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Rivista di Giurisprudenza Costituzionale e Civile

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Rivista di Giurisprudenza Costituzionale e Civile Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 1 (1960), pp. 197/198-199/200 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152070 . Accessed: 24/06/2014 21:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.101 on Tue, 24 Jun 2014 21:40:38 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Rivista di Giurisprudenza Costituzionale e Civile

Rivista di Giurisprudenza Costituzionale e CivileSource: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 1 (1960), pp. 197/198-199/200Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152070 .

Accessed: 24/06/2014 21:40

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

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197 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 198

prefettizia richiesta dall'art. 35 legge 23 maggio 1950

n. 253, perchè le sentenze di sfratto da locali adibiti ad eser

cizio di farmacia possano essere eseguite. È stato sostenuto che tale norma stabilisce una aperta

interferenza della pubblica Amministrazione nel campo della esecuzione della sentenza, subordinando al consenso di

un'autorità amministrativa (il prefetto) l'attuazione ine

rente ad un diritto riconosciuto dal giudice ad un privato cittadino nei confronti di un altro privato cittadino. Non

stima però il Giudicante soffermarsi su tale punto, poiché la norma in esame non può in alcun modo trovare pratica

applicazione nella fattispecie. Difatti, il contratto di loca

zione per il locale da adibire ed adibito a farmacia in con

trada S. Lorenzo di Castelforte stipulato fra il Graveglia e

la Verrico, e per cui è causa, non è soggetto alle dispo sizioni vincolistiche, perchè stipulato successivamente al

1° marzo 1947.

La parte opponente sostiene che la disposizione di cui

si discute non si riferisce soltanto alle locazioni stipulate anteriormente al 1° marzo 1947, bensì a quelle in qualsiasi

tempo stipulate. La Verrico nel confutare tale tesi bene ed a proposito

cita la sentenza della Suprema corte n. 2917 dell'anno

1956 (Foro it., Rep. 1956, voce Esecuzione per consegna o

rilascio, n. 36), la quale, pur disponendo in ordine agli art. 33 e 34 della citata legge n. 253 del 1950, richiama e

ribadisce precedenti giudicati (in particolare la sentenza

del Supremo collegio n. 3774 del 16 ottobre 1954, id., 1955,

I, 186), che, portando l'esame su tutti gli articoli del capo

Y° della più volte citata legge n. 253 del 1950, hanno san

cito il principio secondo cui le norme speciali in materia

di sfratti, contenute nella legge summenzionata, non si

applicano ai rapporti sottratti al regime vincolistico.

Nel caso in esame, l'opponente fa rilevare che, a suo

avviso, è un errore il ritenere che l'autorizzazione prefettizia

richiesta perchè possa eseguirsi lo sfratto da un locale adi

bito a farmacia, e prevista dal più volte citato art. 35,

riguardi solo e semplicemente quei locali i cui contratti di

locazione siano soggetti a proroga legale, ovverosia siano

sorti anteriormente al 1° marzo 1947.

Ed a sostegno di tale sua tesi espone che nel mentre i

decreti legislativi del Capo provvisorio dello Stato 6 di

cembre 1946 n. 428, 23 dicembre 1947 n. 1461, 6 marzo

1948 n. 206, 30 dicembre 1948 n. 1471 e 29 aprile 1949

n. 160, riflettono la « proroga dei termini di locazione di

immobili urbani », con la legge 23 maggio 1950 n. 253 sono

state emanate « disposizioni per le locazioni di immobili

urbani ». Onde è che la complessa materia si è voluta disci

plinare e coordinare con speciali disposizioni, non solo nel

privato interesse, ma eziandio nell'interesse pubblico.

Tale tesi, però, non può essere condivisa, in quanto

l'argomento sul quale si fonda è da ritenersi troppo sempli

cistico, per trarne ragione valida a suo favore, innanzi

tutto perchè non tiene in alcun conto la ratio legis delle dispo

sizioni legislative di cui si parla. È pur vero che la legge n. 253 del 1950 non distingue tra

locazioni prorogate e locazioni non prorogate, ed è del pari

vero che è stato sostenuto che la finalità delle disposizioni

sugli sfratti è quella di fronteggiare la crisi degli alloggi,

per cui è preferibile la opinione della applicabilità ad ogni rap

porto, in quanto la disciplina vincolistica della esecuzione

degli sfratti deve fronteggiare una situazione generale della

crisi edilizia, e non potrebbe raggiungere quindi il suo scopo,

che è quello di mitigare le asprezze di tale situazione con la

dilazione, se non comprendesse nella sua disposizione gli

sfratti da tutti gli immobili comunque locati.

Ma non può tenersi in alcuna considerazione il rilievo

che la speciale procedura prevista dall'art. 35, obietto

del nostro esame, intende ad agevolare l'esercente di un

servizio di pubblica necessità per la difficoltà di trovare altro

alloggio, difficoltà che è pari sia per i conduttori a fitto

bloccato sia per quelli a fitto non bloccato, in quanto il

legislatore quando ha voluto estendere ai rapporti non rego

lati dalle leggi vincolistiche le particolari norme sugli sfratti,

lo ha detto esplicitamente. Di conseguenza il silenzio rela

tivamente ai rapporti locativi, in regime di libertà contrat

tuale, sta a dimostrare, per altro verso, clie il legislatore ha inteso sancire che le norme del capo V° della legge 23

maggio 1950 n. 253, relative alle disposizioni siigli sfratti, sono applicabili soltanto nell'ambito dei rapporti locatizi

bloccati, perchè sorti anteriormente al 1° marzo 1947.

Non bisogna, altresì, dimenticare che le norme vincoli

stiche tendono a regolare i rapporti locatizi in relazione alle

distruzioni belliche ed alla svalutazione della moneta, e che

la legge del 1947 con decorrenza dal 1° marzo 1947 ha resti

tuito ai locatori ampia facoltà di contrattazione, e che infine

la legge 23 maggio 1950 n. 253 ha attenuato notevolmente

i vincoli cui erano soggette le locazioni regolate dalla legge

speciale, il tutto all'evidente e preciso scopo di portare alla normalizzazione, sia pure graduale, dei detti rapporti locatizi.

Concludendo, quindi, la regolamentazione vincolistica di

un dato rapporto locatizio, costituisce l'antecedente neces

sario in linea di fatto per la applicabilità delle norme pro

cedurali, obietto di questo esame.

Da quanto esposto, emerge chiaramente che il Gaveglia non può richiamare a suo favore l'art. 35 legge 23 maggio 1950 n. 253, in quanto il contratto di locazione per i locali

adibiti a farmacia nella contrada San Lorenzo del Comune

di Castelforte è stato da lui stipulato posteriormente alla

data del 1° marzo 1947, e, quindi, in epoca che non fa rica

dere il contratto stesso sotto le norme particolari delle

leggi vincolistiche sulle locazioni degli immobili urbani.

Per questi motivi, ecc.

Successione — Collazione — Donazione dissimulata

in atto <li alienazione a titolo oneroso — Dispensa tacita dalla collazione — Limiti (Cod. civ., art.

737, 1414).

La dissimulazione della donazione in un atto di aliena

zione a titolo oneroso, qualora sia stata compiuta all'esclu

sivo fine di porre la liberalità al riparo dall'obbligo del

conferimento, implica dispensa tacita dalla collazione. (1)

Corte d'appello di Messina ; sentenza 8 aprile 1959 ;

Pres. Cipolla P. P., Est. Nicotra ; Marino (Avv. Tripodo) c.

Marino (Avv. Pagliaro).

(1) Vedi in conformità Cass. 17 marzo 1055, Foro it., Rep.

1955, voce Successioni, n. 188. Nel senso che la dissimulazione della liberalità di un atto

traslativo a titolo oneroso costituisca dispensa tacita dalla col

lazione, vedi Cass. 1 agosto 1943, id., 1943, I, 215, con osserva

zione del Casulli ; Trib. Napoli 20 aprile 1952, id., Rep. 1952, voce eit., n. 173 ; App. Lecce 15 gennaio 1953, id., Rep. 1953, VOC3 cit., n. 221, e sostanzialmente Cass. 10 febbraio 1947, id.,

1948, I, 636 ; Trib. Pescara 7 dicembre 1949, id., Rep. 1950, voce cit., n. 107 ; Trib. Palermo 1953, id., Rep. J953, voce cit., nn. 224-226.

Nel senso invece che tale dissimulazione non implichi di

spensa tacita dalla collazione, vedi Trib. Verona 14 maggio

1947, id., Rep. 1947, voce cit., n. 136 ; Cass. 28 aprile 1949,

id., Rep. 1949, voce cit., n. 143 ; App. Roma 20 dicembre 1952,

id., Rep. 19f2, voce cit., n. 215 ; Cass. 25 agasto 1953, id., Rep.

1953, voce cit., n. 206. Sulla questione vedi da ultimo P. Forchielli, Collazione,

pag. 289 e seg. Sulla dispensa tacita dalla collazione, vedi in genere Trib.

Salerno 20 febbraio 1958, Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 247 ;

Trib. Cagliari 6 maggio 1957, ibid., n. 234, e nella motivazione

Cass. 18 ottobre 1956, id., 1956, I, 1792 : tale sentenza è anno

tata dal Cassisa, in Giust. civ., 1957, I, 910.

* * *

La Corte motiva così : « Col secondo motivo deduce l'appel

lante che la donazione, mascherata sotto le parvenze della ven

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199 PARTE PRIMA 200

Esecuzione (orzata per obbligazioni pecuniarie — Pigno ramento di beni di Stati esteri — Autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia — Incostituzionalità della normativa — Questione non mani lestamente, in fondata (Costituzione della Repubblica, art. 10, 24, 42, 113; r. d. 1. 30 agosto 1925 n. 1621, conv. con 1. 15

luglio 1926 n. 1263, atti esecutivi sopra beni di Stati

esteri).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi la cognizione alla Corte costituzionale) la questione di costi tuzionalità del r. decreto legge 30 agosto 1925 il. 1621

(convertito con legge 15 luglio 1926 n. 1263), che richiede l'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia per sot

toporre a pignoramento i beni di proprietà di Stati esteri. ( 1)

Tribunale di Venezia ; ordinanza 30 ottobre 1959 ; Pres. Mastrobuono P. ; Amministrazione del Governo britannico c. P. M., Comune di Venezia e Guerrato.

Spese giudiziali — Cauzione per le spese — Incostituzio nalità della normativa — Questione non manifesta mente infondata (Costituzione della Repubblica, art. 24 ; cod. proc. civ., art. 98).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi la cognizione alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità dell'art. 98 cod. proc. civ., per il quale può essere imposta dal giudice cauzione, allorquando vi è

dita, integrasse una dispensa dalla collazione, e quindi gli doveva essere riconosciuto il diritto a ritenere l'immobile fino alla con correnza della quota disponibile.

« La questione, se la dispensa dalla collazione possa desu mersi dal solo fatto che il de cuius abbia simulato la vendita per mascherare la donazione, è venuta più volte all'esame del Supremo collegio che però non ha adottato un costante orienta mento. Mentre, infatti, con le sentenze 1 agosto 1943 (Foro it., 1943, I, 215) e 10 febbraio 1947, n. 154 (id., 1948, I, 636), esso ebbe ad ammettere che la donazione mascherata con atti di alie nazione a titolo oneroso in modo da assicurare ai favoriti discen denti il profitto della liberalità, contenga per implicito la di spensa dalla collazione, con le sentenze 25 agosto 1953, n. 285 (id., Rep. 1953, voce Successione, n. 206) e 28 aprile 1949, n. 1025 (id., Rep. 1949, voce cit., n. 143), è andato in contrario avviso per la considerazione che la simulazione in sè non è atto che univocamente implichi la volontà di sottrarre il bene alla colla zione, potendo invece essere diretto a molteplici altri scopi (quali ad es. quello di sottrarre il bene ai creditori, di sfuggire ad ag gravi fiscali, di nascondere la liberalità ad altri parenti o ad altri estranei) ; tuttavia con la sentenza 17 marzo 1955, n. 810 (id., Rep. 1955, voce cit., n. 188), ha riconosciuto che la dispensa sia operativa ove la simulazione venga adoperata all'esclusivo fine di porre la donazione al riparo dalla collazione. E quest'ul timo indirizzo sembra preferibile alla Corte.

« Ed invero, se non occorre che la dispensa dalla collazione sia dichiarata espressamente, come è richiesto per la imputa zione (art. 564 cod. civ.), e può quindi essere tacita e risultare da fatti concludenti i quali rivelino univocamente la volontà del donante in quel senso, nulla vieta che tale volontà si evinca dalla donazione sotto le mendaci spoglie del contrarto a titolo oneroso, ove sia da escludere che altro intento animasse il dans fuori di quello di sottrarre il bene alla collazione.

« Nella specie potevasi dubitare dei reali moventi della do nante se l'atto fosse stato da lei stipulato col beneficiario sotto le finte vesti di compratore. Ma l'occultamento del nome di lui, mercè il ricorso al prestanome, non trovava altra spiegazione se non nel proposito di rendere immune la liberalità da ogni azione da parte dei discendenti, traendoli in inganno circa il vero acquirente dell'immobile, onde era da ravvisare l'intento esplicito della dispensa.

« In riforma pertanto della sentenza impugnata, devesi riconoscere al Marino Michele il diritto di ritenere l'immobile donato fino a concorrenza della quota disponibile ».

(1) Il testo dell'ordinanza del Tribunale di Venezia è ripro dotto su Le Leggi, 1959, 1171.

Sul fondamento del r. decreto legge 30 agosto 1925 n. 1621, cons. Morelli, Diritto processuale civile intern azionale1, Padova, 1954, n. 85.

fondato timore che l'eventuale condanna nelle spese possa rimanere ineseguita, per il contrasto che si assume sus sistere tra detta norma e l'art. 24, 1° comma, della Costi

tuzione, che riconosce a tutti i cittadini il potere di agire in giudizio a tutela dei diritti e degli interessi legittimi. ( 1)

Tribunale di Chieti ; ordinanza 24 giugno 1959 ; Pres.

Di Ciò P. ; Carabba c. Marcellusi.

Responsabilità civile — Passaggio su loiitlo privato —■ Tolleranza del proprietario — Danni derivati ai passanti dalle insidie del terreno — Responsa bilità del proprietario (Cod. civ., art. 2043, 2050).

Il proprietario del fondo è responsabile dei danni ri

portati in conseguenza delle insidie del terreno da ehi tran siti sul fondo stesso, quando l'accesso sia libero e le insidie non siano segnalate. (2)

Tribunale di Boma ; sentenza 3 marzo 1959 ; Pres. Leone P., Est. Cesaroni ; Andreuzzi (Avv. Tabet, Tedeschi) c. Società per az. coop. Alce (Avv. Monzini, Mele).

(1) Il testo della ordinanza del Tribunale di Chieti è ripro d tto su Le Leggi, 1059, 1155.

(2) In senso conforme, Cass. 12 gennaio 1953, n. 260, Foro it., 1054, I, 73, con nota di richiami.

* * *

Il Tribunale ha così motivato : « Avendo installato nel fondo degli sfiatatoi (artificiosamente costruiti per dare aria alle sotto stanti fungaie), aveva il dovere non soltanto per il principio particolare di cui all'art. 2050 cod. civ. (ben potendo ritenersi che l'apertura di siffatte buche — per giunta rese occulte ed invisibili dalla vegetazione sovrastante — costituisce esercizio di attività pericolosa, non essendo richiesto per il sussistere della pericolosità che si debba aver riguardo all'entità del pericolo ed alla possibilità che un numero rilevante di persone venga offeso, ma essendo sufficiente che il soggetto, esplicando una data atti vità, ponga in essere un pericolo qualsiasi all'incolumità altrui, oosì per la natura dell'attività come per la « natura dei mezzi adoperati ») ma anche e semplicemente per un principio di ele mentare prudenza e diligenza, derivante dall'obbligo generale del neminem laedere (art. 2043), di recintare il terreno ed i pozzi di aereazione o, quanto meno, di apporre ben visibili segnala zioni di divieto di accesso e di esistenza di pericolo, sorvegliando, controllando e curando che tali recinzioni e segnalazioni fossero costantemente in efficienza. Ciò era tanto più necessario in quanto, nella zona, il fondo era., specialmente in primavera, abituale meta di persone che vi si recavano per scampagnate « fuori porta », e, cosa ancor più grave, di ragazzi che vi svolgevano i loro giochi. A tal riguardo è significativo oltre alle deposizioni già sopra esa minate, la dichiarazione resa dal giovane Borisanti, il quale ha appunto tra l'altro affermato « già altre volte ci eravamo recati in quel prato e mai nessuno aveva mosso obiezioni, benché vi fosse una casa ».

« Da ultimo il Collegio osserva che nessun giuridico fonda mento e rilievo può, nella fattispecie, attribuirsi ai fini di sca gionare da responsabilità per l'accaduto la Società Alce, all'argo mento sostenuto dalla difesa di questa, secondo cui, anche ammesso che il terreno fosse privo di recinzione e di segnali di divieto di accesso e di pericolo, la colpa dell'evento risalirebbe a l'An dreuzzi Franco, per aver violato la proprietà privata ed ai suoi genitori per non averlo sorvegliato. AI riguardo è da dire che la giurisprudenza della Suprema corte ha costantemente ritenuto che non versa in illecito colui che acceda in un fondo abbandonato, privo di recinzione e di segnali di divieto o di qualsiasi altro elemento esterno, atto a denotare una contraria volontà del pro prietario.

« Nella specie anzi, trovandosi il terreno in una zona popo losa., ed essendo frequentato da un via vai di persone quasi come un giardino pubblico (vedi deposizione Santangeli sopra ripor tata) era legittimo presumere la tolleranza del proprietario.

« D'altra parte rilevasi che in una identica fattispecie la Suprema corte, in sentenza 12 gennaio 1953, n. 260 (Foro it., 1954, I, 74), ha stabilito (richiamando la precedente decisione 24 marzo 1939, n. 974, id., 1939, I, 722) che il proprietario del fondo è responsabile dei danni riportati in conseguenza delle insidie del terreno da chi transiti sul fondo stesso, quando l'ac cesso sia libero e le insidie non segnalate ».

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