov-vedere per garantire ossigeno alle nuove esigenze

di autonomia. La questione allora è se tali spintehanno, o hanno avuto, la capacità di stravolgerel’impianto della legge urbanistica nazionale o seinvece hanno determinato delle intrusioni che allafine l’hanno migliorata ma non contraddetta.

La continuità può essere testimoniata da:1. dall’esiguità degli eventi normativi struttural-mente innovativi;2. dal mancato appoggio degli apparati economiciforti che avrebbero dovuto sostenere l’innovazionedella strumentazione, se non altro a proprio van-taggio11;3. dal mantenimento sostanziale dei livelli territo-riali di pianificazione che sono sempre gli stessi(nazionale, regionale, provinciale, intercomunale,comunale ed attuativo) che si perpetua ancoraanche, ad esempio, nella Lr. n. 5/95 della Toscana;4. dalla difficoltà a superare lo strumento dellazonizzazione (vedi il caso dell’Emilia Romagna);5. dalla sopravvivenza del tante volte ripudiatoconcetto di standard (vedi la “rianimazione” datadalle esperienze in Liguria);L’esame delle leggi regionali italiane mira a defi-nire i fattori che mettono in crisi l’impianto dellalegge urbanistica nazionale del ‘42. Tale valutazio-ne avviene secondo la griglia dei criteri definiticome “caratteri cardinali del sistema di pianifica-zione” che sono i seguenti:• processualità, verticale tra livelli istituzionali,orizzontale tra attori ed utenza sociale, temporaletra i diversi strumenti di pianificazione (Innes,1993);• complessità, per i temi dello sviluppo sostenibilerispetto alla globalizzazione dell’economia (cfr.Scandurra, 1995);• operabilità, necessaria per agire il territorioquando è quasi impossibile fare previsioni sulregime delle trasformazioni economico - socialifuture;• equità e giustizia, tra attori, utenti e soggetti mar-ginali (Rawls, 1982, 1994, 1995) alla vita dellacittà e del suo piano;• qualità, dell’abitare negli ambienti urbani e natu-rali; • trasparenza, delle modalità di raggiungimentodell’attuazione del piano che deve giustificarsisempre di fronte a tutti e a tutto in qualunque con-dizione di esame sfruttando i metodi di scientifi-cità della conoscenza e sapienza della comunica-zione ed informazione.

Tutto quanto detto in precedenza sostiene la tesidi base che dimostra l’impotenza della pianifica-zione locale di essere razionale, ragionevole, giu-sta e utile in assenza di una strutture di regole

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tesi

sovraordinate. In America dove viene praticato ilgrowth management (Beatley, 1984) e dove esisteuna tradizione di pianificazione comunicativa, nonsi è risparmiato di certo la parola “fallimento”soprattutto riguardo al tema del coordinamento trai livelli di governo: “The problem is that we haveno good models in practice or in literature to showus effective ways to accomplish such a complexcoordination task. There are so many actors, eachwith differing roles, objectives, powers, and per-ceptions. There is such a wide variety of environ-ments and local communities with their own spe-cial dynamics. And the coordination has to takeplace in many dimensions: vertically, among thelevels of government with responsibility forprojecting and managing particular resources orproviding certain facilities; horizontally, amongthe agencies and actors whose decisions jointlyaffect a spatial area or region; and over time, sothat development and needed services grow simul-taneously. We do have the assessments of the muchless ambitious efforts at intergovernmental coordi-nation of the late 1960s and early 1970s, but theseoffer models more of failure than of success.”(Innes, 1993).

Ciò vuol dire che la dimensione partecipativa ela autonomia compiuta dell’articolazione di gover-no degli stati federati, non bastano a dare soluzio-ni positive generalizzabili. Il trend positivo che inquell’ambiente si è ritenuto di poter individuareconsiste nell’articolazione degli strumenti, nellaflessibilità e gradualità del loro uso a seconda deicasi e del livello degli attori e degli enti socialicoinvolti o responsabili. Nemmeno questo peròbasterebbe ad illuminare di senso una situazionecome quella siciliana attuale in cui l’urbanistica -compresi gli enti chiamati al suo controllo - sem-bra spegnersi nell’indifferenza generale.L’urbanistica siciliana non è più un argomentoprincipale della politica regionale poiché gradual-mente sta uscendo dalla sfera d’influenza dellaazione redistributiva del consenso elettorale. Inassenza di soggetti privati forti e presenti legal-mente nel territorio la dimensione politica pubbli-ca sia locale che regionale, in prospettiva, non puògestire più alcun tipo di risorsa economica ed anzitrovandosi costretta a correggere le de-regolazioniprecedenti non può ottenere né consenso né inte-resse. Allo stesso modo il piano, non essendo piùuno strumento in mano ad un potere locale indivi-duabile (forse non esiste più per l’avvento delladimensione globale delle economie e dei mercatidel lavoro) e non potendo più corrispondere ad unmodello di sviluppo eteronomo, non alimentando

più alcun interesse speculativo, non richiamandopiù persone (perché non c’è più nulla “da spartire”né posti di impiego fisso ma solo sacrifici, vincolie tasse) allora dibattere sul piano perde di sensopolitico. Il piano diventa, nella migliore delle ipo-tesi, una questione formale da confinare nell’ambi-to tecnico-amministrativo e procedurale. In altricasi, non sappiamo ancora in quale proporzionepercentuale, i nuovi piani in via di approvazionetendono ad essere bloccati fino al totale esauri-mento delle previsioni urbanistiche precedentisovradimensionate.

La conoscenza deve venire prima delle decisio-ni. Il raggiungimento di una conoscenza del terri-torio come condizione preliminare ad ogni azionedi trasformazione (dello spazio fisico, delle fun-zioni, delle risorse immateriali) è ancora oggi, inSicilia una conquista. L’aver ottenuto un quadroconoscitivo generale con la stesura delle Lineeguida del PTPR è motivo di grande conforto e disperanza per l’urbanistica in Sicilia. Ma se la pro-spettiva di un piano regionale paesistico rimanespostata in un futuro indeterminabile, assai più dif-ficile e contraddittoria appare la possibilità di unpiano urbanistico regionale di tipo ordinario.

Immaginifici al potere

È difficile pensare che la vicenda della ricostru-zione nel Val di Noto (Caracciolo,1964; Giuffrè,1979; Dufour, Raymond, 1994) dopo il sisma del1693 rispetto alla situazione dell’intera regione(Aymard, Giarrizzo, 1987), sia totalmente inin-fluente rispetto alla sua attuale vitalità economica.Conviene pensare alla forza delle immagini utiliz-zate per la costruzione di quelle città barocche eritenere che in qualche modo sia ancora possibilela capacità di immaginazione da parte dell’utenzalocale nel programmare il proprio futuro.

La pianificazione piovuta dall’alto (pensiamo aiprimi interventi per Gibellina) ha prodotto esitinegativi e da allora ad oggi il piano, anche inSicilia, può diventare processo anche grazie alle“direttive generali”. Anche se questo ultimo prov-vedimento risulta ancora bloccato e inadeguatorispetto alla pianificazione strategica già in uso intutta Europa, è uno strumento che va utilizzatoappieno per il coinvolgimento delle forze cittadineprima della stesura effettiva del piano. Dal puntodi vista dell’uso telematico, le reti civiche potreb-bero da subito essere collegate ad una finalitàurbanistica di questo tipo. Quello che serve è dareai cittadini la reale possibilità di interagire con ilpiano; poiché questo, in qualche modo, è già avve-

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nuto (in un passato storico preciso e documentato)vi è dunque il motivo per riprovare a far leva sulleforze della volontà locale, con la collaborazionestrategica di altre città prossime e/o complementa-ri12, per recuperare il tempo e gli spazi delle cittàperduti e la credibilità delle istituzioni (March,Olsen, 1992).

La lettura delle vicende dei piani serve anche aconoscere i luoghi. Ciò avviene allo stesso mododel procedimento analitico direttamente orientatoalla visione prospettica progettuale. La conoscenzadei dati viene finalizzata alla comprensione di que-sti ultimi da parte dei soggetti dell’utenza, digoverno e di controllo. Il considerare le vicendedella formazione o del blocco dei piani comunaliserve a comprendere i luoghi dal punto di vistadella reale domanda sociale ovvero del modo incui la società locale si rende padrona della rappre-sentazione del proprio futuro, del modo in cui sene rende responsabile e consapevole.

Sul finire degli interventi straordinari

L’esame degli iter dei piani della parte sud-orientale siciliana fa emergere la tendenza all’e-saurimento delle illusioni residue sul prosegui-mento dei fondi di sostegno strutturale dall’esternodella regione. È sempre più chiaro che l’unica pos-sibilità di nuove risorse economiche extra locali èaffidata ad eventi “eccezionali” come le frane ed iterremoti. In questo ci si riporta ancora alle fasidella ricostruzione del 1693. La ripresa concretadegli investimenti nei centri storici si deve soprat-tutto alle leggi straordinarie e speciali che hannosostenuto il comparto tecnico - amministrativopubblico e privato dell’indotto industriale edile. Siprende atto dello scarto in termini di efficacia, trapiani e programmi che demandano il momentodella spesa e dell’organizzazione degli investimen-ti alle attività di governo locale rispetto di altrioccasioni progettuali comprese e compresse dallepossibilità di spesa diretta di somme immediata-mente disponibili. Al momento in cui è terminatoil lavoro di studio gli effetti della pianificazionecomplessa sugli strumenti ordinari non eranoapprezzabili e quindi nelle schede non vi è tracciadi tali iniziative. Oggi la situazione è ben diversasoprattutto nelle grandi città. Tutta la costa ionicaè stata fatta rientrare in una serie di PRUSST checertamente rimetteranno in gioco questioni attese odisattese in sede di redazione degli strumenti ordi-nari di piano. Un possibile prosieguo della ricercaè rappresentato dalla possibilità di articolare leschede orientandone la struttura verso quella di un

GIS utile alla formazione di piani provinciali oaddirittura per fornire la base di conoscenza per ilpiano urbanistico regionale. Le attuali tecnologietelematiche consentono agevolmente la struttura-zione di tale strumento in senso dinamico e di reterendendo possibile uno scambio in tempo reale traattività locali e controllo della Regione. Pensiamoche qualunque obiettivo di sussidiarietà necessitadi alta capacità di flusso di informazioni e di fles-sibilità delle capacità regolative sia a livello loca-le che regionale. Un altro approfondimento deveessere fatto per la valutazione di efficacia deglistrumenti di pianificazione complessa rispetto aquella ordinaria.

I ragionamenti consolidati nella prassi dei pianitradizionali dovranno presto cambiare. Si creerà lospazio per i modi “normali” di fare i piani in cuigli uffici tecnici vengono investiti di autorità ecompetenza, in cui la Regione si attrezza non perdominare politicamente gli ambienti locali ma perfornire le basi generali della conoscenza, per darespazio di manovra alle autorità locali, per difende-re le ragioni collettive e solidali di una comunitàche, per buona volontà e suprema necessità, sirimette in cammino.

Note

1. Sono tutti i comuni delle province di Ragusa (Ispica,Vittoria, Comiso, Chiaramonte Gulfi, Ragusa, S. Croce diCamarina, Acate, Modica, Scicli, Pozzallo, Giarratana,Monterosso Almo) e Siracusa (Noto, Siracusa, Carlentini,Cassaro, Rosolini, Lentini, Francofonte, Buccheri, Buscemi,Palazzolo Acreide, Ferla, Pachino, Porto Palo, Sortino, Melilli,Priolo Gargallo, Floridia, Augusta, Avola), alcuni comuni dellaprovincia di Catania ricadenti nell'area di influenza diCaltagirone, il cosiddetto "calatino" (Caltagirone, Palagonia,Militello, Scordia, Mineo, Grammichele, Vizzini, LicodiaEubea, Mazzarrone, Ramacca) e infine alcuni dei comunicostieri della provincia di Caltanissetta (Gela, Butera, Riesi,Mazzarino e Niscemi).2. I pochi ma significativi elementi innovativi previsti dallalegge n°15/1991 e successive leggi e decreti sono: - Consegna relazione tecnica dell'ufficio tecnico (UTC) sullostato di fatto del territorio comunale al CC;- Avvio dei lavori delle commissioni consiliari e cittadine,incontri con le parti sociali propedeutici alla formazione delleDirettive Generali;- Delibera consiliare di determinazione delle Direttive Generali(art.3, comma III L.R. n.15/1991);- Consegna Schema di Massima da parte del gruppo di proget-tazione (preliminare di piano);- Delibera consiliare di determinazione sullo Schema di massi-ma (SdM) del PRG (approvazione, approvazione con richiestadi modifiche, restituzione al gruppo di progettazione) e indivi-duazione ambiti delle prescrizioni esecutive (PE) ai sensi del-l'art.2 della L.R. 27/12/78 n.71 (piani particolareggiati) relativeal fabbisogno residenziale pubblico e privato, produttivo - arti-

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tesi

gianale e turistico - ricettivo, del primo decennio (prima dellalegge n.15 era relativo ad un quinquennio);- Consegna studio geologico - tecnico ed eventualmente anchedello studio agro - forestale di dettaglio sugli ambiti delle PE;- Relazione tecnica dell'UTC (verifica di compatibilità del PRGalle Direttive Generali e alla delibera di approvazione delloSchema di Massima).All'inizio del lavoro di redazione del PRG, oltre allo studiogeologico generale ed alla cartografia devono essere presenti leDirettive Generali deliberate dal Consiglio Comunale con ilsupporto di una relazione tecnica dell'UTC, lo studio agricoloforestale esteso all'intero territorio comunale. Alla legge n. 15hanno fatto seguito la circolare esplicativa n.1/'92, il D.A.n.64/'92 che varia il disciplinare tipo regionale e vari altri prov-vedimenti in ordine agli studi geologici e agroforestali.3. Il lavoro della ricerca si è concluso con una dissertazione, unvolume che raccoglie le schede urbanistiche dei 43 comuni e larelazione sulle modalità di costruzione della scheda. Infinesono stati raccolti in allegati diversi documenti ritenuti signifi-cativi per la comprensione dello sfondo strutturale in cui i pianirecenti possono essere collocati.4. Per un esame ed un bilancio dell'attività recente del CRU siveda il contributo di Cannarozzo e Quartarone (1997).5. Sul concetto di “bene comune” in termini generali vedi Dalye Cobb (1990).6. Si veda a tal proposito l’iniziativa del consorzio per la valo-rizzazione dell’agriturismo ibleo nella provincia ragusana(Copai) in attuazione del programma Leader 2.7. Il dibattito nazionale sull'innovazione degli standard spingeper una direzione di superamento (Aa.Vv., 1998).8. Attualmente non è più possibile affidare incarichi di proget-tazione urbanistica se l'onere della parcella professionale supe-ra i 200.000 Ecu. Vedi atti del Coreco - sezione centrale, deci-sione 4 novembre 1994: Incarico redazione Piano regolatore -onere superiore a 200.000 ECU; applicazione direttiva CEEn.50/1992.9. Come dimostra il detto americano “politicians don’t act, theyreact”.10. Vi sono analogie con i concetti di efficacia e di efficienzanella teoria degli indicatori di performance e nell'analisi multi-criteri.11. “Questi sei elementi cardinali indicano come necessarie unaserie rilevante di innovazioni tali da configurare un sistema dipianificazione per alcuni aspetti radicalmente innovativorispetto ad un passato anche prossimo.” (Seassaro, 1998,pag.30)12. L'istituzione dei partenariati transnazionali provvisori tracittà di diverse regioni europee nei programmi comunitari puòessere una metodologia da applicare anche nelle pratiche ordi-narie in cui è utile la cooperazione anche senza il ricorso a fontifinanziarie esogene

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in Folio 63n. 8, luglio 1999

La sezione reti, nelle intenzioni della redazione, è unospazio dedicato a fornire, tra l’altro, informazionisulle possibilità che il mondo di Internet offre alle atti-vità di ricerca nel campo della città e del territorio.Una sorta di complemento virtuale, che intendeproiettare il lettore nelle possibilità offerte dalla rete,nella versione più concreta di quella metafora cheesercita, lo sappiamo bene, uno straordinario fascinosu coloro che si occupano di ricerca e in particolare diquella urbanistica.

In questo numero la sezione ha un’intenzione par-zialmente autoreferenziale perché intende presentare ilsito della nostra rivista che dagli inizi dell’anno è con-sultabile all’indirizzo www.unipa.it/infolio.

Le motivazioni che ci hanno indotto a mettere inInternet un sito di inFolio sono in parte le stesse chehanno condotto all’ideazione del giornale nel 1994 e inparte derivanti da alcune nuove opportunità. Se la“necessità di comunicare” sottolineata nell’editorialedel primo numero rimane del tutto invariata, tanto piùche le difficoltà di collegamento tra i Dottorati nonsembrano essersi attenuate, la dimensione assuntadalla rete negli ultimi anni e le possibilità offerte a chiè in grado di farne un uso strutturato e non dispersivofanno di Internet un’insostituibile punto di riferimentoper qualsiasi attività di ricerca.

La quasi totalità delle riviste di una certa diffusione

si sono dotate di siti molto complessi, dove è possibileeffettuare ricerche strutturate negli archivi, conoscerela programmazione tematica dei numeri, comunicarecon la redazione e, in alcuni casi, è possibile anche lalettura on-line di parte della rivista. Nel nostro caso lacostruzione di un archivio della rivista aperto alla con-sultazione su Internet, considerata la tiratura limitata ele difficoltà nel riuscire a garantirne una distribuzionecapillare, è apparsa come una delle principali neces-sità. Più che configurarsi come una vera e propria rivi-sta telematica il sito intende proporsi come uno spaziodi presentazione della versione stampata, in cui il visi-tatore possa assumere informazioni sui temi dei nume-ri già usciti e su quelli in preparazione o assumereinformazioni di più immediato interesse che la caden-za semestrale della rivista non consente di fornire tem-pestivamente. La scelta di aprire ulteriormente la rivi-sta ai dottorandi italiani offrendo uno spazio stabile perla recensione di pubblicazioni scientifiche nei campidell’urbanistica e della pianificazione, per esempio,attribuisce al sito una particolare funzione di comuni-cazione e di coordinamento che altrimenti risulterebbepiù impegnativa. Ma veniamo alla struttura del sito ealle possibilità che esso offre ai suoi visitatori.

La home page contiene la presentazione con l’indi-ce dell’ultimo numero pubblicato e da qui è possibileaccedere al resto del sito che è articolato in sei sezioni.

reti

InFolio e la rete

Ignazio Vinci

La pagina iniziale del sito con la copertina el’indice dell’ultimo numero.

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La sezione archivio contiene gli indici e gli editorialidi tutti i numeri di inFolio finora pubblicati. La pro-spettiva è di trasferirvi progressivamente parti più con-sistenti dei numeri arretrati come gli articoli che hannodestato particolare interesse o quelli dei numeri di piùdifficile reperibilità nella versione stampata. La sezio-ne news è lo spazio di più diretta comunicazione tra laredazione della rivista e i suoi lettori, con l’anticipa-zione dei contenuti dei numeri in fase di redazione, leinformazioni riguardanti convegni e seminari organiz-zati nell’ambito del Dottorato e le indicazioni per l’in-vio alla redazione di eventuali scritti o contributi per lapubblicazione. Le sezioni redazione e dottorato con-tengono alcune basilari informazioni riguardanti laredazione, con i nomi dei componenti e la possibilitàdi contattarli via e-mail, e il Dottorato inPianificazione Urbana e Territoriale delle di Palermo,Catania e Reggio Calabria che rappresenta la ‘casa’della rivista.

La sezione dove trovarlo ha un ruolo particolar-mente importante per la diffusione della rivista perchécontiene l’elenco delle biblioteche delle facoltà diarchitettura e dei dipartimenti in urbanistica e pianifi-

cazione italiani (per il momento 43) cui inFolio è statospedito e presso le quali dovrebbe essere possibile lasua consultazione.

La sezione links, infine, contiene i collegamenticon le principali riviste italiane e internazionali diurbanistica e pianificazione territoriale. Dalla paginadei links si potrà accedere direttamente alle home pagedelle riviste che, in genere, contengono gli indici, leinformazioni riguardanti i numeri arretrati, le modalitàdi acquisto e quindi può rappresentare un strumento diricerca di grande utilità nell’attività di dottorandi ericercatori.

Come per tutte le forme ipertestuali, ovviamente,l’articolazione in sezioni è una sorta di contenitore dariempire connettendone infinitamente i contenuti.L’obiettivo che abbiamo attribuito al sito, sin da que-sta configurazione iniziale, non è soltanto quello diaumentare il livello di apertura della rivista e di incre-mentare la qualità del dibattito che vi si svolge, maanche di prospettarsi come un servizio che, con l’aiu-to della rete, potrà crescere nel tempo.

La sezione dove trovarlo con l’elenco delle bibliotecheitaliane dove il giornale arriva in spedizione

La sezione links con i collegamenti alle principali rivisteitaliane e straniere in urbanistica pianificazione

in Folio 65n. 8, luglio 1999

dibattito

L'innovazione dell'azione urbanisticatra attività di ricerca e pratica profes-sionale attraverso due seminari sulrapporto tra progetto urbano earcheologia

Chiara Barattucci

Le riflessioni che seguono si riferiscono in particolare aglistudi sullo stato della ricerca in campo urbanistico in Italiae a due recenti seminari di dottorato del prof. Y. Tsiomis.

La formazione del ricercatore operante

Il territorio si trasforma attraverso molti processi e si tra-sforma anche attraverso l’azione degli urbanisti. Gli urbani-sti che modificano parti di territorio non coincidono semprecon quell’ideal-urbanista che contribuisce alla modificazionedel territorio in maniera attenta, possibile ed efficace. Questanon coincidenza viene attribuita a volte all’insufficienteriflessione di certi urbanisti e molto spesso all’inadeguatezzadi certi strumenti. La difficile gestione delle contraddizioniinsite nel rapporto tra ricerche, professioni e politiche è unadelle cause della lentezza dell’innovazione dell’urbanistica.Insuperabili sembrano spesso essere gli ostacoli che deriva-no dai tentativi di dialogo tra diverse discipline, tra politica ericerca, tra ricerca e professione o tra professione e politica.Nonostante questi difficili incontri, l’innovazione dell’azioneurbanistica deve partire dagli urbanisti stessi, attraverso undialogo con gli altri attori implicati nella trasformazione dellospazio fisico, non dimenticando che anche le politiche pub-bliche possono essere guidate sia da esemplari esperienzeprofessionali, sia dai risultati di alcune ricerche. Il ruolo dellaricerca operante in tal senso può essere proficuo. D’altrondegià G. Samonà sosteneva che il fine di ogni ricerca in urba-nistica dovesse essere operativo. L’intellettuale urbanistadeve dunque tendere verso una ricerca attiva, capace di inse-rirsi in modo propositivo nei dibattiti attuali, di comprenderetemi e parti di territorio, di immaginare le sue modificazionipertinenti e di proporre possibili innovazioni degli strumentidi intervento e delle politiche urbane. Nella formazione diquesto ricercatore operante che contribuisce all’innovazione,il ruolo dei cicli di dottorato in pianificazione urbanistica puòessere fondamentale. Il dottorato in Pianificazione Urbana eTerritoriale dell’Università di Palermo, di Catania e diReggio Calabria ha preso quest’importante direzione.Principalmente in due modi. Da una parte guidando l’orien-tamento delle ricerche, spingendoci ad associare alla ricercateorica anche proposte per l’innovazione degli sguardi edegli strumenti che modificano il territorio o esperimenti

concreti di immaginazione progettuale. Dall’altra, attraversoseminari che insegnino l’incontro tra discipline e l’intrecciotra ricerca teorica, sperimentazione progettuale e pratica pro-fessionale. Seminari di attori coinvolti nella modificazionedello spazio fisico e di studiosi di differenti discipline, costi-tuiscono una fonte di suggestioni, un’occasione di riflessio-ne e di dibattito, una guida importante nella nostra formazio-ne di ricercatori operanti per contribuire all’innovazione.

Incontro tra ricerca e professione in due seminari su pro-getto urbano e archeologia

Tra gli incontri organizzati dal dottorato in PianificazioneUrbana e Territoriale delle Università di Palermo, Catania eReggio Calabria ci sono stati quelli di Yannis Tsiomis che hauna doppia formazione di storico e di architetto ed è profes-sore all’Ecole de Paris La Villette. Come spesso accade nelcampo dell’architettura-urbanistica, è allo stesso tempo inse-gnante, ricercatore, e progettista con studi a Parigi e adAtene. Tiene distinti i ruoli, ma nutre i suoi progetti con lericerche e nelle sue ricerche entrano le esperienze professio-nali in un rapporto di reciproco stimolo e arricchimento.Quest’incontro tra ricerca, insegnamento e professione sibasa sulla consapevolezza che «se l’insegnamento di questae quella disciplina necessita di un metodo - e di una teoria-che implica della pedagogia, dall’altro lato è inconcepibileporre la domanda di come si insegna dissociandola dallaquestione di cosa si insegna. Questo incrocio diventa ancorapiù critico quando si mescola con l’apprendimento di unmestiere e ancora di più di un insegnamento che si confondecon gli interessi di una professione. Così le frontiere tra teo-ria e pratica, tra savoir e savoir-faire, ma anche tra teorie edottrine si confondono, ed è questo il caso per esempio del-l’architettura, del cinema, di tutte le arti che possono chia-marsi “sintetiche” perché necessitano della congiunzione dipiù savoir-faire per un risultato che in apparenza è unico»(Tsiomis 1993, 1, p.32).

I seminari del prof. Tsiomis si sono tenuti tra la Facoltà diArchitettura dell’Università di Catania con sede a Siracusa, eil Dipartimento Città e Territorio dell’Università di Palermo.La scelta del tema trattato, il rapporto tra progetto urbano epatrimonio, aveva già un valore propositivo per i luoghi sici-

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liani in cui si è tenuto. Si è scelto inoltre che l’incontro con idottorandi non si svolgesse solo nelle aule, ma che fossecompletato sul terreno visitando quelle parti delle città diSiracusa e di Palermo strettamente connesse con i temiaffrontati. Nel primo seminario, a Palazzo Francicanava diSiracusa, alla presenza di studenti, del soprintendente ai BeniCulturali e Ambientali di Siracusa, di alcuni dottorandi e pro-fessori, il prof. Tsiomis ha presentato il tema del progettourbano nei siti archeologici a partire dal caso specifico delsuo progetto urbano per l’Agora di Atene, la cui definizioneè portata avanti con équipes di progettisti, di archeologi,ingegneri, ecc., sotto l’egida dei Ministeri della Cultura e deiLavori Pubblici di Grecia. Due sono gli obiettivi del proget-to: la sistemazione dello spazio archeologico dell’Agorà e lasistemazione dello spazio pubblico del quartiere circostante,due parti di città adiacenti molto differenti tra loro, delle qualisono stati mostrati i caratteri. Il sito archeologico non è con-siderato un “buco” urbano destinato solo al consumo turisti-co, ma un luogo integrato con lo spazio urbano circostantegrazie all’articolazione progettuale “tra spazio-città e spazioarcheologico”, attraverso una “metodologia che interpreta letracce della storia nello spazio”, considera le attività presen-ti, procede in modo interdisciplinare e tiene conto dei diffe-renti attori coinvolti. Un progetto che si basa “sull’articola-zione di logiche e di tempi differenti e sul gestire opposizio-ni e conflitti” (tra diacronia e sincronia, tra pratiche diver-genti, tra la mescolanza funzionale esistente nel quartiere e lafalsa monofunzionalità turistica, tra i molteplici attori con leloro differenti posizioni e strategie, tra gli approcci discipli-nari differenti, tra Ministeri e Comune). «Tutti questi conflit-ti si esprimono nello spazio della città storica, il cui referen-te costante resta la topografia», la scrittura del luogo, chediventa una “topografia operativa”. È un progetto sullo spa-zio pubblico che agisce e si differenzia all’interno e all’ester-no del sito. La nozione di “limite”, come separazione e unio-ne a un tempo, dà origine ad un metodo progettuale di “vaie vieni” tra l’interno dell’Agorà e l’area limitrofa. Nel quar-tiere il progetto mantiene la mescolanza funzionale presente,lavora per la permeabilità con l’area archeologica inserendoanche edifici di ingresso o riflette sul ruolo e sull’aspetto delmarciapiede di unione-separazione tra le due parti. Il proget-to per l’Agorà è portato avanti in stretta collaborazione congli archeologi; data l’inutilità del “grande gesto architettoni-co”, le proposte architettoniche sono minimaliste, lavorandoper esempio su “percorsi pedagogici” in terra battuta di variegradazioni cromatiche per permettere la lettura dei differentispazi storici all’interno del sito.

Dopo il seminario si è svolta la visita degli scavi archeo-logici di Siracusa, per incrociare e stimolare riflessioni sulrapporto tra progetto urbano e archeologia in situazioni diGrecia e Magna Grecia.

Nel secondo seminario al Dipartimento Città e Territoriodell’Università di Palermo, la riflessione si è astratta dal pro-getto urbano in un luogo particolare, ampliandosi nell’espo-

sizione della ricerca e della metodologia. Partendo dalle suericerche sul progetto urbano in Europa, ha esposto le diffe-renti definizioni per sottolinearne l’ambiguità concettuale(progetto urbano come “disegno” subordinato al piano,come progetto sullo spazio pubblico, di riqualificazionemascherata da strategia, di strategia territoriale mascheratada progetto, progetto sui vuoti urbani, d’infrastruttura, di fasinel tempo, di articolazione tra logiche di attori). Secondo ilsuo punto di vista, il progetto urbano è una “démarchearcheologica nella logica di un futuro che invecchia bene,un’archeologia di domani”, mentre l’urbanistica è un’azione.Individuando una serie di temi, definisce il progetto urbanocome un «lavoro di articolazione tra la sincronia e la diacro-nia, tra la permanenza e la modificazione, tra l’autonomia delnostro lavoro di architetti-urbanisti e l’eteronomia» (regole dialtre discipline). “I temi della centralità, del rapporto cen-tro/periferia, della mixité, della densità, del frammento, comeanche dei referenti sociali e politici (identità, cittadinanza,uso) si possono comprendere solo attraverso il rapporto chesi stabilisce con la storia. Alle differenti percezioni (del pas-sato, della forma, ecc.), alle differenti ideologie, si aggiungo-no le differenti strategie”. In questo senso, il progetto urbano“non è un progetto di pacificazione, ma il risultato di un’al-leanza a volte precaria”. Dice inoltre che non ci si deve farealcuna illusione sul ruolo del progetto, ma sperare nel rap-porto tra Piano e Progetto. «La nozione di scala non è sol-tanto un rapporto tra progetto della città e progetto territoria-le, ma anche una presa di posizione sull’ambiente e sullacivilizzazione urbana. Il territorio non è soltanto una nozioneamministrativa o economica, ma una visione di civilizzazio-ne futura. Una visione politica».

Politica nel senso migliore, come azione urbanistica chetenga conto sia degli ideali che delle possibilità.

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in Folio 67n. 9, gennaio 2000

Innovazione nelle politiche urbane

Flavia Schiavo

Trasformazione, cambiamento, transizione sonocondizioni costanti dei sistemi urbani e territoriali.Forze numerose e contraddittorie agiscono negliambiti territoriali, fattori che sfuggono ad unacodificazione e di cui è difficile prevedere e dirige-re gli effetti; gli strumenti urbanistici devono misu-rarsi con una realtà che spesso appare costituitada frammenti, che vanno ricondotti entro un qua-dro coerente. Negli ultimi anni gli strumenti digoverno delle trasformazioni territoriali si sonomoltiplicati, sono stati introdotti e sono attualmen-te in fase di sperimentazione numerosi provvedi-menti attraverso cui attivare risorse private e pub-bliche; tali strumenti, però, sono frequentementeindirizzati verso specifici e a volte puntuali obietti-vi di sviluppo territoriale. In tal senso, pur sottoli-neandone le potenzialità progettuali innovative,espresse sia dai contenuti che a livello delle proce-dure, va evidenziato che ciò che spesso si perde divista è la restituzione dei progetti all’interno di unaunitaria visione d’insieme. Con questo numero di Infolio si inaugura una sezio-ne tesa a confrontare visioni diverse e complemen-tari, in questo caso rappresentate dall’opinione delprof. F. Indovina, docente di Analisi dei SistemiUrbani allo IUAV, e dall’architetto Roberto Giannì,dirigente del Servizio di Urbanistica del Comune diNapoli; con loro abbiamo discusso dell’innovazionenelle politiche urbane, ponendo al centro soprattut-to alcune tra le questioni relative al rapporto traprogetto di piano e strumenti innovativi.Sono stati individuati alcuni temi chiave, relativiall’argomento di dibattito, e formalizzati tre quesi-ti. Le risposte del prof. Indovina ci sono state invia-te precedute da una riflessione, che inquadra in ter-mini globali i temi trattati, e che abbiamo inseritoin apertura.

(Francesco Indovina, premessa) Che si cerchi diaggirare le vere cause della difficoltà di “governarele trasformazioni del territorio” (oggetto della pia-nificazione territoriale) attraverso l’invenzione di

“nuovi strumenti” è la dimostrazione di due feno-meni insieme gravi e comici. Il primo fa riferimento ad una sorta di fuga dallarealtà soprattutto di chi ha “responsabilità politi-che” (responsabilità di decidere) con l’attribuzionea pretesi vincoli “insopportabili” o a norme e stru-menti vecchi la responsabilità dei “disastri territo-riali”, mentre, come è noto, essi dipendono da undeficit di “volontà” di decidere. Una mancanza ali-mentata da una défaillance dell’intelligenza politicache, da una parte, pretenderebbe che ogni scelta ter-ritoriale trovasse tutti d’accordo (gli operatoriimmobiliari, le aziende di servizi, i proprietari dellearee, i comitati di cittadini e … gli elettori) e dal-l’altra parte si fonda su una discutibile interpreta-zione circa l’irragionevolezza di applicare ad una“comunità” una scelta che non condivide. A me paresi possa convenire che una comunità ha diritto acondividere un piano che disegna il suo assettofuturo, ma tale condivisione va raggiunta non tantoa livello della mediazione di tutti gli interessi(impossibile, in pratica), ma trovando un equilibriopiù avanzato di gestione delle trasformazioni. Secondo il mio punto di vista il “piano” non è altroche una “scelta politica tecnicamente assistita”,intendo dire, con questo, che il piano è la traduzio-ne della intenzionalità di chi quella determinatacittà governa, che il periodo delle “osservazioni”deve essere assunto come un momento di relazionetra il “piano” e la “comunità”, dove si confrontanole “ragioni della comunità” (che esprimono interes-si individuali o di gruppi nelle forme dovute, orga-nizzate e previste) e le “ragioni del piano” che, secorretto, interpreta la volontà politica dell’ammini-strazione. La fase delle cosiddette “osservazioni” èdi grande rilievo, non va colta come una critica(anche se questa è presente) al piano, ma come lapossibilità di riconsiderare l’articolazione degliinteressi in un confronto più ravvicinato con un pro-getto di futuro assetto della città. L’esito non puòessere né una mediazione che mette tutti d’accordo(impossibile come detto), né lo snaturamento del

dibattito

Intervista con Francesco Indovina eRoberto Giannì

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piano (si può sempre fare un piano nuovo), ma solola ricerca di un livello migliore, per efficienza edefficacia, di gestione delle trasformazioni.La cosa che più preoccupa in questo contesto è ungenerale abbassamento dell’intelligenza politicadelle amministrazioni locali e il loro rinchiudersi inun ristretta ottica localista (questo, ovviamente,accompagnata da grandi discorsi sulla globalizza-zione), esaltando gli umori più conservatori e incerti casi gretti espressi dagli interessi locali. Il secondo fa riferimento alla pigrizia intellettuale ealla carenza creativa dei “pianificatori” che, contra-riamente ad ogni evidenza, legano la loro capacitàcreativa all’assenza di vincoli, mentre, verrebbe dadire, è vero proprio il contrario. Inoltre essi metto-no in secondo piano gli strumenti in grado di garan-tire la realizzazione degli obiettivi del piano, facen-do propria una visione semplicistica del processo dipiano. Secondo tale visione il piano è di fatto solo "norma"e “vincoli”, mentre la realizzazione dei suoi obietti-vi è lasciata alla volontà indipendente e autonomadei “privati” (aventi diritto). Ma il piano non è soloquesto, o è molto poco questo; esso è un “progetto”di assetto futuro della città che va realizzato attra-verso un’articolata iniziativa pubblica (diretta, dipromozione, di sollecitazione, di finanziamento, dicontinua verifica dei processi, di capacità di dislo-care opportunamente le convenienze private, ecc.). Da questo punto di vista l’invenzione progettualenon è solo la capacità di dare forma significativa eanche simbolica al disegno (in senso specifico)della città, ma anche la capacità di individuare(inventare) i mezzi e gli strumenti attraverso i qualiquel disegno potrà realizzarsi.Ambedue si attendono dai “nuovi strumenti” lasoluzione ai loro problemi; gli uni sperano in qual-che forma di automatismo che eviti, o sposti ad altroorgano, la responsabilità delle scelte, gli altri la spe-ranza che nuove norme e strumenti risolvano il lorodeficit di impegno culturale, etico e professionale(il “progettare in pace”, che significa senza coinvol-gimenti di realizzazione). Che si tratti di una illusione lo testimonia il fattoche, con specifico riferimento all’organizzazionedel territorio, ogni “riforma” avvia immediatamentela discussione per il suo superamento.Mi pare si possa affermare che con l’eccezione dinuovi strumenti collegati a fonti di finanziamento ilgoverno delle trasformazioni del territorio sarebbestato possibile realizzare in modo efficiente ed effi-cace all’ombra della legislazione esistente. Per contrastare il degrado urbano, quello idrogeolo-gico o quello ambientale bastava e avanzava la vec-

chia legge urbanistica, ma essa andava collegata aduna cultura avanzata della qualità e dell’ambiente.Cosa c’entra la legge urbanistica e gli stessi proget-tisti con il degrado di molte periferie per assenza diservizi e di infrastrutture? Lo scempio dei centristorici sta iscritto nella legge urbanistica o nell’a-zione speculativa coperta da una specifica volontàpolitica (che si può manifestare, anche, come assen-za di volontà e di decisione)? Non sto dicendo che non manchino i piani sbagliatio fatti male, o che non sia possibile individuare pro-getti di architettura assurdi o sbagliati, non si inten-de coprire carenze tecniche, ma solo mettere le coseal loro posto e il posto giusto evidenzia una carenzadi volontà politica da una parte, un disinteresse(colpevole) per la realizzazione dall’altra parte.Quando affermo che il processo di piano è da inten-dersi come una “decisione politica tecnicamenteassistita”, tendo ad esaltare ambedue le funzioni acondizione che il “tecnicamente” non si interpreticome “tecnicismo”, ma piuttosto come apporto tec-nico di ampio spettro e finalizzato a “governare” letrasformazioni e la decisione politica non sia carat-terizzata da arbitrarietà o da effettiva indifferenzaper il futuro di una data comunità.

1) rapporto tra politiche urbane innovative e pia-nificazione tradizionaleI nuovi strumenti di intervento in ambito urba-no, che tendono a sostituirsi alla pianificazioneordinaria, vogliono porsi come mezzo il cui finesia quello di rispondere alle esigenze di innova-zione legate alle trasformazioni, economiche,sociali, ambientali. Uno degli aspetti problemati-ci sembrerebbe essere quello relativo all’assenzadi un definito rapporto tra tali strumenti e ipiani. All’interno di questo quadro problematico, chein parte ripropone una “antica” dicotomia traprogetto urbanistico e progetto per parti, qualiriflessioni si possono mettere in atto?

(f. indovina) Mi pare che la pianificazione (detta“tradizionale”) possa essere opportunamente rinno-vata non in senso di un suo depotenziamento esmembramento ma in termini di distinzione di untempo lungo e di un tempo breve. Questa mi sem-brerebbe la vera innovazione (e in questo senso sistanno muovendo, anche se in modo differenziatoalcune nuove leggi regionali). Nel quadro attuale oin quello rinnovato lungo le linee prima indicate ènecessario evitare con fermezza una scissione tra i“nuovi strumenti di intervento urbano” e la pianifi-cazione ordinaria (generale!).

in Folio 69n. 9, gennaio 2000

dibattito

Non mi pare possibile che tali strumenti di inter-vento possono operare a prescindere o in assenzadel “piano”, cioè di un disegno organico che delineiresponsabilmente il futuro di quella comunità (nonparlo di un futuro “atteso”, ma di un futuro proget-tato, con le ovvie attenzioni e la possibilità di aggiu-stamenti per raggiungere l’obiettivo). L’esistenza di un rapporto stretto tra assetto delterritorio (che comprende l’ambiente) e strutturasocio-economica ha senso se ambedue le esigenzesiano rispettate e messe in equilibrio, non il preva-ricare di una sull’altra. Così i maggiori dinamismiche oggi caratterizzano la struttura economicasicuramente pongono l’esigenza di una maggioreattenzione (che può anche identificarsi in specifi-che politiche), ma non la scissione di questi feno-meni da quelli territoriali. Del resto va sottolinea-to che una “somma” di politiche, in assenza di unquadro di insieme chiaro e tenuto in conto dallesingole politiche, non rende tutto più semplice, masoltanto inefficiente il territorio (non apro la que-stione di che cosa significhi la dizione “territorioefficiente”). Come è evidente mi pare sbagliato riproporre in ter-mini diversi la dicotomia tra piano e progetto perparti. Il “progetto” (di una parte) o la “politica” (diun segmento di attività di trasformazione) devonostare dentro un tutto, per l’ovvia considerazione cheessi traggono la loro ragione d’essere da questotutto. Non ha senso un “progetto” o una “politica”se non inserito in una prospettiva delineata di futu-ro possibile (che è diverso dal futuro probabile),infatti ciascuno di essi non è concluso in se stessoma da una parte assume ragione d’essere dal tutto edall’altra proietta i propri effetti (negativi o positi-vi) sul “resto” e tale “resto” è rilevante.

(r. giannì) Riferirsi in generale a nuovi strumenti diintervento per le politiche urbane credo che nonbasti a individuare una tipologia precisa di strumen-ti. Mi pare pertanto indispensabile definire, dal miopunto di vista, la tipologia alla quale intendo fareriferimento. Negli ultimi anni sono stati introdottinumerosi strumenti che si propongono di renderepiù rapida e efficiente l’attuazione delle decisioniurbanistiche. Essi sono molto diversi tra loro, mapossono essere ricondotti a due filoni principali,derivanti da filosofie dissimili anzi, per certi versi,contrastanti.Il primo filone riguarda gli strumenti che hannocarattere derogatorio, che cioè consentono di varia-re la disciplina urbanistica vigente con procedureaccelerate e straordinarie, per le parti in cui le opereche s’intendono realizzare non sono a essa confor-

mi. Tanto per limitarci agli esempi più noti, possia-mo citare gli accordi di programma o i programmidi riqualificazione urbana. Questi strumenti tendonoad associare gli operatori privati nella definizionedelle scelte urbanistiche consentendo se occorrederoghe alle norme urbanistiche generali: insomma,quella che è stata definita urbanistica concertata.L’idea di fondo che sottende quest’impostazione èche la formazione delle decisioni urbanistiche nonpossa essere competenza esclusiva dell’amministra-zione pubblica, dei comuni, come dice la leggeurbanistica, ma più convenientemente ed efficace-mente derivare da un accordo che l’amministrazio-ne stipula con i soggetti economici direttamenteinteressati, a cominciare dai proprietari delle aree.Si tratta di modalità operative che hanno avuto unanotevole proliferazione negli ultimi tempi, ancheperché derivano spesso da leggi di spesa, nel sensoche la loro utilizzazione conviene perché consentealle amministrazioni locali di accedere a determina-ti fondi statali. Il secondo filone riguarda invece alcuni strumenti ilcui scopo è di intervenire a valle delle decisioniurbanistiche, con modalità attuative più rapide eefficaci di quanto non abbiano dimostrato di esseregli strumenti urbanistici esecutivi tradizionali, pianiparticolareggiati e simili. In questa seconda catego-ria si può ricordare la società di trasformazioneurbana introdotta dall’art. 17 della legge 127/1997.Si tratta di strumenti che, in forme diverse si pro-pongono di associare managerialità e capitali priva-ti all’iniziativa pubblica di attuazione dei pianiurbanistici, in conformità agli stessi. Che rapporto corre tra questi nuovi strumenti urba-nistici e il piano regolatore generale previsto dallalegge urbanistica del 1942? Per quelli che possiamoricondurre al primo filone individuato, il rapporto èmolto tenue per non dire inesistente, nel senso che –in generale – tali strumenti sono scelti proprio alloscopo di eludere i vincoli delle previsioni urbanisti-che generali. Diverso è invece il caso degli stru-menti riconducibili al secondo filone per i quali lanorma obbliga invece al rispetto della normativaurbanistica generale. In ogni caso, non mi pare cheabbia rilievo la questione della dicotomia tra pianourbanistico generale e progetto per parti. Piuttostola dicotomia è tra urbanistica delle regole predeter-minate e urbanistica concertata.

2) gap esistente tra obiettivi prefigurati e risultatiottenutiI nuovi strumenti e le nuove procedure innovati-ve, almeno in teoria, si strutturano come “archi-tetture” complesse in grado di catalizzare e

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affrontare una vasta rete di problematiche,garantendo la soluzione di obiettivi di tipo socia-le, ambientale, economico. I risultati raggiuntispesso non trasmettono tali presupposti. Qualipossono essere i motivi di tale distacco, anche inconsiderazione che gli aspetti attuativi presenta-no, già nell’iter previsto, notevoli punti critici?

(f. indovina) Sarei contrario a considerare tali stru-menti come un’ ”architettura”, il che richiama unsopra e un sotto, una gerarchia, fosse solo funziona-le. Suggerirei di considerare tali strumenti per quel-lo che sono, delle opportunità di specificazione,lasciando ai singoli casi la costruzione di un’appo-sita architettura finalizzata agli scopi definiti. Come suggerito gli strumenti si presentano articola-ti e idonei (in teoria) ad affrontare obiettivi di tiposociale, economico e ambientale, ma come metterliinsieme, quali attivare, con quale priorità e pre-gnanza, costituisce l’azione di pianificazione (l’as-sistenza tecnica), e le scelte conseguenti non solonon possono prescindere dagli obiettivi generali, mada ciò che questi ultimi nel singolo ambito tende-ranno a realizzare.So di operare una semplificazione, ma ho l’impres-sione che gli insuccessi o i parziali risultati nonappartengono tanto allo strumento in sé, ma piutto-sto al suo uso e soprattutto al contesto nel quale lostrumento è inserito. Detto questo è probabile chealcuni strumenti debbano essere migliorati, ma ildiscorso allora è specifico, non generale.

(r. giannì) Credo sarebbe opportuno effettuareun’indagine seria e approfondita su quelli che, percomodità, possiamo continuare a definire nuovistrumenti di pianificazione. Fare di essi una classi-ficazione sistematica, mettere in luce le specificitàdi ognuno, verificare i campi di applicazione con-creta e trarre un bilancio dei risultati. Può essere cheio sia poco informato ma, francamente non ho noti-zia di strumenti, nella legislazione italiana, cheabbiano una struttura tanto complessa e ambiziosache gli consenta di perseguire contestualmenteobiettivi sociali, economici e ambientali. Questotema è stato effettivamente molto dibattuto, matemo che il dibattito non abbia avuto apprezzabiliricadute sul piano operativo, nel nostro paese. Nonne sono scaturiti, insomma, strumenti e praticheeffettivamente rivolte a questo scopo, mentre espe-rienze significative in questo senso sono tradizio-nalmente praticate in Germania, per quanto ne so, ein altri paesi europei. Se questa ricerca si facesse,rivelerebbe – credo – che l’unica novità rispetto allaprassi urbanistica tradizionale è rappresentata da

una crescente diffusione degli strumenti derogatoriassociati a provvedimenti di spesa. Si tratta peraltro di una pratica ultra decennale, natacome modalità eccezionale per approvare le operepubbliche, divenuta rapidamente procedura ordina-ria quando si tratta di spendere soldi pubblici (bastaricordare gli ultimi tempi della cassa per il mezzo-giorno e la ricostruzione nelle zone terremotate aNapoli e nell’Irpinia), poi proposta e riproposta, apartire dalla fine degli anni ottanta, come modalitàurbanistica alternativa, anche per mobilitare capita-li privati nella realizzazione di interventi privati: inaltri termini l’istituzionalizzazione della deroga. Si combinano in questa tendenza due diversi atteg-giamenti. Da un lato l’insofferenza per le regole, lapreferenza del mercanteggiamento politico sulleprocedure trasparenti. Dall’altro la rinuncia pregiu-diziale a una riforma, a un aggiornamento delleregole, quando esse non corrispondono più o noncorrispondono del tutto alle mutate esigenze dellasocietà. Basta vedere le vicende della nuova leggeurbanistica nazionale, che da più di dieci anni nonriesce a concludersi. O anche l’incapacità di molteregioni – per esempio la regione Campania – adotarsi di una propria legge urbanistica.Se la ricerca sui nuovi strumenti, intendo quelliderogatori, si facesse ci riserverebbe soprattutto – iocredo – interessanti sorprese sul piano dei risultaticonseguiti nel loro uso. Tanto per essere chiari, sco-priremmo che spesso i tempi impiegati non sono piùbrevi di quelli richiesti dalle procedure tradizionalie che la mobilitazione di capitali privati non sempresi è verificata nei termini auspicati.

3) ipotesi correttive della strumentazione esistentein termini di contenuti e di gestionePer governare le trasformazioni urbane è neces-

sario garantire un livello di connessione tra lescelte e le strategie di pianificazione e progetto.Tale ineludibile esigenza è ancora oggi irrisolta.Quale evoluzione è possibile prospettare al finedi attuare l’integrazione tra i diversi strumenti?

(f. indovina) Di seguito, in modo sommario, indi-cherò ipotesi correttive in senso proprio, ma soprat-tutto ipotesi di “cultura”.a) la prima questione, che a me pare fondamentale,è di trovare, come detto, il modo per distinguere iltempo lungo dal tempo breve nel governo delle tra-sformazioni territoriali. Per fare questo si possonotrovare soluzioni diverse, non ha importanza quellaadottata purché raggiunga il risultato. Tale distin-zione costituisce un elemento di minor tensione tragli interessi in campo e dall’altro permette sia una

in Folio 71

attività

n. 9, gennaio 2000

più regolare e trasparente dinamica territoriale, siauna maggiore rapidità nelle decisioni di brevetempo. b) Va assunto, mi pare un fatto di cultura e di for-mazione, che il processo di pianificazione sia piùampio della semplice predisposizione di un piano.Un piano è una parte, in certi casi molto consisten-te, del processo di pianificazione, questo deve com-prendere le articolazioni non solo settoriali ma rea-lizzatrici, cioè le politiche o gli strumenti che per-mettono di trasformare un progetto in un realtà. Sequesto presupponga delle professionalità diverse daquelle alle quali siano abituati è questione contro-versa, ma sicuramente presuppone una professiona-lità più ricca di “saperi” e in grado di affrontare intermini più ampi la questione del piano.c) Correlata al punto precedente è l’assunzione delfatto che la realizzazione dell’assetto futuro dellacittà o del territorio fa tutt’uno con la definizione ditale assetto. d) Il rapporto pubblico-privato va espunto dallaconsiderazione attuale, non si tratta di “mettereinsieme”, non si tratta di “valorizzare il privato”,non si tratta di tenere conto “delle ragioni dell’eco-nomia”, ecc., ma si tratta di creare le condizioniperché la “guida pubblica” sia credibile, efficienteed efficace e che l’attività privata trovi le sue con-venienze, magari ridisegnate, nel progetto di tra-sformazione. L’organizzazione del territorio, quindianche il suo “governo”, non può che essere una fun-zione pubblica dettata da interessi collettivi e indi-rizzata ad obiettivi esplicitati. Non si tratta di rab-bonire i privati, ma piuttosto di farli operare all’in-terno di un disegno con i margini di libertà di voltain volta definiti.e) Va lasciata una forte autonomia alle amministra-zioni di individuare, in una maglia ampia di possi-bilità, lo strumento di intervento o la politica piùopportuno. f) Un tema di grande rilievo è quello della potestàsul territorio: la questione è complessa e non privadi scogli. Oggi sul territorio insistono diversi entiterritoriali (Regioni, provincie e comuni, lo Statoper certi aspetti), senza parlare di altre potestà chehanno effetti territoriali. Questa situazione è fontedi contraddizioni, di frizioni, di conflitti e di ritardi;una gerarchia spesso non giustificata, rivendicazio-ni spesso egoistiche, ecc. A me pare che questasituazione debba essere sanata, ma non è facileinfatti: esistono livelli (i più locali) che subiscono lepiù forti pressioni di interessi (locali); si evidenzia-no difficoltà di comprensione quando si manifesta ildistacco tra una realtà e il potere decisionale; sisono manifestati casi di impossibilità di giungere ad

un decisione in presenza di più “agenti” locali dota-ti di potere (con la conseguenza che il principio disussidiarità finisce per essere un principio di accen-tramento maggiore che un centralismo manifesto);ecc.Forse la strada può essere trovata in una distinzionetra un potere territoriale e una funzione territoriale.Ma la questione è complessa.g) Infine la traduzione di un piano o di un pro-cesso di pianificazione in un processo di azioni cor-rispondenti, non si può assumere che avvenga“naturalmente” o “spontaneamente”, si tratta di unavera e propria funzione di gestione (pubblica). Siintende dire che a questa funzione pubblica (gene-rale, coordinata, di iniziativa, sollecitazione, elabo-razione, monitoraggio e controllo) devono esserededicate specifiche strutture, forze, mezzi e cultura.Senza un investimento in questa specifica attività ilpiano (bello o brutto, significativo o meno, comple-to o carente, ecc.) sarà lasciato in balia di forzeavverse e quindi …non potrà che fallire.

(r. giannì) Gli strumenti urbanistici che abbiamo adisposizione derivano, come è ben noto, dalla leggedel 1942 che si proponeva, essenzialmente se nonesclusivamente, di regolare l’espansione delle città.Oggi le esigenze sono invece radicalmente cambia-te perché la fase di crescita si è da tempo esauritapraticamente su tutto il territorio nazionale e il pro-blema all’ordine del giorno è quello della riqualifi-cazione: del conseguimento di assetti qualitativa-mente superiori del territorio urbanizzato da un latoe della tutela e valorizzazione del patrimonioambientale dall’altro. A questa modificazione noncorrisponde però un aggiornamento degli strumentidi regolazione generale e di quelli attuativi. In chedirezione dovrebbe operare la riforma? In questasede non posso che limitarmi, ovviamente, ad alcu-ni accenni.L’articolazione tra piano regolatore generale e pianiattuativi non mi sembra da discutere. Per quantoriguarda il Prg, la questione se mai è, da un lato diselezionarne attentamente i contenuti affinché silimitino alle decisioni pubbliche essenziali e, dal-l’altro lato di renderne più efficaci e celeri le proce-dure di approvazione. Il progetto di legge urbanisti-ca nazionale presentato dalla presidente della com-missione VIII ai gruppi parlamentari appare da que-sto punto di vista ampiamente condivisibile: laseparazione tra piano strutturale e piano operativoriduce le esigenze di varianti urbanistiche, al muta-re degli obiettivi di carattere operativo connessiall’alternarsi delle gestioni amministrative; l’attri-buzione del potere di approvazione ai comuni ridu-

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ce drasticamente i tempi occorrenti per giungere aquesta decisione. Più complesso appare il tema degli strumenti urba-nistici attuativi. È questo il campo in cui il passag-gio dalla fase dell’espansione a quella della riquali-ficazione pone l’esigenza di riforme più incisive,anzitutto per quanto riguarda l’efficacia e la tempe-stività degli interventi. Escludiamo gli interventi diespansione che abbiamo considerato marginale, senon esaurita del tutto in questa fase. Non ci soffer-miamo, in quest’occasione, su manutenzione erestauro del patrimonio edilizio esistente, dove peraltro le corrette metodologie della conservazioneconsentono di operare quasi dovunque con interven-ti diretti, senza dover attendere l’approvazione dipiani esecutivi. I due temi su cui è più urgente lariforma degli strumenti urbanistici esecutivi, sia alivello centrale sia regionale, sono le aree di tra-sformazione, quelle industriali ma non solo e, peraltri versi il recupero del deficit arretrato di attrez-zature e servizi.Relativamente alle aree di trasformazione, cherestano la principale risorsa per migliorare la dota-zione di servizi e formare attrezzature urbane per losviluppo, si dispone da poco della norma sullesocietà di trasformazione urbana (Stu) derivata dal-l’esempio delle Sem francesi. Essa appare come unconvincente strumento di urbanistica operativa, per-ché consente di associare capitali e conoscenze pri-vati all’attuazione delle scelte strategiche compiutedall’amministrazione pubblica. La sua utilizzazionedovrà essere però adeguatamente preparata in sededi formazione del Prg. Quale dev’essere il livello didefinizione degli strumenti urbanistici approvatiprima della costituzione della Stu? Gli operatori pri-vati che si associano alla Stu preferiscono una disci-plina di base essenziale, come abbiamo detto chedovrebbe essere quella dei nuovi Prg, per partecipa-re alla formazione del piano esecutivo? Oppure pre-feriscono indicazioni più dettagliate, alle quali siassocia tuttavia la certezza dei tempi per il rilasciodelle concessioni edilizie? Un bilancio che si dovràtrarre sui primi risultati conseguiti nell’applicazionedi questo strumento potrà fornire indicazioni utili aquesto proposito.Quanto ai servizi, il problema è prima di tutto quel-lo dei costi. Il fabbisogno arretrato che le città ere-ditano dalla fase dell’espansione è smisurato e nonpuò essere posto a carico, con modalità perequative,degli interventi di trasformazione, se non in piccolaparte. Come si fa con il resto? Resta ovviamentedecisivo il contributo pubblico che tuttavia, serestasse esclusivo, richiederebbe decenni per lacopertura del deficit. L’innovazione deve riguardare

la definizione delle modalità per associare a questeiniziative capitali e altre risorse private che, peralcuni servizi in particolare possono determinareanche effetti positivi sul piano della gestione. Sipensi alle attrezzature sportive o ai grandi parchidove l’esproprio oltre a essere impraticabile com-porterebbe l’inaccettabile conseguenza – per gliobiettivi di valorizzazione dell’ambiente - della rot-tura delle forme economiche tradizionali legateall’agricoltura.Concludendo, non vi è dubbio che l’adeguamentodella strumentazione disponibile potrebbe migliora-re sensibilmente l’efficienza e la qualità della prati-ca urbanistica. Al tempo stesso temo che il proble-ma fondamentale non sia questo ma la mancanza diuna diffusa e radicata cultura della pianificazionenell’amministrazione pubblica che dovrebbe prati-carla. Per superare quest’atteggiamento la riformapiù efficace da parte dello stato sarebbe di premiarenella distribuzione dei finanziamenti le amministra-zioni locali che fanno presto e bene i piani – per for-tuna un atteggiamento simile s’intravede nellaMerloni ter – e non quelle che si dimostrano piùbrave e veloci a derogare le norme urbanistiche.

in Folio 73n. 8, luglio 1999

The survey of our city and its region is of funda-mental importance alike in the understanding oftheir past and present, and towards the preparationof the Greater Edinburgh of the near future.

Such a survey has long been in progress, andwith stimulus to its workers in Edinburgh, and towider initiatives beyond, e.g. as nucleus of the longitinerant Cities and Town Planning Exhibition, theRegional Association, etc. Beyond the interpreta-tion of the conditions of the city of the present weseek to connect our studies of contemporary condi-

tions with their origins—local regional, and gene-ral. This inquiry requires, first, a survey of our geo-graphical environment in its fullest and deepestaspects; secondly, a survey also of the history of thecity and region, and of Scotland in particular; withgeneral history so far as bearing on this, and neces-sarily, therefore, from the earliest beginnings ofcivilisation. We are thus learning to view historynot as mere archælogy not as more annals, but asthe study of social filiation. That is, the determina-tion of the present by the past; and the tracing of

antologia

Beginnings of a Surveyof Edinburgh

Patrick Geddes

Introduzionedi Ignazio Vinci

Questo scritto compare sulla rivista TheScottish Geographical Magazine nel 1919,quando Geddes è a metà del suo decennalesoggiorno in India. È stato più volte osservatoche a seguito di quel viaggio si compie unasostanziale evoluzione dell’approccio diGeddes al planning e allo studio delle città1. InIndia egli affianca la necessità di osservazione“dal basso”, quella prodotta attraverso il con-tatto diretto con la vita pulsante delle strade edella gente, con i materiali sensibili dell’evolu-zione territoriale, accanto all’esplorazione oli-stica e aristocratica che aveva sviluppato neglianni dell’Outlook Tower ad Edimburgo e dicui questo articolo rappresenta un frammento.Seppure l’esperienza indiana pone Geddes inuna posizione ancora più critica nei confrontidi un atteggiamento distaccato dalla realtàsociale, le due forme di conoscenza non saran-no mai in alternativa e costituiranno piuttostodue momenti della cui necessità si convinceràprofondamente nei suoi, ormai pochi, anni aseguire.Il discorso di Geddes sulla conoscenza poggiasu alcuni caposaldi che converrà, seppur bre-vemente, richiamare. Il primo è il suo caratte-re processuale. La conoscenza nel significatoattribuitole da Geddes è molto vicina al meto-do scientifico utilizzato dalle giovani e con-temporanee scienze biologiche: si costruisce,in un gioco di continue interazioni, tra la ricer-ca dei caratteri dominanti (quello che, per starenella metafora organica tanto cara all’Autore,

potrebe essere il Dna territoriale) e il comples-so di trasformazioni che il processo di civiliz-zazione ha indotto sull’ambiente.L’evoluzione dello spazio fisico è dentro il ter-ritorio, non tanto nella misura in cui le tracceevolutive ne determinano meccanicamente isuoi sviluppi – visione cui Geddes, per le sua“infatuazione” evoluzionistica, poteva in qual-che modo essere affezionato – quanto nelladialettica storicizzata con le organizzazionisociali che ne hanno formato i caratteri. In que-sto senso l’attacco alla cultura positivisticadominante anche in urbanistica è tanto esplici-to quanto i richiami alla necessità di conciliza-zione tra tesi della teoria e antitesi della realtà,tra idealismo estetico e utilitarismo economicoe, spostandoci nella sua Edimburgo, tra lanecessità della storia e della natura (la conser-vazione della città medievale e la progettazio-ne della città giardino) e quella della perma-nenza della civiltà industriale.Il secondo carattere rilevante della conoscenzaè la sua utilità sociale. Il discorso geddesianosulla conoscenza non è sofisticamente autore-ferenziale né, tanto meno, produzione dei“materiali” di base per la leggittimazione diuna progettazione tecnica. Esso è piuttosto unastrategia per la crescita della civicness, l’indi-spensabile passaggio perché la pianificazione,da strumento di controllo sociale da parte delleclassi egemoni, possa diventare semplicemen-te il metodo – il migliore possibile – che lasocietà si da per organizzare la convivenzacivile, radicandone gli esiti in una dimensionestorica e culturale.È tra questi due poli, inoltre, che si sviluppa l’i-

dea geddesiana di “patrimonio territoriale”,che la lingua anglosassone, nella dialetica tra idue termini heredity ed heritage, spiegameglio di quanto potremmo noi nella nostralingua. Laddove l’heredity indica un costruttodi segni e tradizioni trasferitoci dalla storia, enella cui utilità gli attori contemporanei nonpossono che giocare un ruolo passivo, l’heri-tage è una complessa stratificazione da inter-petare in termini processuali, in cui le attribu-zioni di senso spettano a chi, in termini evolu-zionistici, è in grado di ricostruirne le trame.Geddes attribuisce questo compito al plannered assegna allo strumento della survey il com-pito di formalizzare gli aspetti più fluidi e com-plessi dell’evoluzione territoriale. La survey,nell’armamentario di Geddes, non è soltantoun elemento della triade survey-analisys-plan,ovvero l’indagine preventiva alle scelte dipiano, ma il luogo dove i tre elementi si riuni-scono, lo spazio concettuale dove l’atto dellapianificazione diventa processo circolare edove le ipotesi di partenza possono esseremesse in discussione. Nella survey Geddesrisolve la dicotomia tra conoscenza e azione,rendendo i due termini inseparabili e facendo-li confluire in una pratica interpretativa chevolge costantemente lo sguardo al progetto.

Nota1. Cfr. in particolare Ferraro G. (1998), Rieducazione

alla speranza. Patrick Geddes in India, 1914-1924,

Jaca Book, Milano; Meller H. (1990), Patrick

Geddes, Social Evolutionist and City Planner,

Routledge, London-NewYork.

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this process in the phases of transformation, pro-gressive or degenerative, which ‘our city has exhi-bited throughout its various periods—Ancient,Mediæval, Renaissance, and Industrial—with eachof these in its earlier and its later developments. Weseek thus to interpret our observation of the present,and even to discern something of the opening futu-re: for that also is already incipient, as next sea-son’s buds are already here.

Such a detailed and comprehensive survey of acity is necessarily difficult and laborious, thoughnot insuperably so; and it is therefore not surprisingthat there are students and workers in education andin the housing and town-planning movements whohesitate to undertake or oven encourage such sur-veys, lest good and urgent work be delayed. Let ushere waive this controversy; and with the series ofmaps before us ran over some of the main phases ofthe development of Edinburgh.

Recall in outline the general topography of oldEdinburgh—a great volcanic rock—the survivinglava-plug of a crater worn away by the Ice Age, andwith a long ridge or “tail” running downhilleastwards from the “crag” to low ground at the footof Salisbury Crags and Arthur’s Seat. Thus, fromthe fairly lofty Outlook Tower, almost at the apexof the ridge, we can command a view at once of therock and its huge castle to the westward, and of theold city running down the ridge to the cast. The sea-port of Leith is on the coast to northward, and theNew Town lies between; while nearer still, betwixtus and the varied facades of Princes Street, lies thevalley of the old “Nor’ Loch”, intersected longitu-dinally by the railway, and transversely by theearthen Mound with its Art Galleries, and furthereast by the North Bridge, under which lies the vaststation into which the railway line expands.Southward the city also extends for a couple ofmiles along each of the main roads to the south andsouth-west; so that the historic Castle and OldTown remain as a central head and backbone of theirregularly spread modern growth. Thus, while peo-ple still think and speak of Edinburgh mainly interms of its Mediæval and Renaissance “OldTown”, and its eighteenth-century “New Town”,the modern Edinburgh and Leith extend far aroundthese in all directions, and include a populationwhich is now nearly approaching half a million,which seems destined to considerable furtherexpansion, and which is thus in need of fuller con-sideration, economic, hygienic, and civic, than ithas yet received.

From the very outset of our survey of a city, wemust observe and understand it in its region. The

Tower overlooks the city in both its immediate andits greater landscape. The first of these ranges fromthe Pentland Hills to the Firth of Forth, and showsthe city fringed at each level with the appropriaterustic life, from the sportsman’s solitudes andpastoral hamlets of the Pentland slopes, as notablyR. L. Stevenson’s Swanston, through the agricultu-ral and the mining villages of the Lothian plain tothe characteristic fishing ones along the coast. Thusthe real country is accessible on every hand, and itsvillages are not yet the mere suburban dormitoriesinto which those around London and other greatcities have so largely become transformed. Yet thislandscape is but a fraction of the larger visiblewhole. To north and east we have the wideningestuary of the Firth of Forth, with Fife and its townsupon the opposite shore. Westward, the ForthBridge is seen overleaping the mile of the oldQueen’s Ferry; beyond this lies the old yetrenewing city of Dunfermline, extended to includeRosyth. The spacious anchorage of the Upper Forthhas also its mercantile ports. Finally, far beyondStirling, the great Highland hills rise against thesunset. Thus one readily realises the situation ofEdinburgh as making it a convenient metropolis notonly for its region but for Scotland itself.

Yet we cannot trace our Capital city from itsearly beginnings upon the castle rock withoutunderstanding it as a local hill-fort associated withseaport and agricultural plain; and as arising afterthe departure of the Romans, as a defence againstthe incursions of the Northmen.

Indeed to understand a city of this type we mustgo further afield than ever. Hence the real compari-son of Edinburgh and Athens—each plainly a bill-fort associated at once with a seaport and with anagricultural plain. This combination of anAcropolis with its Piræus and its Attica is commonthroughout Mediterranean Europe, though less fre-quent in the north; and such a threefold co-opera-tion is conducive alike to agricultural efficiency, tomaritime enterprise and commerce, and to regionalas well as civic culture. Thus we see the traditionalcomparison of Edinburgh with Athens has really lit-tle to do with our eighteenth and nineteenth centuryimitations of Greek temples or Greek sophistries,but lies far deeper, in geographical and historicalorigins.

The Roman occupation had no use forEdinburgh, though its defences and monuments arenot far to seek around. Yet at least one far older,indeed prehistoric, survival remains significantthrough the ages, and is even beginning to renew itsold-world life in these present years. Every rambler

in Folio 75n. 9, gennaio 2000

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round Arthur’s Seat must notice the long range andsuccession of prehistoric cultivation terraces whichrise like a gigantic stairway upon its gentle andsheltered eastward slope—terraces unmistakably ofthe same essential build as those which line theMediterranean coasts from Spain and Portugal toPalestine, and thence run eastward through Persiato Korea. Traces of what are plainly kindred terra-ces, and better situated ones, are still discernibleupon the southward slope of old Edinburgh; and thetraveller of historic interests need hardly be remin-ded how these old terraces have constantly furni-shed the base-line for fortress walls in the MiddleAges yet how they also developed into the statelyRenaissance terrace-gardens of the succeeding andmore pleasure-loving time. Mr. Mears’ illustrationshows these terraces taken from their immemorialpeaceful use to afford the Lines and bases for suc-cessive city walls, with at least one great defensivebastion—that of the West Bow. We find them nextbecoming built over, or, where surviving at all, lar-gely deteriorating into slum areas, sometimes evenderelict, their very ownership forgotten; yet atlength becoming once more renewed as gardens forthe people. Thus, after long ages of warlike history,our women and children are returning to their gen-tle tasks of old, their setting of herb and tending offlower. This is but a small example, yet a vital one,of the renewing modern life and use of even whatmay have been a forgotten past: in this case, thelongest forgotten. Thus one survival after anotherbecomes in its turn significant; for the soil of thepast teems with its dormant seeds, each ready toleap into life anew, be this as weed or flower.

The section across the head of the Old Townshows the terraces as the necessary sites of defensi-ve walls, and thus explains the early origins of thatcongestion of recent and even present times, whichis still so serious a difficulty for Edinburgh. Forthough the walls are forgotten, the resultant land-values remain not a little prohibitive. It explains,again, that deficient water-supply which was solong an efficient cause of the historic dirt of oldEdinburgh; while this dirt arid that overcrowdingwith their accompanying intensity add increasingvariety of disease, have been prime factors in thedevelopment of Edinburgh as once and again themetropolis of medicine, just as the fire calls out thefireman’s powers, the wreck the sailor’s. It is by nomore accident that Pasteur, and his foremost disci-ple Lister, should have been aroused to their clean-sing tasks in the midst of cities so pre-eminent intheir overcrowding, their dirt and disease, as oldParis and old Edinburgh. Thus our city survey con-

tinually brings out the strange alternation and inte-raction of good and evil, evil and good.

Take, now, the later perspective of Edinburgh atthe conclusion of the Middle Ages and the comingon of the Reformation. Just as the Reformation inEngland was a generation later than in Germany, soin Scotland it was a generation later still; and hencean intensification of the wars between England andScotland. Recall, now, what to an Englishmanseems a well-nigh forgotten incident, the battle ofFlodden in 1513, so disastrous to Edinburgh thattraditionally only one survivor returned; and thensee, in the remains of the Flodden Wall, thereafterhastily pushed out beyond the then existing ones,the marks of hurried and unskilled building againstthe threatened invasion by the victor. This invasion,however, did not come for another generation; thennote the remarkable early drawing (Plate A), presu-mably by the war correspondent accompanying theEarl of Hertford’s invasion of 1544, and showinghis advance to the taking and destruction ofEdinburgh, and again that showing the siege of1573. Now realise the immediate consequence ofsuch repeated calamities (and there were farmore)—a community denuded time after time of itsactive men—fathers and sons swept away in suc-cessive generations, with few gave women, chil-dren, and old men left, and with unnumbered fugi-tives from the devastated country crowding in, timeafter time, to take shelter behind the walls. Here,then, are conditions, among the most intense inhistory, for that evolution of overcrowding andsqualor, with their attendant and complicating evils,which to this day are the reproach of old Edinburghand her most tragic legacy from the past.

The complex strife and civil wars of theReformation continued long. They were followedlittle more than a generation later by another by lar-gely ruinous disaster to Edinburgh as the metropo-lis, in the accession of King James VI to the Englishcrown. In less than another generation and a halfbegin the new calamities of civil war, ofCromwellian defeats and occupation; then, again,after the Restoration, the ruthless persecution of theCovenanters, with practically a renewing of theCivil Wars under Charles II and James II. Next, thedifficulties of the Revolution of 1688; and yet againa ruin of Edinburgh as the centre of Parliament (andits expenditures) by the Union of the Parliaments in1707, while following upon this came successivelythe collapse of Scottish Imperialism in the Darienscheme, and the Civil Wars of 1715 and 1745. Eachof these events, at the time tragic enough, is recor-ded in the monuments and buildings of our city, or

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in the ruins arid dilapidations of these; arid the con-ception thus grows clearer of one of the mostdistressful of old countries, in which each and allthe evils destructive of, historic cities have ragedby turns, if not together, arid that repeatedly, sel-dom sparing a generation from the end of the thir-teenth century to well on in the eighteenth. Theimpassioned and adventurous Soot, colonising ormilitant, political arid ruling, and the canny Soot,cautious and reserved to an extravagant degree,who by turns appear to the romantic or the practicalEnglishman as the essential and predominantScottish type, have thus both been developed insuch a troubled environment, the one by facing itamong his fellows, the other by shrinking into hisown small affairs: arid the strange yet constantalternations of our Edinburgh architecture—here ofpicturesqueness, there of utilitarian plainness—thusappear as the natural and necessary expressions inarchitecture of these contrasted social types.Architecture and town-planning in such a city, wethus plainly see, are not the mere products of thequiet drawing-office as some believe them; they arethe expressions of the local history, the civic andnational changes of mood and contrasts of mind.Here, indeed, is an answer to those town-plannerswho design a shell, and then pack their snail of awouldbe progressive city into it, not discerning thatthe only real and wellfitting shell is that which thecreature at its growing periods throws out from itsown life. This is no doctrine of laissez faire; it issimply the recognition that each generation, and inthis, each essential type and group of it, mustexpress its own life, and thus make its contributionto its city in its own characteristic way.

Returning to the, elementary standpoint of townstudy, the growth of our mediæval town may nowbe traced downwards, from the Castle and itsvacant space—the military zone of a bow-shotdistance—beyond which we descend by the steepCastle Wynd, now a staircase, to the spacious oldGrassmarket, from the earliest times the agricultu-ral import centre of the city until the recent removalof our cattle-markets. At the same point begins thenarrow Castlehill, the earliest suburb, and evidentlyat the outset a mean one. This soon widens, howe-ver, into the spacious Lawnmarket and High Street,100 feet broad, laid out in the twelfth century as thecentre of a new town complete with church and gar-dens; and formerly arcaded on either side—in itsday, as the letters of French or VenetianAmbassadors in Scotland show, the stateliest streetin Europe. To meet the gate of this old Edinburghmidway down the ridge there begins uphill from

Holyrood Abbey, the Canongait—from the first agarden suburb; arid after the plunder of theReformation largely made up of the mansions of thenobles, a few of which survive to this day.

Note, next, outside the Burgh to the south, thesituation taken up by the various orders of Friars.Then see how their old preaching intensity renewsin that of the Reformation and the Covenant, andagain in later times. For to this day the “OldGreyfriars” churchyard is the Campo Santo ofScotland; and this again has made Edinburgh thesuccessor of Geneva as the central and sacred cityof the Calvinist world.

Note, again, how it is in this very area we tracethe beginnings of the development of theUniversity, of hospitals, and great schools.Compare this now with Oxford, and see how colle-ges arose in the exactly corresponding sites vacatedby the Friars outside the walls. Thence go back toan earlier type still—that of Florence—and note itstwo great poles of tradition in religion and culture,and thus in art and architecture, afforded by thesame Friars, grey and black, at Santa Maria andSanta Croce. As before, in comparison with ancientAthens, so now with notable mediæval cities,British and foreign, we see how our studies throwlight upon their ancient plans. Their apparent med-ley is more orderly than we knew; their unique phy-siognomy but the individual variant of some gene-ral type.

Enough, now, of Mediæval and RenaissanceEdinburgh. Let us come to the Modern world, in themain, as we know it, Utilitarian and Industrial; this,as elsewhere in Great Britain, comes into powerwith the Revolution of 1688. See how in oldEdinburgh the new type of modern utilitarian buil-ding at once arises amid the mediæval timberworkand the Renaissance stone mansions, in the tallblock proudly inscribed by its builder-architect, theseventh King’s master-mason of his family, as“Milnes Court, 1.690”, and recently repaired by thecity authorities. With the revival of agriculture con-sequent upon peace, and the increase of commercehelped by the rise of the new trading class upon theruins of the Cavaliers, the improvement of the oldtown begins more rapidly a generation later withsmall beginnings of formal planning; for after theopening up of James Court (1726) we venture nextto build a John Street, off Canongate, the smallBrown Square, and at length lay out the spaciousGeorge Square. The Jacobite wars of 1715 and1745 are, after all, but minor interruptions of thisgrowing prosperity; and half a generation later theincreasingly prosperous Edinburgh community,

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stirred, no doubt, by the contemporary improve-ment of London, then beginning to lay out its spa-cious and dignified squares, resolved, under theleadership of a really great edile, Lord ProvostDrummond, upon city development and town-plan-ning proper. Hence Craig’s “Plan of the New Town”of 1765, which was realised in the generationending with 1800. The original New Town had nextits northern extension by 1822, and thence to 1830.Examples of the high state of town-planning in1817 are found in the series of plans selected froma competition hold by the Corporation of Edinburghin 1817, for the area northward of Calton Hill.Here, then, we have a period of town-planning andof architectural execution surpassing even the les-son of London; yet breaking down, also, in its turn.

Our series of plans show this progress of designand construction, yet also bring out the reason oftheir arrest and breakdown, with abandonment oftheir unused spaces to contemporary squalor orconfusion. These town-planners, with all theirmerits, made various grave mistakes. First, theyomitted adequate consideration of relief and con-tour, and thus their office-made schemes brokedown wherever the ground became seriously irre-gular, so demanding unforeseen outlays for founda-tions—here upon cliffs, or there on marshy hol-lows. They failed then very largely for want of aproper topographical survey and its contour-models; but also, and even more seriously, for wantof any adequate social survey. These competitiveplans show plainly that the designers—clients andcorporations alike—assumed a practically indefini-tely increasing population of the well-to-do—thelawyers, country gentlemen, merchants, and othersfor whom the new town was designed and they for-got entirely, after the New Town Plan of 1765, withits first instalment of three rich streets and two poorones, to provide for cheaper burgher dwellings,much less for workmen’s homes. Thirdly, theyomitted from consideration any provision foranything so vulgar as workshops, for any industrywhatsoever; and, consequently, the formal beautyfor which they had laboured was soon broken inupon and at many places destroyed by the necessaryand inevitable filling up of any and every vacantspace with any and every sort of irregular and utili-tarian factory and workshop, as may be seen, forinstance, in the dramatic contrast of stately residen-tial order and planless squalor on opposite sides ofthe same street, e.g. Fettes Row, of the same monu-ment even—witness St. Stephen’s Church.

Does not, then, our study bring its gentle butdecided criticism to bear upon much of the town-

planning of our time, which, with all its speciali-sing upon communications here or comfortabledwellings there, there forgets the industrial deve-lopment, or oven the small workshops, and here thepopular, well-being upon which every town essen-tially depends?

Turn now to our æsthetic town-planning. Thebuilders of the new town at first cared little for theromantic old one they had deserted. Their ideas andtastes were classie, as wore those of their timethroughout Europe; and hence the classic HighSchool, still one of the best examples of its Neo-Grecian style. Hence, too, the various classicmonuments of the Calton Hill, culminating in thetoo colossal and unfinished colonnade of theNational Monument, and more temperately conti-nued in the Art Galleries of the Mound.

Yet the dramatic contrast of the picturesquecastle and hill town with the regular and utilitarianmodern new town, which is to this day the moststriking of the many panoramic features ofEdinburgh, was a great factor in the RomanticMovement, of which Sir Walter Scott madeEdinburgh for a time the veritable capital. This newidealisation of the mediæval past, both in its tem-poral and its spiritual manifestations, so natural to ageneration rebounding against the severe republica-nism of the Revolution days, and the formal classi-cism of the Empire style which succeeded it, pro-duced its speedy effect in the next generation.Hence that efflorescence of castellated gaols and“Scottish baronial” tenements or villas with whichthe next generation followed the architectural well-nigh as fully as the literary inspiration ofAbbotsford.

This Calton Hill, with its strange medley ofmonuments, is thus a museum of the battle of thestyles, and a permanent evidence showing how thetown-planners of one generation cannot safelycount upon continuance by those of the next. Thisis not an argument against town-planning; but itbrings out clearly the proposition that we shall dobest by supplying the needs and expressing theideas of our opening generation, without too greatexpectation of agreement from the next one, muchless attempt to dominate it.

New churches, too, arose for all denomina-tions—bad, good, or mostly at best indifferent—culminating in magnitude at least in St. Mary’sCathedral by Sir Gilbert Scott; which was, till TruroCathedral surpassed it, tile largest and most ambi-tious ecclesiastical edifice since the Reformation.

The romantic planners are now left behind bytheir successors. A period of new communications

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had been already opening, with its new and widerroads, its embankments, bridges, and viaducts.There is more civil engineering of this kind inEdinburgh than in any other city we know of. Ourplans again bring out notable consequences of thisdevelopment, yet equally unforeseen. Oil one side adisastrous increase in the social separation of clas-ses, who had been in old Edinburgh so peculiarlymingled; so that the upper and middle classes havebeen wont to traverse old Edinburgh by viaductshigh above the festering squalor below, and to livearid die in practical indifference to it, and thusmaintain that practical indifference to deplorableconditions which strikes every Continental visitor,even every American tourist, with an outspokenastonishment far from flattering to Edinburgh, yetfor the same reason with too little effect upon it. Yetnote also how this series of achievements of civilengineering culminates, for the city itself, in thebeautiful Dean Bridge, which is one of Telford’smasterpieces; while a few miles further on we cometo the natural outlet and main highway ofEdinburgh—that of the Forth Bridge—which butreplaces its old Queen’s Ferry. This most colossalof engineering achievements appears in its truelight as a regional and therefore normal and naturalproduct, when we consider the immediate civicenvironment of civil engineering achievements,each a triumph in its day, in which its promotersand its first designers grew up from boyhood. In ananalogous connection the Forth and Clyde Canal,once of small barges, then of incipient steamships,and through the Railway Age in comparative insi-gnificance, is now likely to give place to a Forthand Clyde Canal upon the oceanic scale, necessa-rily with unseen future transformations forEdinburgh. Almost since its foundation, and formany years before the present public interest, thealternative routes for this canal were on exhibitionin the Outlook Tower, with a suggestion of theirfuture Garden City, stretching from sea to sea.

From the great civil engineering of roads andbridges to the Railway Age which followed is,however, not so distinct a progress—in fact muchotherwise, as our map of the development of therailway system of Edinburgh so tragically shows.This development if the old carrier system ofEdinburgh by the “new firm of carriers”, as LordCockburn called it, naturally established its depôtsas near as possible to the old places of departure foreast and west (north, too, and south respectively);and these have then grown by sheer force of cir-cumstances to their modern dimensions. Thus, too,their depôts at each side of the city naturally, almo-

st inevitably, became linked up by the railwaythrough the Gardens. Hence the appropriately pla-ced statue of Lord Provost Adam Black turning, hisback on the scene, and uttering his dictum that“Providence had plainly designed the valley ofPrinces Street Gardens for a railway”. The practicalquestion, of course, here arises: Where better couldthe railway have been arranged for? Would youarrest all industry and progress, and dry up the verysources of wealth from which gardens can be obtai-ned?” See therefore upon our plan the “InnocentRailway”—the oldest lipe entering Edinburgh, anddirect from the great Midlothian coalfield; and weventure to submit it is plain that it is this practical-ly designed railway line which should have beendeveloped, rather than the existing mere followingup of the old horse-carrier roads and depôts had notthis latter railway planning been incompetent throu-gh lack of grasp and foresight, and had not thetown-planning interest and experience of the pre-vious generation been totally lost sight of by ageneration hastening to be rich and smitten withrailway mania.

Observe in detail the weltering confusion of therailway lines of competitive companies which haveinvaded and well-nigh destroyed Gorgie and theregion between Edinburgh and Leith, which latterwas being so carefully planned only one generationbefore!

Next consider the far simpler net of the railwaysystem as it might and should have been, and notein this the economy in space and in time, with gain,not loss, of efficiency, time, and convenience, andwith saving of the city’s beauty to boot. Of coursethis is but a sketch, inviting criticism by the expert,with no doubt modifications in detail. It is the gene-ral principle which is here boldly affirmed, that thisrailway system has not been the utilitarian successit still pretends itself, but has been, not merely half-ruinous to the beauty of Edinburgh, but structurallybungled and economically wasteful to all concer-ned—so much so, in fact, that it may yet be a que-stion whether it may not pay some day to transformthe railway system more or less as here suggested!

Surely most railway planning, whether inEdinburgh or beyond, is the most fortuitous bunglein the long history of cities, far exceeding in its pre-sent disorder and waste of space, time, and energy(to say nothing of natural beauty or human life)anything that has been or can be alleged against thedecay of the Mediæval, the Renaissance, or theeighteenth-century cities and city plans, defectivethough we have seen each and all of these to havebeen in its turn, and disastrous in its decay. This

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point is not as vituperation, but to bring out theessential origins and tasks of our present townstudy; it is the necessary rebound of a new genera-tion against the ideas, and the lack of ideas, of ourelders of the railway and industrial age, and thepractical endeavour now to mitigate the materialconfusion and the social deterioration in whichtheir lapse of well-nigh all sense of civic responsi-bility and well-being has plunged us.

Turning now from communications to popula-tion, Dr. Bartolomew’s map of Edinburgh shows itgrowing rapidly, much like other more obviouslyindustrial cities in this railway age. It shows howreadily and completely, even in this city so pecu-liarly inspired by the tradition of the three greatpreceding culture-periods, all alike for practicalpurposes became lost so far as city development isconcerned. For newer districts this has arisen fromthe lower and more squalid types in the main, lar-gely that of the West Port quarter, which each suc-ceeding town plan unhappily neglected. Witness thewretchedly unplanned industrial suburb of Dalry,etc., which chokes the western exit; witness, too,the confusion, stretching far and near, roundHolyrood, or that on the eastern and northerly quar-ters of Leith.

This zone of sordid industrial districts surroun-ding—say, indeed, immersing—the old town andthe planned new town alike, has thus grown in avicious circle with the misgrowth of the railwaysystem, and, our plans show plainly how Edinburghhas become, as far as it could, an ordinary manu-facturing town—at many points now able to matchDundee, Glasgow, or Lancashire towns in their cha-racteristic perspectives of squalor and dreariness ofhomes, of monotonous confusion of mean streets.

Yet we must lit merely blame the early railwayage or its continuators; nor do we forget the recentlaying out of districts of house and garden for theprosperous community, and to-day for the workersas well. This industrial confusion is but theNemesis of that forgetfulness of workshops andworkers’ homes which we noted in early nine-teenthcentury planning.

We are thus coming plainly abreast of themodern situation, and this as we see it in lessobviously historic cities than Edinburgh; and weare now ready to criticise, nit merely the apatheticstandpoint of yesterday, but the well-intentionedefforts of to-day, when the community begins tolook towards the problem of redressing the disorderwhich has thus thoughtlessly grown up.

Are, then, industrial developments to be discou-raged, and the city to be left to its lawyers and par-

sons, its doctors and professors, to its retired villasand its conspicuous slums? Not so. The general andgeological maps show exactly where the futureindustrial development of Edinburgh should be, andtherefore will be, because it will pay to be—pay inenergy and efficiency, in health and beaut., and the-refore in money also. It will be upon that “InnocentRailway” which we saw for urban reasons shouldhave been developed from the first, and now shouldbe for regional reasons also. And it will be uponand beside the Midlothian coalfield, which, hap-pily, lies east, not west of the city, and has its smokemainly blown out to sea. Smoke, of course, is merewaste, soon to be suppressed by a more economicand more truly utilitarian civilisation, while, withthis, an adequate development of electrical power,lighting and heating systems must naturally alsoarise, and this not only for its own uses, but alsoimproving existing Edinburgh ways for which avolume is required. Our survey, in fact, points strai-ght towards its sequel; that of a Report with Plansof this possible Newer Edinburgh, an industrial cityand a garden city in one.

An indication of this growth, as already ininstructive and unconscious progress—though forthat reason unfortunately as yet quite unplanned—is afforded by the growing brewery village of NewDuddingston. This exodus of the breweries fromCentral Edinburgh next begins to raise the questionof the reorganisation of the present industrial con-fusion, and, with this, of the working-class, quar-ters within the old town—in short, we have to sup-plement our vision of a newer Edinburgh by one ofa better old Edinburgh also. We are, in fact, ente-ring upon a period like that of 1765, upon a newspiral, of course; let us hope a less defective one.Does not, then, this study unmistakably bring out,not only the interest and the possibility of ourSurvey of a City, but its direct practical use–theway in which retrospect, rightly interpreted, notonly illuminates the present, but sweeps throughthis, and forward again into intelligent foresight?With our greater populations and resources, ourgraver problems, our more anxious responsibilities,we are compelled to still greater magnitude of desi-gn than were our predecessors; but surely also tofuller reflection, to completer provision for all themany needs of life. Now the impending extensionof the city gives room for an enlargement of itspowers to an extent worthy alike of the openingsocial future, and of the continued place ofScotland as one of the Great Powers—of Culture, ifno longer of material forces and alliances: ofEdimburgh as one of the Great Cities—for in

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history those alone are great whose spiritual forcesand influences are most out of proportion to theirmere numbers.

II

The preceding criticism of the recent industrialorder, or rather lack of order, together with thecomplemental indication of a policy of improve-ment within the city, and of expansion without, hasbrought us more fully up to the contemporary inte-rests of active citizens than our far-away manner ofopening seemed to promise. Yet, instead of nowsuggesting schemes for industrial and garden villa-ges without, or of new clearances or thoroughfareswithin, as the prevalent custom is, let us simplyreturn to our Survey, still far from ended—indeed,really only beginning for truly modern purposeswith our disillusionment with the progress of theIndustrial and railway age.

Let us resort rather to that form of mental reliefcommon to all save the poorest classes of our indu-strial world—that of taking the tourist and holidayview of Edinburgh, from which indeed our city lar-gely derives its wealth, like much of Scotland.

There are two ways of looking at oldEdinburgh—as a centre, indeed a very metropolis—of Squalor, yet likewise of Romance. We are prepa-ring now to finally get rid of the appalling squalorof the old town in its buildings and courts, and cor-respondingly of its slum life. Throughout the nine-teenth century, as already indicated, this state ofthings has been mainly accepted by the middle andgoverning classes as a permanent supply of humanmaterial for its confused charities, for its vastschools of medicine and anatomy, and for itsmanifold religious endeavours. Yet, as the medicalschool has its long roll of heroes, of whom Simpsonand Lister are but the chief, so the philanthropistsand divines have also largely justified themselvesin types like Dr. Guthrie, the organiser of raggedschools, and Dr. Chalmers, the originator of theElberfeld system, or Dr. Begg, a pioneer in housingmany years ago; while the too sweeping would-besanitary clearances, like those of Provost WilliamChambers and most of his successors, are also seento be not entirely inexcusable, despite their inevita-ble resultants of transferred pressure in higher localrents, land-values, and general taxes, etc.

For Romance, on the other hand, we may thinkof the Old Town as represented in Mr. Bruce Homesadmirable drawings or in the “Old EdinburghStreet” of the International Exhibition of 1886, pro-bably the most admirable reconstruction of an

ancient city yet effected, and a suggestion of whatmay yet be done in some of our old quarters in per-manent form. Beginnings of this domestic revivalhave, in fact, since been made at Dean Village, andin High Street, etc., as in the buildings ofUniversity Hall, and later in the renovation ofMoubray House and Milnes Court.

The exact coincidence, both in time and space,of this revival in domestic architecture, with theromantic tales and admirable “Edinburgh” ofRobert Louis Stevenson, once more show how themental attitude of a generation and its expression inmaterial and literary art are normally at one. All areplainly derived from Scott, and arise by the revivalof his spirit in presence of the broken survivals ofhis picturesque environment before the inroad ofthe railway and full onset of the industrial andfinancial age. The restoration of the interior of St.Giles’ and that of Edinburgh Castle are similar andcontemporary examples of the work of the pastgeneration at its best. This connection is still moreplain when we note that both these great workswere carried out at the initiative and expense ofWilliam Chambers and of William Nelson respecti-vely, two of our leading printers and publishers—agroup among whom there still reappear, perhapsmore naturally than in any other class, the combi-ned virtues of scholar and of citizen.

Our Survey may next turn to what can be donehere and there meanwhile with moderate means andordinary folk, with such labour and time as they canspare. Hence our “Outlook Tower Open SpacesCommittee,” -with its survey of every open spaceamid the slums; and these within the “HistoricMile”, despite its overcrowding, amount to no lessthan seventy-five pieces, measuring about ten acresin all. This Survey again leads to “Report”—that isto plan, to action and ten or a dozen of these havealready been reclaimed into gardens, accessible toschool and street children and to women, to thepeople generally, whilst others are in preparation ascircumstances and scanty funds allow. Thusappears again the principle and point of view of thewhole historic survey by calling attention to theseas a veritable renewal of the cultivation terraces ofour initial and prehistoric survey. As a practicalpoint it may be added that, despite all that is toocommonly said of rough population and the rest, nomischief worth mentioning is ever done. The gar-dens are appreciated, and their educating, civilisinginfluence already plain, and spreading in ways toovaried and complex for consideration here.

From the standpoint of the historic survey, notefurther how the recent admirable extension of allot-

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ment cultivation just outside the town limits throwslight upon the origin of the spacious gardens of theold world friars upon our mediæval town-maps; andthese, not only in Edinburgh, but in Oxford, inFlorence, and other old cities. Hence—the specula-tion is at least harmless—might not this similarlyuseful and re-educational type of cultivation againlead us towards some other new and unexpecteddevelopment of town-growth, in its way also beau-tiful, as did that of old? May it not have some latentpart in that next evolution of our city for the better,which is the happier side of that judgment-daywhich our historic and sociological survey shows isalways going on? May it not even again be said bythe Ideal of Progress—“Inasmuch as ye did it untothe least of these, ye did it unto Me?”

Leave now our small gardens in progress. Leaveundescribed also our little beginnings of GardenVillages in Edinburgh, though the oldest inScotland and among the earliest in Britain. For ahigher outlook and a larger future, let us return tothe ancient heart and focus of our city, the ridge ofold Edinburgh. Notice again in this connection thesurvey by our foremost Edinburgh antiquary andcivic artist, Mr. Bruce Home, showing every histo-ric building still surviving: yet let us frankly reco-gnise that interesting though these old buildingsmay be, their survival must essentially depend uponsuch possibilities of utilisation as they can show.

Such for instance is the work of the Town andGown Association, a scheme also extended toChelsea, which has succeeded in re-erecting CrosbyHall.

Here, then, we have a new principle andmethod of town-planning—and indeed, of citydesign. It is the combination, in each city, of itsantiquarian piety, and its conservative artistic pur-pose, with architectural ability and business mana-gement: this towards a twofold purpose—on oneside that of collegiate efficiency; on the other, thatof civic betterment.

Here is, in fact, the gradual working-out of ascheme of collegiate development, especiallyadapted to our larger University cities, and not, astoo much in older types, independently of the exi-sting city, and by mere destruction and replace-ment of its buildings. On the contrary, it seeks, onrounds alike economical and social, to conserveand incorporate existing buildings. Hence our largeperspective of the upper third of the ridge of oldEdinburgh now becomes intelligible as a definiteand gradually unifying scheme: not simply for thecleansing and conservation of the historic rem-nants of old Edinburgh, but for the development of

this into a collegiate street and city comparable inits way with the magnificent High Street of Oxfordand its noble surroundings. Not, of course, compa-rable in the same forms of collegiate splendour;but none the less in the definite and practical way,of ultimate student numbers, and in excellent and,in their way, not less educative conditions. Historichouses have thus been renewed; old courts clean-sed, repaired, and modestly rebeautified; and Cityand University, too long dissociated, begin to findthemselves entering into renewing contacts, inwhich that tradition of culture in democracy, whichis the peculiar heritage and glory of Scottish edu-cation, may be not only maintained, but developedtowards new and higher issues. Thus, then, thelong discord of antiquarian sentiment and utilita-rian realism is beginning to find a renewed har-mony; and our studious Survey is rising once moretowards practical purpose.

At the outset we noted the fear that surveysmight delay action. But has it not been shown inpractice how survey, with its interpretation, illumi-nates the path for action, and this alike as regardsits dangerous and its hopeful possibilities? Our sur-vey, in short, leads towards a corresponding“Report on City Development”: and this is in pre-paration, and on lines not less, but more, com-prehensive than those of “City Development” withregard to the small yet deeply significant City ofDunfermline.

Here, however, it is sufficient to give some sim-ple indication of the method and spirit of a possibleReport—reports arise necessarily from suchSurvey. First, as regards the method this we brieflyexpress by our juxtaposition of two plans of thecity. The first is the ordinary Directory map of thecity, tinted here and there to show how it has grownupon its physical contour and, geographical situa-tion. The second is a rough experimental sketchtowards the bettered city of the opening generation.For the past it shows the acceptance of the naturalenvironment with the conservation of the historicheritage—the best work of each and every genera-tion. As regards the present, we seek at once socialbetterment and economic efficiency; while asregards the opening future, we venture more andmore boldly upon that social and cultural evolution,at once civic and educational, which surely expres-ses the best tradition and the highest hope ofEdinburgh Old and New. This needed Report onEdinburgh and its Town Planning, then, is no merematter of street-making, or house-building, howe-ver respectably improved upon conditions presentor past. It is a City Design; and this not only of

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material process, but of idealistic progress, forexcept the Ideal plan the city, they labour in vainthat build it.

We are encouraged by many signs (e.g. that ofthe recent Report of the Merchant Company) tobelieve that the municipal policy and the civic sta-tesmanship of Edinburgh may increasingly risebeyond such present promise as is that of conceal-ment under tramway wires and adornment by theirpoles; and even beyond its suburban industrialdevelopment. For Edinburgh is not simply the fore-most of Scottish University cities: to any one whowill survey its historic productivity, and can discernits present and opening possibilities, it is no lessthan one of the realisably foremost, since most trulymetropolitan and encyclopædic, universities of theEnglish-speaking world; and with but few supe-riors, and yet fewer rivals, upon the Continentitself. Again, while the current Housing and GardenCity movement is rightly based on the revival of theold and peaceful beauty of the English village, theneeded larger movement of City Development canbe inspired and headed by no better city thanEdinburgh. For such rare heritage—of beauty, ofintellectual and practical endeavour, and of moraland spiritual intensity—however temporarily for-gotten or depressed—cannot but again be renewedand combined into creative activity, and these ofworld-wide influence and example.

Hence, as our survey begins with the Castleupon the Rock, so it ends appropriately with thesecastles in the air. Let our successors materialisethem in their turn.

Civic Survey thus ranges through wide limits:from direct and ruthless realism on the one hand, tocivic idealism on the other. For there is no realincompatibility between the power of seeing thething as it is—the Town as Place, as W Work, asFolk—and the power of seeing things as they maybe—the City of Etho-Polity, Culture and Art. Ourcity surveys, in fact, descend throughout their veri-table inferno, yet ascend towards correspondingcircles of higher life. What are these circles ofascent or of decline? The needful stereoscopic devi-ce of thought—the analyses of a strangely mingledand ever-changing ebb and flow, the rise and fall ofhistoric and individual evolution.

As final expressions, then, of our survey and ofits practical purpose, our illustrations of it in theCities Exhibition end with two symbols: First, themodel of the City Cross, as summing up the vicis-situdes of old Edinburgh for centuries past, built inmediæval times, transformed at the Reformation,demolished in the utilitarian period, partly re-erec-

ted—thanks to Sir Walter Scott—in the romanticage, and finally re-erected and restored to civicuses. Hence this Cross is peculiarly fitting as asymbol not only of Citizenship, but of CivicRevivance; and as complementing that ReliefModel of Edinburgh, with which we start as condi-tioning the material origins of the town, by a corre-sponding expression of the deeper and inner evolu-tion of the city. The many-sided activities of a greatcity, spiritual and social, educational and hygienic,architectural and industrial—or most simply idealand material—all these may be fitly symbolisedupon the many sides of this characteristic buildingas aspects of a real unity; and this unity again, bythe shaft of the Cross, as an ascent of life towardsfitting expression—pointedly individual becausealso civic and national. Yet as each phase of deve-lopment of our survey has come and gone, so inturn may this presentment of it. All surveys needperpetual renewal and our final exhibit is thus aplain office-model of the Outlook Tower—reducedto its simplest expression—that in which it may beadapted by, any one to the problems and the taskspresented by his own immediate environment, hisown region and neighbourhood, quarter and city.Hence, beside this, in the Cities and Town PlanningExhibition we lay our indications and beginnings ofother surveys of cities, e.g. of Dunfermline andAberdeen, of Oxford and Chelsea, of Paris andGhent, of Benares and Jerusalem. These serve asfurther evidence of the practicability of city sur-veys; and of these, not only as the essential localpublic Inquiry needed before town-planning andcity-improvement schemes can be safely or suffi-ciently undertaken, but as helpful to municipalwork of all kinds, and to civic betterment in its end-less details. In conclusion, then, here is our thesisand challenge: City Surveys are urgent, practicable,and useful; so useful that they must before longbecome for civic statesmanship and local admini-stration what charts now are to Admiralty and topilot.

in Folio 83

antologia

n. 9, gennaio 2000

È morto il 9 Gennaio a Roma Bruno Zevi, architetto ecritico di architettura. È stato tra i più accesi sostenito-ri del Movimento moderno, soprattutto sotto l’aspettodell’Architettura organica, da lui vivamente sentita estudiata direttamente sugli esempi americani di F. L.Wright. Si formò negli anni ‘40, infatti, come architet-to, nella scuola di Taliesin, portando in Europa, subitodopo la seconda guerra mondiale, una incontaminataammirazione per il Maestro Wright.La sua opera critica, la rivista L’Architettura.Cronache e Storia – fortunatissima – da lui fondatanegli anni ‘50 e diretta ininterrottamente fino a questigiomi, i suoi interventi sempre di grande qualità pole-mica tendono a formare una figura di progettista lon-tano da schemi e “ismi” propri della prima età a noicontemporanea e a proiettarla nel futuro. Un futuroaperto e libero da condizionamenti del potere, comelui sognava, un futuro in cui ciascuno di noi potessedispiegare la sua progettualità aperta, liberatoria.Soleva riportare il motto di Wright: «ad ogni architet-to, un suo stile».Era impegnato nel sociale senza condizionamenti dipartito. La sua visione organica lo portava a sosteneretutti i processi di pianificazione dal basso, i processispontanei, la marcia del 1950 in Sicilia di Dolci, CarloLevi, Barbera per le dighe e l’acqua; gli scioperi e lacrescita civile delle popolazioni della Sicilia occiden-tale per il Piano del Belice, dopo il terremoto del 1968.Ma le sue adesioni civili e politiche non si fermava-no qui. Era presente ovunque si facesse un torto adun’opera architettonica francamente moderna. Le suebattaglie civili per il Masieri Memorial, contro ilTeatro nuovo di Genova, contro i progetti “sinimetri-ci” e scontati sono famose nella storia della criticaarchitettonica.Le sue battaglie da Grande storico sull’interpretazionedello spazio architettonico – spesso in chiave purovi-sibilista –, le sue battaglie per l’interpretazione dellospazio interno contro l’accademismo e il classicismone hanno fatto una figura centrale nel dibattito cultu-rale degli ultimi 50 anni.Rimanere sempre al centro del dibattito internaziona-

le, sprovincializzare l’architettura italiana, combattereil monumentalismo (fascista o stalinista che dir sivoglia) sono stati i suoi obiettivi di docente quasi sem-pre presso la Facoltà di Architettura di Venezia. UnaRivista, di continua alta qualità progettuale e grafica,non resiste per più di quaranta anni in Italia, se dietronon ha un’opera costante di stimolo e di critica.Molti di noi si sono formati alla sua scuola di pensie-ro, alla sua scuola di passione, al suo esempio di impe-gno. Molti di noi hanno scelto l’Architettura perchéhanno letto i suoi libri.Nella vita privata, infine, nel suo studio di ViaNomentana a Roma, raccoglieva docenti, artisti, libri,figure di primo piano europee e italiane.In un ambiente stimolante e carico di spunti sul dibat-tito moderno, stabiliva con gli amici un dialogo inten-so e forte, diretto. Non vi erano vie di mezzo: o si eraamici suoi per la pelle o si sceglieva di diventarnenemici e quindi estranei alla modernità.Molti anni fa scelsi di diventarne amico personale e hoavuto questo privilegio. Oggi che Bruno è scomparsosento una grande tristezza, un rimpianto per non poterpiù parlare intorno all’Urbanistica e alla città conquell’Uomo dolcissimo.

Palermo, 10 Gennaio 2000

In memoria di Bruno Zevi

Giuseppe Carta

iinnFFoolliiooRIVISTA DEL DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALEwww.unipa.it/infolio

Comitato di Direzione

Bruno Jaforte (Coordinatore), Giuseppe Albanese, Piera Busacca, Nicola Giuliano Leone

Redazione

Giuseppe Abbate, Michele Di Rosa, Lorenzo Guarino, Fanny Migliore, Giuliana Panzica La Manna, FlaviaSchiavo, Filippo Schilleci, Francesca Starrabba, Ignazio Vinci (Segretario)

Progetto grafico e impaginazione

Ignazio Vinci

Sede

Dipartimento Città e Territoriopiazza Bologni 13, 90134 Palermotel. +39 091 6079230 - fax +39 091/6079244e-mail: [email protected]

DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE

Sede amministrativa

Università di Palermo (Dipartimento Città e Territorio)Sedi consorziate

Università di Catania (Dipartimento di Architettura ed Urbanistica)Università di Palermo (Dipartimento di Storia e Progetto nell’Architettura)Università di Reggio Calabria (Dipartimento di Scienze dell'Ambiente del Territorio)Inizio attività: 1992Cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo dal 1996

Coordinatore

Bruno JaforteCollegio dei docenti

(DCT) Vincenzo Cabianca, Teresa Cannarozzo, Giuseppe Carta, Gustavo Cecchini, Domenico Costantino, BrunoJaforte, Ignazia Pinzello, Bernardo Rossi-Doria, Giuseppe Trombino(DAU) Piera Busacca, Paolo La Greca(DSPA) Giuseppe Gangemi, Nicola Giuliano Leone, Carla Quartarone, Leonardo Urbani(DSAT) Giuseppe Albanese, Giuseppe FeraSegreteria

Maurizio Carta (DCT)

Partecipanti

XII Ciclo (1997): Flavia Schiavo, Francesca Starrabba, Ignazio VinciXIII Ciclo (1998): Chiara Barattucci, Fabio Naselli, Giuliana Panzica La Manna, Giuseppa SantapaolaXIV Ciclo (1999): Ignazio Alessi, Rossella Amato, Biagio Bisignani, Melita Brancati, Paola Marotta, Gabriella Musarra

Supplemento ai Quaderni del Dipartimento Città e Territorio© Dipartimento Città e Territorio, piazza Bologni, 13 - PalermoAutorizzazione del Tribunale di Palermo n. 3/1980, registrata il 7.3.1980

Stampa: Priulla, via Agrigento 13 - Palermo

Con il numero 9 la rivista affronta il tema dell’innovazione nelle politiche urbane che sarà svi-luppato anche nel numero successivo. Il motivo della scelta deriva dalla sensazione di dovere avviare, con la fine degli anni novanta,una prima riflessione sulle radicali trasformazioni avvenute, anche nel nostro paese, nellemodalità di approccio alla questione urbana. La comparsa di nuovi attori, come l’Unione euro-pea, di strumenti innovativi e dal carattere reticolare, come la nuova generazione di program-mi per le aree urbane, ha rappresentato una sfida complessa sia per l’ambiente istituzionale cheper quello accademico e scientifico. Le esigenze di formulazione teorica si sono affiancate allanecessità di produrre, abbastanza rapidamente, nuove categorie di interpretazione dell’urbanoe nuovi strumenti per la formazione del progetto. È in questa logica che abbiamo chiesto uncommento ad accademici, come Francesco Indovina, e a tecnici operanti nelle istituzioni, comeRoberto Giannì, ed è in questa logica che abbiamo dedicato l’antologia ad uno scritto ineditoin Italia di Patrick Geddes, il primo e più radicale tra gli innovatori nella stagione urbanisticadi questo secolo.

EDITORIALEPaolo La Greca

IDENTITÀ E TRASFORMAZIONE. MAPPE PER IL RIPENSAMENTO DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIOIgnazio Vinci

PER IL PAESAGGIOAngela BadamiSei temi di riflessione, sei progetti per il Paesaggio. Le Sessioni Tematiche della Prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio (a cura di Angela Badami)

LA IV RASSEGNA URBANISTICA NAZIONALE: I TEMI DEL DIBATTITOGiuliana Panzica La Manna e Francesca Starrabba

GLOBALIZZAZIONE, MONDO E SOCIETÀ. IL PENSIERO DI LATOUCHE SULLETRASFORMAZIONI SOCIALI E SULLE CONTRADDIZIONIDELL’ECONOMIA CAPITALISTICA OCCIDENTALE.Giuseppa Santapaola

IL LINGUAGGIO DEL PIANO, IMMAGINI E PERCORSI DI TRASFORMAZIONE DEL DISCORSO URBANISTICOFlavia Schiavo

TRASFORMAZIONE DEL TERRITORIO PERIURBANO: ELEMENTI PER L’INTERPRETAZIONE DEI PROCESSI DI RIQUALIFICAZIONEURBANAFrancesca Starrabba

POLITICA URBANA E GOVERNANCE DEI SISTEMI TERRITORIALI NELL’EUROPA DEGLI ANNI NOVANTAIgnazio Vinci

RETI ECOLOGICHE E STRUMENTI DI PIANIFICAZIONEFilippo Schilleci

LO STATO DELLA PIANIFICAZIONE COMUNALE NELLA SICILIA SUD ORIENTALE. BILANCIO DI ATTUAZIONE DELLA L.R. N. 15/1991Ferdinando Trapani

inFolio E LA RETEIgnazio Vinci

L'INNOVAZIONE DELL'AZIONE URBANISTICA TRA ATTIVITÀ DI RICERCA E PRATICA PROFESSIONALE ATTRAVERSO DUE SEMINARISUL RAPPORTO TRA PROGETTO URBANO E ARCHEOLOGIAChiara Barattucci

INNOVAZIONE NELLE POLITICHE URBANEFlavia Schiavo

BEGINNINGS OF A SURVEY OF EDINBURGHPatrick Geddes(Introduzione di Ignazio Vinci)

IN RICORDO DI BRUNO ZEVIGiuseppe Carta

inFolioRIVISTA DEL DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELLE UNIVERSITÀ DI PALERMO CATANIA E REGGIO CALABRIA

Dipartimento Città e Territoriopiazza Bologni 13, 90134 Palermo

Tel. +39 091 6079201 - Fax +39 091 6079244www.unipa.it/territorio

RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELLE UNIVERSITÀ DI PALERMO CATANIA E REGGIO CALABRIA


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