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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 321/322-327/328 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195330 . Accessed: 24/06/2014 20:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.58 on Tue, 24 Jun 2014 20:59:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 321/322-327/328Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195330 .

Accessed: 24/06/2014 20:59

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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Page 2: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dai laboratori delle dogane per la verifica della conformità del

prodotto ai valori fissati dalla 1. 413/97 sono stati specifica mente definiti (v. protocollo d'intesa prodotto dal dott. Piagne

relli) mentre non risulta quale siano stati i criteri seguiti dal

presidio multizonale di prevenzione per le analisi dei campioni; — considerato, quanto al periculum in mora, che il protrarsi

dell'effetto diffamatorio durante il tempo occorrente per otte

nere una pronuncia sul merito comporterebbe al richiedente un

pregiudizio irreparabile, individuabile nello sviamento di clien tela a vantaggio di imprese concorrenti e nel danno all'immagi ne commerciale (elementi non esattamente determinabili sotto

il profilo patrimoniale e, quindi, non integralmente risarcibili); — ritenuto che la tutela cautelare richiesta dalla parte ricor

rente può essere adeguatamente soddisfatta con la pubblicazio ne a mezzo stampa delle risultanze emerse nel presente procedi mento sommario in ordine alla qualità del prodotto distribuito

dalla stessa società istante; — ritenuto, pertanto, che l'istanza proposta dalla Esso ita

liana s.p.a. deve essere accolta nel senso sopra specificato (con la sola precisazione che la pubblicazione non può essere posta a carico del resistente, consistendo in un'attività esercitabile dalla

stessa parte ricorrente, con il solo danno — esattamente e com

pletamente risarcibile e, quindi, non irreparabile — di dover

sostenere la relativa spesa); — visti gli art. 700 e 669 octies c.p.c. Per questi motivi, autorizza la Esso italiana s.p.a. a far pub

blicare, una o più volte, a proprie spese, su uno o più quotidia

ni, un comunicato del seguente tenore: «Il giudice designato del Tribunale di Roma, provvedendo in via d'urgenza in ordine

alla domanda cautelare proposta dalla Esso italiana s.p.a., al

termine di una sommaria attività istruttoria e salvo l'esito del

proponendo giudizio a cognizione ordinaria, ha accertato che

non appare veritiera l'affermazione contenuta nel comunicato

stampa diffuso dal comune di Roma il 21 ottobre 1998 secondo

la quale dalle analisi del tenore di benzene eseguite nel mese

di luglio 1998 sarebbe emerso che la Esso italiana s.p.a. (così come le altre società petrolifere, con esclusione di Agip ed IP), non aveva rispettato i limiti di legge (uno per cento in volume), essendo risultato invece che i controlli effettuati dalle autorità

amministrative competenti ex 1. 413/97 non hanno evidenziato

valori di benzene superiori ai predetti limiti».

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Condanna penale con interdizione dai pubblici uffici — Destituzione automati

ca — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art.

3; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 85).

Pena — Interdizione perpetua dai pubblici uffici — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 29).

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 85, lett. b), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in

cui prescrive la destituzione del pubblico dipendente per con

danna passata in giudicato che comporti l'interdizione dai pub

blici uffici, senza il previo procedimento disciplinare, in riferi mento all'art. 3 Cost. (1)

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

29, 1° comma, c.p., nella parte in cui prevede che la condanna

alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni com

porta l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici,

in riferimento all'art. 3 Cost. (2)

Il Foro Italiano — 2000 — Parte 7-6.

Corte costituzionale; sentenza 9 luglio 1999, n. 286 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 14 luglio 1999, n. 28); Pres. Grana

ta, Est. Guizzi; Trapasso c. Enpas; interv. Pres. cons, ministri.

Orci. Tar Calabria 8 maggio 1998 (G.U., la s.s., n. 36 del 1998).

(1-2) Nel senso della permanenza nel nostro ordinamento della desti tuzione automatica dal servizio dell'impiegato condannato colpito dalla sanzione accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, ai sen si dell'art. 29 c.p., anche dopo la riforma del procedimento disciplinare nel pubblico impiego di cui alla 1. 19/90, si era già espressa la giurispru denza amministrativa: Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 468, Foro

it., Rep. 1998, voce Impiegato dello Stato, n. 1164; Tar Sicilia 5 agosto 1996, n. 1136, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1160; Tar Calabria 16 aprile 1993, n. 293, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1074; Tar Sicilia, sez. II, 8 maggio 1992, n. 257, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1151; contra, Cons,

giust. amm. sic. 6 marzo 1998, n. 125, id., Rep. 1998, voce cit., n.

1166, secondo cui la disposizione ex art. 85, lett. ti), d.p.r. 3/57 deve ritenersi abrogata dopo l'affermazione da parte di numerose sentenze della Corte costituzionale del principio generale della illegittimità di tut ti gli automatismi in danno del pubblico impiegato; prima degli inter venti della corte (v. la fondamentale sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, id., 1989, I, 22, con nota di Viroa) e del legislatore (1. 19/90), la legitti mità della destituzione di diritto dopo la condanna penale con interdi zione dai pubblici uffici era stata più volte affermata dalla giurisprudenza: v. Tar Piemonte, sez. II, 19 settembre 1985, n. 333, id., Rep. 1986, voce Impiegato degli enti locali, n. 29 (in fattispecie concernente la no mina di vincitore di concorso); Tar Basilicata 3 ottobre 1980, n. 217, id., 1982, III, 84 (in presenza di sanzione accessoria poi condonata). Per ogni riferimento in materia, sulla posizione della Corte costituzio

nale, v. sent. 28 maggio 1999, n. 199, in questo fascicolo, I, 325; sulla

pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, Cass. 27 maggio 1998, Ishaka, id., 1998, II, 641.

* * *

La sentenza è così motivata: Diritto. — 1. - Viene all'esame della corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, 1° comma,

c.p., «nella parte in cui statuisce che la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importa l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici»; e, «per quanto occorra (cioè se la norma deve ritenersi vigente)», dell'art. 85, lett. b), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, «nella parte in cui prescrive che l'impiegato incorre nella

destituzione, escluso il procedimento disciplinare, per condanna passata in giudicato che importi l'interdizione dai pubblici uffici».

Stando alla prospettazione del rimettente, si tratta in realtà di due

distinte questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. Le norme cen surate sarebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza e di pro

porzionalità tra il fatto e la sanzione, perché produttive dell'automatica

risoluzione del rapporto di impiego nei confronti dei dipendenti pubbli ci condannati con sentenza passata in giudicato.

2. - Preliminarmente si deve dichiarare inammissibile la questione sol levata con riferimento all'art. 85, lett. ti), d.p.r. n. 3 del 1957, non

solo perché posta come meramente ipotetica, ma perché è perplessa la motivazione, non risultando chiaro se, rispetto all'altra, essa si collo chi in linea subordinata, o alternativa, o successiva.

3. - La questione sollevata con riferimento alla disposizione codicisti ca è, invece, non fondata.

L'art. 29, 1° comma, c.p. statuisce, come si è già anticipato, che

«la condanna all'ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l'interdizione perpetua del con dannato dai pubblici uffici». Disposizione, questa, che il rimettente non censura nei suoi presupposti, ma nelle conseguenze giuridiche: non sot to il profilo generale, dunque, bensì con riguardo al rapporto di pubbli co impiego, implicando l'automatica risoluzione di esso in ragione del carattere perpetuo della misura.

Il giudice a quo vorrebbe che dalla pena accessoria — applicabile secondo i principi generali solo in base a una condanna penale definiti va — non scaturisse l'automatismo della rimozione, ma si affermasse nella sua ineludibilità l'interposizione del giudizio disciplinare. A tal fine viene richiamata, nell'ordinanza di rimessione, la ratio decidendi su cui si fondano le sentenze nn. 363 e 239 del 1996 (Foro it., 1997,

I, 706) e n. 197 del 1993 (id., 1994, I, 385) e le ordinanze n. 201 del

1994 (id., Rep. 1995, voce Pena, n. 55) e n. 137 del 1994 (id., Rep.

1994, voce cit., n. 21), ma l'affermazione del principio della necessità

del procedimento disciplinare, in luogo della destituzione di diritto dei

pubblici dipendenti, non concerne le pene accessorie di carattere inter

dittivo, in genere, né l'interdizione dai pubblici uffici, in particolare. La risoluzione del rapporto d'impiego costituisce, in questo caso, sol

tanto un effetto indiretto della pena accessoria comminata in perpetuo. Di là dai dubbi espressi dal collegio, è appena il caso di soggiungere

che, nella sua discrezionalità, il legislatore resta libero — sia pure con

l'osservanza del principio di razionalità normativa — di determinare i presupposti, i contenuti e la durata della misura, assolvendo la pena accessoria finalità di difesa sociale e di prevenzione speciale.

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Page 3: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

PARTE PRIMA

Ordinamento giudiziario — Indennità di funzione — Compo nenti le commissioni tributarie — Esclusione — Questione ma

nifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 97,

101, 108; 1. 19 febbraio 1981 n. 27, provvidenze per il perso nale di magistratura, art. 3; 1. 6 agosto 1984 n. 425, disposi zioni relative al trattamento economico dei magistrati, art.

1, 2).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 e degli art. 1

e 2 1. 6 agosto 1984 n. 425, nella parte in cui non estendono

ai componenti le commissioni tributarie la speciale indennità

di funzione attribuita ai magistrati ordinari ed equiparati, in

riferimento agli art. 3, 97, 101 e 108 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 30 giugno 1999, n. 272 (Gaz

zetta ufficiale, V serie speciale, 7 luglio 1999, n. 27); Pres. Gra nata, Est. Contri; Meocci e altri (Aw. Valenti) c. Min. finanze;

interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Di Pace), Associa

zione nazionale giudici tributari. Ord. Pret. Siena 23 giugno 1997 (G.U., la s.s., n. 44 del 1997).

(1) L'ordinanza di rimessione è massimata in Foro it., Rep. 1997, voce Ordinamento giudiziario, n. 137. La corte conferma anche nei

confronti dei componenti le nuove commissioni tributarie nate dalla riforma del d.leg. 545/92 il giudizio di rigetto della questione di costitu

zionalità già espresso in più occasioni, sia pure con motivazione di inam

missibilità (v. ord. 2 febbraio 1990, n. 57, id., 1990, I, 3372, e le altre

citate in motivazione); per ogni riferimento sulla indennità in parola e le rivendicazioni invano formulate dalle categorie escluse, v. Cass. 9 novembre 1998, n. 11272, id., 1999, I, 439, con nota di richiami.

* * *

L'ordinanza è così motivata: Ritenuto che il Pretore di Siena, con ordinanza emessa il 23 giugno 1997 (Foro it., Rep. 1997, voce Ordina mento giudiziario, n. 137), ha sollevato, in riferimento agli art. 3, 97, 101 e 108 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 (provvidenze per il personale di magistratura), che ha istituito a favore dei magistrati ordinari un'indennità non pensiona bile in relazione agli oneri che essi incontrano nell'esercizio della loro

attività, e degli art. 1 e 2 1. 6 agosto 1984 n. 425 (disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati), che hanno esteso tale inden nità ai magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, dei tribu nali amministrativi regionali, della giustizia militare ed agli avvocati e

procuratori dello Stato, nella parte in cui non comprendono i compo nenti le commissioni tributarie tra i beneficiari di detta indennità;

che ad avviso del rimettente l'art. 1 1. 6 agosto 1984 n. 425 — che

dispone che l'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27, si interpreta nel senso che l'indennità spetta solo ai magistrati dell'ordine giudiziario — avreb be introdotto un diverso trattamento retributivo, da un lato per i magi strati appartenenti alle giurisdizioni ordinaria, amministrativa, contabi le e militare, e dall'altro per i componenti di altri organi giurisdizionali, quali le commissioni tributarie, pur se soggetti anch'essi alla legge;

che la ragione del diverso trattamento sarebbe venuta meno dopo che, con la 1. 18 maggio 1974 n. 217, l'indennità è stata riconosciuta ai vice pretori onorari reggenti l'ufficio e, con la I. 25 ottobre 1985 n. 795, anche ai giudici popolari delle corti di assise, di modo che sa rebbe priva di qualsiasi ragionevolezza una distinzione fondata sulla funzione svolta dai componenti le commissioni tributarie e in particola re sulla natura onoraria della stessa;

che si sono costituiti davanti alla corte i ricorrenti del giudizio a quo, chiedendo che venga accolta la questione sollevata dal Pretore di Siena

o, in subordine, che gli atti vengano rimessi a detto giudice perché lo stesso si pronunci secondo un'interpretazione estensiva della 1. 6 agosto 1984 n. 425;

che, secondo le parti private, per i componenti le commissioni tribu

tarie, in ragione degli obblighi e degli oneri loro imposti, si costituireb be un rapporto di servizio continuativo ed a tempo indeterminato, il cui contenuto consisterebbe nell'esplicazione in modo professionale, pur se non esclusivo, di attività giurisdizionale in materia tributaria, ciò che renderebbe irrazionale la mancata corresponsione della speciale in dennità istituita a favore dei magistrati ordinari;

che il mancato riconoscimento dell'indennità violerebbe anche l'art. 36 Cost, posto che il principio del diritto del lavoratore ad una retribu zione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro impone al

legislatore di attribuire lo stesso trattamento economico a coloro che

esplicano le medesime mansioni, come stabilito dalla Corte costituzio nale con la sentenza n. 264 del 1983, id., 1983, I, 2950;

che è intervenuto nel presente giudizio il presidente del consiglio dei

Il Foro Italiano — 2000.

ministri, rappresentato e difeso dalla avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla corte di dichiarare non fondata la questione;

che nel giudizio davanti alla corte è intervenuta fuori termine, depo sitando una propria memoria, anche l'Associazione nazionale dei giudi ci tributari, chiedendo l'accoglimento della questione di costituzionalità

sollevata dal pretore di Siena; che le parti ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato memorie

difensive in prossimità dell'udienza. Considerato che, impregiudicata ogni questione relativa all'ammissi

bilità dell'intervento dell'Associazione nazionale dei giudici tributari, lo stesso deve essere preliminarmente dichiarato irricevibile, dal mo mento che la memoria è stata depositata fuori termine;

che, come più volte affermato da questa corte — ordinanze nn. 379 e 515 del 1989 (id., 1990, I, 725), n. 594 del 1989 (ibid., 1088), e n.

57 del 1990 (ibid., 3372) — i compensi dei componenti le commissioni tributarie e degli altri giudici onorari non sono assimilabili alla vera e propria retribuzione, ma consistono in semplici emolumenti, la cui

disciplina esula dalla previsione dell'art. 108 Cost., e la loro misura

è inidonea ad incidere sull'indipendenza del giudice; che le posizioni dei magistrati che svolgono professionalmente e in

via esclusiva funzioni giurisdizionali e quelle dei componenti le commis sioni tributarie, che esercitano funzioni onorarie, non sono fra loro

raffrontabili ai fini della valutazione del rispetto del principio di egua glianza, in quanto il compenso per i secondi è previsto per un'attività che essi non esercitano professionalmente bensì, di massima, in aggiun ta ad altre attività svolte in via primaria, e quindi non si impone che

agli stessi venga riconosciuto il medesimo trattamento economico di cui beneficiano i primi;

che, come affermato da questa corte con l'ordinanza n. 377 del 1987

(id., 1988, I, 2468), non rientra nei compiti della corte ma nel magiste ro del legislatore stabilire se e quale indennità sia dovuta ai funzionari onorari per l'opera da essi prestata;

che la disciplina del contenzioso tributario di cui all'art. 13 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 545 (ordinamento degli organi speciali di giurisdi zione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in at tuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413) ha previsto per i componenti le commissioni tributarie

compensi fissi — determinati e rideterminabili con decreto del ministro delle finanze, di concerto con il ministro del tesoro — ed ancora com

pensi aggiuntivi che tengono conto della specifica attività in concreto da essi svolta, ciò che ulteriormente esclude che il mancato riconosci mento dell'indennità di cui trattasi possa configurare un attentato al

l'indipendenza dei loro componenti; che pertanto la questione di legittimità costituzionale è manifesta

mente infondata.

Militare — Militare di truppa — Procedimento disciplinare —

Sanzioni disciplinari di stato — Previa contestazione degli ad

debiti — Omessa previsione — Questioni inammissibile e in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 24, 52; r.d.l. 3

febbraio 1938 n. 744, norme sul reclutamento ed avanzamen

to dei sottufficiali e militari di truppa, nonché sullo stato dei

sottufficiali della regia aeronautica, art. 64; 1. 16 febbraio

1939 n. 468, conversione in legge, con modificazioni, del r.d.l.

3 febbraio 1938 n. 744; 1. 31 luglio 1954 n. 599, stato dei sottufficiali dell'esercito, della marina e dell'aeronautica, art.

64; d.leg. 12 maggio 1995 n. 196, attuazione dell'art. 3 1.

6 marzo 1992 n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifi

ca alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del per sonale non direttivo delle forze armate, art. 30).

È inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 d.leg. 12 maggio 1995 n. 196, nella

parte in cui non estende ai militari di truppa dell'aeronautica

in ferma breve l'art. 64 1. 31 luglio 1954 n. 599 che prevede la previa contestazione degli addebiti nel procedimento preordi nato alla irrogazione di sanzioni disciplinari di stato, in riferi

mento all'art. 3 ed al combinato disposto degli art. 2, 24 e 52

Cost. (1)

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Page 4: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

64 r.d.l. 3 febbraio 1938 n. 744, convertito in 1. 16 febbraio

1939 n. 468, nella parte in cui non prevederebbe che la cessazio

ne dalla leva per motivi disciplinari di militare di truppa dell'ae

ronautica in ferma breve debba essere preceduta dalla contesta

zione degli addebiti, in riferimento all'art. 3 ed al combinato

disposto degli art. 2, 24 e 52 Cost. (2)

Corte costituzionale; sentenza 28 maggio 1999, n. 199 (Gaz

zetta ufficiale, V serie speciale, 2 giugno 1999, n. 22); Pres.

Granata, Est. Guizzi; Elmi (Aw. Lupini) c. Min. difesa. Ord. Cons. Stato 14 ottobre 1997 (G.U., la s.s., n. 11 del 1998).

(1-2) L'ordinanza di rimessione, Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre

1997, n. 1292, è massimata in Foro it., Rep. 1998, voce Militare, n. 12. La corte rigetta la questione di costituzionalità ritenendo che nel

procedimento disciplinare in oggetto il diritto di difesa del militare non sia pretermesso in quanto, in applicazione degli art. 40 e 64 1. 599/54, il cui titolo III è richiamato nell'art. 53, 5° comma, 1. 958/86, la cessa

zione della ferma volontaria o della rafferma, se disposta per motivi

disciplinari, deve essere preceduta da inchiesta formale, con previa con testazione degli addebiti e facoltà di presentazione delle discolpe. Per

ogni riferimento in materia, v. Corte cost. 18 luglio 1997, n. 240, id., 1998, I, 3686, con nota di richiami.

Tributi in genere — Commissioni tributarie — Decisioni — Ter mine per impugnare — Decorrenza per l'ufficio — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; d.p.r. 26 otto

bre 1972 n. 636, revisione della disciplina del contenzioso tri

butario, art. 22, 32, 38).

È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.

22, 1° comma, 32, 1° e ultimo comma, 38, 3° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, nella parte in cui disciplinano la decor

renza del termine delle impugnazioni delle decisioni delle com

missioni tributarie da parte dell'amministrazione finanziaria, in

riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 23 marzo 1999, n. 87 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 31 marzo 1999, n. 13); Pres. Grana

ta, Est. Marini; Min. finanze c. Pecorilla; interv. Pres. cons,

ministri. Ord. Cass. 27 giugno 1997 (G.U., la s.s., n. 25 del 1998).

(1) L'ordinanza di rimessione, Cass. 3 aprile 1998, n. 309, massimata

in Foro it., Rep. 1998, voce Tributi in genere, n. 1607, promuove il

giudizio di legittimità costituzionale sulla scorta di un'interpretazione

degli art. 22, 1° comma, 32, 1° e ultimo comma, 38, 3° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, secondo la quale il termine di sessanta giorni per impugnare le decisioni delle commissioni tributarie decorrerebbe per l'amministrazione non dalla data di consegna, da parte dell'incaricato

postale, dell'elenco contenente il dispositivo della decisione, bensì dalla

data, spesso successiva, in cui il funzionario dell'amministrazione fi

nanziaria appone la propria firma sul duplicato dell'elenco stesso, poi restituito alla segreteria della commissione tributaria.

La Corte costituzionale reputa non fondata la questione di legittimità costituzionale così come formulata dall'ordinanza rimettente, in ragio ne del fatto che, avendo gli art. 19 e 25 d.p.r. 3 novembre 1981 n.

739 statuito che le comunicazioni a mezzo posta debbono essere effet

tuate in plico raccomandato con avviso di ricevimento, deve ritenersi

compiuta la comunicazione a mezzo posta alla data in cui il funzionario

responsabile appone la propria firma sull'avviso di ricevimento spedito unitamente al plico raccomandato. Ciò in quanto la funzione dell'avvi

so postale di ricevimento è quella di attestare la data di ricezione del

l'atto, dalla quale, ai sensi dell'art. 32, 5° comma, d.p.r. 636/72, de

corre il termine per l'impugnazione. La datazione e sottoscrizione per

Il Foro Italiano — 2000.

ricevuta dell'elenco da parte del funzionario dell'ufficio devono poi, in conformità a quanto disposto dal citato art. 32, 1° comma, essere

eseguite «immediatamente», e cioè senza alcuna soluzione temporale rispetto alla ricezione del plico raccomandato, poiché quel che è «im mediato» non tollera per definizione intervalli temporali.

Sulla questione, la Consulta già si era pronunciata con ord. 9 dicem bre 1982, n. 214, id., 1983, I, 534, con nota di A. Proto Pisani, rin viando gli atti relativi al giudice a quo, in considerazione del mutato assetto normativo che ha investito gli art. 22, 32 e 38 d.p.r. 636/72 ad opera degli art. 14, 19 e 25 d.p.r. 739/81, e con ord. 31 dicembre

1982, n. 263, id., Rep. 1983, voce cit., n. 734, con rinvio degli atti al giudice a quo in merito al giudizio di legittimità costituzionale degli art. 22, 1° comma, e 38, 3° comma, d.p.r. 636/72, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., per i medesimi motivi.

Nel medesimo senso dell'ordinanza di rimessione, e cioè nel senso ora respinto dalla Corte costituzionale, v. Cass. 9 marzo 1979, n. 1475, id., Rep. 1979, voce cit., n. 474, per la quale il termine per proporre impugnazione decorre dalla data in cui il funzionario appone la propria firma sul duplicato dell'avviso (recte elenco) da restituire alla segreteria della commissione (in motivazione si afferma anche che tale data sareb be quella di ricezione della raccomandata spedita dalla segreteria della

commissione tributaria). Cfr., invece, Comm. trib. centrale 3 febbraio 1998, n. 387, id., Rep.

1998, voce cit., n. 1654, secondo la quale, qualora risulti effettuata la consegna del plico raccomandato contenente l'elenco dei dispositivi da parte dell'agente postale, decorrono i termini per la relativa impu gnazione dalla data di consegna, restando irrilevante, ai fini processua li, la data eventualmente successiva (o coincidente) dell'annotazione del l'atto nel registro cronologico apposta dall'ufficio sul duplo dell'elenco stesso.

V. infine, nel medesimo senso della Consulta, ovvero nel senso che ciò che è «immediato», per definizione, non tollera intervalli temporali, Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232, id., 1998, I, 2314, in tema di misure

cautelari personali.

Arbitrato e compromesso — Lodo rituale — Compenso agli arbitri — Procedimento di liquidazione — Ambito — Estre

mi (Cod. proc. civ., art. 814).

Il presidente del tribunale, cui arbitri rituali abbiano chiesto

la liquidazione, ai sensi dell'art. 814 c.p.c., delle spese e dell'o

norario per l'opera svolta, deve limitarsi ad accertare l'avvenu

ta pronuncia del lodo, sen2a poterne verificare eventuali cause

di nullità o di inesistenza. (1)

Corte di cassazione; sezione I civile; sentenza 26 novembre

1999, n. 13174; Pres. Senofonte, Est. Luccioli, P.M. Mattone

(conci, conf.); Comune di Nardò (Aw. Caprioli) c. Papiano e altri (Avv. Fiore). Conferma Trib. Lecce 16 agosto 1996.

(1) La corte si uniforma all'orientamento espresso dalle pronunzie richiamate in motivazione e da Cass. 14 marzo 1996, n. 2124, Foro

it., Rep. 1997, voce Arbitrato, nn. 174, 175 (per esteso, con nota di

Giacobbe, in Riv. trim, appalti, 1996, 705), cui si deve l'ulteriore preci sazione dell'esorbitanza (dai poteri cognitivi del presidente del tribuna

le), dell'accertamento relativo all'esatto adempimento dei reciproci ob

blighi delle parti nel giudizio arbitrale, (accertamento) la cui cognizione rimane quindi assoggettata agli ordinari criteri di competenza.

Nella parte motiva della riportata sentenza la corte dedica poi qual che battuta al rapporto tra l'annullamento del lodo e il diritto al com

penso degli arbitri, escludendo che il primo possa eliminare il secondo, facendo tuttavia salva la possibilità di operare compensazioni con even

tuali determinati debiti risarcitori degli arbitri. E su tale specifica que stione può essere utile l'esame dei molteplici precedenti richiamati nella

nota redazionale a Cass. 17 ottobre 1996, n. 9074, Foro it., 1996,1, 3578.

* * *

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Page 5: Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

PARTE PRIMA

La sentenza è così motivata: Motivi della decisione. — (Omissis). Costituisce invero giurisprudenza consolidata di questa Suprema corte

che il presidente del tribunale adito ai sensi dell'art. 814 c.p.c. per la

liquidazione degli onorari degli arbitri deve limitarsi a valutare l'impor tanza ed il pregio dell'opera da questi effettivamente prestata al fine

di adeguarvi la misura degli onorari stessi, e deve astenersi da qualsiasi

indagine, anche in via incidentale, diretta a verificare la validità del

compromesso, della nomina degli arbitri e della loro pronuncia, ed an

che ad accertare eventuali cause di inesistenza, trattandosi di questioni estranee alla struttura ed alle finalità del procedimento sommario di

liquidazione, riservate al giudice dell'impugnazione del lodo (v., sul punto, Cass. n. 10660 del 1996, Foro it., Rep. 1996, voce Arbitrato, n. 93; n. 9074 del 1996, id., 1996, I, 3578; n. 2800 del 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 76).

Ed invero lo speciale procedimento delineato dall'art. 814 c.p.c., estre

mamente semplificato, persino quanto al contraddittorio, l'assoluta som

marietà della cognizione, la competenza funzionale del presidente del

tribunale, la forma di ordinanza del provvedimento da emettere, la sua

non impugnabilità ordinaria nonostante la natura decisoria, trovano ra

gione nella precisa e limitata finalità cui esso è rivolto.

La liquidazione del compenso ai sensi della norma in esame presup

pone soltanto che il lodo sia stato pronunciato, così che il giudicante

attinga da esso gli elementi sufficienti per la propria determinazione, salva restando la possibilità di un'azione risarcitoria nei confronti degli arbitri a seguito dell'annullamento del lodo da parte del giudice compe tente per causa imputabile a loro negligenza nell'espletamento dell'in carico.

È del tutto evidente che l'eventuale annullamento del lodo non vale

ad escluderne l'esistenza storica, e quindi non sopprime il fatto oggetti vo che un'attività è stata comunque svolta dagli arbitri, così che il con

seguente diritto al compenso può soltanto, in ipotesi, compensarsi con un loro debito risarcitorio sia nelle ipotesi normativamente fissate di

cui all'art. 813 c.p.c., sia a seguito del definitivo accertamento nell'or

dinaria sede contenziosa che detto annullamento sia imputabile agli stessi arbitri per non aver espletato l'incarico con il grado di diligenza richie

sto dalla natura del rapporto. (Omissis)

Arbitrato e compromesso — Lodo irrituale del 1992 — Impu

gnazione per nullità — Dichiarazione di incompetenza —

«Translatio iudicii» — Inapplicabilità — Estremi (Cod. proc.

civ., art. 50, 828).

La corte di appello, investita dell'azione di nullità di lodo

arbitrale del 1992 ritenuto irrituale, deve limitarsi a dichiarare

la inammissibilità dell'impugnazione, non potendo emettere

una pronuncia di incompetenza con termine per la riassunzio

ne avanti il tribunale reputato competente, stante la inapplica bilità della translatio iudicii nel caso di incompetenza per

grado. (1)

Corte di cassazione; sezione I civile; sentenza 12 giugno

1999, n. 5814; Pres. Sensale, Est. Cappuccio, P.M. Martone

(conci, parz. diff.); Soc. Coop. edil. Cinque (Avv. Manzi, Glendi, Coglitore) c. Gatti. Cassa App. Genova 26 febbraio 1996.

(1) In senso conforme alla prima parte della massima, Cass. 28 mag gio 1998, n. 5280, Foro it., 1998, I, 2088, con nota di richiami, nella cui motivazione si è precisato che la questione esaminata non attiene alla competenza, perché non si tratta di accertare la misura dei poteri decisori di un giudice rispetto ad un altro, ma di verificare l'ammissibi

II Foro Italiano — 2000.

lità dell'impugnazione proposta ai sensi dell'art. 828 c.p.c. contro lodo irrituale. In senso contrario alla seconda parte della massima, in rela

zione alla proposizione di reclamo cautelare dinanzi a giudice incompe tente, Trib. Bari, ord. 20 settembre 1999, in questo fascicolo, I, 295, con osservazioni critiche di C.M. Barone, cui si rinvia anche per i rife

rimenti alla giurisprudenza sull'argomento.

* * *

La sentenza è così motivata: Motivi della decisione. — (Omissis). Ma ad una pronuncia di inammissibilità conduce anche la seconda ipo tesi. Ammesso, infatti, che la sentenza impugnata sia incorsa nell'erro re di pronunciare nel merito pur ritenendo il lodo irrituale e quindi, siccome di efficacia negoziale, soggetto alle normali azioni dichiarative

e costitutive da proporsi dinanzi al giudice ordinariamente competente per valore e territorio, anziché con i mezzi previsti dall'art. 828 c.p.c., dinanzi alla corte d'appello, la corte genovese non avrebbe dovuto ren dere una pronuncia di incompetenza, con termine per la riassunzione

dinanzi al tribunale dichiarato competente, perché la translatio iudicii

non trova applicazione «quando la domanda sia stata proposta ad un

giudice incompetente per grado e, di conseguenza, non opera nell'ipote si di proposizione al tribunale, invece che alla corte di appello, dell'im

pugnazione per nullità del lodo arbitrale, atteso che i criteri di compe tenza di cui all'art. 828, 2° comma, c.p.c., hanno carattere funzionale,

riguardando un giudizio di secondo grado avente natura di appello, anche se 'limitato'» (Cass. 3586/93, Foro it., Rep. 1993, voce Arbitra

to, n. 133). In tal senso, trattandosi di qualificazione giuridica della

domanda, deve essere letta e, nel caso, accolta la censura di omessa

declaratoria di incompetenza, proposta in alternativa dalla ricorrente

cooperativa. Poiché la causa, in entrambi i casi, non poteva essere proposta, la

sentenza deve essere cassata senza rinvio, rimanendo assorbite le ulte riori censure (di difetto di motivazione della ritenuta irritualità del lo

do, di ultrapetizione, di difetto di integrità del contraddittorio, di erra

ta pronuncia di nullità della clausola compromissoria) dedotte con la seconda parte del primo motivo e con il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso.

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