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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2349/2350-2359/2360 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180684 . Accessed: 28/06/2014 15:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.151 on Sat, 28 Jun 2014 15:21:52 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2349/2350-2359/2360Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180684 .

Accessed: 28/06/2014 15:21

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

anche la possibilità di retrocessione del regime della locazione

ordinaria a quello della locazione agevolata espressamente con

trapponendo l'equo canone dell'una al canone sociale dell'altra.

Non va, poi, pretermesso di considerare che, ove si dovesse

ritener abrogato l'art. 22 1. 8 agosto 1977 n. 513, l'unica normati

va applicabile all'assegnatario il cui reddito ammontasse in corso

di rapporto oltre i limiti di legge per l'assegnazione sarebbe

quella dell'art. 17 d.p.r. 30 dicembre 1972 n. 1035, per la quale la

assegnazione stessa andrebbe revocata con conseguente risoluzione

di diritto del contratto di locazione ed emissione del decreto di

rilascio: non si vede, pertanto, quale vantaggio deriverebbe agli attori intervenuti dall'invocata abrogazione.

Del pari infondata appare la domanda subordinata proposta

dagli attori-intervenuti.

Il richiamo effettuato dall'art. 22 1. 8 agosto 1977 n. 513 alla

disciplina delle locazioni urbane è, infatti, da considerare limitato

all'aspetto economico dell'instaurando rapporto di locazione ordi

naria e non anche a quello normativo: in sostanza, ferme le altre

componenti del preesistente rapporto, il legislatore ha inteso

soltanto modificare i criteri di quantificazione del canone, sosti

tuendo a quelli, dettati nella prima parte della norma, per la

determinazione del canone sociale quelli predisponendi per la

determinazione dell'equo canone tra privati.

Va, al riguardo, considerato, infatti, che l'unica disposizione

attuativa posta dalla normativa in esame attiene esclusivamente

alla determinazione — provvisoria, in attesa dell'emanazione della

normativa, sull'equo canone già in avanzata fase di redazione —

della misura del canone e che, ancora, l'art. 22 d.l. 15 dicembre

1979 n. 629 citato pone anch'esso l'unica differenza tra locazioni

ex art. 22 1. 8 agosto 1977 n. 513 e locazioni riconducibili alla

posizione del conduttore in possesso del requisito reddituale per

l'assegnazione alla già evidenziata contrapposizione tra equo ca

none e canone sociale intesi esclusivamente nella loro componente economica.

In sostanza, il richiamo alla disciplina delle locazioni urbane ed

al regime dell'equo canone da parte delle due norme summenzio

nate si traduce in una statuizione intesa ad ancorare le locazioni

sostitutive, in alternativa alla revoca, di quelle a canone sociale al

meccanismo di determinazione del canone di locazione previsto dalla 1. 27 luglio 1978 n. 392, mentre rimane escluso qualsiasi richiamo recettizio della normativa sotanziale e processuale rego latrice del rapporto di locazione tra privati.

Ciò trova piena giustificazione nella particolare natura del

rapporto in esame, nel quale confluiscono e vengono tutelati

rilevanti interessi d'ordine sociale generale, e nella ratio della

norma, intesa principalmente a conservare la disponibilità del

l'immobile ad uso abitazione anche a quanti dovrebbero esserne

allontanati per sopravvenuto incremento del reddito oltre i limiti

stabiliti per la conservazione dell'assegnazione.

Anche in ordine al trattato argomento è da considerare che

un'integrale applicazione della normativa posta dalla 1. 27 luglio 1978 n. 392 comporterebbe, tra l'altro, la durata solo quadriennale della locazione, con possibilità per l'I.a.c.p. di chiedere la risolu

zione dei contratti in esame per finita locazione, ciò che non

gioverebbe certo agli attori-intervenuti e tanto meno sarebbe consono all'evidenziata ratio legis, intesa a garantire la stabilità

dell'occupazione legittima degli alloggi d'edilizia residenziale

pubblica in deroga al disposto dell'art. 17, lett. d, d.p.r. 30

dicembre 1972 n. 1035.

Va, da ultimo, rilevato che non si ravvisa, d'altronde, un

concreto ed attuale interesse degli attori-intervenuti, in difetto

d'una pretesa giudizialmente fatta valere ex adverso, ad una

pronunzia dichiarativa delle norme processuali che la controparte dovrebbe seguire onde far valere in futuro detta pretesa.

Le domande degli attori e degli intervenuti vanno, pertanto,

respinte.

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Pubblica sicurezza (amministrazione della) — Vigile urbano —

Qualifica di agente di pubblica sicurezza — Indennità di istitu

to — Esclusione — Questione manifestamente infondata di co

stituzionalità (Cost., art. 3, 36, 97; 1. 22 dicembre 1969 n. 967,

norme sul trattamento economico del personale delle forze di

polizia impiegate in sede in servizi di pubblica sicurezza, art. 2).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 2 1. 22 dicembre 1969 n. 967, nella parte in cui

non estende ai vigili urbani, ai quali sia stata riconosciuta la

qualifica di agenti di pubblica sicurezza, il diritto a percepire l'indennità mensile per il servizio di istituto, in riferimento agli art. 3, 36 e 97 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 2 aprile 1986, n. 86 (Gazzetta

ufficiale, 1° serie speciale, 16 aprile 1986, n. 15), Pres. Paladin.

Rei. Pescatore; Lupo c. Comune di Pioltello; interv. Pres. cons,

ministri. Ord. T.A.R. Lombardia 11 gennaio 1983 (G.U. n. 287 bis

del 1985).

(1) La corte conferma con ordinanza di manifesta infondatezza la sua sentenza di rigetto 21 luglio 1983, n. 229, Foro it., 1983, I, 2969, con nota di richiami (v. anche le precedenti ordinanze di mani festa infondatezza richiamate in motivazione; ord. 7 febbraio 1984, n. 18, è riassunta id., Rep. 1984, voce Pubblica sicurezza (am ministrazione della), n. 20).

Anche la giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso che ai vigili urbani non spetta l'indennità in questione, anche quando abbiano ottenuto la qualifica di agenti di pubblica sicurezza: v., in

particolare, la decisione dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 20 luglio 1984, n. 16, id., 1985, III, 7, con nota di richiami, che nega ta

le indennità non solo in relazione ad una interpretazione (riduttiva) del l'art. 2 1. n. 967/69, ma anche sulla base della onnicomprensività del trat tamento economico dei dipendenti comunali stabilito a seguito della con trattazione collettiva (prima che questa venisse formalizzata, per tali

dipendenti, dal d.l. 29 dicembre 1977 n. 946, provvedimenti urgenti per la finanza locale, art. 6, nel testo risultante dalle modifiche

apportatevi dalla relativa legge di conversione 27 febbraio 1978 n. 43), e della legittimità della deliberazione comunale di ricezione dell'accor do risultante. La giurisprudenza amministrativa successiva ha consoli dato questo orientamento negativo: Cons, giust. amm. sic. 11 ottobre

1985, n. 172, Cons. Stato, 1985, I, 1267, argomentando che la norm« che regola l'indennità in questione per gli agenti di pubblica sicurezza, la prev-de solo pei coloro che svolgono in via normale e permanente compiti di tutela dell'ordine pubblico; 10 marzo 1986, n. 30, id.,

1986, I, 397, riprendendo la prospettiva della onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti comunali stabilito in sede di contrattazione collettiva, nel medesimo informale quadro normativo.

Poi, è intervenuta la ricordata formalizzazione del procedimento della contrattazione collettiva anche per il personale dipendente dagli enti locali. Ma, a prescindere dai successivi decreti presidenziali che su questa nuova base legislativa hanno regolato la materia, come

anche dal sopravvenire della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93, ora il quadro normativo nel quale la questione deve essere prospettata è nuovamente mutato: è entrata in vigore la 1. 7

marzo 1986 n. 65, legge-quadro sull'ordinamento della polizia munici

pale (Le leggi, 1986, 771) (l'art. 117 Cost, attribuisce la materia della

polizia locale, urbana e rurale alla competenza legislativa concorrente delle regioni a statuto ordinario); anzitutto, l'art. 5 di questa legge ri

definisce i compiti aggiuntivi degli addetti al servizio di polizia municipale, enumerando, oltre le funzioni di polizia giudiziaria e il

servizio di polizia stradale, le funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza,

però ridimensionate entro i limiti precisati dall'art. 3: collaborazione

«... nell'ambito delle proprie attribuzioni, con le forze di polizia dello

Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne vanga fatta, per

specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità »; e,

poi, l'art. 10 disciplina il trattamento economico degli addetti al

servizio di polizia municipale, secondo livelli retributivi determinati in

relazione alle funzioni attribuite, e riprende la classificazione delle

indennità aggiuntive articolata dall'art. 26, 4" comma, d.p.r. 25 giugno

1983 n. 347, norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del

29 aprile 1983 per il personale dipendente dagli enti locali; il profilo

del compenso per le funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza emerge dal consenso di tale art. 10, a che queste indennità vengano aumentate

fino al massimo dell'80 % dell'indennità pensionabile concessa al

personale che espleta funzioni di polizia dall'art. 43, 3° comma, 1. 1°

Il Foro Italiano — 1986.

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2351 PARTE PRIMA 2352

aprile 1981 n. 121, nuovo ordinamento dell'amministrazione della

pubblica sicurezza, ma solo per quegli addetti che esercitino tutte le funzioni previste dall'art. 5 1. n. 65/86.

« * *

L'ordinanza è cosi' motivata: Rilevato che con l'ordinanza in

epigrafe è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 1. 22 dicembre 1969 n. 967 (« norme sul trattamento economico del

personale delle forze di polizia impiegate in sede di servizi di sicurezza pubblica ») in riferimento agli art. 3, 36 e 97 Cost.;

ritenuto che con detta ordinanza si lamenta — denunciandone il contrasto con le menzionate norme costituzionali — che dall'indennità

prevista dalle norme impugnate siano stati esclusi i vigili urbani con

qualifica di agenti di pubblica sicurezza; considerato che questione identica è stata ritenuta non fondata con

la sentenza n. 229 del 1983 {Foro it., 19S3, I, 29oJ) e manifestameli te infondata con ordinanze n. 18 (id., Rep. 198't, voce Pubblica si curezza (amministrazione della), n. 20), 54 e 165 del 1984),

che dall'ordinanza in esame non emergono elementi nuovi, tali da indurre la corte ad una diversa decisione;

visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2° comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 1.

22 dicembre 1969 n. 967 (« norme sul trattamento economico del

personale delle forze di polizia impiegate in sede in servizi di sicurezza pubblica ») sollevata con ordinanza 11 gennaio 1983 del T.A.R. per la Lombardia in riferimento agli art. 3, 36 e 97 Cost.

Sanitario — Medici convenzionati — Trattamento economico —

Decreto legge non convertito — Questione manifestamente inam

missibile di costituzionalità (Cost., art. 24, 77, 101; d.l. 28 novembre 1984 n. 790, ripiano dei disavanzi di amministra zione delle unità sanitarie locali al 31 dicembre 1983 e norme in materia di convenzioni sanitarie, art. 6).

È manifestamente inammissibile, per la mancata conversione in

legge del d.l. impugnato, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.l. 28 novembre 1984 n. 790, sul ripario dei disavan/i delle unità sanitarie locali, nella parte in cui riproduce un decreto

legge non convertito dalle camere, in riferimento agli art. 24, 1°

comma, 77, 3° comma, 101, 2° comma, Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 30 dicembre 1985, n. 381

(Gazzetta ufficiale, 1° serie speciale, 15 gennaio 1986, n. 2); Pres. Paladin, Rei. Dell'Andro; Min. tesoro c. Arrighi ed altri; interv. Pres. cons, ministri. Orci. Trib. Firenze 17 dicembre 1984

(G.U. n. 137 bis del 1985).

(1) L'interpretazione degli art. 11, 1° comma, 1. 29 giugno 1977 n. 349 e 8, 6° comma, d.l. 8 luglio 1974 n. 264, convertito in 1. 17 agosto 1974 n. 386 era stata fornita dall'art. 6 d.l. 28 marzo 1984 n. 41, il quale non è stato convertito nei termini previsti dall'art. 77 Cost. L'art. 6 è stato ripetuto esattamente nel successivo d.l. 26 maggio 1984 n. 158, il quale pure non è stato convertito e l'art. 6 è stato riprodotto nel successivo d.l. 25 luglio 1984 n. 371, pure non convertito, cui ha fatto seguito il d.l. 21 settembre 1984 n. 597 e poi ancora il d.l. 28 novembre 1984 n. 790 (oggetto della questione decisa con la qui riportata ordinanza della corte), entrambi non convertiti e riproducenti esattamente il contenuto dell'art. 6. Infine il d.l. 25 gennaio 1985 n. 8, di contenuto identico ai precedenti, per la parte che ci interessa, è stato convertito in 1. 27 marzo 1985 n. 103, il cui art. 8 ha fatto salvi gli atti ed i provvedimenti adottati, gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti in base ai precedenti cinque d.l. non convertiti e sopra richiamati.

La corte secondo un indirizzo di recente instaurato, ma che può ritenersi ormai consolidato (v., da ultimo, ord. 348/85, ord. 270/85, ord. 22 luglio 1985, n. 218, Giur. costit., 1985, I, 1685; ord. 13 giugno 1985, nn. 182, 183, ibid., 1279-1282; ord. 13 giugno 1985, n. 184, Foro it., 1986, I, 1482, con nota di richiami e osservazioni di F. Gabriele; ord. 2 maggio 1985, n. 129, Giur. costit., 1985, I, 923; sent. 11 ottobre 1983, n. 307, Foro it., 1984, I, 341, con nota di richiami e osservazioni di Volpe), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione, essendo decaduto, per mancata conversione, il "d.l. sospettato di incostituzionalità, cosi come ha fatto per analoghe questioni sollevate dallo stesso Trib. Firenze in ordine ai precedenti d.l. della stessa « catena » (v. ord. 30 dicembre, nn. 382 e 379).

Con riguardo al caso di un d.l. non convertito, i cui effetti siano

fatti salvi da un successivo d.l. o da successivi decreti legge quando, come nel caso di specie, si formano lunghe « catene », Carlassare (Le decisioni d'inammissibilità e di manifesta infondatezza della Corte costi

tuzionale, id., 1986, V, 293 ss.), ha parlato di « esempio grave di denega ta giustizia». Sul tema specifico v. pure Pizzorusso, Riproposizione di

decreto legge non convertito, in Giust. civ., 1984, I, 2581. Più in genera le sull'uso e l'abuso della decretazione d'urgenza cfr., da ultimo, Pace, in Ammin. it., 1984, 837; Testi, in Quaderni giustizia, 1984, fase. 30, 8; Troccoli, in Foro amm., 1983, I, 2313.

♦ « *

L'ordinanza è cosi motivata: Rilevato che, con ordinanza emessa il

17 dicembre 1984, il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento

agli art. 24, 1° comma, 77, 3° comma, e 101, 2° comma, Cost.,

questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.l. 28 novembre 1984

n. 790 (per errore materiale indicato nel dispositivo dell'ordinanza col

n. 791) («ripiano dei disavanzi di amministrazione delle unità sanitarie locali al 31 dicembre 1983 e norme in materia di convenzioni sanitarie »);

che nel presente giudizio è intervenuto il presidente del consiglio dei

ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato,

concludendo per la manifesta inammissibilità o l'infondatezza della

questione; considerato che il d.l. 28 novembre 1984 n. 790 non è stato

convertito in legge ai sensi dell'art. 77, 3° comma, Cost.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle norme

integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6

d.l. 28 novembre 1984 n. 790 (« ripiano dei disavanzi di amministra zione delle unità sanitarie locali al 3il dicembre 1983 e norme in

materia di convenzioni sanitarie »), sollevata, in riferimento agli art.

24, 1° comma, 77, 3° comma, e 101, 2° comma, Cost., dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.

I

Competenza e giurisdizione penale — Procedimenti riguardanti

magistrati — Pretore imputato o parte lesa — Spostamento della competenza territoriale — Esclusione — Questione mani

festamente inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 97; cod. proc. pen., art. 41 bis).

È manifestamente inammissibile, in quanto la stessa questione è

già stata dichiarata inammissibile con sent. 232 del 1984 sotto il

profilo che si richiedeva alla corte una sentenza additiva impli cante scelte discrezionali che esulano dalla sua competenza, la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis c.p.p., nello

parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territo

riale anche nell'ipotesi di reati commessi da pretori o in loro

danno, attribuiti alla competenza ordinaria del tribunale nel cui

circondario è compreso il mandamento in cui il pretore, im

putato o parte lesa, esercita le sue funzioni, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 30 dicembre 1985, n. 378

(Gazzetta ufficiale, 1° serie speciale, 15 gennaio 1986, n. 2); Pres.

Paladin, Rei. Dell'Andro; Scanniello, Anzaldi. Ord. Trib. Sala

Consilina 13 giugno 1984 (G.U. n. 71 bis del 1985) e Trib. Erma

6 novembre 1984 (G.U. n. 161 bis del 1985).

II

Rimessione di procedimenti — Procedimenti riguardanti magi strati — Conciliatore imputato — Spostamento della com

petenza territoriale — 'Esclusione — « Ius superveniens » —

Restituzione degli atti al giudice « a quo » (Cost., art. 3; cod.

proc. pen., art. 41 bis, 60).

A seguito dell'entrata in vigore della 1. 22 dicembre 1980 n. 879 la quale ha abrogato l'art. 60 c.p.p. e, attraverso l'inserimento dell'art. 41 bis c.p.p., ha disciplinato ex novo la competenza per i

procedimenti riguardanti magistrati, va disposta la restituzione

degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 60 c.p.p., nella

parte in cui esclude dalla rimessione i reati di competenza del

pretore che siano stati commessi dal conciliatore di un comune

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

compreso nello stesso mandamento dell'ufficio competente a co

noscerne, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 25 ottobre 1985, n. 239; Pres. Paladin, Rei. Conso; Grappasomi ed altro; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Bracciano 22 dicembre 1977 (G.U. n. 94 del 1978).

(1) Identica questione è stata dichiarata inammissibile, comportando interventi creativi che rientrano nella competenza del legislatore, da Corte cost. 30 luglio 1984, n. 232, Foro it., 1984, I, 2656, con nota di richiami, e successivamente manifestamente inammissibile da Corte cost., ord. 22 febbraio 1985, n. 54, Giur. costit., 1985, I, 267; 1° aprile 1985, n. 98, ibid., 624 e 8 novembre 1985, n. 272, ibid., 2152.

In ordine al campo di applicazione dell'art. 41 bis c.p.p. v., da ultimo, Cass. 2 maggio 1984, Giordano, Foro it., 1985, II, 109, con nota di richiami e osservazioni di Boschi, secondo cui non si verifica lo spostamento della competenza territoriale nel caso di procedimento in cui il magistrato assume la qualità di danneggiato e non quella di persona offesa dal reato.

(2) L'ordinanza di rimessione di Pret. Bracciano 22 dicembre 1977 e massimata in Foro it., 1978, II, 237, con nota di richiami.

* ♦ *

I

L'ordinanza n. 378 del 1985 è cosi motivata: Ritenuto che con le ordinanze indicate in epigrafe è stata sollevata, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis c.p.p. nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale anche nella ipotesi di reati commessi da pretori o in loro danno, attribuiti alla competenza ordinaria del tribunale nel cui circondario è compreso il mandamento in cui il pretore stesso, imputato o parte lesa, esercita le sue funzioni;

che i giudizi debbono essere riuniti stante l'identità delle questioni sollevate;

considerato che, con la sentenza n. 232 del 1984 (Foro it., 1984, I, 2656), è stata già dichiarata l'inammissibilità di una questione analoga sotto il profilo che sostanzialmente si richiedeva una sentenza additiva implicante nell'ambito di più soluzioni alternative scelte discrezionali che esulano dalla competenza della Corte costituzionale;

che analoghe questioni sono state dichiarate manifestamente inam missibili con ordinanze nn. 54 e 98 del 1985;

che non sussistono ragioni per discostarsi da tale decisione mancan do nelle questioni ora proposte elementi di diversificazione rispetto a quelle già decise.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2° comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis c.p.p. introdotto con 1. 22 dicembre 1980 n. 879 (« norme sulla connessione e sulla competenza nei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione »), sollevata con le ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli art. 3 e 97 Cost.

II

L'ordinanza n. 239 del 1985 è cosi motivata: Ritenuto che il Pretore di Bracciano, con ordinanza del 22 dicembre 1977, ha denunciato, in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimità dell'art. 60 c.p.p., « nella parte in cui esclude dalla rimessione i reati di competenza del pretore che siano stati commessi dal conciliatore di un comune compreso nello stesso mandamento dell'ufficio competente a conoscerne »;

e che nel giudizio è intervenuta la presidenza del consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

considerato che, successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di rimessione, è entrata in vigore la 1. 22 dicembre 1980 n. 879, il cui art. 4 ha espressamente abrogato l'art. 60 c.p.p., e ciò a corollario dell'art. 1, che, attraverso l'inserimento dell'art. 41 bis c.p.p., ha

disciplinato ex novo la competenza per i procedimenti riguardanti magistrati;

e che il disposto del predetto art. 1, in forza di quanto espressamen te statuito dall'art. 6, 1° comma, n. 879 del 1980, si applica a tutti i

procedimenti in corso che, come quello di specie, alla data di entrata in vigore di tale legge, non siano « già stati rimessi dalla Corte di cassazione »;

che, pertanto, è necessario restituire gli atti al giudice a quo affinché la rilevanza della questione sollevata sia riesaminata alla stregua della normativa sopravvenuta.

Per questi motivi, la Corte costituzionale ordina la restituzione degli atti al Pretore di tracciano.

Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Motivi di

ricusazione — Giudice direttore amministrativo di casa man

damentale — Mancata previsione — Questione manifestamen

te infondata di costituzionalità (Cost., art. 25; cod. proc. pen.,

art. 61).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale degli art. 61 ss. c.p.p., nella parte in cui non prevedono

tra le cause di ricusazione o di astensione la posizione del giudice

che ricopre per legge la veste di direttore amministrativo di una

casa mandamentale, in riferimento all'art. 25, 1° comma, Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 13 dicembre 1985, n. 340

(Gazzetta ufficiale 24 dicembre 1985, n. 302 bis); Pres. e rei.

Paladin; Bocchini ed altra; interv. Pres. cons, ministri. Ord.

Pret. Susa 27 aprile 1984 (G.U. n. 91 bis del 1985).

(1) La corte, ricorrendo, nel caso di specie, i presupposti sia pei una decisione di manifesta inammissibilità (mancanza assoluta di

motivazione in ordine alla rilevanza ed alla non manifesta infondatez

za della questione; per l'impiego di tale decisione nell'ipotesi sopra

ricordata v., da ultimo, Corte cost., ord. 6 dicembre 1985, n. 316, Foro

it., 1986, I, 596, con nota di richiami e 22 novembre 1985, n.

305, ibid., 330, con nota di richiami di Di Paola), sia per una

pronuncia di manifesta infondatezza (per assoluta inconsistenza dell'ec

cezione, ictu oculi accertabile, stante l'inconferente richiamo all'art. 25, 1° comma, Cost.), ha optato per la seconda. Tale scelta sembra

senz'altro da condividere in quanto entrando nel merito dell'eccezione

la corte ha cosi chiuso il procedimento dando una precisa risposta al

giudice, cosa che invece non sarebbe accaduta se la corte avesse scelto

la prima soluzione, adottando una decisione meramente processuale che, in quanto fondata sulla mancata motivazione dell'ordinanza di

rinvio sulla rilevanza o sulla non manifesta infondatezza, non avrebbe escluso la riproponibilità della stessa da parte del giudice a quo, dopo aver adeguatamente motivato ed eliminato la lacuna lamentata dalla

corte. (Da ultimo, in argomento, cfr. Carlassare, Le decisioni di inam

missibilità e di manifesta infondatezza della Corte costituzionale, id., 1986, V, 293).

Per la tassatività dei motivi di ricusazione indicati nell'art. 64 c.p.p. v., da ultimo, App. Roma, ord. 12 luglio 1985, id., 1985, II, 488, con nota di richiami, che, su tale presupposto, ha ritenuto inammissibile la dichiarazione di ricusazione con cui era stata dedotta l'esistenza di inimicizia grave tra il giudice e il difensore dell'imputato.

Per altra questione decisa dalla corte in tema di astensione e ricusazione del giudice cfr., da ultimo, Corte cost. 7 febbraio 1986, n.

37, id., 1986, I, 861, con nota di richiami e osservazione di

Pizzorusso, che ha ritenuto inammissibile, perché comportante valuta zioni discrezionali riservate al legislatore, la questione di costituzionali tà dell'art. 51, n. 2, c.p.c., nella parte in cui, mentre impone al giudice di astenersi quando il proprio coniuge sia parente fino al quarto grado di una delle parti o di alcuno dei difensori, non prevede l'obbligo di astenersi per il giudice che sia rispetto ad essi affine in grado corrispondente quando l'affinità sia acquisita attraverso fratelli o sorelle.

• • *

L'ordinanza è cosi motivata: Ritenuto che il Pretore di Susa — con ordinanza emessa il 27 aprile 1984 — ha sollevato questione di

legittimità costituzionale degli art. 61 ss. c.p.p., in riferimento al 1° comma dell'art. 25 Cost., censurando il fatto che non sia stata « previ: i a tra le cause di ricusazione o astensione la posizione del

giudicante che ricopre per legge (come nella specie) la veste di direttore amministrativo di una casa mandamentale »;

e che nel presente giudizio è intervenuto il presidente del consiglio dei ministri, eccependo l'inammissibilità della questione, dal momento

che il pretore non avrebbe motivato in alcun modo « la sua valutazio ne di non manifesta infondatezza », e concludendo comunque per il

rigetto della questione medesima; considerato che le deduzioni dell'avvocatura dello Stato inducono la

corte a dichiarare manifestamente infondata, piuttosto che manifesta

mente inammissibile, l'impugnativa proposta dal giudice a quo; che

infatti, in base alla costante giurisprudenza della corte stessa, il nucleo del 1° comma dell'art. 25 Cost, consiste nel principio di precostituzio ne del giudice, cioè nell'esigenza — già messa in luce dalla sentenza n. 29 del 1958 (Foro it., 1958, I, 505) — che questi venga « istituito

in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di determinate controversie»: il che non consente di desumerne che sia costituzionalmente necessario prevedere od imporre — per effetto di

quel solo parametro — l'astensione o la ricusazione del pretore, in

quanto direttore amministrativo di una casa mandamentale.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2° comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla corte.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta

Il Foro Italiano — 1986.

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2355 PARTE PRIMA 2356

infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli art. 61

ss. c.p.p., nella parte in cui non prevedono « tra le cause di

ricusazione o astensione la posizione del giudicante che ricopre per legge la veste di direttore amministrativo di una casa mandamentale », sollevata dal Pretore di Susa, in riferimento al 1° comma dell'art. 25

Cost., ton l'ordinanza indicata in epigrafe.

Ordinamento giudiziario — Vice pretore onorario — Assoluta

gratuità dell'incarico — Questione manifestamente inammissibi le di costituzionalità (Cost., art. 97, 101; r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento giudiziario, art. 30; 1. 19 febbraio 1981 n. 27, provvidenze per il personale della magistratura, art. 3; 1. 6 agosto 1984 n. 425, disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati, art. 1).

È manifestamente inammissibile, per assoluto difetto di rilevan

za, la questione di legittimità costituzionale degli art. 30 ss. r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, nella parte in cui non prevedono alcuna indennità per i vice pretori onorari e degli art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 e 1, 1" comma, 1. 6 agosto 1984 n. -125, nella parte in

cui non estendono la c.d. indennità di rischio ai vice pretori onorari che svolgono funzioni giurisdizionali, in riferimento agli art. 97, 1° comma, 101, 2° comma, Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 4 novembre 1985, n. 260

(Gazzetta ujjiciale 13 novembre 1985, n. 267 bis); Pres. Paladin, Rei. Andrioli; Trotti, Gusmorino; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Verbania 5 giugno 1984 e 20 ottobre 1984 (G. U. nn. 19 bis e 119ÒIS del 1985).

(1) L'ordinanza 5 giugno 1984 di Pret. Verbania è massimata in Foro it., 1985, I, 2827, con nota di richiami.

Per altra ipotesi in cui la corte ha dichiarato la manifesta inammis sibilità di una questione per assoluto difetto di rilevanza della stessa nel giudizio a quo v., da ultimo, Corte cost., ord. 15 luglio 1985, n.

209, id., 1986, I, 1138, con nota di richiami. In dottrina, da ultimo, Carlassare, Le decisioni di inammissibilità e di manifesta infondatezza della Corte costituzionale, id., 1986, V, 293.

Per altre questioni di costituzionalità relative al trattamento econo mico dei magistrati v., da ultimo, T.A.R. Emilia-Romagna, sede di

Parma, ord. 16 ottobre 1984, n. 223, id., 1985, III, 400, con nota di richiami di R. Ferrara.

* * *

L'ordinanza è cosi motivata: Ritenuto I) che con ordinanza emessa il 5 giugno 1984 sul ricorso inteso da Trotti Mario esercente la potestà sulla minore figlia Giuseppina ad ottenere l'autorizzazione a consentire

quale legale rappresentante di questa alla divisione di beni ereditari

(ordinanza comunicata il 20 e notificata il 27 luglio 1984, pubblicata nella O U. n. 19 bis del 23 gennaio 1985 e iscr ita al n. 1022 r.o.

1984) il pretore — giudice tutelare — di Verbania, premesso che, essendo vice-pretore onorario, non poteva in tale sede ovviamente dolersi di non percepire alcuna indennità, ha affermato che il mancato riconoscimento ai vice pretori onorari di una adeguata indennità nuoce

soprattutto alla credibilità della giustizia ed ha auspicato che, ove il

legislatore non riconosca la indennità, sia scrutinata l'opportunità di

abolire la figura del vice-pretore onorario, ha dichiarato d'ufficio non

manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 30 ss. r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 (ordinamento giudiziario) in

quanto non prevedono alcuna indennità per i vice-pretori onorari e

dell'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 in quanto non comprende i

vice-pretori onorari che svolgono funzioni giurisdizionali, in relazione

agli art. 97, 1° comma, e 101, 2° comma, Cost., rimettendone l'esame

a questa corte avanti la quale non si è costituito il Trotti ma ha

spiegato intervento nell'interesse del presidene del consiglio dei ministri

l'avvocatura generale dello Stato instando con atto depositato il 12

febbraio 1985 per la declaratoria d'inammissibilità o, comunque, di

infondatezza della proposta questione, II) che con ordinanza emessa il

20 ottobre 1984 sul ricorso inteso da Gusmorino Daniela, esercente la

potestà sulla minore Paola, ad ottenere l'autorizzazione a vendere in

qualità di legale rappresentante di questa un bene ereditario (ordinan

za comunicata il 6 e notificata il 12 novembre 1984; pubblicata nella

G.U n. 119 bis del 22 maggio 1985 e iscritta al n. 1327 r.o. 1984), il

Pretore — giudice tutelare — di Verbania, premesso che essendo egli vice pretore onorario « in questa sede non poteva ovviamente dolersi,

considerato il carattere volontaristico del suo ufficio, di non percepire alcun compenso o alcuna indennità », ha d'ufficio dichiarato non

manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli

art. 30 ss. r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, in quanto non prevedono alcuna

indennità per i vice-pretori onorari non reggenti o non incaricati di

funzioni giudiziarie ai sensi del 2° comma dell'art. 32 dell'ordinamento

giudiziario, e dell'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 e dell'art. 1,

1° comma, 1. 6 agosto 1984 n. 425, in quanto non comprendono i

vice-pretori onorari, in relazione agli art. 97, 1" comma, e 101, 2"

comma, e rilevante sulla considerazione che « non si possa fondata

mente affermare che il trattamento economico del giudice non ha

alcuna rilevanza sull'imparzialità e sul buon andamento dell'ammini

strazione della giustizia)», rimettendone l'esame a questa corte, avanti

la quale la Gusmorino non si è costituita ma ha spiegato intervento

con atto depositato I'll giugno 1985 nell'interesse del presidente del

consiglio dei ministri l'avvocatura generale dello Stato instando per la

declaratoria d'inammissibilità e, comunque, d'infondatezza della propo sta questione.

Considerato che non può questa corte scrutinare la fondatezza

delle proposte questioni sollevate dal Pretore di Verbania nelle due

ordinanze, di cui — stante la continenza — va disposta la riunione né

la idoneità delle disposizioni costituzionali prescelte a fungere da

idonei parametri perché ne difetta in guisa assoluta la rilevanza, non

disconosciuta dallo stesso pretore, per non essere le questioni sollevate

pregiudiziali alla decisione sui ricorsi di volontaria giurisdizione che

hanno fornito occasione alla rimessione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti gli incidenti iscritti

ai nn. 1022 e 1327 r.o. 1984, dichiara la manifesta inammissibilità, per

irrilevanza, delle questioni di costituzionalità degli art. 30 ss. r.d. 30

gennaio !941 n. 12 (ordinamento giudiziario) in quanto non prevedo no indennità per i vice-pretori onorari e dell'art. 3 1. 19 febbraio 1981

n. 27 (provvidenze per il personale di magistratura) in quanto non

comprende anche i vice-pretori onorari che svolgono funzioni giurisdi

zionali, sollevate in relazione agli art. 97, 1° comma, e 101, 2°

comma, Cost, dal Pretore di Verbania con ordinanze 5 giugno 1984,

e 20 ottobre 1984, nonché dell'art. 1, 1° comma, 1. b agosto 1084 n. 425

'disposizioni relative a) trattamento economico dei magistrati sollevate

con ordinanza 6 agosto 1®84 in quanto non comprendono anche ;

vice-pretori onorari in relazione agli art. 97, 1° comma, e 101, 2'

comma, Cost.

Ingiunzione (procedimento per) — Opposizione — Domanda

riconvenzionale eccedente la competenza per valore — Conse

guenze (Cod. proc. civ., art. 36, 38, 45, 645).

La competenza del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo

a conoscere della causa relativa al giudizio di opposizione è

funzionale e inderogabile, per cui, quando nel giudizio di opposi

zione è proposta una domanda riconvenzionale che eccede la

competenza per valore del pretore, questi deve rimettere al

giudice superiore la causa relativa alla domanda ricovenzionale e

trattenere quella concernente l'opposizione a decreto ingiuntivo,

salvo disporre, ove del caso, la sospensione del procedimento da

lui trattenuto. (1)

Corte di cassazione; sezione I civile; sentenza 9 dicembre 1985,

n. 6213; Pres. La Torre, Est. Tilocca, P.M. Nicita (conci, conf.);

Giambardella c. De Franzo. Regolamento di competenza d'uf

ficio.

(1) Conf. in termini — secondo un indirizzo costante — Cass. 28

maggio 1984, n. 3255, Foro it., Rep. 1984, voce Ingiunzione, n. 37; 24

giugno 1983, n. 4348, 6 giugno 1983, nn. 3863 e 3860. id., Rep. 1983, voce cit., nn. 27-29; 19 novembre 1982, n. 6241, 5 giugno 1982, n.

3432, 8 aprile 1982, n. 2176, 12 febbraio 1982, n. 853, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 25-29; 25 luglio 1981, n. 4811, 24 luglio 1981, n. 4793, 24 marzo 1981, n. 1714, 10 marzo 1981, n. 1358, id., Rep. 1981, voce

cit., nn. 24-27; 15 novembre 1980, n. 6112, 14 novembre 1980, n.

6098, 5 febbraio 1980, n. 838, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 27, 28,

30; 3 luglio 1979, n. 3747, 11 giugno 1979, n. 3288, 5 febbraio 1979, n. 1004, 13 gennaio 1979, n. 280, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 24, 25,

30, 31; 14 settembre 1978, n. 4129, id., Rep. 1978, voce cit., n. 20; 26 lugho 1977, n. 3344, 26 gennaio 1977, n. 396, là., Rep. 1°77, voce

cit., nn. 23, 24; 17 marzo 1976, n. 997, id., 1977, I, 1791, con nota di

richiami.

La giurisprudenza afferma in modo univoco il carattere funzionale

ed inderogabile della competenza del giudice che ha emesso il decreto

ingiuntivo sul giudizio di opposizione; v., oltre alle sentenze citate, Cass. 22 novembre 1984, n. 6019, id., 1985, I, 748, con nota di

richiami, in tema di continenza con altra causa pendente presso un

diverso giudice preventivamente adito; Cass. 11 aprile 1983, n. 2543,

id., Rep. 1983, voce cit., n. 30, in tema di accertamento di questione

pregiudiziale con autorità di giudicato, ai sensi dell'art. 34 c.p.c.; Cass.

Il Foro Italiano — 1986.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

7 giugno 1984, n. 3443, id., Rep. 1984, voce cit., n. 36, nella quale si è affermata la competenza funzionale sul giudizio di opposizione del

giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, anche se incompetente ra ttorte materiae o valoris-, Trib. Monza 11 ottobre 1984, id., 1985, I, 278, con ossoivazioni d- Orsenigo.

In dottrina conf. Garbagnati, / procedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto5, Milano, 1979, 157 ss.; critico verso la ricostru zione dogmatica del potere del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo sul giudizio di opposizione come competenza funzionale ed

inderogabile, Andrioli, Commento, IV3, 69, tuttavia condivide la

inapplicabilità delle norme di modificazione della competenza per connessione. Per quanto riguarda la sospensione necessaria del giudizio di opposizione ai sensi dell'art. 295 c.p.c. v., per tutti, Giallongo, Note in tema di sospensione, pregiudizialità e connessione nel processo di cognizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1985, 616 ss., spec. 645 ss., ove, con riferimento al caso di specie, opina in senso conforme al costante orientamento giurisprudenziale, per l'applicabilità dell'art. 295

c.p.c.

# # *

La sentenza è cosi motivata: Motivi della decisione — l 'art. 645

c.p.c., j'abilendo che ''opposizione a decreto ingiuntivo va proposto da vanti all'ufficio giuJizxario cui appartiene il giudice che ha emesso il de

creto, ha istituito una competenza funzionale e inderogabile di tale uffi

cio, la quale, pertanto, non può essere derogata per ragioni di connes

sione, sia che questa si presenti in termini ampi e generici dell'art. 40

c.p.c. sia che si tratti delle speciali ipotesi di connessione, previste dagli art. 34, 35 e 36 c.p.c., sia che la situazione di connessione prevista alla emanazione del decreto ingiuntivo e alla proposizione dell'opposizione, sia che insorga successivamente nel corso dello stesso giudizio dell'oppo sizione {Cass. 16 marzo 1970, n. 553, Foro it., Rep. 1970, voce Ingiun zione, n. 31; 2 aprile 1975, n. 1183, id., Rep. 1975, voce cit., n. 31; 12

gennaio 1978, n. 131, id., Rep. 1978, voce cit., n. 22; 18 agosto 1980, n.

5297, id., Rep. 1980, voce cit., n. 29; 4 dicembre 1980, n. 6324, ibid., voce Competenza civile, n. 181; 25 luglio 1981, n. 4811, id., Rep. 1981, voce Ingiunzione, n. 24; 5 agosto 1981, n. 4400, id., Rep. 1982, voce

cit., n. 26). Pertanto, quando, nel giudizio di opposizione a decreto

ingiuntivo sia proposta, come nella specie, una domanda riconvenzio nale eccedente la competenza per valore del pretore, questi non può rimettere tutta la causa al giudice superiore, ma deve rimettergli soltanto la causa relativa alla domanda riconvenzionale e trattenere

quella concernente l'opposizione di decreto ingiuntivo, salvo a disporre, ove del caso, la sospensione di tale ultima causa ai sensi dell'art. 295

c.p.c. (Cass. 21 ottobre 1976, n. 3717, id., Rep. 1976, voce cit., n. 44; 24 luglio 1981, n. 4793, id., Rep. 1981, voce cit., n. 25; 10 marzo

1981, n. 1358, ibid., n. 27). Di conseguenza, nel caso in esame va dichiarata la competenza del Pretore di Bari a decidere sull'opposizio ne al decreto ingiuntivo e limitatamente a tale causa (e del resto non è in discussione in questa fase la competenza del Tribunale di Bari in ordine alla causa riconvenzionale) — va accolto il regolamento proposto d'ufficio dal detto tribunale con il conseguente annullamento della sentenza di incompetenza del Pretore di Bari. (Omissis)

Prova testimoniale — Fatti per cui il testimone è imputato in un

processo penale — Divieto di testimoniare — Mancata previ sione — Questione non manifestamente infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 2, 3, 24; cod. proc. civ., art. 246; cod. proc. pen., art. 348).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 246 c.p.c., in relazione all'art. 348, 3°

comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede il divieto di

testimoniare sui fatti per i quali il testimone sia imputato in un

processo penale, in riferimento agli art. 2, 3, 24 Cost. (1)

Corte d'appello di Roma; ordinanza 25 ottobre 1983 (pervenuta alla Corte costituzionale il 16 aprile 1985; Gazz. uff. 7 agosto 1985, n. 185 bis); Soc. Fasco Europe ed altri c. Banco di

Roma ed altra.

(1) La corte d'appello non ignora Corte cost. 7 aprile 1983, n. 85 (Fo ro it., 1983, I, 1512, con nota di richiami) che ha dichiarato infondata la

questione di costituzionalità dell'art. 246 c.p.c. ed osserva che la

questione è adesso nuovamente sollevata sotto aspetti diversi ed anche con riferimento all'art. 2 Cost., parametro non preso in esame dalla Corte costituzionale nella sent. 85/83.

Sui limiti alla capacità di testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c. cfr., da ultimo, Cass. 7 marzo 1984, n. 1594, id., 1984, I, 1580 (in

motivazione); Trib. Roma, ord. 13 febbraio 1984 e Cass. 24 ottobre

1983, n. 6247, ibid., 579 e 2293, con note di richiami, cui adde Cass. 27 luglio 1984, n. 4439, 12 aprile 1984, n. 2363, 28 gennaio 1983, n.

771, Trib. Verona 5 novembre 1983, id., Rep. 1984, voce Prova

testimoniale, nn. 19, 15, 20, 21; Cass. 29 aprile 1983, n. 2957, id., Rep. 1983, voce cit., n. 21.

Sulla legittimità costituzionale della disciplina contenuta nei codici di rito della prova testimoniale v., da ultimo, Corte cost. 30 luglio 1984, n. 234, id., 1984, I, 2675, con nota di richiami e osservazioni di

Colaianni, circa l'obbligo di giuramento per i credenti tenuti ad astenersi a causa della propria religione.

Società — Società in nome collettivo — Ragione sociale —

Indicazione del solo cognome di uno dei soci — Iscrizione nel

registro delle imprese — Cancellazione (Cod. civ., art. 2191,

2292).

Non può essere iscritta nel registro delle imprese (e, se iscritta,

deve essere cancellata) la ragione sociale di una società in nome

collettivo che contenga solo il cognome e non anche il prenome di uno dei soci. (1)

Tribunale di Vasto; decreto 25 ottobre 1985; Pres. Monta

nino, Rei. La Rana; Soc. Ciccarone.

(1) La giurisprudenza di merito si sta orientando verso l'accoglimen to del principio che ha ispirato la decisione in epigrafe e secondo il

quale, in virtù dell'interpretazione sia letterale che sistematica degli art. 6, 2292 e 2563 c.c., la ragione sociale di una s.n.c. deve indicare, ai fini della sua regolarità, sia il nome che il cognome di almeno uno dei soci stabilito che, per l'art. 6 c.c., il nome deve essere inteso come

comprensivo sia del prenome che del cognome. È in questo senso « tecni co », infatti, che il Tribunale di Vasto intende in forza dell'art. 2292

c.c. il termine « nome », tanto più che quando la legge non ha

ritenuto necessario la menzione del nome completo ha stabilito essere

sufficiente almeno il cognome come nella fattispecie prevista dall'art. 2563 c.c.

In senso conforme alla decisione che si riporta v. Trib. Vicenza 6 ottobre 1984, Foro it., 1986, I, 306, con nota di richiami; in dottrina

oltre gli autori ivi citati, cfr. Galgano, Società di persone, Milano, 309, n. 22, in senso favorevole alla necessità del nome più il cognome per la regolarità della ragione sociale, e contra Ghidini, Le società

personali, Padova, 1972, 746 ss.

Si riportano di seguito le osservazioni del giudice delegato: In forza dell'art. 2292 c.c. la società in nome collettivo agisce sotto

una ragione sociale costituita dal nome di uno o più soci con l'indicazione del rapporto sociale. L'inosservanza della predetta disposi zione comporta l'irregolarità della ragione sociale e la società non

può essere iscritta nel registro società ovvero, qualora ciò sia avvenuto, deve essere cancellata d'ufficio ai sensi dell'art. 2191 c.c. Il precetto di

cui alla norma innanzi richiamata, peraltro, va inteso nel senso che la

ragione sociale deve essere costituita sia dal cognome che dal prenome di uno dei soci, dovendosi ritenere insufficiente l'indicazione del solo

cognome. Ciò si evince agevolmente dal confronto della ripetuta disposizione

normativa con quelle di cui agli art. 6 e 2563 c.c.

Invero, l'art. 2563 c.c. dispone, fra l'altro, che la ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell'impren ditore mentre l'art. 2292 c.c. — come già rilevato — richiede che la

ragione sociale sia costituita dal nome di almeno uno dei soci.

Ciò posto, poiché per il disposto dell'art. 6, 2° comma, c.c. « nel nome si comprendono il prenome e il cognome » di ogni persona,

appare evidente che il legislatore, se avesse ritenuto sufficiente anche

per la regione sociale l'indicazione del solo cognome, non avrebbe richie

sto l'indicazione del nome (i cui elementi costitutivi sono il prenome ed

il cognome) ma avrebbe formulato la norma negli stessi termini di quelìu che disciplina la ditta dell'imprenditore, nella quale ha espressamente richiesto l'indicazione di « almeno il cognome o la sigla dell'imprendi tore ». Per le ragioni innanzi esposte va disposta la cancellazione della s.n.c. suddetta dal registro società.

La norma di cui all'art. 2292 c.c., peraltro, è applicabile anche all'ipo tesi di costituzione di una s.n.c. a seguito di regolarizzazione di una so cietà di fatto, non potendosi condividere l'opinione per la quale, nell'ipo tesi predetta, sarebbe applicabile la norma di cui all'art. 2565 c.c., la qua le disciplina il trasferimento della ditta che dà luogo alla c.d. « ditta de

rivata ».

Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-153.

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Page 7: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

2359 PARTE PRIMA 2360

Infatti, il ricorso all'analogia è legittimo solo in assenza di una norma che disciplini la fattispecie concreta presa in esame dall'inter prete.

Tale presupposto non sussiste in relazione alla disciplina della ditta derivata in quanto nel capo concernente la ditta e l'insegna esiste una

norma, contenuta nell'art. 2567 c.c., dalla quale si evince chiaramente che il legislatore non ha ritenuto applicabile la disciplina suddetta alle società commerciali.

In particolare a mente dell'art. 2567 c.c. « la ragione sociale e la denominazione delle società sono regolate dai titoli V e VI » del libro V del codice civile (la disciplina della ditta è contenuta nel titolo Vili), « tuttavia si applicano anche ad esse le disposizioni dell'art. 2564 ».

Appare evidente che il rinvio alla specifica disciplina delle società da un lato e l'estensione alle stesse della disciplina della ditta limitamente all'art. 2564 c.c. non consente in alcun modo di applicare anche l'art. 2565 c.c. alle società in genere e a quelle commerciali in particolare.

Beninteso, la società di fatto che viene regolarizzata mediante costituzione di una s.n.c. può certamente conservare nel corpo della ragione sociale della società regolare quella che distingueva la società irregolare (in senso lato), ma dovrà integrarla — se del caso — in modo da renderla conforme al disposto di cui all'art. 2292 c.c.

Per le ragioni innanzi esposte va disposta la cancellazione della s.n.c. suddetta dal registro società.

♦ * *

Il decreto è cosi motivato: Rettamente il giudice delegato ha ritenuto applicabile, al caso in esame, la disciplina di cui all'art. 2191 c.c. posto che è ormai pacifico, in giurisprudenza, l'operatività di tale normativa, anche per le società. In ordine al primo motivo di

gravame, con il quale si denuncia la violazione dell'art. 2191 c.c. nella

parte in cui prescrive l'audizione degli interessati, va detto che « interessati » devono intendersi l'imprenditore se trattasi di ditta individuale e gli amministratori se trattasi di società — argomentando ex art. 2189, 1° comma — (v. commento art. 2189 e 2191 c.c. su Commentario al codice civile di Cian e Trabucchi edito dalla Cedam). La circostanza che, in concreto, abbia sottoscritto la domanda di iscrizione al notaio, non rileva ai fini del decidere, posto che « interessato » deve intendersi la parte in senso sostanziale, e cioè

quella nella cui sfera giuridica vengono a costituirsi, modificarsi o

estinguersi rapporti giuridici e non già quella in senso formale, che ha

semplicemente presentato una istanza per conto e nell'interesse del

l'amministrazione della società.

Nemmeno è censurabile in punto di diritto l'impugnato provvedimen to, per il fatto che il giudice delegato non ha assegnato alcun termine

per la regolarizzazione della ragione sociale, posto che nessuna norma

prescrive tale moratoria.

Venendo al merito della decisione, va osservato che la motivazione addotta dal giudice delegato appare corretta perché fondata su esatta

interpretazione degli art. 2292, 6 e 2563 c.c. Né appare legittimo invocare l'analogia con gli art. 2563, 2565 e

2566 c.c. non ritenendo, questo collegio, corretta l'impostazione del problema.

Innanzitutto va rilevato che il ricorso all'analogia è consentito, ai sensi dell'art. 12 disp. prel., solo allorquando una controversia non

possa essere decisa con una precisa disposizione normativa, mentre nel caso di specie l'art. 2292 c.c., nella sua pur rigida formulazione, appare inequivocabile nel richiedere anche il nome — pronome —

di uno o più soci nella ragione sociale. Si aggiunga che nemmeno

appare sussistere la eadem ratio fra l'ipotesi di cessione di ditta da un

soggetto ad un altro e nuova iscrizione di società in nome collettivo.

Invero, mentre nella prima situazione abbiamo una ditta regolarmente esistente alla quale, per evitare perdita di avviamento dell'azienda, viene concesso di mantenere il nome di un socio non più attuale, nella seconda abbiamo una società che, dovendo essere iscritta nel registro delle imprese, deve necessariamente soddisfare alcune prescrizioni legi slative.

In poche parole, mentre nella prima ipotesi, nel consentire che

permanga il nome di un socio non più attuale, non si fa venir meno nessun requisito formale previsto dal legislatore, nella seconda, trattan dosi di iscrizione di società, il non inserire il nome di uno dei soci, contrasterebbe con l'esplicita previsione dell'art. 2292 c.c.

Pertanto, analogicamente, sarebbe legittima, anche secondo gli autori citati dal ricorrente, solo la presenza del nome di un socio, non più attuale, nella ragione sociale di una società in nome collettivo, giammai la completa esclusione dello stesso.

L'irregolare, perché incompleta, indicazione della ragione sociale si riflette necessariamente sulla regolarità dell'atto costitutivo; consegue la

legittimità dell'avvenuta cancellazione, ex officio, della società, ai sensi dell'art. 2191 c.c.

Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendenti di enti pubblici economici eletti a cariche pubbliche — Trattamento economico — Questione non manifestamente infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 3; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla

tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sinda

cale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul

collocamento, art. 31, 37).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 31 e 37 1. 20 maggio 1970 n. 300, nella

parte in cui escludono che i dipendenti di enti pubblici economi

ci, eletti a cariche pubbliche e collocati in aspettativa, possano fruire dell'assegno previsto dall'art. 3 1. 12 dicembre 1966 n. 1078 a carico dell'ente presso cui il lavoratore ricopre la carica

elettiva, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)

Pretura di Genova; ordinanza 12 dicembre 1984 (Gazz. uff. 19 giugno 1985, n. 143 bis); Dispenza c. Comune di Genova.

(1) Il pretore rileva che: « mentre appare ragionevole, come rilevato

dalla sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 1981, n. 193 (Foro it., 1982, I, 44), che sui datori di lavoro gravino oneri diversi a seconda

della loro qualità, pubblica o privata; e che agli enti pubblici economici,

operand sul mercato in condizioni di parità con gli altri operatori, facciano carico impegni meno gravosi, rispetto a quelli che la legge

impone agli altri datori pubblici; risulta, invece, non giustificato, in

relazione ad un peso economico gravante comunque sull'ente presso cui si svolge la funzione pubblica (qual è l'indennità prevista dall'art.

3 1. n. 1078/66), la distinzione tra i dipendenti di enti pubblici economici e non, risultante dal sistema normativo successivo alla 1. n.

300/70. Se, infatti, la ratio dell'art. 3 citato è quella di prevedere una

sorta di solidarietà economica tra soggetti pubblici, nel senso che l'en

te che utilizza l'impegno del lavoratore investito di una funzione

pubblica, si accolla il costo dell'assegno (ex art. 3) quando l'eletto sia

dipendente di altro soggetto pubblico, non si vede perché la qualità economica del datore debba escludere dalla fruibilità dell'assegno il

dipendente in aspettativa; dal momento che — trattandosi in tali

ipotesi non di gravare l'ente pubblico economico, ma di garantire in

misura rafforzata l'accesso a cariche pubbliche ad appartenenti al

settore pubblico — non dovrebbe rilevare, a questi fini, la posizio

ne dell'ente nel mercato ma la qualità pubblica dello stesso».

Nel senso che ai dipendenti di enti pubblici economici eletti a

cariche pubbliche deve applicarsi non già la disciplina stabilita per i

dipendenti di enti pubblici, bensì l'art. 31 1. 300/70, il quale prevede il collocamento facoltativo in aspettativa senza retribuzione, v. T.A.R.

Toscana 24 dicembre 1983, n. 963, Foro it., Rep. 1984, voce Impiegato

dello Stato, n. 1052; Cons. Stato, sez. I, 2 novembre 1979, n. 1264/79,

id., Rep. 1982, voce cit., n. 1020; Trib. Lucca 31 ottobre 1980, id.,

Rep. 1981, voce Lavoro ((rapporto), n. 1019, che conferma Pret.

Lucca 18 luglio 1979, id., 1979, I, 2958, con nota di richiami, cui

adde Cons. Stato, comm. spec., 21 marzo 1974, n. 4/74, id., Rep.

1979, voce Impiegato dello Stato, n. 1147.

In tema di diritto alla retribuzione per le assenze dal lavoro dovute

all'espletamento di una carica pubblica elettiva cfr., da ultimo, Cass.

21 gennaio 1985, n. 235 e 14 novembre 1984, n. 5763, id., 1985, I,

1058, con nota di richiami, secondo cui il consigliere comunale eletto

alla carica di assessore ed il sindaco hanno diritto a permessi

retribuiti solo per il tempo strettamente necessario per partecipare

alle assemblee consiliari, non invece per assolvere gli altri compiti ad es

sa connessi, per i quali possono invece beneficiare di permessi non

retribuiti; Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 1983, n. 292, id., 1984, III,

127, con nota di richiami, che ha escluso la spettanza della retribuzio

ne per le assenze dovute all'espletamento del mandato per il pubblico

dipendente eletto componente del comitato regionale di controllo.

Il Foro Italiano — 1986.

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