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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 1 (GENNAIO 2000), pp. 321/322-327/328Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195330 .
Accessed: 24/06/2014 20:59
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dai laboratori delle dogane per la verifica della conformità del
prodotto ai valori fissati dalla 1. 413/97 sono stati specifica mente definiti (v. protocollo d'intesa prodotto dal dott. Piagne
relli) mentre non risulta quale siano stati i criteri seguiti dal
presidio multizonale di prevenzione per le analisi dei campioni; — considerato, quanto al periculum in mora, che il protrarsi
dell'effetto diffamatorio durante il tempo occorrente per otte
nere una pronuncia sul merito comporterebbe al richiedente un
pregiudizio irreparabile, individuabile nello sviamento di clien tela a vantaggio di imprese concorrenti e nel danno all'immagi ne commerciale (elementi non esattamente determinabili sotto
il profilo patrimoniale e, quindi, non integralmente risarcibili); — ritenuto che la tutela cautelare richiesta dalla parte ricor
rente può essere adeguatamente soddisfatta con la pubblicazio ne a mezzo stampa delle risultanze emerse nel presente procedi mento sommario in ordine alla qualità del prodotto distribuito
dalla stessa società istante; — ritenuto, pertanto, che l'istanza proposta dalla Esso ita
liana s.p.a. deve essere accolta nel senso sopra specificato (con la sola precisazione che la pubblicazione non può essere posta a carico del resistente, consistendo in un'attività esercitabile dalla
stessa parte ricorrente, con il solo danno — esattamente e com
pletamente risarcibile e, quindi, non irreparabile — di dover
sostenere la relativa spesa); — visti gli art. 700 e 669 octies c.p.c. Per questi motivi, autorizza la Esso italiana s.p.a. a far pub
blicare, una o più volte, a proprie spese, su uno o più quotidia
ni, un comunicato del seguente tenore: «Il giudice designato del Tribunale di Roma, provvedendo in via d'urgenza in ordine
alla domanda cautelare proposta dalla Esso italiana s.p.a., al
termine di una sommaria attività istruttoria e salvo l'esito del
proponendo giudizio a cognizione ordinaria, ha accertato che
non appare veritiera l'affermazione contenuta nel comunicato
stampa diffuso dal comune di Roma il 21 ottobre 1998 secondo
la quale dalle analisi del tenore di benzene eseguite nel mese
di luglio 1998 sarebbe emerso che la Esso italiana s.p.a. (così come le altre società petrolifere, con esclusione di Agip ed IP), non aveva rispettato i limiti di legge (uno per cento in volume), essendo risultato invece che i controlli effettuati dalle autorità
amministrative competenti ex 1. 413/97 non hanno evidenziato
valori di benzene superiori ai predetti limiti».
Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Condanna penale con interdizione dai pubblici uffici — Destituzione automati
ca — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art.
3; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 85).
Pena — Interdizione perpetua dai pubblici uffici — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 29).
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 85, lett. b), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, nella parte in
cui prescrive la destituzione del pubblico dipendente per con
danna passata in giudicato che comporti l'interdizione dai pub
blici uffici, senza il previo procedimento disciplinare, in riferi mento all'art. 3 Cost. (1)
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
29, 1° comma, c.p., nella parte in cui prevede che la condanna
alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni com
porta l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici,
in riferimento all'art. 3 Cost. (2)
Il Foro Italiano — 2000 — Parte 7-6.
Corte costituzionale; sentenza 9 luglio 1999, n. 286 (Gazzetta
ufficiale, la serie speciale, 14 luglio 1999, n. 28); Pres. Grana
ta, Est. Guizzi; Trapasso c. Enpas; interv. Pres. cons, ministri.
Orci. Tar Calabria 8 maggio 1998 (G.U., la s.s., n. 36 del 1998).
(1-2) Nel senso della permanenza nel nostro ordinamento della desti tuzione automatica dal servizio dell'impiegato condannato colpito dalla sanzione accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, ai sen si dell'art. 29 c.p., anche dopo la riforma del procedimento disciplinare nel pubblico impiego di cui alla 1. 19/90, si era già espressa la giurispru denza amministrativa: Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 468, Foro
it., Rep. 1998, voce Impiegato dello Stato, n. 1164; Tar Sicilia 5 agosto 1996, n. 1136, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1160; Tar Calabria 16 aprile 1993, n. 293, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1074; Tar Sicilia, sez. II, 8 maggio 1992, n. 257, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1151; contra, Cons,
giust. amm. sic. 6 marzo 1998, n. 125, id., Rep. 1998, voce cit., n.
1166, secondo cui la disposizione ex art. 85, lett. ti), d.p.r. 3/57 deve ritenersi abrogata dopo l'affermazione da parte di numerose sentenze della Corte costituzionale del principio generale della illegittimità di tut ti gli automatismi in danno del pubblico impiegato; prima degli inter venti della corte (v. la fondamentale sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, id., 1989, I, 22, con nota di Viroa) e del legislatore (1. 19/90), la legitti mità della destituzione di diritto dopo la condanna penale con interdi zione dai pubblici uffici era stata più volte affermata dalla giurisprudenza: v. Tar Piemonte, sez. II, 19 settembre 1985, n. 333, id., Rep. 1986, voce Impiegato degli enti locali, n. 29 (in fattispecie concernente la no mina di vincitore di concorso); Tar Basilicata 3 ottobre 1980, n. 217, id., 1982, III, 84 (in presenza di sanzione accessoria poi condonata). Per ogni riferimento in materia, sulla posizione della Corte costituzio
nale, v. sent. 28 maggio 1999, n. 199, in questo fascicolo, I, 325; sulla
pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, Cass. 27 maggio 1998, Ishaka, id., 1998, II, 641.
* * *
La sentenza è così motivata: Diritto. — 1. - Viene all'esame della corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, 1° comma,
c.p., «nella parte in cui statuisce che la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importa l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici»; e, «per quanto occorra (cioè se la norma deve ritenersi vigente)», dell'art. 85, lett. b), d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, «nella parte in cui prescrive che l'impiegato incorre nella
destituzione, escluso il procedimento disciplinare, per condanna passata in giudicato che importi l'interdizione dai pubblici uffici».
Stando alla prospettazione del rimettente, si tratta in realtà di due
distinte questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. Le norme cen surate sarebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza e di pro
porzionalità tra il fatto e la sanzione, perché produttive dell'automatica
risoluzione del rapporto di impiego nei confronti dei dipendenti pubbli ci condannati con sentenza passata in giudicato.
2. - Preliminarmente si deve dichiarare inammissibile la questione sol levata con riferimento all'art. 85, lett. ti), d.p.r. n. 3 del 1957, non
solo perché posta come meramente ipotetica, ma perché è perplessa la motivazione, non risultando chiaro se, rispetto all'altra, essa si collo chi in linea subordinata, o alternativa, o successiva.
3. - La questione sollevata con riferimento alla disposizione codicisti ca è, invece, non fondata.
L'art. 29, 1° comma, c.p. statuisce, come si è già anticipato, che
«la condanna all'ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l'interdizione perpetua del con dannato dai pubblici uffici». Disposizione, questa, che il rimettente non censura nei suoi presupposti, ma nelle conseguenze giuridiche: non sot to il profilo generale, dunque, bensì con riguardo al rapporto di pubbli co impiego, implicando l'automatica risoluzione di esso in ragione del carattere perpetuo della misura.
Il giudice a quo vorrebbe che dalla pena accessoria — applicabile secondo i principi generali solo in base a una condanna penale definiti va — non scaturisse l'automatismo della rimozione, ma si affermasse nella sua ineludibilità l'interposizione del giudizio disciplinare. A tal fine viene richiamata, nell'ordinanza di rimessione, la ratio decidendi su cui si fondano le sentenze nn. 363 e 239 del 1996 (Foro it., 1997,
I, 706) e n. 197 del 1993 (id., 1994, I, 385) e le ordinanze n. 201 del
1994 (id., Rep. 1995, voce Pena, n. 55) e n. 137 del 1994 (id., Rep.
1994, voce cit., n. 21), ma l'affermazione del principio della necessità
del procedimento disciplinare, in luogo della destituzione di diritto dei
pubblici dipendenti, non concerne le pene accessorie di carattere inter
dittivo, in genere, né l'interdizione dai pubblici uffici, in particolare. La risoluzione del rapporto d'impiego costituisce, in questo caso, sol
tanto un effetto indiretto della pena accessoria comminata in perpetuo. Di là dai dubbi espressi dal collegio, è appena il caso di soggiungere
che, nella sua discrezionalità, il legislatore resta libero — sia pure con
l'osservanza del principio di razionalità normativa — di determinare i presupposti, i contenuti e la durata della misura, assolvendo la pena accessoria finalità di difesa sociale e di prevenzione speciale.
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PARTE PRIMA
Ordinamento giudiziario — Indennità di funzione — Compo nenti le commissioni tributarie — Esclusione — Questione ma
nifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 97,
101, 108; 1. 19 febbraio 1981 n. 27, provvidenze per il perso nale di magistratura, art. 3; 1. 6 agosto 1984 n. 425, disposi zioni relative al trattamento economico dei magistrati, art.
1, 2).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 e degli art. 1
e 2 1. 6 agosto 1984 n. 425, nella parte in cui non estendono
ai componenti le commissioni tributarie la speciale indennità
di funzione attribuita ai magistrati ordinari ed equiparati, in
riferimento agli art. 3, 97, 101 e 108 Cost. (1)
Corte costituzionale; ordinanza 30 giugno 1999, n. 272 (Gaz
zetta ufficiale, V serie speciale, 7 luglio 1999, n. 27); Pres. Gra nata, Est. Contri; Meocci e altri (Aw. Valenti) c. Min. finanze;
interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Di Pace), Associa
zione nazionale giudici tributari. Ord. Pret. Siena 23 giugno 1997 (G.U., la s.s., n. 44 del 1997).
(1) L'ordinanza di rimessione è massimata in Foro it., Rep. 1997, voce Ordinamento giudiziario, n. 137. La corte conferma anche nei
confronti dei componenti le nuove commissioni tributarie nate dalla riforma del d.leg. 545/92 il giudizio di rigetto della questione di costitu
zionalità già espresso in più occasioni, sia pure con motivazione di inam
missibilità (v. ord. 2 febbraio 1990, n. 57, id., 1990, I, 3372, e le altre
citate in motivazione); per ogni riferimento sulla indennità in parola e le rivendicazioni invano formulate dalle categorie escluse, v. Cass. 9 novembre 1998, n. 11272, id., 1999, I, 439, con nota di richiami.
* * *
L'ordinanza è così motivata: Ritenuto che il Pretore di Siena, con ordinanza emessa il 23 giugno 1997 (Foro it., Rep. 1997, voce Ordina mento giudiziario, n. 137), ha sollevato, in riferimento agli art. 3, 97, 101 e 108 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 (provvidenze per il personale di magistratura), che ha istituito a favore dei magistrati ordinari un'indennità non pensiona bile in relazione agli oneri che essi incontrano nell'esercizio della loro
attività, e degli art. 1 e 2 1. 6 agosto 1984 n. 425 (disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati), che hanno esteso tale inden nità ai magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, dei tribu nali amministrativi regionali, della giustizia militare ed agli avvocati e
procuratori dello Stato, nella parte in cui non comprendono i compo nenti le commissioni tributarie tra i beneficiari di detta indennità;
che ad avviso del rimettente l'art. 1 1. 6 agosto 1984 n. 425 — che
dispone che l'art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27, si interpreta nel senso che l'indennità spetta solo ai magistrati dell'ordine giudiziario — avreb be introdotto un diverso trattamento retributivo, da un lato per i magi strati appartenenti alle giurisdizioni ordinaria, amministrativa, contabi le e militare, e dall'altro per i componenti di altri organi giurisdizionali, quali le commissioni tributarie, pur se soggetti anch'essi alla legge;
che la ragione del diverso trattamento sarebbe venuta meno dopo che, con la 1. 18 maggio 1974 n. 217, l'indennità è stata riconosciuta ai vice pretori onorari reggenti l'ufficio e, con la I. 25 ottobre 1985 n. 795, anche ai giudici popolari delle corti di assise, di modo che sa rebbe priva di qualsiasi ragionevolezza una distinzione fondata sulla funzione svolta dai componenti le commissioni tributarie e in particola re sulla natura onoraria della stessa;
che si sono costituiti davanti alla corte i ricorrenti del giudizio a quo, chiedendo che venga accolta la questione sollevata dal Pretore di Siena
o, in subordine, che gli atti vengano rimessi a detto giudice perché lo stesso si pronunci secondo un'interpretazione estensiva della 1. 6 agosto 1984 n. 425;
che, secondo le parti private, per i componenti le commissioni tribu
tarie, in ragione degli obblighi e degli oneri loro imposti, si costituireb be un rapporto di servizio continuativo ed a tempo indeterminato, il cui contenuto consisterebbe nell'esplicazione in modo professionale, pur se non esclusivo, di attività giurisdizionale in materia tributaria, ciò che renderebbe irrazionale la mancata corresponsione della speciale in dennità istituita a favore dei magistrati ordinari;
che il mancato riconoscimento dell'indennità violerebbe anche l'art. 36 Cost, posto che il principio del diritto del lavoratore ad una retribu zione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro impone al
legislatore di attribuire lo stesso trattamento economico a coloro che
esplicano le medesime mansioni, come stabilito dalla Corte costituzio nale con la sentenza n. 264 del 1983, id., 1983, I, 2950;
che è intervenuto nel presente giudizio il presidente del consiglio dei
Il Foro Italiano — 2000.
ministri, rappresentato e difeso dalla avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla corte di dichiarare non fondata la questione;
che nel giudizio davanti alla corte è intervenuta fuori termine, depo sitando una propria memoria, anche l'Associazione nazionale dei giudi ci tributari, chiedendo l'accoglimento della questione di costituzionalità
sollevata dal pretore di Siena; che le parti ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato memorie
difensive in prossimità dell'udienza. Considerato che, impregiudicata ogni questione relativa all'ammissi
bilità dell'intervento dell'Associazione nazionale dei giudici tributari, lo stesso deve essere preliminarmente dichiarato irricevibile, dal mo mento che la memoria è stata depositata fuori termine;
che, come più volte affermato da questa corte — ordinanze nn. 379 e 515 del 1989 (id., 1990, I, 725), n. 594 del 1989 (ibid., 1088), e n.
57 del 1990 (ibid., 3372) — i compensi dei componenti le commissioni tributarie e degli altri giudici onorari non sono assimilabili alla vera e propria retribuzione, ma consistono in semplici emolumenti, la cui
disciplina esula dalla previsione dell'art. 108 Cost., e la loro misura
è inidonea ad incidere sull'indipendenza del giudice; che le posizioni dei magistrati che svolgono professionalmente e in
via esclusiva funzioni giurisdizionali e quelle dei componenti le commis sioni tributarie, che esercitano funzioni onorarie, non sono fra loro
raffrontabili ai fini della valutazione del rispetto del principio di egua glianza, in quanto il compenso per i secondi è previsto per un'attività che essi non esercitano professionalmente bensì, di massima, in aggiun ta ad altre attività svolte in via primaria, e quindi non si impone che
agli stessi venga riconosciuto il medesimo trattamento economico di cui beneficiano i primi;
che, come affermato da questa corte con l'ordinanza n. 377 del 1987
(id., 1988, I, 2468), non rientra nei compiti della corte ma nel magiste ro del legislatore stabilire se e quale indennità sia dovuta ai funzionari onorari per l'opera da essi prestata;
che la disciplina del contenzioso tributario di cui all'art. 13 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 545 (ordinamento degli organi speciali di giurisdi zione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in at tuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413) ha previsto per i componenti le commissioni tributarie
compensi fissi — determinati e rideterminabili con decreto del ministro delle finanze, di concerto con il ministro del tesoro — ed ancora com
pensi aggiuntivi che tengono conto della specifica attività in concreto da essi svolta, ciò che ulteriormente esclude che il mancato riconosci mento dell'indennità di cui trattasi possa configurare un attentato al
l'indipendenza dei loro componenti; che pertanto la questione di legittimità costituzionale è manifesta
mente infondata.
Militare — Militare di truppa — Procedimento disciplinare —
Sanzioni disciplinari di stato — Previa contestazione degli ad
debiti — Omessa previsione — Questioni inammissibile e in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 24, 52; r.d.l. 3
febbraio 1938 n. 744, norme sul reclutamento ed avanzamen
to dei sottufficiali e militari di truppa, nonché sullo stato dei
sottufficiali della regia aeronautica, art. 64; 1. 16 febbraio
1939 n. 468, conversione in legge, con modificazioni, del r.d.l.
3 febbraio 1938 n. 744; 1. 31 luglio 1954 n. 599, stato dei sottufficiali dell'esercito, della marina e dell'aeronautica, art.
64; d.leg. 12 maggio 1995 n. 196, attuazione dell'art. 3 1.
6 marzo 1992 n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifi
ca alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del per sonale non direttivo delle forze armate, art. 30).
È inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 d.leg. 12 maggio 1995 n. 196, nella
parte in cui non estende ai militari di truppa dell'aeronautica
in ferma breve l'art. 64 1. 31 luglio 1954 n. 599 che prevede la previa contestazione degli addebiti nel procedimento preordi nato alla irrogazione di sanzioni disciplinari di stato, in riferi
mento all'art. 3 ed al combinato disposto degli art. 2, 24 e 52
Cost. (1)
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
64 r.d.l. 3 febbraio 1938 n. 744, convertito in 1. 16 febbraio
1939 n. 468, nella parte in cui non prevederebbe che la cessazio
ne dalla leva per motivi disciplinari di militare di truppa dell'ae
ronautica in ferma breve debba essere preceduta dalla contesta
zione degli addebiti, in riferimento all'art. 3 ed al combinato
disposto degli art. 2, 24 e 52 Cost. (2)
Corte costituzionale; sentenza 28 maggio 1999, n. 199 (Gaz
zetta ufficiale, V serie speciale, 2 giugno 1999, n. 22); Pres.
Granata, Est. Guizzi; Elmi (Aw. Lupini) c. Min. difesa. Ord. Cons. Stato 14 ottobre 1997 (G.U., la s.s., n. 11 del 1998).
(1-2) L'ordinanza di rimessione, Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre
1997, n. 1292, è massimata in Foro it., Rep. 1998, voce Militare, n. 12. La corte rigetta la questione di costituzionalità ritenendo che nel
procedimento disciplinare in oggetto il diritto di difesa del militare non sia pretermesso in quanto, in applicazione degli art. 40 e 64 1. 599/54, il cui titolo III è richiamato nell'art. 53, 5° comma, 1. 958/86, la cessa
zione della ferma volontaria o della rafferma, se disposta per motivi
disciplinari, deve essere preceduta da inchiesta formale, con previa con testazione degli addebiti e facoltà di presentazione delle discolpe. Per
ogni riferimento in materia, v. Corte cost. 18 luglio 1997, n. 240, id., 1998, I, 3686, con nota di richiami.
Tributi in genere — Commissioni tributarie — Decisioni — Ter mine per impugnare — Decorrenza per l'ufficio — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; d.p.r. 26 otto
bre 1972 n. 636, revisione della disciplina del contenzioso tri
butario, art. 22, 32, 38).
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
22, 1° comma, 32, 1° e ultimo comma, 38, 3° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, nella parte in cui disciplinano la decor
renza del termine delle impugnazioni delle decisioni delle com
missioni tributarie da parte dell'amministrazione finanziaria, in
riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
Corte costituzionale; sentenza 23 marzo 1999, n. 87 (Gazzetta
ufficiale, la serie speciale, 31 marzo 1999, n. 13); Pres. Grana
ta, Est. Marini; Min. finanze c. Pecorilla; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Cass. 27 giugno 1997 (G.U., la s.s., n. 25 del 1998).
(1) L'ordinanza di rimessione, Cass. 3 aprile 1998, n. 309, massimata
in Foro it., Rep. 1998, voce Tributi in genere, n. 1607, promuove il
giudizio di legittimità costituzionale sulla scorta di un'interpretazione
degli art. 22, 1° comma, 32, 1° e ultimo comma, 38, 3° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, secondo la quale il termine di sessanta giorni per impugnare le decisioni delle commissioni tributarie decorrerebbe per l'amministrazione non dalla data di consegna, da parte dell'incaricato
postale, dell'elenco contenente il dispositivo della decisione, bensì dalla
data, spesso successiva, in cui il funzionario dell'amministrazione fi
nanziaria appone la propria firma sul duplicato dell'elenco stesso, poi restituito alla segreteria della commissione tributaria.
La Corte costituzionale reputa non fondata la questione di legittimità costituzionale così come formulata dall'ordinanza rimettente, in ragio ne del fatto che, avendo gli art. 19 e 25 d.p.r. 3 novembre 1981 n.
739 statuito che le comunicazioni a mezzo posta debbono essere effet
tuate in plico raccomandato con avviso di ricevimento, deve ritenersi
compiuta la comunicazione a mezzo posta alla data in cui il funzionario
responsabile appone la propria firma sull'avviso di ricevimento spedito unitamente al plico raccomandato. Ciò in quanto la funzione dell'avvi
so postale di ricevimento è quella di attestare la data di ricezione del
l'atto, dalla quale, ai sensi dell'art. 32, 5° comma, d.p.r. 636/72, de
corre il termine per l'impugnazione. La datazione e sottoscrizione per
Il Foro Italiano — 2000.
ricevuta dell'elenco da parte del funzionario dell'ufficio devono poi, in conformità a quanto disposto dal citato art. 32, 1° comma, essere
eseguite «immediatamente», e cioè senza alcuna soluzione temporale rispetto alla ricezione del plico raccomandato, poiché quel che è «im mediato» non tollera per definizione intervalli temporali.
Sulla questione, la Consulta già si era pronunciata con ord. 9 dicem bre 1982, n. 214, id., 1983, I, 534, con nota di A. Proto Pisani, rin viando gli atti relativi al giudice a quo, in considerazione del mutato assetto normativo che ha investito gli art. 22, 32 e 38 d.p.r. 636/72 ad opera degli art. 14, 19 e 25 d.p.r. 739/81, e con ord. 31 dicembre
1982, n. 263, id., Rep. 1983, voce cit., n. 734, con rinvio degli atti al giudice a quo in merito al giudizio di legittimità costituzionale degli art. 22, 1° comma, e 38, 3° comma, d.p.r. 636/72, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., per i medesimi motivi.
Nel medesimo senso dell'ordinanza di rimessione, e cioè nel senso ora respinto dalla Corte costituzionale, v. Cass. 9 marzo 1979, n. 1475, id., Rep. 1979, voce cit., n. 474, per la quale il termine per proporre impugnazione decorre dalla data in cui il funzionario appone la propria firma sul duplicato dell'avviso (recte elenco) da restituire alla segreteria della commissione (in motivazione si afferma anche che tale data sareb be quella di ricezione della raccomandata spedita dalla segreteria della
commissione tributaria). Cfr., invece, Comm. trib. centrale 3 febbraio 1998, n. 387, id., Rep.
1998, voce cit., n. 1654, secondo la quale, qualora risulti effettuata la consegna del plico raccomandato contenente l'elenco dei dispositivi da parte dell'agente postale, decorrono i termini per la relativa impu gnazione dalla data di consegna, restando irrilevante, ai fini processua li, la data eventualmente successiva (o coincidente) dell'annotazione del l'atto nel registro cronologico apposta dall'ufficio sul duplo dell'elenco stesso.
V. infine, nel medesimo senso della Consulta, ovvero nel senso che ciò che è «immediato», per definizione, non tollera intervalli temporali, Corte cost. 22 giugno 1998, n. 232, id., 1998, I, 2314, in tema di misure
cautelari personali.
Arbitrato e compromesso — Lodo rituale — Compenso agli arbitri — Procedimento di liquidazione — Ambito — Estre
mi (Cod. proc. civ., art. 814).
Il presidente del tribunale, cui arbitri rituali abbiano chiesto
la liquidazione, ai sensi dell'art. 814 c.p.c., delle spese e dell'o
norario per l'opera svolta, deve limitarsi ad accertare l'avvenu
ta pronuncia del lodo, sen2a poterne verificare eventuali cause
di nullità o di inesistenza. (1)
Corte di cassazione; sezione I civile; sentenza 26 novembre
1999, n. 13174; Pres. Senofonte, Est. Luccioli, P.M. Mattone
(conci, conf.); Comune di Nardò (Aw. Caprioli) c. Papiano e altri (Avv. Fiore). Conferma Trib. Lecce 16 agosto 1996.
(1) La corte si uniforma all'orientamento espresso dalle pronunzie richiamate in motivazione e da Cass. 14 marzo 1996, n. 2124, Foro
it., Rep. 1997, voce Arbitrato, nn. 174, 175 (per esteso, con nota di
Giacobbe, in Riv. trim, appalti, 1996, 705), cui si deve l'ulteriore preci sazione dell'esorbitanza (dai poteri cognitivi del presidente del tribuna
le), dell'accertamento relativo all'esatto adempimento dei reciproci ob
blighi delle parti nel giudizio arbitrale, (accertamento) la cui cognizione rimane quindi assoggettata agli ordinari criteri di competenza.
Nella parte motiva della riportata sentenza la corte dedica poi qual che battuta al rapporto tra l'annullamento del lodo e il diritto al com
penso degli arbitri, escludendo che il primo possa eliminare il secondo, facendo tuttavia salva la possibilità di operare compensazioni con even
tuali determinati debiti risarcitori degli arbitri. E su tale specifica que stione può essere utile l'esame dei molteplici precedenti richiamati nella
nota redazionale a Cass. 17 ottobre 1996, n. 9074, Foro it., 1996,1, 3578.
* * *
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PARTE PRIMA
La sentenza è così motivata: Motivi della decisione. — (Omissis). Costituisce invero giurisprudenza consolidata di questa Suprema corte
che il presidente del tribunale adito ai sensi dell'art. 814 c.p.c. per la
liquidazione degli onorari degli arbitri deve limitarsi a valutare l'impor tanza ed il pregio dell'opera da questi effettivamente prestata al fine
di adeguarvi la misura degli onorari stessi, e deve astenersi da qualsiasi
indagine, anche in via incidentale, diretta a verificare la validità del
compromesso, della nomina degli arbitri e della loro pronuncia, ed an
che ad accertare eventuali cause di inesistenza, trattandosi di questioni estranee alla struttura ed alle finalità del procedimento sommario di
liquidazione, riservate al giudice dell'impugnazione del lodo (v., sul punto, Cass. n. 10660 del 1996, Foro it., Rep. 1996, voce Arbitrato, n. 93; n. 9074 del 1996, id., 1996, I, 3578; n. 2800 del 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 76).
Ed invero lo speciale procedimento delineato dall'art. 814 c.p.c., estre
mamente semplificato, persino quanto al contraddittorio, l'assoluta som
marietà della cognizione, la competenza funzionale del presidente del
tribunale, la forma di ordinanza del provvedimento da emettere, la sua
non impugnabilità ordinaria nonostante la natura decisoria, trovano ra
gione nella precisa e limitata finalità cui esso è rivolto.
La liquidazione del compenso ai sensi della norma in esame presup
pone soltanto che il lodo sia stato pronunciato, così che il giudicante
attinga da esso gli elementi sufficienti per la propria determinazione, salva restando la possibilità di un'azione risarcitoria nei confronti degli arbitri a seguito dell'annullamento del lodo da parte del giudice compe tente per causa imputabile a loro negligenza nell'espletamento dell'in carico.
È del tutto evidente che l'eventuale annullamento del lodo non vale
ad escluderne l'esistenza storica, e quindi non sopprime il fatto oggetti vo che un'attività è stata comunque svolta dagli arbitri, così che il con
seguente diritto al compenso può soltanto, in ipotesi, compensarsi con un loro debito risarcitorio sia nelle ipotesi normativamente fissate di
cui all'art. 813 c.p.c., sia a seguito del definitivo accertamento nell'or
dinaria sede contenziosa che detto annullamento sia imputabile agli stessi arbitri per non aver espletato l'incarico con il grado di diligenza richie
sto dalla natura del rapporto. (Omissis)
Arbitrato e compromesso — Lodo irrituale del 1992 — Impu
gnazione per nullità — Dichiarazione di incompetenza —
«Translatio iudicii» — Inapplicabilità — Estremi (Cod. proc.
civ., art. 50, 828).
La corte di appello, investita dell'azione di nullità di lodo
arbitrale del 1992 ritenuto irrituale, deve limitarsi a dichiarare
la inammissibilità dell'impugnazione, non potendo emettere
una pronuncia di incompetenza con termine per la riassunzio
ne avanti il tribunale reputato competente, stante la inapplica bilità della translatio iudicii nel caso di incompetenza per
grado. (1)
Corte di cassazione; sezione I civile; sentenza 12 giugno
1999, n. 5814; Pres. Sensale, Est. Cappuccio, P.M. Martone
(conci, parz. diff.); Soc. Coop. edil. Cinque (Avv. Manzi, Glendi, Coglitore) c. Gatti. Cassa App. Genova 26 febbraio 1996.
(1) In senso conforme alla prima parte della massima, Cass. 28 mag gio 1998, n. 5280, Foro it., 1998, I, 2088, con nota di richiami, nella cui motivazione si è precisato che la questione esaminata non attiene alla competenza, perché non si tratta di accertare la misura dei poteri decisori di un giudice rispetto ad un altro, ma di verificare l'ammissibi
II Foro Italiano — 2000.
lità dell'impugnazione proposta ai sensi dell'art. 828 c.p.c. contro lodo irrituale. In senso contrario alla seconda parte della massima, in rela
zione alla proposizione di reclamo cautelare dinanzi a giudice incompe tente, Trib. Bari, ord. 20 settembre 1999, in questo fascicolo, I, 295, con osservazioni critiche di C.M. Barone, cui si rinvia anche per i rife
rimenti alla giurisprudenza sull'argomento.
* * *
La sentenza è così motivata: Motivi della decisione. — (Omissis). Ma ad una pronuncia di inammissibilità conduce anche la seconda ipo tesi. Ammesso, infatti, che la sentenza impugnata sia incorsa nell'erro re di pronunciare nel merito pur ritenendo il lodo irrituale e quindi, siccome di efficacia negoziale, soggetto alle normali azioni dichiarative
e costitutive da proporsi dinanzi al giudice ordinariamente competente per valore e territorio, anziché con i mezzi previsti dall'art. 828 c.p.c., dinanzi alla corte d'appello, la corte genovese non avrebbe dovuto ren dere una pronuncia di incompetenza, con termine per la riassunzione
dinanzi al tribunale dichiarato competente, perché la translatio iudicii
non trova applicazione «quando la domanda sia stata proposta ad un
giudice incompetente per grado e, di conseguenza, non opera nell'ipote si di proposizione al tribunale, invece che alla corte di appello, dell'im
pugnazione per nullità del lodo arbitrale, atteso che i criteri di compe tenza di cui all'art. 828, 2° comma, c.p.c., hanno carattere funzionale,
riguardando un giudizio di secondo grado avente natura di appello, anche se 'limitato'» (Cass. 3586/93, Foro it., Rep. 1993, voce Arbitra
to, n. 133). In tal senso, trattandosi di qualificazione giuridica della
domanda, deve essere letta e, nel caso, accolta la censura di omessa
declaratoria di incompetenza, proposta in alternativa dalla ricorrente
cooperativa. Poiché la causa, in entrambi i casi, non poteva essere proposta, la
sentenza deve essere cassata senza rinvio, rimanendo assorbite le ulte riori censure (di difetto di motivazione della ritenuta irritualità del lo
do, di ultrapetizione, di difetto di integrità del contraddittorio, di erra
ta pronuncia di nullità della clausola compromissoria) dedotte con la seconda parte del primo motivo e con il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso.
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