Rivista di Giurisprudenza PenaleSource: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 11 (1963), pp. 461/462-487/488Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23153441 .
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461 GIURISPRUDENZA PENALE 462
sterna del diritto familiare, e tutt'altro che facile, e non e questo il luogo per un tentativo del genere (29). Ci basta qui mettere in rilievo come sia tutt'altro che scontata la presenza, nel nostro istituto matrimoniale, di quel « fine » su cui si vuole addirittura fondare la illiceitä, penale del rifiuto del debito coniugale. Cre diamo, per il resto, di aver piü sopra sufficientemente chiarito come, in ogni modo, quella presenza non importi necessariamente questa illiceitä.
7. — Alle considerazioni di cui sopra, due ancora se ne pos sono aggiungere. La prima riguarda sempre, direttamente, la
interpretazione accolta nella decisione in esame. La Corte, rispec chiando una tesi assai diffusa, sembra pensare, infatti, che non sia la semplice astensione, ma solo il rifiuto opposto alle richieste dell'altro coniuge, a configurare il reato in esame. Ciõ appare, a nostro modesto avviso, in contrasto con la lettera della legge, che parla di «sottrazione », non di «rifiuto » ; a voler essere
coerenti, dun que, il coniuge dovrebbe essere punito anche nel caso che il suo compagno non manifesti alcuna pretesa o desi derio del rapporto sessuale. Alio stesso modo, cioe, in cui egli sarä punito, indipendentemente dalPatteggiamento assunto dalla
moglie (o dal marito) e dai figli, quando non provveda ai bisogni materiali della famiglia, ed in ogni altro caso in cui possa parlarsi di grave sottrazione agli obblighi di assistenza (30).
Ora, se si considera che l'accoglimento di questa tesi aggra verebbe notevolmente la difficoltä, costituita dalla procedibilitä, d'ufficio del reato dell'art. 570, in quanto, venendo a raancare la denuncia, sarebbe impossibile al P. m. tutelare il rispetto, sotto questo profilo, dell'ordine familiare, sarä, facile capire le ragioni che hanno indotto ad accogliere il principio del ri fiuto. Questo principio, cio&, appare come lo strumento che i sostenitori dell'obbligo del rapporto sessuale si sono costruiti
per aggirare l'ostacolo, altrimenti insuperabile, che la estrema intimitä. di quel rapporto offre all'inizio dell'azione penale (31). La necessity di ricorrere ad esso, contro la lettera della legge, non
puö non illuminare ulteriormente la grande artificiositä della
interpretazione accolta dalla Corte, riconfermandoci ancora che nessun inadempimento del dovere coniugale sessuale 6 richiamato nella dizione dell'art. 570.
La seconda ed ultima considerazione ci 6 suggerita, infine, da una circostanza particolare, presente nel caso in esame. Ci troviamo davanti, infatti, ad un matrimonio concordatario rato e non consumato, cioe ancora suscettibile di scioglimento secondo le leggi della Chiesa(32). II marito, accettate di mala
voglia le nozze «comlinate » dal padre, e non provando alcuna attrazione per la moglie (si tratterebbe — egli sostiene — di
impossibility psichica al congiungimento, non documentabile dal
punto di vista medico-legale), ha sempre respinto ogni richiesta di lei; pensando, evidentemente, che in tal modo il matrimonio non si sarebbe perfezionato, o che comunque sarebbe stato possi bile addivenire ad uno scioglimento. Posta la cosa in questi termini, e sempre che il carattere dell'imputato — riprovevole invece sotto diversi profili — lo permettesse, potrebbe parlarsi addirittura di «onestä,», nell'evitare che la situazione in cui egli era venuto a porsi e per la sua superficiality, e per pressioni esterne divenisse irreparabile (33). La minaccia della sanzione
penale, invece, avrebbe dovuto, indurlo a definire tale situazione, suggellando un matrimonio sbagliato, non voluto. Siccome ciõ
(29) Sull'argomento tra gli altri, Grassetti, I principi costitu zionali relativi al diritto familiare, in Commentario sistematico alia Costituzione italiana, di Calamandrei e Levi, I, 290 e segg. ; Bar bero, / diritti della famiglia nel matrimonio, in Ius, 1956, 54 ; A. C. Moro, La famiglia nella Costituzione italiana, in Civitas, febbraio marzo, 1954.
(30) Cass. 7 febbraio 1959, Manni, Foroit., Rep. 1959, voce Assi stenza familiare, n. 7 : « Gli Obblighi di assistenza, in relazione aU'in teresse penalmente tutelato dall'art. 570 cod. pen. . . . non sono di natura ed essenza tali da esigere, od anche da consentire, una subor dinazione alia richiesta dell'assistibile ».
(31) Non pensiamo certo — come sospetta il Rende, op. loc. cit. — che, essendo il reato punibile d'ufficio, «la polizia dovrebbe istituire una specie di servizio di vigilanza notturna per scoprire le mogli od i mariti riluttanti all'amplesso ».
(32) Can. 1119. (33) Non si pensa, con questo, che chiunque si penta in tempo
del proprio matrimonio, per un qualsiasi capriccio, abbia assicurata la dispensa pontificia. Al contrario, sappiamo bene che questa viene concessa caso per caso, dopo l'accertamento e della inconsumazione e di una giusta causa di questa. Ma poichd vengono generalmente ritenute giuste cause tutte quelle circostanze «che consigliano per il bene delle anime di dichiarare sciolto il vincolo » (cosl Bertola, II matrimonio religioso, 1953, pag. 212); e poichd tra queste vengono inclusi il sospetto della invalidity del matrimonio, la prova semi piena del vizio del consenso, l'invincibile awersione tra i coniugi, non puõ non ritenersi che nel caso in esame ricorressero tutti gli elementi richiesti ad ottenerla.
non e accaduto, ed il coniuge pentito ha preferito lasciare se stesso e la moglie, una volta sciolto il vincolo, liberi di ricostruirsi la propria vita e la propria farriglia, & stato commesso un reato (34).
Non ci sfugge, s'intende, ehe il matrimonio rato e non con sumato 6 perfettamente valido, seppure suscettilile di dispensa ecclesiastica, e che quindi, anteriormente ad essa ed al provve dimento con cui viene dichiarata esecutiva, sussistono tutti i diritti ed i do veri reciproci tra i coniugi. N6 ci sfugge che, trat tandosi da un lato di una norma dell'ordinamento canonico, dal l'altro di una norma dell'ordinamento civile, non 6 richiestp alcun coordinamento. Ma deve allora dedursene che il P. m. dovrä, accertarsi, per ogni provvedimento di dispensa che viene
presentato al riconoscimento, dell'esistenza di una giusta causa di astensione ? O si dovrä, invece, ritenere sufficiente a pro vare tale giusta causa la stessa concessione della dispensa ?
Ovvero, ancora, si dovrä considerare estinto il reato con la ordi nanza di esecuzione del provvedimento pontificio (35) ?
Come si vede sono tutte domande alle quali dovrebbe essere data una risposta adeguata. II loro stesso prospettarsi non puõ non ingenerare altri dubbi sulla esattezza dell'asserto che le oresuDDone.
Dott. Diana Vincenzi
(34) Sugli effetti dell'inizio del procedimento per dispensa, si legga Jemolo, II matrimonio, cit., 458 : « Se il nostro diritto ha rico noscinto, rispetto al matrimonio contratto in forma religiosa, la pos sibility di dispensa per mancata consumazione, si giova di un suo diritto il coniuge che inizia quel procedimento, e non gli si puõ fare colpa di porre in essere la premessa necessaria perchd la sua domanda abbia a venire accolta». Nello stesso senso Ferraboschi, Separazione personale tra coniugi in pendenza di procedimento super rato, in Foro it., 1951, IV, 238, il quale prosegue : « Ciõ non significa che sia immune da colpa o da sanzione il coniuge che dopo il matrimonio muti idea, e non consumi per ottenere lo scioglimento del vincolo ; ma non pare che siano da applicare a lui le sanzioni dettate sul presupposto del permanere del vincolo >».
(35) Ciõ, eventualmente, in analogia con la estinzione dei reati di adulterio e concubinato per morte del coniuge offeso o annullamento del matrimonio (art. 563 cod. penale).
Rivista di Giurisprudenza Penale
Circostanze di reato — Attenuanti coinuni — Risar
cimento del danno — Transazione — Inapplica hilitä — Fattispecie (Cod. pen., art. 62, n. 6).
Non si applioa l'attenuante del risarcimento del danno
aliorchii questo sia stato mediante transazione risarcito solo
in parte (nella specie, la somma di lire 300.000 corrisposta
per transazione ai padre, non costituisce totale risarci
mento del danno sofferto per la perdita del figlio, vittima di
incidente stradale). (1)
Corte Suprema di Cassazionc ; Sezione IV penale ; sen
tenza 4 marzo 1963 ; Pres. Bernabei P., Est. AÜotta, P. M.
Velotti (concl. conf.) ; ric. G-irelli.
(Gonferma App. Brescia 18 settembre 1962)
(1) In senso conforme : Cass. 17 maggio 1961, Solci, Foro
it., Bep. 1962, voce Circostanze di reato, n. 147 ; 22 gennaio 1960, Sesso, id., 1961, II, 53, con nota dl Del Re.
* * *
La Corte ha cosi irotivato : < (Omissis). Del pari infondato & il secondo motivo, con il quale il ricorrente denunzia la viola zione degli art. 62 cod. pen. e 524 cod. proc. pen., lamentando la mancata concessione dell'attenuante del completo risarcimento del danno. Infatti, come ha esattamente ritenuto il Giudice di
appello, uniformandosi alla costante giurisprudenza di questa Corte, 1'avvenuta transazione del danno da parte della persona danneggiata dal reato, non esime il giudice di merito dall'obbligo dell'accertamento della sussistenza dell'estremo dell'integrale risarcimento del danno, ehe costituisce uno dei requisiti essen ziali per la sussistenza dell'attenuante, potendo verificarsi il caso ehe il danneggiato, per particolari ragioni, si sia dovuto
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PARTE SECONDA 464
accontentare in linea transattiva di un risarcimento soltanto
parziale, il che non soddisfa quella esigenza di giustizia di ca rattere oggettivo, che costituisce la ratio per la quale l'attenuante & prevista e che consiste nella completa eliminazione, sia pure sotto forma di equivalente economico, delle conseguenze dannose
prodotte dal reato. Orbene nella specie la Corte di appello ha
ritenuto, con adeguata motivazione esente da vizi logici, che la somma di lire 300.000 corrisposta al padre della vittima a titolo di transazione nel risarcimento del danno, non costituisse totale risarcimento del danno sofferto dallo stesso per la perdita del
figlio, vittima di un tragico incidente, nö tale giudizio di merito e sindacabile in questa sede ».
Reati e infrazioni diseiplinari in materia di naviga zione — Amnistia impropria — Declaratoria del
comandante di porto Impugnabilitä (Cod. proc.
pen., art. 594 ; cod. nav., art. 51, 1162, 1238, 1242).
Avverso la declaratoria di amnistia impropria, che il
capitano di porto capo del circondario marittimo ha la
potestä, di emettere in ordine ai reati attribuiti alia sua
competenza, e ammissibile il ricorso del Procuratore della
Repubblica alla Cassazione. (1)
Corte Suprema di Cassazione; Sezioni unite penali; sentenza 23 febbraio 1963 ; Pres. Tavolaro P. P., Est.
Frisoli, P. M. Pioletti (concl. conf.) ; ric. P. m. c. Campli.
(Cassa senza rinvio Capitano di porto di Ortona 13 ottobre
1962)
(1) Non risultano precedenti editi in termini. Con sentenza 31 marzo 1962, Sulas, retro, 328, con nota di ri
chiami, la Corte di cassazione a Sezioni unite ha ritenuto che chi estrae abusivamente sabbia da una spiaggia demaniale, commette furto, oltre che contravvenzione prevista dall'art. 1162 cod.
nav., per cui competente a conoscere del duplice illecito & il
giudice penale ordinario e non il comandante di porto. In senso difforme : Pret. Nardö 25 maggio 1963, retro, 329.
♦ * *
La Corte ha cosi motivato :« Osservano preliminarmente le Sezioni unite che l'odierno gravame deve, in rito, considerarsi ammissibile. Dal combinato disposto degli art. 1238, 1242 cod. nav., nonche degli art. 591, 594 cod. proc. pen., si desume che il comandante di porto capo di circondario ha potestä. di appli care — sia in fase di giudizio sia in sede esecutiva — i provve dimenti di clemenza sovrana, che riguardino i reati attribuiti alia sua competenza. Parallelamente, si evince che le pronunce emesse in proposito sono suscettibili dei gravami, previsti dal codice di procedura penale salvo eventuali eccezioni introdotte dalla legge speciale.
« Allastregua di codesta impostazione, deve ritenersi, quindi, che la declaratoria di amnistia impropria, emessa dal capitano di porto capo del circondario marittimo, ai sensi dell'art. 594 cod. proc. pen., & passibile del ricorso per cassazione, previsto dall'ultimo comma della norma eitata, da parte del P. m. competente.
« Quanto al merito della presente impugnazione, il Supremo collegio e di avviso che esso abbia piena fondatezza. Risulta dagli atti, valutati dal capitano di porto e posti a base della condanna
monitoria, che la estrazione abusiva di ghiaia in zona demaniale da parte del Campli aveva avuto inizio in epoca sicuramente po steriore alFll novembre 1958, protraendosi in seguito fino alia contestazione dell'illecito, avvenuta in data 8 gennaio 1959. Essendo stato pertanto il reato de quo commesso nel periodo anzi detto, & evidente che non poteva nella specie applicarsi la causa estintiva delFamnistia ex decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460, dato che — per esplicita statuizione — quel beneficio risultava operante solo per i reati commessi fino a tutto il 23 ottobre 1958 (art. 15).
« Per le considerazioni che precedono la ordinanza impu gnata deve essere annullata senza rinvio ».
Libertä personale dell'imputato — Condanna noil
irrcvocabile per imputazioni plurime compor tanti aleune 1'obblijjatorietä dcl mandato di eat
tura Concessione della libertä provvisoria —
Condizioni (Cod. proc. pen., art. 277).
Dopo una condanna non irrevocabile per imputazioni
plurime, aleune delle quali comportino Fobbligatorietä del mandato di oattura, puõ essere ooncessa la libertä prov visoria qualora la detenzione preventiva giä sofferta sia
almeno uguale alla pena, non suscettibile di reformatio in peius, inflitta per i reati ehe non consentono il detto
beneficio. (1)
Corte Supreina *11 Cassazione; Sezione III penale ; sentenza 22 gennaio 1963 ; Pres. Polimeno P., Rel. Gior
gioni, P. M. Moscarini (concl. conf.) ; ric. P. m. c. jSciacca.
(Gassa App. Napoli 4 luglio 1962)
(1) Non risultano precedents editi in termini. Sulla fungibilitä dei titoli di detenzione preventiva, con
riferimento ai disposto dell'art. 275 cod. proc. pen., in easo di
imputazioni plurime, cons. Cass. 16 maggio 1959, Carratu, Foro
it., Rep. 1960, voce Libertä personale, nn. 53, 54 ; 20 maggio 1957, Pinto, id., Rep. 1957, voce eit., n. 132 ; 5 marzo 1956, Picarelli, id., Rep. 1956, voce eit., nn. 72-76.
Con sentenza 2 aprile 1962, D'Alessio, Giuat. pen., 1963, III, 149, 188, la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di illegiltimita costituzionale delle misure restrittive della libertä personale, in genere, nel corso del pro cedimento penale e, in particolare, dell'obbligatorietä del mandato di cattura e della conseguente carcerazione preventiva, con rife rimento all'art. 27 della Costituzione.
In dottrina, cons., in generale, Del Pozzo, La libertä perso nale nel processo penale italiano, 1962, pag. 102 segg. ; LiotroRi, Custodia preventiva e libertä provvisoria, in Giust. pen., 1960, III, 624 ; Granata, La tutela della libertä personale nel dir. proc. pen., 1957 ; Pttnzo, La custodia preventiva per i reati concorsuali, in Riv. dir. proc. pen., 1957, 309 ; Sabatini, Tratt. dei procedi menti incidentali nel processo penale, 1953, pag. 496 segg. ; I)E
Luca, Lineamenti della tutela cautelare penale : la carcerazione
preventiva, 1953. ♦ * *
Il Procuratore generale ha rilevato : « Letti gli atti, rileva ehe con sentenza 26 giugno 1961 del Tribunale di Napoli, con fermata con sentenza 4 giugno 1962 della Corte di appello della stessa sede, Sciacca Gennaro e stato condannato a un anno e tre mesi di reclusione per il delitto di bancarotta fraudolenta continuata (art. 81, 2° e 3° comma, cod. pen., 216, n. 1, r. decreto 16 marzo 1942 n. 267, sulla disciplina del fallimento), a due mesi e dieci giorni per bancarotta semplice (art. 217, 2° comma, legge predetta), e a sei mesi di reclusione per omesso
deposito dei bilanci e delle seritture contabili dopo la dichiara zione di fallimento (art. 220 in relazione all'art. 16, n. 3, della stessa legge) in totale, un anno, undici mesi e dieci giorni di re clusione.
«In pendenza del ricorso per cassazione proposto dall'im
putato, la Corte di appello di Napoli, con ordinanza 4 luglio 1962, ha concesso la libertä, provvisoria alio Sciacca, osservando ehe quest'ultimo, detenuto dal 7 febbraio 1961, aveva giä scon tato, alla predetta data del 4 luglio la pena di un anno e tre mesi di reclusione inflitta per la sola imputazione per la quale il mandato di cattura e obbligatorio, vale a dire per la banca rotta fraudolenta, e ehe la parte di pena ancora da scontare si riferiva agli altri reati meno gravi per i quali il mandato di cat tura non e obbligatorio.
« Avverso taie ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello anzidetta, deducendo la violazione dell'art. 277 cod. proc. pen. in relazione all'art. 253 stesso codice e all'art. 239 della legge sul fallimento. Osserva in particolare il P. m. ricorrente ehe la Corte « non era abilitata a imputare il periodo di carcerazione preventiva giä sofferta, alla sola pena inflitta per la bancarotta fraudolenta, essendo peraltro evidente ehe la custodia preventiva, per effetto del 1'ordine di cattura in atti, decorreva, alla data di notificazione dell'ordine stesso, non solo per il reato di bancarotta fraudolenta, ma anche per quello di bancarotta semplice regolarmente con testato » ; e ehe il divieto di concessione della libertä. provvisoria per i reati per i quali £ obbligatorio 1'ordine di cattura, come
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465 GIURISPRUDENZA PENALE 466
principio di carattere assoluto, non poteva essere derogato attra verso ^un giudizio di merito, che la lcgge consente in casi del tutto eccezionali (art. 277 bis cod. proc. pen.) e molto diversi da quello di specie.
« II ricorso 6 fondato, sussistendo la denunciata violazione di legge, per ragioni tuttavia diverse da quelle esposte dal P. m. ricorrente. Va anzitutto disatteso il secondo dei rilievi formulati dal P. m. essendo palese che la Oorte non ha compiuto, come 6 consentito in diversa situazione dall'art. 277 bis cod. proc. pen., una valutazione preventiva di merito circa la pena che avrebbe
potuto essere inflitta, ma ha soltanto instaurato un raffronto tra la custodia preventiva e la pena giä, inflitta con sentenza non definitiva, frazionando la prima in corrispondenza delle
singole pene inflitte per i reati dei quali lo Sciacca 6 imputato. « Neanche la tesi sostenuta con il primo dei rilievi trascritti
piil sppra appare fondata. Non ha, anzitutto, importanza deci siva rilevare, come fa il P. m. ricorrente, che la custodia preven tiva instaurata in forza di mandato di cattura per piü reati
riguarda tutte le imputazioni contestate, giacche quel che oc corre stabilise 6 proprio se, ferma la riferibilita del titolo a tutte le imputazioni, queste ultime possono essere prese in conside razione separatamente l'una dall'altra per determinati effetti
giuridici. A1 riguardo deve tenersi presente il principio che i titoli di detenzione sono autonomi e indipendenti l'uno daH'altrc si che ognuno di essi da origine ad un altrettanto autonomo ed
indipendente regime di custodia preventiva, il quale, pur con
vergendo necessai iamente con gli altii in una unica detenzione, va sempre considerato distintamente, in rapporto al suo autonomo
titolo, ad ogni effetto che abbia possibile rilevanza giuridica. Tale principio, che codesta Corte ha avuto occasione di affermare in fattispecie di plurimi titoli di detenzione relativi alia mede
sima imputazione (19 febbraio 1958, Caneba, Foro it., Rep. 1958, voce Liberia personale, n. 59) e di piü titoli successivi per imputazioni diverse (28 marzo 1958. Botega, ibid., n. 53), deve ritenersi pienamente valido anche in ipotesi di titolo formalmente unico per piü imputazioni concorrenti, giacch& 1'unicitä, del titolo altro non 6 che un riflesso della unificazione dei procedi menti connessi relativi alle diverse imputazioni.
« Non pare, dunque, che in caso di imputazioni plurime con
unico mandato di cattura possa ritenersi insussistente in modo
assoluto la possibility di emettere provvedimenti sulla liberty
personale relativamente a singole imputazioni separatamente considerate ; deve, anzi, ritenersi vero il contrario, in forza del
principio ora accennato. Invero, tale possibility e stata ricono sciuta in tema di scarcerazione per decorrenza del teimine mas
simo della custodia preventiva (art. 272 cod. proc. pen.), per la ragione che, se mancasse il formale provvedimento di scarce
razione per le imputazioni relative alle quali il detto termine massimo risulti gi& compiuto, l'imputato che fosse condannato
per tali imputazioni, e prosciolto invece per le altre per le quali i] termine della carcerazione preventiva non era decorso, non
potrebbe essere posto in liberty dopo la sentenza di condanna, anche non definitiva, a causa dell'espresso divieto posto dal l'art. 275 cod. proc. pen. (cfr. Cass. 28 marzo 1958, Botega, eitata).
« In tema di liberty provvisoria poich& questa puõ essere concessa in ogni grado e stato deH'istruzione e del giudizio, e
trattasi di provvedimento discrezionale legato a concrete valu tazioni di caratteie contingente, non vi sarebbe ragione alcuna di accordare il beneficio per una imputazicne quando l'imputato dovesse rimanere ancora detenuto per le altre. Tale osservazione vale tuttavia finche il procedimento trovasi in istruttoria ed altresi durante il primo grado, perchä in tali fasi, dovendosi lo stato di custodia preventiva riferire astrattamente ed intera
mente a tutte e a ciascuna delle imputazioni contestate, la con cessione della liberty provvisoria per alcuni dei reati soltanto, lascerebbe sussistere pienamente la custodia preventiva per gli altri reati e si risolverebbe, quindi, in un provvedimento inutiliter datum. Viceversa, dopo la pronuncia della sentenza di condanna non definitiva e la determinazione delle pene inflitte per ciascun
reato, ai fini della concessione della liberty provvisoria limita tamente ad alcuni reati, puõ utilmente porsi la questione se siano possibili la specificazione della custodia preventiva in rap porto alle singole imputazioni, e la riferibilita della detenzione
giy sofferta a quelle imputazioni che non consentono la liberty
provvisoria, con la conseguente possibility del beneficio per le
altre. « Ora contro la soluzione affermativa non sembra che possa
ignorarsi il principio della unicitä, per ogni effetto giuridico delle pene concorrenti della stessa specie (art. 76, 1° comma, cod. pen.). Anche nell'&mbito proprio della esecuzicne, infatti tale regola vale solo in quanto la pena complessiva debba essere considerata indipendentemente dai reati cui le singole pene concorrenti si riferiscono, diversamente le pene vanno conside
rate singolarmente e sono suscettibili di provvedimenti che con
cernano alcune soltanto di esse (l'esempio piti rilevante di tale distinzione si ha per l'indulto, che si applica sulla pena uiiica
cumulata, a norma dell'art. 174, 2° comma, cod. pen. soltanto
quando risulti applicabile a tutte le singole pene concorrenti ; per il che e necessario considerare prima queste ultime separata mente l'una dall'altra).
« Nfclla questione in esame si tratta appunto di stabilire la
possibility della pronunzia di un provvedimento che tenga conto
proprio delle diversity delle imputazioni cui la custodia preven tiva si rifeiisce : deve, dunque, ritenersi consentito che, ai fini di tale provvedimento, la custodia preventiva sia riferita a cia scuna imputazione nella misura corrispondente alia pena (ncn ancora definitiva) per essa inflitta.
« Sorge tuttavia la difficoltä deH'attribuzione di essa all'una
piuttosto che all'altra imputazione : occorre in particolare stabilire se sia possibile riferiie la detenzione preventiva gia sofferta ai reati per i quali la liberty provviscria ncn e consentita, in modo da rendeie possibile la concreta concessione del beneficio per le altre imputazioni. Soccorre a tal fine l'applicazione analogica della regola della priority della esecuzione della pena piü grave, che posta da alcune disposizioni della legge penale in materia di esecuzione di pene concorrenti, detentive o pecuniarie, di
specie diversa (art. 11, capov., e 75, capov., cod. pen.), ed estesa dalla giurisprudenza al concorso di pena original iamente deten tiva con pena detentiva sostituita a pena pecuniaria (Cass. 7
giugno 1960, Valentinsig, Foro it., Rep. 1961, voce Pena, n.
39), assurge a valoie di principio generale avuto riguardo alia finalita sua propiia, che e qutlla di rendeie possibile l'applica zione di provvedimenti favorevoli che intervengano durante la esecuzione di pene concorrenti, e che piü frequentemente con cernono le pene meno gravi.
« Vero 6 che nella situazione cui fa riferimento la questione in esame non si ha concorso di pene detentive di specie diversa
(reclusione-arresto), essendo il mandato di cattura consentito soltanto per i delitti (art. 253 e 254 cod. proc. pen.) ; ma il concetto di gravity, che per le pene di specie diversa si riconnette alia diversa gravity ontologica dei reati cui esse corrispondono (delitti-contravvenzioni), puõ ben essere riferito, per il parti colare effetto giuiidico considerato, al rapporto intercorrente fra il titolo del reato e le disposizioni che regolano l'esercizio del
potere di disposizione personale, in guisa da considerare ccme piü grave il reato che comporta l'emissione del mandato di cattura
obbligatorio rispetto a quello per il quale, invece, il detto mandato 6 facoltativo.
« Deve aggiungersi, tuttavia, che la possibility di riferire la custodia preventiva gta sofferta all'imputazione che non con sente la libertä provvisoria e condizionata alia certezza della
misura in cui tale rifeiimento puõ essere fatto : certezza che non
sussisterebbe nel caso in cui, per effetto di impugnazione da parte del P. m. vi fosse la possibility di una reformatio in peius riguardo alia pena inflitta per l'anzidetta imputazicne.
« Deve, in conclusione, ritenersi che, dopo la pronuncia della sentenza di condanna non ancora irrevocabile per piü reati,
agli effetti della concessione della liberty provvisoria, la carce razione preventiva giy sofferta pot.ra essere riferita ai reati per i quali 6 obbligatorio il mandato di cattura, nella misura corri
spondente alia pena inflitta per tali reati e sempre che non sussista per tale pena la possibility di reformatio in peius ; e che la liberty provvisoria põssa, quindi, essere concessa, ricorren done in concreto le condizioni, per i reati che ammettono tale
beneficio, quando la detenzione giy sofferta sia almeno uguale alia pena inflitta per gli altri reati.
« Or dunque, sebbene debba disattendersi, nei limiti or ora
precisati, la tesi secondo la quale non sarebbe in nessun caso
possibile concedere la liberty provvisoria per i reati che ammet tono tale beneficio, quando il mandato di cattura sia stato emesso anche per reati per i quali esso non e obbligatorio, deve tuttavia riconoscersi che nella specie la violazione dell'art. 277, capov., cod. proc. pen., dedotta dal P. m. ricorrente, sussiste per altro
motivo, e precisamente per essere stato il beneficio concesso in
un momento in cui lo Sciacca doveva considerarsi detenuto in forza di mandato di cattura obbligatorio. La Corte di appello di Napoli non ha, invero, tenuto presente che anche per il reato
previsto dall'art. 220 in relazione all'art. 16, n. 3, legge fall,
(omesso deposito dei bilanci e delle scritture contabili) il man
dato di cattura o obbligatorio a norma dell'art. 239 della legge medesima. Pertanto, poichä per tale reato erano stati inflitti
sei mesi di reclusione, che sommati alia pena di un anno e tre
mesi inflitta per la bancarotta fraudolenta, portavano a un
anno e nove mssi il periodo di carcerazione preventiva riferibile
a reati per i quali la liberty provvisoria non 6 ammessa, il beneficio
nonpateva essere concesso prima del compimento di tale periodo, e cioõ prima del 7 novembre 1962.
« Xc puõ ammettersi che il provvedimento in esame possa ritenersi efficace per essere gia trascorsa questa data, in quanto
Il Foro Italiano — Volume LXXXV1 — Part» II-32.
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467 PARTE SECONDA 468
l'esame di merito ehe iie õ il presupposto deve riferirsi ad ele
menti soggettivi ed oggettivi contingent^ e mutabili ehe devono
sussistere nel momento stesso in eui il provvedimento e emesso. Nel caso in esatae il relativo accertamento poteya validamente
compiersi solo posteriormente ai 7 novembre 1962 e dovrä ora
essere effettuato di nuovo dal giudice di merito. « L'ordinanza pertanto deve essere annullata integralmente
eon rinvio alio stesso giudice il quale, fermi rimanendo il prin
cipio e la rettifica sopracennati deelderä circa l app!icabilita del beneficio richiesto in relazione ai reato di bancarotta semplice nel momento attuale. Pertanto, visti gli art. 281, 272 bis, 531 e 543 cod. proc. pen., chiede ehe la Gorte di cassazione annulli
l'ordinanza impugnata con rinvio alio stesso giudice.
« La Corte, letti gli art. 281, 272 bis, 531 e 543 eod. proc.
pen., annulla l'ordinanza impugnata con rinvio degli atti alla
Corte di appello di Napoli».
Falsitä in atti - Falsa firma di difensore ad alto
di riassunzione — Falsitä ideoloyica di pubblico ufticialc in atto pulililico Insussisteiiza (Cod.
pen., art. 479).
Il difensore ehe falsifica la firma del cliente in atto di
riassunzione di causa non commette il reato previsto dal
1'art. 479 ood. pen., essendo la qualifica di pubblico uffi
ciale attribuita ai proeuratore legale solo per 1'autentica
zione della firma della parte da rappresentare in giudizio. (1)
Corte Suprema di Cassazione; Sezione III penale; sentenza 21 gennaio 1963 ; Pres. Frisoli, Rel. Perrone Ca
pano, P. M. Paternostro (concl. conf.) ; P. m. c. Amico.
(Oonferma App. Oaltanissetta 2 maggio 1962)
(1) Nel senso che sono atti distinti la falsa fiima e la falsa
autenticazione, Cass. 3 novembre 1960, Sudano, Foro it., Bep. 1961, voce Falsitä in atti, n. 87 ; nel senso che la qualifica di
pubblico ufficiale non e riconosciuta al difensore neppure per l'autenticazione, Cass. 13 maggio 1954, Gallo, id., Hep. 1954, voce cit., n. 124 ; 7 aprile 1952, Paralisiti, id., Bep. 1952, voce
Falso pen., n. 108 ; nel senso che la firma apocrifa del cliente da parte del difensore in citazione e nel mandato ad lites costi
tuisce falso in scrittura privata, Cass. 5 giugno 1952, S., id.,
1952, II, 145. In dottrina per qualehe rifeiimente, 8pagnolo, Brevi osser
vazioni sutle nozioni di pubblica funzione, pubblico ufficiale e atto pubblico, in Arch, pen., 1959, II, 590 ; Cristiani, Falsitä in atti, voce del Novissimo digesto it., VII, pag. 3 ; Morello, Delia falsitä in atti, in Riv. not., 1959, 517 ; cons., per l'auten ticazione del proeuratore e del notaio, Andkioli, Commento,. 1954, I3, pag. 237 ; Battaglini, Sulla falsitä neil'autenticazione della sotloscrizione del mandato alle liti scritto in calce o a margine delVatto di citazione, in Giust. pen., 1954, II, 674.
* * *
II Proeuratore generale ha cosl rilevato : « Osserva che il licorso del Proeuratore generale piesso la Corte di appello di Caltanissetta appare infondato, dovendosi ritenere inveee esatta la contestazione dei due distinti reati cosi come specificati in rubrica.
« La firma di La Bocca Salvatore apposta in calce all'atto di riassunzione di causa dall'avv. Angelo Amico concreta, senza
dubbio, una fal it ä in scrittura privata, giacche, in quel momento, il difensore non aveva ancora la veste di pubbl'co ufficiale che l'art. 41 del r. decreto 26 ottobre 1923 n. 2275 attribuisce al
proeuratore legale — in via del tutto eccezionale ed in deroga alia qualifica di esercente un servizio di pubblica utilitä ricono sciuta espressamente dal codice penale (art. 359, n. 1) — solo
per quanto riguarda Pautenticazione della firma della parte da
rappresentare in giudizio. «La firma del cliente e l'autenticazione del proeuratore
legale sono quindi due ben distinti atti aventi natura diversa anehe se contenuti in un unico documento.
« La sentenza di codesto Supremo collegio eitata dal P. m. nel motivo d'impugnazione, pur riguardando un caso identico, non conforta la tesi del ricorrente giacche, in quella occasione, con erronea definizione giuridica per le osservazioni che prece
dono, era stato contestato un unico reato, e, per di piu, di falsita material© ai sensi dell'art. 476 cod. penale.
« Per questi motivi chiede ehe la Corte rigetti il ricorso.
«La Corte, lette le conclusioni del P. in. con le quali chiede rigettarsi il ricorso ; attesoche tali conclusioni debbono essere accolte per le ragioni esposte nella requisitoria scritta dallo stesso P. m., ragioni da aversi qui per interainente e letteral
mente trascritte »>.
Falsita personale — Denuneia di iigli naturali come avuti da donna non coniugata — Matrimonio della donna — Suecessivo annullamento per bigamia —
Irrilevanza (Cod. pen., art. 495 ; cod. civ., art. 86,117).
£ colpevole di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale
chi, avendo procreato figli con donna legata ad altri con matrimonio successivamente annullato per bigamia del l'altro coniuge, li denuneia agli uffici di stato civile come
avuti da donna non coniugata. (1)
Corte Suprema di Cassazione ; Sezione III penale; sen tenza 21 gennaio 1963 ; Pres. Frisoli, Est. Tripepi, P. M. Moscarini (concl. conf.); P. m. in causa D'Agostino.
(Cassa senza rinvio Trib. Roma 1° dicembre 1961)
(1) Nei senso eke e di stato libero chi contrae altro matri monio tra la sentenza straniera di annullamento del matrimonio e la pronuncia di delibazione, v.Cass. 22 maggio 1963, n. 1350, in questo volume, I, 1394, con ampia nota di richiarri ; sulla denuneia in genere, all'ufficiale di stato civile fatta, di figli adul terini come procreati con donna che non vuole essere nominata
(in effetti moglie di altri) Cass. 19 aprile 1963, n. 963, in questo volume, I, 880, con nota di richiami.
♦ ♦ *
La Corte ha cosi motivato : « In data 5 luglio 1944 Maggiore Maria contraeva matrimonio con Pagliuca Giulio, ma, dopo un certo tempo, passava a convivere con D'Agostino Angelo con il
quale anzi, in data 14 giugno 1953, contraeva matrimonio religio so, non trascritto nei registri dello stato civile. Da tale ultima unione nascevano due figli, che il D'Agostino, in data 1° dicem bre 1953 e in data 1° gennaio 1955, dichiarava all'Ufficio di stato civile di Roma come nati dalla sua unione «con donna non
coniugata». Successivamente a tali inesatte dichiarazioni e pre cisamente con sentenza 2 febbraio 1955, il Tribunale di Peseara dichiarava la nullita del matrimonio contratto il 5 luglio 1944 tra la Maggiore ed il Pagliuca, risultato questo ultimo gia legato da
precedente matrimonio. In data 28 novembre 1958, poi, ve niva trascritto nei registri dello stato civile di Roma il matri monio come sopra contratto il 14 luglio 1956 col solo rito reli
gioso tra la Maggiore e il D'Agostino, ed in data 19 novembre 1959 la Maggiore chiedeva ai Tribunale di Roma la rettifica de
gli atti di nascita dei due figli come sopra procreati col D'Ago stino. Da qui, procedimento penale a carico di quest'ultimo per il delitto di false dichiarazioni continuate in atti dello stato ci vile e sua condanna da parte del Pretore di Roma (sentenza 29 ottobre 1960) a mesi otto e giorni cinque di reclusione siccome
colpevole di tale delitto, con attenuanti generiche. « Avverso tale sentenza proponeva perö appello il D'Ago
stino ed il Tribunale di Roma (sentenza 1° dicembre 1961) lo assolveva perch& il fatto non costituisce reato, e ciõ sul rilievo che il precedente matrimonio tra la Maggiore e il Pagliuca era risultato inesistente a causa del vincolo dirimente assoluto di uno dei coniugi ; anzi, del tutto delittuoso, e pertanto insuscet tibile di creare un vincolo giuridico.
« Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale detto per vio lazione dell'art. 495, capov., n. 1, cod. pen. Ciõ perche, anzitutto, l'annullamento del matrimonio a causa di bigamia non avrebbe
sempre piena efficacia retroattiva, perdurandone, a norma del l'art. 128 cod. civ., nei confronti del coniuge di buona fede, e sino alia sentenza irrevocatile dichiarativa della nullita, gli ef
fetti, i quali poi si producono per intero, e anche in futuro, in favore dei figli nati o concepiti durante il matrimonio annullato, dal che il mendacio, sia formale, sia sostanziale, delle dichiara zioni incriminate, fatte dal D'Agostino in periodo in cui il ma
trimonio, nei confronti della Maggiore, che lo aveva contratto in buona fede, aveva gli effetti del matrimonio valido. Ancora,
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469 GIURISPRUDENZA PEN ALE 47Ü
perchž, comunque, il reato de quo, consistente nel niendacio circa lo stato civile attuale della madre dei nati oggetto della
dichiarazione, si era perfezionato allorche il matrimonio noil era stato ancora annullato e non poteva divenire inesistente per effetto di un evento successivo.
« Osservasi ehe il ricorso e fondato. A quanto si desume in fatti dalle norme del codice civile sul matrimonio, ed in parti colare dagli art. 86, 124, 128, la liberty di stato non o condizione che attiene alia esistenza del vincolo, sibbene alia legale validitä di questo, che, nel casõ del precedente matrimonio di taluno dei
contraenti, e affetto da nullitä. insanabile, la quale, per essere
riconosciuta, dev'essere perõ denunciata in giudizio da uno di coloro che abbiano un interesse legittimo ed attuale all'annulla mento. E, sin quando la nullita non sia stata riconosciuta dal
giudice, il matrimonio viziato da vincolo di precedente matri monio e esistente e produce effetti giuridici : cosi, per il coniuge di buona fede ha effetto di matrimonio valido sino alia sentenza che pronuncia la nullita, e tale effetto, poi, ha anche per il futuro sui figli nati o concepiti durante di esso, quelli mantenendo lo
stato loro attribuito prima della dichiarazione della nullita. « Stante che il matrimonio tra la Maggiore e il bigamo Pa
gliuca fu annullato dal Tribunale solo il 2 febbraio 1955, non puõ pertanto condividersi l'avviso dei Giudici dell'appello sulla giu ridica inesistenza di tal vincolo nei momenti, precedenti a tale
data, in cui il D'Agostino dichiarõ all'ufficiale dello stato civile che i figli nati da esso dichiarante e dalla Maggiore fossero frutto della sua unione con donna non coniugata, e sulla non ravvisabilitä nel suo fatto del delitto come ipotizzato nell'art. 495, 3° comma, n. 1, cod. penale.
« La impugnata sentenza va adunque annullata, ma ciõ senza rinvio, posto che dal giorno della cessazione della continua zione del reato (1° gennaio 1955) sono ormai interamente decorsi i sette anni e sei mesi, che, a mente del combinato disposto degli art. 157, n. 4, e 160, occorrono, nel concorso di atti interruttivi, per la prescrizione dei delitti punibili, come quello in esame, con la reclusione inferiore nel massimo ai cinque anni ».
Istigazione a delinquere — Insubordinazione di
obiettore di coseienza — Consenso espresso da
un sacerdote a mezzo stampa — Apologia di
reato — Istigazione alia diserzione — Motivi di
particolare valore morale — Insussistenza (Co stituzione della Repubblica, art. 1, 2, 11, 52; cod. pen., art. 62, n. 1, 266, 414).
II sacerdote, il quale, in polemica con altro sacerdote,
esprime su un quotidiano aH'indomani della condanna per insubordinazione di un obiettore di coscienza ammirazione
per chi rifiutasi di vestire la divisa militare, si rende colpe vole di apologia di delitto. (1)
Detto sacerdote si rende altresi eolpevole di istigazione ai
delitti di diserzione e di insubordinazione se proolama il do
vere per i cattolici italiani di disertare in caso di guerra
totale, di cui afferma senza distinzione l'ingiustizia. (2) Ne puõ egli fruire della diminuente dei motivi di parti
colare valore morale per avere agito in base ad una etica
religiosa da lui falsamente attribuita alia Oliiesa cattolica. (3)
Corte d'appello di Firenze ; sentenza 15 ottobre 1963 ;
Pres. N. Serra P., Est. Balsamo ; P. m. c. Balducci e
Pinzauti.
(1-3) La motivazione della sentenza 7 marzo 1963 del Tri
bunale di Firenze, ora riformata, puõ leggersi in Riv. it. dir. proc.
pen., 1963, 586. La sentenza 11 gennaio 1963 del Tribunale militare di Fi
renze, che ha dato luogo alia disputa tra i due sacerdoti, *'■ ripor tata retro, 158, con ampia nota di richiami, cui adde, anche in
aggiunta alia dottrina metagiuridica richiamata nella motiva
zione della sentenza riportata, Bloch et Pietba, L'objection de
conscience, in Esprit, 1963, 369.
Sull'apologia di reato, v., in generale, Trib. Brescia 6 aprile
1962, Foro it., Bep. 1962, voce Istigazione a delinquere, nn. 9-11
(Riv. pen., 1962, II, 1192, con nota di Caktet.letti) ; Cass. 18
novembre 1958, 0:1 rni, Foro it., 1959, II, 162, con nota di ri
chiami, cui adde, in nota alia stessa sentenza, G. Bognetti, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1960, 183. Sull'istigazione a delinquere,
v., da ultimo, App. Firenze 8 settembre 1961, Foro it., 1962,
II, 205, con nota di richiami.
La Corte ha cosi motivate) : « L'appello del Pubblico mini stero merita accoglimento nei confronti di entrambi i prevenuti, salvo quanto sara in appresso precisato.
« II fatto contestato all'imputato Balducci comprende l'in tero contenuto dell'articolQ ehe fu pubblicato sul <« Giornale del mattino » del 13 gennaio 1963, sotto il titolo « La Chiesa e la Patria », e non giä, soltanto quelle frasi staccate che, come le piii significative, sono state integralmente riportate nella rubrica.
« L'articolo (il cui autore ed estensore fu il prevenuto, il quale vi appose in calce le iniziali E. B. del suo nome e cognome) si presenta come la risposta data per iscritto da padre Balducci, in sede d'intervista, ai redattori del quotidiano, dai quali era stato interpellato non sulle proprie personali opinioni, bensi «sul pensiero della Chiesa riguardo al dovere del cittadino di obbedire alia Patria ed in particolare riguardo alia liceita del l'obiezione di coscienza».
« Essendo tale l'impostazione dell'inter vista, e ovvio che il pubblico dei lettori poteva essere indotto a ritenere che il conte nuto delParticolo compilato da padre Balducci corrispondesse ef fettivamente alia dottrina della Chiesa, e, in tal caso, dato l'ele vato prestigio e l'ascendente spirituale di cui essa gode presso gran parte del popolo italiano composto in stragrande maggio ranza di cattolici, i lettori potevano anche convincersi della necessity di conformare la propria condotta e i propri giudizi agli insegnamenti impartiti ed agli esempi additati da padre Balducci, nella veste da lui assunta di interprete e commentatore del pensiero della Chiesa sui rapporti fra i cittadini ela Patria. La possibilitä che lo scritto esercitasse sul pubblico una simile efficacia era accresciuta dalla circostanza che la figura del Bal ducci professore delle Scuole Pie Fiorentine, pubblicist.a ed autore di conferenze radio trasmesse sulla morale cattolica, godeva essa stessa di larga popolaritä. Si tenga presente poi, il carattere politico del giornale, che appartiene, come notorio, alia stampa democristiana e che indubbiamente annovera tra i suoi lettori un buon numero di cattolici fra i piu convinti e ferventi; si con sider i la notoria larga diffusione che il quotidiano ha nell'Italia centrale e particolarmente in Toscana ; non si dimentichi, in fine, la clamorosa novit& del caso della obiezione di coscienza opposta per la prima volta in Italia da un cattolico, il giovane Gozzini, condannato due giorni prima dal Tribunale di Firenze per disobbedienza militare ai sensi dell'art. 173 cod. pen. mil. pace non avendo obbedito all'ordine di indossare la divisa mi litare, ordine da lui considerato — secondo la sua coscienza —
contrario alia morale cattolica, e si poträ, cosi avere il quadro completo della situazione, e comprendere l'importanza che le dichiarazioni di padre Balducci, potevano avere rispetto ai lettori del « Giornale del mattino », non solo per informarli dei loro do veri religiosi nei confronti della pretesa dello Stato di obbligarli, all'occorrenza, al servizio militare, ma anche all'effetto di in fluenzae la loro condotta qualora si fosse verificata l'eventualitä di una chiamata alle armi,nonch&ai fini di influenzare la pubblica opinione nei suo giudizio sul valore da attribuire all'episodio del Gozzini.
« Passando, ora, all'esame del contenuto dell'articolo e pre scindendo, per adesso, dall'accertare se il pensiero della Chiesa vi sia stato fedelmente riprodotto, la Corte rileva che vi si tro vano espressi degli insegnamenti che importerebbero una con dotta contraria a norme inderogabili e penalmente sanzionate del nostro Stato, e che vi si rinviene altresi la esaltazione di fatti che violano le stesse leggi. Vero & che l'autore dello scritto tratta la questione dei rapporti tra il cittadino e la Patria quale che essa sia, con criteri applicabili per lo piu nei confronti di qualsiasi Stato ed in qualsiasi tempo, ma, poiche nessuna eccezione o ri ser va e da lui formulata riguardo alio Stato italiano quale esso & al presente e poiche la questione interessava alia stampa locale
proprio per il recentissimo precedente costituito dal reato com messo dal Gozzini (primo caso conosciuto di un obiettore di coscienza cattolico in Italia), e chiaro che quanto & stato scritto dal Balducci vale in prima linea per il nostro Paese, che, del resto, lo stesso articolista chiama implicitamente in causa quando ac cenna al « privilegio » personale da lui goduto, sebbene cittadino
italiano, di essere esentato quale sacerdote cattolico dal servizio militare in virtü del Concordato, a differenza dalla generality dei cittadini italiani che non hanno mai potuto usufruire di ana
logo diritto anche se obiettori di coscienza. «II significato e la gravity delle proposizioni enunciate nel
l'articclo devono essere valutati tenendosi conto di tutto il loro insieme. Ivi si attribuiscono esplicitamente o implicitamente alia Chiesa cattolica princij i, insegnamenti e giudizi, che qui di
seguito vengono riferiti secondo il senso che il significato letterale e quello logico dell'intero scritto inducono a riconoscerli.
« Si enuncia il principio che l'autorit& pubblica trova un limite invalicabile nelle «leggi morali», non altrimenti meglio
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471 PARTE SECONDA 472
specificate salvo che con gli esernpi delle leggi dello Stato fascista contro gli ebrei e le dichiarazioni di guerra contro l'Albania e
FEtiopia ; si aggiunge che, sorpassati quei limiti, 1'autoritä, pub blica « perde ogni valore per la coscienza dei cittadini», ma il giu dizio sull'esistenza di questi eccessi addebitabili ai pubblici poteri sarebbe rimesso esclusivamente alia valutazione soggettiva di
ciascun cittadino, il quale, se £ in grado di avvertire nella propria coscienza «1'iniquitä della legge», avrebbe « non il diritto» ma
addirittura «il do vere di disobbedire ». « Si subordina alia « giustizia naturale » l'obbligo di obbedire
alla Patria, quando essa chiama alle armi e cosi si oppone il prin cipio della «giustizia naturale » a quello della obbligatorietA della legge statale, collocandosi ad un livello inferiore e in condi -
zioni di dipendenza il diritto dello Stato. « S'impone al cittadino il dovere della disobbedienza se la
guerra fosse un'evidente aggressione ingiusta, ma si affida all'ap prezzamento dell'ingiustizia e della sua evidenza unicamente alia coscienza dell'individuo, affermandosi pure che ciõ e giusti ficabile anche alia luce dei provvidenziali princiyl della moderna democrazia che «lega in modo stretto l'opinione del privato cit tadino e le decisioni del potere pubblico » ed esaltandosi anche la « diserzione di un solo cittadino »che, in tali casi, « puo assumere, per chiarezza di testimonianza, un valore decisivo ».
« S'interdice assolutamente ai cattolici di militare in caso di guerra totale, perche la guerra di questo tipo sarebbe sempre «inevitabilmente ingiusta », e quindi essi avrebbero « non il diritto ma il dovere di disertare ».
« Si «ccita una preconcetta diffidenza sulla giustizia di even tuali future guerre, affermandosi «molto improbabile » il caso « di una guerra giusta, e cio6 di una guerra di legittima difesa ».
« Si prospetta come agnostico l'atteggiamento della Chiesa
riguardo al cittadino che volontariamente e al di fuori dell'ipotesi di guerra ingiusta adempia all'obbligo militare impostogli — e
quindi sia nell'ipotesi di guerra giusta che in quella di servizio
prestato in tempo di pace — mentre non -solo la stessa Chiesa non avrebbe nulla da rimproverare agli obiettori di coscienza che si oppongono in senso assoluto a qualsiasi servizio militare, ma, addirittura, costoro diventerebbero degni di « ammirazicne » da parte cattolica allorch&, in Paesi come l'ltalia in cui l'obie zione di coscienza non b ammessa, andando essi volontariamente incontro a condanna penale per il rifiuto opposto anche in tempo di pace alia prestazione del servizio militare, «testimonierebbero »
cosi, con danno personale, « un'assoluta volontä di pace ». « Si contrappone al « cristianesimo che oggi insegna di met
tere la coscienza al di sopra di ogni valore storico »il« paganesimo » in cui incorrerebbero coloro che in nome della Patria spregiassero gli scrupoli della coscienza e oltrepassassero i limiti tra il giusto e l'ingiusto.
«Si auspicano la sostituzione del servizio militare obbliga torio con quello volontario e l'emanazione d'una speciale legge per gli obiettori di coscienza sulPesempio di altri Stati che ven
gono qual:ficati «piu civili» (con correlativa implicita classifi cazione del nostro Stato ad un inferiore livello di civilta).
«Infine, la parte conclusiva dell'articolo, nella quale si
elogia il mirabile sacrificio della propria liberta personale cui va incontro l'obiettore che cristianamente antepone la sua coscienza ad ogni altro valore — al contrario di quanto fanno i moderni pagani esaltatori della Patria oltre i limiti del giusto — appare ricollegarsi logicamente con le premesse dello stesso articolo in cui si ricorda, in senso ammirativo e quasi come un monito, che «i primi cristiani sapevano affrontare il martirio quando la loro
patria ordinava atti contrari alia loro ccscierza », e nel contempo si deplora che «la contaminazione del nazionalismo abbia toccato
larghi strati dell'opinione cattolica e purtroppo arche ecclesia stica ».
« Par avendo lo scritto di padre Balducci una apparente fun zione informativa e non giä, anche istigatrice dell'opinione pub blica, 6 manifesto perõ che la stessa elevatissima autorita spiri tuale della fonte cui vengono attribuiti insegnamenti, moniti e
giudizi potrebbe impressionare e turbare la coscienza del pubblico e specie di quei lettori che fossero sinceri e devoti cattolici di modo che essi, pur non essendo incitati direttamente dallo scrittore, potrebbero ritenersi moralmente e religiosamente spinti e vinco lati a seguire la creduta dottrina morale della Chiesa. In parti colare, i lettori che si lasciassero suggestionare e persuadere dal contenuto dell'articolo, si sentirebbero obbligati a subordinare la civica obbedienza alio Stato alia condizione che non si tratti di guerra evidentemente ingiusta, n& di guerra totale ; si senti rebbero autorizzati — nella prima ipotesi — a far dipende^e la propria sottomissione all'appello della Patria non dalla oggettiva esistenza dell'ingiustizia della guerra, ma dalla soggettiva opi nione (che potrebbe essere erronea) sul carattere ingiusto del conflitto cui sarebbero chiamati a partecipare a servizio della Patria, e sarebbero portati ad aborrire come manifestazione di nazionalismo pagano, da cui non vorrebbero essere contaminati,
il combattere per la Patria in una guerra totale o in altra guerra, ehe, m agari, potrebbe anche essere non ingiusta, ma che ingiusta venisse da loro erroneamente stimata anche in forza del precon cetto della grande irrprobability di future guerre giuste. I lettori, inoltre,potrebbero rimanere convinti che, secondo 1'etica cattolica, non sia vincolante l'obbligo di prestar servizio militare neirireno al di fuori di una guerra ingiusta e che sia invece manifestazione di inirabile virtii cristiana, paragonabile al martirio affrontato dai primi cristiani, il sacrificio della propria liberty personale cui va volontariainente incontro l'obiettore di coscienza che ri fiuta di obbedire persino al semplice ordine di indossare la divisa.
<» L'analisi fin qui condotta del contenuto dell'articolo e dei suoi possibili influssi sulla pšiche dei lettori costituisce la pre messa necessaria per dimostrare quale offesa, e di quale gravity, ne derivi all'ordine pubblico del nostro Stato.
« Per il nostro diritto la diserzione del militare cosi in tempo di guerra come in tempo di pace costituisce delitto (art. 143 a 150 cod. pen. mil. guerra e art. 147 a 150 cod. pen. mil. pace) e parimenti delittuose sono la mancanza alia cliiairata (art. 151 a 154 cod. pen. mil. guerra e art. 151 a 153 cod. pen. mil. pace) e l'inesecuzione di un ordine (art. 173 a 175 cod. pen. mil. pace). Per l'osservanza dei precetti penalmente sanzionati che impon gono la prestazione del servizio militare e tutelano la disciplina militare lo Stato fa assegnamento non esclusivamente sul ti more della sanzione penale comminata ai des':inatari della ncrma, ma anche e soprattutto sul patriottismo dei suoi cittadini, i quali dovrebbero essere intimamente persuasi del valore morale del
l'obbligo di servire la Patria come militari a protezione del bene comune, col convincimento altresi della doverositä e liceitä. di tali loro personali prestazioni anche quando comportino l'uso funesto e distruttivo di armi in azioni belliche, in danno del ne mico esterno e di quello interno.
<- Ora, 6 innegabile che il contenuto dell'articolo del Balducci potrebbe avere un'efficacia negativa sui fattori psicologici che normalmente assicurano la quieta e generale osservanza delle norme penali che sanzionano l'inadempimento degli obblighi militari. Invero, sulla persuasione del valore morale di tali ob blighi potrebbe prevalere quella di un obtligo religioso contrario o, per lo meno, il convincimento dell'acquisizione di particolari meriti religiosi in conseguenza della violazione della legge dello Stato ; e sulla controspinta a delinquere costituita dal timore della pena potrebbe prevalere l'aspirazione a tener fede a un proprio ideale etico-religioso, anche a costo di riportare castigo penale. All'orientamento del pubblico in questo deprecabile senso potrebbe seguire I'effetto che, al momento della guerra o anche perfino dal tempo di pace, lo Stato si troverebbe con forze militari disgregate e pronte soltanto alla ribellione e verrebbe privato della forza che gli & necessaria per tutMare i suoi interessi politici internazionali ed interni, servendo l'esercito oltre che per la guerra anche per il mantenimento e la reintegrazione del l'ordine interno.
« Nessun pregio, di fronte al nostro diritto, hanno le varie considerazioni che si leggono nell'articolo del Balducci a giusti ficazione o esaltazione della disobbedienza del cittadino ; ed anzi le medesime si risolvono in grave fuorviamento e diseduca zione civica della pubblica opinione, con pregiudizio del senso di tranquillity e sicurezza della collettivitA in relazione al buon assetto e al regolare andamento del vivere civile.
« Secondo il diritto positivo italiano non e ammissibile la ribellione del cittadino contro le leggi o contro una dichiarazione di guerra, nemmeno in nome delle pretese «leg^i morali » o dells pretesa «giustizia naturale » che ne fossero offese.
« Lo Stato italiano e un ordinamento giuridico originario e sovrano, con struttura democratica ispirata ai moderni princifi di giustizia e di progresso. Ma n&la, sua carta statutäria, n&le sue -
leggi ordinarie ammettono l'abdicazione della sovranitä, dello Stato in favore di ordinamenti estranei extragiuridici, come sa rebbero quelli costituiti dalle norme morali o dal cosiddetto diritto naturale. L'unico rapporto giuridicamente rilevante con queste categorie di norme si ha nel mom3nto della formazione della legge allorch& il le^islatore, sensibile alle nuove istanze della coscienza collettiva in un deberminato momento storico, codifica un prin cipio etico sin allora estraneo o antitetico al diritto vigente, ov vero fa propria una norma del diritto naturale, inteso questo come un diritto ideale conforme alle esigenze della natura umana e fondato sulla raqtfone. Ma riguardo alle leggi esistenti che abbiano carattere di inderogabilitä. (come son quelle di cui trattasi) lo Stato non consente che il singolo cittadino abbia facoltA di sot trarsi al loro imoerio, sia pur ritenendo di compiere atto conforme alia morale o al diritto naturale. Si potr& ammettere che si di scuta sull'opportunity di modificare o abrogare le leggi esistenti, ma non giä che sia lecito — in nome di altre discipline — di violarlo. Altrimenti, verrebbe avvilita l'autorita della legge dello Stato (il quale fa assegnamento sul sentimento di ossequio spon taneo dei cittadini all'ordine giuridico costituito, essendo la
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GIURISPRUDENZA PENALE
coazione il mezzo estremo) e verrebbe menu la sicurezza dell'ar monico ordinamento delta vita sociale per quel conseguimento dei fini comuni che eostituisce l'essenza della funzione dello Stato.
« XJn esplicito perentorio richiamo alia forza obbligante delle
proprie norme regolanti la condotta dei eonsociati 6 fatto dal
legislature nell'art. 2 della Costituzione, nel quale, in modo im
perative, vien richiesto «l'adempimento dei doveri inderogabi'i di soli(lariata politica, economica e sociale » (e fra i doveri di solidarietä politica vi is quello di prestare servizio militare). Qiesto principio viene ulteriormente specificato ed esteso nel l'art. 54 della Costituzione nella parte che riguarda i cittadini, essendo ivi disposto : « Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi ».
« Quanto, poi, at diritto delsingolo d'influenzare con la propria volonta l'azione del potere politico (diritto concepito nell'articolo del Balducci come facoltä di agire anehe contro la legge), tale di ritto 6 esercitabile ne] nostro ordinamento non in modo illimitato, ne tanto meno in ispregio delle leggi, ma solo nelle forme e nei limiti am,messi. L'art. 1 della Costituzione enuncia : « La sovranitä
appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ». L'individuo partecipa all'esercizio della sovranita non direttamente ma con l'esercizio del diritto di voto, con la libera associazione democratica in partiti, per concoirere con
metodo democratico a determinare la politica nazionale, e roe diante t'indirizzo di petizioni alle Cam»re per chiedere provvedi menti Unistati vi o esporre comuni necessitä (art. 48, 40 e 50
Cost.). 11 singolo poträ anche — con la libera manifestazione del
proprio pensiero anche se effettuata in modi diversi da quelli suindicati — fornire incentivo ai provvedimenti di compelenza dei pubblici poteri. Mai, perõ, puõ essergli riconosciuta la facoltä di trasgredire a un comando di legge solo perche a suo giudizio la ottemperanza alia norma sarebbe contraria alia sua coscienza
morale, e nemmeno se egli commettesse il fatto affinche, a seguito della sua notizia del suo illegittimo atto, i Poteri dello Stato fossero sollecitati a determinati provvedimenti. La sua condotta, in
questo caso, non cesserebbe di essere giuridicamente illecita e
quindi, al contrario dell'assunto sostenuto nello scritto del Bal
ducci, non potrebbe essere stimata compatibile con i principi del noftro ordinamento democratico. Nell'art. 50, 2° comma, del progetto della nostra Carta statutaria era fissato it principio : « Quando i pubblici poteri violino le libertä fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressore k diritto e dovere del cittadino ».
«ISpon ž senza sigaificato che nel testo definitivo questa dispo sizione non sia stata mmtenuta : se essa sigaificava il riconosci ni3nto di un diritto di insurrezione con mezzi illegali, tale prin cipio era inconcepibile ed inammissibile nel nostro ordinamento che e quello di uno Stato di diritto ; se invece sigaificava diritto
di perseguire gli eventuali abusi dell'autoritä con i mazzi appre stati dalla legge, la norma era supcrflua. Pertanto, anche l'argo mento desutnibile dai lavori preparatori delta Costituzione esclude che sia lecito al cittadino sotlecitare, mediante violazione dalle
leggi, la modifica e la aholizione di provvedimenti della a utorit a
da lui reputati ingiusti perchš contrari alia sua coscienza morale. « Ancor meno a riconosciuta all'individuo una facoltä giuri
dica di opposizione in materia di servizio militare. « L'obbl'go militare e affermato con vigore nell'art. 52 della
J istituzione, che dichiara : « La difesa della Patria & sacro dovere
del cittadino. II servizio militare e obbligatorio nei limiti e modi
stabiliti dalla leg^e ». B per la legge ordinaria (t. u. leggi recluta
mento esercito 24 febbraio 1938 n. 321) sono soggetti alia leva
militare tutti i cittadini maschi, nonchž quelli che, pur avendo per duto la cittadinauza, sono rimasti obblit?ati al servizio militare
e gli apolidi resideuti net territorio della Repubblica. A questa
regola gsnerale si fa eccezione solo per il clero cattolico (chierici ordinati in sacris e religiosi che hanno einesso i voti) ai sensi del
l'art. 3 del Concordato. Nessuna eccezione, invece, nella legge 6
contemplata a favore di coloro che ritengano incompatibile il
servizio militare con le loro convinzioni religiose, morali o politiche e che sono usualmente qualificati come «obiettori di coscienza ».
La questione fu sollevata in Italia per la prima volta nell'As
semblea costituente dall'on. Caporali, che propose un emenda mento al testo dell'art. 52 delta Costituzione, ma eon esito nega
tivo, e parimenti non divennero mai legge le proposte che, d'inizia
tiva parlamentare, furono avanzate sutlo stesso argomento nelle
legislature della Repubblica italiana che hanno preceduto quella in coi'so. Nell'art. 4 della convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali conclusa il 4
novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955
n. 848, pur affermandosi il principio che nessuno puõ essere co
stretto a comniere un lavoro förzato e obbligatorio, si chiarisce
che non t- considerato «lavoro forzato o obbligatorio » ai fini di
quel principio « ogni servizio di carattere militare e, nel caso di
obiettori di coscienza nei Paesi nei quali l'obiezione di coscienza
e riconosciuta legittima. un altro servizio sostitutivo di quello
militare obbligatorio ». Gli accennati precedenti dimostrano che, pur essendo conosciuta dal nostro legislatore la questione e sic come perõ non e stata mai emmata alcuna legge che la riguardi, evidentemente la coscienza collettiva del Paese non ha ritenuto meritevole di giuridica tutela il privilegio rivendicato dagli obiet tori. E, poiche la legge sul reclutamento nessuna distinzione opera in loro favore, gli obiettori non possono essere esentati dal ser vizio militare ed anzi, se si sottraggono alia prestazione del ser vizio o ai doveri che vi ineriscono, vanno puniti ai sensi della legge militare, come sempre & avvenuto nei pochi casi del genere verificatisi sinora in Italia. Non solo, ma giustamente e stato escluso che nei reati da loro commessi per obiezione di coscienza ricorra l'attenuante del motivo di particolare valore morale o sociale, giacch& il movente del reato e in aperto contrasto col principio etico che 6 alia base di quello specifico inderogabile dovere di solidarietä politica che consiste nella partecipaziohe alia difesa della Patria, dovere definito solennemente come «sacro » nell'art. 52 della Costituzione. E lecito, dunque, affermare che alia stregua dell'etica di cui & informato il nostro ordinamento democratico, e immorale proprio quel rifiuto d'indossare la di visa militare che invece nello scritto del Balducci e presentato come manifestazione della pi ii elevata morale cristiana.
«Inanytnissibile, poi, e il potere di sindacato sulla giustizia della guerra che, nell'articolo incriminato, si vuol riconoscere al singolo cittadino ; del pari inammissibile e la definizione della
«gaerra totale » come sempre inevitabilmente ingiusta. <* ÜC la stessa legge fondamentale del nostro Stato che assi
cura la giustizia delle eventuali future guerre che potrebbero essere combattute dalla Repubblica italiana. Invero, l'art. 11 della Costituzione dispone imperativamente : « L'Italia ripudia la gaerra come strumento di offesa alla libertä degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie intemazionali : consente, in condizioni di parita con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranitä necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace: e la giustizia fra le Nazioni ; promuove e favorisce le organizža zioni intemazionali rivolte a tale scopo ». II collegamento del
disposto dell'art. 11 con quello dell'art. 52 della Costituzicre di mostra che una sola categoria di guerre e ammessa dalla nostra Carta statutaria, quella delle guerre che fossero fatte per la di fesa del nostro Paese. Il rispetto di questi principi e validamente
assiqurato mediante l'affidamento alle Camere del potere di deli berare lo stato di guerra (art. 78). Basta considerare questa parti colare disciplina e autolimitazione dello Stato italiano rispetto ai poteri che gli sarebbero consentiti, come soggetto di diritto
internazionale, nei rapport i con gli altri Stati, per comprendere come siano fuor di luogo nei confronti del nostro Stato i timori
agitati nello scritto del Balducci del ripetersi di aggressioni belliche del tipo fascista sotto la spinta di un fanatico e pagano senso della Patria, spregiatore degli scrupoli della coscienza e del giusto. Ed inoltre, per la stessa ragione, poichä rItalia, se dovesse parte cipare ad un conflitto armato, lo farebbe solo per difendersi, e facile comprendere quale tragica sciagura sarebbe per il nostro Paese il venir meno del contributo personale dei suoi cittadini fuorviati da insegnamenti contrari al piü importante tra i doveri di solidarieta politica cui essi dovrebbero assolvere nei supremo cimento della Patria.
« Per i medesimi motivi non potrebbe mai essere ingiusta per il nostro Stato la guerra «totale », intesa questa sia come com
prensiva di ogni strumento d'offesa bellica, sia come non limitata . alle sole forze combattenti, ne ad un sol fronte, ma estesa a tutta" la popolazione e all'intero territorio dell'avversario. ^ evidente
che, per quanto orribile, luttuosa e rovinosa põssa essere una simile condotta di guerra, si tratterebbe per l'ltalia sempre di azioni militari difensive contro un aggressore responsabile d'aver scate nato quel genere di guerra.
«A questo punto, occorre rivolgere l'indagine all'accerta mento se il contenuto dell'articolo del Balducci risjjecchi in modo esatto il pensiero della Chiesa cattolica e la dottrina elaborata dai suoi sCrittori.
« Aifini di questo controllo, la Corte terra conto di vari scritti
(encicliche, discorsi e lettere apostoliche di pontefici e articoli su riviste e libri compilati da ecclesiastici) che, essendo editi, sono di pubblica conoscenza.
« Sul rapporto tra coscienza e autoritä Pietro Palazzini,
segretario della S. Congregazione del Concilio, nei suo recentis-* simo libro intitolato « La Coscienza » scrive che «la coscienza non £ un oracolo che per se stesso fa sorgere la veritA, creandola, e
l'obbligatorieta, imponendola »(op. cit., pag. 46) ; che « & proprio della coscienza stimolare l'accordo della volontä con la verit/i
conosciuta ed insieme di spingere a cercare questa veritä, prima di prendere una decisione » che e doveroso seguire. Prosegue poi dicendo : « La coscienza ha da un legislatore piü alto la sua auto
rita, ma d'altra parte la obbligatorietä oggettiva non legherebbe il soggetto e non diventerebbe soggettiva, se la legge non si inte riorizzasse attraverso la coscienza. Ne segue che la coscienza deve
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475 PARTE SECONDA 476
lasciarsi guidare dall'autorita di chi l'ha creata e governa o diret
tamente o attraverso coloro che ha fatto partecipi della sua auto
rita, cui ha comunicato la sua potestä di legiferare : la Chiesa e
lo Stato» (op. cit., pag. 47). Da queste premesse, secondo l'autore, deriva l'assurdita della tesi di un'autonomia della coscienza nei confronti non solo di Dio, ma anche della Chiesa quando parla in nome di Dio nell'esercizio del suo ministero infallibile, mentre — cosi prosegue il Palazzini — « quanto si & detto della Chiesa, non si puõ dire in egual misura dello Stato, che non ha avuto da Dio tutto questo potere sul mondo della coscienza, sia pure abbia ricevuto una potest^, di carattere temporale che obbliga ad un ossequio e rispetto esterno, senza cui non avrebbe senso l'autorit&. Ci si domanda, perõ, se oltre un ordinamento giuridico, tutelato da un ordinamento positivo, lo Stato possa, almeno
qualche volta, porre anche un imperativo morale alia coscienza del sudditol IC certo che 1'autoritä. civile ha il potere di vincolare la coscienza, quando non fa altro che interpretare e tutelare ciõ che ci e evidentemente comandato dal diritto naturale, e ciõ che costituisce una consegaenza diretta del diritto naturale. Ma anche nel caso che l'autorit& ci comandi cose, le quali si presentino in qualche modo in opposizione con il diritto naturale, essa puõ avere potestä di obbligare in coscienza. L'autorit& che ha infatti come suo fine la difesa e la tutela del bene comune, deve avere a sua disposizione tutti i mezzi necessari per raggiungere il fine. Pur rimanendo quindi essenzialmente subordinata alia legge naturale ed a quella divino-positiva, deve avere il potere di coor dinare la molteplice attivit& umana, e quindi di limitare, per motivi di ordine comune, dei diritti naturali secondari a quelli piu necessari e piü utili al fine. Teoricamente parlando, prescin dendo cioe dalle condizioni particolari che accompagnano la pro mulgazione di una legge e dalla utility pubblica che ne segue, l'au torita legittimamente costituita puõ obbligare in coscienza, com
preso quando promulga leggi irritanti che si presentanolimitatrici dei diritti naturali. Su questa conclusione puramente teorica la
teologica cattolica & concorde» (op. cit., pagg. 47-49). « II pensiero del magistero della Chiesa, della S. Scrittura, dei Padri ci dice
ripetutamente che una legge giusta ha il potere di obbligare in coscienza. La questione fu presentata al Concilio di Trento e, come ci dicono gli atti, trovõ concordi quasi tutti i Padri, e, se non fu definita, fu dovuto unicamente a questione di carattere
pratico » (op. cit., pag. 49). « Dopo aver dimostrato la potesta da
parte dell'autorita civile di fare leggi obbliganti in coscienza, nasce la questione di fatto. Ci dobbiamo cio& domandare se nelle attuali
legislazioni civili ci siano chiari segni che le leggi irritanti obbli
ghino in coscienza. I criteri per conoscere l'obbligatoriet& in forme interne di una legge civile, sono molti, ma i piü importanti ši riducono ai seguenti: a) l'intenzione del legislatore, il quale dichiara di voler obbligare in coscienza ; b) le necessity del bene
comune : quando una legge 6 intimamente legata con il bene
pubblico, essa acquista potere obbligante per ogni cittadino ; c) il giudizio dei teologi; d) la prassi dei cittadini ; e) la gravity delle pene comminate. Possiamo dunque tirare questa conclusione:
ogni volta che le leggi civili sono promulgate dalPautoritA legit timamente costituita, sono conformi al diritto divino, sia naturale sia positivo, rispettano le norme della giustizia distributiva e sono quindi socialmente utili, hanno valore in coscienza. Nella mancanza invece di uno qualsiasi di questi elementi, la legge perde ogni obbligatorietä. in coscienza ; anzi puõ nascere nella coscienza del suddito l'obbligo di una resistenza all'autorit&. Tale resistenza puõ essere semplicemente passiva, nel caso che sia sufficiente ricusare di attuare una disposizione ingiusta; attiva, nel caso che sia necessario, per reprimere una legge ingiusta o iniqua, ricorrere a una positiva azione, che si puõ estendere in particolari circostanze anche oltre r&mbito le
gale » (op. cit., pag. 50). « In questi casi si crea il problema della non obbligatoriet&, a volte, della resistenza alle leggi ingiuste : e si generano quei cosiddetti conflitti di coscienza nell'applica zione di una simile legge » (op. cit., pag. 51). « Uno dei modi con cui la coscienza si ribella all'imposizione di una legge ingiusta & Pobiezione di coscienza. Con questa espressione, in senso generale si indica qualsiasi resistenza passiva alle ingiunzioni delVautoritä,
per ragioni morali. Fuori di questi casi estremi la coscienza deve sottostare ai giusti comandi dell'autorita non solo religiosa, ma anche civile e deve premurarsi di conoscerli per quanto & possibile. Non si puõ rinunciare a priori alia conoscenza della verity con il
pretesto che basta seguire la voce della propria coscienza. Senza dubbio ciascuno deve obbedire alia propria coscienza ; ma, per ben operare, e necessario che egli si sforzi di conoscere i principi direttivi della morale. Quando per negligenza non ci si & dati
premura di conoscere questi principi e si viene meno alia legge, commettendo una colpa, non si puõ, per giustificarsi, far appello alla libertä, di coscienza. Ne d'altra parte 1'autoritä e tenuta in nome della liberty di coscienza a lasciare passare impunite queste infrazioni della legge. Ž3 compito dell'autorit& richiamare chi
abaglia al proprio dovere e proteggere la comunitä contro le ri
percussioni che l'errore, la mancanza possono avere socialmente »
(op. cit., ip9bg. 54). «II nitido e completo esame compiuto dal Palazzini nel suo
pregevolisšimo volume in cui & sintetizzato il predominante e piü autorevole pensiero cattolieo (con citazione degli autori neile note e in apposito indice bibliografico) dispensa questa Corte da altre citazioni, risultando gi& a sufficienza in qual modo secondo la teologia si configuri e vada regolato il rapporto fra 10 Stato e la coscienza del cittadino e quando sia lecita la resi stenza di questi contro la legge dello Stato.
« Alia luce dei criteri indicati dal Palazzini lo scritto del Balducci risulta costituire una notevole deviazione (sino a ne
garli in parte) dai principi teologici che regolano i conflitti tra la coscienza individuale e l'autorita. Se, in qualche punto il Bal ducci apparentemente si conforma al comune insegnamento quando enuncia il principio generale che l'autorit& pubblica trova un limite invalicabile nelle leggi morali oltre il quale perde ogni valore per la coscienza del cittadino e quando dice che il cittadino chiamato alle armi in guerra ha il dovere di farsi una coscienza 11 piü possibile esatta del valore morale dell'ordine ricevuto (e quindi sembrerebbe che implicitamente alluda al dovere del cit tadino di conoscere la verita prima di seguire il soggettivo im
pulso a ribellarsi), d'altra parte proclama un principio non orto dosso allorch& asserisce che oggi il cristianesimo ci avrebbe inse
gnato a mettere la coscienza al di sopra di « ogni valore storico ». L'assolutezza di questa affermazione & in contrasto con la dot trina teologica riferita dal Palazzini. is un valore storico anche la legge dello Stato perchä tende a proteggere un interesse che la coscienza collettiva reputa degno di tutela e si sa che, per il cat
tolico, la legge dello Stato (cui Iddio « ha comunicato la sua
potestä. di legiferare », Palazzini, op. ext., pag. 47) & vincolante
per la sua coscienza, a meno che non sia ingiusta, ed il motivo che giustifica la obbligatorietä, della legge e proprio la sua fun zione di « ordinamento della ragione diretto al bene della society »
(Palazzini, op. cit., pag. 51). II principio invece affermato dal Balducci comporterebbe una piena autonomia della coscienza.
«Venendo, ora, la Corte al vaglio — dal punto di vista
teologico — delle tesi specifiche sostenute nello scritto incri minato riguardo all'argomento del servizio militare, ritiene di dover distinguere fra la ipotesi della chiamata alle armi in tempo di pace o in caso di guerra giusta e quella di chiamata in caso di
guerra ingiusta. « Nella prima ipotesi — come si e giä. rilevato — secondo il
Balducci la Chiesa sarebbe indifferente (« . . . non ha nulla da
rimproverare. . . ») verso chi accetta di indossare la divisa e, quanto meno, uguale indifferenza avrebbe nei confronti di chi, secondo la propria coscienza, ritenesse di « assumersi il peso di testimoniare la sua volontä. di pace » rifiutando di indossare «la divisa militare che e pur sempre una divisa di guerra » ed anzi siffatta testimonianza, quando comportasse il rischio di una con danna penal3, sarebbe de*na di ammirazione da parte dei cristiani.
« Queste conclusioni sono gravemente inesatte rispetto alia
teologia cattolica ed il Balducci vi & pervenuto attribuendo alia coscienza una illimitata autonomia in contrasto col principio teologico espresso dal PALAZZINI con la formula : «l'autorit& le
gittimamente costituita puõ obbligare in coscienza, compreso quando promulga leggi irritanti che si presentano limitatrici dei diritti naturali ».
« A ben altre conclusioni pervengono, invece, partendo da questo esatto principio i teologi contemporanei che si son dati carico di accertare se Fimposizione del servizio militare sia obbli
gatoria in coscienza. Bastera citare in appresso alcuni autori per tutti, stante 1'uniformity dell'insegnamcnto.
« I criteri che conducono all'affermazione del vincolo per la coscienza in subiecta materia sono quelli enunciati dal Palazzini « per conoscere 1'obbligatorietä in foro interno di una legge civile »
{op. cit., pag. 50) e particolarmente quelli della necessity del bene comune e del giudizio dei teologi in genere, essendo pacifico il concorso delle altre condizioni (l'intenzione del legislatore di volere
obbligare in coscienza, la comminatoria di gravi pene e la prassi dei cittadini che nella loro generality, salvo sparute eccezioni, hanno sinora sempre ubbidito alia chiamata alle armi, con vinti di prestar ossequio ad una legge giusta).
«Padre Angelo Brucculeri, S. I., scrive nel suo libro «Morality della guerra » (della collana « Le dottrine sociali del cristianesimo », ed. « Civiltä. cattolica », Roma, 1940), a proposito dell'atteggi amen to che l'individuo deve assumere in pratica di fronte all'appello di guerra : « Su questo punto i moralist' cattolici hanno formulato delle norme ben chiare ed inequivo cabili. 1) L'individuo, bench^ dubiti della natura morale di una determinata guerra, puõ, senza violare la coscienza, parteciparvi, perch& si deve sempre presumere in simile caso che 1'autoritä competente & la sola che in via normale possegga i dati e le in formazioni per giudicare se sia giusta o no la guerra. D'altronde il bene comune, che urge difendere, verrebbe compromesso se il
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477 GIURISPRUDENZA PENALE 478
singolo (lovesse, prima di ubbidire all'appello di guerra, esa minare uil problema cosi complicato e scabroso, quale e quello deila morality di un dato ricorso alle armi: — Communes milites —
scrive il Suarez — sudditi principum, nuliam diligentiam adhibere tenentur, sed vocati ad bellum ire possunt: dummodo illis non constet esse iniustum. . . In dubiis tutior pars est eligenda, cum autem princeps possideat ius suum ; tutius est illi oboedire — »
(op. eit., pag. 60). E piü oltre l'autore aggiunge : «Anche in Vitoria si hanno le stesse tesi su questo speciale argomento, ehe in fondo risalgono a S. Agostino. Se mai si desse il caso, in cui sia evidente 1'ingiustizia di una guerra, allora la norma dell'indi viduo e quella degli Apostoli: — Oboedire oportet Deo, magis quam hominibus —. Qui evidentemente si tratta di easi astratti o, se si vuole, assolutamente eccezionali; giacche generalmente le motivazioni della guerra espresse dal potere pubblieo appaiono ben giustificate. Ad ogni modo 1'autorita alla quale ö commessa la tutela del bene comune deve difendersi da coloro ehe in buona 0 mala fede con 1'obiezione di coscienza fomenterebbero la diser zione e il disordine » (op. eit., pag. 61).
« Circa dieci anni dopo la pubblicazione del libro del Bruc culeri, altro sacerdote gesuita, padre A. Messineo, essendo allora di recente intervenuta la condanna di un giovane — taie Pinna —
per renitenza alia leva determinata da obiezione di coscienza ed essendo stata presentata, alla Camera, dai deputati Calosso e Giordani una proposta di legge per il riconoscimento giuridico della obiezione di coscienza, serisse un articolo intitolato « La obiezione di coscienza » sulla nota rivista «Civiltä cattolica»
(vol. I dell'anno 1950, pag. 361). L'articolista, dopo aver pre messo ehe era « una questione sulla quale da tempo si sono pro nunciati in modo nettamente negativo i moralisti cattolici ehe 1'hanno presa in considerazione » e dopo aver dimostrato 1'incon sistenza dei vari argomenti addotti nella relazione sulla proposta legge secondo i quali il servizio militare sarebbe incompatibile con la coscienza cristiana, scrive va fra 1'altro : 6 indubbio ehe il diritto di legittima difesa appartiene anche alla persona collettiva o alio Stato, il quale, dinanzi a una ingiusta aggres sion#, come l'individuo, ha la f'acolta di respingere la forza con la
forza, e quindi ha il potere di chiamare al servizio della Patria 1 propri cittadini, di prepararli convenientemente con l'istruzione militare alia deprecabile eventuality della sua difesa armata, imponendo ad essi 1'obbligo di rispondere al suo appello. II cittadino da parte sua ha il dovere di ubbidire, per rendere alla
society, alia quale appartiene e dalla quale trae i benefici della vita associata, questo indispensabile servizio, impugnando le
armi, quando il superiore diritto della patria fosse minacciato da un'ingiusta aggressione » (op. cit., pag. 366). Piü oltre il Mes sineo osservava (in ordine alio stesso argomento della coscrizione
obbligatoria di cui il Balducci auspica l'abolizione) : « . . . se il militarismo e diventato una piaga generate, e tutte le nazioni
mmtengono degli eserciti permanenti, un popolo, nelle condizioni d'insicurezza giuridica del mondo presente, non puõ rimanere disarmato senza pregiudicare la propria indipendenza. Una dura necessity, dunque, impone alio Stato di essere artnato, man tenendo esercito permanente, dalla cui morsa non potrü essere liberata la sua vita, se non quando tutte le nazioni addivengano per comune consenso alia riduzione degli armamenti. B questa & la ragione perch& Benedetto XV, Pio XI e Pio XII hanno tanto insistito sull'inderogabile urgenza del disarino graduale. Senza
questo presupposto lo Stato deve potersi difendere, e quindi tra nazioni armate essere armato. Non sembra pertanto legittimo dedurre dalla condanna del militarismo un'eguale condanna del
servizio militare, in quanto tale, doverosa prestazione in favore
del bene comune » (op. cit., pag. 367). Nel prosieguo della trat tazione, il Messineo, dopo aver accolto il criterio obiettivo per la distinzione tra obiezioni di coscienza legittime e quelle ille
gittime (beninteso, sempre dal punto di vista teologico), relative le prime ad un provvedimento intrinsecamente ingiusto e le altre ad un comando giusto dell'autoritil, escludeva — in coerenza alle sue premesse sulla necessity per lo Stato di armarsi — che il ser
vizio militare sia « una prestazione intrinsecamente e obiettiva mente cattiva, ossia immorale » e quindi escludeva pure che la
obiezione di coscienza abbia alcun fondamento obiettivo donde
possa derivarle il sigillo della legittimity. Prevedendo, poi, la
possibile eccezione che l'immorality deriverebbe, al servizio
militare, dal fine al quale e naturalmente diretto — cioe la guerra con gli inevitabili eccidi ch'essa suole produrre (ed 6 questa la
stessa eccezione che il Balducci plasticamente propone col defi
nire la divisa militare una divisa di guerra) — il Messineo aggiun
geva: «Bastery notare che aim™ la legittima difesa contro un eventuale ingiusto aggressore e un sacro diritto della society, e che l'uso della forza in questo caso, lungi dall'essere ingiusto e immorale, e doveroso per l'autority pubblica, che ha la missione
di difendere la vita, l'integrity, l'indipendenza del popolo, ai
cui destini presiede. Ammesso pure, dunque, che in questa sola
supposizione la guerra sia giusta, lo Stato nel pieno esercizio di
un suo diritto chiama i cittadini a prestare il servizio militare e questi nulla di obiettivo hanno da opporre al suo comando, sol levando un'obiezione di coscienza destituita di un qualsiasi fondamento morale e giuridico. Concludiamo : i giudici che hanno condannato il giovane Pinna a due anni di reclusione come reni tente di leva hanno compiuto illoro dovere, e la Camera compirä il proprio respingendo la proposta di legge ».
« La rivista mensile a schede «Aggiornamenti sociali» del Centro studi sociali di Milano, diretta da padre Antonio Toldo S. I., sotto la voce « Obiezione di coscienza » nel fascicolo del gennaio 1951 osservava — riguardo all'obiezione assoluta di coscienza — che, essendo legittima, secondo la teologia morale, la guerra giusta (intesa per tale cosi la guerra di difesa contro
un'aggressione come la guerra offensiva mossa per gravi e giuste ragioni) e val-ndo questo criterio anche per le guerre moderne salvo l'esigenza per la legittimitä d'iniziativa bellica di motivi molto piu gravi di quelli che si richiedevano un tempo, si deve
conseguentemente ritenere che lo Stato ha «il potere di chiamare al servizio militare tutti quelli che ritiene adatti e necessari alia difesa comune, imponendo loro l'obbligo di rispondere alia sua chiamata » e che, correlativamente, il cittadino ha l'obbligo di ubbidire. Concludeva pertanto la rivista che « non si possono ammettere obiezioni assolute di coscienza, fondate sul motivo che ogni guerra per se stessa, soprattutto se fatta coi mezzi mo derni (da chiunque sia fatta, comunque sia diretta, in qualsiasi tempo e luogo si svolga), e intrinsecamente illecita e comunque contraria alle tradizioni morali cristiane ».
«II Palazzini, nel suo volume « La Coscienza » gia citato, non trascura di prendere in esame il rifiuto alia prestazione del servizio militare quando — come egli scrive — esso sia opposto «col metodo della resistenza passiva e ispirato da motivi per sonali di coscienza umanitari, morali e religiosi, per cui si arriva alia conclusione della condanna assoluta dell'uso delle armi » ; ma dice recisamente che questa forma di obiezione di coscienza «non e da approvarsi », motivando cosi la sua affermazione : « Comunemente da parte cattolica viene respinta la tesi degli obiettori di coscienza e la loro resistenza passiva e considerata
almeno come una violazione ai doveri civici di giustizia legale. II bene comune, infatti, esige che il cittadino partecipi come ai
vantaggi, cosi agli s vantaggi della vita collettiva, tra cui il servizio militare obbligatorio, finche la'legge non lo abolisca e, quando la
difesa armata della propria nazione lo esiga, i benefici individual! debbono essere sacrificati alle superiori esigenze della compagine sociale. L'uso delle armi inoltre e di per s& indifferente. Se il fine della difesa nazionale & giusto, lo strumento che serve a tal fine, cioe l'uso della forza, viene giudicato e diventa lecito, come per l'individuo in caso di legittima difesa, cosi per lo Stato. L'essere l'uso delle armi moderne piü o meno disastroso, dovrä servire a far meglio ponderare ai governanti la responsabilita di una di
chiarazione di guerra, a differire le rivendicazioni dei propri di
ritti, specialmente quando la sproporzione tra il fine limitato che si persegue e le distruzioni a cui si andr& incontro e enorme, ma non rendera illecito l'uso della forza per la difesa del proprio diritto, massimo bene sociale di ordine morale, superiore ai beni materiali. II non ammazzare, come non esclude la legittima difesa
nell'individuo cosi non l'esclude nello Stato. In linea di fatto,
gli obiettori di coscienza causano una frattura sociale che non si
& affatto sicuri che conduca ad assicurare la pace. Essi esasperano
per contraccolpo le passioni nazionaliste e, per di piü, l'obiezione di coscienza diventa uno strumento di disordine sociale nelle mani
di gente, il cui scopo e tutt'altro che quello di assicurare la pace »
{op. cit., pag. 344, n. 37). « Perfettamente in armonia col pensiero dei teologi risultano
quei brani di un discorso di Pio XII ai granatieri di Sardegna e della lettera apostolica « Veritatem facientes » dello stesso Pon
tefice — riportati da don Stefani nel suo scritto pubblicato su « La Nazione » del 12 gennaio 1963 — nei quali viene ribadito
l'obbligo d'obbedienza del cittadino alia Patria quando ne viene
chiamato alle armi. Disse Pio XII il 6 novembre 1955 ai granatieri di Sardegna : « it! doveroso che siano ricordati con onore quelli che non esitarono di fronte al sacrificio supremo e si immolarono, in silenziosa semplicitä, nel compimento del loro dovere. Avendo
essi ben meritato dalla Patria, & giusto che questa pro cur i, quanto & possibile, di esaltare la loro memoria. Vivano essi anche per ricordare a tutti il dovere dell'am ore di Patria ; non risparmiando, se fosse necessario, un serio richiamo a quanti — spesso incon
sciamente, talvolta per ragioni non confessabili — si ostinano a battere la via della non collaborazione pur fra tanta urgenza di opere atte alla ricostruzione, e si abbandonano finanche a
maldicenze e a calunnie contro la madre Patria. . . Non occorre
ripetere qui ciõ che in varie occasioni abbiamo detto circa il di
ritto dello Stato alia difesa contro gli ingiusti aggressori, fino
a quando non siasi trovata una formula efficace per imporre a
tutti il rispetto delle frontiere e dei beni altrui. E il grido « Dissipa, o Signore, le genti che vogliono le guerre », ci piace elevarlo qui,
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479 PARTE SECONDA 480
davanti a migliaia di valorosi soldati, pronti come un giorno, come sempre a sacrificare la vita se la Patria dovesse richiamarli». Lo stesso Papa, nella lettera apostolica « Veritatem facientes » del 27 marzo 1952 all'espiscopato e ai fedeli della Romania, scriveva : « E del tutto manifesto ehe coloro i quali sono fedeli
seguaci del cristianesimo e si sforzano di metterne in pratica gli insegnamenti a nessuno sono inferiori nell'amor patrio, nel ri
spetto delle autoritä. civili, nell'obbedienza alle norme stabilite, purch& queste non impongano cose contrarie alle leggi naturali divine, ed ecclesiastiche ».
« In conclusione, la Corte ritiene accertato che, alia stregua della teologia morale cattolica, il cittadino, il quale presti servizio militare in pace, o in una guerra giusta, in obbedienza alia chia mata alle armi, non compia un'azione indifferente per la morale
cattolica, ma adempia ad un proprio dovere etico-religioso in osservanza di una norma dello Stato che vincola la sua coscienza, mentre il cittadino il quale trasgredisce alio stesso ordine ope rerebbe contro la legge dello Stato e contro la morale teologica 0 se, soggettivamente, ritenesse il servizio militare contrario ai suoi doveri di cattolico. E manifesto ed insanabile il contrasto che esiste fra queste teorie comunemente ricev ute tra i moralisti cattolici e quella del Balducci secondo la quale la Chiesa non ri conoscerebbe alcuna rilevanza etica a quella condotta dell'in dividuo che si conformi al comando dello Stato mentre riterrebbe meritevole di esaltazione la condotta di chi si ribella alia chia mata alle armi pur se il servizio militare gli venga richiesto per il bene comune.
« Anche sul punto della « guerra totale » l'articolo del Bal ducci dirotta dall'insegnamento della dottrina teologica.
«II Brucculeri, nella sua eitata opera « Moralitä della
guerra », qualifica come «totale » quella guerra moderna che << non solo non si combatte piü fra nuclei ben limitati di solda tesche, ma — se si tratta di grandi potenze — doinanda milioni e milioni di militi, assorbe tutte le energie del Paese, mobilita in un modo o in un altro tutta la popolazione adulta, e a causa dell'arma aerea trasforma tutto il territorio dei belligeranti in zona di guerra ed espone al pericolo della vita non soltanto i Combattenti delle trincee, ma tutti indistintamente i cittadini ».
Oggi, si" aggiunge alia nozione di guerra totale anche l'uso dei nuovi mezzi di distruzione e sterminio (nucleari, batteriolcgici e
chimici), senso — quest'ultimo — in cui l'imputato Balducci ha ammesso di aver adoperato l'espressione.
«II Balducci, nel suo scritto, attribuisce alia Chiesa la con danna della guerra totale come inevitabilmente ingiusta, senza
distinguere tra chi ne assume l'iniziativa e chi vi reagisce : en trambi i b Uigeranti verserebbero in illecito e, conseguentemente, 1 cattolici avrebbero «il dovere di disertare » pur se militassero dalla parte della nazione aggredita, in quanto — cosi ha spiegato il prevenuto nel dibattimento di primo grado — essendo gli effetti distruttivi della guerra superiore a tutti gli svantaggi derivanti dalla ingiustizia patita, e moralmente meglio patire l'ingiustizia che avviare alia guerra totale. Ma, cosi ragionando, e soprattutto nel suo scritto ove il vincolo per la coscienza del cattolico £ affermato in modo assoluto in qualsiasi dei due campi avversi costui sia chiamato a militare, il Balducci forza l'insegnamento della Chiesa e lo piega ad un suo personale as sunto. La condanna della guerra totale da parte della Chiesa riguarda solo quello dei belligeranti che assume l'iniziativa di quel sistema di guerra pur se sia assistito da una iusta causa, giacche a render giusta la guerra deve concorrere anche lo iustus modus e cio6 l'osservanza di un limite nella scelta dei mezzi per nuocere al nemico (Brucculeri, op. cit., pag. 48 e segg.). Questa distinzione della natura della guerra — giusta per l'uno e in giusta per l'altro degli Stati in conflitto in una guerra totale — e tracciata nettamente nel discorso di Pio XII pronunciato il 3 ottobre 1953 ai partecipanti al VI Congresso internazionale di diritto penale : il Pontefice, parlando di un auspicato diritto penale internazionale, stimava che il primo fatto a dover essere incriminato doveva essere quello della guerra moderna non imposta dalla necessity assoluta di difendersi e che porta con se «rovine, sofferenze e orrori inimmaginabili». «La comunitä, dei popoli deve tener conto » cosi aggiungeva Pio XII « dei criminali senza coscienza, i quali per attuare i loro piani ambiziosi non te niono di scatenare la guerra totale. Quindi se gli altri popoli desiderano proteggere la loro esistenza e i loro beni piü preziosi e se non vogliono lasciare le mani libere ai malfattori interna zionali, non resta loro altro che prepararsi per il giorno in cui dovranno difendersi. Questo diritto a tenersi sulla difensiva non puõ essere negato, neppure oggi, a nessuno Stato. Questo, d'altra parte, non cambia assolutamente niente a che la guerra ingiusta debba porsi nella prima linea dei delitti piü gravi che il diritto penale internazionale mette alla gogna, colpisce con le pene piü gravi e i cui autori restano in ogni caso colpevoli e passibili della pena prevista ». Da questa impostazione dei termini deH'ingiustizia della guerra totale non si & discostato
nemmeno Papa Giovanni XXIII nell'enciclica Pacem in terris, ove, sfiorando appena l'argomento, ha scritto «riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra põssa essere utilizzata come struniento di giustizia», alludendo cosi sol tanto all'iniziatore della guerra, che — in altri tempi invece —
pur senza essere stato aggredito poteva legittimamente ricor rere alia guerra, ma con iustus modus, per conseguire la soddi sfazione di un proprio rilevante interesse. Lo stesso Papa Gio vanni lascia, invece, incontestata la legittimitä della condotta di chi partecipa alia guerra moderna difendendosi dalla aggres sione altrui ed anzi chiaramente ammette, nell'ipotesi di un
corjfiitto, la possibilitä che nessuna delle parti avverse si sia assunta l'iniziativa e la responsabilita delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, potendo — nell'attuale situa zione — intervenire « un fatto imprevedibile ed incontrollabile » che faccia «scoccare la scintilla che mette in moto l'apparato bellico », cosicch^ entrambi i belligeranti si troverebbero a com battere per difendersi. Anche il Palazzini, nel passo gia citato e trascritto, definisce lecito l'uso delle armi moderne per la nazione che si difende.
«Non esiste, dunque, secondo la Chiesa, quell'assoluto vincolo che, contro il servizio militare e in nome della stessa Chiesa, il Balducci vorrebbe imporre alia coscienza dei cattolici in caso di guerra totale pur quando essi militassero nel campo della nazione che difende il proprio diritto.
« Anche in relazione all'ipotesi di guerra ingiusta, che sia tale perche d'aggressione e priva di giusta causa, lo scritto del Balducci non si conforma all'insegnamento comune della dot trina cattolica, ma, nell'apparenza di seguirne lo schema, lo altera profondamente.
« L'ingiustizia, prima ancora che soggettivamente ritenuta nella coscienza, deve essere una «veritä, », come dicono i teologi, e cioõ una realty oggettiva. E l'individuo, fino a quando non avverta l'ingiustizia della guerra e non si senta perciõ obbli gato in coscienza dalla norma morale a disobbedire, non pu6 ritenere sebbene sia cattolico di essere comunque libero da un
obbligo morale a ottemperare al comando dello Stato, da cui viene chiamato alle armi. Queste premesse hanno la loro im portanza per determinare in pratica le facoltä che spettano all'individuo nella formazione del suo soggettivo convinci mento sull'eventuale ingiustizia della guerra ; e la dottrina cattolica ne ha sempre tenuto adeguato conto, diversamente da quanto fa il Balducci nel suo articolo.
«Si h gi& riportato quel passo del libro « Morality della
guerra» del Brucculeri, in cui si ammette l'obiezione di coscienza per la ritenuta ingiustizia della guerra solo quando tale ingiustizia sia «evidente », ammonendosi, in conformita alia dottrina tradizionale, che, altrimenti, la soggettiva opi nione dell'obiettore non potrebbe svincolarlo dall'obbedienza all'autorita, a cui favore rimarrebbe la presunzione che essa
per la sua competenza « possegga i dati e le informazioni per giudicare se sia giusta o no la guerra ». Anche la rivista « Aggior namenti sociali», sotto la voce gia eitata, mette in guardia contro la pratica difficolta di ammettere nei casi concreti l'evi denza dell'ingiustizia della guerra. Si legge a questo riguardo nella suddetta rivista : «... concretamente tale evidenza, di regola generale, e ben difficile averla, data la complessita dei motivi di guerra, data la difficoltä di stabilire con esattezza chi & l'aggressore, ecc. Al singolo cittadino poi, tale ricerca diventa addirittura impossibile, poich& il materiale, su cui dovrebbe fondare il suo giudizio viene manipolato e conta minato di propaganda e di errori, fino a metterlo sotto una luce nettamente opposta alia sua genuina. Di conseguenza il citta dino (a meno che non si tratti di una persona eccezionale, con una possibility straordinaria di informazioni dirette e una capacitä e imparzialitA pure eccezionali di valutazione dei motivi con trapposti) dovrä sempre supporre che il suo Governo abbia il diritto di mettersi in difesa armata, e di conseguenza abbia il diritto di imporgli l'uso delle armi. is il cosiddetto principle della «presunzione di diritto in favore della legittima auto rita » ! In caso contrario, il do vere sociale e le leggi emanate dallo Stato, resterebbero dipendenti dalla opinione soggettiva del singolo, il quale potrebbe sempre opporre al comando una sua personale persuasione. Sarebbe in tal caso introdotto il principio dell'anarchia endemica ». Dopo queste considerazioni la rivista conclude che la obiezione di coscienza lin^itata al rifiuto di attivitä militare in una guerra ritenuta manifestamente ingiusta e «praticamente inaccettabile, perch&, pur ammesso, che per principio, nel caso di una guerra evidentemente ingiusta l'obiezione di coscienza debba essere accolta e proclamata, in concreto tale evidenza e ben difficile calcolarla, soprattutto nella complessitä della guerra moderna ».
«II Balducci, invece, rappresenta in modo ben diverso il pensiero della Chiesa. Non prospetta neppure al lettore il vin colo morale che impegna la coscienza del cattolico ad ubbidire,
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481 GIURISPRUDENZA PENALE 482
ne il principio della «presunzione di diritto in favore della legit tima autoritä.», ed anzi fa apparire l'atteggiamento della Chiesa come agnostico (nei casi al di fuori di quello di guerra ingiusta) o contrario all'obbedienza all'autorita (ipotesi di guerra ingiusta), senza altre alternative, ed eccita nel lettore una preconeetta diffidenza sulla giustizia di qualsiasi eventuale guerra del futuro. In tal modo il Balducci, al contrario di quanto fa la dottrina
cattolica, comincia col predisporre nel pubblico uno stato psico logico non solo non favorevole ma aprioristicamente avverso e di sfiducia nei confronti della legittima autorita. Accenna, si, all'esigenza che per potersi qualificare ingiusta una guerra oc corre si tratti di « un'evidente aggressione ingiusta » ed accenna
pure al « dovere » imposto dalla morale cattolica al cittadino «di farsi una coscienza il piü possibile esatta del valore morale dell'ordine che riceve », ma, mentre giä, questa stessa raccoman dazione rivolta al cittadino si presenta blanda e difettosa perche si appaga di un'esattezza approssimativa («il piü possibil< esatta ») in una materia che invece presuppone una conoscenza
perfetta e sicuramente scevra da errori, toglie in definitiva
importanza anche all'essenziale criterio oggettivo della ingiu stizia «evidente » affidando l'apprezzamento della sussistenza di questo estremo unicamente alia coscienza deH'individuo e senza accõmpagnare tale affidamento con alcuno dei gravi moniti che la comune e costante dottrina cattolica suole rivol
gere ai cittadini per metterli in guardia contro la facility, del l'errore e la difficoltä, del giudizio. Anzi, il Balducci incoraggia il lettore a procedere sulla strada del piü spinto e sprovveduto soggettivismo, in quanto nega in modo semplicistico che il cit tadino non possa giudicare da solo sulla liceitä, della guerra ed invece correlativamente afferma che anche la diserzione di un sol cittadino puõ assumere, per chiarezza di testimonianza, un valore decisivo. Queste ultime enunciazioni finiscono col porre definitivamente nel nulla il requisito della «evidenza », giacch& quello che & evidente deve risultare tale per la generality, mentre ciõ che appare ad uno solo fra milioni di cittadini non ha di sicuro un simile carattere e quindi, allorch&, ciononostante, si ammetta come legittima la soggettiva opinione d'un solo indi viduo sull'opinata evidenza dell'ingiustizia, in realtii si pre scinde dalla condizione dell'obiettivita della evidenza.
« Constatate, cos), le profonde divergenze tra la sostanza del pensiero della Chiesa quale viene comunemente insegnato e le ben diverse proposizioni con le quali viene reso nell'articolo di padre Balducci, non occorre ai fini del giudizio accertare
se, alia luce dei principi fondamentali del cristianesimo, sia ac cettabile il comune insegnamento oppure la difforme valuta zione e applicazione di quei principi che ci vien'data dal Balducci. Basta — agli effetti della decisione — prendere atto che esistono
queste gravissime discrepanze e basta rilevare che il Balducci non ha affatto presentato come una valutazione personale dei
principi cristiani la disciplina etica da lui illustrata sui rap porti tra lo Stato ed il cittadino chiamato alle armi, ma ha
esposto tale disciplina come se fosse quella pacificamente accet tata dall'intera Chiesa, senza rendere minimamente palese il
grave contrasto in cui la sua esposizione si trovava con i precetti insegnati dalla generality dei teologi e dei moralisti cattolicii. antichi e contemporanei.
« iC, dunque, certo che nell'articolo del Balducci e taciuto
quello che comunemente & inteso come pensiero della Chiesa cattolica sul vincolo della coscienza del cittadino chiamato alle armi e viene invece falsamente attribuito alia Chiesa un
pensiero diverso da quello che normalmente essa ha manife stato attraverso la parola dei suoi reggitori e gli scritti dei suoi teologi.
« Va senz'altro escluso che il prevenuto sia incorso in er rore. L'errore presupporrebbe la piü completa ignoranza della dottrina tradizionale cattolica — compresa quella recentissima e contemporanea — sulla materia di cui si tratta. II Balducci, sacerdote e uomo fornito di cultura, avvezzo a studiare e dibat tere temi inerenti alia morale cattolica, non puõ aver ignorato i precedenti dottrinari sulla questione teologico-morale da lui esaminata, come del resto si comnrende da quelle parti del l'articolo che, ove gli giova alio sviluppo delle sue tesi, aderi scono parzialmente al comune insegnamento. Si deve perciõ ritenere che egli consapevolmente abbia attribuito alia Chiesa un pensiero che sapeva non essere quello che i suoi teologi e moralisti avevano elaborato. E, poiche ogni azione umana deve avere una sua causa, il movente della sorprendente condotta del Balducci che ha voluto varare, sotto l'apparente etichetta del vero insegnamento della Chiesa, opinioni proprie personali non puõ essere ravvisato altro che nell'interesse a dissimulare che si trattava di suoi assunti, ricorrendo alia simulazione di una fedele esegesi del pensiero della Chiesa.
«Il perchä di queste simulazioni e dissimulazioni & facil mente comprensibile. L'articolo del Balducci aveva una funzione
polemica nei confronti della lettera di don Stefani in cui era
stato sostenuto ehe i principi della morale cattolica non giusti ficar.o l'obiezione di coscienza al servizio militare ed anzi vi
sono contrari. Ora, e evidente che il Balducci se, sostenendo
il diverso assunto della liceitä dell'obieziene di coscienza e della concordanza della stessa con le finality di pace perseguite dalla
Chiesa, avesse detto onestamente che questo era un suo perso nale parere contrastato dal pensiero comunemente attribuito alia Chiesa, avrebbe enormemente indebolito presso il pubblico dei lettori cattolici l'efficacia persuasiva della sua tesi e avrebbe,
per contro, convalidato la bontä delle diverse conclusioni alle
quali era pervenuto don Stefani e che, lungi dall'essere «perso nali » (come invece erano state definite in quel comunicato della
GHunta diocesana d'Azione cattolica che aveva fatto, per dir
cosi, da batti-strada all'articolo del Balducci),sarebbero risul
tate per ammissione dello stesso Balducci conformi alia dottrina
tradizionale ed anche a quella piü recente della Chiesa. L'arti
ficio messo in atto dal Balducci capovolgeva invece la situa
zione facendo apparire che don Stefani aveva scritto a ti'olo
personale e padre Balducci aveva parlato non per esporre idee
proprie ma quale fedele interprete della Chiesa. II dolo, col quale il prevenuto fece uso di questo scorretto e deplorevole espediente di mistificazione della verity, & da considerarsi tanto piü intenso
in quanto il quesito propostogli nell'intervista tendeva a pro vocare non una dichiarazione del suo personale parere, ma il
chiarimento e quindi la scrupolosa interpretazione del pensiero della Chiesa sulla questione sollevata da don Stefani.
« La condotta del Balducci non puõ essere giustificata dal
fatto che, sull'argomento, la Chiesa non si sia pronunciata nell'esercizio del suo ministero e che quindi egli non era vinco
lato alia dottrina elaborata dai teologi e moralisti cattolici. II
Balducci, pur se per il detto motivo riteneva lecito il proprio dissenso, avrebbe dovuto onestamente dichiarare, nella sua
risposta all'intervista, che la Chiesa nell'esercizio della sua 'pote stas magisterii (facoltA di dichiarare, interpretare e insegnare i precetti della vera dottrina) non aveva definito la questione e non gia presentare quelle che erano invece sue personali con
vinzioni come se costituissero la dottrina insegnata dalla Chiesa, se per tale si debba intendere soltanto 1'autoritä, che esercita
il magistero ecclesiastico. E avrebbe dovuto comunque aggiun
gere che l'argomento era stato trattato solo dagli scrittori ec
clesiastici, ma in senso difforme dalle sue valutazioni, e costi
tuiva materia controvertibile. Tutto ciõ il Balducci, invece, non ha precisato ed anzi, rispondendo all'intervista come se si
fosse limitato unicamente a riferire il pensiero della Chiesa, ha
voluto munire le sue dichiarazioni di quella forza suggestiva e vincolante per i fedeli che emana da ogni pronuncia dell'au
toritA ecclesiastica. Ha, quindi, voluto ingannare il pubblico che egli invece avrebbe dovuto informare sui veri termini della
questione. « Potra apparire stupefacente e doloroso che un sacerdote,
il quale dovrebbe essere esempio di condotta ineccepibile, ab
bia fatto ricorso alia frode nell'assolvimento del delicato com
pito di informazionie dei lettori di un diffuso quotidiano poli
tico, ma il fatto e purtroppo provato e il deplorevole comporta mento del Balducci puõ trovar spiegazione solo nel fazioso in
tento, da cui egli dov& essere mosso, di prevalere nella tacita
polemica con don Stefani, conseguendo cosi piü facilmente
l'approvazione del pubblico e l'adepione dello stesso alle sue
idee e ai suoi incitamenti di cui — c'e da crederlo — egli, pur
sapendosi dissidente dalla comune dottrina, doveva essere sog
gettivamente convinto come di principi e regole di vita aderenti
all'essenza del cristianesimo. « Dimostrato che il prevenuto ha esposto nelParticolo idee
sue personali agevolandone in modo insidioso la loro attitudine
e penetrare nell'opinione pubblica, va ora accertato se e quali reati si ravvisino nel contenuto dello scritto.
« La Corte ritiene anzitutto che sia configurabile l'apologia di delitto prevista dall'art. 414, ult. capov., cod. penale.
« Come ha insegnato la Suprema corte a Sezioni unite (sent. 18 novembre 1958, ric. Colcrni, Foro it., 1959, II, 162), la con
dotta apologetica postula un concreto avvenimento del passato
che, per risultare sussumibile in un determinato schema cri
minoso al momento in cui ne e fatta l'apologia, sarebbe puni bile come delitto secondo la legge vigente ; e per «apologia »
si deve intendere la difesa elogiativa di quell'avvenimento e,
se del caso, anche del soggetto che vi ha dato causa e vi ha co
munque partecipato. Non e necessario che la rievocazione
deH'avvenimento oggetto dell'apologia sia effettuata in modo
espresso, poicM il riferimento della lode a quel fatto puõ essere
anche tacito purch& risulti da concomitanti elementi univoci
e concludenti. Nella specie, Tepisodio cui si riferisce l'apologia e quello dell'obiezione di coscienza opposta dal giovane catto
I lico Gozzini all'crdine del supericre d'indessare la divisa. L'im
[ putato, nel suo articolo, ha evitato qualsiasi menzione del fatto
1- specifico riguardante il Gozzini e, di conseguenza, ha pure evi
Il Foro Italiano — Volume LXXXV1 — Parte 11-33.
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PARTE SECONDA
tato un giudizio che espressamente si riferisse a quell'accaduto. Ma, allorchd egli, con termini generici, ha prospettato in astratto
proprio l'ipotesi di ehi rifiuta di servire la Patria indossando la divisa militare, per discutere se fosse o meno riprovevcl^
questo rifiuto, era certamente consapevole che il suo giudizio in astratto comprendeva anche e soprattutto il caso recente
del G-ozzini condannato appena due giorni prima ; caso — inol
tre — che aveva suscitato l'interesse della stampa e determi
nato la reazione di don Stefani che lo aveva biasimato con la
lettera pubblicata su « La Nazione » il giorno avanti. iD provato —- per confessione dello stesso imputato — che egli conosceva
questi precedenti e sapeva di essere intervistato a seguito del
parere gia espresso da don Stefani dal punto di vista teologico ;
quindi, non si pu6 dubitare che non solo oggettivamente (cio£
quale doveva apparire al pubblico), ma anche secondo l'inten zione del prevenuto il suo giudizio, sebbene formulato in ter
mini astratti, si riferisse pure alio specifico e concreto episodio del fatto commesso dal G-ozzini. Che questo fatto costituisca delitto per la legge vigente k indubbiamente, e ciõ perchä il
militare — quale era il Gozzini, chiamato aprestare servizio di
leva — che non obbedisce all'crdine impartitogli dai suoi supe riori di indossare l'uniforme (come & pacifico che avvenne in
quel caso) e punibile ai sensi deH'art. 173 cod. pen. mil. pace, essendo quell'ordine attinente al servizio militare (su questa massima la giurisprudenza & costante : sent. Trib. supr. mil.
12 marzo 1957, id., Rep. 1958, voce Insubordinazione, n. 6, e
precedenti conformi). « La lode che costituisce l'elemento materiale del reato di
apologia va ravvisata soprattutto nella frase : « Motivo di piü,
questo per avere un attimo di silenziosa ammirazione per coloro
che a proprie spese testimoniano un'asscluta volontä di pace ».
II dire che si debba avere ammirazione per un determinato
comportamento e certamente una lode, perche ammirare implica il riconoscere un pregio che colloca bsn in alto, nella propria stima, l'oggetto di quel sentimento. La testimonianza « a pro
prie spese » di un'assoluta volonta di pace, che deve formare
oggetto dell'altrui ammirazione, non e altro che il comporta mento delittuoso — e perciõ punibile — del militare che per obiezione di coscienza rifiuta d'indossare la divisa militare : di questo argomento, infatti, il Balducci si stava occupando nel contesto di quella stessa parte dell'articolo. IS dunque in dubitabile che il prevenuto abbia esaltato, lodandolo, il fatto
delittuoso perpetrabile dagli obiettori di coscienza e si sia taci tamente riferito a quello gia commesso dal Gozzini.
« Il Tribunale ha ritenuto, invece, che nella espressione « ammirazione » non sia ravvisabile l'elemento materiale dell'apo
logia perche il significato di tale parola sarebbe limitato dall'al tro termine « un attimo », nonch& dall'aggiunta « a proprie spese ». Ma le argomentazioni dei primiGiudici non valgono ad esclu dere la sussistenza del delitto.
« Non si vede perch6 l'affermazione che & dovuta ammira zione ad un reato (il quale invece come tale dovrebbe suscitare
riprovazione) cessi di essere una difesa elogiativa del crimine solo perchä si limiti la rievocazione ammirativa ad un breve
tempo. Inoltre la frase « un attimo, ecc. » non puõ avere altro
significato che quello di invitare ad una specie di solenne rito. cosi come per onorare il ricordo di determinate persone o di determinati avvenimenti si suole sospendere per breve tempo un'udienza, un'assemblea, una conferenza, una lezione, ecc. Lo stesso aggettivo «silenziosa » che qualifica la « amnprazione » indica il rispettoso racco^limento nel silenzio col quale si do vrebbe onorare con la propria ammirazione — come in un rito —
1'obiettore che si fa condannare pur di non essere coartato nella
propria coscienza. «Anche il contenuto dell'articolo conferma che il suo autore
non intese affatto limitare il carattere favorevole del giudizio. « L'espressione «a proprie spese » & essa stessa laudativa
perch&, pur alludendo alia pena cui 1'obiettore di coscienza si
espone, significa «con proprio volontario sacrificio » e quindi concorre col rimanente del discorso a presentare il colpevole di disobbedienza militare come persona che si offre quale vit
tima al castigo pur di rimanere fedele all'appello della propria coscienza.
"« L'inizio del periodo « Motivo di piü, questo », agganciando la frase a quanto precede, serve a rafforzare la presentazione del delitto come fatto degno di ammirazione, per cui non solo si tributa lode al reato ma si corrobora I'elogio giustificandolo. Ei i motivi di pretesa giustificazione della lode si risolvono essi stessi in una nobilitazione del crimine, effettuata con mezzi
insidiosi, poichä consistono tra l'altro : a) nel definire la divisa militare quale una divisa di guerra, con imolicito apprezza m^nto negativo, come a dire che la guerra sia immorale di per s& stessa e in ogni caso, e facendo aooarire pacifico, contro
vsritä., che tale valutazione sia da attribuirsi alia Chiesa ; 6) nel far apparire pacifico (mentre cosi non &) che la violazione della
legge dello Stato da parte dell'obiettore non sia riprovata dalla
Chiesa e sia anzi consona per il suo movente alla missione di
pace espletata dalla Chiesa per il tramite dei suoi sacerdoti che
proprio per questo motivo sarebbero esentati dal servizio mi
l'tare; c) nel far apparire come principio incontroverso del
cristianesimo (mentre tale non e) l'autonomia della coscienza
rispetto ad «ogni valore storico ». « Il Tribunale, pur escludendo la sussistenza dell'apologia,
ha anche osservato che gli apprezzamenti dell'articolo seb bene siano non sfavorevoli per gli obiettori di coscienza sareb bero perõ temperati dall'altra equivalente valutazione della condotta di chi accetta d'indossare la divisa militare. Ma anche su questo punto il Tribunale e in errore. Anzitutto gli apprez zamenti riguardanti gli obiettori non si limitano a non essere
negativi, ma sono anche di lode (e lo si & giy dimostrato) ; in secondo luogo, anche in relazione all'ipotesi del cittadino che ubbidisce alla chiamata alle armi il Balducci ha falsamente
prospettato come cosa pacifica un atteggiamento d'indifforenza della Chiesa e questo artificio & stato da lui appositamente usato per ragioni di coerenza logica alio scopo proprio di poter meglio esaltare il delitto commesso dall'obiettore che si rifiuta al servizio militare.
« L'apologia di delitto k> reato di pericolo presunto e percio basta la rializzazione della condotta apologetica a consumare il reato, essendo l'evento di pericolo insito nella stessa azione del soggetto attivo. Beninteso, l'apologia deve essere compiuta con m.3zzi idonei a manifestare anche obiettivamente sia la lode tributata sia la sua direzione a un concreto fatto delit tuoso giä, verificatosi: la sussistenza di una difesa laudativa nel caso di specie giy stata dimostrata ; quanto, poi, all'obiet tiva sua direzione all'episodio del Gozzini, il richiamo alio stesso — oltre che scaturire dalla prossimita cronologica dell'articolo alia lettera di don Stefani pubblicata su altro quotidiano fio rentino e alia condanna penale riportata dallo stesso Gozzini nella medesima citty di Firenze — risulta anche con evidenza
tipografica dalla inserzione dello scritto nella seconda pagina del «G-iornale del mattino » del 13 gennaio 1963 sotto altro articolo che & intitolato «L'Azione cattolica interviene per sconfessare un attacco al giovane obiettore di coscienza » e che reca il sopratitolo « Dopo il processo a Giuseppe Gozzini». Appare certo, quindi, per il modo stesso in cui lo scritto del Balducci & stato imoaginato oltre che per il suo contenuto, che l'incriminata pubblicazione anche in senso obiettivo s'inse riva in pieno nella polemica sorta in occasione del processo e della condanna del Gozzini e interloquiva su quel fatto in replica a don Stefani, onde — per chi leggeva il giornale — era possi bile e agevole comprendere che la lode degli obiettori di coscienza fatta dal Balducci era specificamente diretta al Gozzini.
«Il Tribunale ha ritenuto necessaria — per la configurazione del reato — la suggestivita della lode e ha creduto non provata la sussistenza di questo requisito per inidoneitä del fatto — se condo la comune sensibility — ad eccitare al reato. iC evidente oerõ la erroneitä, in fatto e in diritto, delle affermazioni del Tribunale. L'apologia si sostanzia in un'attivity che si ripro mette di inciiere soltanto sull'intelletto dei destinatari senza tendere ad influenzare la estrinsecazione dell'altrui volonty (come invece nella istigazione) e senza neppure mirare ad in fluenzare la genesi del pensiero altrui (come invece nella pro paganda). Pertanto, l'unico requisito che deve accompagnare la manifestazione apologetica (affinche non si versi nell'ipotesi di reato impossibile per inidoneity dell'azione ai sensi deH'art. 49, 1° capov., cod. pen.) & quello che l'elaborato del pensiero del soggetto attivo sia manifestato in modo tale da risultare trasferibile nell'intelletto altrui (vedasi la eitata sentenza 18 novembre 1958 della Suprema corte).
« N*el caso in esame questa possibility esisteva senza dubbio, essendo esplicita la difesa elogiativa del reato e agevolmente percepibile il nesso che la univa al fatto del Gozzini.
«Non & requisito necessario dell'apologia l'attitudine ad eccitare al reato, essendo questa una mera eventuality non es senziale alia nozione tipica del reato di apologia, perchä 1'at tivity esecutiva ha per oggetto un fatto concreto del passato e l'evento di pericolo (presunto) che ne deriva consiste nella offesa dell'ordine pubblico, inteso come interesse dello Stato a reprim^re quell'attivity, conpideiata come causa disgregatrice del sentimento di avversione alla inosservanza di norme cogenti, concorrendo l'apologia ad offuscare quell'atmosfera di comune fiducia nel rispetto delle leggi da parte dei consociati che costi tuisce la premessa indispensabile per una ordinata e pacifica convivenza sociale (eitata Cass. 18 novembre 1958).
« Essendo presunto dalla legge il pericolo di lesione del bene protetto non occorre accertarlo, bastandone la possibility che & insita nella stessa azione esecutiva. Peraltro tale possi bility, nella specie, non e solo presunta ma certa, come si & gia dimostrato, in quanto, nell'articolo, si contrapponevano un
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ISPRUDF.NZA PENALE 486
ideale di pace cristiano a quello della difesa della Patria con le armi (il cui uso sarebbe sempre da deprecarsi), nonch6 la incoer cibilitä. della coscienza individuale al vincolo che le leggi umane vi vorrebbero im porre, rendendosi inoltre queste tesi piii facil mente accettabili perchä enunciate come pensiero della Chiesa e altresi proclamate da un noto sacerdote e diffuse da un
quotidiano demDcristiano largamente letto nell'Italia centrale da un pubblico per lo piii composto di cattolici.
« Si e pure verificata nella specie quella particolare modality dell'azione che consiste nella pubblicit& del fatto : il reato, invero, fu posto in essere a mezzo della stampa (art. 414, ult.
capov., in relaz. all'art. 266, 3° capov., n. 1, cod. penale). «II dolo richiesto per l'apologia di delitto e quello generico
che, nel caso in esame, ricorre in modo evidente, avendo il Bal ducci con cosciente volontä dato alia stampa la sua risposta all'intervista e non potendo certamente egli non aver voluto
(come si e gia detto) quella difesa elogiativa del delitto che era insita nell'affermazione dell'ammirazione dovuta al colpevole di disobbedienza militare. Anzi, il dolo del prevenuto & da sti marsi piuttosto intenso a causa della malizia da lui usata nel
prospettare il suo pensiero personale sui motivi deirammira zione come se fosse stato pensiero della Chiesa.
« L'imputato, a sua dncolpa, ha sostenuto che l'ammirazione da lui espressa verso l'obiettore di coscienza che rifiuta di in dossare la divisa riguardava unicamente la convinzione morale" dell'obiettore di coscienza. Ma quest'assunto & infondato. Basta
leggere la frase incriminata per rendersi conto dello stretto le
game tra la «testimonianza di assoluta volonta di pace » e il
prezzo pagato per tale testimonianza (ossia l'espiazione della
pena). IS proprio la capacity di sacrificarsi per la propria idea e non l'idea in s& e per s& l'oggetto del sentimento di ammira zione. Ma la virtu ammirata nell'obiettore altro non & che la
capacity di delinquere e cioe di superare, in nome dei propri soggettivi convincimenti etico-religiosi, il normale ritegno morale che trattiene l'individuo dall'assecondare la spinta al delitto. E quindi, in definitiva, anche nell'intenzione del prevenuto il sentimento d'ammirazione di cui egli ha parlato doveva riguar dare pure il fatto delittuoso commesso dall'obiettore di co scienza e non solo le convinzioni morali che costituivano il motivo del reato di disobbedienza.
« Riguardo all'altra parte del fatto addebitato al prevenuto nel capo d'imputazione sempre sotto il titolo di apologia la Corte ritiene di dover diversamente definire il fatto, trattan dosi non di apologia di delitto (prevista dall'ultima parte del l'art. 414 cod. pen.), ma di istigazione a delinquere (prevista dalla prima parte dell'art. 414). La diversa definizione non
importa mutamento dell'accusa contestata perch&, in fatto, e stato contestato al Balducci che con le sue affermazioni sul dovere dei cattolici di disertare avrebbe fatto apologia del delitto di diserzione. In questo caso nel capo d'imputazione il termine « apologia » £ stato usato in senso piü lato di quello tecnico-giuridico di difesa elogiativa di un concreto avveni mento del passato, giacche colui che, scrivendo su un giornale, imperativamente afferma il dovere di disertare in caso di guerra soggettivamente stimata ingiusta, non si limita ad esaltare la diserzione ne si riferisce ad un reato del genere gi& commesso, ma incita quaMasi persona del pubblico per il presente e per 1'avvenire a disertare qualora si ver;fichi la condizione richiesta.
« L'istigazione contemplata nella prima parte dell'art. 414 cod. pen. & comprensiva anche della determinazione dell'altrui volere e quindi e costituita da qualsiasi attivitä. diretta ad ecci
tare, determinare, rafforzare o alimentare l'altrui risoluzione.
E, poichä l'istigazione prevista dall'art. 414 citato tende a spin gere al delitto, la medesima deve consistere nel rappresentare, alia psiche di coloro cui 6 rivolto, o motivi d'impulso a commet tere reati o motivi che demoliscono la resistenza alia spinta criminosa.
« La responsabilitä. del prevenuto per il delitto di istigazione alia diserzione sussiste auzitutto per quella parte dell'articolo in cui egli afferma il dovere dei cattolici di disertare in caso di
guerra totale perch& questa sarebbe sempre ingiusta per entrambi i belligeranti. Si & gi& dimostrato che il Balducci, anche su que sto punto, ha forzato il vero pensiero della Chiesa, la quale, per bocca di Pio XII, ha decisamente ammesso il diritto di
difesa anche nella guerra totale. E l'istigazione e tanto piü riprovevole nei confronti del nostro Paese in quanto, come si &
gia detto, non & ammissibile secondo il nostro ordinamento una
partecipazione dell'Italia a una guerra di quel tipo se non per
scopi di difesa. « Non v'& dubbio che l'eccitamento alia diserzione abLia
quei caratteri dell'istigazione a delinquere che sono stati sopra
precisati. La frase ha una particolare forza suggestiva non
solo in sh stessa (per il suo si»nificato imperativo e categorico, posto in risalto dal retorico contrasto « non dico il diritto, ma il
dovere di disertare »), ma soprattutto per il contesto, perch^
10 scittore fa sembrare ehe egli riporti il pensiero della Chiesa ehe, a suo dire, condannerebbe in modo assoluto come fatto contrario alla sua etica la partecipazione a una guerra to tale. ID manifesto cle la natura cogente del do vere apparentemente imposto dalla Chiesa alla coscienza de] cattolico e un motivo che, conosciuto dai destinatari dell'istigazione, potrebbe annui lare nel loro animo la controspinta al delitto e far risorgere l'im pulso a commettere il reato nella convinzione di compiere una azione doverosa e consona alia morale cattolica.
«Analoghe considerazioni (che del resto sono giä state ampiamente svolte nel corso della motivazione) vanno ripe tute riguardo agli altri punti dell'articolo concernenti la facolta del cittadino di giudicare da solo sulla liceitä della guerra, non ch& i suoi doveri morali e il valore della sua diserzione in guerre che fossero da lui reputate ingiuste.
« A nulla rileva che, dal punto li vista della forma dello scritto, il Balducci si presenti non come la persona da cui pro viene l'istigazione, ma come l'obiettivo interprete del pensiero altrui nel quale soltanto sarebbe contenuto l'eccitamento alia diserzione. Si e gia messo in evidenza come il prevenuto abl ia falsato il pen iero della Chiesa che s'era incaricato di chiarire. Questo dato ormai certo consente di ravvisare nella specie quella forma di istigazione che si suole definire «indiretta », nel senso che essa viene dissimulata attraverso scritti o discorsi apparen temente leciti. E difatti il Balducci ha dissim alato la sua per sonale istigazione sotto la parvenza di una obiettiva e perciõ lecita illustrazione delle norme di condotta poste dalla Chiesa.
« L'eccitamento a delinquepe, per poter integrare l'ipotesi preveduta neH'art. 414, prima parte, cod. pen., deve riguardare una determinate specie di attivita contraria al diritto penal e. Orbene, le espressioni « diserzione » e « disertare » che stanno a indicare nel loro senso tecnico ed anche nella piü comune acce zione un delitto contro l'obbligo del servizio militare non pos sono lasciar dubbi sulla specie di reato che forma oggetto dell'ec citamento. Non puõ essere presa in considerazione, perch& priva di qualsiasi fondamento logico, la discolpa deH'imputato che
nega di aver usato nel senso tecnico-giuridico la parola « diser zione » e « disertare », mentre il loro significato risulta inequivo cabile sia per la principale ed usuale accezione del termine sia
perche quei vocaboli sono usati con riferimento alia specifica ipotesi del cattolico chiamato a prestar servizio militare in
guerra. « Quanto al caso di guerra totale che sarebbe uno di quelli
in cui la diserzione sarebbe doverosa, vero e che il significato della espressione « guerra totale » non £ fisso perchd, come si &
giä, chiarito, & soggetto ad ampliamento della sua nozione in cor relazione con i sempre maggiori perfezionamenti degli ordigni offensivi di guerra e della strategia, ma questo non rende (al contrario di quanto ha affermato il Tribunale) ne indeterminata n6 vaga la condizione dell'eventualita di una guerra totale, essendo certo che per tale andrebbe considerato quel genere di
guerra che secondo i criteri del momento in cui intervenisse fosse definibile totale.
« Anche il delitto d'istigazione si consuma col compimento dell'azione esecutiva, in cui & insito l'evento di pericolo pre sunto, evento che perciõ non occorre accertare.
«II reato non vien reso impossibile, ai sensi dell'art. 49, 1° capov., cod. pen., per il fatto che l'accoglililita dell'istiga zione sia subordinata — quanto ai destinatari — alia loro du
plice quality di cattolici e militari e — quanto all'occasione —
al verificarsi di un caso di guerra totale o altra guerra reputata ingiusta. Basta, invero, la semplice possibility — la quale sicu ramente esiste — che tra i lettori del « Giornale del roattino »
vi siano destinatari dell'istigazione e cioe dei cattolici che siano militari o, qualora non lo siano attualirente, abbiano obblighi militari e possano essere chiamati alle armi nell'evenienza di una guerra. Non ha nemmeno importanza che, nel momento
presente, la guerra non sia in atto e che quindi manchi l'occa sione senza della quale non puõ essere commesso il delitto cui si
istiga. Tale reato, di massima, non puõ essere che futuro ed e
indifferente, ai fini della sussistenza del delitto d'istigazione, che il fatto istigato presupponga, quale condizione di fatto o di
diritto, un evento futuro senza del quale l'istigazione non po trebbe avere effetto. Invero, qualora, verificandosi la condizione, 11 fatto suggerito venisse comroesso a seguito di accoglimento
dell'istigazione, resterebbe pur sempre collegato mediante rap
porto di causality, come effetto a causa, con la precedente isti
gazione. Perciõ, nel caso pardcolare, in cui l'istigazione ha per
oggetto la diserzione in caso di guerra, e indifferente che non
sussista l'attualita della dichiarazione di guerra deliberata dal
Parlamento. « iD pacifico che il fatto 6 stato commesso per mezzo della
stain pa e quindi pubblicamente (art. 414, prima parte, in relaz.
aH'art. 266, ult. capov., n. 1, cod. pen.). II dolo richiesto e quello
generico e risulta sussistere nella condotta del giudicabile. La
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487 PARTE SECONDA 488
prova ehe egli con cosciente volontä abbia attribuito alia Chiesa
insegnamenti difformi da quelle che comunemente si ritengono essere le regole morali da lei dettate alia coscienza dell'indi viduo per il caso di guerra si rieava non solo dal fatto che il
prevenuto — come si & gia detto — non puö aver ignorato la dottrina normalmente accettata nella teologica morale cattolica, ma anche e particolarmente dalla doppiezza del suo com porta mento. La stessa dissimulazione del fine di propagare il proprio pensiero e l'abilit& con la quale il Balducci, mostrando di ripor tare fedelmente gli insegnamenti della Chiesa, ha esposto idee
proprie, inducono logicamente a ritenere che il prevenuto con volontä, cosciente abbia voluto anche i possibili effetti del suo articolo sui destinatari di quei precetti perentori di disertare che egli ha fatto apparire provenienti dalla Chiesa e rivolti a
tutti i cattolici. '< I irotivi per i quali il Balducci ha comtY esso l'apologia di
delitto e I'isti azione a delinquere sono penalmente indifferenti. « Egli ha agito per confutare le conclusioni cui era p^rve
nuto don Stefani nella valatazione etico-religiosa dell'atto de] Gozzini e forse anche per cogliere l'occasione di provocare, con la diffusione delle sue idee, un movimento dell'opinione pub llica in senso favorevole alia riforma della legge vigente sul servizio militare obbligatorio ed al riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza. Indubbiamente, il Balducci, come
qualsiasi altra persona, aveva il diritto di manifestare libera mente il proprio pensiero per mezzo della stampa (art. 21 della
Costituzione) sia rispetto alia valutazione teologico-morale del fatto commesso dal Gozzini, sia riguardo alia critica verso la
legge attuale e alia opinata necessity di modificarla. Non si disconosce nemmeno che la stampa, e specialmente quella di carattere periodico (come il « Giornale del mattino »), abbia una funzione sociale assolvendo al compito, essenziale nella vita civile moderna, d'informare e di formare 1a, pubblica opi nione sai piü vari argomenti (cronistico, storico, letterario, arti
stico, filosofico, scientifico, politico, religioso, ecc.). « Ma il diritto soggettivo in questione e la funzione della
stampa incontrano un naturale e inderogabile liirite nel dovere di rispettare l'ordine giuridico stabilito nei rapporti tra l'indi viduo e la collettivit&. In particolare, se la facoltä di comunicare ad altri notizie o idee viene esercitata contro un pubblico inte resse protetto da norma penale, cessa la causa giustificativa della tutela del diritto soggettivo pubblico riconosciuto dall'art. 21 della Costituzione e si ha non un lecito esercizio, ma un abuso di quel diritto. La giurisprudenza, nella ricerca dei criteri pra tici per tracciare la linea di confine tra l'attivita legittima e
quella illecita, ha, di volta in volta, ravvisato il lirrite al diritto — oltre il quale vi e l'abuso — nella continenza e pertinenza della manifestazione del pensiero al diritto d'informare, nella seriefcä e obi iettivitä. dell'informazione, nell'interesse pubblico alia esatta conoscenza da parte del popolo dei fatti, problem i o
questioni di cui la stampa d& notizia. « Applicando, ora, i suindicati principi e criteri al caso di
specie, si rileva che il prevenuto sarebbe rimasto nell'^mbito dell'esercizio del proprio diritto di informare il pubblico sulla soluzione da darsi alia dibattuta questione sul piano teologico morale se si fosse limitato obiettivamente a dimostrare — e dichiarando onestamente che si trattava di una sua personale interpretazione dei principi cristiani — che l'obiezione di co scienza era da stimarsi non contraria ed anzi conforme alia mo rale cattolica perche determinata da volontä di pace. Ne egli avrebbe ecceduto i limiti di una lecita critica alia legge vigente sul servizio militare obbligatorio se avesse sviluppato con obiet tivitä i motivi desumibili a suo parere dai principi del cristia nesimo che imporrebbero la riforma di quella legge. Invece, l'esaltazione del reato commesso dalFobiettore di coscienza e il perentorio incitamento a disertare rappresentano, nelFarticolo del Balducci, degli sconfinamenti dalla sfera di legittimo eser cizio del diritto soggettivo e offendono senza alcuna necessity il bene dell'ordine pubblico penalmente tutelato nell'art. 414 cod. penale. Inoltre, tale abuso commesso in occasione dell'eser cizio del diritto £ aggravato dalla simulazione — mirante a far
piü facilmente presa sul pubblico —- che l'autore dello scritto rifarisse il vero pensiero della Chiesa, mentre in realty espri meva idee proprie.
« L'eccesso dai limiti d'esercizio del proprio diritto d'infor mare e orientare i lettori, accompagnato dalla mancanza di
obiettivitä, e veridicitä, fu posto in essere dal Balducci — come
6 giä, stato diniostrato — con piena consapevclezza ed intenzione, al fine fazioso di far prevaltre piu sicuramente nel pubblico le
sue tesi personali come se fossero dottrina della Chiesa e perciõ egli non puõ invocare alcuna causa di giustificazione della pro pria condotta, nerameno sotto l'aspetto putativo. Per queste
ragioni l'appello del P. m. va accolto nei confronti del Balducci, con la condanna dello stesso per i fatti contestation, ma coii
diversa definizione giuridica dei fatti sotto il titolo dei concor
renti delitti di istigazione a delinquere e di apologia di delitto. « Anche l'altro imputato, il Pinzauti, va dichiarato colpe
vole dei fatti ascrittigli. Egli deve rispondere, come direttore
responsabile del giornale, dei reati commessi dal Balducci. Secondo il testo formulato nella legge 4 marzo 1958 n. 127, l'art. 57 cod. pen. configura un reato autonomo, nella struttura del quale la commissione di un reato mediante la pubblicazicre si pone come evento e non come condizione di punibilita. Pur non essendo voluto dal colpevole, il detto evento & legato da un
rapporto di causalita alia omissione del doveroso controllo da
parte del direttore o vicedirettore responsabile. II reato ha carattere colposo e la colpa & costituita dalla inosservanza del dovere di controllo. Rispetto a tale obbligo sono ipotesi equiva lent! di comportamento punibile la omissione colposa del con
trollo ed il controllo eseguito negligentemente. « La colpa del Pinzauti per negligenza nel controllo & evi
dente e macroscopica. Egli, per sua stessa ammissione, ben conosceva l'articolo prima di pubblicarlo, avendo sollecitato l'intervista con padre Balducci. Le espressioni dell'incitamento alia diserzione attribuito alia Chiesa erano di per s£ stesse indi cative di una istigazione illecita secondo le leggi dello Stato ; la lode rivolta agli obiettori di coscienza era palesemente allu siva alia persona del Gozzini e al reato da costui commesso. Se il Pinzauti — come egli stesso ha ammesso — non seppe per cepire la sussistenza nello scritto del Balducci degli elementi di fatto ehe integrano i reati di istigazione a delinquere e di
apologia di delitto, questo denota l'esercizio del controllo in modo superficiale, incompleto e perciõ negligente e imputa bile come condotta colposa produttiva dell'evento, giacche se fosse stato diligente nell'esame del testo dell'intervista avrebbe inevitabilmente avuto consapevolezza della criminositä del suo contenuto e avrebbe dovuto e potuto impedirne la pubblicazione.
« La Corte ritiene di dover applicare nei confronti di en trambi gli imputati le attenuanti generiche in considerazione della loro incensuratezza, ma non la diminuente dei motivi di
particolare valore morale o sociale, giacch& il motivo della sog gettiva etica religiosa professata dal Balducci che costitui uno dei moventi del reato si presenta in antitesi con i principi di mo rality e di solidarietä. politica ricevuti nel nostro ordinamento
positivo e perch&, per quanto riguarda il Pinzauti, il motivo che lo ha spinto al fatto e che & consistito nello scopo di inte ressare e informare il pubblico nell'esercizio professional della sua attivitä giornalistica, per quanto questa attivita abbia una funzione socialmente utile, non ha un cosi alto contenuto di valore morale o sociale da giustificare l'applieazione dell'art. 62, n. 1, cod. pen. (tale norma non si appaga di un qualsiasi valore morale o sociale, ma esige che il valore in questione sia « parti colare »).
« Avuto riguardo alle circostanze di cui pll'art. 133 ccd. pen., quali risultano dalla motivazione che precede, si reputa equo irrogare : a) al Balducci la pena base di un anno di reclusione dirrinuita a otto mesi in forza delle attenuanti generiche ; b) al Pinzauti, la pena base di mesi nove di reclusione, diminuita a mesi sei per l'art. 62 bis cod. penale. Alia condanna corseglie la pena accessoria della pubblicazione della presente sentenza sul « Griornale del mattino », ai sensi dell'art. 9 della legge 8 febbraio 1948 n. 47. Si reputa di dover disporre che la sentenza sia pubblicata solo per estratto.
« Presumendosi che i colpevoli si asterranno dal ricadere nel
reato, si concede loro il beneficio della sospensione condizionale della pena. Non compete l'altro beneficio della non menzione della condanna ostandovi l'applieazione della pena accessoria
I (art. 175, ult. capov., cod. penale) ».
FINE DELLA PARTE SECONDA
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