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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Date post: 27-Jan-2017
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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 2379/2380-2383/2384 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196125 . Accessed: 28/06/2014 13:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 13:47:37 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 2379/2380-2383/2384Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196125 .

Accessed: 28/06/2014 13:47

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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Page 2: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

2379 PARTE PRIMA 2380

Mossa gioiellieri Lecce s.r.l. in Mario Mossa s.r.l. e, allo scopo di fugare ogni pericolo di confusione, in occasione del trasferi

mento dell'esercizio commerciale, ha anche radicalmente modi

ficato la veste grafica ed il contenuto letterale dell'insegna. In proposito vanno condivise le argomentazioni della società

reclamante, la quale rimarca come, innanzitutto, nell'attuale in

segna della Mario Mossa s.r.l. il patronimico Mossa non abbia alcun risalto rispetto al prenome Mario, giacché entrambe le pa role hanno identica grandezza e sono dello stesso colore; inoltre, come le parole Mario e Mossa siano graficamente posizionate senza soluzione di continuità, così da rendere un effetto — an che sotto il profilo fonico — certamente peculiare; infine, come la dicitura Mario Mossa sia preceduta e seguita da due emme di

grandi dimensioni, parzialmente sovrapposte, le quali costitui scono un logotipo di notevole impatto grafico.

In particolare, deve condividersi l'assunto difensivo secondo cui il riferimento nell'insegna al nome del legale rappresentante della società appare fortemente individualizzante e tale da escludere ogni potenziale pericolo di confusione tra le ragioni sociali e tra le insegne delle due ditte, in un mercato ristretto ed

estremamente attento, qual è quello barese. Né vale obiettare che, ove il «cuore» del segno distintivo del

l'impresa sia «rappresentato da un cognome di grande forza evocativa presso il pubblico (...), l'inserimento di un semplice prenome (nella specie, Mario e Mossa) non è sufficiente ad escludere la confondibilità».

Invero, il principio enucleato da Cass. 6 marzo 1993, n. 2740

(Foro it., 1995, I, 981) concerne patronimici caratterizzati da una forza evocativa nel mercato capace di travolgere ogni ulte riore elemento di differenziazione, e non può essere esteso al

punto da affermare che il patronimico costituisca, sempre, il cuore del segno distintivo dell'impresa, e che quindi non esista, mai, la possibilità di eliminare la confondibilità.

Al contrario, e con riferimento alla fattispecie concreta, è stato esattamente rilevato che il consumatore medio barese, il

quale rivolga la propria attenzione ai monili in vendita presso gli esercizi commerciali delle società contendenti, in questo particolare settore merceologico più che in altri è certamente in

grado di apprezzare — anche al di là delle insegne

— la diversa identità personale dei venditori ai quali si rivolge per lo più in virtù di rapporti di fiducia personale consolidatisi nel tempo.

Alla stregua delle superiori considerazioni, il reclamo è fon dato e da accogliere, con conseguente effetto di revoca del

provvedimento cautelare impugnato. Per le medesime ragioni, il reclamo incidentale, al di là della

discussa astratta ammissibilità del rimedio, appare infondato e da disattendere.

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Locazione — Studio di artista — Dichiarazione di interesse storico — Provvedimento di rilascio — Preclusione —

Questione di costituzionalità — «Ius superveniens» — Re stituzione degli atti al giudice «a quo» (Cost., art. 42; d.l. 9 dicembre 1986 n. 832, misure urgenti in materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abi tazione, art. 4 bis\ 1. 6 febbraio 1987 n. 15, conversione in

legge, con modificazioni, del d.l. 9 dicembre 1986 n. 832, art.

1; d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490, t.u. delle disposizioni legis lative in materia di beni culturali e ambientali, a norma del l'art. 1 1. 8 ottobre 1997 n. 352, art. 3, 52, 166).

In seguito all'entrata in vigore del d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490 (t.u. delle disposizioni legislative in materia di beni cultu rali e ambientali), vanno restituiti al giudice a quo, per il riesa me della rilevanza della questione, gli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 bis, 1° comma, d.l. 9 di cembre 1986 n. 832, convertito, con modificazioni, dalla 1. 6 febbraio 1987 n. 15, nella parte in cui, per gli studi di artista as

soggettati a vincolo storico-artistico, preclude al proprietario la

possibilità di ottenere il rilascio dell'immobile, in riferimento all'art. 42 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 31 maggio 2001, n. 173

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 giugno 2001, n. 22);

Il Foro Italiano — 2001.

Pres. Ruperto, Est. Contri; Stato francese (Avv. Alajmo) c.

Trozzi Trombadori e altri (Avv. Barenghi); interv. Pres. cons,

ministri (Avv. dello Stato Cosentino). Ord. Pret. Roma 29 mar

zo 1999 (G.U., la s.s„ n. 18 del 2000).

( 1 ) Il Pretore di Roma (la cui ordinanza di rimessione può leggersi in Arch, locazioni, 2000. 407) lamentava che lo ius singultire introdotto dal 1° comma dell'art. 4 bis d.l. 832/86 (aggiunto dalla legge di con versione 15/87), facendo discendere dal provvedimento amministrativo di vincolo storico-artistico «effetti impeditivi anche del rilascio» del l'immobile (richiesto, nella specie, per finita locazione), «viene a rea

lizzare, in concreto, una proroga destinata a protrarsi permanentemen te, senza alcuna possibilità per il proprietario di recuperare la cosa lo cata né di trarre una remunerazione adeguata dalle variazioni del cano ne di mercato, nel rispetto del vincolo di destinazione»; la norma si

porrebbe, quindi, in contrasto con la garanzia costituzionale prevista dall'art. 42 Cost., come, del resto, già a suo tempo rilevato nel corso dei lavori preparatori della legge di conversione 15/87.

La rimessione degli atti al giudice a quo, disposta dai giudici della Consulta con l'ordinanza che si riporta, trova motivo nell'entrata in vi

gore del t.u. in materia di beni culturali e ambientali (d.leg. 490/99, Le

leggi, 2000, I, 432). Tuttavia, come la stessa corte non manca di ren dersi conto («l'art. 52 — si osserva in motivazione — determina forme di protezione analoghe a quelle previste dalla disposizione impugna ta . . .»). il predetto t.u. non fa che riproporre (con una formulazione soltanto più precisa, per l'espresso riferimento al rapporto di locazione) le stesse disposizioni dell'art. 4 bis d.l. 832/86 (espressamente abrogato dall'art. 116 d.leg.), stabilendo: a) al 1° comma, che «Non sono sog getti ai provvedimenti di rilascio previsti dalla normativa vigente in materia di locazione di immobili urbani quegli studi d'artista il cui contenuto in opere, documenti, cimeli e simili è tutelato, per il suo sto rico valore, da un provvedimento ministeriale che ne prescrive l'ina movibilità da uno stabile del quale contestualmente si vieta la modifi cazione della destinazione d'uso»; b) al 2° comma, che «Non può esse re modificata la destinazione d'uso degli studi d'artista a tale funzione adibiti da almeno venti anni e rispondenti alla tradizionale tipologia a lucernario».

Con riferimento alla disposizione dell'art. 4 bis, 1° comma, d.l. 832/86 (ora trasfusa nel 1° comma dell'art. 52 d.leg. 490/99, più rigo rosa di quella prevista dal 2° comma), la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare:

a) che la tutela da essa apprestata agli studi d'artista di particolare interesse storico presuppone un apposito decreto del ministro per i beni culturali e ambientali, dalla cui motivazione emerga il valore storico dello studio, in relazione allo specifico contenuto di opere, documenti, cimeli e simili (di modo che deve considerarsi illegittimo il decreto mi nisteriale motivato solo con riferimento alla tipologia edilizia — «a lu cernario» — dello studio): v. Tar Lazio, sez. II, 22 gennaio 1991, n. 207, e 7 gennaio 1991, n. 47, Foro it., 1991, III, 540. Peraltro, l'ema nazione del decreto ministeriale, che attesti la natura di studio d'artista di un immobile, vietando al contempo la rimozione dello studio dallo stabile in cui ha sede e la modifica della destinazione d'uso dello sta bile stesso, «crea ... la condizione necessaria e sufficiente affinché detto studio possa essere escluso dal novero degli immobili normal mente soggetti a provvedimenti di rilascio» (v. Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 1993, n. 786, id.. Rep. 1994, voce Locazione, n. 467);

b) che il vincolo di interesse storico-artistico non richiede necessa riamente l'attualità della destinazione dell'immobile a studio d'artista (v. Tar Lazio, sez. II, 7 gennaio 1991, n. 47, cit., la quale ha ritenuto di

per sé non preclusiva la circostanza che l'artista fosse deceduto e i lo cali da lui già adibiti a proprio studio fossero allo stato utilizzati come abitazione da parte dei figli, succeduti nel contratto di locazione);

c) che la tutela specificamente prevista per gli studi di artista dal d.l. 832/86 (come convertito nella 1. 15/87) è ulteriore ed autonoma rispetto a quella prevista più in generale per le cose di interesse storico o artisti co dalla 1. 1089/39, e ben può, quindi, trovare applicazione sia quando si tratti di locali ubicati in uno stabile già sottoposto a vincolo ai sensi della 1. 1089/39 (v. Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 1999, n. 470, id., Rep. 1999, voce Antichità, n. 63; Tar Lazio, sez. II, 6 aprile 1993, n. 405, id., Rep. 1993, voce Locazione, n. 486), sia quando un vincolo sif fatto manchi (v. Tar Lazio, sez. II, 11 maggio 1991, n. 849, id., Rep. 1991, voce Antichità, n. 64);

d) che la questione concernente l'esperibilità della procedura di rila scio, in ragione del fatto che si tratta di immobile vincolato ai sensi dell'art. 4 bis d.l. 832/86, non determina difetto di giurisdizione del

giudice ordinario, ma riguarda il fondamento nel merito della pretesa del creditore (v. Cass., sez. un., 1° ottobre 1993, n. 9801, id., Rep. 1993, voce Giurisdizione civile, n. 114). [D. Piombo]

* * *

L'ordinanza è così motivata: Ritenuto che. nel corso di un giudizio avente ad oggetto il rilascio di un immobile per finita locazione, il Pre tore di Roma, con ordinanza emessa il 29 marzo 1999, ha sollevato, in riferimento all'art. 42 Cost., questione di legittimità costituzionale del l'art. 4 bis, 1° comma, d.l. 9 dicembre 1986 n. 832 (misure urgenti in materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da

quello di abitazione), convertito nella 1. 6 febbraio 1987 n. 15; che, ad avviso del giudice rimettente, l'indicata norma, dettando una

disciplina particolare per gli studi d'artista soggetti a vincolo storico

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Page 3: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

pIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

artistico, rispetto ai quali è precluso il rilascio, realizzerebbe in con creto una proroga con effetti permanenti, senza possibilità per il pro prietario di riottenere la disponibilità del bene locato né di trarne una remunerazione adeguata alle variazioni di mercato, pur nel rispetto del vincolo di destinazione;

che, pertanto, l'inesigibilità della prestazione restitutoria costituireb

be, ad avviso del giudice a quo, una forma di espropriazione senza in

dennizzo, che comprometterebbe e vanificherebbe il diritto di proprietà, in contrasto con la garanzia costituzionale prevista dall'art. 42 Cost., come, del resto, era stato già rilevato nel corso dei lavori preparatori della legge di conversione;

che si è costituito nel giudizio innanzi alla corte lo Stato francese, attore nel giudizio a quo, il quale ha insistito per la declaratoria di ille

gittimità costituzionale della norma impugnata sulla base di argomenta zioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell'ordinanza di ri

messione, sottolineando come l'inibizione sine die del provvedimento di rilascio equivalga a svuotare di contenuto il diritto di proprietà, dal

momento che non sarebbe consentito al proprietario l'esercizio di alcu no dei diritti ad esso connessi;

che nel presente giudizio si sono costituiti anche gli eredi del pittore Francesco Trombadori, convenuti nel giudizio a quo, chiedendo, in via

preliminare, che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di motivazione dell'ordinanza di rimessione — nella quale non vi sarebbe

alcun riferimento ai vincoli di inamovibilità, di custodia e di conserva

zione dei luoghi e degli oggetti —, ovvero che sia disposta la restitu

zione degli atti al rimettente, a causa dell'intervenuta emanazione del

d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490 (t.u. delle disposizioni legislative in mate ria di beni culturali e ambientali), il quale ha nuovamente disciplinato la materia in oggetto;

che, nel merito, la medesima parte sostiene l'infondatezza della que stione, in quanto il vincolo artistico non sarebbe idoneo ad impedire l'utilizzazione economica del bene e tenuto conto della superiorità della

tutela dei beni culturali rispetto ai diritti e agli interessi dei privati; che è intervenuto nel giudizio il presidente del consiglio dei ministri,

rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, concluden do per l'infondatezza della questione;

che, in prossimità dell'udienza, la parte attrice nel giudizio a quo e le

parti in esso convenute hanno depositato memorie per illustrare più

ampiamente le ragioni già dedotte nei rispettivi atti di costituzione e per replicare alle osservazioni reciprocamente svolte.

Considerato che, successivamente all'ordinanza di rimessione, è en

trato in vigore il d.leg. 29 ottobre 1999 n. 490 (t.u. delle disposizioni

legislative in materia di beni culturali e ambientali), il quale all'art. 3

include gli studi d'artista nelle catogorie speciali di beni culturali e al

l'art. 52 determina forme di protezione analoghe a quelle previste dalla

disposizione impugnata, che è stata espressamente abrogata dall'art.

166, 1° comma, medesimo d.leg.; che spetta al giudice a quo verificare se la nuova normativa possa

produrre effetti nel giudizio innanzi ad esso pendente e riesaminare,

quindi, la rilevanza della questione; che pertanto gli atti devono essere restituiti al giudice rimettente.

Per questi motivi, la Corte costituzionale ordina la restituzione degli atti al Pretore di Roma.

Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Lodo —

Giudizio di impugnazione — Cassazione — Questione di giurisdizione — Inammissibilità — Estremi (Cod. proc.

civ., art. 37, 41, 360, 828).

La contestazione della deferibilità ad arbitri rituali di una

controversia, sul rilievo della sua devoluzione alla cognizione del giudice amministrativo, non dà luogo ad una questione di

giurisdizione, che, ove sollevata in Cassazione, deve essere di

chiarata inammissibile. ( 1 )

Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 11 giugno

2001, n. 7858; Pres. Panzarani, Est. Marziale, P.M. Cinque

(conci, conf.); Ospedale oncologico - Istituto di ricovero e cura

a carattere scientifico - I.r.c.c.s. (Avv. Liberatore, Cosentino) c.

Soc. Case di cura riunite e Oncohospital (Avv. Riccardi). Di

chiara inammissibile eccezione di difetto di giurisdizione avver

so App. Bari 28 marzo 2000.

(1) Le sezioni unite ribadiscono l'orientamento delle richiamate sez.

un. 3 agosto 2000, n. 527/SU, Foro it., 2001, I, 839, con osservazioni e

richiami di C.M. Barone; adde E.F. Ricci, La «natura» dell'ar-bitrato ri

tuale e de! relativo lodo: parlano le sezioni unite, in Riv. dir. proc., 2001, 259 ss., e Cass. 5 dicembre 2000, n. 1251/SU, Foro it., Mass., 1344.

La natura privata dell'arbitrato rituale e del dictum che lo definisce è

Il Foro Italiano — 2001.

stata ribadita, da ultimo, da Cass. 4 giugno 2001, n. 7533, che segue, con nota di richiami, la quale ha anche confermato che gli arbitri rituali non svolgono attività sostitutiva di quella giurisdizionale e non sono

quindi configurabili «come organi giurisdizionali dello Stato».

* * *

La sentenza è così motivata: Svolgimento del processo. — 1. - Con convenzione sottoscritta il 30 aprile 1990 la società Case di cura riunite s.r.l. (d'ora innanzi: società C.c.r.) concedeva per la durata di sei anni

all'Ospedale oncologico di Bari - Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico - I.r.c.c.s. (d'ora innanzi: istituto) l'utilizzazione «piena ed esclusiva» del proprio complesso immobiliare completo di apparec chiature, accessioni e pertinenze.

La società C.c.r. si impegnava, inoltre, a fornire una serie di servizi,

riguardanti in particolare: — la manutenzione della struttura e delle apparecchiature; — la fornitura di medicinali e materiale sanitario; — la messa a disposizione di unità di personale medico e paramedi

co, che sarebbe tuttavia rimasto alle sue dipendenze, con i conseguenti obblighi retributivi e previdenziali;

— la degenza dei ricoverati, assicurando servizi completi di cucina secondo le tabelle dietetiche predisposte dalla direzione sanitaria dell'i stituto.

II tutto, per un corrispettivo mensile fissato, per il primo anno, in lire 4.400.000.000 mensili, da aumentarsi o diminuirsi per gli anni succes sivi in base alla percentuale di incremento o decremento deliberata per la retta di degenza delle case di cura convenzionate classificate nella fascia «A» polispecialistica.

1.1. - Con atto di accesso notificato il 13 gennaio 1994, l'istituto, as sumendo che la società si era resa per diversi aspetti inadempiente, promuoveva il giudizio arbitrale secondo quanto previsto dalla conven zione (clausola n. 6). Il giudizio era successivamente integrato nei con fronti della società Oncohospital s.r.l. quale cessionaria del complesso ospedaliero.

Il 10 febbraio 1998 il collegio arbitrale, dopo aver escluso che il so

pravvenuto assoggettamento delle due società alla procedura di ammi nistrazione straordinaria avesse reso il giudizio improcedibile, rigettava le domande proposte dall'istituto ed accoglieva quelle avanzate in via

riconvenzionale dalle due società. Il lodo era impugnato dall'istituto con atto notificato il 25 giugno

1998, ma il gravame veniva respinto dalla Corte d'appello di Bari con sentenza depositata il 28 marzo 2000.

L'istituto, ha chiesto la cassazione di tale sentenza con cinque motivi di ricorso. Quindi, con atto depositato il 6 ottobre 2000, ha formulato istanza di assegnazione del ricorso alle sezioni unite assumendo il di

fetto di giurisdizione del giudice ordinario. Le società intimate resistono. Sono state depositate memorie illustra

tive. Motivi della decisione. — 2. - L'istituto ricorrente assume che la

controversia sarebbe devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto la convenzione di cui si lamenta l'inadempi mento avrebbe natura di contratto di diritto pubblico:

— sia perché diretta ad assicurare i mezzi necessari allo svolgimento dell'attività istituzionale (assistenza sanitaria e ricerca) di un ente pub blico, nella quale sarebbero individuabili gli estremi di un pubblico servizio;

— sia perché, comunque, assimilabile a quelle contemplate dall'art. 44 1. 23 dicembre 1978 n. 833 e, più in generale, dall'art. 5 1. 6 dicem bre 1971 n. 1034.

Né, sempre secondo il ricorrente, sarebbero individuabili nel caso di

specie i presupposti per l'applicazione della deroga prevista dal 2° comma dell'art. 5 citata 1. 1034/71, che fa salva la giurisdizione del

l'autorità giudiziaria ordinaria «per le controversie concernenti inden

nità, canoni e altri corrispettivi», dal momento che il petitum e la causa

petendi, lungi dall'incentrarsi su una richiesta di «mero pagamento» o

di «rimborso» di canoni o «di indennità o di danni», comportano «in via prevalente ed assorbente» indagini «sulla portata e sui contenuti del

rapporto». Di qui la conclusione che — alla stregua delle disposizioni previ

genti alla 1. 21 luglio 2000 n. 205, nella specie applicabili — la contro

versia, essendo sottratta alla cognizione del giudice ordinario, non po teva essere deferita al giudizio arbitrale e la conseguente richiesta di as

segnazione della causa alle sezioni unite, ai sensi dell'art. 374, 1°

comma, c.p.c. 3. - Come si è rilevato (retro, par. 1.1), il difetto di giurisdizione è

stato eccepito dal ricorrente con l'istanza depositata il 6 ottobre u.s. e,

quindi, in un momento successivo alla presentazione del ricorso.

Tale circostanza non incide sull'ammissibilità della questione, trat

tandosi di questione che può essere rilevata, anche d'ufficio, in qualun

que stato e grado del processo (art. 37 c.p.c.). Essa va, peraltro, dichia

rata inammissibile sotto altro profilo. 4. - Questa corte ha statuito di recente, a sezioni unite, che il dictum

arbitrale, anche nell'arbitrato rituale, è e resta atto di autonomia priva ta, la cui natura non è alterata dalla circostanza che ad esso siano attri

buiti effetti simili a quelli di un provvedimento giurisdizionale di co

gnizione, dal momento che i suoi effetti conseguono ad un giudizio

compiuto da un soggetto il cui potere ha fonte nell'investitura conferi

tagli dalle parti (Cass., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527/SU, Foro it.,

2001,1, 839). E da tale premessa ha tratto argomento per affermare:

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2383 PARTE PRIMA 2384

— che il compromesso, essendo espressione di un'opzione per la soluzione della controversia sul piano negoziale, si configura quale patto di deroga alla giurisdizione;

— che agli arbitri non è quindi conferita una frazione dello stesso

potere giurisdizionale attribuito ai giudici dello Stato, essendo essi chiamati a risolvere una controversia mediante una regolamentazione «negoziale» degli interessi in conflitto;

— che, conseguentemente, il contrasto circa la deferibilità ad arbitri di una controversia che l'ordinamento positivo attribuisce alla giurisdi zione esclusiva del giudice amministrativo non dà luogo all'insorgere di una questione di riparto di giurisdizione, ma di una questione di me rito, attinente all'esistenza e alla validità del compromesso e del patto di rinuncia alla giurisdizione in esso contenuto.

4.1. - Tale orientamento è stato successivamente ribadito dalla sen tenza n. 1251/SU del 5 dicembre 2000, id., Mass.. 1344) con la quale le stesse sezioni unite hanno posto in evidenza che la rilevanza della di stinzione tra arbitrato libero e arbitrato rituale si è di molto attenuata

per effetto della riforma attuata dalla 1. 5 gennaio 1994 n. 25, le cui in novazioni — eliminando qualsiasi riferimento al conseguimento, da

parte del lodo, dell'efficacia propria della sentenza e prevedendo che il lodo acquista efficacia vincolante «dalla data della sua ultima sottoscri zione» e può essere impugnato indipendentemente dal suo deposito, previsto solo ai fini della sua esecutività — hanno comportato il rico noscimento della natura sostanzialmente unitaria della decisione arbi trale, «quale atto riconducibile, in ogni caso, all'autonomia negoziale e alla sua legittimazione a derogare alla giurisdizione, per ottenere una

privata decisione della lite, basata non sullo ius imperii, ma solo sul consenso delle parti» e, appunto per questo, non assimilabile ad una

pronuncia giurisdizionale e da collocarsi «in posizione del tutto auto noma e alternativa rispetto al giudizio civile ordinario».

4.2. - L'una e l'altra sentenza sono state emesse in giudizi promossi con regolamento di giurisdizione. Ma è evidente che le affermazioni

sopra riferite hanno una portata generale, che trascende i casi concre tamente decisi, ed assumono rilievo anche ai fini della definizione del

presente giudizio. Una volta negato, per i motivi già esposti, che il giudizio arbitrale

abbia natura giurisdizionale, deve escludersi che la contestazione della deferibilità di una controversia al giudizio degli arbitri, fondata sull'as sunto che si tratti di controversia devoluta alla cognizione del giudice amministrativo, dia luogo ad una questione di giurisdizione, per la de cisiva ragione che gli arbitri «non esercitano funzioni giurisdizionali, né sono giudici»; e deve riconoscersi che detta contestazione determina l'insorgere di una questione di merito, inerente alla validità del com

promesso (o della clausola compromissoria) e del patto di rinuncia alla

giurisdizione consacrato in tali atti (Cass. 527/SU/OO; 1251/SU/OO, cit.), e quindi di una scelta, che le parti possono liberamente effettuare, entro i limiti stabiliti in via generale dagli art. 806 e 808 c.p.c., e che è da ritenere pienamente compatibile con il principio sancito dall'art. 24, 1° comma, Cost, che pone il diritto alla tutela giurisdizionale tra i prin cipi supremi del nostro ordinamento costituzionale (Corte cost. 2 feb braio 1982, n. 18, id., 1982,1, 934), senza tuttavia prevedere tale forma di tutela come indefettibile (Corte cost. 14 luglio 1977, n. 127, id., 1977,1, 1849; 27 dicembre 1991, n. 488, id., 1992,1, 999).

5. - Deve in conclusione escludersi che i contrasti insorti nel presente giudizio, circa la possibilità di deferire la controversia al giudizio degli arbitri, sul rilievo che essa sarebbe attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, abbiano dato luogo all'insorgere di una que stione di giurisdizione, riservata alla cognizione delle sezioni unite di questa corte. La questione deve essere quindi dichiarata inammissibile.

Gli atti vanno conseguentemente rimessi al primo presidente per i provvedimenti di sua competenza.

Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Clausola

compromissoria — Adizione del giudice ordinario — Ec cezione d'incompetenza — Reiezione — Istanza di rego lamento — Inammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 42, 43).

Avverso la sentenza con la quale il giudice ordinario si di chiara competente a conoscere della domanda di pagamento del

corrispettivo dei lavori eseguiti nell'ambito di contratto di ap palto privato, respingendo l'eccezione di incompetenza solle vata dal committente sulla base della clausola compromissoria per arbitrato rituale contenuta nel ridetto contratto, non è espe ribile l'istanza di regolamento di competenza. (1)

Corte di cassazione; sezione I civile; sentenza 4 giugno 2001, n. 7533; Pres. Carnevale, Est. Proto, P.M. Raimondi (conci, conf.); Libroia (Avv. Vagnoni, Villani) c. Fall. soc. Technogenoa sistemi (Avv. Guancioli). Regolamento di competenza avverso Trib. Genova 11 aprile 2000.

Il Foro Italiano — 2001.

(1) La corte applica al caso di specie i principi enunciati dalla ri chiamata sez. 11° febbraio 2001, n. 1403 (est. Proto), Foro it., 2001, I, 838, con osservazioni di C.M. Barone, con riferimento a pronuncia del

giudice ordinario dichiarativa della propria incompetenza per ritenuta devoluzione della controversia alla cognizione del collegio arbitrale ri tuale previsto da clausola compromissoria inserita in capitolato d'oneri.

Cass., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527/SU, ibid., 839, con osservazio ni di C.M. Barone, del pari citata in motivazione, è stata commentata

più di recente da E.F. Ricci, in Riv. dir. proc., 2001, 259 ss.

* * *

La sentenza è così motivata: Fatto. — Con atto di citazione del 5

maggio 1998 il curatore del fallimento Technogenoa sistemi s.r.l. con venne in giudizio davanti al Tribunale di Genova il sig. Alfonso Li broia, chiedendo la condanna del convenuto al pagamento della somma di lire 25.000.000, versata all'amministratore della società dopo la di chiarazione di fallimento, nonché della somma di lire 73.615.652 anco ra dovuta a titolo di corrispettivo per le opere effettuate dalla società fallita nell'ambito di un contratto di appalto.

Costituitosi, il Libroia eccepì l'incompetenza del giudice adito, rile vando che il contratto di appalto conteneva una clausola compromisso ria di arbitrato rituale per le controversie relative all'interpretazione, all'esecuzione ed alla risoluzione del contratto stesso.

Con sentenza non definitiva depositata il 22 marzo 2000 il tribunale adito rigettò quest'ultima eccezione e dichiarò la propria competenza.

Avverso tale pronunzia il Libroia ha proposto ricorso per regola mento di competenza, chiedendo che sia dichiarata l'incompetenza del Tribunale di Genova, essendo competente il collegio arbitrale.

Il fallimento Technogenoa sistemi ha resistito, depositando scrittura difensiva.

Il p.m. ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memorie, sostenendo l'infondatezza e co

munque l'irrilevanza delle conclusioni espresse dal requirente. Diritto. — Come sostiene il p.m., il ricorso è effettivamente inam

missibile, alla stregua delle considerazioni seguenti. Secondo il tradizionale orientamento di questa corte in materia di ar

bitrato rituale — qual è quello di cui si discute nella controversia de

qua — la questione se una controversia sia devoluta alla cognizione del

giudice ordinario o a quella degli arbitri, si configura come questione di

competenza, in quanto, se è vero che questa attiene alla ripartizione della potestà giurisdizionale fra organi dell'autorità giudiziaria, la fun zione dell'arbitro si pone accanto alla funzione del giudice come sosti tutiva di essa. Per le stesse ragioni, integra una questione di giurisdi zione stabilire se la controversia devoluta agli arbitri appartenga alla

competenza giurisdizionale del giudice ordinario (o a quella sostitutiva dell'arbitro) ovvero a quella del giudice amministrativo (cfr. Cass. 4

luglio 1981, n. 4360, Foro it., 1981, I, 1860, e 20 maggio 1997, n. 4474, id., Rep. 1998, voce Arbitrato, n. 102).

Questo orientamento, basato sul convogliamento dell'arbitrato nel l'ambito de! giudizio ordinario mediante l'impugnazione del lodo (art. 827 c.p.c.) ed il suo controllo giurisdizionale in sede di omologazione (art. 825 c.p.c.), deve essere, tuttavia, riconsiderato alla luce dei nuovi

principi introdotti dalla 1. 5 gennaio 1994 n. 25, che ha riformato l'ar bitrato rituale.

Come hanno sottolineato, di recente, in tema di regolamento di giu risdizione, le sezioni unite (Cass. 3 agosto 2000, n. 527/SU, id., 2001,1, 839, e 5 dicembre 2000, n. 1251/SU, id., Mass., 1344), riprendendo tesi

già espresse dalla stessa corte (Cass., ord. 26 aprile 1996, n. 377, id., Rep. 1997, voce cit., n. 108; 24 maggio 1995, n. 5690, id., Rep. 1995, voce Giurisdizione civile, n. 134; 14 gennaio 1999, n. 345, id., 1999, I, 1089) le modifiche apportate agli art. 825, 826, 827, 828, 829, 830 e 831 c.p.c., con l'eliminazione anche del nomen di sentenza arbitrale, che nel testo originario del codice di rito era attribuito al lodo, portano a superare ogni dubbio sulla natura del dictum arbitrale quale atto di autonomia privata, i cui effetti di accertamento conseguono ad un giu dizio compiuto da un soggetto il cui potere ripete la fonte nell'investi tura conferitagli dalle parti.

Dalla natura privata dell'arbitrato rituale e dal dictum che lo defini sce, discende, coerentemente, che gli arbitri non svolgono una forma sostitutiva della giurisdizione e che essi, pertanto, non sono configura bili come organi giurisdizionali dello Stato.

La concezione della natura privata dell'arbitro porta, quindi, a quali ficare il procedimento arbitrale come ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale e la devoluzione della controversia ad arbitri

quale rinuncia all'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato. Correlativamente, il compromesso si pone quale patto di deroga della giurisdizione.

Gli enunciati principi escludono, in conclusione, che possa configu rarsi una questione di competenza tra i giudici statali e quelli arbitrali, perché il contrasto sulla non deferibilità agli arbitri di una determinata controversia è da considerare non già una questione di competenza, bensì di merito, in quanto direttamente inerente alla validità (o all'effi cacia) o alla interpretazione del compromesso o della clausola com promissoria.

La questione prospettata dalla ricorrente non può, pertanto, essere proposta col regolamento (necessario o facoltativo) di competenza, che è un mezzo processuale esperibile limitatamente alle questioni di com petenza riconducibili allo schema di cui all'art. 38 del codice di rito (cfr. Cass. 1° febbraio 2001, n. 1403, id., 2001,1, 838).

Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile.

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