Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 5 (MAGGIO 1993), pp. 1717/1718-1727/1728Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187984 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
allo svolgimento di compiti serventi rispetto alla «funzione pre
sidenziale» costituzionalmente garantita e non già rispetto ad
una «funzione amministrativa genericamente assunta»;
b) che la spiccata autonomia di cui dispone la presidenza del
la repubblica si esprime anzitutto sul piano normativo, nel sen
so che ad essa compete la produzione di apposite norme giuridi
che, disciplinanti l'assetto ed il funzionamento dell'apparato ser
vente e comprende, altresì, il momento applicativo delle norme
stesse, incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle
misure atte ad assicurarne l'osservanza;
c) che il regolamento interno inerente al personale, d'emana
zione del presidente della repubblica in forza dell'attribuzione
dettata dalla 1. 1077/48, deve considerarsi «sorretto da un im
plicito fondamento costituzionale, in vista del quale la 1. n. 1077
del 1948 assume sul punto — come è stato chiarito già nel corso
dei lavori preparatori di essa — un carattere ricognitivo piutto
sto che attributivo».
Dal che consegue che il potere normativo del capo dello Sta
to, riguardato sotto altro profilo, non può essere condizionato
ai risultati di una «trattativa» sindacale se non, eventualmente,
per quegli aspetti che il presidente della repubblica in via auto
noma, preventivamente decida (anche mediante rinvio a norme
dell'ordinamento generale) di disciplinare in siffatto modo.
Nel contesto istituzionalizzato del pubblico impiego, invece, si riconosce alle organizzazioni sindacali maggiormente rappre
sentative la partecipazione al «procedimento negoziale» (v. ri
spettivamente, per la negoziazione degli accordi di comparto,
degli accordi intercompartimentali e di quelli decentrati, art. 6,
4° comma, 12, 3° comma, e 14, 2° comma, 1. 93/83), anche
se gli esiti della contrattazione non sono immediatamente ope
rativi, dovendo essere assunti in un autonomo atto del potere
esecutivo (cfr. Corte cost. 8 maggio 1980, n. 68, id., 1980, I,
1553). Da siffatto contesto normativo risulta, quindi, in modo in
dubbio, che l'art. 6 1. 12 giugno 1990 n. 146 — dal quale esclu
sivamente trae fondamento la possibilità di un'azione ex art.
28 1. 300/70 contro comportamenti posti in essere da «un'am
ministrazione statale» — non può riguardare il segretariato ge
nerale della presidenza della repubblica; l'area soggettiva del
l'amministrazione, considerata nel citato art. 6, risulta essere
quella già definita nell'art. 1 legge-quadro 93/83 sul pubblico
impiego («amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo»), alla quale sono estranei gli apparati degli organi
costituzionali di vertice definiti dai rispettivi autonomi ordina
menti e, in particolare, il segretariato generale della presidenza
della repubblica, formalmente istituito con legge ma totalmente
definito e strutturato da normativa presidenziale, quale appara
to servente della stessa funzione presidenziale costituzionalmen
te garantita, di cui è preordinato a salvaguardare l'efficacia e
l'autonomia.
Con riferimento, poi, all'ordinamento del segretariato gene
rale della presidenza della repubblica, come non è configurabile
uno spazio di contrattazione normativamente riconosciuto nella
disciplina del rapporto di lavoro, cosi', e per necessità logica
(difettandone il presupposto), non è configurabile alcun diritto
di una qualsiasi organizzazione sindacale alla trattativa.
Una eventuale compromissione delle libertà sindacali nell'am
bito del segretariato generale potrà, quindi, essere denunziata
fouri del quadro del richiamato art. 28 novellato ed attraverso
i procedimenti giudiziari ordinari, senza che ciò implichi alcun
profilo d'illegittimità ordinamentale (cfr., sul punto, Corte cost.
68/80, cit.), in quanto non esiste, come già evidenziato, alcuna
disposizione normativa che configuri il sindacato come agente
contrattuale nell'ambito del segretariato generale ovvero stabili
sca una procedimentalizzazione dell'esercizio del potere norma
tivo del presidente della repubblica, diversa da quella considera
ta nella 1. 1077/48 e che, in particolare, preveda la contrattazio
ne con le organizzazioni sindacali come strumento di
determinazione dei contenuti dei regolamenti presidenziali e, tanto
meno, sul piano specifico del confronto per l'aggiornamento
della disciplina economico-normativa del rapporto di lavoro.
Lo schema di azione giudiziale proposta non trova, quindi,
rispondenza nell'ordinamento attuale in ragione della natura del
Il Foro Italiano — 1993.
soggetto convenuto, e ne consegue che la domanda proposta
deve essere dichiarata improponibile. Per completezza di motivazione e con riferimento ai rilievi
avanzati dalla difesa ricorrente nelle note autorizzate, va rileva
to che è pur vero che spetta, comunque, all'interprete il compi
to di garantire la coerenza del sistema; nella specie, le comples se e delicate problematiche di ordine istituzionale e processuale,
determinate dalle richiamate decisioni della Corte costituziona
le, possono essere risolte mutuando dalle statuizioni delle sezio
ni unite (cfr. sentenze cit.) quanto era affermato, allorché l'ap
plicabilità all'impiego statale della speciale procedura ex art. 28
rimaneva preclusa; invero, nell'ipotesi in cui il comportamento antisindacale dell'amministrazione statale avesse leso direttamente
ed esclusivamente diritti propri del sindacato, la tutela giurisdi
zionale era demandata nel previgente assetto, attualmente mo
dificato dagli art. 6 e 7 1. 12 giugno 1990 n. 146, all'autorità
giudiziaria ordinaria secondo le norme del rito civile ordinario,
essendo il giudice civile, nel riparto della giurisdizione, compe tente a conoscere sia dei diritti civili che politici (art. 2 1.
2248/1865, ali. E). Come è stato esplicitamente affermato dal Supremo collegio,
con riferimento all'individuazione di siffatto rimedio giurisdi zionale (cfr. sez. un. 20 luglio 1989, n. 3404, id., 1990, I, 137, e n. 3405, id., Rep. 1989, voce cit., n. 99, nonché, sez. un.
26 luglio 1984, nn. 4399, 4390, 4387, 4386, cit.) è da escludersi,
nella specie, mutatis mutandis, una violazione degli art. 3 e 24
Cost, sotto il profilo della diversa intensità ed incisività degli
strumenti a difesa dei diritti sindacali, rispettivamente nel pro
cesso davanti al giudice ordinario ed a quello davanti al pretore
del lavoro, atteso che nell'uno e nell'altro procedimento sono
assicurate le fondamentali garanzie delle parti e che le indicate
differenze si ricollegano all'obiettiva diversità delle situazioni.
Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile
Avvocato e procuratore — Procuratore legale — Esame di abi
litazione — Svolgimento — Sede di corte d'appello — Iscri
zione in albo non compreso nel distretto — Divieto — Inco
stituzionalità (Cost., art. 3; r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578,
ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, art.
25; 1. 24 luglio 1985 n. 406, modifiche alla disciplina del pa trocinio davanti alle preture e degli esami per la professione
di procuratore legale, art. 3; 1. 4 marzo 1991 n. 67, modifiche
al r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, convertito, con modifica
zioni, dalla 1. 22 gennaio 1934 n. 36 e alla 1. 24 luglio 1985 n. 406, recanti disposizioni sull'ordinamento delle professioni
di avvocato e procuratore, art. 1, 2).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 3, 2° com
ma, 1. 24 luglio 1985 n. 406, contenente, in relazione all'art.
25 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, convertito nella 1. 22 gen
naio 1934 n. 36, il divieto — abrogato ex nunc dalla 1. 4 marzo
1991 n. 67 — per il procuratore legale di iscriversi, anterior
mente al decorso del biennio dalla prima iscrizione all'albo, in
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1719 PARTE PRIMA 1720
altro non compreso nel distretto della corte d'appello presso cui è stato sostenuto l'esame di abilitazione professionale. (1)
Corte costituzionale; sentenza 7 maggio 1993, n. 224 (Gazzet ta ufficiale, la serie speciale, 12 maggio 1993, n. 20); Pres. Ca
savola, Est. Mirabelli; De Castello c. Consiglio ordine avvocati
e procuratori di Belluno. Ord. Cass. 5 ottobre 1992, n. 613
(G.U., la s.s., n. 52 del 1992).
(1) La corte ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle sezioni unite della cassazione con l'ordinanza 5 ottobre 1992, n. 613 (rei. O. Fanelli), Foro it., Mass., 873, nella cui motivazio ne (riassunta, anche, su II Sole - 24 Ore del 22 dicembre 1992) si è
evidenziato, fra l'altro, che «la necessaria iscrizione nell'albo del di stretto di superamento dell'esame traeva con sé — nel silenzio, sul pun to, della legge nel 1985 — la ulteriore conseguenza che, una volta iscrit
to, il procuratore non potesse chiedere il trasferimento ad altra sede
prima del decorso di altri due anni, alla stregua della preesistente nor ma di cui all'art. 25 della legge professionale forense (r.d.l. 27 novem bre 1933, n. 1578, convertito nella 1. 22 gennaio 1934, n. 36).
Tali incertezze la 1. n. 67 del 1991 ha troncato, muovendo proprio dall'intento di evitare una sicura censura di costituzionalità con l'espressa abrogazione dell'art. 25, e col mantenere quindi soltanto l'obbligo di sostenere l'esame nel luogo in cui si è espletata la pratica. Ciò sta a
significare» — per le sezioni unite — «che quella grave limitazione alla libertà di residenza e di lavoro non era funzionale alla regolarizzazione dello svolgimento dell'esame di procuratore nel senso di impedire ai
praticanti di scegliersi, attraverso la scelta del luogo, in pratica la com missione d'esame, cosicché proprio l'avvento della legge del 1991 vale a dimostrare che neppure per il passato il combinato disposto dell'art.
3, 2° comma, della legge del 1985 e dell'art. 25 r.d.l. del 1933 aveva una sua ragione d'essere».
Anteriormente all'entrata in vigore della 1. n. 67 del 1991 (su cui R. Danovi, in Corriere giur., 1991, 581), Cons. naz. forense 23 settem bre 1988, Foro it., Rep. 1991, voce Avvocato, n. 49 e Ricciardi (Li neamenti dell'ordinamento professionale forense, Giuffrè, Milano, 1990,
126) si sono soffermati sulle norme sulle quali è intervenuta la corte. Il primo ha ritenuto che il superamento dell'esame di procuratore legale consente l'iscrizione ad un albo circondariale nell'ambito del distretto della corte d'appello presso il quale è stata sostenuta la prova, soggiun gendo che, in base all'art. 25 r.d.l. n. 1578 del 1933, il procuratore non può chiedere per un biennio da tale iscrizione il trasferimento ad altro albo. Ricciardi (op. loc. cit.), dal canto suo, ha precisato che «il 2° comma dell'art. 3 1. n. 406 del 1985 non avrebbe senso e non si comprende per quale ragione il legislatore avrebbe dettato tale nor
ma, che sarebbe priva di forza cogente e si ridurrebbe ad una mera
petizione di principio, se fosse consentito vanificare la prescrizione nor mativa attraverso un trasferimento subito dopo la prima iscrizione. In altre parole» — ha proseguito l'a. — «il legislatore del 1985 ha sancito
l'obbligo di iscrizione in un albo del distretto della corte d'appello pres so la quale è stato superato l'esame di procuratore, sul presupposto che il divieto di trasferire l'iscrizione prima di un biennio dalla iscrizio ne — sancito dall'art. 25, 1° comma, 1. n. 36 — è tutt'ora vigente ed efficace».
In epoca meno recente, però, Cons. naz. forense 24 aprile 1976, Foro
it., Rep. 1979, voce cit., n. 37, aveva reputato meritevole di accogli mento la domanda di iscrizione per trasferimento avanzata dal profes sionista prima del decorso del biennio dalla sua iscrizione nell'albo di
origine, sul rilievo della impossibilità di porre limitazioni alle iscrizioni
negli albi per trasferimento a norma dell'art. 1 d.l. n. 215 del 1944. [C.M. Barone]
♦ * *
La sentenza è cosi motivata: Diritto. — 1. - La questione di legittimi tà costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione riguarda il vincolo, per coloro che hanno superato gli esami di procuratore legale, di iscri versi esclusivamente in un albo circondariale nell'ambito del distretto della corte d'appello presso la quale è stato sostenuto l'esame. Questa limitazione — introdotta dall'art. 3, 2° comma, 1. 24 luglio 1985 n. 406 — si è combinata e cumulata con il preesistente obbligo di perma nenza minima della iscrizione in un albo, per almeno un biennio, per ché possa essere chiesto il trasferimento ad altra sede nella quale l'inte ressato intende fissare la propria residenza (art. 25 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578).
Il limite di legittimazione al trasferimento era stato disposto nel con testo di un ordinamento della professione forense che prevedeva, per la iscrizione nell'albo dei procuratori, un numero di posti limitato, la cui consistenza e disponibilità (per l'assegnazione mediante concorso
per esami o per trasferimento) dovevano essere annualmente determina te anche in ragione del numero degli affari giudiziari.
Si era dunque in presenza di un sistema unitario (con la possibilità che unica fosse la sede di esami, presso il ministero di grazia e giusti
II Foro Italiano — 1993.
zia), connotato da interessi di carattere pubblico, inerenti al servizio
giudiziario, che si affermavano anche nella fase della distribuzione sul territorio di quanti esercitavano la professione di procuratore. Questo sistema è stato «temporaneamente sospeso» dal d.l. lgt. 7 settembre 1944 n. 215, ma sostanzialmente abbandonato per il consolidarsi della
sua mancata applicazione. Le limitazioni alla mobilità dei procuratori legali successivamente in
trodotte non riguardano la quantificazione e la distribuzione dei posti, ma tendono a determinare la corte d'appello presso la quale gli esami
possono essere sostenuti e collegano a tale luogo la possibilità di iscri zione all'albo. Cosi è per l'obbligo di sostenere gli esami nel distretto nel quale si è svolta la pratica professionale; cosi è, anche, per la possi bilità di iscrizione esclusivamente in un albo nell'ambito del distretto di corte d'appello presso la quale l'esame è stato sostenuto (art. 3, ri
spettivamente 1° e 2° comma, 1. n. 406 del 1985). 2. - La Corte di cassazione ritiene che la disciplina sopra descritta
possa essere in contrasto con gli art. 3, 4 e 16, 1° comma, Cost. In particolare, con riferimento all'art. 3 Cost., il giudice rimettente
deduce l'irragionevolezza di una disciplina che pone coloro che hanno
superato l'esame e hanno mutato successivamente la propria residenza
nell'impossibilità di iscriversi nell'albo del luogo di nuova residenza, rimanendo di conseguenza esclusi dall'esercizio della professione.
L'ordinanza di rimessione sottolinea che la 1. n. 406 del 1985 ha inte
so «arginare il fenomeno delle migrazioni dei praticanti procuratori verso sedi di esame ritenute più vantaggiose». Ma a tale scopo — osserva la Corte di cassazione — sarebbe sufficiente l'obbligo di sostenere l'esa me presso la corte d'appello nel cui distretto si è svolta la pratica pro fessionale, essendo del tutto improbabile che al fine di scegliere una sede di esame il praticante procuratore trasferisca altrove la propria residenza per i due anni della durata minima della pratica professionale.
3. - Il limite posto dall'art. 3, 2° comma, 1. n. 406 del 1985 per la prima iscrizione in un albo dei procuratori, unito all'obbligo (che deriva dall'art. 25 r.d.l. n. 1578 del 1933) di non chiedere il trasferi mento per almeno due anni, è cosi assoluto da non ammettere, nell'in
terpretazione che è stata data alle disposizioni stesse, alcuna possibilità di deroga, neppure quando il mutamento di residenza non sia affatto elusivo delle finalità della legge ma sia invece dovuto a necessità effetti ve e sopravvenute, o anche necessario per evitare incompatibilità che l'esercizio della professione nel distretto nel quale si è tenuti ad iscriver
si e rimanere iscritti per almeno due anni potrebbe determinare. Il vin
colo che cosi si cumula, in un sistema altrimenti ispirato alla libera scelta della circoscrizione nella quale l'interessato può iscriversi per eser citare la professione, eccede, nel suo modo di essere, le finalità perse guite con l'imposizione del vincolo stesso. Difatti, nell'attuale ordina mento forense non sussistono gli originari limiti nel numero e nella distribuzione degli iscritti agli albi delle diverse circoscrizioni, che dava no ragione della rigorosa regolamentazione, anche in funzione delle esi
genze del servizio giudiziario, della mobilità dei professionisti. Inoltre, l'obbligo di prima iscrizione nell'ambito del distretto nel quale
sono stati sostenuti gli esami, previsto come assoluto ed inderogabile, non si giustifica adeguatamente né in rapporto al momento genetico (del collegamento con la sede di esami per l'abilitazione all'esercizio della professione) né in relazione all'aspetto funzionale (dell'esercizio della professione stessa). Sotto il primo profilo la iscrizione all'albo
potrebbe avvenire anche a notevole distanza di tempo dal superamento degli esami senza che, secondo il tenore letterale dell'art. 3 1. n. 406 del 1985, cessi l'obbligo di prima iscrizione nell'ambito del distretto. Sotto il secondo profilo l'esigenza, anche prospettata, di assicurare al meno per un arco di tempo adeguato e prefissato la rappresentanza di chi affida il mandato al procuratore, non sussiste certamente per la prima iscrizione, che costituisce essa stessa il presupposto per il veri ficarsi della situazione che si ritiene poi di dover proteggere.
La questione di legittimità costituzionale è pertanto fondata e va di chiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni denunziate per contrasto con l'art. 3 Cost.
Gli altri profili dedotti dall'ordinanza di rimessione sono assorbiti. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costi
tuzionale dell'art. 3, 2° comma, 1. 24 luglio 1985 n. 406 (modifiche alla disciplina del patrocinio davanti alle preture e degli esami per la
professione di procuratore legale) in relazione all'art. 25 r.d.l. 27 no vembre 1933 n. 1578 (ordinamento delle professioni di avvocato e pro curatore), convertito, con modificazioni, con la 1. 22 gennaio 1934 n. 36.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Regione — Lombardia — Dipendenti addetti alle segreterie par ticolari — Trattamento economico integrativo — Estensione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 97, 117; 1. reg. Lombardia 1° agosto 1979 n. 42, ordinamento dei ser
vizi e degli uffici della giunta regionale, art. 22).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
2 1. reg. Lombardia riapprovata il 6 agosto 1992, nella parte in cui prevede che al personale appartenente ai ruoli organici della regione o comandato presso la medesima, assegnato alle
segreterie particolari, che rivesta qualifica inferiore a quella pro
pria del posto di contingente tabellare coperto spetti un assegno personale integrativo, in riferimento agli art. 97 e 117 Cost. (1)
Corte costituzionale; sentenza 29 dicembre 1992, n. 488 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 7 gennaio 1993, n. 1); Pres.
Casavola, Est. Ferri; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Bru
no) c. Regione Lombardia (Avv. Onida).
(1) Questione di specie, decisa dalla corte nell'ambito dei principi generali sul divieto di reformatio in peius del trattamento economico dei pubblici dipendenti e sull'istituto del comando: per riferimenti, v. le note di richiami a Cons. Stato, ad plen., 16 marzo 1992, n. 8, Foro
it., 1992, III, 472 e 26 settembre 1990, n. 7, id., 1991, III, 120.
Sequestro penale — Impugnazioni — Riesame — Avviso di fis
sazione dell'udienza in camera di consiglio — Pubblico mini
stero destinatario della comunicazione — Procuratore della
repubblica presso il tribunale del riesame — Questione infon
data di costituzionalità (Cost., art. 76, 77, 112; cod. proc.
pen., art. 324).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
324, 3° comma, c.p.p., nella parte in cui prevede che, nel pro cedimento di riesame del provvedimento di sequestro preventi
vo, l'avviso della data fissata per l'udienza in camera di consi
glio sia comunicato al pubblico ministero presso il tribunale com
petente per la decisione sul riesame e non al pubblico ministero
costituito presso il giudice che ha adottato il provvedimento im
pugnato, in riferimento agli art. 76, 77, 1° comma, e 112
Cost. (1)
Corte costituzionale; sentenza 10 novembre 1992, n. 432 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 18 novembre 1992, n. 48); Pres.
Corasaniti, Est. Cheli; imp. Ribatti, Farina, Porro, Di Molfet
ta; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Bari 20 febbraio 1992, 5 e 12 marzo 1992 (due) (G.U., la s.s., nn. 19, 22 e 25 del 1992).
(1) La pronuncia conferma l'orientamento espresso da Cass., sez. un., 31 maggio 1991, P.m. in c. Faraco, Foro it., 1991, II, 708, secondo cui legittimato a rappresentare la pubblica accusa nelle udienze camera li avanti il c.d. tribunale della libertà, e ad impugnare i relativi provve dimenti, è soltanto l'ufficio della procura della repubblica presso il tri bunale medesimo, con esclusione, dunque, della legitimatio ad causam del pubblico ministero presso la pretura circondariale — nell'ipotesi in cui da questa provenga la richiesta di provvedimento cautelare — cui,
pertanto, non spetta alcun avviso in ordine alla data di fissazione del l'udienza in camera di consiglio. Per un primo commento alla sentenza in epigrafe, cfr. Selvaggi, Ma la legge dovrebbe garantire meglio l'ac
cusa, in Guida normativa de li Sole-24 Ore, 1992, fase. 229, 29.
Il Foro Italiano — 1993.
Farmacia — Trasferimento con patto di retrocessione — Inos
servanza — Richiesta di sentenza costitutiva — Giurisdizione
ordinaria — Estremi (Cod. civ., art. 2932; 1. 2 aprile 1968 n. 475, norme concernenti il servizio farmaceutico, art. 11, 12).
La domanda, con la quale l'alienante di farmacia e annessa
azienda, lamentando l'inosservanza del «patto di retrocessione»
da parte dell'acquirente, ne chiede la condanna al ritrasferimen
to dell'una e dell'altra, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario ed è fondata, dovendosi ravvisare nel ripetuto patto un preliminare ad effetti obbligatori suscettibile della esecuzio
ne specifica prevista dall'art. 2932 c.c. (1)
Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 3 febbraio
1993, n. 1315; Pres. Brancaccio, Est. Sammartino, P.M. Di Ren
zo (conci, conf.) Stracuzzi (Avv. Compagno, Panuccio) c. Ge
novese (Avv. Giacobbe, Carrozza, Silvestri). Conferma App. Messina 30 maggio 1991.
(1) Nella prima parte della motivazione, le sezioni unite hanno ravvi sato nell'atto con il quale la pubblica amministrazione consente l'aper tura e l'esercizio di una farmacia «una autorizzazione costitutiva che crea nel privato una nuova situazione giuridica che non deriva dalla sfera dell'ente pubblico», dichiarando di uniformarsi, in tal modo, alla
più recente giurisprudenza della corte, costituita, secondo la riportata sentenza, dalle sent. 9 novembre 1985, nn. 5471 e 5470, Foro it., 1986, I, 982, con osservazioni di R. Ferrara e 8 novembre 1983, n. 6587, id., 1984, I, 465, con nota di richiami.
La tendenza della giurisprudenza sul punto non coincide, però, con
quella individuata dalla pronuncia in rassegna, perché, se è vero che le ricordate decisioni del 1985 hanno ricondotto il ripetuto atto ad una autorizzazione amministrativa non è men vero che, più di recente, le stesse sezioni unite, dopo aver incidentalmente escluso, con la sent. 17
gennaio 1986, n. 274, id., 1986, I, 1910, con osservazioni di R. Ferra
ra, la configurazione concessoria dal rapporto tra la pubblica ammini strazione e il farmacista, con la successiva sent. 3 febbraio 1986, n.
652, ibid., 1909, riesaminata da un punto di vista generale dallo stesso R. Ferrara, Farmacia, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1989, XIV, 5, hanno attinto conclusioni diametralmente opposte, affermando testualmente che l'atto di conferimento «al farmacista del potere di aprire ed esercitare una farmacia rientra nella categoria delle concessioni am
ministrative, mediante le quali viene attribuito un nuovo diritto, il dirit to di esercitare una determinata attività professionale non libera, di distribuire i medicinali alle popolazioni di una determinata zona. Dalla concessione dei pubblico servizio farmaceutico» — ad avviso della sent, n. 652 del 1986 — «nasce quindi per il concessionario il diritto alla conservazione ed all'esclusivo esercizio della predetta attività, (diritto) che può cadere, per revoca, quando la concessione non risponde più alle esigenze pubbliche, oppure per decadenza, per effetto di un fatto
giuridico e di un comportamento del concessionario secondo ipotesi tas sativamente prevista dalla legge».
Nonostante la or evidenziata disinformata prospettazione dell'orien tamento della corte nella materia in discussione, la soluzione della que stione di giurisdizione adottata dalle sezioni unite appare, comunque, corretta, controvertendosi nella specie tra privati senza alcuna contesta zione dei rapporti fra le parti e la pubblica amministrazione, cosi come
precisato dalla richiamata sez. un. 8 novembre 1983, n. 6587, Foro
it., 1984, I, 465, con riguardo a fattispecie, per molti versi riconducibile a quella in esame, di azione ex art. 2932 c.c. in relazione ad ipotesi di mancato trasferimento della titolarità di esercizio farmaceutico pri ma del riconoscimento del medico provinciale.
Peraltro, anche nella prospettiva del riconoscimento della natura con cessoria del rapporto pubblica amministrazione-farmacista, la soluzione della dedotta questione di giurisdizione non si sarebbe, verosimilmente, discostata da quella attinta dalla corte, posto che, come ribadito da Cass. 4 febbraio 1993, n. 1392, id., 1993, I, 1082, con nota di richiami, la controversia, non interessante la pubblica amministrazione, fra con cessionario e terzo (rispetto alla quale l'atto di concessione costituisce mero presupposto del rapporto tra l'uno e l'altro), rientra nella giuri sdizione del giudice ordinario, anche se vertente sulla richiesta di ema nazione di sentenza costitutiva, produttiva degli effetti del contratto non concluso dai contendenti.
Nella seconda parte della motivazione la corte ha qualificato norma
imperativa quella secondo cui «il trasferimento di una farmacia può avvenire soltanto a favore di farmacista che abbia determinati requisi ti», con verosimile riferimento all'art. 12, 2° comma, 1. n. 475 del 1968,
occupandosi altresì' dei rapporti tra esercizio e gestione diretta della farmacia.
Sull'argomento si è soffermata, in modo approfondito, Cass. 14 marzo
1990, n. 2091, id., 1991, I, 555, con nota di richiami. Dopo aver avver
tito che «l'inscindibilità tra gestione del servizio farmaceutico e gestione dell'azienda è ribadita dall'art. 12, 8° comma, cit. 1. n. 475 del 1968»,
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1723 PARTE PRIMA 1724
la ricordata sent. n. 2091 del 1990 ha confermato che le pattuizioni concluse senza tener conto dell'anzidetta inscindibilità sono affette da
nullità. «Trattasi ovviamente» — ha proseguito la corte — «di una
nullità virtuale e non testuale, perché in questo caso la legge si è limita
ta ad usare una formula imperativa senza sancire espressamente la nul
lità, della quale tuttavia l'intera disposizione è permeata, in quanto l'in
derogabilità risulta chiaramente dalla ratio della disposizione. Infatti» — secondo la medesima sentenza — «quando l'ordinamento prescrive
l'inscindibilità, nel farmacista, sia della titolarità del servizio che della
gestione dell'azienda farmaceutica, comminando una sanzione ammini
strativa senza nulla disporre circa la validità di eventuali negozi in con
trasto, la nullità virtuale non può desumersi per effetto della sola pre senza di una sanzione (penale o amministrativa che sia), ma occorre
accertare se, con l'indicata proibizione, il legislatore ha inteso colpire inderogabilmente gli accordi idonei a raggiungere lo stesso risultato che
la norma intende impedire, com'è appunto nella fattispecie, dove, ap
plicando il criterio guida indicato dall'art. 1418 c.c., si deduce che la
proibizione non lascia altre possibilità al soggetto, è univoca e non de
rogabile rispetto agli scopi che intende perseguire nell'interesse pubblico». In precedenza, la citata Cass. 21 aprile 1989, n. 1900, id., 1990, I,
1641, con nota di richiami, si era espressa sulla questione con qualche variazione, anche se da altro punto di vista, avvertendo che «titolarità
dell'esercizio farmaceutico e titolarità dell'azienda connessa, pur rap
presentando i risvolti di una identificazione che l'ordinamento perse
gue, non sono legati da un nesso strumentale cosi stretto da acquistare i connotati dell'automatismo, per cui simul stant aut simul cadunt, po tendosi rovesciare specularmente l'enunciazione che già si leggeva nella
sent. 4179/74 (id., Rep. 1975, voce Procedimento civile, n. 29), secon do cui cosi come il titolare dell'esercizio farmaceutico non consegue,
per effetto di tale titolarità, automaticamente quella dell'azienda far
maceutica, a contrario il venir meno della titolarità dell'azienda non
comporta di per sé la caducazione della posizione giuridica relativa alla
titolarità dell'esercizio farmaceutico.
L'alienazione dell'azienda farmaceutica non fa quindi venir meno ip so iure la titolarità amministrativa della farmacia in capo all'alienante finché non intervenga il provvedimento amministrativo che ripristini la
regola della necessaria coincidenza fra le due titolarità». [C. M. Barone]
* * *
La sentenza è cosi motivata: Svolgimento del processo. — 1. - Anto nia Genovese — la quale, con rogito Fleres del 23 marzo 1977, aveva
trasferito ad Angela Stracuzzi la titolarità della farmacia sita in via
Garibaldi n. 76 di Barcellona Pozzo di Giotto unitamente alla connessa
azienda commerciale, e, con coeva scrittura privata, aveva pattuito con
Stracuzzi la costituzione d'un'associazione in partecipazione per la ge stione dell'esercizio e dei beni patrimoniali della farmacia (associarne
Stracuzzi) e la retrocessione della titolarità e dell'azienda allo scadere del decimo anno, fermo il rapporto di associazione per altri quindici
anni, ma a posizioni e conferimenti invertiti (associante Genovese) —
chiese al Tribunale di Messina (con citazione del 12 settembre 1985) fra l'altro:
a) che si dichiarasse che Stracuzzi aveva l'obbligo di ritrasferirle, alla
data del 23 marzo 1987, la titolarità della farmacia e l'azienda; b) che, in subordine, fosse pronunciata sentenza ex art. 2932 c.c.
ove il giudizio si fosse protratto oltre quella data.
2. - Stracuzzi, dal canto suo, oltre al rigetto delle domande, chiese, in riconvenzionale — fra l'altro — che fossero dichiarati nulli, perché in contrasto con norme di ordine pubblico, il patto di retrocessione
«e tutti i negozi intervenuti tra le parti» e che fosse dichiarato il suo
perdurante diritto alla titolarità della farmacia.
3. - Il tribunale accolse la domanda di ritrasferimento del diritto di esercizio della farmacia e della connessa azienda commerciale e rigettò le riconvenzionali.
4. - La sentenza fu confermata dalla corte messinese, la quale cosi
argomentò, fra l'altro, in ordine ai motivi del gravame proposto da
Stracuzzi:
a) il patto di retrocessione doveva considerarsi valido «poiché era
destinato ad avere attuazione in epoca in cui il Genovese avrebbe già conseguito i titoli per la gestione diretta della farmacia» e la legge con
sente «l'impegno a un futuro trasferimento»;
b) il trasferimento da Genovese a Stracuzzi stipulato col rogito era
da qualificarsi come vendita, il cui prezzo, determinato dalle parti in
lire 50.000.000 rivalutabili «al costo della vita», era stato lasciato nella
disponibilità dell'associarne quale apporto dell'associata in corrispettivo della partecipazione, agli utili dell'azienda, a lei attribuita;
e) non poteva accogliersi la tesi della simulazione sostenuta da Stra
cuzzi: «se l'intera costruzione negoziale fosse stata fittizia ed esclusiva
mente rivolta allo scopo di conservare all'apparente alienante la pro
prietà della farmacia, mediante l'interposizione di un'apparente diversa
titolare, fino all'acquisizione dei titoli necessari per l'esercizio diretto
della stessa, in tal caso non avrebbe avuto alcun senso la previsione
Il Foro Italiano — 1993.
della prosecuzione dell'ingerenza, sia pure in veste di associata, della
Stracuzzi nella gestione della farmacia per altri quindici anni dopo che, con l'esecuzione dell'obbligo di retrocessione, fosse stato già realizzato
lo scopo che si assume perseguito dalle parti»; inoltre, nella predetta
ipotesi, le parti non avrebbero previsto, nella controdichiarazione, che
alla scadenza del venticinquennio, le parti stesse avrebbero ripartito «la
differenza in più o in meno» del valore di avviamento della farmacia tra la data di inizio e quella di cessazione di detto periodo, poiché a
Stracuzzi non sarebbe potuto derivare alcun diritto od obbligo se l'inte
ra contrattazione fosse stata fittizia;
d) in conclusione, erano validi sia il negozio di trasferimento sia il
negozio di retrocessione sia il negozio associativo (che non implicando costituzione di società o comunione di beni tra le parti, non incorreva
nella sanzione di nullità ex art. 11 e 12 1. 475/68, per violazione del
principio inderogabile dell'insindacabilità della titolarità della farmacia
dalla titolarità e gestione diretta della connessa azienda). 5. - Il ricorso di Stracuzzi si articola nei seguenti motivi:
I. - Difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del
giudice amministrativo in ordine alla domanda di esecuzione specifica
dell'obbligo di concludere il contratto di retrocessione.
II. - Violazione degli art. 1/1 1 12/3 della 1. 475/68 e dell'art. 4 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E: la pronuncia di accoglimento della
domanda menzionata col primo motivo implica «la revoca o la modifi
ca di un provvedimento amministrativo», ciò che è inibito dal giudice ordinario.
III. - Violazione dell'art. 100 c.p.c. nonché difetto di motivazione:
a torto la corte di merito negò il suo interesse alla declaratoria della
nullità «della complessiva pattuizione (atto notarile e scrittura privata) adducendo l'argomento che ne sarebbe rimasto travolto anche l'acqui sto in favore» di lei e affermando, per contro, l'interesse di Genovese
alla domanda di una pronuncia ex art. 2932 c.c. sul presupposto della
validità del patto di retrocessione: la corte non tenne conto che la chie
sta dichiarazione di nullità di tutto il complesso negoziale avrebbe tra
volto — si — anche quell'acquisto ma avrebbe lasciato «ferma l'investi
tura» di lei, quale «titolare della farmacia e della relativa azienda», a suo tempo intervenuta con il decreto amministrativo di riconoscimen
to, avente carattere costitutivo.
IV. - Violazione degli art. 1414, 1344 c.c. e 12 1. 475/68 cit. nonché
difetto di motivazione: la corte avrebbe dovuto: a) dichiarare nullo il
contratto di trasferimento della farmacia da Genovese a lei Stracuzzi
per mancanza dell'elemento costitutivo del prezzo; b) dichiarare la si
mulazione assoluta dello stesso contratto; c) dichiarare la nullità del
negozio associativo, non potendo l'apporto dell'associata «a favore del
la titolare della farmacia, associante», essere «la farmacia medesima, cioè l'entità che — per definizione — deve sussistere in capo all'asso
dante».
V. - Violazione dell'art. 1344 c.c. combinato con l'art. 12 1. cit. 475/68
nonché difetto di motivazione: a) la corte trascurò di considerare il
dato essenziale per cui l'illiceità per frode alla legge emergeva «dalla contestualità della complessiva volizione, diretta proprio a mantenere
una situazione, in capo all'erede non titolata, tale da assicurarle il rien
tro sin dal momento stesso del suo atto traslativo; b) il divieto imposto dalla legge, di trasferire la farmacia a chi non abbia titolo per esercitar
la, era stato eluso col patto di retrocessione coevo al primo trasferimen
to, stipulato, cioè in un momento in cui Genovese era «priva della ca
pacità di ricevere»; c) conseguentemente la corte avrebbe dovuto rileva re la nullità del patto di retrocessione, condizionato com'era ad un evento
(sopravvenienza, a favore di Genovese, della «capacità a ricevere» pre scritta da una norma imperativa) che era invece un elemento essenziale
del contratto e come tale avrebbe dovuto sussistere al momento della
stipulazione. 6. - Genovese ha depositato controricorso.
Motivi della decisione. — Il decreto con cui l'autorità amministrativa
competente autorizza l'apertura e l'esercizio di una farmacia o ricono
sce il trasferimento del diritto di tale esercizio da un farmacista all'altro
è un provvedimento che, secondo la più recente giurisprudenza di que ste sezioni unite, che il collegio non ha motivo di non seguire (sez. un. nn. 5470 e 5471/85, Foro it., 1986, I, 982; 6587/83, id., 1984,
I, 465, fra le altre) non ha natura di concessione amministrativa in
senso tecnico-giuridico (il servizio farmaceutico non è dal nostro ordi namento riservato all'autorità amministrativa in regime di monopolio) bensì ha natura di autorizzazione costitutiva (crea nel privato una nuo
va situazione giuridica che non deriva dalla sfera dell'ente pubblico) ragion per cui la presente controversia, vertendo fra privati (Stracuzzi non è concessionaria della pubblica amministrazione e non può essere
quindi considerata la longa manus, sicché il rapporto processuale non corre tra un soggetto privato e la pubblica amministrazione in relazione al quale soltanto è ipotizzabile, sul piano sostanziale, una situazione
soggettiva di interesse legittimo da cui consegue un problema di giuris dizione), non può che spettare alla cognizione del giudice ordinario.
Il primo motivo di ricorso non può pertanto accogliersi. Neanche il secondo.
L'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
concludere un contratto di trasferimento della farmacia (diritto di eser
cizio e proprietà dell'azienda) da Stracuzzi a Genovese, non tocca i
rapporti fra le parti e la pubblica amministrazione — la quale è investi
ta del potere di vigilare affinché il trapasso e l'esercizio della farmacia
avvenga «con l'osservanza delle norme contenute nella presente legge»
(art. 1 1. 475/68, cit.) — ma esplica i suoi effetti limitatamente ai rap
porti fra le parti private. 11 giudizio relativo all'accertamento del diritto al ri-trasferimento, in
virtù del titolo dedotto da Genovese, si pone bensì come presupposto dell'esercizio del potere di concedere l'autorizzazione a Genovese, spet tante all'autorità amministrativa, ma ha un oggetto del tutto autonomo
rispetto alle attribuzioni discrezionali di tale autorità, che non ne ven
gono minimamente toccate (sez. un. 6587/88, cit.; 1900/89, id., 1960,
I, 1641). Anche il quarto e il quinto motivo — da esaminarsi congiuntamente
perché riguardano entrambi la questione dell'invalidità sia pure sotto
diversi profili, dei tre negozi giuridici intercorsi fra le parti — sono
infondati. (Omissis)
b) Le tre censure del quinto motivo sono in realtà una sola, volta
a dimostrare che il patto di retrocessione era nullo perché in frode alla
legge ed era in frode alla legge perché, nel momento in cui lo si stipula va, Genovese non era in possesso dei requisiti che l'art. 12 della legge
impone per l'esercizio e la gestione diretta della farmacia: la doglianza non ha fondamento giuridico perché, se — per l'art. 1344 c.c. — è
in frode alla legge, per illiceità della causa, il contratto che «costituisce
il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa» e, nella
materia che qui interessa, la norma imperativa da applicare è quella
per cui il trasferimento di una farmacia può avvenire soltanto a favore di farmacista che abbia determinati requisiti, nella specie — come di
mostrato dalla corte di merito — tale norma fu rispettata — e quindi non fu elusa — poiché le parti, col patto di retrocessione, si limitarono
a stipulare un contratto preliminare, con effetti obbligatori, si obbliga rono cioè a concludere un futuro contratto di trasferimento della
farmacia; che — nella predetta materia — come è consentito alle parti, in pre
senza dei requisiti indicati dalla legge, stipulare un contratto di trasferi
mento della farmacia, cosi deve ritenersi consentito loro di stipulare un contratto preliminare di cui chiedere eventualmente al giudice l'ese
cuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., è stato più volte affermato
da questa corte sia con riferimento alla disciplina regolata dall'art. 269
t.u. 1265/34 (sez. un. 3477/72, id., 1973, I, 2173) sia con riferimento
alla disciplina regolata dalla 1. 475/68 (sez. un. 6587/83, cit.). (Omissis)
Giustizia amministrativa — Consiglio di Stato — Collegio giu dicante — Sostituzione di presidente e integrazione con altro
componente — Mancanza di autorizzazione — Difetto di giu risdizione — Insussistenza — Deducibilità in Cassazione —
Esclusione.
La mancanza delle prescritte autorizzazioni per la sostituzio
ne del presidente del collegio giudicante e per la sua integrazio
ne con altro magistrato non configura il difetto di giurisdizione
per vizio di costituzione del giudice, denunciabile come motivo
di ricorso in Cassazione avverso la decisione del Consiglio di
Stato, in carenza della deduzione dell'assoluta inidoneità dei com
ponenti a farne parte. (1)
Corte di cassazione; sezioni unite civili; ordinanza 11 dicem
bre 1992, n. 870; Pres. Brancaccio, Rei. A. Finocchiaro, P.M.
Nicita (conci, conf.); Ricci (Avv. Canestrelli) c. Usi Roma 11
(Avv. Fusco, Parente), Maymone (Aw. Scoca). Dichiara inam
missibile ricorso avverso Cons. Stato, sez. V, 7 agosto 1991,
n. 1096.
Il Foro Italiano — 1993.
(1) La decisione 7 agosto 1991, n. 1096 della quinta sezione del Con
siglio di Stato, impugnata con il ricorso dichiarato inammissibile con
la riportata ordinanza, è riassunta in Foro it., Rep. 1991, voci Giustizia
amministrativa, nn. 612, 659 e Sanitario, n. 314.
Le sezioni unite hanno richiamato, a sostegno dell'affermazione rias
sunta in massima, le due precedenti sentenze 21 aprile 1982, n. 2476,
id., 1982, I, 1256 e 15 dicembre 1987, n. 9305, id., 1988, I, 1576, en trambe con osservazioni di C. M. Barone, concordi nell'escludere la
sussistenza del vizio di costituzione del giudice amministrativo, determi
nante il difetto di giurisdizione deducibile in Cassazione ai sensi del
l'art. Ili, 3° comma, Cost., rispettivamente nel caso di partecipazione, a collegio giudicante del Consiglio di Stato, di primo referendario, del
quale non era risultata la chiamata in sostituzione di altro consigliere assente o impedito, e nella ipotesi di partecipazione, a collegio giudi cante del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, di magistrato che, in qualità di componente del Tar per la Sicilia, aveva
già conosciuto della causa come giudice di primo grado. Le stesse sezioni unite, ricordate le situazioni riconducibili (secondo
le indicazioni di entrambe le richiamate pronunzie) al vizio di costitu
zione del giudice, hanno ritenuto di non poterlo ravvisare nel caso in
esame «dal momento che — non deducendosi l'assoluta inidoneità dei
componenti del collegio a farne parte — la censura si sostanzia nella
denuncia di violazione di norme processuali non influenti sulla giurisdi zione». In tal modo, però, la corte ha mostrato di volersi discostare
dal pur invocato criterio di risalente applicazione, posto che, mentre
nella specie l'inidoneità a far parte del collegio giudicante è stata pro
spettata con riferimento a (tutti?) i suoi componenti, nelle precedenti occasioni siffatta inidoneità era stata rapportata al solo membro (del collegio), in posizione contestata.
La stringata motivazione del provvedimento in rassegna non consente
di stabilire se e fino a che punto l'evidenziato revirement sia stato per
cepito. Sta di fatto, comunque, che, indipendentemente dai superiori
rilievi, la Cassazione ha perso una buona occasione per eliminare le
disarmonie, determinate (ad avviso di chi scrive, cit. nota alla sentenza
n. 9305 del 1987), dalla coesistenza, accanto all'orientamento ribadito da quest'ultima pronunzia, di altra tendenza giurisprudenziale, per la
quale il vizio di costituzione del giudice amministrativo ne determina
il difetto di giurisdizione, quando si tratta di illegittimità della nomina
derivante da violazione di norma organica, concernente lo stato del me
desimo giudice. [C. M. Barone]
* * *
L'ordinanza è cosi motivata: La Corte di cassazione, a sezioni unite, — considerato che il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, con
decisione n. 1096 del 7 agosto 1991, (Foro it., Rep. 1991, voci Giustizia
amministrativa, nn. 621, 659 e Sanitario, n. 314), ha rigettato l'appello proposto da Marcello Ricci contro la sentenza n. 637 del 16 luglio 1990
del Tar del Lazio, nei confronti di Silverio Maymone e della Usi RM
11 ed ha condannato il Ricci al pagamento, in favore della Usi della
somma di lire 1.000.000, a titolo di risarcimento del danno non patri moniale per espressioni dallo stesso usate nella memoria depositata il 4 marzo 1991, ai sensi del combinato disposto dagli art. 89 c.p.c. e
598 c.p.; — considerato che avverso la decisione del Consiglio di Stato il Ricci
ha proposto ricorso alle sezioni unite di questa corte sulla base di tre
motivi, con i quali denuncia: (omissis)
b) violazione dell'art. 51 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 1, dello stesso codice perché, a seguito dell'astensione del presidente designato dal collegio giudicante del Consiglio di Stato, la decisione impugnata sarebbe stata emessa da giudice illegalmente costituito; (omissis)
— considerato che con distinti controricorsi la Usi ed il Maymone
replicano al ricorso e ne denunziano l'inammissibilità; — considerato che il procuratore generale presso questa corte ha con
cluso per l'inammissibilità del proposto ricorso per essere lo stesso estra
neo alle previsioni degli art. 37 e 362, 1° comma, c.p.c. in relazione
all'art. Ill Cost.: — considerato che il Ricci, con la memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.,
ha contestato le conclusioni del p.m., insistendo per l'accoglimento del
ricorso; — considerato che il ricorso per cassazione avverso le decisioni del
Consiglio di Stato è inammissibile solo quando si deduca la violazione
dei limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali di tale giudice; (omissis) — considerato — con riferimento alla censura sub b) — che il difet
to di giurisdizione, per irregolare costituzione dell'organo giudicante, è ravvisabile solo nelle ipotesi di un'alterazione della sua struttura quan titativa o qualitativa, ovvero di totale carenza di legittimazione di uno
o più dei suoi componenti, o di assoluta loro inidoneità a farne parte, sicché si verifichi una non coincidenza rispetto all'organo giurisdiziona le delineato dalla legge, con la conseguenza che non è denunciabile con
ricorso per cassazione in quanto non integra il suddetto vizio, la parte
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1727 PARTE PRIMA 1728
cipazione al collegio di un primo referendario non relatore, sotto il
profilo che lo stesso, ancorché munito dello status di magistrato del
consiglio, poteva farne parte solo in forza di un provvedimento di chia
mata in supplenza di consigliere assente o impedito (Cass. 21 aprile 1982, n. 2476, id., 1982, I, 1256) o la mancata astensione di un mem
bro del collegio, per avere già conosciuto della causa in primo grado, vertendosi in tema di violazione di norme processuali, esorbitante dai limiti del sindacato riservato a questa corte (Cass. 16 dicembre 1987, n. 9305, id., 1988, I, 1576);
— considerato che analogamente non integra il difetto di giurisdizio ne per irregolare costituzione del giudice la fattispecie in esame in cui si denuncia la mancata autorizzazione da parte del presidente del Con
siglio di Stato alla sostituzione del presidente del collegio che ha emesso la decisione impugnata e all'integrazione del collegio giudicante con al tro consigliere, dal momento che — non deducendosi l'assoluta inido neità dei componenti del collegio a farne parte — la censura si sostan zia nella denuncia di violazione di norme processuali non influenti sulla
giurisdizione; (omissis) — considerato che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile
in quanto estraneo al paradigma previsto dagli art. 362, 1° comma,
c.p.c. e 111, 3° comma, Cost., con condanna del ricorrente a rimborsa re ai controricorrenti le spese di questa fase di giudizio;
per questi motivi, la Corte di cassazione, a sezioni unite, dichiara
inammissibile il ricorso (omissis)
Locazione — Legge 392/78 — Proroga legale del contratto alla
prima scadenza successiva all'entrata in vigore della 1. 359/92 — Applicabilità automatica — Questione non manifestamen
te infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 42; d.l. 11 lu
glio 1992 n. 333, misure urgenti per il risanamento della fi
nanza pubblica, art. 11; 1. 8 agosto 1992 n. 359, conversione
in legge, con modificazioni, del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. unico).
Locazione — Legge 392/78 — Accordi in deroga — Assistenza
delle organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini — Obbligatorietà — Questione non manifestamente infonda
ta di costituzionalità (Cost., art. 3, 18, 23, 24; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 11; 1. 8 agosto 1992 n. 359, art. unico).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2 bis, d.l. 333/92 (nel testo
risultante dopo la conversione nella 1. 359/92), nella parte in
cui prevede la proroga biennale di diritto dei contratti di loca
zione aventi scadenza posteriore al 14 agosto 1992, ove le parti non concordino sulla determinazione del canone, in riferimento
agli art. 3 e 42, 2° comma, Cost. (1) Non è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 11, 2° comma, d.l. 333/92 (nel testo ri
sultante dopo la conversione nella 1. 359/92), nella parte in cui
prevede, per la validità degli accordi in deroga alle norme della
1. 392/78, l'assistenza delle organizzazioni maggiormente rap
presentative a livello nazionale della proprietà edilizia e dei con
duttori, in riferimento agli art. 3, 18, 23 e 24, 1° comma, Cost. (2)
Pretura di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno; ordi
nanza 24 novembre 1992 (G.U., la s.s., 7 aprile 1993, n. 15); Giud. Gnu; Simonini c. Arimondi.
Il Foro Italiano — 1993.
(1-2) Sulla prima questione, v., in senso sostanzialmente analogo, Pret.
Salerno, ord. 18 novembre 1992, Rass. equo canone, 1992, 371. Per
la incostituzionalità del comma 2 bis dell'art. 11 d.l. 333/92 sotto un
profilo più limitato, v., invece, Pret. Bologna, ord. 21 dicembre 1992
e Pret. Roma, ord. 9 dicembre 1992, Foro it., 1993, I, 612, con nota
di richiami.
Riguardo alla seconda questione, il Pretore di Busto Arsizio, premes so che la «concorde determinazione del canone», idonea ad impedire
l'operatività della proroga legale del contratto ex comma 2 bis, deve
necessariamente avvenire con il meccanismo previsto nel 2° comma del
l'art. 11 cit., osserva: o) che «la previsione che i c.d. patti in deroga siano efficaci e godano di stabilità solo ed in quanto stipulati con l'assi
stenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori...
appare vessatoria e contrastante con i principi fondamentali di libertà
ispiratori della Costituzione», ed in particolare con il principio di liber
tà di associazione (art. 18 Cost.) (ma anche, «per incidens, con gli art.
3 e 23 Cost., ove si adombri, senza ragionevole giustificazione, l'impo sizione di una sorta di prestazione, anche onerosa, a carico di talune
categorie di cittadini»); b) che, inoltre, «l'invalidità dei patti in deroga conclusi senza la prescritta assistenza..., con la reviviscenza, al loro
posto, delle norme imperative di cui alla 1. 27 luglio 1978 n. 392, ...con durrebbe alla diminuzione della capacità di agire a tutela dei propri diritti da parte di molti cittadini, in violazione del disposto dell'art.
24, 1° comma, Cost., quasi che migliaia di persone fossero tenute per inabilitate e, addirittura, per interdette rispetto al solo contratto di lo
cazione...».
Per le diverse posizioni emerse in dottrina riguardo alla definizione
del concetto di «assistenza» cui si riferisce la norma in questione e alle
conseguenze della «mancata assistenza», v., da ultimo, M. Buoncri
stiano (V. Cuffaro, S. Giove, D. Piombo), La nuova normativa sulle
locazioni urbane, Jovene, 1993, 87 ss.; G. Spagnuolo (N. Izzo, G.
Terzago), Canone libero, patti in deroga, proroga legale, Giuffrè, 1993, 127 ss.; F. Lazzaro, Le locazioni per uso abitativo, Giuffrè, 1993, 158
ss.; P. Scalettaris, Prime considerazioni sui patti in deroga nelle loca
zioni urbane, in Arch, locazioni, 1992, 705; M. D'Amico, I «patti in
deroga» e la Costituzione: prime osservazioni, ibid., 713.
L'art. 36, 3° comma, lett. c), d.l. 2 marzo 1993 n. 47 (Le leggi,
1993, I, 888), non convertito e ripresentato con d.l. 28 aprile 1993 n.
131 (ibid., 1367) prevede l'assoggettabilità ad Iva al 9% delle «presta zioni dei servizi di assistenza per la stipula dei contratti di locazione
immobiliare di cui all'art. 11, 2° comma d.l. 11 luglio 1992 n. 333... rese a non aderenti o non associati dalle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori...».
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