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Rivista Diocesana Monregalese · 2013. 10. 4. · 3 Rivista Diocesana Monregalese Anno XLVI –...

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1 Avvertenza Per ragioni pratiche, si sono raccolti in questa pubblicazione due numeri della “Rivista diocesa- na”, uno in riferimento al secondo semestre 2012 e l’altro al primo semestre 2013. Graficamente i testi sono divisi e assemblati come se si trattasse di due fascicoli separati, che restano racchiusi in un unico stampato. Per cui a pag. 81 inizia la “Ri- vista” del periodo gennaio-giugno 2013 Rivista Diocesana Monregalese Sommario Rivista Luglio-Dicembre 2012 pagina 3 Sommario Rivista Gennaio-Giugno 2013 pagina 81
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AvvertenzaPer ragioni pratiche, si sono raccolti in questa

pubblicazione due numeri della “Rivista diocesa-na”, uno in riferimento al secondo semestre 2012 e l’altro al primo semestre 2013. Graficamente i testi sono divisi e assemblati come se si trattasse di due fascicoli separati, che restano racchiusi in un unico stampato. Per cui a pag. 81 inizia la “Ri-vista” del periodo gennaio-giugno 2013

Rivista Diocesana Monregalese

Sommario RivistaLuglio-Dicembre 2012 pagina 3

Sommario RivistaGennaio-Giugno 2013 pagina 81

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DIOCESI DI MONDOVÌ

Nuovi numeri telefonici degli Uffi ci diocesani di CuriaUffici amministrativi- Centralino 0174-330420- Fax 0174-553533- Vicario generale 0174-567258 [email protected] Cancelliere 0174-567305 [email protected] Economo 0174-567302 [email protected] [email protected] Ufficio cassa 0174-567303- Ufficio beni culturali 0174-567304 [email protected] Ufficio dich. redditi 0174-567259 [email protected] Archivio diocesano 0174-567301- Istituto di musica sacra 0174-567313 [email protected]

Istituto Diocesano Sostentamento Clero- Presidente 0174-567300 [email protected] Direttore 0174-330326 [email protected] Fax 0174-553531

Uffici pastorali- Centralino 0174-330486- Fax 0174-553534- Segreteria 0174-555477 [email protected] Coordinatore 0174-555476 [email protected] CPD e CDAL 0174-555478 [email protected] [email protected] Pastorale giovanile 0174-555490 [email protected] Ufficio catechistico 0174-555491 [email protected] Cittadella della carità 0174-45070 [email protected] Azione Cattolica 0174-555496 [email protected]

Seminario- Centralino 0174-339110 [email protected] Fax 0174-553599- Rettore 0174-567284- Segreteria/economo 0174-567261- Suore 0174-567260- Biblioteca 0174-567297Mons. Sebastiano Dho 0174-553530

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Rivista Diocesana Monregalese

Anno XLVI – Luglio - Dicembre 2012 N. 2

Sommario

LA PAROLA DEL PAPA5 Un bambino e una donna

7 GIORNATA DELLA PACE“Beati gli operatori di pace”

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA9 Sanare le ferite11 Religione a scuola: cosa c’è di nuovo13 Migrazioni e religioni

15 2ª GIORNATA NAZIONALE DEL RINGRAZIAMENTOConfida nel Signore e fa’ il bene: abiterai la terra

17 LE SFIDE DI OGGI PER I CREDENTILa Chiesa è viva

18 Fidanzati, verso il “sì” per sempre

CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE20 La fede da trasmettere ai più piccoli

22 PROTOCOLLO D’INTESA CEP- REGIONE PIEMONTEBeni culturali religiosi, intesa con la Regione

LA PAROLA DEL VESCOVO23 Scegliere l’età per Cresima e prima Comunione

26 LETTERA PASTORALE“La fede, affidabile e collaborativa”

27 Quattro passi indispensabili per credere oggi

29 ANNO DELLE FEDE1) Prime indicazioni2) Giovedì 11 ottobre 20123) Tre impegni per tutti

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31 A Valsorda, primo passo condiviso33 MESSAGGIO DI NATALE

“Riapriamoci alla speranza, ripartendo dalla logica del dono”

35 RITIRO SPIRITUALE DELL’ANNO DELLA FEDEUnità pastorali

37 Pastorale e teologia

DIOCESI45 I Capitoli delle Congregazioni

47 SETTIMANA BIBLICARe-imparare da Luca i passi del Vangelo

48 Prete tra i monaci ai Boschi

49 TRE-GIORNI TEOLOGICA Credere ancora, in tempi di crisi

53 CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANOChiedere il Battesimo per i piccoli impegna i grandi

55 IL BRASILE CHE È GEMELLATO CON NOIRisposte ad un Paese reale in difficoltà

57 APPELLO DI DON RENATO CHIERA«Chiedo a tutti e ad ognuno di non abbandonarci»

59 GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE “Ho creduto, ho parlato”

61 A CINQUANT’ANNI DAL VATICANO IIUn Concilio che ci sta davanti, non alle spalle

63 IL RITO DELLE ESEQUIELa speranza cristiana oltre la morte umana

65 “Il dolore della mente”, come farsi carico del disagio psichico

66 FIGURE L’addio a mons. Massimo Giustetti

68 CONVEGNO MIGRANTES“La salvezza è sempre altrove”

70 Accanto agli orfani di Butea e Oradea

72 AGGREGAZIONI LAICALI«La fede che ci unisce e ci impegna»

74 ESERCIZIO FINANZIARIO 2012

78 ATTI E COMUNICATI DELLA CURIA

80 IN MEMORIAM

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LA PAROLA DEL PAPA

Un bambino e una donna“L’infanzia di Gesù” conclude la trilogia iniziata nel 2006

“L’infanzia di Gesù”, terzo libro della trilogia iniziata nel 2006 da Joseph Rat-zinger con il “Gesù di Nazaret”, e proseguita poi nel 2010 con “Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, è da mercoledì 21 novembre nelle librerie di 50 Paesi del mondo, tradotto in 9 lingue. La prima edizione, di oltre un milione di copie, sarà presto seguita dalle traduzioni in altre 20 lingue che diffonderanno il volume in altri 72 Paesi. Il Papa offre ai lettori di tutto il mondo uno “spaccato” dei primi anni della vita di Gesù, soffermandosi in particolare sulla genealogia del Salvatore, così come delineata nei Vangeli di Matteo e di Luca (primo capitolo). Passa poi a riflettere sugli eventi che fanno seguito all’annuncio a Maria (secondo capitolo) e al loro significato per l’intera umanità dopo la risposta “libera” della stessa madre di Gesù. Nel terzo capitolo, quello sulla nascita, la figura del Cristo viene collocata nella storia del suo tempo, con la concretezza del dominio da parte dell’impero romano sulla Palestina. Infine, nel quarto capitolo compaiono i Magi, simbolo della ricerca che ogni uomo e donna compiono verso la verità profonda dell’esistenza e del suo senso trascendente. Il libro si chiude poi con l’episodio di Gesù tra i “dottori nel tempio”, prefigurazione della rivelazione piena che verrà nel mondo dal momento in cui il Figlio di Dio inizierà il suo ministero di annun-cio.

Tra mito, pia leggenda e realtà storica. A riguardo della figura di Maria, il Papa si sofferma in particolare su eventi dei quali si è discusso per secoli. Nel capitolo sul “parto verginale - mito o verità storica?”, ad esempio, pone senza esitazioni la domanda: “È una realtà storica, un reale evento storico, oppure è una pia leggenda che, a modo suo, vuole esprimere e interpretare il mistero di Gesù?”. La risposta è articolata. Oltre a riferirsi a varie interpretazioni storiografiche e socio-religiose, Benedetto XVI richiama concezioni religiose dell’antichità (la “nascita dei faraoni egiziani” come “legittimazione teologica del culto del sovra-no” che viene collocato nella “sfera del divino”; oppure la “generazione dei figli dei Patriarchi da un seme divino” che ha “un carattere allegorico”). Questi e altri richiami non attenuano – afferma il Papa – la profondità della “differenza di con-cezioni” che, per quanto riguarda i Vangeli, conserva “l’unicità dell’unico Dio e l’infinita differenza tra Dio e la creatura”.

Come si capisce se Dio è davvero Dio? La risposta forse più sorprendente che Benedetto XVI offre alle grandi domande di senso che vengono sollevate, ad

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esempio, circa la nascita verginale di Gesù, riguarda il “potere di Dio”. Scrive in-fatti che “non si tratta di qualcosa d’irragionevole e di contraddittorio, bensì pro-prio di qualcosa di positivo: del potere creatore di Dio”. Così – prosegue - “questi due punti – il parto verginale e la reale resurrezione dal sepolcro - sono pietre di paragone per la fede. Se Dio non ha anche potere sulla materia, allora Egli non è Dio”. Ma – conclude – “Egli possiede questo potere, e con il concepimento e la Risurrezione di Gesù Cristo ha inaugurato un nuova creazione”.

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GIORNATA DELLA PACE

“Beati gli operatori di pace”“La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. L’uomo è fatto per la

pace che è dono di Dio”. Ma “per diventare autentici operatori di pace sono fon-damentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste”. Lo scrive Bene-detto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale della pace (1º gennaio 2013) intitolato “Beati gli operatori di pace”. Un testo, nel quale il Pontefice tratteggia una sorta d’identikit dell’operatore di pace definito come “colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace”.

Le strade della pace. Una di queste è “il rispetto per la vita umana”. Operatori di pace sono coloro che, afferma il Papa, “amano, difendono e promuovono la vita, dal suo concepimento e sino alla sua fine naturale, nella sua integralità, in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente”. Per Benedetto XVI, “chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita. Coloro che sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. Ogni le-sione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente”. Anche la struttura naturale del matrimonio “va riconosciuta – si legge nel messaggio – e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo inso-stituibile ruolo sociale”. Cooperazione alla pace è anche il riconoscimento del “diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eu-tanasia”. Altra via da percorrere in vista della “vita pacifica dei popoli”, è quella della libertà religiosa, un diritto, si legge nel testo, da promuovere “dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri”. Purtroppo, anche in Paesi di

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antica tradizione cristiana, denuncia Benedetto XVI, “si stanno moltiplicando gli episodi d’intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo”.

Nuovo modello di sviluppo. Tra i diritti oggi maggiormente minacciati vi è quello al lavoro: “Ciò è dovuto al fatto – scrive il Pontefice – che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non ven-gono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe so-prattutto dalla piena libertà dei mercati. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si con-tinui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo man-tenimento, per tutti”. Ne consegue per Benedetto XVI la necessità di “un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia” che abbia Dio “come riferimento ultimo”. Riferendosi poi alla crisi finanziaria ed economica, il Papa afferma che “l’operatore di pace esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future”. Ben più grave della crisi finanziaria è, ad avviso di Benedetto XVI, quella alimentare. Per fronteggiarla, gli operatori di pace “sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico”. Nel-la ricerca del bene comune, gli operatori di pace sono, inoltre, chiamati a “coltiva-re la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore. In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le comunità religiose, la Chiesa, attraverso la nuova evangelizzazione, e le istituzio-ni culturali, scolastiche ed universitarie”.

Una pedagogia del perdono. Emerge, in conclusione, la necessità di promuo-vere una pedagogia della pace. Bisogna, scrive Benedetto XVI, “insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano. Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, co-raggio e perseveranza. E Gesù incarna l’insieme di questi atteggiamenti”.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Sanare le ferite7ª Giornata per la salvaguardia del creato

Celebrare la Giornata per la salvaguardia del creato significa rendere grazie al Creatore”, senza “dimenticare le ferite di cui soffre la nostra terra”. Si apre così il messaggio Cei per la 7ª Giornata per la salvaguardia del creato, che si celebra il 1º settembre sul tema “Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della terra”.

Le tante sofferenze della terra. “Non vanno dimenticate le ferite di cui soffre la nostra terra, che possono essere guarite solo da coscienze animate dalla giusti-zia e da mani solidali”, si legge nel messaggio, che invita ad una “riconciliazione con il creato, perché il mondo in cui viviamo porta segni strazianti di peccato e di male causati anche dalle nostre mani, chiamate ora a ricostituire mediante gesti efficaci un’alleanza troppe volte infranta”. I vescovi italiani ricordano, in parti-colare, “le tante sofferenze sperimentate, in questo anno, da numerose comunità, segnate da eventi luttuosi”, come “le immense ferite inflitte dal terremoto nella Pianura Padana”. “Mentre riconosciamo la nostra fragilità, cogliamo anche la for-za della nostra gente, nel voler ad ogni costo rinascere dalle macerie e ricostruire con nuovi criteri di sicurezza”. Ma anche “le alluvioni che hanno recato lutti e distruzioni a Genova, nelle Cinque Terre, in Lunigiana e in vaste zone del Messi-nese”. In questo senso è “significativo” che il 9 ottobre sia stato dichiarato dallo Stato italiano “Giornata in memoria delle vittime dei disastri ambientali e indu-striali causati dall’incuria dell’uomo”. Facendo riferimento alla storia biblica di Giuseppe, venduto dai fratelli per rivalità e gelosia, i vescovi ricordano che “nella precarietà della crisi che si abbatte sul Paese, resa visibile dalle vacche magre e dalle spighe vuote, immagini di forte suggestione anche per il momento attuale, la relazione del popolo con la terra sarà sanata proprio grazie alla lungimiranza e alla responsabilità per il bene comune”.

Un compito educativo. Tra “ecologia del cuore ed ecologia del creato” vi è un “nesso inscindibile”, come ricorda Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”, visto che “l’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento”, e “molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte” che “riducono la natura a un semplice dato di fatto o, all’opposto, la considerano più importante della stessa persona umana”. Occorre perciò “annunciare queste verità con crescente consapevolezza, perché da esse potrà sgorgare un concreto

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e fedele impegno di guarigione dell’ambiente calpestato”. Si tratta di un compito che “offre l’occasione per catechesi bibliche, momenti di preghiera, attività di pastorale giovanile, incontri culturali” e “una responsabilità che appartiene anche ai docenti, in particolare agli insegnanti di religione”.

Denunciare gli abusi. “Accanto all’annuncio – osservano – è necessaria anche la denuncia di ciò che viola per avidità la sacralità della vita e il dono della terra”. I vescovi citano, a questo proposito, la questione dell’eternit a Casale Monferra-to, “con i gravi impatti sulla salute di tanti uomini e donne, che continueranno a manifestarsi ancora per parecchi anni”. “Un caso emblematico – scrivono –, che evidenzia lo stretto rapporto che intercorre tra lavoro, qualità ambientale e salute degli esseri umani. L’attenzione vigilante per tale drammatica situazione e per i suoi sviluppi deve accompagnarsi alla chiara percezione che l’amianto è solo uno dei fattori inquinanti presenti sul territorio. Vi sono anzi aree nelle quali purtroppo la gestione dei rifiuti e delle sostanze nocive sembra avvenire nel più totale spre-gio della legalità, avvelenando la terra, l’aria e le falde acquifere e ponendo una grave ipoteca sulla vita di chi oggi vi abita e delle future generazioni”.

Scelte e stili di vita. “Annunciare la verità sull’uomo, sul creato e denunciare le gravi forme di abuso – sottolineano – si accompagna alla messa in atto di scel-te e gesti quali stili di vita intessuti di sobrietà e condivisione, un’informazione corretta e approfondita, l’educazione al gusto del bello, l’impegno nella raccolta differenziata dei rifiuti, contro gli incendi devastatori e nell’apprendistato della custodia del creato, anche come occasioni di nuova occupazione giovanile”. I vescovi concludono con un invito “a tornare a riflettere sul nostro legame con la terra e, in particolare, sul rapporto che le comunità umane intrattengono col terri-torio in cui sono radicate”. “Le stesse mani dell’uomo, sostenute e guidate dalla forza dello Spirito, potranno così guarire e risanare, in piena riconciliazione, il creato ferito, a noi affidato dalle mani paterne di Dio, guardando con responsabi-lità educativa alle generazioni future”.

a cura di Patrizia Caiffa

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Religione a scuola: cosa c’è di nuovo

Firmate due “Intese tra il presidente della Cei card. Bagnasco ed il ministro dell’istruzione prof. Profumo

“L’atto che stiamo per compiere non solo conferma lo stile di dialogo e di col-laborazione che caratterizza i rapporti tra le nostre istituzioni, ma consolida ulte-riormente l’armonioso inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nei percorsi formativi della scuola italiana”. Lo ha detto il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che ha firmato con il ministro per l’Istruzione, Francesco Profumo, due nuove intese Cei-Miur sull’Insegnamento della religione cattolica. Le due intese, ha spiegato il presidente della Cei, rispondono ad una “duplice esi-genza”: da una parte, “ridefinire il profilo di qualificazione professionale dei fu-turi insegnanti di religione cattolica, armonizzando il percorso formativo richiesto per l’insegnamento della religione cattolica con quanto previsto, oggi, per l’inse-gnamento nelle scuole di ogni ordine e grado in Italia”. Dall’altra, “definire una nuova versione delle indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, sulla base dei rinnovati documenti che il Miur ha elaborato in un quadro di riforma dell’intero sistema educativo di istruzione e formazione”. Circa il primo aspetto – ha proseguito il card. Bagnasco – “l’emanazione dell’Istruzio-ne sugli Istituti superiori di Scienze religiose, da parte della Congregazione per l’educazione cattolica, e l’approvazione in ambito civile dei nuovi percorsi di formazione accademica per l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, così come i passi di riforma che hanno interessato tutto il sistema educativo di istruzione e formazione in Italia, hanno reso necessario procedere all’aggiorna-mento dell’Intesa in materia di insegnamento della religione cattolica, sottoscritta il 14 dicembre 1985”. Tenendo conto, inoltre, “del nuovo assetto dei Licei, de-gli Istituti tecnici e degli Istituti professionali, nonché dei percorsi di istruzione e formazione professionale”, la Cei e il Miur hanno deciso di sottoscrivere le nuove indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, “differenziandole in modo tale da rispecchiare al meglio il carattere e l’imposta-zione culturale di ciascuna tipologia di scuola e del particolare ordinamento del-l’istruzione e formazione professionale”. Il card. Bagnasco ha ricordato come la Cei si sia “costantemente” impegnata “nell’aggiornare” i programmi dell’Irc per adeguarli al processo di riforma della scuola italiana, ma anche a considerare l’Irc “espressione dell’impegno educativo della Chiesa nella scuola”. I due testi riguar-dano questioni differenti ma ugualmente importanti. Il primo, una vera modifica dell’Intesa Cei-Mpi del 1985, seguita al “Nuovo concordato” del 1984, aggiorna i

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profili di qualificazione professionale dei docenti di religione. La logica di fondo, già ben presente nel 1984 e 1985, è quella di garantire docenti preparati, veri pro-fessionisti della scuola, che possano operare con competenza e qualità all’interno dell’istituzione pubblica. È, questo, un portato proprio del nuovo Concordato, che a suo tempo, ridefinì l’insegnamento cattolico in senso propriamente scolastico e permise di indicare titoli di studio precisi per i docenti. Una logica che è proseguita fino al riconoscimento del ruolo giuridico dei docenti di religione: professionisti della scuola, come i colleghi delle altre materie. Una logica, ancora, che sostiene il capillare e continuo impegno di formazione in servizio organizzato sia a livello nazionale, sia locale, per gli Idr. Ora i titoli di accesso alla professione (si partirà del 2017) sono aggiornati ai cambiamenti avvenuti nei percorsi formativi univer-sitari e in linea con le nuove istruzioni sugli Istituti superiori di scienze religiose.La seconda intesa appena firmata riguarda, invece, le nuove indicazioni per l’in-segnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, sulla base dei rinnovati documenti che il Miur ha elaborato in un quadro di riforma dell’intero sistema educativo d’istruzione e formazione. Sono, attesissimi, i “nuovi programmi” per le Superiori che in questi anni hanno sofferto un periodo di “vacanza” dovuto anche al continuo mutare degli orientamenti circa la riforma scolastica.

Appello dei vescovi: “L’ora di religione, un’opportunità preziosa”

“Cari genitori, studenti e docenti, ci rivolgiamo a voi consapevoli che l’Inse-gnamento della religione cattolica (Irc) è un’opportunità preziosa nel cammino formativo, dalla Scuola dell’infanzia fino ai differenti percorsi del secondo ciclo e della formazione professionale, perché siamo convinti che si può trarre vera am-piezza e ricchezza culturale ed educativa da una corretta visione del patrimonio cristiano-cattolico e del suo peculiare contributo al cammino dell’umanità”. Lo sottolinea il messaggio della Presidenza della CEI, scritto in vista della “preziosa opportunità” di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica nel prossimo anno scolastico. “La Scuola sarà se stessa – si legge ancora – se porterà le nuove generazioni ad appropriarsi consapevolmente e creativamente della propria tradi-zione”. I vescovi evidenziano che vogliono “anzitutto ascoltare le domande che vi sorgono dal cuore e dalla mente e insieme con voi operare per il bene di tutti. Lo abbiamo fatto nel redigere le nuove indicazioni per l’Irc nella Scuola dell’infanzia, del primo e del secondo ciclo, con l’impegno di sostenere una Scuola a servizio della persona”. Affermano inoltre che “L’Irc a scuola è in grado di accompagnare lo sviluppo di un progetto di vita, ispirato dalle grandi domande di senso e aperto alla ricerca della verità e alla felicità, perché si misura con l’esperienza religiosa nella sua forma cristiana propria della cultura del nostro Paese”.

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Migrazioni e religioniSono già 2.300 i sacerdoti immigrati che operano in Italia

“L’argomento religione è stato piuttosto trascurato o minimalizzato nelle ri-cerche e nella letteratura sull’immigrazione”, invece “l’aspetto religioso acquista oggi dimensioni ed interesse crescenti”. Infatti, “attraverso nuove immigrazioni, la costituzione di nuovi nuclei familiari, le conversioni (collegate soprattutto alla celebrazione di matrimoni interreligiosi) aumenta il numero dei centri religiosi non cattolici (moschee, chiese, pagode…) e cambiano riti e sensibilità fra i catto-lici”. Lo ha detto mons. Giancarlo Perego, direttore generale Migrantes, durante la presentazione del volume “Asia-Italia. Scenari migratori” promosso e finanzia-to dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Migrantes. Il volume focalizza l’atten-zione sulle migrazioni che dall’Asia si dirigono verso l’Italia.

Nuovi scenari. “Guardare alle appartenenze religiose dei migranti – ha pre-cisato mons. Perego – significa porre l’attenzione alla complessità delle storie personali e collettive, arricchire le facce del prisma che ci restituisce l’immagine del migrante non solo come lavoratore o lavoratrice, non solo come clandestino o irregolare, non solo come alunno o studente, non solo come utente dei servizi, ma come persona”. In realtà, “il fenomeno della mobilità crescente mentre favorisce nuove possibilità di scambio tra i popoli, crea identità meticcie, alimenta anche pesanti conflittualità”. Di fronte a questa situazione, in cui “è forte la tentazione della chiusura”, “sono fondamentali atteggiamenti ispirati all’ascolto, all’acco-glienza e alla ospitalità nei confronti dello ‘straniero’, superando tanto il model-lo dell’assimilazione che nega la differenza, quanto quello della tolleranza che mantiene la distanza, e promuovendo una forma di integrazione, che si sforzi di trasformare la multiculturalità e la multireligiosità in interculturalità e in interre-ligiosità”.

Alcuni dati. In questi nuovi scenari l’Italia, ha sottolineato il direttore gene-rale di Migrantes, “sta diventando differente anche sul piano della cattolicità” e al tempo stesso “sta diventando diversamente religiosa”. Facendo riferimento in particolare al Continente asiatico, mons. Perego ha snocciolato alcuni nume-ri: “Dei 766.000 immigrati, 205.000 sono musulmani, 158.000 cristiani, 114.000 induisti, 88.000 buddisti, 60.000 appartenenti ad altre religioni orientali. I catto-lici sono originari soprattutto dalle Filippine (109.000); sempre dalle Filippine sono 7.000 cristiani riformati. I musulmani sono soprattutto originari del Pakistan (73.000), Bangladesh (71.000). Gli induisti e gli appartenenti alle religioni orien-tali provengono dall’India e dalla Cina”. Secondo il direttore di Migrantes, “è un mondo cristiano e religioso straordinario, un laboratorio di esperienze religiose che chiede un dialogo ecumenico e religioso rinnovato nella quotidianità, costrui-

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to su esperienze di studio, di ricerca, di incontro e di dialogo con i nostri ‘fratelli’, come ha invitato a fare il Concilio Vaticano II”.

Guardare al futuro. In questa nuova realtà, “la Chiesa italiana è invitata dal-le migrazioni” a “ripensare i luoghi educativi (gli oratori e le scuole cattoliche in particolare), la liturgia, che è stata arricchita da tradizioni diverse (bizantina, siro-malabarese…), gli itinerari di fede e di iniziazione cristiana, il presbiterio diocesano (ricco di 2.300 sacerdoti immigrati), il mondo delle religiose (oltre 3000 provenienti da altri Paesi del mondo), lo stile e gli strumenti di accoglienza, i mezzi di comunicazione sociale”. L’esperienza di una Chiesa cattolica italiana differente invita, pertanto, “a un percorso educativo, non unilaterale, che dalle re-lazioni personali e sociali passa alle relazioni ecclesiali”. Non solo: “La presenza in Italia di quasi 2 milioni e 500 mila immigrati provenienti da tradizioni e co-munità religiose cristiane, in particolare dal mondo ortodosso, chiede un ritorno a un dialogo ecumenico che da una parte è costruita sulla conoscenza, ma dall’altra costruita sulle relazioni, di cui la preghiera costituisce l’elemento centrale”. Nelle diocesi italiane “si moltiplicano le iniziative nel segno del dialogo ecumenico: celebrazioni comuni, libri per la preghiera comune, la concessione di edifici sacri a comunità ortodosse, centri di ascolto e servizi di carità in comune con il mon-do protestante…”. Per mons. Perego, “sono segni che s’inseriscono dentro un cammino ecumenico e, in particolare, di dialogo con la Chiesa orientale ortodos-sa”. Quanto al futuro, “la stabilità di questo quadro delle appartenenze religiose dipende dall’incidenza dei flussi. Se nel futuro – come è probabile – prevarran-no i flussi dall’Africa, in particolare da quella subsahariana, e dall’Asia (Cina e India da sole raggiungeranno a breve i 3 miliardi di abitanti), si determinerà una maggiore presenza islamica e atea, anche se da questi Paesi arrivano – come la ricerca evidenzia – pure numerosi cattolici e oltre che induisti e buddisti”. “Il domani – ha concluso il direttore di Migrantes – si prepara nel dialogo che oggi si costruisce”.

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2ª GIORNATA NAZIONALE DEL RINGRAZIAMENTO

Confi da nel Signore e fa’ il bene: abiterai la terraIl lavoro dei campi rivisitato con gli occhi della fede

«Confida nel Signore e fa’ il bene: abiterai la terra» (Sal 37,3). Questo bel ver-setto descrive efficacemente il cuore di tutti noi nella tradizionale Giornata del Ringraziamento rurale, che celebriamo agli inizi dell’Anno della fede, tempo di grazia e di benedizione, indetto da papa Benedetto XVI. Le parole del Salmo sono l’espressione di uno stile di vita radicato nella fede, con il quale desideriamo ringraziare il Signore per ogni dono che compie nelle nostre campagne e per il lavoro dei nostri agricoltori. È l’Anno della fede, da cogliere nei gesti stessi del lavoro dei campi. Che cosa sono infatti le mani dell’agricoltore, aperte a seminare con larghezza, se non mani di fede? Non è forse la fede nella gioia di un raccolto abbondante, solo intravisto, a guidare le sue mani nella necessaria potatura, do-lorosa ma vitale? E quando il corpo si piega per la fatica, che cosa lo sorregge e ne asciuga il sudore se non questa visione di fede, che allarga gli orizzonti e apre il cuore?

Ecco perché in questa festa, occasione attesa per benedire il Signore per i frutti della terra, diciamo il nostro grazie a tutti coloro che operano tra i campi e i filari, che credono nel futuro investendo, anche con grande rischio, i loro sacrifici per il bene della famiglia e della società tutta. Non ci stancheremo mai di far sentire come importante questa Giornata del Ringraziamento, memori dell’esortazione di papa Benedetto XVI a «fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità» (Caritas in veritate, n. 34). Nella fede riconosciamo la mano creatrice e provvidenziale di Dio che nutre i suoi figli. Ciò appare in modo speciale a quanti sono immersi nella bellezza e nell’operosità del lavoro rurale. Guai se dimenti-cassimo la relazione d’amore e di alleanza che Dio ha intrecciato con noi e che diventa vivissima davanti ai frutti della terra, per i quali rendiamo grazie secondo il comandamento biblico: «Il Signore, tuo Dio, sta per farti entrare in una buona terra: terra di torrenti, di fonti e di acque sotterranee, che scaturiscono nella pia-nura e sulla montagna; terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio e di miele; terra dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; terra dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame. Mangerai, sarai sazio e benedirai il Signore, tuo Dio, a causa della buona terra che ti avrà dato» (Dt 8,6-10).

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Nell’ottica dell’Anno della fede, va colto il passaggio di Dio nella fatica e nella bellezza del lavoro dei campi: se «si arriva a riscoprire la natura nella sua dimen-sione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo, cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così nell’orizzonte del mistero, che apre all’uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo sguardo dell’uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si disvela la Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice» (n. 487). Ci aiuti San Martino, il cui gesto di condivisione del mantello è simbolo di ogni dono perfetto che viene dal-l’alto e che ci rende solidali. E ci accompagni il cuore di Maria di Nazareth, che custodisce e medita nella sua storia ogni frammento di esistenza, per elevare un inno di benedizione, un perenne “Magnificat” che canti come il nostro Dio faccia emergere i piccoli e i deboli, precipitando i potenti dai loro troni.

i vescovi italiani

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LE SFIDE DI OGGI PER I CREDENTI

La Chiesa è vivaSpunti dal Sinodo dei vescovi

Nessuna “visione catastrofistica”: dal Sinodo dei vescovi è emersa “la con-sapevolezza che la Chiesa è viva, che ha grandi esperienze, che vanno più co-municate e condivise”. Lo ha detto il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Fi-renze. Nel testo definitivo del messaggio a conclusione dei lavori, approvato per acclamazione – ha rivelato il card. Betori – c’è proprio la frase “la Chiesa è viva”, che uno dei padri sinodali ha voluto che venisse inserita, come “men-zione esplicita” della vitalità della comunità ecclesiale nel mondo, chiamata a misurarsi su “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. “Non c’era cecità nel Sinodo, nessuno ha finto che non ci fossero problemi”, ha precisato mons. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila: “L’ottimismo – ha però testimoniato – non ci ha mai abbandonati. Ci dà un senso di serenità, la spinta per trovare le modalità di affrontare anche gli scandali che hanno colpito la Chiesa”. Quella che emerge dal Sinodo, ha proseguito mons. Tagle, è “una Chiesa umile”. “L’umiltà – ha detto – per la Chiesa non è una strategia, è il modo in cui Gesù ci ha insegnato ad essere. È una scelta per noi essere umili”.

Quando il matrimonio va in frantumiSulle “situazioni familiari irregolari”, e sulla questione dei divorziati risposati,

“il messaggio del Sinodo si rifà a quanto detto a Milano da Benedetto XVI, nel recente Incontro mondiale con le famiglie”. “L’accoglienza – ha precisato il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze – si pone su quella linea e ne assume l’impostazione. È un’accoglienza che dev’essere vissuta dalle comunità”, e che va coniugata con “la disciplina, che è quella del non accesso ai sacramenti”. Nel messaggio, i padri sinodali fanno riferimento anche “alle situazioni familiari e di convivenza in cui non si rispecchia quell’immagine di unità e di amore per tutta la vita che il Signore ci ha consegnato. Ci sono coppie che convivono senza il legame sacramentale del matrimonio; si moltiplicano situazioni familiari irrego-lari costruite dopo il fallimento di precedenti matrimoni; vicende dolorose in cui soffre anche l’educazione alla fede dei figli. A tutti costoro vogliamo dire che l’amore del Signore non abbandona nessuno, che anche la Chiesa li ama ed è casa accogliente per tutti”.

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Fidanzati, verso il “sì” per sempre

Il documento Cei su preparazione a matrimonio e famiglia

“Educare all’amore e accompagnare nel percorso del fidanzamento sembrano, oggi, imprese particolarmente difficili, per alcuni, addirittura, improponibili, ritenendo che i mutamenti culturali e sociali siano tali da mettere radicalmente in discussione l’esi-stenza stessa dell’istituto del matrimonio”. Con queste parole mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma e presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, introduce il documento “Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia” (testo integrale: www.chiesacattolica.it). Il vescovo nota che, nell’at-tuale contesto, sembra “perdere valore la condizione del fidanzamento a favore di ormai diffuse forme di convivenza, prematrimoniali o permanenti o almeno ‘finché ci vogliamo bene’. Anche il percorso di educazione all’amore pare seguire questa deriva, a tutto vantaggio della pretesa di una neutra informazione che assicuri un esercizio della sessualità privo di rischi per sé e per gli altri”. Il documento è motivato dalla considerazione che “la comunità cristiana conosce bene queste posizioni e le scelte che ne derivano, ma riconosce ancor più e ribadisce il valore e la fiducia nella persona umana come essere educabile all’amore totale, unico, fedele e fecondo, come è l’amore degli sposi, attraverso un percorso progressivo e coinvolgente”. “Credendo alla possibilità di educare e crescere nell’amore”, il documento si propone quindi di offrire “linee rinnovate per i percorsi verso il matrimonio”.

Un impegno “definitivo”La premessa del testo è che il fidanzamento è un “valore”, in quanto “tempo ne-

cessario e privilegiato per conoscersi tra innamorati, per compiere passi importanti e per accogliersi come dono reciproco, se questo è nel pensiero di Dio”. L’obiettivo è quindi di offrire dei contenuti validi in modo che si compia “un buon cammino verso le nozze”, educando a un “amore sponsale in un mondo che cambia”. I motivi di tale insistenza risiedono nel fatto che oggi “si vorrebbero infatti porre sullo stesso piano del matrimonio scelte diverse e meno impegnative, come la semplice convivenza o la scelta di rimanere sempre fidanzati, continuando ad abitare nelle rispettive famiglie di provenienza, offuscando l’orizzonte dell’amore, che per sua natura rende capaci del dono totale di sé. La Chiesa non giudica e non intende allontanare chi compie tali scelte; al contrario desidera entrare in un proficuo dialogo con loro e li invita a non allontanarsi dalla vita ecclesiale. Non può però rinunciare ad affermare che vi è una forma di relazione della coppia, quella matrimoniale, che non può essere comparata con le altre forme di convivenza o accompagnamento, perché basata sull’assunzione definitiva del proprio impegno nei confronti dell’altro”.

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La bellezza dell’amore umanoTra le convinzioni di fondo che il documento propone vi è quella che “costruire la

famiglia rinnova la società”, in quanto la famiglia si pone come “cellula vivificante e risorsa feconda” che “partecipa alla vita della società per far crescere in umanità i suoi membri”. La famiglia, inoltre, “alimenta la coesione sociale e ne è l’autenti-ca sorgente”. Dentro questo orizzonte, il primo aspetto che il documento affronta è quello dell’“affettività e innamoramento”, in un contesto in cui sembra prevalere una banalizzazione dell’amore sotto forma di puro erotismo. Viene quindi riproposta la bellezza dell’amore umano con i valori correlati del “pudore” e della “castità”, ri-badendo al riguardo il compito educativo dei genitori, oltre che il “prezioso apporto dei carismi e della vita consacrata”. La preparazione al matrimonio non è qualcosa d’improvvisato, ma – dice il documento – “un cammino graduale e continuo”, da pro-porre “per tempo”. Solo così i fidanzati possono giungere a considerare la loro come una “relazione umanamente matura” in cui si ravvisino i tre elementi della “identità”, della “reciprocità” e della “progettualità” come coppia.

Le “tappe” da percorrereIl cammino verso le nozze ha poi bisogno di “tappe” quali l’incontro con il par-

roco, la partecipazione ai momenti formativi offerti dalla comunità locale, la prepa-razione al rito del matrimonio. Tali incontri dovrebbero essere “ricchi di confronto all’interno della coppia e fra le coppie partecipanti”, “evitando le lezioni frontali”, in un “ambiente familiare, accogliente” che “metta a proprio agio i fidanzati”. In tale contesto vanno accolti tutti, credenti e non credenti, quando questi ultimi “accettano e rispettano il partner per la fede che ha”. Vanno quindi accompagnate anche le “per-sone che convivono” tramite un “criterio pastorale unitario e appropriato”, orientato a un’assunzione consapevole del significato del matrimonio cristiano. Una particolare attenzione è necessaria nell’accoglienza verso coppie unite con rito civile che chiedo-no il matrimonio religioso e di far battezzare i figli nati dall’unione civile. Come pure occorre una “peculiare attenzione pastorale” nei confronti dei fidanzati o conviventi, specie nei casi di matrimoni misti tra un cattolico e un battezzato non cattolico o, ancora più, quando uno dei due non è battezzato.

Fecondità, sobrietà, impegno socialeNella parte conclusiva il documento ribadisce che il “matrimonio è via di santifi-

cazione” e che gli “sposi sono ministri dell’amore”: c’è una “ministerialità sponsale” che, accanto a quella “presbiterale”, ha la sua radice “nell’unico battesimo, sorgente di ambedue le vocazioni”, che “si differenziano per i diversi doni dello Spirito con-feriti nei rispettivi sacramenti”. Si parla poi della preparazione alla “gestione dei conflitti” nella coppia, all’orientamento alla “piena fecondità”, alla “scelta della so-brietà” come stile di vita semplice ed evangelico, alla sofferenza da accogliere con coraggio e sopportazione. Infine il testo propone “alleanze educative attorno alle gio-vani famiglie” per sostenerle in eventuali momenti di crisi, oltre che un maggiore “protagonismo” delle famiglie nelle cosiddette “politiche familiari”, assumendosi “la responsabilità di trasformare la società”.

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CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE

La fede da trasmettere ai più piccoli

Come arrivare al Battesimo dei bambini e come farli crescere in un clima “da cristiani”

Dal pensare insieme al lavorare insieme. La tre giorni promossa dai vesco-vi di Piemonte e Valle d’Aosta intorno al tema della pastorale battesimale ha messo in rilievo non solo molti spunti interessanti sulla questione, ma ha anche tracciato un nuovo stile di lavorare insieme: “come una grande famiglia”. Dal 29 al 31 agosto al Centro “Maria Candida” di Armeno, nel Novarese, i vescovi piemontesi con laici, famiglie, sacerdoti, religiosi legati alle pastorali diocesane della famiglia e della catechesi si sono confrontati, hanno ascoltato gli esperti, nonchè la testimonianza di chi opera sul campo, hanno lavorato in gruppo intorno a “Iniziazione cristiana dei bambini da 0-6 anni, ruolo della famiglia e responsa-bilità della comunità”. La tre giorni è stata organizzata nell’ambito della proposta dell’Ufficio Catechistico nazionale, che per quest’anno non ha programmato il consueto convegno nazionale, ma ha promosso 16 convegni nelle rispettive re-gioni ecclesiastiche. Il convegno, a cui hanno partecipato circa 150 persone, con quasi tutti i vescovi della Conferenza episcopale piemontese, ha messo in luce la cresente attenzione per la pastorale battesimale al servizio della famiglia. “Un cantiere aperto – come ha sottolineato mons. Giuseppe Cavallotto, vescovo di Cuneo e Fossano, incaricato regionale per l’Evangelizzazione e la Catechesi e animatore del convegno –, in costruzione. In questi giorni abbiamo posto alcuni mattoni, ora da questa intuizione dobbiamo passare alla realizzazione, lavorando nelle diocesi e tra diocesi. Dobbiamo mettere in gioco la nostra creatività, genia-lità. Insieme abbiamo richiamato le esigenze fondamentali”. Usando una metafo-ra ha paragonato il lavoro svolto ad un libro: “Abbiamo individuato il titolo ed evidenziato i sottotitoli, adesso li dobbiamo sviluppare, non è possibile affidare questa responsabilità solo ai singoli Uffici pastorali, ma la proposta va assunta con qualche nuovo strumento”.

Tanti e puntuali i suggerimenti, gli stimoli emersi nella giornata conclusiva mo-derata da don Vittorio Gatti, responsabile regionale della Catechesi, e dai coniugi Ileana e Luca Carando, responsabili della Pastorale famigliare regionale, frutto dei lavori di gruppo e dell’ascolto dei vari relatori che si sono avvicendati, ma anche dall’esperienza vissuta in diocesi e nella quotidianità dei tanti convegnisti.

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Evidenziato il ruolo del padrino, diverso da quello del testimone, ribadita la for-mazione dei catechisti intrapresa attraverso un lavoro di équipe e che non sia solo teoria, si è sottolineato il valore della trasmissione della fede esercitata dai nonni, senza dimenticare che appunto “i nonni di oggi sono spesso i genitori, figli del sessantotto, che già non hanno trasmesso ai loro figli la fede”.

Ricca di suggestioni la relazione della psicologa Franca Feliziana Kannheiser sul cuore del tema: “Dire Dio ai bambini”, nativi digitali, soggetti a tutti i rischi della digital generation, sempre più figli unici. Però nella convinzione che, “al di là degli indubbi cambiamenti, i piccoli di oggi come quelli del passato esprimono gli stessi bisogni profondi, vivono le stesse esperienze fondamentali”.

Un suggerimento importante, tra i tanti, è giunto da mons. Adriano Caprioli, vescovo di Reggio Emilia, che ha rimarcato come in tutta l’azione pastorale sia fondamentale “passare dalla logica dell’organizzazione a quella della relazione”. Il liturgista, mons. Alceste Catella – vescovo di Casale – nell’approfondire il va-lore del “Battesimo come primo sacramento”, ha affermato che “sì, il Battesimo del bambino è un atto di fede dei genitori: fede in Dio Padre Creatore, in Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, nello Spirito Santo Amore e nella Chiesa. Ma non è evidentemente un atto di fede teologale del bambino, è un atto deliberato di fede teologale dei genitori”.

Al termine della Messa conclusiva, mons. Cesare Nosiglia, presidente Cep, ha ricordato che “il Battesimo è punto di partenza, e ciascuno di noi deve chiedersi sempre se il proprio Battesimo è vivo, testimonianza di Dio verso gli altri e fonte di gioia”. L’orientamento emerso, che sarà approfondito e ripreso dalla Cep già nella prossima riunione, mette ancora una volta la famiglia al centro, ed evidenzia che “la scelta pastorale di una proposta pre e post Battesimo è un’urgenza per il nostro tempo e costituisce nel suo insieme una novità”.

Ch.g.

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PROTOCOLLO D’INTESA CEP- REGIONE PIEMONTE

Beni culturali religiosi, intesa con la Regione

Una nuova modalità di lavoro per salvaguardare e valorizzare il prezioso patri-monio dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a Enti ed Istituzioni ecclesiastiche in Piemonte. E’ l’obiettivo del protocollo di intesa firmato a Torino il 15 ottobre 2012 dal presidente della Conferenza episcopale piemontese, mons. Cesare Nosiglia, e dal presidente della Regione, Roberto Cota. “Il cuore di questa intesa – ha spiegato mons. Piergiorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo e presi-dente della Consulta per i beni culturali della Cep – è l’articolo dieci: prevede la costituzione di una commissione paritetica che avrà lo scopo di istruire i progetti, di armonizzare gli interventi, di individuare le risorse e di approfondire gli ambiti di collaborazione”. La commissione sarà composta da rappresentanti della Regio-ne, della Cep e degli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. “La filosofia – ha aggiunto mons. Debernardi – è quella di creare le condizioni per la massima collaborazione offrendo la priorità agli interventi più urgenti”. Ed ha concluso ricordando le parole di Paolo VI: “Noi tutti siamo assetati di bellezza”. Dopo aver rimarcato che dietro ai protocolli “ciò che conta è sempre la relazione tra le persone”, mons. Nosiglia ha evidenziato che “i beni artistici sono un valore aggiunto radicato nel tessuto della nostra gente, conservarli e valorizzarli è anche parte di quella ripresa culturale fondamentale per uscire dalla crisi”. Oltre alle diocesi che fanno parte della Conferenza episcopale piemontese, esclusa la Valle d’Aosta, aderiscono quelle di Genova, Ventimiglia e Tortona perché hanno par-rocchie nel territorio piemontese (Genova 21 parrocchie, Ventimiglia 2, Tortona 144). Il protocollo ha durata quadriennale, tacitamente rinnovata.

“Il protocollo – ha precisato Roberto Cota – si propone tre finalità. La prima è quella di un riconoscimento da parte della Regione dei beni culturali ecclesiastici come beni meritevoli di tutela e di attenzione: sono del resto una parte importan-te del nostro patrimonio storico, culturale e artistico regionale e quindi di tutta la nostra comunità. La seconda è di rendere questo patrimonio il più possibile fruibile dai cittadini e dai tanti turisti che sempre in numero maggiore scelgono il Piemonte come loro meta. E l’ultima riguarda la programmazione degli interventi di recupero e valorizzazione di questi beni, attraverso un’apposita commissione paritetica che sia in grado di coordinare e di concentrare gli sforzi senza disper-derli in iniziative isolate. In un momento di generale difficoltà finanziaria, è quan-to mai opportuno procedere con un metodo razionale di questo tipo”.

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LA PAROLA DEL VESCOVO

Scegliere l’età per Cresima e prima Comunione

Le decisioni condivise da maturare nelle Unità pastorali

Porta la data dell’11 luglio, festa di S. Benedetto, la lettera del vescovo indi-rizzata a sacerdoti e diaconi, nell’intento di “fare il punto su quanto lo stesso ve-scovo ha potuto accogliere e condividere”, sul fronte della catechesi (così come approfondito in più occasioni negli ultimi mesi), “in vista della celebrazione del Sacramento della Cresima e del Sacramento centrale – vertice – rinnovabile del-l’Eucaristia, per fanciulli ed adolescenti”. Mons. Luciano Pacomio precisa subito che “non è una risoluzione definitiva, ma una messa a punto, uno ‘status quae-stionis’ da cui tutti dovremmo partire, con piena fiducia nell’aiuto dello Spirito Santo”. Il vescovo propone la sua riflessione in tre punti.

1. Collaborazioni e decisioni a livello di Unità pastorale“Certamente, a livello di scelte ideali e di opportunità pastorali, i progetti per il

cammino di catechesi per ragazzi e preadolescenti dovrebbero essere scelta italia-na consensuale, possibilmente opera di tutti i vescovi. Personalmente non avverto un grave disagio, ma capisco che, lasciata la responsabilità alla singola diocesi, può nascere il disagio a tanti singoli pastori (parroci), a causa dei «perché», dei «come mai, noi così e altri, vicini a noi, fanno cosà» delle persone. Certamente possibili decisioni, soprattutto in piena forma collaborativa debbono essere prese a livello di Unità pastorali”.

“Constatazioni da riproporci tutti insieme:a) la difficoltà pedagogica nel guidare l’azione catechistica da parte di una sola

o un solo catechista, soprattutto in età preadolescenziale dagli undici anni in su;b) la necessità di fare un’esperienza catechistica più animativa che non a «dizio-

ne o convocazione prettamente scolastica», quindi dove si esperimenti annuncio-preghiera-proposta di impegno fattivo;

c) infine l’opportunità che siano coinvolti i genitori (primi catechisti) e con la/il/le catechiste uno o più animatori di pastorale giovanile”.

“Ovviamente tutto questo non può essere attuato in ogni piccola parrocchia; ma solo a livello di Unità pastorale possono e debbono essere prese le decisioni di tempo, di frequenza, di cooptazioni collaborative, convergenti e comuni”.

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2. Esigenze

a) “Dopo lo sforzo di formazione dei catechisti, avvenuto subito dopo l’edizio-ne del Documento Base, c’è stata, in linea di successione, una grande dedizione di tanti catechisti. Non tanto solo la loro età, ma le nuove richieste animative postulano «una rinnovata formazione evangelizzativa». Mi pongo con voi que-ste domande. Possiamo impostare una seria proposta formativa catechistica a livello di singola (o almeno unite) Unità pastorali, per il periodo anche solo del prossimo anno pastorale? Sia cooptando nuove forze, sia permettendo anche solo ad uno/a per parrocchia di «aggiornarsi» o rivivere una formazione permanente? Forse accettando di pervenire ad una età più «abbassata» della celebrazione della Cresima e dell’Eucaristia, potremmo destinare questa esperienza di «formazione catechistica» a soggetti non direttamente impegnati nel prossimo anno”.

b) “È possibile poi prendere sul serio la differenza reale del «come» oggi si è famiglia e come i nostri bambini vivono in famiglia. Certamente accetteremo i contributi che verranno offerti dalla tre giorni di agosto prossimo (ad Armeno) a livello di Chiese piemontesi, in cui si rifletterà e si accoglieranno le testimonianze per accompagnare i genitori al Battesimo dei bimbi neonati e all’educazione alla fede dei bambini fino ai sei anni. Però resta comunque la necessità di vivere la «comunicazione del dono della fede» nella età fanciulla e preadolescenziale, in cui non dobbiamo continuare a martellare come fosse una scelta culturale socio-logica scontata (né per le famiglie, né per i bambini comunque le vivano); ma ten-tare davvero di proporla come una «bella possibilità» (vero dono divino umano) ecclesiale; liberamente scelta dai genitori e, da loro, proposta ai figli; con i mezzi possibili viverla in modo gioioso”. “Non è scontato in tutto questo richiamare: la certezza dell’azione dello Spirito Santo; la «spinta vocazionale» dei genitori credenti; la stessa chiamata di Gesù ai bambini direttamente, attraverso la nostra azione di pastori, e anche dei nonni e di amici”.

3. Quali tappe. A quale età i sacramenti dell’Eucaristia e della Cre-sima?

a) “Se la scelta è: non facciamo differenze nei cammini resta d’obbligo scegliere in ogni Unità pastorale un’unica forma di scadenze temporali d’incontro e acco-stare o confermare quanto almeno in questi ultimi 20 anni abbiamo tentato di fare al meglio”. “Se di fatto accettiamo che non tutte le famiglie siano coinvolgibili, se dobbiamo rendere i catechisti sguinzagliabili nella ricerca e nel ricupero dei ragazzi, ma manteniamo ferma l’esigenza di «annunciare il Signore», ritengo che, se si accetta il di fatto, con le forze possibili, interagendo con l’adulto o gli adulti che collaborerebbero, si possono fare scelte diverse, non escludenti nessuno, ma opportune nelle motivazioni”. Cioè: “Il cammino catechistico «forte» e in un cer-to senso «abituale» condiviso dai genitori in date a calendario annuale. Il cammi-no catechistico personalizzato, a causa di un reperimento e convocazione da farsi

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«missionariamente», accogliendo di buon grado le difficoltà e «supportandole» anche con orari eccezionali. Se è possibile un cammino di vera comunità cristiana (che c’è di fatto e a questo si sente chiamata) dove con il sacerdote i genitori cre-scono nella fede «testimoniata e gioita» educando i figli a vivere l’esigenza dello Spirito Santo e di Gesù, Parola e Pane”.

b) “In ogni caso, si tratta di orientare a fare queste scelte: se il cammino è su richiesta condivisa e consensuale coi genitori o parenti prossimi, qualunque età, su cui si è fatto discernimento e si stabilisce adatta per i Sacramenti, è quella buona; se è il cammino «abituale», «forte», in un certo senso «normativo», per la vita parrocchiale, sia celebrato il Sacramento della Cresima a fine 5ª Elementare o alla 1ª Media inferiore, con nello stesso giorno o a pochi giorni di distanza, la celebrazione della Comunione eucaristica. Si soppesi la responsabilità che ci si assume pedagogicamente a dilazionarlo: se è solo perché, in ogni caso, si perdono i ragazzi nel rapporto di vita parrocchiale; o perché non vediamo possibilità di un successivo cammino formativo e di accompagnamento nell’età giovanile!”.

“Voglio in settembre – conclude il vescovo – incontrarmi con i sacerdoti e diaco-ni coinvolti nei quattro settori: pastorale giovanile, pastorale vocazionale, pasto-rale della famiglia, ufficio catechistico. Valutare con loro se è possibile sussidiare le scelte fatte, pur riconoscendo che i cammini non siano facilmente e immediata-mente percorribili. Un ulteriore incontro, per il come ci si può incamminare, nello stesso settembre lo farò con i moderatori di Unità pastorali”.

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LETTERA PASTORALE

“La fede, affi dabile e collaborativa”

La Lettera pastorale del vescovo mons. Luciano Pacomio intitolata “La fede, affidabile e collaborativa” porta la data dell’8 settembre solennità della Natività della Beata Vergine Maria, ricorrenza patronale per la città e la diocesi. “Non sono mai stato così sereno ed affidato al Signore in mezzo a tanti inevitabili guai”, annota il vescovo in premessa, invitando tutti ad accogliere, con gioia ed entu-siasmo, questo “Anno della fede” proposto da Benedetto XVI nel cinquantenario del Concilio Vaticano II, “facendoci discepoli ed ascoltatori operosi dello stesso insegnamento del Papa”. E, di fatti, mons. Luciano Pacomio, con la sua Lettera pastorale, si prefigge l’intento di quasi riscrivere, per la Chiesa monregalese, la Lettera apostolica di Benedetto XVI “Porta fidei” (Porta della fede), centellinan-done i contenuti, gli spunti, gli approfondimenti, le indicazioni.

La Lettera pastorale quest’anno è più breve ed è composta da quattro capitoli (“Che cos’è la fede?”, “Credo in Dio, credo in Gesù”, “Noi crediamo” e “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”). I passi di riscoperta che il vescovo sollecita a compiere disegnano un itinerario personale comunitario in cui ritrovarsi da cre-denti in ricerca sempre, ma anche sempre già nella certezza della fede… puntando a quella “vita nuova” che è il Dna del discepolo del Signore, ove la persona si rigenera di Vangelo e di grazia, ove la comunità si plasma sotto l’azione dello Spirito, ove la testimonianza si fa limpida, coraggiosa, fiduciosa. Il vescovo si sofferma, nelle orme del documento del Papa, sulla fede che è… trinitaria, cioè porta a “credere in un solo Dio che è Amore (il Padre, Gesù Cristo, lo Spirito santo)”. In particolare il vescovo fa riscoprire il volto di “credenti di ogni tempo” da Abramo a Giacobbe e Giuseppe, da Mosè a Davide ed ai profeti, da Maria agli apostoli, a Paolo…

E poi il presente che ci tocca, in cui esprimere una fede che attraversa l’oggi, lo assume, lo illumina, attingendo alla Parola di Dio ed all’Eucaristia, spendendosi in una carità rivelativa di un’adesione vera al Signore, assumendo il mondo d’at-torno come il campo in cui impegnarsi per “cieli nuovi e terra nuova”... Ovvio che i testi cui rifarsi non possono essere che il Concilio Vaticano II ed il Catechismo della Chiesa cattolica.

Infine le nostre scelte personali e diocesane, in questo “Anno della fede”, scen-dendo nel concreto, nel possibile, nel doveroso: se ne occupa l’ultimo capitolo della Lettera pastorale (“Che cosa dobbiamo fare fratelli?”).

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LETTERA PASTORALE

Quattro passi indispensabili per credere oggi

“Il mio orientamento per l’Anno della fede, affidabile e collaborativa, ripropo-ne quella che abitualmente chiamo l’«autostrada a quattro corsie» che il Signore affida a noi sacerdoti e diaconi – scrive il vescovo nell’ultima parte della Lettera pastorale intitolata ‘La fede affidabile e collaborativa’ e ormai disponibile per tutti – come capaci sacramentalmente di donare il Signore (primo livello: cri-stologico), di riconoscere i doni divini costitutivi della Chiesa (secondo livello: ecclesiologico), di evangelizzare cioè esprimerci nelle forme essenziali di prassi pastorale (terzo livello: operativo-testimoniale), cioè la Parola, la Preghiera-litur-gia, la ‘carità’-amore cristiano, il ministero”.

Gustiamo la Scrittura“Non dobbiamo dimenticarlo: la Bibbia è Parola di Dio scritta per noi; è Gesù

stesso con il Suo Santo Spirito che si dona: ci parla, ci interpella, ci propone, ci consiglia, ci rafforza, ci illumina. Alcune scelte possono essere fatte da noi tutti, coi nostri sacerdoti: leggere e nutrirci del Vangelo dell’anno C: il vangelo di Luca; accogliere (o come aiuto nell’adorazione eucaristica o come cammino nella Lec-tio divina) i testi (o altri simili) proposti dal vescovo nello schema delle «50 tappe per leggere e vivere la Scrittura»”.

Andiamo a Messa“Andare a Messa è punto di arrivo (vertice), ma anche punto di partenza (gesto

di riconoscimento) per il vivere cristiano, per costituirci e rivelarci a tutti come Chiesa, convocata e riunita da e con Gesù, che si dona «per la salvezza di tutti»… I sacerdoti e i diaconi devono fare di tutto per «far celebrare bene» e «aiutare» a ben celebrare la Messa: capendo e assimilando la Parola di Dio proclamata e riconoscendo, nel consacrare e comunicare (condividere il Pane), il rinnovamen-to dell’evento di morte e risurrezione di Gesù, la massima interpretazione del nostro esistere «sempre in altalena», tra gioie e dolori, i veri divini doni di Vita. Celebriamo l’Eucaristia con grande speranza, con gioia, con il costante rinnovato aiuto e impegno”.

Sentiamoci Chiesa“Capisco molto bene i disagi che provano nell’analisi linguistico-letteraria e

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non solo, ma anche teologica, sia persone ‘grandi’ nella nostra storia contempo-ranea, sia quelle che si ritengono ‘piccole’ a riguardo dei documenti, pur autore-volissimi, della Chiesa: cioè i testi dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, e del Catechismo della Chiesa cattolica, editi con la collaborazione di tutti i vescovi del tempo. Ritengo che ogni linguaggio e ogni elaborazione comunicativa vivano delle ricchezze, a volte meravigliose, del proprio tempo, ma contemporaneamente della precarietà e debolezza della ‘incarnazione’ nella propria cultura. Pertanto raccomando a tutti, sacerdoti, diaconi e fedeli delle diverse età, di riprendere in mano questi «doni», che, attraverso il servizio «magisteriale» della Chiesa, ci partecipano con abbondanza e dovizia il «sapere di fede» della Chiesa tutta. È possibile utilizzare come «adorazione» i testi da me stesso già suggeriti ed elabo-rati; o di settimana in settimana, a partire dal prossimo ottobre; o proporre incontri mensili nell’anno, in forma di relazione-conferenza; o settimanale nei tempi forti di Avvento e Quaresima; o in date possibili e opportune nell’anno per le singole Unità Pastorali, anche a piccoli gruppi o incontri interfamiliari”.

Amiamo, non a parole, ma con le opere“In tempi così provati, soprattutto economicamente per tante famiglie, è op-

portuno e doveroso aiutarci in modo efficace gli uni gli altri. Ancor più poniamo somma attenzione a quello che ci comunicano e ci orientano a fare i collaboratori bravi e generosi della nostra ‘Cittadella della carità’. Sempre possiamo fare parte degli «amici» che si impegnano ogni mese a versare, anche poco, ma alcunché per venire incontro alle varie esigenze presenti. Colgo questa nuova occasione per ringraziare tutti i collaboratori per il giorno e per la notte, per le mansioni sta-bili di servizio e per gli avvicendamenti settimanali (uomini, signore e giovani): nell’ascolto, nell’assistenza, nella scuola, nella refezione. Faccio come San Paolo nella sua azione di colletta: (2 Cor 8. 9) raccomando a tutti le famiglie senza la-voro. Anche ai nostri sacerdoti scrivo se vogliono assumersi l’oneroso impegno di 50,00 euro con la continuità di un anno (settembre 2012 - giugno 2013) a be-neficio di questa forma di grave indigenza... Ci renderemo attenti e sensibili alle iniziative della Caritas per la prossima Quaresima. Infine mi permetto di racco-mandare ai nostri moderatori di Unità pastorale di promuovere una vera Caritas di riferimento per ogni Unità”.

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ANNO DELLE FEDE

1) Prime indicazioni

In una lettera a sacerdoti e diaconi, sono state fissate dal vescovo – dopo le consultazioni tra i moderatori delle Unità pastorali – alcune iniziative in vista dell’anno della fede che si apre in tutta la Chiesa l’11 ottobre, nel ricordo vivo dei 50 anni dal Concilio Vaticano II. Intanto è già definita la “Tre-giorni teologica” dall’11 al 13 settembre su “Credo in Dio” (Dio comunione: Padre, Figlio, Spirito) con don Roberto Repole (presidente dell’Associazione teologi italiani); su “Cre-do la Chiesa e la Vita eterna” (storia e pienezza di vita) con mons. Alceste Ca-tella, vescovo di Casale M.to; su “Credo la remissione dei peccati e i “doni dello Spirito” (solidarietà e vero impegno per il bene comune) con Pier Davide Guenzi della Facoltà teologica di Torino.

Ugualmente sono a calendario tre pellegrinaggi in diocesi, cui sono invitati tutti i credenti, in particolare gli operatori pastorali, i componenti dei Consigli pasto-rali parrocchiali: “La fede che crede” al Santuario Valsorda di Garessio 11 ottobre alle 20,30; “La fede che spera”, al Santuario del Deserto di Millesimo, venerdì 1. marzo ’13 alle 20,30; “La fede che ama”, al Santuario di Vicoforte, sabato 11 maggio ’13, il giorno solenne dell’Ascensione. «Punti di riferimento a cui conve-nire dalle varie Unità pastorali e così procedere in pellegrinaggio orante. Restano rinnovate le proposte possibili per la celebrazione settimanale: biblica, magistra-le, catechista e le iniziative “caritative” già enunciate.

2) Giovedì 11 ottobre 2012L’avvio dell’Anno della fede ha come punto di riferimento la Lettera pastorale

del vescovo (“La fede, affidabile e collaborativa”), facendo tesoro degli spunti maturati nella Tre-giorni teologica al Santuario, disegnando il percorso annuale con iniziative mirate.

L’appuntamento iniziale è quello di giovedì 11 ottobre: costituisce la prima tappa diocesana dell’itinerario condiviso dell’Anno della fede. Una convocazio-ne della Chiesa monregalese, attorno al vescovo, al Santuario di Valsorda a Ga-ressio, nella serata che rievoca l’apertura del Concilio Vaticano II esattamente cinquant’anni fa. “Giovedì 11 ottobre – scrive il vescovo – è proposto a tutti noi, come pellegrinaggio di introduzione, come annuncio della ‘gioia della fede’, come celebrazione eucaristica. Si ripropone il ‘viaggio dei discepoli di Emmaus’: pregare ‘per strada’, ascoltare l’interpretazione di Gesù delle Scritture, sostare e

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nutrirci di Lui. Abbiamo scelto quelli che tradizionalmente sono ‘luoghi’ di in-contro con il Signore, luoghi per eccellenza di preghiera, i nostri Santuari. Così, a cominciare da Valsorda, dove Maria è venerata con il titolo ‘Vergine della Grazia e delle Grazie, Madre di pace e dei poveri’ ed è apparsa attestando l’onnipotente azione misericordiosa e la benevolenza del Figlio, Gesù, con il guarire, il risana-re”.

3) Tre impegni per tuttiCarissimi, vivo con grande speranza, attesa buona, trepidante, l’avvio dell’AN-

NO DELLA FEDE. L’incontro con il Consiglio pastorale diocesano mi ha per-messo di esprimere tre piccoli impegni che opportunamente ci seguiranno per tutto l’anno e lo configureranno concretamente, a livello personale, familiare, sociale.

1. Ogni domenica proclamazione del CREDO «battesimale», con l’invocazione cantata «Credo Signore, Amen».

2. Usare bene la «lingua» come comunicazione di benevolenza, aiutare gli altri a stare meglio: quindi evitiamo ogni calunnia.

3. Nessun giorno di vita, senza un sorriso; e una piccola “azione” (o gesto) d’amore.

Con viva condivisione, nella Benedizione del Signore, incamminiamoci insie-me.

+ Luciano Pacomio, vescovo21 settembre 2012, S. Matteo

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ANNO DELLA FEDE

A Valsorda, primo passo condiviso

(c.a.) – Santuario di Valsorda pressoché gremito, giovedì sera, 11 ottobre, per l’apertura dell’Anno della fede, nell’anniversario esatto dell’inizio del Concilio Vaticano II cinquant’anni orsono: erano attese rappresentanze dalle varie Unità pastorali, per esprimere, in comunione col vescovo, l’intenzione di intraprendere il cammino cristiano di riscoperta del Credo condiviso. Il Rosario meditato, sui “Misteri della luce”, ha consentito di riascoltare testi di Giovanni XXIII soprat-tutto, il papa buono ma anche il papa delle scelte coraggiose, una su tutte, quella di indire il Concilio stesso, nello sforzo di raccogliere consapevolmente le sfide dei tempi moderni. Un breve percorso sul piazzale, per indicare il senso dell’iti-nerario nella fede, al canto delle Litanie, ha preceduto la celebrazione eucaristica, presieduta dal vescovo diocesano mons. Luciano Pacomio e con la partecipazione anche del vescovo emerito di Alba mons. Sebastiano Dho. “Lasciamoci inter-pellare dalla freschezza e dalla semplicità delle parole e delle scelte di Giovanni XXIII – ha detto mons. Luciano Pacomio nell’omelia – per sintonizzarci sugli impegni che ci attendono nel segno di una fede che spera e che ama, in questi momenti non facili”. E rifacendosi alle pagine delle Scritture nella liturgia feriale ha sollecitato “a vivere il dono dello Spirito che animò il Concilio mezzo secolo fa, partendo dall’ascolto liberante della Parola, nutrendosi di preghiera costante e fiduciosa, bussando alla ‘porta della fede’ perché si apra ogni giorno e faccia scoprire la via che il Signore vuole percorrere con noi nel tempo che ci è dato”. Infine ha ribadito i tre impegni già annunciati per questo “Anno della fede”, che possono dare concretezza ai passi dei credenti e possono far sentire in fruttuosa comunione reciproca.

Omelia del vescovoVogliamo rivivere, insieme, in preghiera rinnovando l’evento cardine, chiave,

l’unico efficace, che è l’avvenimento pasquale: Gesù morto e risorto.Così riesperimentiamo nel modo migliore ciò che ha voluto essere, per la Chie-

sa e per il mondo, il Concilio Vaticano II.Riandando ai “Misteri della luce”, dal Battesimo all’Eucaristia abbiamo potuto

intercedere invocando Maria Vergine delle grazie, della Grazia, in Valsorda, per la conversione, le buone esigenze, la capacità di offrire il soffrire di tutta la nostra

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Chiesa, rincuorati dalle Parole del beato Papa Giovanni XXIII.Ci facciamo discepoli della Parola di Vita, della Sacra Scrittura, scelta per noi,

per vivere questa apertura dell’Anno della fede, come inizio, incontro, evento di Grazia in straordinaria compagnia vivificante di Gesù, Signore della storia e chia-ve risolutiva di ogni problema umano.

Visitati dallo Spirito di GesùTanto il brano della lettera ai Galati, come il Vangelo di Luca, nostro maestro

del prossimo anno liturgico, ci sollecitano a vivere l’anno come chi fa spazio, accoglie e collabora con la Persona determinante per la vita, per ogni famiglia, per le nostre comunità: lo Spirito Santo. Come è avvenuto per i Galati «incantati» da mille sollecitazioni, storditi dalle tante necessità, disorientati dai desideri più contrastanti, anche noi, oggi siamo interpellati dal pressante e pertinente interro-gativo di Paolo: «Colui che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede?». Ancora una volta se vogliamo iniziare, rimetterci di buona lena in cammino dob-biamo fare affidamento, affidarci con pieno abbandono e coraggio, allo Spirito Santo e all’ascolto della parola della fede. Lo Spirito consolatore, che dà forza e senso a ogni nostro momento di vita e ogni piccolo angolo della nostra esistenza; la Parola che non cessa di essere annunziata, che ci convoca e, per usare l’espres-sione di Paolo e del Papa, è «porta della fede» aperta per tutti.

La preghiera fiduciosaE appunto il Vangelo di Luca cita una delle espressioni di Gesù: «Bussate e vi

sarà aperto».Questo Anno della fede, come stamane ha fatto il Papa in San Pietro, lo apriamo

pregando: intercedendo per tutti, con Maria; vivendo l’Eucaristia, ricelebrata per tutti noi ogni domenica, e per alcuni di noi, ogni giorno.Qui, comprendiamo come anche noi, riviviamo la parabola dell’amico importunante che ottiene per la sua insistenza e assiduità. Ma il nostro pregare, in questo anno particolarmente, av-viene proprio per la triplice articolata raccomandazione di Gesù che ci riconosce sempre questuanti, in continua ricerca, sovente accanto a porte chiuse: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto».

Perché nel nostro ricordo e davanti ai nostri occhi dobbiamo sempre avere un’immagine del Buon Dio (contemporaneamente Padre, madre, fratello, sorella, amico carissimo; vicinissimo e tanto diverso da noi immersi nei limiti), che me-glio e più di ogni persona cara è nostro benefattore, «quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono».

Buon Anno della fede, fratelli e sorelle tutte, fiduciosi, sempre più ripieni di speranza cristiana e di voglia di collaborare nel bene, a vantaggio di tutti.

Viviamo l’Anno della fede che spera e che ama.+ Luciano Pacomio vescovo

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MESSAGGIO DI NATALE

“Riapriamoci alla speranza, ripartendo dalla logica

del dono”Carissime sorelle e fratelli, giovani e adulti, ammalati e in piena salute, è fortis-

sima una esigenza in me che posso qualificare sentimento, emozione, certamente; ma anche pensiero pensato e valutazione.

Ho compassioneLa esprimo così: «Ho compassione». Ho compassione, benevola e sofferta, per

chi troppo frettolosamente, con immediatezza, afferma:–Dio non c’è -. Ho com-passione per chi, giovane o adulto, si ribella contro la vita che conduce e non sa a chi aggrapparsi; colpevolizza chiunque, in tutte le direzioni. Ho compassione per chi fa a meno di Dio e cerca senso e speranza in mille altre direzioni. Vorrei che tutti potessimo esperimentare quello che la tradizione, anche umanamente, natalizia ha trasmesso fino a noi: accoglienza, “occhi nuovi” nel conoscere, be-nevolenza, pace.

È NataleNon è indifferente che in tempi di crisi si accendano luci, in tante forme, con

tanti colori; si addobbino con luminarie gli alberi di Natale. È come poter ripro-porre nel cuore dell’inverno i colori e la luminosità della primavera. Ridiciamo-celo, annunziandolo a tutti: è Natale. È Natale per chi soffre fisicamente; è Natale per chi sente e percepisce che forse per lui (lei) è l’ultimo suo Natale nella storia; è Natale per chi è nel fiore dell’età e della salute; è Natale per chi vive l’esaspera-zione e per chi rischia la disperazione.

Ci è ridonato il Bambino. «Un bimbo è nato per noi» (Is 9,6).Dio si è fatto e si fa vicinissimo a noi; alla nostra altezza; a nostra misura;

«guancia a guancia». È il giorno della vita, della tenerezza, della gioia, della pace. E’ il giorno in cui Dio ci ridice chi è; e ci dona Se stesso: ben al di fuori delle nostre attese e dei nostri criteri valutativi.

Che fare?Riapriamoci alla speranza dell’avvenire: un certo futuro è programmabile dallo

Stato, dal potere pubblico, da noi stessi. Ma l’avvenire (ciò che accadrà) è dono:

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Dio è tra noi e opera sorprendentemente, gratuitamente, da Dio.Siamo chiamati a Natale a rieducarci alla cultura del dono.Per questo doniamo ai nostri bambini.Per questo doniamo a chi è più povero di noi.Per questo ci possiamo riproporre un passo indietro: arrestando in noi collera,

ribellione, maldicenza, ogni sfogo incontrollato e non ben motivato. E possiamo fare molti passi in avanti, chiamati a rispettare, dialogare, confrontarci, collabora-re in ogni forma di bene. Tutto questo è bello e nuovo.

Il Natale è “mistero” e il miracolo di Gesù, anche in questo anno 2012 che si chiude e può aprirsi a una grande aurora di luce, di gioia, di impegno.

In preghiera benedicente, a ciascuno e a tutti, vostro+ Luciano Pacomio vescovo

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RITIRO SPIRITUALE DELL’ANNO DELLA FEDE

Unità pastoraliLunedì 19 novembre 2012Carissimi Confratelli sacerdoti e diaconi, in occasione di questo nostro primo

Ritiro Spirituale dell’Anno della Fede mi è gradito augurarvi un Buon Avvento e in anticipo Sante Feste Natalizie del Signore Gesù, fattosi uomo come noi per noi, perché «vedendo Lui, vedessimo il Padre, Dio» (cfr. Gv 14).

Ho una seconda ragione per scrivere: è in scadenza la elezione dei Moderatori delle Unità Pastorali. Mi avvalgo della esperienza fatta del concluso quinquen-nio: buona in massima parte; problematica, in alcune circostanze, non sempre dipendente o dal singolo moderatore o da concause non sempre assunte con buon paziente discernimento.

Quanto mi è chiarissimo lo comunico con responsabilità e faccio un cristiano appello.

1. Accettare di essere Moderatori è solo un grande e oneroso servizio.Se non era chiaro negli enunciati fatti da me in passato quando sono state avvia-

te le Unità Pastorali, si è fatto sempre più evidente cammin facendo.2. Le due caratteristiche di questo servizio sono: responsabilità fedele e testi-

moniata; è assumere il ruolo di chi si fa «fratello» dei ministri ordinati, si fa per primo (in ordine di tempo e come tempestiva comunicazione), carico dei proble-mi dei confratelli; pensa con il Vescovo cammini

e percorsi per sempre meglio «trasmettere» e meglio facilitare il «donare la Fede» da parte del Buon Dio.

3. Sento l’esigenza di precisare che le segnalazioni al Vescovo della terna dei possibili candidati avvenga nella singola Unità Pastorale in un incontro con vo-tazione scritta entro il prossimo 31 gennaio 2013. Non è proibito, anzi, proporre una propria candidatura in questo voler servire» (come chiamata sentita dal Buon Dio direttamente).

Così sarà possibile esplicitare la nomina e fare un primo incontro entro il 28 febbraio 2013, data del secondo Ritiro Spirituale dei sacerdoti e dei diaconi.

4. Ci tengo molto a fare due precisazioni precomprensive. Come calendario ci troveremo tutti insieme tra Moderatori almeno tre volte all’anno: in vista della programmazione del nuovo anno pastorale; prima del periodo quaresimale; e su-bito dopo la Pentecoste. Come seconda annotazione, esprimo questo vivissimo desiderio di incontrare personalmente i singoli Moderatori almeno due volte al-l’anno, avendo privilegiatamene come agenda di colloquio: un fraterno confronto sul cammino delle iniziative assunte per l’anno pastorale in corso e sui tentativi

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per far crescere la fraternità tra noi ministri ordinati.Grazie di cuore. È un piccolo serio contributo che diamo per l’Anno della Fede.

Auguri e preghiere per i vostri più diretti collaboratori.Nella Benedizione del Signore, certi dell’intercessione di Maria Santissima e

dei nostri Santi.Vostro

+ Luciano Pacomio

Riconfigurazione delle U.P.

1. Mondovì2. Ceva3. Carrù4. Dogliani - Bene Vagienna5. Valle Pesio6. Val Corsaglia7. Valle Ellero8. Valle Tanaro9. Valle Bormida

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Pastorale e teologiaRitengo che sia una riflessione da fare continuamente da ogni credente, nella

Chiesa, e così riproporre chi è «teologo», come carisma e come servizio nella Chiesa, offrendo un’interpretazione sempre meglio comunicabile, motivata e in-terpellante.

1. Partiamo dai vocaboli. Il termine «pastorale»Siamo stati spinti in modo perspicuo a parlare di “pastorale” soprattutto in oc-

casione del Concilio Vaticano II, che dallo stesso Papa Giovanni XXIII (beato) è stato qualificato Concilio «pastorale», con l’esigenza dell’«aggiornamento».

Etimologicamente pastorale deriva da pastore; e con troppa immediata ovvietà, siccome pastori sono denominati abitualmente i vescovi e i presbiteri, quest’ulti-mi riconosciuti con altrettanta ovvietà quali parroci, si conclude in modo riduttivo che pastorale è l’agire dei pastori. Ed è quindi tutto ciò che riguarda scelte, com-portamenti, istituzioni del clero.

In realtà non assumendo la sola etimologia ma esplorando più compiutamente a partire dalle teologie neotestamentarie (Paolo, Giovanni, Sinottici, Lettere Catto-liche) il rapporto Fede e credenti, riconosciamo che pastorale è l’agire credente cristiano, quindi l’agire di ogni persona credente e battezzata.

Anche i termini «evangelizzazione» e “nuova” evangelizzazione che signi-ficando, in ultima analisi, donare il Vangelo, cioè Gesù, sono sinonimi di fare pastorale o agire pastorale, giacché anche “evangelizzazione”, donare il Signo-re attraverso le diverse «forme d’azione» (K. Rahner) attesta diverse «vie» del-l’evangelizzazione: annuncio della Parola, celebrazione liturgica, testimonianza della carità-agàpe, esercizio del ministero.

Così pure il termine «missione» che evidenzia l’attenzione della Presenza che invia, in quella forma di «cascata salvifica» di ben fondata attestazione biblica: il Padre invia il Figlio, e con il Figlio dona lo Spirito; il Figlio invia i dodici e i discepoli, e, donando la Fede che spera e che ama, invia ogni credente.

Così pure il termine «inculturazione», proprio del vocabolario della antropo-logia culturale, è indicativo della condizione concreta, contestuale, per la quale si può e si deve vivere quel duplice fondamentale processo discernimento/adat-tamento che tenendo presente il Dono dell’alto e i destinatari, sempre meglio corresponsabilizzati e collaboranti, può essere sinonimo di agire pastorale.

Aggiungo che aggettivare l’agire credente con il termine «pratico» (da prassi) e denominare la conseguente riflessione teologica come «teologia pratica», riapre il tema dell’analisi dell’agire credente che deve essere opportunamente e fonda-tamente interpretato.

In ultima analisi, tra evangelizzazione, missione, inculturazione, pratico, ci sem-bra di dover ancora preferire il termine pastorale, proponendo l’agire pastorale

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e la teologia pastorale come l’agire credente e la riflessione teologica dell’agire credente, prevedendone

- la sua storia, «storia della pastorale» ,- le sue forme d’azione: Parola, Sacramenti-Liturgia, carità-comunità, ministe-

rialità,- le condizioni e le dinamiche vitali, vera pedagogia dell’agire credente.

2. Cambiamento e ripropostaCertamente ha senso la ricerca dei termini utilizzati e delle «res», cose, che si

intendevano dire: ci è chiarissimo. Certamente, in tutti i tempi, e anche a partire dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa (credenti, pastori, teologi di tutte le età ed estrazioni) è impegnata a dare senso ed efficacia alla propria presenza nella storia col voler donare Gesù all’umanità di oggi, come il «diverso» e il «nuovo» di cui c’è urgenza ed esigenza.

Così ciò si è fatto finora: deve essere rimarcato, ben documentato, interpretato. Accanto a questa «storia» ben reinventariata, si devono prendere sul serio il disa-gio e le tensioni che l’agire di oggi, di ieri e dell’altro ieri, causano e causavano.

Non si tratta in ogni caso di eliminare e di annullare, ma di discernere (discer-nimento) e riproporre (adattamento) un orizzonte di senso dove sono rivisitati e riannunciati il vivere umanizzato:

- il rapporto con il Signore (fede),- l’accoglienza di “società complessa” e della “pluralità delle culture”,- la strumentazione, intesa come metodi e percorsi,in modo da aiutare (aiutarci) da credenti a fare scelte storiche concrete e azioni

che attestino una «assunzione libera» responsabile della decisione ( B. Seveso).

3. Storia della «pastorale»Non è data per scontata la necessità e l’opportunità di riproporsi una riflessio-

ne storica il più possibile documentata dell’agire pastorale nell’arco bimillenario della storia della Chiesa.

Se ne evincono le diverse motivazioni e le variegatissime attuazioni che nei diversi ambiti dell’agire pastorale sono espresse.

Una prima annotazione. Non tutte le epoche sono ben studiate e non per tutti i periodi storici sono attestati i documenti interpretati.

Bisogna non solo accontentarsi degli studi accessibili, ma è opportuno promuo-vere studiosi a dedicarvisi e aiutandoli mettersi in condizioni di farlo.

Una seconda annotazione. «Il vissuto è sempre più ricco del recupero narrativo» (B. Seveso); questo stacco e divario non ci demoralizza, ma ci fa accettare criti-camente che il ricupero storico avvenga in conseguenza di quanto già avviene in ciascuno di noi «lo scarto insuperabile tra la determinatezza storica dell’agire e l’orizzonte di senso che lo giustifica» (B. Seveso).

Una ultima annotazione. Grazie a questa ricerca dobbiamo abilitarci, anche

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oggi, a riproporre i nodi decisivi dell’agire credente e tener presenti, senza pre-sunzione e senza disfattismo, le costanti di sempre.

4. TeologiaRichiamiamo innanzitutto che cosa è teologia e che cosa implica fare teologia.

Riprendiamo in primis un rapporto impreteribile: teologia e cultura contempo-ranea, l’unico luogo possibile ed esistente. Così il riferimento alle filosofie, alle scienze dell’uomo, alla svolta antropologica alla finalità «pastorale», «missiona-ria», ci sprona a porre attenzione a non separare più fede e ragione, ma riproporre una figura corretta di teologia.

Il teologo riporta il suo interesse sulla fede che è critica rispetto al sapere sepa-rato dalla fede.

La fede non può essere separata dalla ragione arbitrariamente, pregiudicando sia l’autenticità della fede, sia l’autenticità del sapere.

In secondo luogo non deve risolvere la questione della fede, nella questione del “senso” della fede, ma ponendo chiaramente la questione della sua verità (G. Colombo).

Rileviamo che la teologia, sia con quelli che testimoniano il ministero del teo-logo, sia chi per ministero ordinato o per ministero ordinario si esprimano nella azione pastorale, in ambedue le ministerialità, vive una interazione per un’unica indivisibile cura: quella per l’intelligenza della fede e quella per l’edificazione della comunità. Riscriviamo, grazie al ricupero culturale (non sempre relazionato alla verità) della soggettività e della libertà, con P. Sequeri, «la cura dell’oggetti-vità cristiana (= la fede buona della libera sequela testimoniale del Signore Gesù, secondo lo Spirito e della carità-amore di Dio) nella forma del servizio della Chiesa è l’oggetto della responsabilità comune dei credenti», anche quindi dei teologi e dei pastori.

Fare teologia, essere teologo, implica «enucleare e mettere in risalto la valenza di sapere (la verità) propria della fede» (G. Colombo). Il teologo non si abbando-na alla soggettività della propria fantasia, delle proprie emozioni, o al flusso della opinione corrente, ma si riconosce «comandato» dalla fede e «situato» nella fede: questo è il «luogo» della teologia.

5. Sapere “pastorale”Grazie alla riflessione di B. Seveso possiamo con chiarezza affermare che l’agi-

re pastorale (che è come dire l’agire credente, evangelizzare, testimoniare la missione) pone insieme un’intelligenza (a) del vangelo e un’interpretazione (b) della realtà storica.

a) Per questa puntualizzazione che l’agire della Chiesa ripresenta il vangelo, lo ri-assume cioè lo ri-prende, lo rinnova, ponendolo in modo vivo nel limite (per-tanto inevitabilmente lo contrae) nelle dimensioni della situazione storica.

Si noti bene: non ha la pretesa di porsi come deduzione, ma come indicazione;

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il vangelo (la fede) si dà da sé. Così quindi mantiene l’irriducibilità del vangelo. Nessuna iniziativa ecclesiale è possibile senza il vangelo (la fede).

b) Contemporaneamente l’agire della Chiesa non può non collocarsi nella sto-ria, partecipando totalmente al flusso della storia, assumendo la storicità degli avvenimenti umani; quindi fa la storia.

Osserviamo inoltre che il gesto (azione) pastorale è avvenimento, nel flusso “plurale” degli avvenimenti; perciò ne condivide la contingenza e i condizio-namenti; ne subisce le dinamiche e può e deve reagire rispetto alla situazione storica del mondo.

Ponendo insieme intelligenza del Vangelo (fede) e interpretazione della realtà storica, si dà studio della pastorale: si opera (si conia, si inventa un agire che rende possibile, dà quindi consistenza e corpo, alla testimonianza del Vangelo) nella concreta situazione storica. Si può correttamente parlare di «razionalizza-zione» richiesta dal lavoro pastorale che determina l’azione e quindi la concreta possibilità storica della Chiesa.

In parte possiamo rifarci alla concezione di Aristotele nell’Etica Nicomachea: Theorein, poein, prattein; ed essere debitori ad un tempo all’interpretazione e terminologia di don M. Midali (UPS vedi bibliografia).

Lo studio della pastorale (il sapere pastorale) rivela la sua competenza nel-l’articolazione dei processi storici nei quali si attua l’agire pastorale (l’iniziativa ecclesiale).L’agente (soggetto) esprime un apprezzamento realistico all’effettiva pos-

sibilità dell’agire credente (agire pastorale, iniziativa di chiesa).Rivela capacità di conoscere e prospettare responsabilmente l’azione entro

una globale comprensione della concreta situazione. Quindi si esprime una effettiva determinazione d’azione, rendendo con-

cretamente visibile e dando consistenza storica alla testimonianza della verità e dell’amore di Dio.

Possiamo enumerare così quanto si vive nell’agire pastorale interpretandolo: esercizio di libertà, messa in atto di discernimento, decisione, adattamento buono. Così si può esprimere la «legge di ogni evangelizzazione».

Possiamo riprendere il tutto proponendo questa ulteriore riflessione.Lo studio della pastoraleattinge a un sentire preriflesso,inaugura un vero pensare,conduce a un sapere coerente.In questo studio sono richiamate risorse precise: intelligenza della fede, l’effet-

tivo esercizio della carità pastorale; si rilevi che queste risorse comportano, come condizione imprescindibile, la «razionalizzazione» del lavoro pastorale.

La dimensione pastorale della teologia, non si aggiunge dall’esterno alla teolo-gia, ma ne rivela una dimensione intrinseca. La dimensione pastorale è presente nella teologia.

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La portata (qualità) teologica della pastorale è connessa con la condizione di forma storica in cui si esprime la pratica della fede. In altri termini: le forme sto-riche della fede non rimangono esterne alla fede ma concorrono a determinare la figura del credere: la pastorale si nutre di fede, esprime la fede, dà consistenza (corpo) alla fede.

Quando lo studio della pastorale (che implica comprensione e apprezzamento) si attua alla luce della fede; è motivato dalla fede; costituisce una «figura» speci-fica della fede.

Le forme storiche, caduche e relative, non impediscono il manifestarsi della verità cristiana, che riconosce, assume e propone la teologia.

In definitiva l’orizzonte «pastorale», si fa incontro alla teologia:1. chiede a lei di verificare il proprio argomentare2. e di metterne alla prova la rettitudine in riferimento alla concreta situazione

della Chiesa.

6. Teologia pastoraleParlare di teologia pastorale (teologia dell’agire credente; teologia dell’iniziati-

va ecclesiale; teologia dell’evangelizzazione) è come dire che la «pratica» è luogo della teologia. Poniamo immediatamente a fuoco la «domanda pastorale» che origina la teologia pastorale.

Precisiamo subito che non riguarda «il che cosa», ma riguarda il «come»: la concreta azione ecclesiale nella sua determinazione.

È un ritornare riflessivo sul vissuto per rintracciare il disegno del Signore, il come porsi qui e adesso alla sequela (orientamento di Base), e comporre organi-camente le linee dell’agire.

Alla «pratica» si può e si deve avere approccio con profili differenti. È come dire che alla «pratica» (luogo teologico) non tutti gli ambiti della teologia si deb-bono rapportare nello stesso modo.

In definitiva la Teologia Pastorale si fa carico del sapere pastorale nella sua domanda di intelligenza; ne pone a tema la fondata pertinenza teologica. La Teo-logia Pastorale non è risposta ad una esigenza di completezza teologica ma è vera interlocutrice teologica dello studio della pastorale.

Tra le possibili caratteristiche di questo “sapere” (teologia pastorale) mi sembra opportuno elencare le seguenti:sintetico (come auspicio: è compito quello di raggiungere una “figura” cor-

rettamente delineata e sufficientemente condivisa di teologia pastorale),patetico (molto interpellante e coinvolgente),giovane (di una certa esilità, non comprensibile con immediatezza, interes-

sante, non del tutto affidabile),precario (deve dimostrare la sua consistenza e la sua legittimazione),atematico (esce dal silenzio di fronte al disagio),difficile (il vissuto nel suo darsi concreto),

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necessario (come i trattati classici; in questo nostro caso: teologia della vita della Chiesa; esistenza della Chiesa nel tempo).

Rileviamo in particolare la struttura argomentativa di questa disciplina «teolo-gia pastorale»: deve mettere in campo una «mediazione» tra «natura» (che cosa? - trattazione dogmatica) e «figura storica» (come? – da attuare).

Concludiamo con due annotazioni ribadite. La “teologia pastorale” deve essere liberata dalla sua riduzione “clericale”. Inoltre si tenga presente che la qua-lifica teologia “pratica”; non è solo della teologia pastorale, ma è tipica anche del profilo «morale» e del profilo «spirituale».

7. Mappa della teologia e proposta di insegnamenti per la teologia pastorale

Per una mappa della teologia, tout-court, si tengano presenti tre esigenze.1. Attenzione al momento storico del sorgere del singolo trattato.2. Necessità di esprimere UNA DISCIPLINA SINTETICA: con riferimento da

un lato alla RIVELAZIONE nella sua interezza, comprensiva degli aspetti pasto-rali; dall’altro proponga l’articolazione della VERITÀ.

3. Siano proposte le diverse DISCIPLINE teologiche analitiche, con attenzione al movimento di pensiero teologico che ha pensato e pensa per qualificazione e per specificazione.

Per questo in concreto è proponibile la suddivisione presente nella Enciclopedia di Teologia Pastorale e dell’ultimo volume corposo di B. SEVESO.

1. Il fatto pastoraleDefinizione di PastoraleLa storia (nei diversi secoli)Le areeI modelli2. La domanda pastoraleBase/fondamentoI percorsiScrittura. Tradizione. Aggiornamento. Magistero.Esperienza. Storia. I segni dei tempi. I fenomeni sociali.Esiti3. Sapere teologicoTeologia pastoraleDiscipline pastoraliScienze non teologiche

Tengo presenti due fondamentali esigenze:I. l’istituzione di un curriculum accademico di Teologia Pastorale.II. la tensione “buona e paziente” verso una MAPPA fondata e aperta dell’istru-

zione Teologica: l’insieme delle discipline.

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Il mio contributo “piccolo”: è come l’”uovo di Colombo” o un semplice auspi-cio o freccia direzionale.

Bibliografia minimaPartirei dai due filoni italiani, per un certo verso, con veri maestri che fino ad

oggi ci aiutano e fanno scuola.

Partiamo dall’UPSMIDALI M., Teologia pratica. 1. Cammino storico di una riflessione fondan-

te e scientifica (Biblioteca di scienze religiose 159) LAS Roma 1985, 20054; 2. Attuali modelli e percorsi contestuali di evangelizzazione (Biblioteca di scienze religiose) 1985, 20003; 3. Verso una effettiva reciprocità tra uomini e donne nel-la società e nella Chiesa (Biblioteca di scienze religiose 176) 2002; 4. Identità carismatica e spirituale negli istituti di vita consacrata (Biblioteca di scienze religiose 177) 2002.

A cui sono legate le produzioni dei colleghi docenti dell’università.

Richiamerei poi le pubblicazioni, da un lato debitrici e dall’altro aperte e collegate con quanto può essere riflessione di autore(i) della Facoltà teologica di Milano.

LANZA S., Convertire Giona. Pastorale come progetto (appunti di teologia 5) OCD, Roma 2005; Introduzione alla teologia pastorale. 1. Teologia dell’azione ecclesiale, Queriniana, Brescia 1989; La nube e il fuoco. Un percorso di teologia pastorale, Dehoniane Roma, 1995.

Un ulteriore polo legato alle riflessioni teologiche di COLOMBO G., SE-RENTHÀ L. e docenti viventi contemporanei ANGELINI G., BRAMBILLA F.G.,

le riconosco nelle opere diSEVESO B., La pratica della fede. Teologia pastorale nel tempo della Chiesa,

Glossa «Lectio», Milano 2010, 1-986.SEVESO B. – PACOMIO L. (ed), Enciclopedia di pastorale. Fondamenti

(Piemme) Casale Monferrato, 1992; Annuncio, 1992; Liturgia, 1988; Servizio-Comunità, 1997.

SEVESO B., Edificare la Chiesa. La teologia pastorale e i suoi problemi (Col-lana teologica pratica 1), LDC, Leumann (TO) 1982.

Possibile testo sintetico di riferimento è:SEVESO B., Studio della pastorale e teologia, in L’intelletto cristiano. Studi

in onore di Mons. G. Colombo per l’LXXX compleanno, Glossa. Milano 2004, 3-22.

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Attraverso questi testi viviamo l’approccio alla ampia letteratura che, da-gli anni di metà secolo scorso a partire dai teologi e pastoralisti tedeschi (francesi e poi latino americani), ci hanno aiutato a livello epistemologico e a cogliere nella storia criticamente le risorse e poi dinamiche ed espressioni dell’agire pastorale.

Rimando solo come ulteriori contributi di diverso valore scientifico:ANGELINI G. – VERGOTTINI M. (ed), Invito alla teologia III. La teologia e

la questione pastorale, Glossa Milano 2002.BRAMBILLA F.G., La pastorale della Chiesa in Italia. Dai tria numera ai

“cinque ambiti”, in La Rivista del Clero italiano 6 (2011) 389-407.+ Luciano Pacomio

vescovo

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DIOCESI

I Capitoli delle Congregazioni

Domenicane: suor Delfina Pocchiola nuova priora generale

Sr Delfina Pocchiola, 79 anni, nativa di Prunetto in Valle Bormida, è la nuova priora generale delle Suore Domenicane dell’Unione S. Tomaso D’Aquino, con casa-madre a Torino: l’elezione è avvenuta nel corso del Capitolo generale convocato nel con-vento di Mondovì Carassone ove sono al lavoro ed in preghiera 30 consorelle prove-nienti dalle varie comunità religiose, con rappresentanti dall’Argentina, dalla Bolivia e dalla Repubblica Centrafricana. “La vera sfida delle nostre comunità religiose e per l’Unione tutta – ha commentato la superiora generale – rimane quella di ‘camminare umilmente con il nostro Dio’ come dice il profeta Michea. Non da sole, non chiuse nel riccio, non estranee al mondo”. Sr. Delfina Pocchiola Lussia da 48 anni è impegnata nella sua apprezzata e vigorosa testimonianza di religiosa al servizio di tutti, a Pistoia. Ora dovrà lasciare la Toscana per trasferirsi a Torino, alla guida della Congregazione. A sr Edvige Tamburini, che con intelligenza e sapienza, ha avuto in questi anni la responsabilità di madre generale, è andata la sincera ed affettuosa gratitudine di tutte le suore del Capitolo. Ovviamente alla neo-superiora l’augurio di saper continuare il cammino con moltissima fede ed altrettanta fiducia perché insieme ai pesi della vita Dio dà la forza per sostenerli. Nell’accettare l’incarico la nuova priora generale ha fatto memoria dei suoi genitori, della sua terra, della sua gente da cui ha imparato le cose più belle della vita. “Sono a Prunetto le mie più profonde radici. Del suo cielo, dei suoi profumi, dei suoi colori ho avuto nostalgia sempre. Me lo sono portato dentro sempre questo paese di gente laboriosa, forte e coraggiosa”. Come consigliere sono state elette sr Marcella Gariglio (comunità S. Maria delle Rose a Torino), sr Giacomina Tagliaferri (comunità Bartolomeo de Las Casas a Torino), sr Fabrizia Giacobbe (Comunità del Rosario a Firenze), sr Teresina Miraglia (comunità Le Querce a Prato). Tornando nelle loro città, le capitolari porteranno il ricordo dei volti sorridenti delle suore dell’infermeria della comunità di Carassone e la gratitudine verso tutte e verso tutti coloro che in modi diversi si sono resi partecipi di questo importante mo-mento.

Suor Laura Cerri nuova superiora a BetaniaCambio generazionale alla guida della Congregazione di diritto diocesano “Fi-

glie del Cuore misericordioso di Gesù” (Piccola Betania) a Fiamenga: sabato

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scorso, a conclusione del Capitolo, è stata eletta quale superiora generale sr Lau-ra Cerri, tra le più giovani della comunità religiosa che conta 13 consacrate più due probande. Sr Laura Cerri subentra a sr Espedita Sarietto nella responsabilità della Congregazione. Il nuovo Consiglio è composto da sr Marilena Boetti, da sr Giuseppina Fenoglio, da sr Silvia Cometto e da sr Espedita Sarietto. L’elezione è avvenuta alla presenza del vescovo che ha seguito il Capitolo presenziando in tre giornate di lavori e di preghiera. A sr. Laura i più cordiali auguri di buon lavoro.

Suor Chiara Cadorin superiora generale delle Missionarie della Passione

E’ sr Chiara Cadorin la nuova superiora generale della Congregazione diocesa-na delle Suore Missionarie della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, con casa generalizia a Villanova M.vì. E’ stata eletta lunedì 27 agosto 2012, nella giornata conclusiva del Capitolo generale della stessa Congregazione (che conta oltre 65 consacrate). Il vescovo ha presieduto l’Eucaristia. Quindi si è invocato lo Spirito. In clima di fraternità si è proceduto alla elezione, come dalla Regola, contestual-mente alla composizione anche del Consiglio, di cui fanno parte le consigliere sr Giacinta Operti, sr Lauretana Giai, sr Giuditta Operti e sr Rosina Manfrinato. La Congregazione ha case e presenze in Romania, in Ecuador ed a Torino, oltre che in diocesi di Mondovì, ove le Missionarie della Passione sono apprezzate per il loro servizio e la loro dedizione. I giorni di Capitolo generale sono stati momenti di riflessione, confronto, approfondimento e preghiera sulla spiritualità di consacrazione e sulle scelte da operare nella sfide di oggi. Come guida per le meditazioni è intervenuto don Gaudenzio Pavan. Alla nuova superiora generale ed al Consiglio va l’augurio di buon lavoro.

Clarisse: nuova badessa è la cebana suor Rosa Paola PianoAlla presenza del vescovo e della madre presidente della Federazione di mo-

nasteri claustrali dell’alta Italia, le Sorelle Clarisse di Vicoforte Santuario, lunedì scorso, riunite in Capitolo, hanno proceduto alla elezione della nuova madre ba-dessa, che è sr Maria Paola Piano (originaria di Ceva). La madre vicaria è sr Gra-zia Daniela Carbotta. Fanno parte del Consiglio sr Anna Chiara Giuliano, sr Elena Amata Selleri e sr Maria Immacolata Quazzo. La nuova madre badessa resterà in carica fino al 2015. Auguri di cuore.

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SETTIMANA BIBLICA

Re-imparare da Luca i passi del Vangelo

(v.b.) - «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19,3): questo il mes-saggio con cui si è conclusa venerdì 24 agosto in Casa “Regina Montis Rega-lis” la Settimana biblica, dedicata al vangelo di Luca e guidata con sapienza dal vescovo mons. Luciano Pacomio. Una vera, rinfrescante, tonificante, luminosa ventata d’ossigeno capace di fronteggiare la torrida afa imperversante; tangibile sorprendente esperienza in quanti hanno accolto l’invito e si sono resi presenti per incontrarsi, ricercare, ma soprattutto vivere il gioioso e fiducioso ascolto nel crescente ancoraggio a Gesù Signore. “Senza gioia non si può vivere”: una gioia compatibile con il soffrire, esperienza crescente che abilita a portare la Croce come Gesù. Non un lusso legato all’età o agli avvenimenti, bensì il “carburante” fontale per vivere bene, con un «orizzonte di senso», in mezzo a guai di ogni genere. È accettare di essere in cammino, a piccoli passi, consapevoli dei limiti e delle fragilità, come gli apostoli, i discepoli di Emmaus, la moltitudine dei santi che in ogni epoca hanno vissuto da credenti totalmente affidati a Dio. Riconosce-re la “Via” che è Gesù, il Signore; sperimentare e vivere, ad ogni istante, anche nelle piccole cose, la Sua presenza in mezzo a noi, aperti ad un futuro di pienezza nella capacità di amare. Ecco in breve sintesi il messaggio di Luca, personaggio colto, che non ha conosciuto Gesù ‘secondo la carne’, ma come umile discepolo dei testimoni oculari, a sua volta attento ricercatore e vero testimone di ciò che ha udito; straordinario maestro di preghiera; un possibile modello per ciascuno di noi. Ad ogni tappa Gesù ci è presentato nella sua storia che si fa storia per noi e con noi sia nei circa trent’anni vissuti nell’umile ferialità di Nazareth, sia nel-la prossimità vissuta in mezzo ad ogni genere di conflitto sia nel lungo viaggio verso Gerusalemme. Ne scaturiscono alcuni impegni concreti accessibili a tutti: pregare per strada in qualunque condizione di viabilità; vivere con un orizzonte di senso; vivere la sosta eucaristica come ritmo del nostro esistere. È un accogliere e un ridonare che si rivela in un generare perché Dono accolto e partecipato con amore, opera dello Spirito nella poverissima umanità, ben consapevoli che nulla è impossibile a Dio. È il dinamismo della fede. È la stupenda realtà che tutti siamo invitati a vivere: accettare la nostra storia come incontro tra due grandi libertà: quella di Chi ama e di chi, nel limite, accetta questo amore. È esperienza di liber-tà continuamente liberata. Il primo passo il Signore lo ha compiuto e lo compie perennemente, ora tocca a noi.

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Prete tra i monaci ai Boschi

Perito informatico al “Vallauri” di Fossano, quindi impiegato al Bottonificio, dal ’94 è al Priorato “Madonna dell’Unione” di Boschi a Fiamenga, prima come novizio e poi come monaco nel Monastero Cistercense Trappista che da novem-bre scorso è stato elevato a Priorato maggiore: Giovanni Gazzera, 43 anni, ori-ginario di Bene Vagienna e poi fossanese della parrocchia del Duomo, lunedì 3 settembre 2012 è stato ordinato presbitero, per l’imposizione delle mani da parte del cardinale Velasio De Paolis, già presidente della Prefettura per gli affari eco-nomici della Santa Sede. Il cardinale ha accolto volentieri l’invito rivoltogli dal priore, dom Lino Colosio, del Monastero “Madonna dell’Unione” di Boschi, in quanto entrambi sono stati Scalabriniani e conservano un consolidato legame di amicizia. La celebrazione è avvenuta nella chiesa del Priorato lunedì 3 settembre, festa di San Gregorio Magno. Giovanni Gazzera, figlio unico, emesse i voti so-lenni come monaco l’11 giugno dell’anno 2000, e tuttora è maestro dei due novizi della comunità monastica. Ha compiuto gli studi teologici all’Università “S. Cro-ce” a Roma. “Mi accingo a vivere questo passo nella consapevolezza – dice con tutta serenità – che ci ricorda Paolo l’apostolo, quando parla della ‘potenza che si manifesta nella nostra debolezza. E provo gratitudine per il fatto che Dio continua ad aver misericordia di me così come sono, mentre mi convinco che la piccolezza può e deve essere un ministero evangelico adatto al nostro tempo”.

La comunità monastica dei Boschi conta 7 monaci e due novizi. “Viviamo il nostro carisma dentro l’Ordine cistercense, con le novità di comunione, di aper-tura e di attenzione che ci caratterizzano e che sono state accolte dall’Ordine stesso – conferma il priore dom Lino Colosio – cercando di perseguire l’unità nella Chiesa, coltivando l’ascolto, la pazienza, la semplicità, il dialogo, nonché la profondità della vita cristiana. E vogliamo sentirci uniti e presenti nella Chiesa di Mondovì, al fianco dei sacerdoti, come riferimento e richiamo di spiritualità. Molte famiglie passano da noi per sostare nella pace del Monastero. Il nostro annuncio, tramite diapositive (in più lingue), per una riproposizione della vita cri-stiana, ha buona ed efficace accoglienza”. Una bella notizia per tutti, ed anche per la Chiesa monregalese che ha al suo interno questa preziosa presenza monastica, un po’ da riscoprire.

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TRE-GIORNI TEOLOGICA

Credere ancora, in tempi di crisi

“Entriamo nell’anno della fede con coraggio, con speranza e con progettualità di vita,” ha detto il vescovo introducendo la Tre-giorni teologica, al Santuario, sul tema “La fede, affidabile e collaborativa” che è anche il titolo della Lettera pasto-rale. La partecipazione ai due momenti, ogni giorno (al mattino per sacerdoti, dia-coni e persone disponibili; alla sera, per tutti), è stata buona, nutrita anche da una serie di interventi dalla platea per chiarimenti e suggestioni. Ora – con gli spunti maturati sul “Credo” – ci si può inoltrare nell’anno pastorale 2012-2013 che va a riprendere. E soprattutto ci si può preparare all’anno della fede che inizierà, per la diocesi, a Valsorda di Garessio, l’11 ottobre.

Il prof. don Roberto Repole. La riscoperta di un... Dio umile Nella cornice dell’anno della fede si collocano le tre serate teologiche al Santua-

rio di Vicoforte , anche quest’anno davvero ricche di spunti.Nella prima il prof. don Roberto Repole ha proposto un’accattivante riflessione

sul tema “Credo in Dio. Dio comunione: Padre, Figlio, Spirito”, rivelato piena-mente in Gesù. Il problema della fede, considerata come adesione totale a Dio e non solo come puro esercizio formale, presuppone la dimensione storica: l’uomo credente vive nello spazio e nel tempo, nella cultura del “suo” oggi. E il nostro oggi si colloca in un mondo che non è più cristiano, ma secolarizzato, in cui la religione ha perso la funzione di collante della società e le diverse dimensioni del-la realtà acquistano una loro autonomia (autonomia della scienza, della funzione politica…). La fede è diventata una possibilità, un’opzione: se nel medioevo non si poteva non credere, oggi è presente la possibilità uguale e contraria della non-credenza. In questo diverso contesto è necessario ripensare l’idea di Dio presente nella Scrittura. Il Dio di Gesù non è il Dio forte del mondo pre-secolarizzazione e non è nemmeno il Dio debole come vorrebbe la cultura di oggi. Il Dio rivelato in Gesù Cristo è un Dio umile (dal latino humus = terra) Nel vangelo di Marco al cap. 11 ”Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” Gesù rivela qualcosa della sua identità e del Dio che vuole raccontare. Romano Guardini scriveva che in Dio deve esserci qualcosa che la parola amore non comprende ed è l’umiltà di Colui che è condiscendenza di fronte a chi non è nulla, di un Dio che si è piegato davanti all’uomo impastato di terra. E non solo, si china e si pone al servizio del-

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l’uomo offrendo la vita del Suo Figlio. Dio è immutabile, non ha la nostra povertà di essere, non deve diventare altro, ma può scegliere liberamente, per amore, qualcos’altro. Nell’incarnazione Gesù si fa carne per venire incontro all’uomo di cui assume interamente, l’umanità con tutte le conseguenze come il mutamento, la crescita. C’è l’umiltà di Dio anche nel racconto che di Dio fa Gesù. Dio ha a cuore tutti gli uomini, ma fa una preferenza per gli ultimi, i poveri, i peccatori perché in questo modo raggiunge veramente l’umanità intera (parabole della mi-sericordia).

Ma il vertice dell’umiltà di Dio si esprime nella croce in cui Dio consegna suo Figlio nelle mani dell’uomo perché sia annientato. Gesù vive sulla croce la stessa situazione del peccatore e cioè la lontananza da Dio e lì si colloca perché non ci sia nessun uomo più lontano da Dio di Lui. Qui si rivela il Dio Amore e Trinità. Il Figlio è tale in quanto la sua identità corrisponde all’essere Figlio che riceve la vita dal Padre, ma in Lui c’è anche la condizione di quell’essere impastato di humus che siamo noi. Con la risurrezione il Figlio ritorna glorioso al Padre, ricco della nostra povertà, della carne, dell’umanità che ha assunto fino in fondo. E questo cambia la relazione tra Padre e Figlio: in Dio c’è un nostro fratello per cui le nostre sofferenze, le nostre passioni, le nostre lacrime... non sono indifferenti a Dio che ha compassione del nostro dolore. E quindi possiamo attraversare la sofferenza con la consapevolezza che quello che Dio ha fatto con Gesù, lo farà anche con noi.

Carla Anselmo

Mons. Alceste Catella.“Credo la Chiesa”, andando all’essenziale“Credo la Chiesa e la vita eterna”, su questo passaggio cruciale delle fede cri-

stiana si è soffermato, nella giornata di mercoledì, mons. Alceste Catella, vescovo di Casale M.to e presidente della Commissione CEI per la liturgia. La sua rifles-sione ha preso per mano, per condurre all’essenziale sia ridicendo l’essere della Chiesa nel suo accadere (là dove viene annunciato Cristo morto e risorto, e là dove questo annuncio viene accolto, dentro una rete di comunione fraterna) sia riesprimendo la speranza del credente che guarda oltre la morte, nella risurrezione del Signore, mirando alla pienezza della vita nella Pasqua che ha ed avrà il suo compimento. Insomma mons. Alceste Catella è tornato sui fondamentali della fede, che hanno come centro e cuore il Signore, Gesù di Nazareth, il Cristo morto e risorto. Così si diventa tutti discepoli, si entra in relazione forte con i fratelli nella fede, si assumono gli atteggiamenti del Maestro, si cresce in un’esperienza che si fa matura e consapevole, in particolare nel momento del “noi” sacramentale che trova nell’Eucaristia il dato più coinvolgente. Il percorso storico della Chiesa può appesantire, gli apparati possono intralciare, l’istituzione può frenare, ma è la comunione che deve avere la meglio, collocando tutti alla sequela del Maestro, chiamati come si è indistintamente a farsi testimoni di Lui, il Vivente.

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L’orizzonte della “vita eterna”, al di là delle domande forti e legittime che in-quietano l’animo umano, è segnato nella fede dalla centralità del Risorto che at-tende i discepoli per la pienezza di vita che sta nella sua Pasqua. “I cieli nuovi e la terra nuova” vanno collocati nel mistero del dopo, da fissare con atteggiamenti sobri e discreti, nutriti di speranza, nella convinzione di una ulteriorità, cioè di un oltre che apre alla speranza, ancorché alle prese con il discernimento sulla vita nel suo termine. L’invocazione, che riassume l’animo del credente, attento, timoroso e fiducioso insieme, rimane quella biblica dei primi decenni del cristianesimo, “Vieni, Signore Gesù” (Maranatha!). Guardando oltre, cercando l’incontro de-finitivo, aspettando la Luce che non tramonta. Al di là di ogni visionarismo o fantasia o esagerazione… da purificare anche nel linguaggio pulito e nitido della fede pasquale.

Il prof. don Pier Davide Guenzi. Interfacciarsi con la società ma soprattutto con la propria coscienza

“Professo un solo battesimo per la remissione dei peccati” “Credo nello Spi-rito Santo”: su questi articoli del Credo, con particolare riferimento ai doni che giungono dall’Alto al credente, e all’impegno di solidarietà per il bene comune nella società, ha svolto una densa riflessione il prof. don Pier Davide Guenzi, novarese, docente alle Facoltà teologiche di Milano e di Torino, attingendo ab-bondantemente all’epistolario dell’apostolo Paolo. Il discepolo – nella visione paolina – che giunge al battesimo è già un convertito, che si è orientato al Risorto e che percepisce quindi la vita totalmente “in Cristo”, dentro le sfide quotidiane, nella concretezza del vivere. Paolo a più riprese ridice questa “novità” secondo l’espressione importante della “legge di Cristo”, che corrisponde alle scelte ed agli atteggiamenti di Gesù di Nazareth, fino allo “svuotamento” di sé per fare spazio all’altro in tutto e per tutto. Così prende sempre più evidenza l’imperativo cogente rispetto al diventare cristiano, pur già essendolo per dono battesimale e per grazia dello Spirito. Insomma l’ospitalità riservata al Cristo nella vita si tra-sforma in un compito da assumere, dentro la “legge della libertà” che è respiro dello Spirito, nello stacco forte dal passato, da cui il battesimo strappa persino drammaticamente. E’ la “creatura nuova” su cui Paolo disegna il profilo del cre-dente, che sperimenta la riconciliazione, a sua volta da far circolare, superando le fratture più diverse, in particolare quelle tra i fratelli nella comunità, includendo gli esclusi, allargando la famiglia dei figli di Dio a tutti coloro che Lo cercano… In fondo questa è la dimensione dell’agape, dell’amore che rigenera i rapporti in profondità, restituendo e riconoscendo dignità ad ogni persona.

Il prof. don Guenzi si è poi dedicato ampiamente alle indicazioni di Paolo rispet-to al potere costituito nella società, andando al di là della terminologia persino un po’ “laica” utilizzata dall’apostolo in questi frangenti, per sollecitare il discepolo ad interfacciarsi sì con l’autorità politico-istituzionale ma sopratutto con la pro-

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pria coscienza, facendosi critico a fronte delle logiche del mondo. Insomma una profezia da assumere con coraggio, laddove il credente è chiamato ad andare oltre il fatto concreto della società civile organizzata secondo gli schemi del potere.

Un ultimo cenno, peraltro molto documentato, è stato rivolto all’idea di bene comune, in chiave di solidarietà mirata che va al di là del soccorso nelle emergen-ze e nelle difficoltà, per pungolare i centri di potere sulle esigenze delle persone, in una corresponsabilità persino intergenerazionale da non eludere. C’è da evitare la retorica sulla solidarietà che può anche farsi ambigua, se non porta a far circo-lare buone relazioni tra le persone e finisce per legare soltanto interessi di gruppo. C’è una marcia in più che può e deve smuovere la storia concreta, oltre i piccoli cabotaggi che si presentano sempre sotto varie vesti.

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CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO

Chiedere il Battesimo per i piccoli impegna i grandi

Come affi ancare le giovani coppie con fi gli

Convocato nella sera di venerdì 21 settembre, il Consiglio pastorale diocesano si è confrontato sui seguenti temi: l) risonanza sul Convegno regionale di fine agosto ad Armeno; 2) anno della Fede; 3) urgenza prioritaria per una qualità di vita con senso e capace di far crescere.

L’esperienza di Armeno è stata presentata da un membro della delegazione diocesana monregalese, Antonio Servetti, che ne ha illustrato alcuni significativi aspetti: l’essersi trovati insieme tutti i Vescovi del Piemonte e Valle d’Aosta con i sacerdoti, religiosi/e e laici coinvolti a vario titolo nella catechesi e nella pasto-rale familiare; l’essersi confrontati con semplicità sulle esperienze in atto anche a livello nazionale e sui tentativi di produrre sussidi a portata di esperienza; la comune presa di coscienza che la nascita di un figlio e la richiesta del Battesimo comportano una novità che coinvolge tutta la famiglia in un cammino di rinascita per una fede adulta in grado di misurarsi con le vicende che la storia di ciascu-no comporta. A tale riguardo, nella Chiesa, assume un’importanza particolare l’attenzione a tutte le famiglie con figli dagli 0 ai 6 anni per coglierne le diverse esigenze e individuare insieme le opportune risposte pastorali. Il Vescovo, dopo aver ribadito quanto già disposto in diocesi con la formazione di tre equipe per la catechesi nelle varie età della vita, ha ricordato che ora tocca alla CEP produrre la sintesi di quanto emerso dal Convegno in modo che in ciascuna diocesi si possa operare con originalità ma condividendo comuni orientamenti per il cammino da compiere.

Dall’interessante e partecipato dibattito emergono alcuni nodi significativi del concreto agire pastorale nel vissuto odierno. Le esperienze parrocchiali già in atto (ad es. per le famiglie in attesa di un figlio; famiglie che hanno celebrato il Battesimo nell’anno; giornata della Vita; sussidi appositi.); il diverso coinvolgi-mento e livello di maturità di quanti chiedono i Sacramenti; la presa di coscienza di dover/poter mettere in atto dei “cammini” che consentano a tutti di compiere piccoli passi incarnati in una fede man mano più consapevole, sollecitano a dila-tare lo sguardo su orizzonti più vasti di quelli delle singole comunità parrocchiali (qualunque sia la loro dimensione); a crescere nella disponibilità ad assumere cor-responsabilmente gli orientamenti e gli aiuti formativi proposti a livello regionale

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e nazionale; a discemere il fattibile in diocesi per crescere davvero in una fede affidabile e collaborativa. Interrogativi ed esigenze variano da luogo a luogo, ma dal confronto in sala emergono anche basilari convergenze:

- per “educare alla vita buona del Vangelo” cioè a vivere bene con tutti, ricono-scendo come fondamento il Buon Dio in Gesù, la comunità cristiana non può e non deve sostituirsi ai genitori, alle famiglie, ma attivarsi nella sensibilità di aiuto, a misura di persona, soprattutto con l’offerta semplice e vera di concrete opportu-nità per vivere insieme la fede a partire dalla preghiera;

- l’«Anno della Fede», è occasione propizia per riscoprire il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) e per riaccostarsi ai documenti del Concilio, attuali e sco-nosciuti; ma è anche dono prezioso per accogliere “in novità di vita” alimentata dalla Messa domenicale, un rapportarsi più benevolo tra persone, in famiglia, nel condominio, sul lavoro, capaci, se necessario, di condividere economicamente le ristrettezze di tante persone;

- in risposta all’interrogativo del Vescovo circa i suggerimenti e il gesto da proporre per rendere più comprensibile questo «Anno della fede», si elenca: mo-derare la lingua, non giudicare, parlare senza alzare la voce, ascoltare di più il prossimo, servire, evitare parole che fanno soffrire gli altri, imparare a sorridere di più, un sorriso al giorno, riscoprire cinque ambiti del Convegno di Verona. Per il gesto si concorda all’unanimità per la proclamazione nella Messa domenicale del “Credo Battesimale” con il ritornello cantato ad ogni strofa “Credo Signore, Amen!”.

Segreteria del CPD

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IL BRASILE CHE È GEMELLATO CON NOI

Risposte ad un Paese reale in diffi coltà

“Certo il Brasile ha la fama di Paese emergente e per questo si piazza all’ot-tavo posto tra le potenze produttive, in particolare ha saldato tutti i debiti con il Fondo monetario internazionale, aspetta e si prepara ai Mondiali di calcio ed alle Olimpiadi, ma resta al 72º posto per quanto riguarda la sicurezza sociale, e la stragrande maggioranza dei suoi lavoratori raggiunge appena il salario minimo che è poco più di 250 euro”. Così, in termini più realistici, viene fotografata la situazione brasiliana da don Meo Bergese, sacerdote diocesano “fidei donum” a Pesqueira, nel Nordeste, che è in questi giorni in Italia accompagnato dai coniugi Elisabete (Betina) e Josias Martins y Peres, in viaggio in Europa anche per il tren-tesimo del loro matrimonio. Mentre Josias lavora nell’Inps brasiliano, Betina è vice-presidente del Pode (il Centro diurno di accoglienza e riabilitazione per bam-bini portatori di disabilità) fondato da don Meo Bergese a Pesqueira, ed è anche responsabile del CEDAPP (Centro diocesano di appoggio al piccolo produttore). Pesqueira, infatti, è zona interna del Brasile nordestino, in piena realtà semi-arida, con l’incombente siccità che può compromettere la vivibilità delle popolazioni. L’impegno della diocesi su questo fronte è quello di collaborare perché si sappia fronteggiare il periodo della siccità, anzi si sappia convivere con questi fenomeni atmosferici, prevenendone le conseguenze più gravi. Così si opera nel favorire le piccole cooperative, nell’allevamento di capre e pecore, nell’artigianato, nel-l’apicoltura… attrezzandosi con la provvista di acqua piovana o con mini-invasi da torrenti e da fiumi. In particolare il CEDAPP è riuscito a entrare in un bando della Fondazione Banco do Brasil per la realizzazione di cisterne familiari per la raccolta di acqua piovana e ben 1.450 di queste sono state finanziate. Si tratta di un incoraggiante riconoscimento sociale di quanto si sta allestendo tra la gente.

Il Pode – ci dicono don Meo Bergese ed i coniugi Martins y Peres – che accoglie oggi 230 bambini disabili per le terapie, è ormai convenzionato con il Sistema unico di salute, così le prestazioni dei fisioterapisti, degli psicologi, dei logopedi-sti… sono coperte al 60% dall’intervento pubblico. Un altro dieci per cento viene fornito da contributi comunali. Resta un margine del 30% a cui far fronte. Ma il tutto sta a dimostrare che la società e le istituzioni brasiliane, pur in mezzo a tanti limiti, stanno facendo la loro parte. Ed il Pode, con questa formula, mantiene la sua autonomia, ma si vede riconosciuto un servizio alla collettività.

Ciò che è carente oggi in Brasile – che sta diventando anche terra di immigra-

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zione dal resto dell’America Latina – è l’attenzione per i bambini di strada. E’ una piaga penoso e dilagante, su cui però la società nel suo insieme pratica una sorta di rimozione. Su questa frontiera delicata e cruciale, c’è tutto da fare, ed in contro-tendenza, in particolare senza fondi. Anche per far passare nell’opinione pubblica una consapevolezza sul dovere civico di preoccuparsi delle nuove generazioni segnate dalla precarietà. La stessa scuola, in Brasile, è un punto di debolezza, così come le risposte sanitarie. Un Paese che produce alla grande, ma che non guarda al prezzo che paga l’umanità più fragile.

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APPELLO DI DON RENATO CHIERA

«Chiedo a tutti e ad ognuno di non abbandonarci»

“Sono in questo momento di nuovo in Italia per completare il recupero della mia salute che ha vacillato un poco in questi ultimi mesi – ci dice don Renato Chiera, missionario “fidei donum” da Mondovì a Nova Iguaçù in Brasile ove ha fondato le Case do menor, apprezzate anche dal ministro della Cooperazione internazionale Andrea Riccardi, che l’ha dichiarato la settimana scorsa facendosi sentire con espressioni di solidarietà al fianco della volontaria in Servizio civile, Alice Bianchi, all’interno del Progetto della Caritas monregalese appunto alla periferia di Rio, là dove la ragazza è stata vittima di un’aggressione da parte di un minore ospite delle strutture –. Non nascondo che ho vissuto mesi molto difficili a livello di salute e ho sperimentato la fragilità e la pochezza umana, di cui, però, ringrazio perché mi permettono di capire meglio chi passa per momenti simili, in cui pare che tutto cada, che quello che si è fatto sia inutile e anche Dio sembra scomparire. Voglio credere, anche se in certi momenti è difficile, che tutto è gra-zia e dono. La vita passa veloce per tutti e sto celebrando 70 anni di vita e 45 anni di ordinazione sacerdotale, 34 anni di Brasile e 26 anni di presenza tra bambini, ragazzi e giovani emarginati e non amati, sempre a contatto con situazioni difficili che logorano fisicamente e psicologicamente. Vedo che di tutto questo, quello che resta è solo l’amore messo in ogni momento della vita”.

Chiediamo a don Renato Chiera di farci il punto sull’attuale situazione brasiliana, spesso al centro di controverse analisi, nell’opinione pubblica...

“Il Brasile sta vivendo un momento di boom economico (che sta già diminuen-do) che ha risvolti positivi (uscita dalla povertà di molte famiglie, grazie all’azione e alle politiche sociali del Governo Lula e Dilma) – ci dice –, ma che preoccupa per la mentalità consumistica e edonistica che coinvolge soprattutto i ragazzi e i giovani, senza valori e riferimenti in famiglie sempre più disgregate, che già sono la maggioranza (oltre il 50%). In questo contesto si spiega l’aumento del consumo di droga e di crack che coinvolge la città e la campagna e tutti i ceti sociali, e che è chiamata la tragedia del secolo. Le sacche di miseria estrema però non sono state raggiunte e risolte e noi abbiamo sempre maggiori difficoltà ad aiutare questa fascia di esclusi. Gli aiuti in Europa sono diminuiti e il Governo brasiliano fisca-lizza sempre di più, ma aiuta sempre di meno, e la società brasiliana (soprattutto i ricchi) ha ancora molta difficoltà a condividere. So che in Europa si diffonde un’immagine del Brasile super positiva in tutti i sensi, soprattutto come potenza

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economica e attrattiva turistica. Di fatto molte cose stanno migliorando. Il Brasile vuole imporsi sempre di più in uno scenario politico e mondiale, in particolare con i grandi eventi che ospiterà nei prossimi anni. Si lavora per una Rio de Janeiro “pulita” e si fanno “sparire” ragazzi e popolazione di strada per mostrare la “città meravigliosa” più meravigliosa che mai e si investe in strade, nuove strutture e in favolosi impianti sportivi. La polizia e i militari occupano favelas famose nate accanto a quartieri ricchi di Rio, che sarebbero un pericolo e una minaccia per il turismo legato a questi eventi e non solo. Nonostante miglioramenti a livello di sanità, scolarizzazione, professionalizzazione e impiego, la realtà dei ragazzi è sempre più violenta e difficile per l’invasione del crack che non risparmia nessu-no e davanti a cui la società e lo Stato si sentono impotenti”.

Come può continuare la “mission” della Casa do menor in Brasile? “La Casa do menor è nata quasi 26 anni fa in un contesto sociale e politico molto

differente da quello attuale. Esistevano solo le famigerate “febem” (centri governa-tivi di accoglienza massificata di bambini e adolescenti); non c’erano da parte della società civile organizzazioni alternative per accogliere ed aiutare questi bambini. Adesso le cose sono cambiate in conseguenza a nuove leggi e orientamenti del Gverno. Casa do menor accoglieva bambini e adolescenti di tutta la Baixada, di Rio de Janeiro e di altre città. Andavamo per le strade a incontrare e accogliere meninos de rua, senza avere problemi giudiziari e legali. Con la legge della municipalizza-zione del 2010, possiamo accogliere solo bambini del nostro municipio e altri con l’autorizzazione espressa dal giudice del municipio di provenienza. Con la legge di diritto alla convivenza famigliare, si è determinato che i bambini e ragazzi dovreb-bero rimanere, nelle nostre case, preferibilmente 6 mesi o al massimo 2 anni. Ogni tre mesi abbiamo un’udienza pubblica con il giudice minorile e il promotore dei diritti dei minorenni. E, per la loro decisione, le nostre case si trovano quasi svuota-te, e questo ci destabilizza e rende difficile un lavoro di recupero. Il Governo vuole statalizzare ed emargina sempre di più le ONG, soprattutto le istituzioni di acco-glienza che sono nella maggioranza di orientamento religioso. Molte ONG sono già state costrette a chiudere, noi continuiamo con ostinazione per salvare vite”.

E il futuro?“Stiamo riflettendo sulle scelte da fare e sulle direzioni da seguire, non senza

difficoltà per inventare nuovi cammini e adattarci alla nuova realtà e nuove leggi. La tendenza è rafforzare il lavoro preventivo nelle comunità con l’accompagna-mento alle famiglie e la professionalizzazione, e rafforzare la prevenzione e il recupero di bambini e ragazzi vittime di droghe sempre più devastanti come il crack e l’oxy. Abbiamo ancora più bisogno di voi, del vostro sostegno non solo economico. Cerchiamo persone che possano portare avanti quest’opera che già ha fatto tanto bene e deve continuare. Pregate perché possiamo trovare e aiutare la crescita di persone che assicureranno questa continuità. Questa è una opera di Dio e Dio non ci abbandonerà. I nostri ragazzi vi ringraziano. Un poco da parte vostra… è un miracolo per noi!”.

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GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

“Ho creduto, ho parlato”“Una Chiesa a cui la storia chiede di voltare pagina”

L’attenzione ai più poveri è condizione per rendere credibile il Vangelo.La storia, nel suo lungo percorso, è stata soggetta a svolte dette “epocali”, per

la rapidità dei cambiamenti del vivere umano, in un periodo relativamente breve. Si sente nell’aria che stiamo vivendo una di queste stagioni in cui anche la Chiesa è coinvolta.

La situazione del mondo interpella la Chiesa sul suo modo di essere e chiede, incoscientemente o addirittura in modo palese e talvolta aggressivo, che si incarni nel contesto attuale assumendone “le gioie e le speranze, le tristezze e le ango-sce”, come diceva il Concilio 50 anni fa.

Credo che l’esperienza di fede, quando è autentica, porti di conseguenza a “par-lare” nel modo tipico e specifico di ciascuno, incidendo nel suo vissuto.

Ho letto in questi giorni alcune testimonianze di Martiri, che fanno riflettere:P. Josimo Tavares (Brasile) scrisse nel suo testamento due settimane prima di

essere ucciso in un’imboscata: “Devo andare avanti con coraggio! Sono impegna-to nella difesa di lavoratori indifesi, popolo schiacciato negli artigli del latifondo. Se taccio chi li difenderà? Chi starà dalla loro parte? Io, per lo meno non ho nulla da perdere. Non ho moglie, né figli, né ricchezza... E’ l’ora del coraggio, muoio per una causa giusta, in difesa dei poveri e in favore del Vangelo, che mi spinge ad assumere questo atteggiamento fino alle ultime conseguenze”.

Suor Dorothy Mae Stang disse in una intervista, pochi giorni prima di essere uccisa: “Credo molto in Dio e so che sta al mio fianco. So che loro vogliono ucci-dermi, ma io non fuggo né mi tiro indietro. Il mio posto è qui, al fianco di queste persone costantemente umiliate da gente che si considera potente”.

La leader sindacale Margarida Maria Alves, uccisa con un colpo nella testa davanti alla porta di casa: “Non mi tiro indietro; non so quando mi uccideranno, non so dove, so che mi uccideranno, ma finché sono viva, lotterò per i diritti dei lavoratori”.

E infine il vescovo Oscar Romero, figura luminosa di pastore che ha dato la vita per il suo popolo; pochi istante prima di essere colpito al cuore, durante la cele-brazione dell’Eucaristia ha detto: “Che questo Corpo immolato e questo Sangue sacrificato per gli uomini ci alimentino anche per dare il nostro corpo e il nostro sangue alla sofferenza e al dolore, come Cristo, non per sé, ma per portare frutti di giustizia e di pace al nostro popolo”.

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A queste si possono aggiungere migliaia di testimonianze di gente anonima, su tutta la faccia del pianeta, e anche in mezzo a noi, che hanno pagato e pagano con la vita l’adesione alla Verità in cui credono.

Testimoni del Vangelo nella Chiesa, per una Chiesa testimone del VangeloLa Chiesa è comunità e ciascuno ne è membro, quindi non si può non volere il

bene di questa Madre per “costruirla” ogni giorno, secondo il progetto di Cristo Sposo. Ma la Chiesa sono io, sei tu, siamo noi… Con i nostri pastori, ciascuno con la responsabilità di renderla “la Chiesa col grembiule,” come diceva il vesco-vo Tonino Bello, a servizio dell’umanità. Qui si inserisce il nostro “martirio”, la nostra testimonianza.

Ci colpiscono i martiri, il loro coraggio, la fede e la capacità di amore e ci inter-pellano con il loro silenzio, che parla forte nella coscienza, dicendoci… e... tu?

Vorrei ampliare questa domanda muta a tutti i credenti e lasciare che il loro sangue bagni lentamente le radici della nostra anima, per suscitare risposte, vitali coraggiose.

La storia oggi sta schiacciando l’uomo, gli toglie il volto che è “immagine di Dio”, per farlo diventare un numero, un prodotto di mercato, soprattutto nei Paesi più impoveriti, e questo Regno di Dio (che è il Cielo sulla Terra) è combattuto in mille modi perché non si vuole il vero bene dell’umanità ma il profitto, il potere fine a se stesso e il benessere di pochi.

Qui si inserisce la testimonianza dei credenti. Gesù usa alcuni esempi per spie-gare questa realtà ai discepoli: “agnelli in mezzo ai lupi”, “sale della terra”, “luce del mondo”, “fermento nella pasta”… tutto ciò fa paura, timore… forse perché la nostra fede è fragile o di comodo.

Dio non chiede cose straordinarie per testimoniare, ma l’ordinario vissuto nel-l’ottica dello straordinario, che è disponibilità a “perdere la vita anche fisica” se lo richiede il bene supremo del Regno a servizio dell’umanità.

Ciò può essere solo opera dello Spirito, se lo lasciamo lavorare in noi: è Lui che, richiesto di cuore e pregato, fa emergere da noi l’impossibile, con l’assumere nella nostra pelle il mandato di Gesù “Andate in tutto il mondo…annunciate” (Marco 16,15), sentendoci “carne” con tutta l’umanità e non benefattori che ogni tanto “fanno carità” a chi sta peggio.

Se la fede per noi è questo, allora potremo parlare, non solo con la bocca, ma con la vita… ed è il linguaggio che tutti capiscono.

Buona missione per tutti noi.don Gianni Martino

Commissione missionaria diocesana

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A CINQUANT’ANNI DAL VATICANO II

Un Concilio che ci sta davanti, non alle spalle

L’evento di mezzo secolo fa, non un ricordo, ma una “mission”

(c.a.) - La “passione” per il Concilio non ha perso appeal, ancorché siano pas-sati cinquant’anni, in cui tante cose sono cambiate dentro la Chiesa e sugli scenari d’attorno: l’hanno confermato i numerosi monregalesi che hanno gremito una sti-patissima sala Conferenze a Breo, giovedì scorso, per condividere una riflessione a più voci, su “Vaticano II, stagione o orizzonte?”, con l’introduzione del prof. don Duilio Albarello e con interventi del prof. don Gian Paolo Laugero docente di storia della Chiesa e del dott. Silvio Crudo, sociologo fossanese. L’iniziativa, azzeccata, è stata di MEIC, Azione Cattolica, UCIIM e Commissione diocesana per la Scuola e l’Università. Ovvio che ci si è trovati tutti d’accordo nel sciogliere l’interrogativo della serata, secondo cui il Concilio non può essere una “stagio-ne” archiviata, posta nel passato, magari da ricordare con nostalgia, ma resta e si propone come un “orizzonte”, cioè una mission da perseguire, uno sguardo in avanti, percependolo come “di fronte” e non “alle spalle”, quindi con un futuro che ci riguarda.

L’approccio dello storico – prof. don Gian Paolo Laugero – è stato mirato a far cogliere del Concilio Vaticano II la portata dell’evento, andando ben oltre i documenti pur decisivi e determinanti, ma inglobando l’esperienza umana ed ecclesiale degli oltre duemila vescovi radunati per lungo tempo, quindi i gesti an-che emblematici dei papi di allora (Giovanni XXIII e Paolo VI), l’attenzione dei media, il coinvolgimento delle altre confessioni cristiane. Ed in questo “evento” significative sono state le coraggiose indicazioni di Papa Giovanni per una Chiesa in atteggiamento di fiducia verso il mondo, a dispetto dei “profeti di sventura”, nello stile del dialogo aperto e libero, nell’intento di ri-esprimere l’esperienza cristiana dentro le nuove sfide rappresentate dai “segni dei tempi”. E la conno-tazione “pastorale” per il Concilio non fu e non è una “diminutio”, perché va a intercettare l’azione stessa della Chiesa dentro le vicende umane e quindi va a collocarsi nel cuore del mistero cristiano nel tempo e nello spazio. E così il rior-dino nella riflessione della Chiesa su se stessa ha portato, innanzitutto, a privi-legiare il mistero coniugato dentro “il popolo di Dio”, rispetto all’istituzione con le figure gerarchiche nella comunità. Insomma una svolta non da poco, tuttora da metabolizzare appieno, respirando ancora lo “spirito” del Concilio che cambiò

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profondamente (o avrebbe dovuto riuscirci) una Chiesa chiamata a trasformarsi “dal comando all’invito, dalla legge all’ideale, dalla costrizione alla coscienza, dalla minaccia alla persuasione, dal monologo al dialogo”.

Sulla riscoperta formidabile dell’essere Chiesa come “popolo di Dio”, si è pure soffermato a lungo ed appassionatamente il dott. Silvio Crudo, per ritornare sulla “mission” dei laici da non richiudere nel recinto ecclesiale od all’ombra del cam-panile, ma da sospingere come testimoni nel mondo “trattando le cose temporali”, in una corresponsabilità con i pastori che è in gran parte da rimettere in pista. Ed il richiamo a Giovanni XXIII è stato inevitabile, quando, aprendo il Concilio, si presentò come “un fratello” non un capo indiscusso (“la mia persona non conta nulla”, ebbe a dire con sorpresa di tanti): insomma un rovesciamento di prospet-tiva, di atteggiamenti, di scelte. Ed anche sul fronte della “collegialità” Silvio Crudo ha ribadito come sia stato un tema “ristagnato” in questi cinquant’anni. Così come c’è da interrogarsi, secondo Crudo, se non si siano tirate conseguenze lineari dal Concilio per una Chiesa realmente “popolo di Dio nel mondo”, in cui evitare l’avvitamento sulla struttura, sull’istituzione, sull’apparato, sulle tecniche pastorali, sulla gestione dei servizi… anziché lasciarsi guidare dalla “mission” dentro il tempo presente. “Perché è appunto la missione che qualifica e fa la Chiesa, non viceversa”. E da sociologo si è rifatto a quel 7-8% di persone inter-cettate oggi dalle cosiddette “iniziative” ecclesiali che si moltiplicano, assorbono energie, e magari rinchiudono ancora di più… mentre il campo del mondo resta apertissimo e pressochè disatteso. Senza contare, ha concluso Silvio Crudo, tutto il ventaglio di nodi da affrontare coraggiosamente e francamente tra sacerdoti e laici, su situazioni diffuse (come la realtà intorno alla coppia ed alla famiglia), in cui non si può più far finta di niente.

Insomma una serata di spessore, su cui ritornare, fruttuosamente.

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IL RITO DELLE ESEQUIE

La speranza cristiana oltre la morte umana

Particolare attenzione alla scelta della cremazione del defunto

La CEI, nella nota introduttiva al (nuovo) Rito delle esequie, stabilisce quanto segue: «Questa seconda versione italiana dell’editio typica dell’ Ordo Exequia-rum è stata approvata secondo le delibere dell’episcopato e ha ricevuto la confer-ma della Sacra Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti con decreto del 23 luglio 2010. La presente edizione deve essere considerata “ti-pica” per la lingua italiana, ufficiale per l’uso liturgico. Questa versione del Rito delle esequie si potrà adoperare appena pubblicata; diventerà obbligatoria dal 2 novembre 2012».

Alcune osservazioni sintetiche: 1) Pertanto dal giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, il libro

delle esequie e le indicazioni rituali in esso contenute dovranno diventare quoti-diana prassi celebrativa.

Nel nuovo Rito si intende ribadire che la risurrezione di Cristo è il nucleo ed il centro della nostra fede. Come insegna con forza l’apostolo Paolo: “Se Cristo non è risorto, vuota è allora la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede”.

I riti delle esequie cristiane, lo spirito di fede e di speranza che le anima sono da vivere e da comprendere nell’ottica della Pasqua del Signore. Illuminati dal suo mistero, i cristiani sono invitati ad affrontare la propria morte e quella dei loro cari non solo come una scomparsa e una perdita, ma come un passaggio, un vero e proprio esodo da questo mondo al Padre.

2) Quali motivazioni soggiaciono al nuovo Rito? La diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vangelo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale diverso, assai mutato rispetto alla prima edizione, risalente al 1974.

Di fronte alle nuove situazione è parso bene quindi:- offrire una più ampia ed articolata proposta rituale a partire dal primo incontro

con la famiglia, fino alla tumulazione del feretro;- presentare una traduzione rinnovata dei testi di preghiera secondo le indicazio-

ni di Liturgiam Autenticam, e dei Salmi e delle letture secondo la nuova versione ufficiale della CEI (2008);

- integrare i testi delle monizioni e delle preghiere presenti nella prima edizione

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con nuove proposte, attente alla nuove, diverse situazioni;- rispondere con apposite indicazioni alle nuove situazioni pastorali, in partico-

lare per quanto concerne la questione della cremazione dei corpi;- infine, provvedere a suggerire nuove melodie musicali e canore per alcune

parti della celebrazione.3) Si raccomanda vivamente la cura della celebrazione. La Chiesa affermando

che ogni celebrazione liturgica è il culmine e la fonte del suo agire, al punto che nessun’altra azione ne uguaglia l’efficacia, è consapevole che le esequie cristiane costituiscono una situazione particolarmente favorevole per annunciare la morte e la risurrezione del Signore non solo ai credenti, ma anche a coloro che non cre-dono. Infatti, i gesti e le parole che annunciano il Vangelo della speranza possono essere eloquenti per tutti, nella misura in cui sono compiuti in spirito e verità. Ciò richiede particolare attenzione nella scelta dei testi più adatti, nell’omelia e nelle monizioni, nei canti e nella cura dei gesti da parte dei ministri, così che la cele-brazione sia al contempo orientata al riconoscimento della presenza e dell’agire salvifico del Signore e adattata alle concrete situazioni dell’assemblea.

don Pier Renzo Rulfo, direttore Ufficio Liturgico Diocesano

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“Il dolore della mente”, come farsi carico del disagio psichico

È uscito la prima domenica di dicembre, che è anche la Giornata che la Chiesa dedica a chi è colpito da malattia mentale, un sussidio pastorale per condividere il peso della sofferenza psichica che colpisce fratelli e sorelle che vivono nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità. “Il dolore della mente” è il titolo dello strumento, agile, brioso, colorato, allestito dal “Laboratorio diocesano salute mentale” (don Meo Prato responsabile della Pastorale della salute, referente Maria Grazia Ran-dazzo) costituitosi dal 2010 per iniziativa degli Uffici diocesani della Pastorale della salute, dell’Ass. AGAPE e della Caritas, con l’intento di elaborare percorsi di studio, formazione, informazione, sensibilizzazione rivolti al variegato mondo delle organizzazioni ecclesiali, degli operatori pastorali, dei parroci, delle parroc-chie… Il “Laboratorio” diocesano non è un consultorio dove indirizzare persone affette da disturbi psichici, ma è uno strumento pastorale che può essere utile per il difficile cammino di prossimità al malato mentale ed alla sua famiglia. “Aiutare ogni ammalato a non essere oggetto di compassione, ma soggetto di amore: che cioè sa amare, donarsi, offrire”, così il vescovo mons. Luciano Pacomio, citando don Luigi Novarese, indica il taglio con cui avvicinarsi a chi è segnato dal dolore, in specie per patologie mentali. Preziose sono le indicazioni che aiutano ad ap-procciarsi con consapevolezza dentro il dedalo della malattia psichica, in tutte le sue manifestazioni, nella convinzione che “il malato mentale è un cristiano tra i cristiani, confuso nella sua sofferenza, più vicino a Dio per i meriti del suo soffrire, nostro fratello in Cristo, missionario nella comunità cristiana, molto ascoltato dal Signore, a motivo della forte condivisione della stessa croce sulla via di un calva-rio che spesso non terminerà mai”. Una parte del sussidio è riservata ai passi di una “comunità che accoglie e si prende cura”, battendo ogni forma di esclusione o di emarginazione o di indifferenza. È tracciato, con altrettante parole-chiave, un itinerario indispensabile di attenzione pastorale alla sofferenza psichica, pratican-do ascolto, accompagnamento, vicinanza, sostegno, solidarietà. Raccogliendo, col volontariato, una sfida ed una provocazione, perché la patologia mentale richiede una costanza ed una premura diverse, rispetto ad altre forme di malattia. Il sussidio, poi, descrive tutti i supporti che il Sistema sanitario mette a disposizione su questo terreno, con una mappa efficace tramite la quale orientarsi nella richiesta di aiuto e di terapia, nonché nella ricerca di risposte concrete alle situazioni di disagio.

Una serie di domande porta dentro i nodi irrisolti che si intrecciano con la ma-lattia psichica, toccando anche tematiche delicatissime come quella del rischio-suicidio.

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FIGURE

L’addio a mons. Massimo GiustettiFu vescovo a Mondovì dal ’76 all’86 Pastore poi nella Chiesa biellese

Il 4 dicembre 2012 è spirato all’Ospedale di Biella Mons. Massimo Giustetti, già Vescovo di Mondovì dal 1975 al 1986. Il giorno precedente era stato colpito da emorragia cerebrale nella casa parrocchiale di Muzzano (BI) dove abitava. Aveva 86 anni di età, 62 di sacerdozio e 40 di episcopato.

Nato a Riva di Pinerolo il 28 febbraio 1926, era diventato sacerdote nel 1950. Laureato in Teologia, Mons. Giustetti ha ricoperto incarichi nell’Azione Cattolica a livello diocesano e nazionale. Eletto Vescovo di Pinerolo e consacrato dal Car-dinale Michele Pellegrino il 27 agosto 1972, fu poi trasferito a Mondovì e resse la nostra Diocesi per 11 anni, dal 1975 al 1986. Da quell’anno e fino al 2001 guidò la Diocesi di Biella. Vescovo emerito, stabilì la sua residenza a Muzzano, dedito ancora all’attività pastorale e allo studio.

L’ultimo incontro con Mondovì avvenne nel mese di maggio di quest’anno, nella giornata con i sacerdoti al Santuario di Vico, nella ricorrenza del suo 40º di episcopato.

Il Vescovo Mons. Giustetti è stato pastore buono e sapiente, che ha lasciato pro-fondi insegnamenti sulla realtà viva della Chiesa, alla luce del Concilio Vaticano II.

I funerali, ai quali hanno partecipato il nostro Vescovo e numerosi sacerdoti e fedeli monregalesi, sono stati celebrati a Biella il 6 dicembre.

Mons. Giustetti è sepolto nella cripta della Cattedrale di Biella.

Una presenza di fratello e padre, in punta di piedi

(c.a.) - Poco più di dieci anni, a Mondovì, ma una significativa impronta lascia-ta tra la gente, in mezzo ai preti, per il suo stile sobrio, discreto, schivo (chissà forse anche un po’ timido). Mons. Massimo Giustetti è stato pastore nella nostra Chiesa attingendo con abbondanza al Concilio, seminando sapienza ragionata e solida da credente e da padre nella fede, tessendo una rete di fraternità e di co-munione (nonostante resistenze assortite e tanti ostacoli incontrati). Salutandolo con riconoscenza su queste pagine, si scriveva nell’86, che si doveva apprezzare

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in lui un vescovo che aveva “governato” in punta di piedi, quasi chiedendo scusa alle persone a cui si rivolgeva, tutto proteso al dialogo schietto e senza fronzoli, tutto centrato sul rispetto della coscienza di ognuno, tutto convinto che nel cuore della gente (più che nei vari pronunciamenti) sta un tesoro da valorizzare e a cui rivolgersi. In molti non l’abbiamo perso di vista, anche dopo la sua partenza da Mondovì. Condividendo in particolare i suoi scritti di robusta spiritualità e di una essenzialità straordinaria, non un parola in più del necessario per allargare gli orizzonti di una fede ben radicata, rasserenante, in grado di sorreggere nelle diffi-coltà. E poi l’abbiamo sentito – pure a distanza – compartecipe di gioie e dolori, di fatiche e speranze, in una fraternità-paternità che guardava oltre. Gli abbiamo ancora e sempre voluto bene, come a chi ha tracciato un cammino da seguire nelle orme impercettibili, ma nitide che stava lasciando ed oggi ci lascia. E forse anche adesso, per non deluderlo, non vanno sprecate parole sul suo conto. Basta un’intesa, nella fede comune e nell’amicizia di sempre.

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CONVEGNO MIGRANTES

“La salvezza è sempre altrove”

Dal 19 al 22 novembre si è tenuto a Roma un convegno nazionale dei direttori e collaboratori degli Uffici diocesani Migrantes. Don Jean Marie Mabongo ha rappresentato la nostra diocesi.

* * *La paura dell’altro sembra caratterizzare le nostre città e comunità, anche ec-

clesiali. In realtà la Parola di Dio ci ricorda attraverso diverse pagine e figure (da Mosè a Ruth, fino al Samaritano) che la salvezza viene sempre da fuori. Educare all’incontro è una delle sfide educative sulle quali la Parola ‘cammina’ e la Chiesa cresce. Senza incontro non solo non si educa, ma neppure si evangelizza. Infatti, annunciare Gesù Cristo a tutti come unico salvatore dell’umanità è il compito proprio della Chiesa anche nei confronti di quanti vivono il fenomeno della mobi-lità, per scelta o più spesso per tragica necessità, alla ricerca di un sostentamento per sé e per la propria famiglia. Così la Chiesa si fa difesa dei poveri e custode dei deboli, parola di verità e di giustizia sull’uomo e gesto di fraternità e di carità che soccorre. E’ Paolo apostolo che assicura che nella comunione ecclesiale non si è più “né stranieri né ospiti”, ma “concittadini e famigliari di Dio”, così che ogni uomo può ben essere detto fratello, titolare della stessa dignità, perché tutti figli dello stesso Padre. Il tema del convegno ha richiamato al dovere di educare all’incontro che è una delle sfide cruciali in cui la Parola “cammina”, si diffonde, e la Chiesa evangelizza. Ed è proprio questo impegno dell’educare che permette di dare una risposta alla paura del futuro e dell’ “altro”.

Il convegno ha voluto offrire agli operatori pastorali un’occasione per conosce-re il quadro attuale dei mutamenti culturali e sociali, derivanti dal fenomeno della mobilità umana, per tenerli strettamente uniti alle preoccupazioni della Chiesa in Italia oggi. La riflessione sulla Parola, alcune relazioni, le testimonianze e la condivisione di esperienze… si sono trasformate in momento di formazione e di educazione all’incontro con il diverso, aiutando ad individuare scelte pastorali nelle Chiese locali. Inoltre è stato presentato il nuovo Statuto della “Migrantes”.

Tutti gli interventi hanno evidenziato un dato, la crisi sociale in atto non si risolve con l’esclusione degli stranieri, ma con una comprensione diversa della “estraneità” che concerne soprattutto il modo di relazionarsi con Dio e con gli altri e con lo stesso creato. La presenza dei migranti è dunque anche una provvi-denziale provocazione ad una sempre maggiore apertura e accoglienza; apertura

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e accoglienza che, esaltando la persona umana, tendono a valorizzare le diversità, senza fagocitarle. Noi abbiamo anche una memoria da recuperare, incarnata dalla sapienza biblica nel libro del Levitico, che raccomanda: “Il forestiero dimora fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri” (19, 34). E nel Nuovo Testamento, Gesù assicura che l’incontro con lui passa anche attraverso la misericordia riservata allo stra-niero: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25, 35). Le migrazioni, anche oggi, spingono l’umanità e, in particolare, la Chiesa e i cristiani con le proprie comunità locali, verso una visione e un impegno più universali: in ogni tempo e luogo, l’ac-coglienza del pluralismo allarga l’ambito della solidarietà e della fratellanza, con la consapevolezza che “la principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso”. Quando in una società tutto è ridotto a “cosa”, si erodono i legami sociali, si ha paura del-l’altro, si è incapaci di fidarsi, perché l’altro è una minaccia per me. Per questo, l’incontro non è mai un idillio, è una fatica. Si tratta di perseguire la meta giusta e di andare per la strada retta: non cancellare le differenze, ma assumerle con delicatezza e rispetto, portando la propria diversità senza schiacciare l’altro, acco-gliendo l’altrui identità senza annullare la propria, favorendo la fraternità umana, dando spazio all’altro come persona, come soggetto che porta alla reciprocità di un cammino comune, con diritti, doveri e responsabilità per entrambi.

don Jean Marie Mabongo Kavueta

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Accanto agli orfani di Butea e Oradea

La dedizione tra i senza famiglia, ora anche sotto i rifl ettori della Tv Un servizio pure ad “Uno-mattina” con sr Elisabetta Barolo

E’ stato un inizio di novembre un po’ speciale per le Suore missionarie della Congregazione della Passione di Gesù di Villanova M.vì. Dopo tanto prodigarsi per gli altri, ecco che alcune emittenti cattoliche le invitano a Roma per offrire una testimonianza e parlare del drammatico problema degli orfani romeni. In Roma-nia, infatti, le suore hanno aperto da alcuni anni due missioni a Oradea, nell’ovest, e a Butea, nel nord-est del Paese. Prima ad atterrare a Roma dalla Romania è suor Elisabetta Barolo (nella foto), responsabile della missione di Butea, in Moldavia per un incontro in serata a Saxa Rubra, la sede della Rai, con la giornalista Rai (Uno-Mattina) Giovanna Rossiello, per preparare insieme l’intervista che sarebbe stata registrata due giorni dopo nel programma “Fai la cosa giusta”. Con sorpre-sa e, un po’ di emozione, suor Elisabetta viene invitata nello studio del TG1 per l’edizione delle 20, accolta con simpatia dai giornalisti presenti e dal conduttore Francesco Giorgino. Il giorno seguente, la raggiungono a Roma da Villanova an-che le madri della Congregazione, Chiara Cadorin, e la vicaria, Giacinta Operti. Nel tardo pomeriggio, dopo una sosta nella basilica di San Pietro davanti alla tomba del beato Giovanni Paolo II, le suore varcano gli studi di TV2000 per una prima intervista in diretta. A fare gli onori di casa è il giornalista Maurizio Di-schino che si intrattiene in diretta con suor Elisabetta per una decina di minuti. La suora ha l’opportunità di raccontare la sua personale esperienza con i bambini di Butea e la situazione delle tante mamme romene “che non abbandonano i propri figli perché non li amano, ma perché sono spinte ad emigrare dalla necessità di so-pravvivere”. E’ una testimonianza toccante, come dimostrano le tante telefonate che arrivano quasi subito alla redazione. Persone che hanno condiviso la passione di suor Elisabetta per i più poveri e che vogliono donare qualcosa per sostenere le attività della missione. Telefona persino una giovane donna che chiede di incon-trare le suore della Congregazione per un periodo di orientamento vocazionale.

Il giorno seguente, il 6 novembre, le suore riprendono le interviste. Alle 9 in punto sono negli studi della Rai per partecipare a “Uno-Mattina”. In pochi minuti, suor Elisabetta racconta nuovamente la sua esperienza con i bambini della mis-sione al microfono della giornalista Rossiello, mentre madre Giacinta la sostiene spiritualmente recitando il rosario. Terminata la registrazione, nuova partenza alla volta di Città del Vaticano, ospiti questa volta di Fabio Colagrande, giornalista di Radio Vaticana. E’ una doppia intervista: a madre Chiara Cadorin sulle attività e

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sulla spiritualità della Congregazione, a suor Elisabetta sulle attività per i bambini a Butea. Terminato il servizio, Colagrande accompagna le suore per gli austeri saloni dell’emittente, dove ogni porta contrassegna la redazione della radio di un singolo paese. E sono ben 39 le edizioni in lingue diverse che trasmettono gior-nalmente in tutte le parti del mondo!

Poco dopo mezzogiorno l’ultima intervista. Questa volta è l’agenzia stampa internazionale, Rome Reports, che realizza e invia i propri servizi televisivi in lingua inglese e spagnola in tutti i continenti. L’intervista si svolge all’aperto, su un bellissimo palazzo prospiciente la residenza del Papa. Suor Elisabetta, al microfono di una simpatica giornalista spagnola, Victoria Cardiel, racconta (in italiano, la traduzione in inglese e spagnolo la curerà poi la redazione) la storia e le attività della missione di Butea. Una nuova toccante testimonianza che viene accolta con interesse da vari ascoltatori, in particolare negli Stati Uniti dove alcu-ne Associazioni cattoliche si offrono di inviare cibo e beni di prima necessità alla missione. Poi, ancora un ultimo saluto alla basilica di San Pietro, e di corsa alla stazione Termini per il “Freccia Rossa” diretto a Torino.

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AGGREGAZIONI LAICALI

«La fede che ci unisce e ci impegna»

In cammino “insieme” da 10 anni

14-XII-2003 MILLESIMO - Insieme a Millesimo.l2-XII-2004 GARESSIO PONTE - Insieme nella domenica “Gaudeie”.11-XII-2005 CHIUSA PESIO - Camminiamo insieme nell’amore cristiano - carità. l7 XIl-2006 CARRU - Collaboratori della vostra gioia per la felicità possibile. l6 XII 2007 CEVA - Insieme per rendere visibile il grande “sì” della Fede.l7 XII-2008 DoGL1AN1 - Gioia perla vicinanza.13-XII-2009 DOGLIANI - La Speranza cristiana.l2 XII-2010 ROCCAFORTE - L’amore cristiano è credibile, insieme per testi-moniarlo.11-XII2011 MONDOVI - Pregare è come respirare. Insieme per viverlo e respirarlo.16-XII-2012 VILLANOVA M.VÌ - La Fede che ci unisce e ci impegna.

Sempre invitati dal nostro vescovo mons. Luciano Pacomio per vivere- la bellezza e la novità della fede in Gesù Signore: il rapporto più vivificante ed

illuminante il senso della vita e la propria personale missione d’amore (2003).- la venuta-presenza di Gesù tra noi promuove davvero la giusta tonalità e stile

di vita, che e la testimonianza della speranza e della gioia cristiana (2004). - È la nostra Chiesa che nelle forze, in un certo senso più vive, si raduna, celebra

il Mistero del Signore che salva, rilegge se stessa per poter crescere nella testimo-nianza che suscita la speranza cristiana (2005).

- esperienza de/l’essere Chiesa del Signore: uniti nella preghiera, nella condivi-sione, nella testimonianza (2006).

- scambiarci reciprocamente ì doni del Signore (2007). La Parola di Dio ci offre motivo di gioire ed essere grati, perché Lui ci ama ed è fedele (2008).

- È speranza che rende operoso e gioioso, pur nei guai, il presente e ci promette e propone il futuro di pienezza di comunione con il Buon Dio e di amore efficace e limpido peri fratelli (2009).

- Siamo grati al Signore di questa possibilità e di questa testimonianza di con-divisione e fraternità (2010).

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- “camminare insieme” alla sequela dell’Unico Signore Gesù (2011).- anche in questo anno in cui ci impegnamo a vivere un bel cammino di fede

cristiana che spera e che ama siamo invitati a celebrare insieme la «profezia» del Natale di Gesù (2012).

Dalle aggregazioni laicali Nel clima di gioia della terza domenica di Avvento, come è ormai decennale

tradizione, le aggregazioni presenti in diocesi e che hanno accolto l’invito del Ve-scovo si sono ritrovate per celebrare l’annuale condivisione. Nella parrocchia di Villanova S. Lorenzo, all’insegna de “La Fede che ci unisce e ci impegna”, ci si è ritrovati per la celebrazione della S. Messa e quindi per il pranzo insieme e le testimonianze pregate. «Testimoniate il regno di Dio prima che a parole, attraverso la relazione d’amore che c’è tra di voi... importanza della relazione come elemen-to fondante della nostra fede»; «Avevo voglia di essere entusiasta anch’io...sono rimasta colpita dall’atmosfera, dai rapporti instaurati e dall’amore che c’era tra le persone... la mia fede guida la mia vita in ogni momento, con il Movimento, con la Parrocchia, anche perché questi due aspetti camminano insieme verso un’unica meta che è sempre Lui»; «pietà, studio, azione contribuiscono ad esprimere una fede affidabile e a sostenere nell’amare rendendosi disponibili a servire là dove il bisogno umano si fa avvertire»; ma «è il bisogno della Parola di Dio che sostiene, rafforza, orienta soprattutto quando la sofferenza bussa alla porta di una famiglia, di una persona…». Così emerge dalle prime quattro testimonianze più legate al-l’associazione o ai movimenti. Ne sono seguite altre che, sulla base fondante della fede maturata, hanno espresso concreti, innovativi e variegati impegni in parrocchia: dalla radio parrocchiale per raggiungere anziani e malati con le celebrazioni e con un messaggio formativo, all’impegno di recita del S. Rosario specialmente nei mesi di maggio ed ottobre, animati da appartenenti ad aggregazioni diverse, ai centri di ascolto del Vangelo praticati in una decina di gruppi per il confronto vivo tra Parola di Dio e vita concreta, alla curiosa, intrigante e testimoniale esperienza dei ciclopel-legrini e dei “pellegrini a piedi per sei giorni”.«E’ molto bello che siamo da varie parti e tutti incamminati a rivoli con il Signore, ma per percorrere con Lui la Sua via... movimenti e associazioni sono questi rivoli... la nostra Chiesa può esprimersi in una unità straordinaria se rispetta le singole identità e nessuna è contro un ’altra». Così ha voluto sottolineare il nostro Vescovo a conclusione delle testimonianze. E ancora «La vostra affabilità sia nota a tutti: è la carta d’identità di ogni credente, ma in particolare di chi appartiene a movimenti e associazioni per carisma particolare...c’è bisogno di affabilità e amabilità come espressione vera della fede che scaturisce dalla gioia dono dello Spirito Santo». La giornata si è conclusa con la Celebrazione dei Vespri e l’invito a riprendere con fedeltà, nelle proprie parrocchie, alla domenica questa importante preghiera della Chiesa. Da tutti un grazie particolare a don Franco Bernelli e alla comunità di Villanova per la festosa, preziosa, fraterna accoglienza.

vb

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ESERCIZIO FINANZIARIO 2012

I. ESIGENZE DI CULTO E PASTORALE

A. Esigenze del culto:Nuovi complessi parrocchiali 0,00Conservazioni o restauro edifici di culto già esistentio altri beni culturali ecclesiastici 30.000,00Arredi sacri delle nuove parrocchie 0,00Sussidi liturgici 0,00Studio, formazione e rinnovamento delle forme di pietà popolare 0,00Formazione di operatori liturgici 3.000,00

Totale 33.000,00

B. Esercizio cura delle anime:Attività pastorali straordinarie 15.000,00Curia diocesana e Centri pastorali diocesani 150.000,00Tribunale ecclesiastico diocesano 4.000,00Mezzi di comunicazione sociale a finalità pastorale 20.000,00Istituto di scienze religiose 13.000,00Contributo alla facoltà teologica 6.792,50 erogati 6.452,50Archivi e biblioteche di enti ecclesiastici 10.000,00Manutenzione straordinaria di case canoniche e/o locali di ministero pastorale 0,00Consultorio familiare diocesano 4.000,00Parrocchie in condizioni di straordinaria necessità 25.000,00 erogati 24.915,72Enti ecclesiastici per il sostentamento dei sacerdoti addetti 0,00Clero anziano e malato 0,00Istituti di vita consacrata in straordinaria necessità 0,00Istituto di musica sacra 6.000,00

Totale 253.792,50 erogati 253.368,22

C. Formazione del cleroSeminario diocesano, interdiocesano, regionale 70.000,00

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Rette di seminaristi e sacerdoti studenti a Romao presso altre facoltà ecclesiastiche 4.000,00Borse di studio per seminaristi 5.000,00Formazione permanente del clero 5.000,00Formazione al diaconato permanente 14.000,00 erogati 13.130,00Pastorale vocazionale 5.000,00Istituto di formazione Casati-Trona 6.000,00

Totale 109.000,00 erogati 108.130,00

D. Scopi Missionari:Centro missionario diocesano e animazione missionaria 0,00Volontari Missionari Laici 4.000,00Cura pastorale degli immigrati presenti in diocesi 0,00Sacerdoti Fidei Donum 11.000,00Collegamenti con Missionari originari della diocesi 9.500,00

Totale 24.500,00

E. Catechesi ed educazione cristiana:Oratori e patronati per ragazzi e giovani 5.000,00Associazioni ecclesiali (per la formazione dei membri) 5.000,00Iniziative di cultura religiosa nell’ambito della diocesi 0,00Rivista diocesana 5.000,00

Totale 15.000,00

F. Contributo al servizio diocesanoContributo al servizio diocesano per la promozione del sostegno economico della diocesi 3.754,83

Totale 3.754,83

G. Altre assegnazioni/erogazioni:Inventariazione beni culturali 50.000,00

Totale 50.000,00

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H. Somme per iniziative plurienn.:Fondo diocesano di garanzia (fino al 10% del contributo annuale) 22.000,00

erogato 0,00Fondo diocesano di garanzia relativo agli esercizi precedenti 132.000,00

erogato 0,00Somme impegnate per nuove iniziative pluriennali 0,00Somme impegnate per iniziative pluriennali negli anni precedenti 0,00

Totale 154.000,00 erogato 0,00

Totale esigenze di culto e pastorale 643.047,33 erogati 487.753,05

II. PER INTERVENTI CARITATIVI

A. Distribuzione a persone bisognose:Da parte della diocesi 105.000,00Da parte delle parrocchie 0,00Da parte di enti ecclesiastici 15.000,00

Totale 120.000,00

B. Opere caritative diocesane:In favore di extracomunitari 13.000,00In favore di tossicodipendenti 0,00In favore di anziani 19.000,00In favore di portatori di handicap 5.000,00 erogati 0,00In favore di altri bisognosi 20.000,00Fondo antiusura (diocesano o regionale) 30.000,00

Totale 87.000,00 erogati 82.000,00

C. Opere caritative parrocchiali:In favore di extracomunitari 10.000,00In favore di tossicodipendenti 0,00In favore di anziani 50.000,00In favore di portatori di handicap 0,00In favore di altri bisognosi 15.000,00

Totale 75.000,00

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D. Opere caritative di altri enti ecclesiastici:In favore di extracomunitari 0,00In favore di tossicodipendenti 0,00In favore di anziani 0,00In favore di portatori di handicap 0,00In favore di altri bisognosi 0,00Aiuto a Chiese del Terzo Mondo 20.000,00Centro diocesano di ascolto 10.000,00Casa del clero per assistenza infermieristica 15.000,00Carità del Vescovo (interventi particolari) 30.000,00

erogati 29.300,00

Totale 75.000,00 erogati 74.300,00

E. Altre assegnazioni/erogazioni:Caritas diocesana per servizio civile 8.000,00Associazioni Assistenziali 20.000,00Avvio e gestione della Cittadella della Carità 25.678,44

Totale 53.678,44

F. Somma per iniziative pluriennaliSomme impegnate per nuove iniziative pluriennali 0,00Somme impegnate per iniziative pluriennali negli anni precedenti 0,00

Totali 0,00

Totale interventi caritativi 410.678,44 erogati 404.978,44

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ATTI E COMUNICATI DELLA CURIA

Ammissione agli Ordini sacri

Il 30 ottobre 2012, festa di San Donato, celebrando l’Eucaristia nella Chiesa della Missione in Mondovì, Mons. Vescovo ha ammesso tra i candidati al Diaco-nato permanente Emilio Caritè da San Michele Mondovì, Massimiliano Cas-setta da Magliano Alpi e Gianfranco Perano di Mondovì, Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria.

Nella stessa celebrazione Mons. Vescovo ha istituito Lettore Alberto Veglia della Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in Mondovì.

Nomine

15 agosto 2012 - Il rev. don Valerio Ferro è nominato parroco di S. Bartolo-meo (Valpesio) e di S. Pietro (Vigna) nel comune di Chiusa di Pesio.

28 agosto – Il rev. don Arnaldo Rossi è nominato Amministratore delle par-rocchie della SS. Trinità e di S. Giovanni Battista in Trinità, ai sensi dei cann. 539 e 540.

30 settembre – Il rev. don Leonardo Modica è nominato arciprete di S. Loren-zo in Murazzano e di S. Eusebio in Marsaglia.

- Il rev. don Bartolomeo Prato è nominato prevosto di S. Martino in Paroldo.- Il rev. don Adriano Preve è nominato arciprete di S. Giovanni Battista in

Bardineto.- Il rev. don Giuseppe Canavese è nominato parroco di S. Lorenzo e di S. An-

tonio in Murialdo.- Il rev. mons. Jean-Pierre Ravotti è nominato Canonico titolare del Capitolo

della Cattedrale e collaboratore della Parrocchia di San Donato in Mondovì.19 novembre – Il Sig. Antonio Rizzi è Priore e legale rappresentante della

Confraternita della Misericordia in Mondovì. 25 novembre – Il rev. padre Bartolomeo Monge è nominato parroco di S.

Andrea in Plodio.

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Unità pastorali

Il 19 novembre 2012, trascorsi cinque anni dalla loro istituzione, le Unità pasto-rali sono state così configurate:

1. Mondovì: moderatore don Flavio BegliattiComprende le parrocchie della città di Mondovì e del contado, eccetto San Bia-

gio.2. Ceva: can. Francesco TaròParrocchie dei comuni di: Ceva, Castelnuovo di Ceva, Igliano, Lesegno, Lisio,

Mombarcaro, Mombasiglio, Montezemolo, Paroldo, Priero, Roascio, Sale delle Langhe, Sale San Giovanni, Scagnello, Torresina e Viola.

3. Carrù: don Armando FerreriCarrù, Bastia, Cigliè, Clavesana, Magliano Alpi, Piozzo, Rocca Ciglié e Rocca

de’ Baldi.4. Dogliani – Bene VagiennaDogliani, Bene Vagienna, Bonvicino, Farigliano, Lequio Tanaro, Marsaglia,

Murazzano, Sant’Albano Stura e Trinità.5. Valle Pesio: don Marcelo HeinzmannBeinette, Chiusa di Pesio, Margarita, Morozzo, Peveragno, Pianfei e San Biagio

di Mondovì.6. Valle Corsaglia: don Roberto FontanaBriaglia, Monasterolo Casotto, Montaldo di Mondovì, Niella Tanaro, Pampara-

to, Roburent, San Michele Mondovì e Vicoforte.7. Valle Ellero: don Gianpietro LoveraFrabosa Soprana, Frabosa Sottana, Monastero di Vasco, Oberti di Montaldo,

Roburent, Roccaforte Mondovì e Villanova Mondovì.8. Valle Tanaro: don Aldo MatteiAlto, Bagnasco, Caprauna, Garessio, Massimino, Nucetto, Ormea, Perlo e Prio-

la.9. Valle Bormida: don Giuseppe CanaveseBardineto, Bormida, Calizzano, Camerana, Cengio, Cosseria, Mallare, Mille-

simo, Monesiglio, Murialdo, Osiglia, Pallare, Plodio, Prunetto, Roccavignale e Saliceto.

Dispensa pontifi cia

In data 24 settembre 2012 il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso pro bono Ecclesiae la dispensa dagli oneri sacerdotali e dal celibato al rev. Don Martin Pa-rappillil. L’esecuzione del provvedimento è avvenuta l’8 novembre 2012.

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IN MEMORIAM

2. Galleano don Vincenzo (1935-2012)La sera del 17 dicembre, all’Ospedale di Mondovì, è andato incontro al Signore

don Vincenzo Galleano, all’età di anni 77, da 51 anni sacerdote.Era nato a Roccaforte Mondovì il 18 luglio 1935 e aveva compiuto gli studi

nei Seminari diocesani. Al termine del corso di teologia, maturò la sua vocazione religiosa nell’Istituto dei Padri Somaschi e fu ordinato sacerdote a Cherasco da Mons. Michele Arduino, vescovo missionario, il 14 agosto 1961.

Ebbe incarichi di insegnante e di organista e completò la sua formazione con lo studio del Diritto canonico.

Dal 1970 al 1977 fu assegnato come segretario all’Arcivescovo di Reggio Ca-labria Mons. Giovanni Ferro, anch’egli somasco. In quegli anni don Vincenzo fu Cancelliere del tribunale Ecclesiastico Calabro e dal 1978, incardinato nel clero della Diocesi di Santa Severina, fu investito di Beneficio canonicale.

Nel 1981 ritornò in Piemonte e venne incardinato nella diocesi di Mondovì. Don Conterno lo accolse a Dogliani presso il Santuario della Madonna di San Quirico. Don Vincenzo resse la parrocchia di Bonvicino per un anno e poi nel 1982 si stabilì nella casa dei padri Filippini a Mondovì, con la cura pastorale dei Bertolini di Monastero Vasco.

Gli ultimi anni furono segnati dalle difficoltà di salute. Li trascorse alla Casa del Clero del Santuario di Vico e poi dal 2010 nella rinnovata Casa di riposo “Mon-signor Eula” di Roccaforte.

Qui, nella parrocchia del suo Battesimo, si sono svolti i funerali, presieduti dal Vescovo, il 19 dicembre. Don Vincenzo Galleano è sepolto nel cimitero di Roc-caforte in attesa della Risurrezione.

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Rivista Diocesana Monregalese

Anno XLVII – Gennaio - Giugno 2013 N. 1

Sommario

LA PAROLA DEL PAPA83 Chi respinge i bambini, respinge Dio 85 GIORNATA MONDIALE DEL MALATO. Come il buon samaritano87 LA SCELTA DI BENEDETTO XVI Benedetto XVI rinuncia al ministero di vescovo di Roma89 QUARESIMA. Camminare nella fede che ama91 È Lui il Signore o sono io?”93 L’ultimo Angelus di Benedetto XVI95 Come bambini nelle braccia di Dio 97 PAPA FRANCESCO Una Chiesa povera per i poveri99 L’OSTENSIONE DEL TELO “Lasciamoci guardare dall’Uomo della Sindone”101 VISITA AD LIMINA “Fatevi carico dei guai della gente”GIORNATA MONDIALE DEI MASS-MEDIA103 “Reti sociali: porte di verità e di fede”105 I primi tre mesi di Papa Francesco

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA107 “Quel che il Signore esige da noi!109 GIORNATA PER LA VITA. Generare la vita vince la crisi111 89ª GIORNATA DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA Accanto ai giovani, oltre la crisi112 GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI Nuovi operai nella vigna del Signore 114 ASSEMBLEA CEI. “Chinatevi su coloro che fanno fatica”116 ORATORI/NOTA PASTORALE CEI. Ponti lanciati sull’umano118 SETTIMANA SOCIALE. Famiglia via della speranza120 Il perimetro della famiglia è quello della società 122 Ambiti122 La missione educativa della famiglia

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CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE125 Dai vescovi, una parola di speranza per il tempo che ci attende127 Nota: “Una Chiesa madre, dalla parte dei piccoli”129 CHIESA. Tra speranza e preghiera131 SOLIDARIETÀ. Un “Raggio di sole” per Medolla

LA PAROLA DEL VESCOVO133 La fede nella stagione dell’indifferenza136 La fede possibile di chi si dice «non credente»139 “È Pasqua, la speranza riprende forza” 141 Messa crismale: Ogni momento da vivere in pienezza, come credenti

IN DIOCESIANNO DELLA FEDE - NEL 50º DEL CONCILIO 143 Nel segno della “fede che spera”144 Nel segno della fede che ama145 CONSIGLIO PRESBITERIALE DIOCESANO Accompagnamento dei giovani preti146 Come si opera nelle Unità pastorali147 CONSIGLIO PASTORALE La fede che sostiene la fragilità ed educa l’affettività149 Come far crescere una rete di rapporti positivi151 GIORNATA DI FRATERNITÀ SACERDOTALE Traguardi tagliati da preti di lungo corso153 TRE GIORNI PASTORALE “Impegno pastorale per un servizio nella fede che spera e che ama”154 Catechesi di iniziazione cristiana in quattro tappe156 Proposta generale per l’anno pastorale 2013-2014160 Catechesi battesimale161 Itinerario per giovanissimi e giovani164 Percorsi per giovani coppie 165 “Consolare gli afflitti”è opera di misericordia165 Giovani in Casa di riposo per un’ora di volontariato166 La lettera pastorale 167 GIORNATA MONDIALE DEI MIGRANTI Domande per diventare “inquieti” 169 Sostenere i missionari e la “Cittadella della carità” 171 Con l’A.C. a riscoprire il Concilio che vale nell’oggi172 LA CONSACRAZIONE NELL’ORDO VIRGINUM Spendersi per il “Regno” nella laicità del mondo173 ATTI E COMUNICATI DI CURIA174 IN MEMORIAM

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LA PAROLA DEL PAPA

Chi respinge i bambini, respinge Dio

Giornata missionaria dei ragazzi, Benedetto XVI: «Accanto a coloro che sono esclusi oggi, come fu emarginato il piccolo Gesù a Betlemme»

Storicamente, il 6 gennaio, oltre ad essere il giorno solenne dell’Epifania, è an-che la Giornata Missionaria dei Ragazzi (GMR), che è, in un certo senso, la prima data missionaria, perché oltre ad essere all’inizio dell’anno, è il giorno in cui il Vangelo fa riflettere sulla manifestazione di Gesù a tutti i popoli.

La pagina evangelica in questo giorno presenta le figure dei Magi, personaggi misteriosi, difficili da identificare, questi “camminatori” al seguito di una stella, questi cercatori venuti da lontano per trovare il Messia. Uomini che fermano i loro passi e si mettono in adorazione davanti a Gesù. E’ la festa dell’Epifania!

Nelle figure dei Magi che portano i loro doni, in questi personaggi misteriosi che rappresentano i popoli che vivono oltre le frontiere di Israele, Gesù viene riconosciuto come il Signore e il Salvatore dell’umanità intera. I Magi non sono arrivati fino a Cristo da soli! Erano mossi da domande profonde e da una speranza che palpitava nei loro cuori. Hanno visto un segno, una stella: si sono messi in cammino e in ricerca. Hanno trovato!

Tante persone nel mondo di oggi vivono la ricerca e l’attesa! È compito della Chiesa essere segno, “essere stella”, essere luce, per condurre a Cristo vera luce. “Anche noi, ragazzi e ragazze, con Gesù impariamo a credere, in questo Anno particolarmente dedicato alla fede. Con l’impegno di annunciare il suo insegna-mento in ogni angolo del mondo, superiamo i confini e gli steccati che ci separano dagli altri, per manifestare a tutti i fratelli e a tutte le sorelle la bellezza di Cristo”. Nella festa dell’epifania i ragazzi missionari dei cinque continenti celebrano il loro impegno per la Missione. E non possono non raccogliere il recentissimo ap-pello di Benedetto XVI che nella notte di Natale ha riposto l’attenzione urgente e generosa per “i profughi, i rifugiati, i migranti, gli stranieri, i poveri ed i bambini: chi li respinge, respinge Gesù!”.

Lo slogan della Giornata missionaria dei ragazzi 2013, con Gesù imparo a cre-dere, prende spunto da quello della Giornata missionaria mondiale (“Ho creduto perciò ho parlato”, 21 ottobre 2012). Nell’Anno della fede è un richiamo anche per i più giovani affinché diventino i protagonisti della loro vita e si sentano

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accompagnati (educati) verso scelte di vita fatte alla “maniera” di Gesù. Fino ad avere un pensiero ricorrente: “Cosa avrebbe fatto Gesù in questa determinata situazione?”.

È particolarmente importante che la preparazione e la giornata stessa siano im-postate in modo tale che i ragazzi si sentano protagonisti di quello che stanno facendo. Imparando da Gesù l’amore misericordioso di Dio.

“Missio Ragazzi” ogni anno mette a disposizione di tutti il materiale per l’ani-mazione della Giornata missionaria mondiale. Per averlo, è possibile farne ri-chiesta al proprio Centro missionario diocesano, ma anche scaricarlo online in formato digitale.

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GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

Come il buon samaritano“Non siete né abbandonati, né inutili: voi siete chiamati da Cristo, voi siete la

sua trasparente immagine”. A ripeterlo ai malati, usando le parole del Concilio, è oggi il Papa, nel messaggio per la Giornata a loro dedicata, che si celebrerà l’11 febbraio, sul tema: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37). “Mi sento partico-larmente vicino a ciascuno di voi – esordisce Benedetto XVI – che, nei luoghi di assistenza e di cura o anche a casa, vivete un difficile momento di prova a causa dell’infermità e della sofferenza”. Nel messaggio, il Papa si sofferma sulla “fi-gura emblematica” del buon samaritano, che “indica qual è l’atteggiamento che deve avere” ogni discepolo di Cristo “verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura”. “Attingere dall’amore infinito di Dio – il suggerimento di Benedetto XVI – attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto o privo di risorse”. Come fa Gesù, che “si china, pieno di misericordia, sull’abisso della sofferenza umana, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza”. Di qui l’invito a vivere l’Anno della fede come “occasione propizia per intensificare la diaconia della carità nelle nostre comunità ecclesiali, per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro, verso chi ci sta accanto”.

Trovare senso al dolore. La parabola evangelica narrata da Luca, ricorda il Papa, “si inserisce in una serie di immagini e di racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuol far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore”. L’esempio del buon samaritano, commenta Benedetto XVI, “vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condi-zione in una prospettiva di fede”. “Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo – spiega citando la Spe salvi – ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore”. “Vari Padri della Chiesa – annota il Papa – hanno visto nella figura del buon samaritano Gesù stesso, e nell’uomo incappato nei briganti Adamo, l’umanità smarrita e ferita per il proprio peccato. Gesù è il Figlio dio Dio, Colui che rende presente l’amore del Padre, amore fe-dele, eterno, senza barriere né confini. Ma Gesù è anche Colui che si spoglia del suo abito divino, che si abbassa dalla sua condizione divina, per assumere forma umana e accostarsi al dolore dell’uomo, fino a scendere negli inferi, come recitia-mo nel Credo, e portare speranza e luce”.

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Valorizzare la sofferenza. Nella seconda parte del messaggio, il Papa segnala “alcune figure, tra le innumerevoli della storia della Chiesa, che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale”. Teresa di Lisieux, che seppe vivere “in unione profonda alla Passione di Gesù” la malattia che la condusse “alla morte attraverso grandi sofferenze”; Luigi Novarese, che “avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei Santuari mariani, in speciale modo alla Grotta di Lourdes”. “Mosso dalla carità verso il prossimo – prosegue Benedetto XVI – Raoul Follereau ha dedicato la propria vita alla cura delle persone affet-te dal morbo di Hansen sin nelle aree più remote del pianeta, promuovendo tra l’altro la Giornata mondiale contro la lebbra”. Madre Teresa di Calcutta “iniziava sempre la sua giornata incontrando Gesù nell’Eucaristia, per uscire poi nelle stra-de con la corona del Rosario in mano ad incontrare e servire il Signore presente nei sofferenti, specialmente in coloro che sono ‘non voluti, non amati’”. Infine, Sant’Anna Shäffer di Mindelstetten, che “seppe, anche lei, in modo esemplare unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo”.

Accogliere. Il messaggio per la Giornata del malato si conclude con un pensiero di “viva riconoscenza e di incoraggiamento alle istituzioni sanitarie cattoliche e alla stessa società civile, alle diocesi, alle comunità cristiane, alle famiglie religio-se impegnate nella pastorale sanitaria, alle Associazioni degli operatori sanitari e del volontariato”. “In tutti – l’auspicio del Papa, citando la Christifideles laici di Giovanni Paolo II – possa crescere la consapevolezza che nell’accoglienza amo-rosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione”.

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LA SCELTA DI BENEDETTO XVI

Benedetto XVI rinuncia al ministero di vescovo di RomaDeclaratio

Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre cano-nizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consape-vole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben con-sapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.

Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.

Dal Vaticano, 10 febbraio 2013 BENEDICTUS PP XVI

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Mons. Pacomio: «Ha scelto davanti a Dio»

«La notizia delle dimissioni di Papa Benedetto non poteva non cogliere di sor-presa – è il primo commento di mons. Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, a pochi minuti dall’annuncio sui media della rinuncia di Benedetto XVI al mi-nistero di successore di Pietro –. Innanzitutto è il secondo caso in due millenni di autonoma dimissione dal più autorevole servizio nella Chiesa. D’altro canto è la controprova della libera decisione del Papa presa in coscienza di fronte al Signore. Certamente il successore beneficerà della presenza e del consiglio di Benedetto XVI che, per cultura e per testimonianza spirituale, non interferirà in nessun modo. A noi fin da oggi resta il suo buon esempio, la sua dedizione, il suo essere liberamente servitore del bene nel tempo umanamente possibile e donato-gli dal Signore. Lo accompagniamo con la preghiera, la gratitudine, la nostalgia non rassegnata, perché cristiana e piena di speranza».

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QUARESIMA

Camminare nella fede che ama

“Talvolta si tende a circoscrivere il termine ‘carità’ alla solidarietà o al sempli-ce aiuto umanitario. È importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il ‘servizio della Parola’. Non v’è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l’evange-lizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana”: lo afferma papa Benedetto XVI nel messaggio per la Quaresima 2013 sul tema “Credere nella carità suscita carità - ‘Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi’ (1 Gv 4,16)”. Il rapporto “fede-carità” viene sviluppato dal Papa su un du-plice binario: il primo, teologico, nel quale analizza come la fede costituisca “una risposta all’amore di Dio” e la carità, a sua volta, una manifestazione concreta della “vita nella fede”. E il secondo, invece, più pratico ed esperienziale, nel quale il credente è chiamato a mostrare, tramite le “concrete opere di carità”, quanto la sua vita sia cambiata dopo aver sperimentato “l’amore di Dio”.

Una personale adesione. “All’inizio dell’essere cristiano – scrive il Papa, richia-mando l’enciclica ‘Deus caritas est’ – non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva... Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un ‘comandamento’, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro”. La fede, così, “costituisce quella personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione dell’amore gratuito e ‘appassionato’, che Dio ha per noi”. Benedetto XVI sotto-linea, tuttavia, che “questo è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai concluso e completato” e, anzi, il cristiano “è aperto in modo profondo e concreto all’amore per il prossimo” in una disposizione profonda alla carità. Quest’ultima, poi, viene presentata come un “camminare nella verità”, cioè un dinamismo interiore ed esteriore che, mentre avvicina progressivamente al-l’“amore di Dio”, muove il credente a “mettere in pratica” questo amore ricevuto, beneficiando gli altri, specie i più bisognosi.

Tra fideismo e attivismo moralista. Il Papa ammonisce su un rischio che oggi si può facilmente correre. Scrive infatti che “risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono inti-mamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una “dialettica”.

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Da un lato, infatti, spiega, “è limitante l’atteggiamento di chi mette in modo così forte l’accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitari-smo”. Ma, “dall’altro, è altrettanto limitante sostenere un’esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall’attivismo moralista”. È a questo punto che Benedetto XVI approfondisce il significato di “carità”, collegandolo alla sua forma più alta, che consiste nell’evangelizzazione. Citando Paolo VI, afferma infatti che “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo”. E per spiegare questa verità aggiunge che “le opere della carità non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto ma nascono dalla stessa fede”, di fatto testimoniando Cristo.

Guardare al futuro con speranza. Nella parte finale del messaggio, il Papa ri-torna sui contenuti teologali del rapporto fede-carità. Ricorda che “la fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina ver-so il prossimo”. Questa stessa fede “ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell’amore di Cristo giunga alla sua pienezza”. E, sull’altro versante, “la carità ci fa entrare nell’amore di Dio mani-festato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli”. Il messaggio quindi richiama ogni credente a interrogarsi se la propria fede sia davvero “orientata alla carità” e se “si rivela genuina”, cioè se si traduce in opere concrete. In questo senso Benedetto XVI definisce la carità “compimento di tutte le virtù”.

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LA SCELTA DI BENEDETTO XVI

È Lui il Signore o sono io?”Un atto compiuto “in piena libertà per il bene della Chiesa”, sostenuto dalla

“certezza che la Chiesa è di Cristo”, che “non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura”. Così il Papa ha spiegato ai fedeli, all’inizio dell’udienza generale, la sua decisione di rinunciare al ministero di successore di Pietro. “Cari fratelli e sorelle, come sapete – le parole di Benedetto XVI – ho deciso di rinunciare al mi-nistero che il Signore mi ha affidato il 19 aprile 2005. Ho fatto questo in piena li-bertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo e aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza che esso richiede. Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura”. “Ringrazio tutti per l’amore e la preghiera con cui mi avete accompagnato – ha concluso –. Continuate a pregare per il Papa, per la Chiesa e per il futuro Papa”. Appena entrato nell’Aula Paolo VI, dove lo attendevano circa 3.500 fedeli (ma molti altri erano in piazza San Pietro), Benedetto XVI è stato salutato da un lunghissimo ap-plauso, che si è ripetuto anche quando ha spiegato ai fedeli i motivi della sua scel-ta di rinunciare. “Ho sentito quasi fisicamente – ha rivelato ai presenti, parlando a braccio – in questi giorni, per me non facili, il vostro affetto e la vostra preghiera”. “Non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, del-l’umiltà, dell’amore”. Lo ha detto il Papa, che nella catechesi si è soffermato sulle tentazioni di Gesù e sul significato di “convertirsi”, all’inizio della Quaresima. “Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno a rispondere a una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella nostra vita?”. Quindi ha spiegato come “senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare”.

“Ma anche nella nostra epoca di eclissi del senso del sacro, la grazia di Dio è al lavoro e opera meraviglie nella vita di tante persone”, ha detto il Papa, secondo il quale “il Signore non si stanca di bussare alla porta dell’uomo in contesti sociali e culturali che sembrano inghiottiti dalla secolarizzazione”. Come è avvenuto per lo scienziato russo Pavel Florenskij, ha osservato il Papa, che “dopo un’educazione completamente agnostica”, ha cambiato “completamente la sua vita, tanto da farsi monaco”. Altro esempio, Etty Hillesum, la giovane olandese di origine ebraica che morirà ad Auschwitz: “Inizialmente lontana da Dio, nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in mezzo alla grande tragedia del Novecento, la Shoah”. “La capacità di contrapporsi alle lusinghe ideologiche del suo tempo per

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scegliere la ricerca della verità e aprirsi alla scoperta della fede è testimoniata da un’altra donna del nostro tempo, la statunitense Dorothy Day”, ha affermato il Papa, che “caduta nella tentazione di risolvere tutto con la politica, aderendo alla proposta marxista”, ha poi trovato la fede anche “in un ambiente così seco-larizzato”, tanto ad arrivare “a una consapevole adesione alla Chiesa, in una vita dedicata ai diseredati”. “Nella nostra epoca non sono poche le conversioni intese come il ritorno di chi, dopo un’educazione cristiana magari superficiale, si è al-lontanato per anni dalla fede e poi riscopre Cristo”, ha fatto notare il Papa: “Il no-stro uomo interiore deve prepararsi per essere visitato da Dio, e proprio per questo non deve lasciarsi invadere dalle illusioni, dalle apparenze, dalle cose materiali”.

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LA SCELTA DI BENEDETTO XVI

L’ultimo Angelus di Benedetto XVI

Un invito a tutti a pregare sul... monte Tabor

Ha parlato del “primato della preghiera” Benedetto XVI, domenica, nel suo ultimo Angelus con le migliaia di fedeli che hanno riempito piazza San Pietro, prima di lasciare, giovedì 28 febbraio alle ore 20, il ministero petrino. La preghie-ra, ha avvertito il Papa, “non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni”, ma “riconduce al cammino, all’azione”. Ed è a una vita “ancora di più” dedicata “alla preghiera e alla meditazione” che ora il Signore lo chiama per continuare a servire la Chiesa “con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui l’ho fatto fino ad ora”.

Un nuovo “esodo”. “Grazie per il vostro affetto”, ha esordito il Pontefice, prima di spiegare il Van-

gelo della domenica. “La liturgia ci presenta la Trasfigurazione del Signore”. L’evangelista Luca pone “in particolare risalto il fatto che Gesù si trasfigurò men-tre pregava: la sua è un’esperienza profonda di rapporto con il Padre durante una sorta di ritiro spirituale che Gesù vive su un alto monte in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli sempre presenti nei momenti della manifesta-zione divina del Maestro”. Il Signore, che poco prima aveva preannunciato la sua morte e risurrezione, offre così “ai discepoli un anticipo della sua gloria”.

Il primato della preghiera. Per Benedetto XVI, “possiamo trarne un insegnamento molto importante”. In-

nanzitutto, “il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apo-stolato e della carità si riduce ad attivismo”. Di qui l’invito: “Nella Quaresima impariamo a dare il giusto tempo alla preghiera, personale e comunitaria, che dà respiro alla nostra vita spirituale”. Inoltre, “la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione”. “L’esistenza cristiana – ha conti-nuato il Papa – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio”.

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“Salire sul monte”.

“Questa Parola di Dio – ha confessato il Pontefice, interrotto da scroscianti applausi - la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Il Signore mi chiama a ‘salire sul monte’, a dedicarmi ancora di più alla pre-ghiera e alla meditazione”. Ma, ha evidenziato, “questo non significa abbandona-re la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.

Il grazie a tutti per l’affetto. “Ringraziamo il Signore per il po’ di sole che ci dona”, ha esortato Benedetto

nei saluti in varie lingue, nei quali ha voluto, come la settimana scorsa, ancora ringraziare tutti per la vicinanza in questo momento. Infine, rivolgendosi ai pel-legrini di lingua italiana, ha ricordato che “sono presenti numerosi rappresentanti di diocesi, parrocchie, associazioni e movimenti, istituzioni, come pure tanti gio-vani, anziani e famiglie. Vi ringrazio per l’affetto e la condivisione, specialmente nella preghiera, di questo momento particolare per la mia persona e per la Chiesa. In preghiera siamo sempre vicini”.

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LA SCELTA DI BENEDETTO XVI

Come bambini nelle braccia di DioL’ultima udienza di Benedetto XVI

“Siamo nell’Anno della fede, per rafforzare proprio la nostra fede in Dioin un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano”. Circondato da un grande affetto, palpabile e coloratissimo, Benedetto XVI ha parlato mercoledì 27 feb-braio per l’ultima volta dal sagrato della basilica di S. Pietro di fronte a oltre 150mila persone e alle telecamere di decine di emittenti internazionali. E’ stato questo lo “sce-nario” emblematico dal Vaticano, “centro del mondo” per il sistema della comunica-zione che guarda ormai con un interesse quasi spasmodico all’uscita di scena di Bene-detto XVI e all’imminente Conclave che sceglierà il suo successore. E il Papa non ha deluso i presenti e i milioni di persone collegate con radio e tv in tutto il mondo. Ha aperto il suo discorso collocando l’evento della sua rinuncia nel 50º del Concilio, da lui proclamato “Anno della fede”. “Siamo nell’Anno della fede – ha detto – che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica”.

Barca di PietroIl Papa non è solo nella guida della “barca di Pietro” - “In questo momento il mio

animo si allarga per abbracciare tutta la Chiesa sparsa nel mondo” ha detto, assicurando di voler raccogliere “tutto e tutti nella preghiera per affidarli al Signore”. Un discorso, quello di Benedetto XVI, segnato dalle parole “speranza”, “fiducia”, “gioia”, tipiche di tutti i suoi interventi sia di natura magisteriale sia pastorale. Parlando della Chiesa come “barca di Pietro”, ha subito ricordato i “tanti giorni di sole e di brezza leggera”, ma anche i “momenti in cui le acque erano agitate e il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire”. Facendo quasi un accenno diretto alle recenti voci e accuse riguardo ai suoi collaboratori in Vaticano, Benedetto XVI ha poi affermato: “Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine”. Ha quindi subito precisato a chi si riferisse: “Anzitutto voi, cari fratelli cardinali: la vostra saggezza, i

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vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei collaboratori, ad ini-ziare dal mio segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono – ha af-fermato –, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile”.

Guardare avantiPregare per la scelta del successore - Nella parte centrale del suo messaggio, Bene-

detto XVI ha fatto riferimento ai “segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera” ricevuti da “tantissime persone” che gli hanno espresso “affetto che na-sce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa”. Un discorso, quest’ultimo del Papa, nel quale ha ribadito ripetutamente il suo amore per la Chiesa che – ha ricordato – “non è un’organizzazione, non un’associazione” ma “un corpo vivo, una comunio-ne di fratelli e sorelle”. “Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore”: questo il sentimento prevalente che Benedetto XVI ha evidenziato con forza e anche con commozione. Sentimenti che sono emersi quando ha poi fatto cenno alla sua decisione di rinunciare, “nella piena consapevolezza della sua gravità” – ha affermato – “avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Una scelta difficile ma con la certezza “che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione”. Sicurezza che ha poi espresso anche riguardo alla scelta del suo successore, affidata ai cardinali per i quali ha chiesto ai fedeli “di pregare” in quanto “chiamati ad un compito così rilevante”.

La propria parte“Resto nel recinto di San Pietro” - Il Papa non ha evitato gli aspetti più “riservati” le-

gati alla sua recente clamorosa decisione. A proposito dei motivi personali, ha afferma-to che “in questi ultimi mesi ho sentito come le mie forze erano diminuite e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi… per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa”. Così, dopo aver assunto la decisione, Benedetto XVI ha ricordato un elemento fondamentale che attiene alla persona del Papa: “Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ – non c’è più un ritornare nel privato”. “Non ritorno alla vita privata – ha detto – non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”. Ha anche detto: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”. In conclusione ha voluto ancora una volta rincuorare tutti i credenti: “Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visio-ne del cammino della Chiesa e del mondo”. Le sue ultime parole sono state: “Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!”.

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PAPA FRANCESCO

Una Chiesa povera per i poveri

Successore di Benedetto XVI è Jorge Mario Bergoglio, argentino, ma con la famiglia dell’Astigiano

Sarà forse una sorpresa continua, quella che ci attende, seguendo i primi passi di Papa Francesco che già nella sua elezione ha spiazzato piuttosto marcatamente i tanti che nell’opinione pubblica avevano enfatizzato, più o meno insistentemente, le chanches di questo o di quel cardinale (citando solo in calce il suo nome). Jor-ge Mario Bergoglio, figlio di una famiglia di emigranti in Sudamerica, partendo dall’Astigiano, gesuita, arcivescovo di Buenos Aires, 76 anni da poco compiuti, segna inevitabilmente un cambio di passo. Com’è un po’ nella logica degli av-vicendamenti, laddove il temperamento, la sensibilità, lo stile, le esperienze… incidono su un messaggio chiaro che emerge ancor prima dai gesti che dalle pa-role. L’impatto immediato, nella sera di mercoledì scorso, in mondovisione, ma anche a tu per tu con la gente che gremiva piazza San Pietro, è stato nel segno di un nome-simbolo, quello di Francesco, il Poverello di Assisi, in grado di dare so-stanza e forza al bisogno di sobrietà, di semplicità, di essenzialità… per una Chie-sa che deve cercare la costante prossimità con gli uomini e le donne del nostro tempo, partendo dai poveri e dagli ultimi, portando nelle diverse e controverse situazioni di vita un Vangelo che orienta e consola, al di là di ogni inaccettabile ed insinuante logica mondana. E poi con Francesco d’Assisi si fa riferimento ad una scelta coraggiosa e coerente per “riformare” la Chiesa dal di dentro, amandola, assumendola, purificandola, facendola camminare… tramite ciò che si è e ciò che si fa, in prima persona, da discepoli del Signore, senza sconti. Su Francesco – l’ha poi detto il Papa ai giornalisti – vuole “investire” parecchio per scommettere su “una Chiesa povera per i poveri”, promovendo la pace, la fratellanza, il rispetto del creato. Insomma piste chiare da percorrere. Disegnate da un uomo di Dio che viene d’Oltreoceano, che porta su di sé l’ansia degli emarginati, che indica nell’ascolto di tutti e di ciascuno il punto di partenza per una umanità amata dal Signore.

Insieme a quell’altro momento emblematico, mai visto prima, che ha conden-sato il primato della preghiera, gli uni per gli altri, insieme, in silenzio, per un minuto, tutti – a cominciare dal Papa – chinati davanti al mistero di Dio. Decine e decine di migliaia di persone (in piazza San Pietro e forse davanti ai televisori

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in milioni di case), di colpo, in silenzio! All’invito di Papa Bergoglio, come se fosse la cosa più naturale e più semplice. E così è avvenuto. Un piccolo-grande miracolo, che trasuda quella dimensione altra a cui questo Papa vorrà condurre, dentro una spiritualità alla portata di tutti, nutrita appunto di preghiera fiduciosa, in un orizzonte di fede senza fronzoli. Insomma gli uomini accolti nelle loro fati-che e Dio incontrato nel cuore attento e solidale… ecco le frontiere su cui siamo spinti, da subito, accogliendo il dono di questo nuovo successore di Pietro. Viene da lontano, “quasi dalla fine del mondo” (ha detto con una battuta), ma sa dove indirizzare. I tempi che viviamo non sono facili. Le sfide non mancano. I nodi da sciogliere sono spesso intricati… eppure Papa Francesco non sembra scoraggiato, ancorché consapevole di un peso e di una croce da portare. Col suo fare quasi ti-mido e schivo, sa bene come si può e si deve procedere. I binari sono stati indicati. E lui già ci cammina su, in compagnia ed in attesa di un “popolo” di persone che siamo noi. Lui raccoglie il testimone da Benedetto XVI, il Papa emerito salutato con gratitudine, noi restiamo nella scia da credenti cercando i passi dei propri pastori.

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L’OSTENSIONE DEL TELO

“Lasciamoci guardare dall’Uomo della Sindone”

Il video-messaggio di papa Francesco, con invito alla speranza

(agd) – “Non è un semplice guardare, ma un venerare, uno sguardo di pre-ghiera. Anzi ancora di più è un lasciarsi guardare”. Papa Francesco, in un video messaggio, ha commentato così lo stare davanti alla Sindone. L’occasione è stata l’ostensione straordinaria televisiva, dal Duomo di Torino, avvenuta un giorno speciale: sabato santo. Già nel 2010 in preghiera davanti al Telo, Benedetto XVI, aveva definito la Sindone: “icona del sabato santo”. Di qui lo spunto maturato in questi anni di offrire una mini ostensione. Le porte della Cattedrale, per l’oc-casione, si sono aperte a poco più di 300 persone, tra ammalati e disabili con i loro accompagnatori, e a una trentina di giovani torinesi che stanno vivendo il Sinodo diocesano giovanile. Una funzione sobria, che seppure dettata dai ritmi televisivi, ha coinvolto tutti. Silenzio e preghiera hanno segnato l’evento pro-lungato. Si percepiva una grande emozione che ha coinvolto tutti i presenti. Un momento speciale, prima della preghiera davanti alla Sindone, è stato quando, dopo aver benedetto gli ammalati, mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e custode pontificio del Telo, è andato ad abbracciare i sofferenti in carrozzina. Nel suo messaggio Papa Francesco ha ricordato che “l’uomo della Sindone ci aiuta a contemplare Gesù di Nazareth”, e rivolgendo un invito alla speranza ha detto che “questa immagine, impressa nel Telo, parla al nostro cuore” e che il “volto della Sindone comunica una grande pace, per non perdere la fiducia”. Anche mons. Nosiglia nel suo intervento ha evidenziato che “la Sindone richiama il buio del sepolcro di Cristo, ma lascia anche intravvedere la luce della sua risurrezione, ci mostra le profonde sofferenze causate al Signore dalla sua passione e morte in croce, ma annuncia ad un tempo la vittoria della grazia sul peccato, del perdono sull’odio e la violenza, della speranza sulla disperazione. Il mistero più oscuro della fede che il sabato santo ci ricorda è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini”. Ha invitato a contemplarla con fede perché si “riceve forza per vincere ogni male e difficoltà che assillano l’esistenza”.

Con il pensiero rivolto ai più giovani ha ricordato:“Non abbiate paura della Cro-ce di Cristo e di ciò che essa rivela, il mistero della sua sofferenza, da cui nasce la vita per tutti. La Sindone vi dice che amare significa soffrire con la certezza che il Dio della vita vince il male con il bene e trasforma anche il dolore in via di reden-

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zione e di salvezza”. Toccanti le tre testimonianze espresse, dall’anziano sacer-dote diocesano don Domenico Allemandi che dalla sua carrozzina ha detto “offro la mia sofferenza”; nonché dalla mamma Maria Magnino, poliomelitica anche lei seduta in carrozzina, che ha confessato davanti alla Sindone: “Ho bisogno di Te per imparare gesti e parole”. Il giovane volontario Rocco Peloso ha reso “grazie perché attraverso il servizio ho sperimentato la bellezza di donarmi agli altri”.

La funzione è stata trasmessa in differita da Rai Uno in collaborazione con “A Sua Immagine”, è stata animata dall’Ufficio liturgico di Torino diretto da don Paolo Tomatis. Sono intervenuti come lettori anche gli attori Enzo De Caro e Beatrice Fazi. Erano presenti il card. Severino Poletto, mons. Guido Fiandino e il vicario generale mons. Valter Danna. Per l’occasione è stata realizzata una applicazione da apple che propone la Sindone ad alta definizione. In America dopo pochi giorni questa app è già ai vertici della classifica di quelle più scaricate. Preghiera, silenzio, contemplazione dunque hanno segnato questa straordinaria ostensione televisiva offerta a tutti come segno di speranza.

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VISITA AD LIMINA

“Fatevi carico dei guai della gente”

Nel primo gruppo di vescovi piemontesi, ricevuti lunedì da Papa Francesco, per la “visita ad limina”, c’era anche mons. Luciano Pacomio, pastore della Chiesa monregalese. Con l’arcivescovo metropolita, mons. Cesare Nosiglia di Torino, erano in udienza pure il segretario della Conferenza episcopale piemontese (CEP) mons. Franco Lovignana vescovo di Aosta, l’ausiliare di Torino mons. Guido Fiandino, i vescovi della “Granda”, mons. Giuseppe Guerrini (Saluzzo), mons. Giacomo Lanzetti (Alba), mons. Giuseppe Cavallotto (Cuneo e Fossano), il ve-scovo di Pinerolo mons. Pier Giorgio Debernardi, il vescovo di Alessandria mons. Guido Gallese e il vescovo di Susa mons. Alfonso Badini Confalonieri. «E’ stato un incontro sereno, costruttivo, direi di un padre con i suoi figli, per conoscere un po’ la situazione della nostra regione, a partire dai problemi ma anche dalle prospettive positive che ci sono”, così mons. Cesare Nosiglia ha commentato, a Radio Vaticana lunedì sera, il momento prolungato vissuto con Papa Francesco. “In particolare, ci ha dato speranza – ha proseguito l’arcivescovo di Torino –, ci ha incoraggiati a seguire con affetto ed amore i sacerdoti”, ma anche “i problemi delle famiglie che gli stanno molto a cuore: tutte le famiglie, quelle che stan-no abbastanza bene dal punto di vista spirituale o sociale, ma soprattutto quelle in difficoltà, sia sul piano morale sia anche sul piano sociale”. Papa Francesco – stando a quanto riferito da mons. Nosiglia a Radio Vaticana – si è preoccupato molto delle problematiche relative al lavoro. “Ci ha invitato a fare della nostra Chiesa un esempio anche sotto questo profilo, perché ha ricordato i nostri Santi, giustamente detti ‘sociali’ (don Bosco, il Murialdo, il Cottolengo) che hanno dato grande impulso all’impegno dei cristiani nell’ambito della società, soprattutto per aiutare chi soffre, chi è più povero, chi è ultimo… ad avere la dignità, ad avere la giustizia e la solidarietà di cui ha bisogno. Insomma, è stato un incontro veramen-te molto ricco di tanti spunti che adesso noi, come Conferenza episcopale, ripren-deremo perché vogliamo davvero dare un’adeguata risposta a queste indicazioni ed a questi suggerimenti venuti dal Papa”.

Mons. Pacomio: “Ho confidato al Papagioie e dolori della nostra Chiesa”

“In modo veloce, come si suole dire, a caldo, risuono subito dopo l’incontro che il nostro gruppo di vescovi della Metropolia di Torino ha avuto con Papa Fran-

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cesco – ci ha commentato martedì mattina, da Roma, mons. Luciano Pacomio -. Innanzitutto ho tenuto presente tutta la nostra Chiesa monregalese, presentando al Papa le suppliche di chi si era direttamente raccomandato, ma poi in verità tutti quanti, soprattutto i malati e coloro che, di ogni età, si trovano in drammatiche necessità. Il Papa (lo qualifico con precise caratteristiche) si è attestato: sereno, accogliente, paziente, con tratto buono, disponibile all’ascolto e al dialogo. Ho iniziato il dialogo paragonando me, e la nostra Chiesa, all’altalena pasquale: do-lori e gioie, presenze e scelte altamente cristiane, carenze e manchevolezze che ci interpellano tutti. Ho concluso ringraziandolo che ci richiama costantemente «il volto di Dio»: misericordia; e ci aiuta e ci spinge nell’unica strada possibile: la speranza”.

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GIORNATA MONDIALE DEI MASS-MEDIA

“Reti sociali: porte di verità e di fede”

Come stare dentro questi nuovi spazi di evangelizzazione

“Reti sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione”. E’ questo il tema scelto ancora da Benedetto XVI per la 47ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (in programma domenica 12 maggio). “Non si tratta più di utilizzare Internet come un ‘mezzo’ di evangelizzazione – informa un comunicato del dicastero per le Comunicazioni sociali – ma di evangelizzare considerando che la vita dell’uomo di oggi si esprime anche nell’ambiente digitale”. Sul tema del messaggio e le sfide dell’era digitale per la nuova evangelizzazione, propo-niamo uno stralcio dell’intervista fatta da Radio Vaticana al direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro.

«Certamente nel contesto dell’Anno della fede, nel tema del messaggio si usa-no metafore molto belle, molto pregnanti – spiega p. Antonio Spataro –: quella della porta e quella dello spazio, collegando, a queste, la verità, la fede, l’evange-lizzazione. E questo è un gesto sorprendente, perché molti ritengono che i social network siano forme di comunicazione, di condivisione, altri, invece, che siano un pericolo insidioso per le relazioni e anche per l’educazione dei più giovani. Scegliendo questo tema, il Papa ha saltato a piè pari l’approccio di tipo morali-stico andando al sodo, cioè al significato profondo delle reti sociali. È come se il Papa dicesse: “La prima cosa da fare è capire cosa succede”, cioè di cosa stiamo parlando, cosa sono i social network, individuandoli come un ambiente di relazio-ne, di conoscenza, capace di fornire opportunità, e quindi le immagini della porta e dello spazio, che poi è la figura dell’ambiente antropologico, che si sta creando in rete grazie proprio alle nuove tecnologie».

Il Papa, parlando di nuovi spazi di evangelizzazione, supera anche quel concetto di Internet come semplice e mero strumento, mezzo…

Esattamente. Non si parla più di media in questo senso, cioè di mezzi di comu-nicazione. Il Papa è interessato al fatto che in un tempo in cui la tecnologia è di-ventata, direi qualcosa di più che l’ambiente, il tessuto connettivo di fatto di molte esperienze umane, quali appunto la relazione, la conoscenza, proprio in questo tempo è necessario chiedersi: “Può la tecnologia della comunicazione, aiutare gli uomini a incontrare Cristo nella fede?”. Non basta più il superficiale adeguamen-to di un linguaggio, quasi come se la comprensione dell’evangelizzazione fosse

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un adeguamento del linguaggio della Chiesa: no, qui siamo su un altro livello, e ovviamente non si pensa più alla rete come un mezzo di evangelizzazione, ma come un contesto nel quale l’uomo di oggi vive, e nel quale la Parola del Vangelo deve essere portata.

E, ovviamente, questa è una sfida che riguarda tutti i cristiani. Qui davvero ognuno nel suo ambito, viene chiamato dal Papa ad evangelizzare, ad assumersi le proprie responsabilità di evangelizzazione.

Assolutamente sì, e – direi – qui viene valorizzato anche un aspetto importante della dinamica, evidentemente positiva, dei social network, cioè l’emergere delle relazioni, quindi l’accentuazione di uno stile dialogico, interattivo nella comu-nicazione, e dunque anche nell’evangelizzazione. Certo è che la vita dell’uomo, oggi, si esprime in questo ambiente, quindi il Papa sembra far crollare, attraverso questo breve titolo, quello del messaggio evidentemente, le pareti del cosiddetto “dualismo digitale”, cioè finché si dirà che bisogna uscire dalle relazioni in rete, per vivere delle relazioni reali, si confermerà una sorta di schizofrenia che la generazione di oggi fa fatica a tollerare. Quindi la sfida che viene posta, è quella di vivere una vita umana al tempo di oggi, in cui la tecnologia svolge un ruolo significativo. Anche l’evangelizzazione deve confrontarsi con questa sfida.

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I primi tre mesi di Papa Francesco

Un Vangelo che non si esaurisce mai, in ogni tempo

Giovedì 13 giugno l’annuncio: porterò a termine l’enciclica sulla fede iniziata da Benedetto XVI. «Un documento forte, ha detto Papa Francesco che ha poi commentato sorridendo: «Una enciclica “a quattro mani”, dicono». Ricevendo il Consiglio ordinario della segreteria generale del Sinodo dei vescovi, ha spiegato che sull’esortazione post-sinodale prevede di lavorare riprendendo tutto il Sino-do sulla nuova evangelizzazione che si è tenuto a ottobre 2012, ma “in una cornice più larga”

Nuova evangelizzazione, evangelizzazione in genere sono i due termi-ni adottati da Papa Francesco. Che in fondo racchiudono un unico tema che è la diffusione del Vangelo nel mondo attuale. Ma se i confini dell’an-nuncio sono i bordi della terra, allora è legittimo parlare di evangelizzazio-ni. Non è una variazione soltanto lessicale, non è un appendersi alle parole. Il suggerimento viene ancora una volta da Papa Francesco quando si è defini-to un cristiano preso dalla “fine della terra”. Perché qual è il problema? Riu-scire a pensare, a credere, ad agire in termini insieme locali e universali. Per dirla con un filosofo J. Habermas, con il quale è entrato in dialogo anche Be-nedetto XVI, occorre un fondamento universale da costruirsi nella solidarietà del comunicare. Ora la Chiesa in tutta la sua preghiera liturgica, nella sua co-scienza pentecostale si pensa da sempre, esperimenta da duemila anni questa straordinaria appartenenza al mondo perché sa di appartenere, anche nei suoi limiti, al Cristo salvatore universale. Nell’azione degli ultimi pontificati que-sto abbraccio di tutto il mondo, ben significato dai due bracci del colonnato del Bernini, è diventato concreto, è diventato presenza, solidarietà verso altre Chie-se, voce di popoli oppressi, megafono di un bisogno d’incontro tra le religioni. È stata e continua a essere un’evangelizzazione di prossimità senza limi-ti, senza confini appunto. Eppure nell’unità di un solo credo, di un solo Dio, la Chiesa va cercando la lingua di tutti i popoli, delle grandi civiltà dell’uni-verso. Ecco l’evangelizzazione si trasforma in “evangelizzazioni”. La sfida è talmente oltre le forze umane della comunità cristiana che torna urgente la costante sottolineatura di Papa Francesco. “Le tecniche sono certo importan-ti, ma neppure le più perfette potrebbero sostituire l’azione discreta ma effica-ce” dello Spirito. Come dire che l’evangelizzazione nasce dalla spiritualità non dalle strutture; che ha la sua “fons et culmen”, per ricordare la “Sacrosanctum

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Concilium”, nella liturgia. E ciò in linea con le osservazioni del Papa – sem-plificando giornalisticamente – su Pietro che non ebbe una banca. Insomma davanti non vanno poste le energie umane ma i suggerimenti dello Spirito. C’è bisogno d’invenzione per le “nuove evangelizzazioni”. È umano piani-ficarle, formare e organizzare persone e strutture in funzione di esse. Ma i grandi piani della Chiesa non possono che fidarsi dell’inventore per eccel-lenza: lo Spirito. Un san Francesco o un sant’Antonio o una madre Tere-sa non sono stati disegnati da mano di uomo, ma dalla mano creatrice di Dio. Il che non è una semplificazione ma una lucida constatazione storica. Torna, dun-que, la domanda su quali evangelizzazioni per i popoli del mondo che vivono un’epoca di straordinaria convergenza ma nella difesa della loro identità. Soprat-tutto perché quella mirabile convergenza non sia soltanto globalizzazione econo-mica, finanziaria, produttiva, consumistica. Il mondo dei popoli accorsi il giorno di Pentecoste per ascoltare gli apostoli è davvero plurale. Sommariamente esem-plificando, il cristianesimo parla prima il semitico, poi il greco, il latino e, infine, tutte le lingue. Ma esprimersi nelle diverse lingue non è ancora incarnare la fede nelle culture, nelle identità dei popoli cosicché accogliendo Cristo non si sentano espropriati del proprio sé, del proprio volto. Le evangelizzazioni abbisognano di un sant’Agostino, di un San Basilio, di un Tommaso d’Aquino: diversi nelle cul-ture, identici nella fede. Tante evangelizzazioni nell’unica evangelizzazione.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Quel che il Signore esige da noi!

settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

“Quel che il Signore esige da noi” (Mic 6, 6-8): così suona, biblicamente, il tema della ormai imminente Settimana di preghiera per l’unità del cristiani dal 18 al 25 gennaio. Ed è una sorta di grido di speranza e di verità, nonché un appello all’impegno ed alla testimonianza. Ci si rifà ad un testo di Michea, tutto da risco-prire: “Quale offerta porteremo al Signore, al Dio altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti d’olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primo-geniti per ricevere il perdono dei nostri peccati? In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricerca-re la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio” (Mic 6, 6-8). A scegliere questo brano profetico è stato il gruppo ecumenico dell’India, in cui operano il Movimento studentesco cristiano (composto da oltre 10 mila universitari) e la Federazione degli universitari cattolici di tutta l’India. Le riflessioni e le preghiere che vengono suggerite attingono all’esperienza sofferta dei cristiani perseguitai, che esprimono tenacemente l’ansia di liberazione e di riscatto sociale, in partico-lare dei dalits, dei fuori casta, degli ultimi della terra, schiacciati dai potenti, ma preferiti da Dio. Si evidenzia una netta condanna della rigida suddivisione in ca-ste, accanto alla difesa appassionata dei diritti dei dalits. “Attraverso la Settimana di preghiera – è riferito nel sussidio – i cristiani di tutto il mondo si chiedono in fraternità ecumenica che cosa significa praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni con la metafora del cammino. Per le comunità dalit, il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E così in questa ‘Settima-na’ il nostro cammino con i dalits, e con tutti quelli che spasimano per la giustizia, è parte integrane della preghiera per l’unità dei cristiani. Siamo invitati ad uscire fuori dai posti tranquilli del nostro comfort. Con le persone ferite di ogni tempo e luogo, Cristo chiede al Padre perché l’ha abbandonato. E’ chiara la direzione da prendere: essere con Cristo significa essere solidali con chi è ai margini, poiché Cristo, il crocifisso, condivide profondamente i patimenti dei dalits, le piaghe degli ultimi della terra”.

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“Il testo sostiene con altrettanto vigore il diritto di cristiani a professare libera-mente la propria fede – ha annotato Donatella Coalova in un dossier su ‘Avve-nire’ –, e dà spazio alla voce coraggiosa di una donna che in Orissa ha sofferto per Cristo. In India ci sono 24 milioni di cristiani, di cui i cattolici costituiscono il gruppo più numeroso. Il Consiglio nazionale delle Chiese è espressione delle Chiese protestanti ed ortodosse e rappresenta 13 milioni di persone. Le recenti persecuzioni hanno colpito cattolici, protestanti, ortodossi. In tutti è forte il desi-derio di salvezza espresso da Tagore in ‘Gitanjali’ con la poesia che apre anche la liturgia ecumenica del sussidio. ‘Dove la mente è senza paura e si tiene alta la testa; dove la conoscenza è libera… sotto quel cielo di libertà, Padre, fa’ che il mio Paesi si svegli’…”.

La libertà religiosa in India è sì garantita dalla Costituzione ma non sempre è rispettata nei fatti. In questo contesto la Chiesa ha un compito delicato, quello di costruire una cultura del dialogo e del rispetto dentro tutta la società, come ricorda mons. Felix Machado, vescovo di Vasai: “Il Governo dà privilegi a tutti i dalits, tranne ai cristiani ed ai musulmani. Mi sembra un’ingiustizia”. E l’80% dei cri-stiani indiani è di origine dalit.

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GIORNATA PER LA VITA

Generare la vita vince la crisi“Al sopravvenire dell’attuale gravissima crisi economica, i clienti della nostra

piccola azienda sono drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Ci sono giorni e notti nei quali viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza”. In molti, nell’ascoltare la drammatica testimonianza presen-tata da due coniugi al Papa in occasione del VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano, 1-3 giugno 2012), non abbiamo faticato a riconoscervi la situazione di tante persone conosciute e a noi care, provate dall’assenza di prospettive sicure di lavoro e dal persistere di un forte senso di incertezza. “In città la gente gira a testa bassa – confidavano ancora i due –; nessuno ha più fiducia di nessuno, manca la speranza”. Non ne è forse segno la grave difficoltà nel fare famiglia, a causa di condizioni di precarietà che influenzano la visione della vita e i rapporti interper-sonali, suscitano inquietudine e portano a rimandare le scelte definitive e, quindi, la trasmissione della vita all’interno della coppia coniugale e della famiglia?

La crisi del lavoro aggrava così la crisi della natalità e accresce il preoccupante squilibrio demografico che sta toccando il nostro Paese: il progressivo invecchia-mento della popolazione priva la società dell’insostituibile patrimonio che i figli rappresentano, crea difficoltà relative al mantenimento di attività lavorative e im-prenditoriali importanti per il territorio e paralizza il sorgere di nuove iniziative.

A fronte di questa difficile situazione, avvertiamo che non è né giusto né suffi-ciente richiedere ulteriori sacrifici alle famiglie che, al contrario, necessitano di politiche di sostegno, anche nella direzione di un deciso alleggerimento fiscale. Il momento che stiamo vivendo pone domande serie sullo stile di vita e sulla gerar-chia di valori che emerge nella cultura diffusa. Abbiamo bisogno di riconfermare il valore fondamentale della vita, di riscoprire e tutelare le primarie relazioni tra le persone, in particolare quelle familiari, che hanno nella dinamica del dono il loro carattere peculiare e insostituibile per la crescita della persona e lo sviluppo della società: «Solo l’incontro con il tu e con il noi apre l’ “io” a se stesso» (Benedetto XVI, Discorso alla 61ª Assemblea generale della CEI, 27 maggio 2010).

Quest’esperienza alla radice della vita porta a essere prossimi a vivere la gratui-tà, a far festa insieme, educandosi a offrire qualcosa di noi stessi, il nostro tempo, la nostra compagnia e il nostro aiuto. Non per nulla San Giovanni può affermare che noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli (1Gv 3,14). Troviamo traccia di tale amore vivificante sia nel contesto quotidiano che nelle situazioni straordinarie di bisogno, come accaduto anche in occasione del terremoto che ha colpito le regioni del Nord Italia. Accanto al dispiegamento

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di sostegni e soccorsi, ha riscosso stupore e gratitudine la grande generosità degli italiani che hanno saputo farsi vicini a chi soffriva. Molte persone sono state ca-paci di dare se stesse testimoniando, in forme diverse, un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza (Benedetto XVI, Discorso nel Teatro alla Scala di Milano, 1 giugno 2012).

In questa, come in tante altre circostanze, si riconferma il valore della persona e della vita umana, intangibile fin dal concepimento; il primato della persona, infatti, non è stato avvilito dalla crisi e dalla stretta economica. Al contrario, la fattiva solidarietà manifestata da tanti volontari ha mostrato una forza inimma-ginabile. Tutto questo ci sprona a promuovere una cultura della vita accogliente e solidale. Al riguardo, ci sono rimaste nel cuore le puntuali indicazioni con cui Benedetto XVI rispondeva alla coppia provata dalla crisi economica: «Le parole sono insufficienti. Che cosa possiamo fare noi? Io penso che forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie potrebbero aiutare. Che realmente una famiglia assuma la responsabilità di aiutare un’altra famiglia» (intervento alla Festa delle testimonianze al Parco di Bresso, 2 giugno 2012). La logica del dono è la strada sulla quale si innesta il desiderio di generare la vita, l’anelito a fare famiglia in una prospettiva feconda, capace di andare all’origine – in contrasto con tendenze fuorvianti e demagogiche – della verità dell’esistere, dell’amare e del generare. La disponibilità a generare, ancora ben presente nella nostra cultura e nei giovani, è tutt’uno con la possibilità di crescita e di sviluppo: non si esce da questa fase critica generando meno figli o peggio ancora soffocando la vita con l’aborto, ben-sì facendo forza sulla verità della persona umana, sulla logica della gratuità e sul dono grande e unico del trasmettere la vita, proprio in un una situazione di crisi.

Donare e generare la vita significa scegliere la via di un futuro sostenibile per un’Italia che si rinnova: questa è una scelta impegnativa ma possibile, che richie-de alla politica una gerarchia di interventi e la decisione chiara di investire risorse sulla persona e sulla famiglia, credendo ancora che la vita vince, anche la crisi.

Il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana

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89ª GIORNATA DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA

Accanto ai giovani, oltre la crisi

Preparare il domani che è già presente

«Nell’attuale crisi, che ha radici antropologiche e non solo economiche, le nuo-ve generazioni rischiano di pagare il prezzo più alto perché su di loro si riversano maggiormente le incertezze che segnano la nostra epoca». È quanto si legge nel messaggio della presidenza della Cei per l’89ª Giornata per l’Università Cattoli-ca, in programma il 14 aprile sul tema: “Con le nuove generazioni oltre la crisi”. “L’affievolirsi dei legami familiari, il frantumarsi del tessuto sociale, le difficoltà crescenti nell’accesso al lavoro e nella formazione di una famiglia”: sono questi, per la Cei, i fattori che “stanno determinando, soprattutto nei giovani, un diffuso senso di smarrimento e di disagio”. Eppure, “guardare al futuro, coltivare la spe-ranza, spendersi con generosità è proprio dei giovani. Nei momenti più difficili della storia, dalle nuove generazioni è venuto sempre un contributo decisivo per andare oltre le criticità, i conflitti e i fallimenti”. Di qui la necessità di “metter-si al loro fianco”, attraverso la “conoscenza” e la “condivisione sia delle loro aspettative che delle difficoltà che stanno affrontando”. “Se da sempre questa è la missione dell’Università Cattolica, oggi lo diventa ancora di più – si legge nel messaggio – perché l’amore verso le nuove generazioni esige di aiutarle a cre-scere su basi solide, a sviluppare fiducia e consapevolezza nel proprio valore, a trovare la strada per mettere a frutto i propri talenti”.

“I giovani possono trovare nella qualificata formazione accademica e nella pro-posta di crescita integrale della persona, offerte dall’Università Cattolica, i capi-saldi per non cedere allo scoraggiamento di fronte agli effetti depressivi indotti dalla crisi e per recuperare quel dinamismo positivo in grado di fare anche dell’at-tuale situazione un’opportunità di crescita personale e sociale”, scrivono i vescovi citando la “straordinaria attualità dell’”intuizione” di padre Gemelli, che “oltre novant’anni fa, in una fase di rinascita del Paese dopo la prima guerra mondiale, individuava nella creazione di un polo di eccellenza universitaria la risposta più efficace per sostenere le nuove generazioni”. La Cattolica, quindi, come luogo che aiuta i giovani ad “essere protagonisti della storia non secondo visioni segnate dal relativismo e da ideologie, ma alla luce del pieno riconoscimento della dignità umana e dell’impegno primario per la costruzione del bene comune”.

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GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

Nuovi operai nella vigna del Signore

Da 50 anni, l’invocazione condivisa ‒ Un appello ai giovani per mettersi in gioco sulle frontiere dell’amore a Dio,

La profonda convinzione che la preghiera è il “cardine della pastorale voca-zionale” spinse Paolo VI, ad appena sette mesi dalla sua elezione, ad istituire, il 23 gennaio del 1964, la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel suo radiomessaggio per la prima GMPV, che si celebrò il 12 aprile del 1964, così Paolo VI manifestava la finalità che intendeva raggiungere con questa celebra-zione annuale: “Si alzi al Cielo la nostra preghiera: dalle famiglie, dalle parroc-chie, dalle comunità religiose, dalle corsie degli ospedali, dallo stuolo dei bimbi innocenti affinché crescano le vocazioni e siano conformi ai desideri del Cuore di Cristo”. Come si è notato, il Papa, istituendo la GMPV, desiderava coinvolgere nella preghiera per le vocazioni tutti i battezzati perché, come affermava nello stesso radiomessaggio, “il problema del numero sufficiente dei sacerdoti tocca da vicino tutti i fedeli: non solo perché ne dipende l’avvenire religioso della so-cietà cristiana, ma anche perché questo problema è il preciso e inesorabile indice della vitalità di fede e di amore delle singole comunità parrocchiali e diocesane, e testimonianza della sanità morale delle famiglie cristiane”. La preghiera per le vocazioni, negli intenti di Paolo VI, non poteva, dunque, non accompagnarsi con un rinnovato impegno per una vita pienamente cristiana. Ora siamo giunti alla cinquantesima “Giornata”, che è a calendario domenica 21 aprile. Il tema asse-gnato, a suo tempo, da Benedetto XVI, con il suo messaggio dell’ottobre scorso, suona così: “Le vocazioni segno della speranza fondata sulla fede”

“In questi decenni, le diverse comunità ecclesiali sparse in tutto il mondo – scriveva Benedetto XVI – si sono ritrovate spiritualmente unite ogni anno, nella quarta domenica di Pasqua, per implorare da Dio il dono di sante vocazioni e per riproporre alla comune riflessione l’urgenza della risposta alla chiamata divina. Questo significativo appuntamento annuale ha favorito, infatti, un forte impegno a porre sempre più al centro della spiritualità, dell’azione pastorale e della preghie-ra dei fedeli l’importanza delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. La speranza è attesa di qualcosa di positivo per il futuro, ma che al tempo stesso deve sostenere il nostro presente, segnato non di rado da insoddisfazioni e insuccessi. Dove si fonda la nostra speranza? Guardando alla storia del popolo di Israele nar-

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rata nell’Antico Testamento, vediamo emergere, anche nei momenti di maggiore difficoltà come quelli dell’esilio, un elemento costante, richiamato in particolare dai profeti: la memoria delle promesse fatte da Dio ai patriarchi; memoria che chiede di imitare l’atteggiamento esemplare di Abramo, il quale, ricorda l’apo-stolo Paolo, «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: così sarà la tua discendenza» (Rm 4, 18). Una verità consolante e illuminante che emerge da tutta la storia della sal-vezza è allora la fedeltà di Dio all’alleanza, alla quale si è impegnato e che ha rin-novato ogniqualvolta l’uomo l’ha infranta con l’infedeltà, con il peccato, dal tem-po del diluvio (cfr Gen 8, 21-22), a quello dell’esodo e del cammino nel deserto (cfr Dt 9, 7); fedeltà di Dio che è giunta a sigillare la nuova ed eterna alleanza con l’uomo, attraverso il sangue del suo Figlio, morto e risorto per la nostra salvezza”.“In ogni momento, soprattutto in quelli più difficili, è sempre la fedeltà del Signo-re, autentica forza motrice della storia della salvezza – conclude il Papa emerito –, a far vibrare i cuori degli uomini e delle donne e a confermarli nella speranza di giungere un giorno alla «Terra promessa». Qui sta il fondamento sicuro di ogni speranza: Dio non ci lascia mai soli ed è fedele alla parola data. Per questo moti-vo, in ogni situazione felice o sfavorevole, possiamo nutrire una solida speranza e pregare con il salmista: «Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza» (Sal 62, 6). Avere speranza equivale, dunque, a confidare nel Dio fedele, che mantiene le promesse dell’alleanza. Fede e speranza sono pertanto strettamente unite. «Speranza, di fatto, è una parola centrale della fede biblica, al punto che in diversi passi le parole fede e speranza sembrano interscambiabili. Così la Lettera agli Ebrei lega strettamente alla ‘pienezza della fede’ (10, 22) la ‘immutabile pro-fessione della speranza’ (10, 23). Anche quando la prima Lettera di Pietro esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare una risposta circa il logos – il senso e la ragione – della loro speranza (cfr 3, 15), ‘speranza’ è l’equivalente di ‘fede’» (enciclica Spe salvi, 2)… L’amore di Dio segue a volte percorsi impensabili, ma raggiunge sempre coloro che si lasciano trovare. La speranza si nutre, dunque, di questa certezza: «Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4, 16). E questo amore esigente, profondo, che va oltre la superficialità, ci dà coraggio, ci fa sperare nel cammino della vita e nel futuro, ci fa avere fiducia in noi stessi, nella storia e negli altri. Vorrei rivolgermi in modo particolare a voi giovani e ripetervi: «Che cosa sarebbe la vostra vita senza questo amore? Dio si prende cura dell’uomo dalla creazione fino alla fine dei tempi, quando porterà a compimento il suo progetto di salvezza. Nel Signore Risorto abbiamo la certezza della nostra speranza» (Discorso ai giovani della diocesi di San Marino, 19 giu-gno 2011)”.

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ASSEMBLEA CEI

“Chinatevi su coloro che fanno fatica”Papa Francesco ai vescovi italiani

“Essere pastori significa credere ogni giorno nella grazia e nella forza che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza, e assumere fino in fondo la re-sponsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora non sono di questo ovile”. È un forte invito alla responsabilità, quello rivolto da Papa Francesco ai vescovi italiani. “Siamo chiamati – le sue parole – a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come annunciava profeticamente Isaia. In questa prospettiva, “essere pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza”. “Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata”, ha assicurato il Papa: “Mettiamo da parte – l’invito ai vescovi – ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine”. Fra questi, “un posto particolare riserviamolo ai nostri sacerdoti”: “soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza”.

Card. Bagnasco: “I disagi delle persone attendono risposte respon-sabili!”

“Pensare alla gente: questa è l’unica cosa seria” mentre la nostra società sembra essere arrivata di fronte a un “bivio”: lo ha detto a Roma, nel cuore della prolusio-ne all’assemblea generale dei vescovi italiani, il presidente della Cei, card. Ange-lo Bagnasco. Citando l’alternarsi di gioia, per la recente elezione di Papa France-sco, e l’ansia grave per il “disagio sociale diffuso” a seguito della perdurante crisi economica, con la “moltitudine di giovani che non trovano lavoro”. Sullo sfondo, ma non meno gravi, il cardinale ha anche richiamato i temi complessi della difesa della vita, della libertà di educazione, del crescente degrado morale che si mani-festa sotto molteplici forme. Un intervento, quello del card. Bagnasco, che non mancherà di far riflettere. Perché senza mezzi termini afferma: “Siamo nel vortice dell’emergenza che, come onda irriducibile e crescente, assedia”.

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L’appello del card. Bagnasco ai politici a “pensare alla gente” è stato seguito dall’invito a “pensarci con grandissimo senso di responsabilità, senza populismi inconcludenti e dannosi, mettendo sul tavolo ognuno le migliori risorse di intel-letto, di competenza e di cuore”. Questo perché – ha aggiunto – “l’ora è talmen-te urgente che qualunque intoppo o impuntatura, da qualunque parte provenga, resteranno scritti nella storia”. Il cardinale ha del resto parlato della realtà che tutti conosciamo: giovani senza lavoro, anziani senza pensione, famiglie scese “al livello di povertà e a volte dell’angoscia”. Il lavoro è quindi l’istanza “che chie-de interventi immediati ed efficaci” come una “lama dolorosa nella carne della gente”. Il cardinale ha invocato “un deciso piano industriale che, tenendo in casa il patrimonio e la professionalità italiana, rilanci con tenacia la produzione nazio-nale”. A proposito delle “politiche fiscali” si è chiesto: “Fino a quando potranno raccogliere risorse se tutto rallenta?”. Quello che appare in gioco – ha concluso parlando dell’odierna fase economica – “è la dignità della persona” a fronte di un lavoro o che non c’è o, riferendosi alla “tratta”, che “schiavizza le persone”.

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ORATORI/NOTA PASTORALE CEI

Ponti lanciati sull’umanoLa Nota pastorale della Cei, dal titolo ‘’Il laboratorio dei talenti’’, si muove

nell’ottica della ‘’pastorale integrata’’ e come antidoto al ‘’relativismo pervasi-vo’’ dei processi educativi. Grande spazio è riservato alla relazione educativa e al ruolo dei sacerdoti. Infine non manca l’apertura al digitale

Nel linguaggio comune, la parola oratorio “richiama un’esperienza di vita buona legata ai tempi della giovinezza”. Oggi, forti di 450 anni di esperienza educativa, gli oratori sono una realtà cui guardano con crescente attenzione non solo la comu-nità ecclesiale, ma anche le istituzioni civili, come dimostrano diversi interventi legislativi. Parte da questa “fotografia” la Nota pastorale della Cei sugli oratori, dal titolo “Il laboratorio dei talenti”. Il documento, elaborato dalla Commissione episcopale per la famiglia e la vita e dalla Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, si propone di “riconoscere e sostenere il peculiare valore dell’oratorio nell’accompagnamento della crescita umana e spirituale delle nuove generazioni” e di “proporre alle comunità parrocchiali, e in modo particolare agli educatori e animatori, alcuni orientamenti”. L’ottica scelta è quella della “pastora-le integrata”, come antidoto al “relativismo pervasivo” dei processi educativi. La “sfida” è “far diventare gli oratori spazi di accoglienza e di dialogo, dei veri ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e la proposta di un in-contro concreto con Lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il virtuale e il reale, tra il tempo della spensieratezza e quello dell’assunzione di responsabilità”. Ponti tra la chiesa e la strada. Gli oratori non nascono come progetti “fatti a ta-volino” ma dalla capacità di “lasciarsi provocare e mettere in discussione dalle ur-genze e dai bisogni del proprio tempo”, con la stessa passione dei grandi “maestri dell’educazione”: san Filippo Neri, san Giovanni Bosco, san Carlo Borromeo… Gli oratori non solo limitati “al recupero, all’istruzione o all’assistenza”, ma sanno “valorizzare e abitare la qualità etica dei linguaggi e delle sensibilità giovanili”, coniugando “prevenzione sociale, accompagnamento familiare e avviamento al lavoro”. In quest’ottica, oggi gli oratori “devono essere rilanciati anche per diven-tare sempre più ponti tra la Chiesa e la strada”, come li definiva Giovanni Paolo II. Cittadini responsabili. Se la “prossimità” è lo stile dell’oratorio, uno dei suoi obiettivi primari è contribuire “alla crescita di cittadini responsabili”. Di qui l’im-portanza di “valorizzare il ruolo delle famiglie e sostenerlo, sviluppando un dialo-go aperto e costruttivo” e facendo dell’oratorio un “ambiente di condivisione e di aggregazione giovanile, dove i genitori trovano un fecondo supporto per la crescita integrale e il discernimento vocazionale dei propri figli”. Rispetto agli altri luoghi

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formativi, l’oratorio “si caratterizza per la specifica identità cristiana”, ed “attraver-so i linguaggi del mondo giovanile promuove il primato della persona e la sua di-gnità, favorendo un atteggiamento di accoglienza e di attenzione, soprattutto verso i più bisognosi”, ma anche verso giovani appartenenti ad altre culture e religioni. Un laboratorio anche “digitale”. “Un variegato e permanente laboratorio di in-terazione tra fede e vita”: questa la definizione di oratorio presente nel testo, in cui si raccomanda di offrire ai giovani “percorsi differenziati” che sappiano attingere a tutti i linguaggi e gli ambienti giovanili, compreso il web e i “new media”, con un oc-chio speciale ai “nativi digitali”. Soprattutto a loro, l’oratorio “garantisce uno spazio reale di confronto con il virtuale per capirne profondamente potenzialità e limiti”. Il primato della relazione. Ma l’oratorio “educa ed evangelizza” soprattutto “at-traverso relazioni personali autentiche e significative”, che sono la sua “vera for-za”, perché “nessuna attività può sostituire il primato della relazione personale”. “Anche laddove i social network sembrano semplicemente prolungare e rafforza-re rapporti di amicizia - si raccomanda nel documento - appare necessario aiutare i giovani che abitano il mondo della rete a scendere in profondità coltivando rela-zioni vere e sincere”, in un tempo “segnato dalla consumazione immediata del pre-sente e dal continuo cambiamento, dalla frammentazione delle esperienze”. Ser-vono “relazioni autorevoli”, per “aiutare i ragazzi a fare sintesi”, e l’oratorio può diventare “il luogo unificante del vissuto”, aiutando chi lo frequenta “a superare il rischio, oggi tutt’altro che ipotetico, della frammentazione e della dispersione”. Accoglienza e “restituzione”. L’”accoglienza” è la cifra dell’oratorio, il suo “potere di attrazione”, ma “non può mai comportare disimpegno o svendi-ta dei valori educativi”. La prospettiva adottata è quella della “restituzione”: “tutti, in modi e situazioni diverse, hanno ricevuto del bene da qualcuno. Tut-ti, quindi, ognuno secondo le proprie possibilità e capacità, sono chiama-ti a restituire tale bene diventando dono per gli altri”. Famiglia, scuola, sport sono i luoghi principali attorno a cui costruire “alleanze educative”, anche per fare dell’oratorio un “laboratorio di cultura” e “partecipare al dibattito pubbli-co sui temi e compiti educativi della società civile e della comunità ecclesiale”. Non solo sport. Per creare quel tipico “clima di famiglia” che ne ha accompa-gnato l’evoluzione, i sacerdoti - e non solo quelli giovani, perché “l’efficacia educativa non coincide con la vicinanza generazionale fra educatori e ragazzi” - devono “stare” in oratorio, per “offrire un accompagnamento umano e spirituale ai ragazzi e agli educatori”. Servono inoltre “figure stabili di riferimento”, come “laici preparati”. Tra le proposte più consolidate dell’oratorio, c’è l’attività spor-tiva, che nel nostro territorio si avvale anche della “presenza capillare” del Centro sportivo italiano, ma non mancano attività come musica, teatro, danza… Fin dalle origini, inoltre, l’oratorio “ha posto attenzione alle necessità e alle povertà delle nuove generazioni”: un ruolo di “prevenzione”, più che di contrasto del “disagio sociale”, nel quale gli oratori sono sollecitati a perseverare, grazie alla loro capa-cità di “stare anche sulla strada”.

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SETTIMANA SOCIALE

Famiglia via della speranzaRipartire dai cinque punti dell’“agenda di speranza” di Reggio Calabria – in-

traprendere, educare, includere, slegare la mobilità sociale, completare la tran-sizione istituzionale – per svilupparli “nella prospettiva della famiglia”. Così il Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali apre il cammino ver-so l’appuntamento di Torino (12-15 settembre 2013) con una “Lettera invito al cammino di discernimento verso la 47ª Settimana sociale” pubblicata sul sito www.settimanesociali.it.

Tema centrale. “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana” è il titolo della prossima edizione, scelto “nella ferma convinzione - riporta la Lettera - che si tratti di un tema centrale per il bene comune del Paese”, “già presente nei vari punti dell’agenda proposta alla Settimana sociale di Reggio Calabria: l’attualità di quell’agenda è stata confermata dal dibattito proseguito in questi due anni ai vari livelli istituzionali del Paese e dallo sviluppo stesso degli avvenimenti”. In vista dell’appuntamento, che avviene “in un anno importante e impegnativo per la vita della Chiesa” e “del Paese”, il Comitato scientifico e organizzatore ritiene “grandemente opportuno che s’intensifichi la preparazione fatta di attento discer-nimento da parte di tutti intorno a un tema che, tanto il Magistero ecclesiale – in particolare gli interventi frequenti e puntuali di Benedetto XVI – quanto l’attua-lità quotidiana, confermano nella sua urgenza”. Un “lavoro di preparazione, di studio e di discernimento” proposto “a tutti” e in particolare a “famiglie, singoli, associazioni, movimenti e istituzioni”.

Partire dall’agenda di Reggio Calabria. Punto di partenza, si legge nella missi-va, è proprio il “dibattito” sviluppatosi attorno ai punti dell’agenda della prece-dente Settimana sociale, confermando “che quei temi sono di piena attualità e che gli orientamenti emersi corrispondono alle attese della società italiana”. Da quella “corale riflessione del mondo cattolico”, secondo il Comitato, “nasce l’esigenza di mettere a tema la famiglia in modo diretto e centrale, come concreta continuità con le riflessioni già fatte, nel desiderio di declinare il tema del bene comune su problemi particolarmente urgenti per il Paese”. Parlare di famiglia, rimarca, è sempre “nella prospettiva della ricerca continua del bene comune”, dal momento che “tocca i nodi antropologici essenziali per il futuro della persona umana; co-stituisce un pilastro fondamentale per costruire una società civile davvero libera, a cominciare dalla libertà religiosa e da quella educativa; è dunque condizione fondamentale per una società dove i diritti di tutti siano realmente rispettati”. La “Lettera invito” cita quindi la “via esigente e affascinante” della famiglia nel matrimonio, che per i cristiani, oltretutto, “diviene sacramento di amore pieno e

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di speranza”. Attenzione viene posta pure ai “diversi aspetti economici”, da con-siderare “anzitutto in rapporto al primato della persona”, e al “ruolo che la gran maggioranza delle famiglie ha svolto e continua a svolgere nella nostra società”.

Ascoltare la speranza. L’obiettivo di Torino 2013, enuncia la Lettera, è “parlare di famiglia in modo speciale nella prospettiva specifica e propria delle Settimane sociali”, ossia “ascoltare la speranza che ci viene dal vissuto di tantissime fami-glie; riconoscere la famiglia come luogo naturale e insostituibile di generazione e di rigenerazione della persona, della società e del suo sviluppo anche materiale; essere concretamente vicini ed essere percepiti come vicini dalle famiglie – ge-nitori e figli – che soffrono per i motivi più diversi; valorizzare la prospettiva presente nella nostra Costituzione repubblicana in favore della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna; riconoscere e tutelare sempre e in primo luogo i diritti dei figli; considerare ritardi e inadempienze politiche, legislative e organizzative cui non sono stati estranei purtroppo in alcuni casi gli stessi catto-lici e le istituzioni; mettere in evidenza il legame che unisce il “favor familiae” con il bene comune e lo sviluppo del Paese, al di là di pregiudizi e ideologie, per cogliere le tante ragioni condivisibili da molti, ben oltre gli schieramenti, le posi-zioni culturali e religiose”. “Siamo consapevoli – conclude il documento – della rilevanza della sfida culturale e dunque politica che la prossima Settimana sociale rappresenta, ma ci sentiamo spinti ad affrontarla con gioia ed entusiasmo a ser-vizio della speranza che moltissime famiglie vivono ed alimentano ogni giorno nella quotidianità, in mezzo alle difficoltà di tutti: speranza che vogliamo offrire in modo particolare ai giovani”.

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SETTIMANA SOCIALE

Il perimetro della famiglia è quello della società

Le ragioni del bene comune, partendo dalle pareti domestiche

Riscoprire e valorizzare la “specifi ca e originaria dimensione sociale” della fa-miglia. Dalla consapevolezza della famiglia come “prima società naturale” e “mo-dello di comunità”, alla quale società e Stato devono fare riferimento, prende le mosse il Documento preparatorio per la 47ª Settimana sociale dei cattolici italiani (Torino, 12-15 settembre 2013) reso noto ad inizio maggio. Il testo, articolato in tre sezioni, parte dalla “struttura profonda della famiglia, al cui centro stanno la dignità della persona e la sacralità della vita umana”, per poi affrontare “il legame tra la famiglia e la società” e infine “l’intreccio strettissimo tra la famiglia e le di-mensioni del lavoro e dell’economia”. L’argomento “non può essere ridotto a una questione interna alla Chiesa o a un tema eticamente sensibile ma nel perimetro della confessione cristiana”, ha spiegato mons. Domenico Pompili, sottosegreta-rio Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali.

Ragioni di bene comune. Obiettivo del Documento, ha rimarcato il presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, l’arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio, è suscitare “confronto e approfondimento su quel che sta avvenendo intorno alla famiglia, al di là di pregiudizi e ideologie, per cogliere le tante ragioni di bene comune, condivisibili da molti”. Di famiglia è la quarta volta che si parla nell’ultracentenario cammino delle Settimane create dal beato Giu-seppe Toniolo, e a Torino lo si farà “nella prospettiva specifica delle Settimane Sociali, per contribuire alla ricerca e formazione di cammini di bene comune”.

Quale mondo costruire. L’appuntamento torinese, ha aggiunto Miglio, “vuol essere un invito a guardare avanti con fiducia e realismo”, avendo come orizzonte “il mondo che vogliamo costruire” e “quale società civile vogliamo far cresce-re”. Il sociologo Luca Diotallevi (vicepresidente del Comitato), da parte sua, ha proposto tre provocazioni “a tutta la comunità civile italiana”. La prima: “Siamo solo uno Stato o anche una Repubblica?”, consapevoli che “la Repubblica ha dei pilastri fondamentali, uno dei quali è la famiglia” e al suo interno lo Stato è solo “un pezzo”. Quindi l’invito a riconoscere i diritti, che “non sono un prodotto delle leggi, qualcosa che si può dare o togliere”. Infine, “siamo in grado di riconoscere qualcosa di speciale nell’amore tra un uomo e una donna?”, ha chiesto il sociolo-go rispondendo alle polemiche sul “gender”.

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Famiglia e lavoro secondo la Costituzione. Tra le sollecitazioni contenute nel Documento, i richiami alla libertà educativa, ad una “sussidiarietà fiscale”, al-l’unità familiare degli immigrati. Ma, prima di tutto, il valore che la Costituzione italiana riconosce alla famiglia – come “luogo di rilevanza sociale e pubblica” – e al lavoro, poiché “garantire l’esistenza e la qualità del lavoro significa assicurare libertà e dignità alla famiglia che tramite esso vive e cresce”.

Il Comitato organizzatore delle Settimane sociali, nel testo, invoca il “ricono-scimento pieno dell’autonomia e della parità scolastica” per garantire “una vera libertà educativa”, assieme all’auspicio di un “rilancio del protagonismo della famiglia nel gestire strutture educative”.

Sussidiarietà fiscale e politiche migratorie. Sul piano della tassazione, la richie-sta è di dare “precedenza al risparmio fiscale rispetto all’assistenza sociale”: un cambio di prospettiva che prende il nome di “sussidiarietà fiscale” ma chiede di lasciare alle famiglie “la possibilità di gestire le risorse che hanno autonomamen-te guadagnato”. Infine, il Documento presta attenzione alle sempre più numerose famiglie migranti, chiedendo politiche che tutelino “il diritto all’unità familiare” e favoriscano “un processo condiviso d’integrazione”, concedendo tra l’altro il “di-ritto di cittadinanza ai bambini nati in Italia”, prevedendo “cammini educativi di partecipazione” e “l’attribuzione del diritto di voto amministrativo agli immigrati regolarmente presenti nel nostro Paese”.

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La missione educativadella famiglia

Dal documento preparatorioI genitori sono i primi educatori: sono educatori perché genitori. «Nell’orizzon-

te della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante. Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; insostituibile e inalienabile nel senso che non può essere delegato né surrogato». È dunque importante incentivare la responsabilità genitoriale e soste-nere l’esercizio della funzione educativa in famiglia, creando forme di sostegno alla genitorialità e spazi di ascolto e dialogo tra genitori e figli, resi difficili dai ritmi frenetici della vita quotidiana. «Educare in famiglia è oggi un’arte davvero difficile. Molti genitori soffrono, infatti, un senso di solitudine, di inadeguatezza e, addirittura, d’impotenza. Si tratta di un isolamento anzitutto sociale, perché la società privilegia gli individui e non considera la famiglia come sua cellula fonda-mentale». È dalla famiglia, dove si imparano a sviluppare relazioni gratuite e non strumentali, che la società deve attingere il capitale sociale primario che innerva le principali relazioni sociali. Per questo l’educazione è sì una relazione persona-le, ma non un fatto privato, e la famiglia un soggetto sociale a tutto tondo, punto di incontro tra pubblico e privato, portatrice di una responsabilità educativa. Da ciò deriva per i genitori il diritto/dovere di educare i propri figli, un diritto/dovere riconosciuto dalla Costituzione (cfr art. 30) e dal quale scaturisce la piena libertà della scelta educativa: spetta ai genitori la responsabilità di scegliere i luoghi che svolgono e completano la formazione dei figli. Per questo si tratta di definire e

Ambiti- La missione educativa della famiglia- Abitare la città- La pressione fiscale sulle famiglie- Accompagnare i giovani nel mondo del lavoro- Le alleanze educative, in particolare con la scuola- Il cammino comune con le famiglie immigrate- Famiglia e sistema di welfare- La custodia del creato per una solidarietà intergenerazionale

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proporre alcune linee di azione per realizzare una politica dell’educazione attenta al bene comune.

Parola di DioMatteo 19,3-9Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero:

«È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Egli ri-spose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Gli domandarono: «Perché al-lora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?». Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio».

Dottrina Sociale della ChiesaDa Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa209 L’importanza e la centralità della famiglia, in ordine alla persona e alla so-

cietà, è ripetutamente sottolineata nella Sacra Scrittura: « Non è bene che l’uomo sia solo » (Gen 2,18). Fin dai testi che narrano la creazione dell’uomo (cfr. Gen 1,26-28; 2,7-24) emerge come — nel disegno di Dio — la coppia costituisca « la prima forma di comunione di persone ». Eva è creata simile ad Adamo, come colei che, nella sua alterità, lo completa (cfr. Gen 2,18) per formare con lui « una sola carne » (Gen 2,24; cfr. Mt 19,5-6). Al tempo stesso, entrambi sono impegnati nel compito procreativo, che li rende collaboratori del Creatore: « Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra » (Gen 1,28). La famiglia si delinea, nel disegno del Creatore, come « il luogo primario della “umanizzazione” della persona e della società » e « culla della vita e dell’amore ».

238 Con l’opera educativa, la famiglia forma l’uomo alla pienezza della sua dignità secondo tutte le sue dimensioni, compresa quella sociale. La famiglia, infatti, costituisce « una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e reli-giosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società ». Esercitando la sua missione educativa, la famiglia contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tutte le società hanno bisogno. Le persone sono aiutate in famiglia a crescere nella libertà e nella responsabilità, premesse indispensabili per l’assunzione di qualsiasi compito nella società. Con l’educazione, inoltre, vengono comunicati, per essere assimilati e fatti propri da ciascuno, alcuni valori fondamentali, necessari per essere cittadini liberi, onesti e responsabili.

239 La famiglia ha un ruolo del tutto originale e insostituibile nell’educazione dei figli. L’amore dei genitori, mettendosi al servizio dei figli per aiutarli a trarre da loro (« e-ducere ») il meglio di sé, trova la sua piena realizzazione proprio nel

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compito educativo: « l’amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l’azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il più prezioso frutto dell’amore ».

Il diritto-dovere dei genitori di educare la prole si qualifica « come essenziale, connesso com’è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l’unicità del rapporto d’amore che sus-siste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato ». I genitori hanno il di-ritto-dovere di impartire un’educazione religiosa e una formazione morale ai loro figli: diritto che non può essere cancellato dallo Stato, ma rispettato e promosso; dovere primario, che la famiglia non può trascurare o delegare.

Domande per un lavoro di gruppo Come far sì che la famiglia sia protagonista dell’educazione, a fronte del-

l’invasione di messaggi e al moltiplicarsi di agenzie educative e diseducative? Come armonizzare autorità e libertà nella relazione educativa in famiglia? Come le comunità parrocchiali possono considerare sempre meglio il ruo-

lo educativo nell’azione di catechesi svolta al suo interno? Rispetto alle altre diverse forme di convivenza, quale atteggiamento assu-

me la comunità cristiana? Come non mettere in ombra la specificità della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna?

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CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE

Dai vescovi, una parola di speranza per il tempo

che ci attendeFamiglie, giovani, anziani in diffi coltà, lavoro, casa, sanità,

assistenza... tutto si fa precario

I vescovi di Piemonte e Valle d’Aosta, nella prima riunione dell’anno, martedì 8 gennaio, a Pianezza, hanno voluto indirizzarsi, con un messaggio di speranza e di testimonianza, alle comunità cristiane ed agli uomini ed alle donne di buona volontà, in questo momento cruciale di crisi e di affanni.

* * *Con forza e con fermezza ci sentiamo, in questo tempo di crisi per tutti, coinvol-

ti e partecipi e vogliamo essere vicinissimi alle sofferenze, ai timori, al possibile smarrimento che toccano tante persone. Condividiamo con voi le preoccupazioni del contesto sociale in cui anche noi siamo immersi. Insieme con voi, vogliamo evitare il rischio che la vita nei nostri territori perda in umanità e si cancellino valori fondamentali di convivenza civile.

E però, nello stesso tempo, vogliamo annunciare la grande speranza che ci ani-ma in prima persona, noi vescovi con ciascuno di voi, rendendoci protagonisti e corresponsabili nel discernimento, nell’impegno, nel «mettercela tutta».

La situazione è davvero difficile: le famiglie versano in una crisi economica e sociale preoccupante, a causa soprattutto del lavoro che manca, e di tutte le con-seguenze che da questa realtà discendono. Per molti sta diventando difficile anche mantenere la casa, un bene irrinunciabile oggi messo in forse dall’impossibilità di far fronte al mutuo o all’affitto. Ed è sempre più pesante per le fasce più deboli l’impegno fiscale dovuto. Anche il lavoro femminile è ulteriormente penalizzato; e tutte le difficoltà materiali hanno un pesante e negativo influsso sulle relazioni dentro le famiglie, che rischiano di diventare più fragili e difficili.

I giovani, e lo diciamo con particolare affetto e preoccupazione, pagano oggi il prezzo più alto: cioè la difficoltà a immaginare e costruire un loro futuro, con un lavoro, una casa, una famiglia. Anche per questo forse troppe volte vivono la scuola, oggi in forte sofferenza sia quella statale che in particolare quella parita-ria, come inevitabile parcheggio; per loro è ancor più forte il rischio di lasciarsi andare, di rinunciare alla sfida della vita.

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Abbiamo ben presenti le difficoltà e le fatiche degli anziani, toccati da povertà economiche e, spesso, dalla solitudine che sconfina nella marginalità sociale. For-te preoccupazione solleva poi il futuro della sanità, sia del servizio pubblico sia dei presidi di ispirazione cristiana, in gravissima difficoltà.

Quello che sperimentiamo nelle relazioni e negli incontri che abbiamo con tan-te persone è la carenza di gioia, di «pace del cuore» e di comunione fraterna nei rapporti personali, l’assenza dell’abbandono fiducioso, provvidente, propositivo, nel buon Dio.

Crediamo che ci sia un bisogno forte e urgente: riannodare tutti i fili del dialogo tra le generazioni, nelle relazioni educative, tra le istituzioni e le famiglie; e con i giovani, con i nostri anziani, con chi è ammalato, con i fratelli immigrati.

Dobbiamo poter condividere i valori irrinunciabili: la difesa e promozione della vita, la famiglia, la dignità e centralità della persona umana, la cultura, la libertà religiosa e il dialogo interculturale, la salute, la pace, la legalità, la solidarietà, la giustizia sociale, la gratuità.

Ci permettiamo, con viva fraternità e con la paternità che ci dà l’annunciare la Parola di Dio, di coinvolgervi, in questo momento storico, in tre impegni, perché la nostra vita comune non debba essere solo un «grido di dolore» ma un canto di speranza, e una sollecitazione al «risveglio».

Cerchiamo di contribuire insieme, anche nel confronto aperto e leale, alle scelte importanti che siamo chiamati a compiere per il bene del nostro Paese.

Esaminiamo con accuratezza, alla luce dei valori cristiani e civili, le diverse proposte socio-politiche che ci vengono fatte e le persone proposte ad attuarle.

Assumiamoci con responsabilità il dovere di dare il nostro contributo. Tenendo presente anche la necessità di scelte personali e collettive coerenti con uno stile più sobrio e solidale di vita.

Abbiamo la grande speranza che Gesù, il Signore “nato per noi”, nostro straor-dinario compagno di cammino, crocifisso e Risorto, non solo è presente ma è per noi Vita, Verità, Via che illumina il nostro pensare, vivifica la nostra fondata possibilità di sperare e ci aiuta nella rinnovata capacità di amare. Affrontiamo con fiducia il futuro che ci attende: sappiamo che Dio cammina con noi, e che le prove cui siamo chiamati non sono superiori alle nostre forze.

In fraterna cordiale vicinanza e con efficace assidua preghiera,

i vostri Vescovi

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NOTA DEI VESCOVI PIEMONTESI

Una Chiesa madre, dalla parte dei piccoliC’è un cammino da condividere con i genitori,

prima e dopo il battesimo

E’ datata al 13 gennaio scorso, Festa del Battesimo del Signore, la Nota pasto-rale dei vescovi del Piemonte, intitolata “Una Chiesa Madre” (sull’iniziazione cristiana dei bambini). «Come per Gesù, i bambini stanno a cuore non solo alla famiglia, ma anche alla Chiesa – scrivono nell’introduzione mons. Cesare No-siglia arcivescovo di Torino e presidente CEP, mons. Franco Giulio Brambilla arcivescovo di Novara ed incaricato CEP per la famiglia, e mons. Giuseppe Ca-vallotto, vescovo di Cuneo ed incaricato CEP per la catechesi –. Essi chiedono di essere accolti e amati, hanno diritto di essere sostenuti nella loro crescita umana e spirituale. Siamo consapevoli che essi valgono prima di tutto per se stessi e non in vista di ciò che in futuro potranno dare alla famiglia, alla società, alla Chiesa o allo Stato. Il battesimo dei bambini è il primo sacramento dell’iniziazione cristia-na. Essa un giorno avrà il suo compimento con la confermazione e l’eucaristia. Per i più piccoli, rigenerati a vita nuova, incomincia un cammino spirituale che, adeguatamente sostenuto, li condurrà a un progressivo sviluppo della fede e della vita cristiana. Amati dal Signore e guidati dal suo Spirito, i bambini hanno la capacità di incontrare Dio e di aspirare a lui. In questi anni le nostre parrocchie hanno profuso generose energie per promuovere un rinnovamento della catechesi dei ragazzi quale dimensione fondamentale del più ampio processo iniziatico. I risultati non sempre sono stati totalmente convincenti. Una carente formazione cristiana negli anni dell’infanzia e un limitato interesse dei genitori a educare nella fede i propri bambini sovente hanno indebolito o compromesso il successivo cammino catechistico dei fanciulli e ragazzi. Il diritto di ogni bambino a cono-scere e a incontrare il Signore e il dovere dei genitori a essere, fin dalla scelta del battesimo, parte attiva nel cammino d’iniziazione cristiana rendono urgente nelle nostre comunità l’avvio di una qualificata e articolata pastorale battesimale».

La Nota, frutto di un’ampia riflessione tra i vescovi piemontesi, è stata arric-chita con proposte e suggerimenti degli Uffici pastorali della catechesi e della famiglia. Sarà, poi, compito di ogni diocesi elaborare un organico piano di pasto-rale battesimale secondo le indicazioni del proprio vescovo e in risposta alle si-tuazioni e necessità locali. Successivamente, toccherà alle comunità parrocchiali,

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in fedeltà alle scelte diocesane, programmare con responsabilità e creatività un concreto percorso di pastorale pre e post battesimale da attuarsi con generosità e impegno, pur con sapiente gradualità. Il testo della Nota è articolato in quattro brevi capitoli. Il primo, introduttivo, motiva la scelta della pastorale battesimale e precisa la finalità del documento. Nel secondo sono offerte alcune coordinante teologiche e pastorali sul battesimo dei più piccoli, l’iniziazione cristiana, il ruolo della famiglia e la responsabilità della comunità parrocchiale. Il terzo capitolo, più applicativo, si sofferma su priorità, criteri e proposte per elaborare un pro-getto di pastorale battesimale. L’ultimo capitolo prende in considerazione il ruo-lo del vescovo, la funzione del servizio diocesano e il compito della parrocchia per avviare una proposta d’iniziazione cristiana dei bambini. I contenuti fanno riferimento a tre temi conduttori: la centralità dei bambini, per i quali è pensata e programmata la prima fase dell’iniziazione cristiana, che si estende dal battesi-mo agli anni dell’infanzia; un’attenzione prioritaria ai genitori, diretti destinatari della pastorale battesimale; la responsabilità della comunità cristiana che, quale madre che genera alla vita nuova ed è casa comune dei genitori e dei bambini, ha il compito di promuovere e di attuare la pastorale dell’iniziazione cristiana.

«La Nota è diretta anzitutto ai sacerdoti e alle comunità. Non offre soluzioni, ma orientamenti. È un aiuto a un progetto, che chiede di essere definito operati-vamente insieme: vescovo, presbiteri diaconi, operatori pastorali. La proposta ha come primo interlocutore la famiglia, che va amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione – concludono i vescovi –. C’è un legame di reciprocità tra famiglia e comunità ecclesiale. Per questo occorre stabilire una feconda alleanza nella quale va riconosciuto e sostenuto il primato educativo della famiglia».

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CHIESA

Tra speranza e preghieraLe vocazioni in Piemonte e Valle d’Aosta

Incontrando papa Francesco, il primo argomento del confronto, sincero e sereno con i vescovi piemontesi ha riguardato la situazione delle vocazioni sacerdotali e religiose in Piemonte e Valle d’Aosta. Vi sono motivi seri di preoccupazione: non si intravvede la fine del tunnel nel quale siamo entrati ormai da una quarantina di anni. Ma vi è anche qualche segno di speranza: in queste settimane l’arcivescovo di Torino ha ordinato nove preti, ritornando (almeno per quest’anno) a numeri che non si erano più visti da tempo. Aosta ha avuto tre nuovi preti, dopo sei anni senza ordinazioni. Vi è quindi qualche segno di speranza. Ma la ragione profonda della fiducia sta nel fatto che crediamo che una vita consacrata al servizio di Dio e del prossimo abbia senso, sia una realtà positiva, che non può non attrarre. Certo la situazione della vita del prete e della vita consacrata è cambiata radicalmente in questi decenni. Le ragioni sono tante: la secolarizzazione, il benessere diffuso, le mille possibilità professionali che si sono aperte soprattutto per le ragazze, il venir meno di famiglie numerose, la difficoltà ad assumere un impegno per tutta la vita… dobbiamo prendere atto di queste difficoltà. In un mondo che misura tutto sull’efficienza, sul rendimento, sull’immediato, sull’affermazione di sé c’è ancora qualcuno che sappia guardare lontano, che osi impegnarsi per sempre, che punti su qualcosa che non può avere un riscontro immediato, che si metta a servizio degli altri? Davvero le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa hanno qualcosa di miracoloso.

Questo miracolo ha bisogno di un ambiente con temperature alte. Mi riferisco al fatto che deve esserci un certo entusiasmo. Ognuno deve poter dire a se stesso: vale la pena dare la mia vita, ci provo! Questo è possibile solo in un contesto di relazione “calda” col Signore, cioè di preghiera.

Quando parliamo di preghiera per le vocazioni talvolta sottintendiamo: abbiamo fatto tutto il possibile, ma visti i risultati non ci resta che pregare. Una preghiera frutto di rassegnazione. Già il Beato Giovanni Paolo II rivolgendosi ai preti di Roma affermava: “La preghiera non è una specie di delega al Signore, perché faccia Lui al nostro posto. E’ invece un fidarsi di Lui, un mettersi nelle sue mani, che ci rende a nostra volta fiduciosi e disponibili a compiere le opere di Dio. Per-tanto – continuava il Papa – la preghiera per le vocazioni è certamente compito di tutta la comunità cristiana”.

La preghiera è il mezzo che i credenti hanno di leggere il problema vocazionale

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alla luce di Dio, di farsi carico di questo problema. In Piemonte da una quindi-cina di anni si è costituito un gruppo denominato “Monastero invisibile”: sono persone che prendono l’impegno di dedicare mensilmente un’ora per supplicare “il signore della messe perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,37). Si crea una solidarietà sul piano spirituale che riteniamo possa alzare un po’ la tempera-tura delle nostre comunità. Mi pare importante questa prospettiva comunitaria. La ricordava papa Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di quest’anno: “Quando un discepolo di Gesù accoglie la divina chiamata per dedicarsi al ministero sacerdotale o alla vita consacrata, si manifesta uno dei frutti più maturi della comunità cristiana, che aiuta a guarda-re con particolare fiducia e speranza al futuro della Chiesa e al suo impegno di evangelizzazione”.

Dietro ogni vocazione c’è il dialogo tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo, ma c’è anche una comunità che si sente responsabile e coinvolta. Per questo spe-riamo e preghiamo.

+ Giuseppe Guerrini – vescovo di Saluzzo, delegato Cep per la Pastorale per le vocazioni

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SOLIDARIETÀ

Un “Raggio di sole” per Medolla Segnata dal sisma, ora rinasce

(agd) – Il gemellaggio tra le diciasette diocesi di Piemonte e Valle d’Aosta con Medolla, terra colpita dal terremoto dello scorso maggio, ha aggiunto un nuovo tassello importante. Infatti, è stato inaugurato il primo dei diciotto Centri di co-munità costruiti in altrettante zone devastate dal sisma, con i frutti della colletta nazionale proposta in tutte le Chiese italiane il 10 giugno del 2012. Il primo in assoluto ad essere entrato in funzione è proprio quello di Medolla, ad una trenti-na di chilometri da Modena. C’era anche mons. Francesco Ravinale, vescovo di Asti, incaricato della Conferenza Episcopale Piemontese per Caritas e immigra-zione, perché quella costruzione di oltre 260 metri quadri è uno dei modi in cui si sono trasformati i soldi raccolti nella nostra regione. L’hanno chiamato “Raggio di sole”, come lo aveva battezzato un medollese alcune settimane fa pensando che «proprio come tale ha un solo scopo: quello di andare verso la luce di Dio». Commozione nelle parole del sindaco della cittadina mentre ringraziava tutti per la vicinanza e l’impegno profusi. C’era un vero sentimento di fraternità nelle pa-role di don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana, che ha provveduto a cedere la proprietà della nuova costruzione alla parrocchia dei Santi Senesio e Teopompo nella persona del parroco don Davide Sighinolfi. «In tanti dicono che non c’è impegno, che non c’è attenzione reciproca. Non è vero. Questo centro è la dimostrazione che non siete soli» ha commentato mons. Ravinale a nome dei vescovi piemontesi.

Un grande salone interno di 160 metri quadri, divisibile con pareti mobili in tre vani, due da quarantasei metri e uno di 70, e due stanze laterali di una ventina di metri quadrati l’una. Un centro polivalente e polifunzionale costruito con un sistema di tavole in legno e ossatura in metallo, in materiale naturale. Progetto caldo e accogliente costruito di gran carriera dall’architetto Marco Zini, anche lui di Medolla e per questo molto attento alla storia passata. Tanto da inserire all’interno della costruzione, con un artificio architettonico molto interessante, una piccola quercia piantata il 5 marzo 1989 dagli Scout della parrocchia. Così un albero è diventato simbolo dell’inizio di un nuovo cammino: il passato e il futuro si integrano in una prospettiva di solidarietà, condivisione e servizio.

«Molti dei donatori forse non sapranno mai esattamente che la loro offerta è

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diventata mattone qui o in un altro sito colpito dal terremoto. Ma è un segnale po-tente del valore della gratuità che si fa condivisione, senza alcuna pretesa». Così rifletteva l’arcivescovo di Modena-Nonantola poco prima di benedire i locali. La giornata è proseguita con la sentita ed affollata celebrazione eucaristica nel salone della Scuola materna parrocchiale in cui, insieme, i medollesi e gli otto piemon-tesi arrivati in rappresentanza hanno reso gloria a Dio per il suo amore misericor-dioso e paterno. Sta crescendo a vista d’occhio, pochi metri più in là del nuovo Centro, la chiesa parrocchiale che in tanti si augurano di poter consacrare intorno alla data dell’anniversario del terremoto. Una aula ampia, ben illuminata dalla luce naturale, e una sala incontro al suo fianco per poter far ripartire la normalità delle attività parrocchiali. Anche questo è segno di speranza: ne è convintissimo il parroco che ha già provveduto in novembre a benedire un’altra chiesetta nella seconda parrocchia a lui affidata, nella frazione di Villafranca. Il primo servizio comunitario del Centro di comunità “Raggio di sole” è stato l’immancabile pran-zo emiliano per circa 150 persone: sfogliatine alle verdure con fagottino ripieno e quenelle di pollo, lasagne al forno e tortellini in bordo, zampone con arrosto far-cito e purè di patate, focaccia modenese e varietà di dolci... hanno accompagnato tanti discorsi di speranza e di futuro. Come quello che i piemontesi hanno fatto con gli amici della Caritas parrocchiale impostando le attività future del gemel-laggio: un percorso di formazione e tutoraggio per i volontari, le attività estive per giovani ed anziani, la progettazione sui servizi di carità per chi ha perso tanto, la progettazione individuale a sostegno dei nuovi poveri. “Raggio di sole” è un Cen-tro per ripartire nella comunità, ma anche una occasione perché noi – seppur così lontani geograficamente – possiamo non fermarci nel rendere concreto il nostro “sì” alla chiamata del Signore.

Pierluigi Dovis, direttore Caritas diocesana Torino e delegato regionale Caritas Piemonte e Valle d’Aosta

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LA PAROLA DEL VESCOVO

La fede nella stagione dell’indiff erenza

L’esperienza della fede a tu per tu con chi... prescinde da Dio

In vista dell’incontro, lunedì scorso, 11 febbraio, nel Tempio San Paolo, ad Alba, per i “Lunedì di San Paolo”, a cui è stato invitato per il tema “La fede pos-sibile di chi si dice ‘non credente’…”, mons. Luciano Pacomio è stato intervistato da Filippo Rappa, per “Gazzetta d’Alba”. L’intervista è stata riproposta anche per i lettori de “L’Unione Monregalese”.

Credenti e non credenti: chi sono i migliori?Migliori? Con quale criterio valutativo? Etico, culturale, operativo? O soltanto

per la relazione vitale con Dio, se però è testimoniata con una vita serena, non giudicante, non condannante, efficace nel bene.

Possiamo riconoscere l’esistenza di Dio con la nostra ragione?Ritengo che guardandoci bene attorno e guardandoci bene dentro, riusciamo

a riconoscere con la nostra capacità discernente e interpretante (intelligenza) le «orme», i «segni» della presenza e dell’agire di Dio.

Perché gli uomini negano Dio, se possono riconoscerlo con la ragione?Per guardarsi dentro e avere «buoni» occhi per guardarsi attorno, bisogna avere

criteri di riconoscimento e volontà disponibile e perseverante. Concretamente il nostro ragionare deve esprimersi con ricerca continua, capacità di costatare i pro-pri blocchi e le non ben motivate valutazioni; questo modo di rapportarsi nel no-stro desiderio e sforzo di conoscere Dio deve essere vissuto in tanta pace e gioia in crescendo, compossibile con la coscienza dei nostri limiti e perfino del nostro soffrire e del reale evento del nostro morire.

C’è contraddizione tra fede e scienza?Se la scienza è ricerca e conseguimento di risultato provato e documentabile,

con le capacità umane da noi messe in atto, non è mai contro la fede e tanto meno le è estranea. Se fede è il dono che fa Dio di sé, abilitando la persona umana a vivere di Lui; e quindi in crescendo sempre più conoscere il cosmo, la natura, le sue leggi, a vantaggio di tutti.

La vita ci interpella. Il nostro futuro, gli affetti, i drammi, le ingiustizie ci interrogano. In noi nascono domande vere: “Perché? Che senso ha? Cosa

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faccio? Dio dov’è? Perché non è intervenuto? Perché lo permette?”Sono troppe e a tanti livelli le domande espresse così. Mi pongo subito da un

preciso punto di vista: come valutare la storia tutta? E la storia di ciascuno di noi? Dal giovanissimo alla persona molto anziana? Da Gesù siamo stati aiutati a vivere la vita e la sua interpretazione: gioie e dolori; smacchi e successi; salute e malattia; vita e morte. Dove sofferenza e dolore, malattia e morte, non sono sempre e solo negatività, nemici da evitare e da sconfiggere. Realismo e speranza, desiderio e limiti di ogni tipo, devono poter convivere, ed essere interpretati e fi-nalizzati. La chiave di volta (interpretativa) e il vertice è: offrire il proprio soffrire per e con amore. Il limite e il soffrire si rivelano compossibili con la gioia. Sempre ci costruiscono (e ri-costruiscono), in ogni generazione, la storia umana (come storia di salvezza) e la cultura di ogni tempo.

“Dov’è Dio oggi nel tempo che vivo e nel mondo che abito? Dove lo ricono-sco presente?”

Dio oggi è qui, con me, tra noi. E’ più presente a me di me stesso. È compagnia permanente, il mio vivere; sostiene amorevolmente, come nessun altro, il mio in-cedere nel tempo. Devo però imparare ad accoglierlo, ad ospitarlo, ad ascoltarlo e a dialogare con Lui. È persona che mi ama come nessun’altra persona umana sa e può fare. Il mio essere al mondo, il silenzio, la voce, la musica, l’agire benefico... possono aiutarmi. Comprendiamo che la sofferenza, l’ingiustizia, il dramma sono causati dal limite creaturale e dalla malvagità, ma Dio non è né l’uno né l’altra. È tutt’altro, è davvero solo Dio, Amore e Comunione.

Hans Küng alla domanda “Il cristianesimo di speciale che cosa può offri-re?” ha risposto così: «Molto. Naturalmente va capito che anche nelle altre religioni si trovano tanti valori, e che una visione etica e spirituale si nutre anche dell’apporto che viene dagli agnostici, dagli scettici, dagli atei…». Il cristianesimo può pretendere di cambiare da solo il mondo?

Il cristianesimo c’è quando, da Pietro in poi, qualcuno dice dell’uomo Gesù: Tu sei il Signore (Tu sei Dio, Tu il Figlio di Dio, Tu sei Tutto e in tutti). Il Cristiane-simo ha delle forme testimoniali, esplicite, attestabili nei santi, nella Chiesa, in servitori e servitrici della Parola rivelata-scritta (la Bibbia, il Vangelo). Ma è an-che presente in forme incoative, non sempre ben codificabili, in ogni pensare ben elaborato, in ogni azione che in mille modi aiuta l’altro, in ogni ricerca e in ogni rapporto che «fa bene», in ogni azione «buona». Certamente ogni «buona» attua-zione, pensiero, progetto, può essere parziale, perfettibile, richiedente ulteriore compimento e perfezionamento. Ma non è anticristiano ed anche, ad insaputa di chi pensa ed opera, non è contro il cristianesimo.

I cosiddetti senza Dio, cioè gli atei e gli agnostici, vengono da più parti dipinti a tinte scure, sostenendo che non possono, per principio, predicare e praticare nulla di veramente buono, e che la loro etica è inevitabilmente di qualità inferiore a quella dei credenti. Fede in Dio e moralità non vanno necessariamente di pari passo e non basta essere credenti per essere persone

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migliori, spiritualmente e moralmente. È vera questa analisi?Può essere anche così proposta una possibile analisi descrittiva degli uomini.

Ma preferisco nel rispondere affidarmi alle interpretazioni dell’uomo, della sto-ria, del credere, proposteci da Gesù anche solo nel discorso delle parabole del-l’evangelista Matteo (c. 13). Il seme della Parola (Vangelo) è abbondantemente seminato nel cuore di ogni persona: il risultato è dissimile l’uno dall’altro; e sono evidenziati condizionamenti e cause da prendere in seria considerazione da cia-scuno di noi. E poi ciascuno di noi in ogni condizione e ruolo può essere a volta a volta «buon grano» o «zizzania». E questo, lungo l’arco di tutta la nostra storia personale e della storia di tutta l’umanità. Però basta il poco, «dalle mani di Dio» affidato all’uomo: un granello di senape o un pizzico di lievito; l’effetto è straor-dinario, non è proporzionato alla esiguità del dato iniziale. Vale la pena «but-tarsi», «perdere», «vendere tutto» per acquistare il tesoro: in ogni età, in ogni condizione di salute, di censo, di cultura. Questo in ambito di fede, di ricerca, di attesa: fede, ricerca e attesa che coinvolgono la speranza e le opere (compresa la moralità). Chi è il migliore? Non è un concorso a premi; o una gara di bellezza o di ginnastica con un unico vincitore. Qui la vittoria è possibile a tutti, se accettia-mo la lettura proposta dalle parabole di Gesù.

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DENTRO LE SFIDE DI OGGI

La fede possibile di chi si dice «non credente»

Sintesi dell’intervento del vescovo, mons. Luciano Pacomio, nel Tempio San Paolo ad Alba, all’interno dell’iniziativa “I Lunedì di San Paolo”, imperniato sul tema “La fede possibile di chi si dice ‘non credente’…”.

1 - Inizio ponendomi queste due domande: Io sono credente? Conosco uno che si dice non credente? Rispondo affermativamente a tutte e due le domande con immediatezza chiara, semplice e con profonda pace e serenità. Aggiungo che ora (in questi anni del mio ministero) non mi turba e non mi destabilizza incontrare un fratello o una sorella che dichiara apertamente: «Non sono credente». Preferirei che mi analizzasse questo suo non essere credente. Ma forse è troppo pretendere che mi sappia dire la motivazione, il «suo perché», la «verità» del suo non cre-dere.

2 - Rivado subito all’interrogativo postomi da nell’intervista su “Gazzetta d’Al-ba”: «La vita ci interpella. Il nostro futuro, gli affetti, i drammi, le ingiustizie ci interrogano. In noi nascono domande vere: “Perché”? Che senso ha? Che faccio? Dio dov’è? Perché non è intervenuto? Perché lo permette?». È ovvio, se non scontato, che di fronte a queste domande, soprattutto di fronte al soffrire immoti-vato, innocente, prolungato, lancinante (psichico e/o fisico) la risposta possibile è immediata: «Non credo in Dio». Il che suppone che di Dio si sia sentito parlare, da sacerdoti, da credenti: Dio è amore, Dio è Provvidenza, Dio sa e può tutto; o con qualificazioni corrispondenti. Se mi accade personalmente questo; se attorno a me avviene tutto questo: Dio non c’è; o per lo meno: non credo in Dio.

3 - Ma che cosa significa «credere»? Credere è un atto umano, un incontrarsi, un aderire a un altro; in libertà, con una scelta che si esprime in accoglienza, rappor-to, condivisione di vita. Coinvolge il mio pensare, il mio volere, il mio sentire, il mio agire, il mio relazionarmi agli altri e al contesto che mi ospita e mi circonda. Da un lato è determinante essere libero di incontrare e di accogliere; e poi di voler condividere e crescere in un rapporto vivo. Dall’altro è importantissimo poter riconoscere che, se Dio c’è, è Lui per primo che mi cerca e si dona.

Fede è tutto questo? Rispondo proponendo un’ulteriore interpretazione del cre-dere, per così dire a tre livelli o gradini, come ci insegna Benedetto XVI in «Porta Fidei». La fede è dono; azione diretta e propria di Dio. La fede è rapporto vitale; per rigenerazione da parte di Dio, e da parte ci ciascuno di noi vissuta come in-

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contro, rapporto, crescita, nostro futuro di vita piena. La fede poi coinvolge tutta la nostra persona e il suo agire in relazione (pensiero, volontà, affettività, azioni e rapporti). Con il linguaggio biblico ed ecclesiale possiamo esprimerci sintetica-mente: Fede che spera e che ama.

4 - Ci può essere fede possibile in chi si dice «non credente»? A mio modesto avviso risponderei: sì. Ma in ogni caso vorrei sempre mettere alla prova questa mia risposta affermativa a riguardo di chi si dice «non credente» ma accetta di dialogare, motivando la sua posizione e accettando che io mi interessi benevol-mente di lui. Credo che anche questo mi chieda il testo di 1 Pt 3, 15: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con retta coscienza». Mi sembra importante motivare la propria fede cristiana che spera e ama, con questo stile e modo di avvicinarsi: dolce, rispettoso, per nulla camuffante, anzi testimoniante, il proprio credere.

- Due certezze che il credente deve avere nel cuore. La prima. Dio cerca per primo. La fede è opera Sua. La fede è dono. La seconda. Verso l’amico o l’amica sé dicente non credente, non si è chiamati da nessuno a giudicare, tanto meno a condannare, ma solo ad aiutare. Per questo ha senso sottolineare questa seconda certezza: se mi accetta e condivide con me il dialogo, l’analisi, il confronto (come Pietro ha scritto: dolce, sereno, coscienzioso) sono da fare insieme un passo in-dietro e tre avanti. Il passo indietro: aiutarci a riconoscere che nessuno di noi è Dio. Nessuno può ritenersi il centro e il perno di tutto ciò che esiste; e neppure di se stessi. È poi opportuno vagliare e purificare le esigenze egoistiche e i conati di orgoglio che ci sono in ognuno di noi.

- Il primo passo avanti. Ridarci una qualche risposta alla domanda: chi è Dio? E con sensibilità storica riaccettare la sfida di Gesù (Mt 16, 15): chi dici che io sia? Mi sembra importante aiutare senza pretese, senza false sicurezze, guardarci attorno (nel nostro piccolo angolo di vita e alle circa mille galassie), guardarci dentro (nell’io, coestensivo a tutta la nostra storia personale), e vagliare il dialogo di Gesù all’apostolo Filippo: «Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciu-to, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”?» (Gv 14, 8-9).

- Il secondo passo avanti. Accettare di mettersi in cammino, che significa: da un lato non trincerarsi, non difendersi; e dall’altro rendere possibile l’incontro, il rapporto, la compagnia di Dio (di Gesù). Questo può essere in ogni età, e in ogni condizione di vita, la pedagogia, il buon cammino educativo. È il rinnovare in noi l’esperienza dell’Esodo: uscire ed entrare. Si esperimenta da un lato il dono (l’iniziativa di Dio, la Grazia), dall’altro la nostra libertà liberata, che può affidar-si e fidarsi.

- Il terzo passo avanti. Possiamo accettare il modo di vivere (le scelte) e le paro-le di Gesù, che hanno come vertice e chiave interpretativa di tutto la sua Pasqua:

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sofferenza – morte e risurrezione –, novità, di vita perenne, per noi. Siamo così aiutati a vivere, interpretando e assumendo, l’altalena inevitabile e salvifica della vita: gioie e dolori, successo e smacco, sofferenza e speranza. Possono convivere e aprirci al rapporto unico, sempre nuovo e inedito, con Lui, Gesù: il vero, vitale, tu, compagno, amico, fratello, sorella e padre del nostro vivere nella quotidianità e poi nella definitività.

Due finali testi biblici: 2 Cor 5, 14-15 «L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro».

Gal 5, 22 «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé».

Conclusione. C’è fede possibile in chi si dice «non credente»? Ciascuno di noi, se ci sentiamo

credenti, dia la sua risposta. Se tra noi c’è chi si dice «non credente» valuti se è in ricerca e se si apre alla possibilità dell’incontro e dell’accoglienza del dono. Forse, ricerca e apertura o disponibilità all’incontro del Tu, sono già dinamiche della Fede che può esprimersi nella speranza e nell’esperienza dell’amore.

+ Luciano Pacomio

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MESSAGGIO DI MONS. LUCIANO PACOMIO

“È Pasqua, la speranza riprende forza”

È PasquaQuanti ricordi nella vita di ciascuno di noi. Anche da piccoli, coi nostri genitori,

la Pasqua che puntualmente ritorna ogni anno, con l’uovo pasquale, con la colom-ba, ci ridice che è festa; ci riannuncia che è vita (in tanti segni di sfascio, di indi-genza, di sofferenza, di morte). Pasqua dopo Pasqua, scorre la nostra esistenza; oltre ad arricchirsi di ricordi belli e, molte volte, carichi di sofferenza, continua ad essere prospettiva, proposta, possibile dono, appello, forte interpellanza.

Pasqua di GesùÈ prima di tutto un annuncio. Ci propone e ci offre la possibilità di raccontare

una storia vera: drammatica e terribile come ogni storia di persona umana; ma a lieto fine, meglio con una finale imprevedibilmente bella, significativa, trasfor-mante. Nella grande storia umana è un frammento di storia. Tocca la vicenda di un uomo vissuto oltre duemila anni fa. Si carica di tristezza mortale e si esprime in una gioia umanamente inimmaginabile. È evento, episodio di dolore e di com-plessa sofferenza che coinvolge il corpo, l’animo, i rapporti, la vicenda tutta di Gesù di Nazaret; e poi, in modo inatteso non programmabile, diventa esperienza ed evento di vita, in una pienezza, definitività, disponibilità, nuova, sorprendente, coinvolgente tutti e ciascuno di noi.

Nostra PasquaIl racconto dell’evento è ogni nuovo anno, anche in questo 2013, riproposto

con identico ripetuto racconto: «Gesù è morto ed è risorto per noi» (1Cor 15). L’evento, che chiamiamo Pasqua, è accaduto a Gesù, ed ha una lunga preistoria nel suo popolo (legato ad una antica liberazione dalla schiavitù, riproposta perché si rinnovi in ogni generazione e in ogni persona), ma è per noi possibile oggi, ogni anno, ogni settimana, ogni giorno.

Questo evento è accaduto e si rinnova ogni domenica: nella Messa, nell’Euca-ristia. Può essere accadimento di ogni giorno. Una volta all’anno segna in modo particolare il calendario con quello che opportunamente è chiamato «Triduo pa-squale»: la cena, la passione-morte, la Risurrezione. Interpreta la vita di tutti noi come altalena di dolori e di gioie, ma non chiusa in se stessa, ma legata e vivibile con Lui, Gesù uomo e Signore Dio. Si rivela dono che dà senso e dà vita, a ogni

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piccolo nostro avvenimento quotidiano.È fonte di speranza, pur in mille ripetute esperienze di avvilimento, frustrazione,

abbandono, sofferenza immotivata e senza senso. Grazie a Lui, Gesù, nel nostro “cuore” (coscienza libera e aperta al Suo presentarsi a noi e vivere con noi e per noi) risorge il senso per vivere, la forza a nostra volta di donare (vivere per Qual-cuno e per tanti), la gioia di esserci e di attendere un futuro. La concreta storia di Gesù, volenti o non volenti, è stata vissuta e continua a essere vissuta per noi, in ciascuno di noi: donna e uomo; giovanissimo o giovane; attempato e anziano.

È PrimaveraDoppiamente quest’anno, la Pasqua non solo accadendo a fine marzo, attesta la

primavera come stagione, ma è di fatto la primavera, l’unica possibile. Primavera come inizio, ripresa di novità possibile, di vita nuova: donata. In questa primave-ra, l’inizio è dato in modo anche storicamente palpabile con l’elezione del nuovo Papa: Francesco.

Così pure anche con la “buona” attesa di un futuro civile-politico che faccia «rimboccare le maniche» a tanti, i quali di fatto vogliono ridare lavoro, casa, buon futuro alle famiglie; mentre sono più evidenti e quasi insuperabili i segni del disaccordo, dello sfascio, dell’«impossibile» governo.

Abbiamo la proposta e la reale possibilità di essere visitati, accolti, coinvolti da Gesù, morto e risorto, per noi; quindi facendogli spazio, aprendoci alla preghiera (buona relazione vivificante) «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1).

Coraggio, fiducia, camminiamo e mettiamocela tutta. Un “cuore” felice, per il rapporto vivo con Gesù, chi o che cosa può atterrirlo, avvilirlo, annichilirlo? «In Lui siamo più che vincitori» su tutto (Rm 8,37).

Pasqua nostro futuroImpegnarci implica non lasciar nulla di intentato. Pasqua è la perenne novità

nelle nostre mani, a nostra disposizione, cioè attuabile in ogni momento della nostra vita.

È dono che Gesù fa di sé a noi: accogliamolo e diamo gioia e forza a ogni nostro rapporto familiare. Solo accogliendolo viviamo davvero e abbiamo un futuro.

È cambiamento radicale. Il lavorare, l’amare, il soffrire, l’attendere, il cercare, il singolo momento, sono i piccoli gesti e gli irrilevanti accadimenti che si fissano per sempre, hanno il sapore di perennità: solo in Lui e con Lui possono diventare Futuro intramontabile per noi.

Dobbiamo ritentare tutti, piccoli e grandi, ammalati e sani, soli o ben accompa-gnati, a fidarci di Lui, Gesù, e affidarci a Lui.

Tutto cambia. È Regno del Signore, nostra Pasqua; è primavera e nostro futu-ro.

Nell’anno della fede, con voi in preghiera fiduciosa e benedicente+ Luciano Pacomio, vescovo

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MESSA CRISMALE

Ogni momento da vivere in pienezza, come credentiMons. Pacomio ha riproposto i percorsi dell’Anno della fede,

alla portata di tutti

Un buon numero di sacerdoti e diaconi, nonché di religiose e di cresimandi, ha gremito, giovedì mattina, la chiesa della Missione a Mondovì Piazza, per la so-lenne e partecipata Messa del crisma, attorno al vescovo mons. Luciano Pacomio, che era affiancato dal vescovo emerito di Alba mons. Sebastiano Dho. Nell’ome-lia il vescovo diocesano si è soffermato sulle pagine della Scrittura che la Liturgia ha proposto, volgendole in preghiera e riassumendole in tre espressioni-chiave: il “grazie” al Signore che resta il vivente in mezzo a noi; l’ammissione “Mi dispia-ce” od “Abbi pazienza” per i limiti e le fatiche di ognuno; ed infine “Per piacere” o l’invocazione a Colui che assicura un’alleanza perenne e che valorizza ogni istante, anche quello più feriale, della vita.

“Ringraziamo il Signore – ha infatti ricordato mons. Luciano Pacomio – che anche quest’anno, anno della fede che spera e che ama, ci ha chiamati come sa-cerdoti, come diaconi, come consacrati, come giovani e non più giovani, ma cre-denti in Lui, Gesù il Signore. E, grazie a questo dono divino, la fede, viviamo un rapporto in cui ci sappiamo amati, così come siamo; e siamo aiutati ad amare, a donarci, nonostante i nostri limiti e le difficoltà di ogni tipo che incontriamo. Gra-zie a questo essere cercati e donati alla vita, ed a questo essere sorretti ed aiutati, noi sappiamo chi siamo: abbiamo un’identità e una missione”

“Ancora una volta facendoci discepoli della Parola in questa liturgia crismale – ha continuato -, riascoltiamo e riannunciamoci reciprocamente chi è Gesù. E’ ‘il testimone fedele’: colui che con fermezza, coerenza, continuità ci dice e ci dona Dio, il Padre. Ci ridice l’Altro, il Diverso da noi. Ci rivela la ‘nostra’ radice, il Vicinissimo. Il ‘primogenito tra i morti’: l’esperto della vita per eccellenza; colui che ha aperto a tutti l’orizzonte della storia; e ci afferma, ci conferma, non si stan-ca di annunciare che la morte è varco alla Vita piena, completa, abilitata solo ad amare. Il ‘principe di tutti i re’: colui che è sopra tutti; sa governare gli eventi e guidare le persone, quale è Dio; solamente con e per amore. Ridiciamolo: è grazie a Lui che sappiamo e viviamo con senso ed esperimentiamo la libertà. I nostri rap-porti possono diventare, se lo vogliamo, davvero ‘nuovi’: perché salvati dal suo

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sangue ed intercedenti per tutti (capaci di preghiera efficace gli uni per gli altri). In Gesù, possiamo ridire e relazionarci a Dio; con gioia, con fortezza, con tutte le nostre capacità comunicative ed espressive. E’ alfa e omega; è onnipotente”.

“Sia Isaia, sia Luca, anche quest’anno, ci propongono come è stato Gesù tra noi – ha proseguito il vescovo -, e come noi possiamo essere grazie a Lui e con Lui. ‘Annunziare ai poveri’: ci aiuta in questo Papa Francesco con le sue prime parole, il suo nome, le sue prime scelte. ‘Fasciare le piaghe dei cuori spezzati’: prendere sul serio le persone che ci circondano; saper guardarci attorno, vivere le opere di misericordia; smettendola di giudicare, di condannare; invece provando a lenire, consolare, confortare, incoraggiare. ‘Proclamare la libertà agli schiavi e la scar-cerazione ai prigionieri’: saper parlare bene (finale dei Colossesi), saper toccare i cuori (Atti), contribuire a ridonare l’esperienza della vera libertà, frutto della verità e della scelta del bene. Abbiamo ancora da percorrere buona parte dell’an-no della fede che spera e che ama, con l’entusiasmo, che Gesù può dare: anno di misericordia del Signore; anno di nutrimento della Parola di Dio e dei Sacramenti, i santi segni efficaci di Gesù che ancora una volta benediciamo e consacriamo”.

“Quel che ci succede (la fede, la Messa) è evento, incontro, rapporto vivificante del buon Dio con noi – ha concluso -. Due grandi parole ci sono ridette a nostra ‘edificazione’: ‘alleanza perenne’, cioè Dio in Gesù è sempre in nostra ‘com-pagnia’, nostro ‘alleato’, avvocato, intercedente, dalla nostra parte. ‘Oggi si è compita questa Scrittura’: la miglior esegesi di questa straordinaria affermazione è esperimentare e vivere in verità l’insegnamento secondo cui ‘per il credente nessun momento della vita quotidiana è migliore dell’altro’. Coraggio: viviamo nella fede. Amen”.

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IN DIOCESI

ANNO DELLA FEDE - NEL 50º DEL CONCILIO

Nel segno della “fede che spera”

Al Santuario del Deserto un’incoraggiante presenza di fedeli

Nonostante la serata molto fredda, nonostante altre iniziative quaresimali in concomitanza (a Mondovì, per esempio, si è vissuta nella medesima ora una par-tecipata – da giovani in particolare –“ Via Crucis” cittadina), confortante è stata la presenza di comunità cristiane dalla diocesi, in specie dalla Valle Bormida, dal Cebano, dalle Langhe, dalla Val Tanaro, per la seconda tappa del cammino “insieme” in questo Anno della fede, venerdì 15 marzo al Santuario del Deserto a Millesimo, praticamente gremito di fedeli. Dopo l’iniziale momento, l’11 ottobre scorso, al Santuario di Valsorda, nel giorno anniversario dell’avvio del Concilio Vaticano II, a distanza esatta di cinquant’anni, ci si è ritrovati per un’ulterio-re sosta in luogo “mariano”, all’insegna della consapevolezza condivisa su una “Fede che spera”. Oltre al vescovo mons. Luciano Pacomio, è salito al Deserto anche mons. Sebastiano Dho, vescovo emerito di Alba. Una trentina i sacerdoti e i diaconi che hanno concelebrato, dopo la preghiera del Rosario meditato sui testi di Paolo VI, tratti dai suoi discorsi ai padri conciliari mezzo secolo fa. Mons. Luciano Pacomio ha manifestato tutta la gioia e la gratitudine per la elezione del nuovo Papa Francesco: “Molti mi hanno interpellato in queste ore. Non posso dire di conoscere appieno il nuovo successore di Pietro. L’ho visto un paio di volte da cardinale. Lo conosceremo presto. Siamo uniti a lui in questi momenti preziosi in cui comincia il suo ministero di guida pastorale”, ha detto sottolineando l’ecce-zionalità dei giorni che la Chiesa sta vivendo. Ha quindi invitato ad avere fiducia, a non scoraggiarsi nelle difficoltà, a portare nel quotidiano la speranza che non delude e che poggia sulla presenza del Signore in mezzo a noi, adesso cercato ed incontrato nel suo mistero pasquale, come la Quaresima agli sgoccioli sollecita a fare. La terza ed ultima tappa dell’Anno della fede per la diocesi, al Santuario di Vicoforte sabato 11 maggio vigilia dell’Ascensione.

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ANNO DELLA FEDE

Nel segno della fede che ama

Davvero un momento partecipato – con rappresentanze da tutte le Unità pasto-rali della diocesi – fino a gremire all’inverosimile la Basilica, quello di sabato scorso 11 maggio, già solennità dell’Ascensione, per il terzo pellegrinaggio dio-cesano nell’Anno della fede (dopo le mete di Valsorda ad ottobre e del Deserto a marzo). Le parrocchie di Mondovì città hanno anticipato la processione votiva dell’Ascensione, giungendo a piedi da Piazza fino al Santuario. Le altre Unità pa-storali si sono aggregate provenendo da punti prefissati attorno alla stessa Basilica, con altrettante brevi processioni, nell’ascolto dei testi conciliari e nella preghiera mariana. Numerosi i sacerdoti ed i diaconi che hanno condiviso la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo mons. Luciano Pacomio, con al fianco mons. Sebastiano Dho. Reduce da giorni intensi vissuti a Roma, prima nell’incontro con Papa Francesco nel corso della visita “ad limina” e poi nella beatificazione di mons. Luigi Novarese, casalese, prete impegnato nella appassionata e lucida pastorale dei malati, il vescovo ha portato a tutti la comunione sperimentata con il successore di Pietro, trasmettendo anche la benedizione dello stesso Pontefice con annessa l’indulgenza plenaria. “Desidero riflettere con voi – ha spiegato nel-l’omelia mons. Luciano Pacomio – su quanto ha detto il Papa nel suo pellegri-naggio a S. Maria Maggiore lo scorso 4 maggio, rileggendo dal punto di vista di Maria il mistero evento dell’Ascensione del Signore. Papa Francesco ha ricordato come Maria aiuti i credenti a crescere (nella fede e nella conversione), come Ma-ria sostenga nelle difficoltà della vita (indicando il senso di pienezza, da figli di Dio), come Maria accompagni nei momenti delle scelte definitive da assumere con libertà (dentro le vocazioni da scoprire e da interpretare)”. Il vescovo infine ha dato appuntamento, sempre nell’Anno della fede, per l’evento conclusivo da fissare nel Duomo restaurato a Mondovì Piazza a fine estate.

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CONSIGLIO PRESBITERIALE DIOCESANO

Accompagnamento dei giovani pretiResoconto del giorno 5 marzo 2013

Risultano assenti e giustificati: Albarello don Duilio, Avagnina don Corrado, Begliatti don Flavio, Bernelli don Franco, Biestro don Paolo, Canova don Gian-carlo, Laguzzi don Alessandro, Peyron p. Francesco.

La seduta si apre come fissato alle ore 9,30 presso la Casa di Spiritualità al Santuario di Vicoforte.

1 – Il primo punto all’O.d.G. prevede la nomina dei delegati diocesani per la Commissione Presbierale Regionale. Si procede con la votazione, da cui risultano eletti Bernelli don Franco (voti 7) e Canova don Giancarlo (voti 7).

2 – Si prosegue con la relazione del diacono Domenico Oreglia circa l’attuale utilizzo dei locali del Seminario diocesano e la situazione economica dell’Ente. La relazione dettagliata è disponibile presso la Segreteria del Seminario. Il Vesco-vo invita i membri del Consiglio a suggerire successivamente eventuali proposte di soluzione dei problemi indicati.

3 – Il Vicario Generale mons. Meo Bessone comunica i nominativi dei nuovi Moderatori delle Unità Pastorali e ricorda i due scopi richiamati dal Vescovo in ordine a questo servizio: promozione della collaborazione e crescita di fraternità presbiterale. Il Vescovo rende noto che incontrerà personalmente due volte l’anno i Moderatori, per un dialogo e una verifica in particolare a partire da questi due compiti.

4 – Viene riproposto l’elenco dei desiderata del dibattito in Consiglio Presbite-rale espressi alla fine del 2011 e viene conseguentemente operata la scelta per l’ O.d.G. della prossima seduta.

5 – Don Giampiero Lovera riferisce circa il cammino-confronto del giovane clero, ossia i nove sacerdoti di recente ordinazione, con età compresa tra i 31-50 anni. La frequenza degli incontri è mensile, per una mezza giornata. L’imposta-zione prevede l’avvio con la preghiera, cui segue una riflessione (proposta da don Flavio Begliatti) e il dialogo su aspetti delle vita e della spiritualità presbiterale. La partecipazione è regolare (ma due non si sono mai presentati) e positiva, con-notata da un buon clima umano e dalla ricchezza per la varietà dei compiti pasto-rali svolti dai sacerdoti interessati.

6 – Infine, il Vescovo illustra il progetto di reimpostazione dell’Ufficio Liturgi-

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co: in equipe, sul modello dell’Ufficio Catechistico.Si fissa la prossima convocazione del Consiglio Presbiteriale Diocesano per

martedì 9 Aprile alle ore 9,30 presso la Casa di Spiritualità al Santuario di Vico-forte.

La riunione si conclude alle ore 11, 30 circa.a cura di don Duilio Albarello (Segretario del Consiglio Presbiteriale)

Come si opera nelle Unità pastorali

Resoconto del giorno 9 aprile 2013

Risultano assenti e giustificati: Albarello don Duilio, Avagnina don Corrado, Catalano don Giovanni, Dompè don Ernesto, Fontana don Roberto, Peyron p. Francesco.

La seduta si apre come fissato alle ore 9,30 presso la Casa di Spiritualità al Santuario di Vicoforte.

1 – Il primo punto all’O.d.G. prevede lo scambio sulla vita pastorale e spirituale delle Unità pastorali, a partire dalla scheda elaborata e illustrata dal Vescovo, che ne sottolinea e commenta i due punti cardine: i rapporti interpersonali progettati e le dinamiche pastorali/vitali dell’Unità.

Intervengono in particolare Don Francesco Tarò per l’Unità di Ceva; don Paolo Biestro per l’Unità di Val Corsaglia; don Pier Renzo Rulfo per l’Unità della Val Pesio; don Giampiero Lovera per l’Unità della Valle Ellero; don Alfredo Costa-magna per l’Unità di Mondovì; don Giancarlo Canova per l’Unità della Val Bor-mida; don Alessandro Laguzzi e don Aldo Mattei per l’Unità della Val Tanaro; don Beppino Ferrua e don Antonio Bergonzo per l’Unità di Pianura e Dogliani.

Il Vescovo conclude assicurando che rifletterà sui dati raccolti, integrandoli con quelli emersi dalla visita pastorale, per trarne le opportune conclusioni.

2 – Nel secondo ed ultimo punto, il Vescovo interviene sulla configurazione della Commissione liturgica, commentando i punti essenziali del verbale redatto in seguito all’incontro realizzazto con i membri della Commissione stessa in data 16 marzo 2013.

La riunione si conclude alle ore 11, 30 circa.a cura di don Duilio Albarello (Segretario del Consiglio Presbiteriale)

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CONSIGLIO PASTORALE

La fede che sostiene la fragilità ed educa l’aff ettività

Seduta del 15 febbraio 2013

Venerdì 15 febbraio, regolarmente convocato, nell’accogliente Casa di Spiritua-lità al Santuario di Vicoforte, si è riunito il Consiglio pastorale diocesano presie-duto dal Vescovo.

All’OdG: 1. Proposta del Vescovo per il cammino del prossimo quinquennio.2. Informazione e dibattito sulla «catechesi battesimale». Valutazioni sulle ca-

techesi delle diverse età (scheda di quanto è stato dato per la visita ad limina).3. Che cosa possiamo proporre per un «cammino ordinario» buono nella pre-

ghiera e vita liturgica parrocchiale?4. Rilievi finali sulla «Fede che ama» e quindi collabora (Caritas). E piccolo

confronto sulla tre giorni Pastorale di giugno.5. Varie ed eventuali.Il confronto si è subito concentrato sull’ipotesi di cammino pastorale biennale

da affrontare nel prossimo quinquennio. La proposta di prevedere dal 2012 al 2015 un’attenzione particolare alla fede che sostiene la fragilità ed educa l’af-fettività ha sollecitato convergenze e precisazioni. La posta in gioco è notevole non solo per chi è giovane, ma per tutti, in ogni età e situazione di vita. Ricono-scere ed accogliere la creaturalità di ciascuno è il primo passo per un vero cam-mino di ricerca personale e comunitario che sappia riconoscere nella fede il senso della storia umana e personale. La sfida è quella di ritrovare insieme la lunghezza d’onda educativa capace di fornire consistenza e vivibilità nel tessuto feriale del nostro oggi tribolato, ricollocando in un giusto contesto emozioni, sentimenti, comportamenti che sempre sfociano nell’esperienza della prossimità. Disorienta-mento, violenza, aggressività, illegalità, sfiducia sembrano caratterizzare questa nostra epoca. C’è da riprendere in mano con senso di responsabilità la proposta del “credere”. Non dimentichiamo che la carta d’identità del credente è data dal saper gioire e soffrire con Gesù Signore nella piena coscienza che è Lui ad ope-rare in ogni uomo se quest’ultimo gli fa spazio nella sua vita. C’è da comunicare la bellezza e la ricchezza della fede nella paziente riscoperta di un clima di dono e di missione che tutti interpella, dove ciascuno, con le tante forme di limite ad ogni livello, è soggetto d’amore e di annuncio evangelico; dove nessuno si erge a

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giudice dell’altro; dove l’accoglienza fraterna trova dimora. La fede costruisce la persona e la comunità perché illumina, orienta, sorregge la relazione con se stessi, con gli altri, con Dio. I problemi, le difficoltà, le paure non esimono dall’impe-gno, ma diventano un pressante invito ad “esserci” con tutte le nostre povertà, ma avendo in cuore la certezza che il Signore è all’opera con noi e per noi per il bene di tutti.

Il prolungato e partecipato confronto sul primo punto all’OdG ha assorbito qua-si tutto il tempo a disposizione, pertanto la seduta di aprile sarà dedicata alla “catechesi battesimale” e al «cammino ordinario» buono da proporre nella pre-ghiera e nella vita liturgica. Nel frattempo il Vescovo attende da tutti riflessioni, suggerimenti, proposte di strumenti possibili per camminare insieme con fede alla riscoperta dell’amore.

A cura della Segreteria del CPD

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CONSIGLIO PASTORALE

Come far crescere una rete di rapporti positivi

Prima disamina sulle proposte per aiutare la comunicazione nelle Unità pastorali - Seduta del 19 aprile

OdG1) Presentarsi con un testo scritto, per un confrontoEsigenze motivate possibili (dei soggetti responsabili di forme di comunicare,

di piccole mete pensate e consensualmente programmate) per aiutare il crescere di una 1 buona comunicazione e di una 2 piccola programmazione annuale nella Unità Pastorale.

2) Confronto sui testi proposti, a seguito degli incontri promossi dal Vescovo, della Commissione diocesana Catechesi, della Commissione diocesana liturgica, e delle Risposte della Caritas e Cittadella della Carità.

3) Varie ed eventuali.In apertura di seduta si è dato lettura dei contributi pervenuti da chi si è giusti-

ficato per la forzata assenza.«Le difficoltà di questo periodo di cambiamento ecclesiastico ed ecclesiale ten-

dono a suscitare arroccamenti e frustrazioni. Le persone, le famiglie e le comu-nità di fronte a incomprensioni, a delusioni e ad atteggiamenti di disistima, ten-dono istintivamente all’isolamento, al disimpegno e al vivere routinario. Questa situazione facilmente genera conflitti, incomprensioni e pregiudizi che generano sospetto, impediscono una serena comunicazione e fanno perdere la stima nei confronti dei collaboratori. La fede ci richiama alla conversione del cuore e del-l’agire, alla base della quale si rende necessario un atto di misericordia e di per-dono, specchio della continua Misericordia divina. Questo atto si tramuta in un “patto” basilare su cui edificare ogni vivere comunitario. Mentre infatti la società civile, non avendo gli strumenti della fede, oggi non riesce a ricostituire questo patto, la comunità ecclesiale può e deve fondarlo sulla Parola di Dio e sulla fede. In seguito a queste premesse, ecco una sintetica proposta-itinerario. Essa è fina-lizzata ad una celebrazione di un “patto di Misericordia” sul quale impegnarci a vedere l’altro come “nuovo”, azzerando pregiudizi, controversie ed eventuali piccoli (o grandi) rancori. (...)».

«Se è possibile, sarebbe opportuno fare un calendario almeno di tre mesi in tre mesi, portandolo a conoscenza di tutti gli abitanti dell’Unità Pastorale».

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«…facciamo si che le nostre celebrazioni diventino anche un po’ “formazione e RI-catechesi” intendendo con queste 2 parole la formazione ai tempi e ai modi di partecipare la Messa o una liturgia della parola (spesso anche i tempi dello stare in piedi, seduti e inginocchiati non accompagnano più la nostra preghiera, le risposte alla preghiera del sacerdote). In merito al “chiamare alla partecipazio-ne”… bisogna chiamare tutti senza pregiudizio e cercare di testimoniare stili di vita diversi da quelli proposti ogni giorno dal mondo, ma non possiamo essere estranei al mondo!!!». Altri contributi sono stati esposti nel corso della seduta. Tutto il materiale è ora al vaglio del nostro Vescovo per ricavarne una concreta scaletta orientante utile per tutti. È stato ribadito che è bene dare un minimo di struttura alla possibilità di collaborare sia attraverso l’informazione sia nel predi-sporre un calendario minimo a livello di U.P. Qualche tentativo è già in atto, ma c’è da ritrovarsi impegnati insieme, a tutte le età e in ogni stato di vita, per far crescere un contesto culturale sempre più coinvolgente a partire dalle proposte delle commissioni diocesane, in particolare quelle della Liturgia, della Catechesi, della Caritas (che dovrebbero rendersi disponibili a livelli diversi) e da un vero e sempre più diffuso passaparola sulla risonanza di ciò che avviene nel Consiglio diocesano stesso. C’è da creare un ritmo triennale/quadriennale per riscoprire la Messa unitamente alla scoperta del «come credere nella fragilità» aiutandola, condividendola, superando gli aspetti disumanizzanti, prendendola sul serio, ben consapevoli che la fragilità di senso è in agguato a tutte le età e in ogni situazio-ne di vita. È più che mai urgente e necessario riscoprire e ripartire dai rapporti umani, crescendo nella cultura della aggregazione. Alcune fragilità non sono re-cuperabili, ma sono sempre accompagnabili. Una prima possibilità su cui con-cretamente convergere: proviamo a chiedere insieme, in preghiera, il “miracolo” della consistenza per tutti aprendoci alla novità della fede e ritrovando davvero senso per l’orizzonte di ciascuno. È questa una grande attuale sfida che ci solleci-ta a camminare capaci di affiancamento e compagnia che diventa man mano rete efficace di sostegno. Intanto, in vista del prossimo incontro che sarà in autunno, un interrogativo su cui riflettere e confrontarsi: «Ognuno di noi, come partecipe del CPD, come attua la comunicazione? Comunicare a chi? Chi partecipa? A che titolo? Che cosa fare? Quali vie percorrere? Quali cammini per una fede che sa farsi carico della fragilità?».

A cura della Segreteria del CPD

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GIORNATA DI FRATERNITÀ SACERDOTALE

Traguardi tagliati da preti di lungo corso

Anche due passi nell’ammissione agli ordini sacri ed al lettorato per altrettanti seminaristi

Purtroppo alla Giornata di fraternità sacerdotale, giovedì 16 maggio, non ha potuto partecipare p. Enrico Masseroni, arcivescovo di Vercelli e già vescovo di Mondovì fino al ’96: una indisposizione l’ha colpito mercoledì e gli ha impedito di raggiungere il Santuario a Vico. L’invito a tornare a Mondovì, anche per sot-tolineare, con riconoscenza dei monregalesi, il 25º di episcopato ed il 50º di or-dinazione presbiterale, è stato rinnovato in vista della solennità della Natività di Maria l’8 settembre o per una serata della Novena alla Madonna di Vico sempre ad inizio settembre. Nonostante questa assenza la “Giornata di fraternità sacerdo-tale” – in Casa “Regina Montis Regalis” al Santuario – è vissuta innanzitutto sugli spunti di mons. Sebastiano Dho, vescovo emerito di Alba, che ha svolto la me-ditazione su “La fede che spera e che ama, secondo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II”. E si è trattato di un approfondimento molto lucido e documentato, per ricomprendere come fede, speranza e carità, virtù teologali (cioè doni di Dio da accogliere e vivere) siano da mantenere dentro una visione unitaria per l’espe-rienza cristiana. E, risalendo alle quattro Costituzioni basilari del Concilio (“Dei Verbum”, “Sacrosanctum Concilium”, “Lumen Gentiun” e “Gaudium et Spes”), lo stesso mons. Dho ha spiegato come la “fede che spera e che ama” non possa che essere biblica, liturgica, ecclesiale e testimoniale, con tutte le implicazioni esigenti per i discepoli del Signore in cammino verso “cieli nuovi e terra nuova”. Durante la concelebrazione eucaristica, presieduta da mons. Sebastiano Dho nel giorno del suo 78º compleanno, si è svolto anche il rito – da parte del vescovo diocesano mons. Luciano Pacomio – di ammissione agli ordini di Marco Sciolla di Ceva, nonché il conferimento del ministero del lettorato a Federico Boetti di Villavecchia: sono due seminaristi che vanno avanti nel percorso che li porterà al ministero ordinato.

Con cordialità, al termine dell’Eucaristia, si sono salutati i preti presenti tra quelli che vivono quest’anno importani traguardi di ordinazione sacerdotale. In-fatti si sono ricordati i 60 anni di sacerdozio per don Giovanni Lingua e don Erasmo Mazza; i 50 anni di sacerdozio per don Paolo Briatore, don Giuseppe Ferrua, don Luciano Michelotti, don Teresio Oliveri, don Sebastiano Russo e don

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Michele Vinai; i 40 anni di sacerdozio per don Corrado Avagnina, don Giuseppe Bongiovanni, don Aldo Galleano, don Jean Pierre Ravotti e don Mattia Reviglio; i 25 anni di sacerdozio per don Flavio Begliatti, don Giancarlo Canova, don Sil-vio Danna, don Franco Giuli e don Matteo Somà.

La giornata si conclusa a mensa, in stile di gioiosa fraternità. A Mons. Enrico Masseroni è stata inviata una lettera sottoscritta da tutti i presenti, con un augurio speciale per lui, per la sua salute e per il suo ministero.

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TRE GIORNI PASTORALE

“Impegno pastorale per un servizio nella fede che spera e che ama”

Faccio molto affidamento a questa riflessione comune sul servizio che tutti noi possiamo dare alla Parola di Dio, come catechesi. Ben coscientizzati che il nostro primo dovere, di fatto, ci può coinvolgere in prima persona; ma soprattutto ci sollecita a guardarci bene attorno e riconoscere chi il Signore chiama e chi può collaborare in questo servizio (uomo o donna, giovane o signorina). Serviamoci di espressioni in un linguaggio attento e teologicamente educativo. Chi trasmette (dona) la fede (dono divino, rapporto vitale in crescendo, coinvolgimento di tutta la persona) è solo Dio: Padre, Gesù Figlio, Spirito Santo. Noi possiamo e dobbia-mo da credenti promuovere le condizioni perché il Buon Dio doni la fede.

1. Attenzione alla nostra “tre giorni”Per un cammino e un servizio diligente, pienamente fiducioso e collaborativo

con l’azione del Signore, dobbiamo pensare e ritentare nella successione dei gior-ni. Una catechesi continua che è donata a tutte le età e condizioni della vita e che è proposta con la gradualità opportuna e la assiduità fedele.

Di qui la successione del nostro argomentare che prende in considerazione- dagli 0 ai 6 anni,- dai 7 agli 11 anni,- la preadolescenza, adolescenza, giovinezza,- gli adulti,- i soli, attempati e gli ammalati.

2. Il nostro contributoÈ importante per tutti ritestimoniare la nostra gioia cristiana, non scontatamente

sofferta e piena di fatica e disagio, ma sempre piena di slancio e capace di ripresa continua. In secondo luogo dobbiamo aprirci alla collaborazione, ritentata e fidu-ciosa, interrogandoci, con riflessione accorta e continui ripensamenti, chi in co-munità (parrocchia) ci può aiutare e come possiamo beneficiare (eventualmente come e che cosa promuovere) delle parrocchie viciniori e dell’unità pastorale.

+ Luciano Pacomio vescovo

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TRE GIORNI PASTORALE

Catechesi di iniziazione cristiana in quattro tappe

Il metodo denominato “metodo a quattro tempi” invita la comunità cristiana a uscire dallo schema scolastico del catechismo settimanale per favorire condizioni più adeguate all’iniziazione cristiana, creando un contesto ampliato di annuncio, dilatando i tempi, i luoghi e le presenze:

4) dall’ora di catechismo si passa al ritmo mensile scandito in quattro tempi, con al centro la domenica.

5) dall’aula di catechismo si passa ai molteplici ambienti in cui la famiglia può vivere la fede: casa, oratorio, chiesa.

6) dal catechista singolo si passa a un insieme di presenze (genitori, figure mini-steriali della comunità, la comunità che celebra) che lavorano in equipe.

Concretamente, il cammino dell’Iniziazione Cristiana (I.C.) viene ad articolarsi per ogni itinerario annuale in tappe mensili, ritmate secondo una scansione setti-manale:

1ª settimana - incontro dei genitori: si propone ai genitori un percorso di ri-scoperta della fede da adulti impostato sulle tappe del catechismo dei loro figli, suggerendo anche come comunicare in famiglia quanto maturato nel gruppo.

2ª settimana - comunicazione in famiglia: con l’aiuto di semplici proposte, si sostiene il tentativo dei genitori di testimoniare la fede ai figli, attraverso l’atten-zione al vissuto familiare, l’educazione di alcuni atteggiamenti, ma anche con momenti espliciti di dialogo, di preghiera, di esperienza.

3ª settimana - incontro di catechesi dei bambini: collocato in un momento di-steso di almeno un paio d’ore, si propone prima di tutto:

- di permettere ai bambini di vivere una vera esperienza di accoglienza. - di dare loro uno spazio per condividere ciò che hanno vissuto in famiglia. - di offrire loro un’esperienza catechistica rispettosa dei tempi e delle modalità

di apprendimento propri dell’età.- di vivere un momento comunitario attraverso il coinvolgimento, oltre che del

catechista, di altre figure rappresentative della comunità cristiana: il parroco, al-cuni genitori volontari (stabili o a rotazione), qualche giovane, dei ministri del-l’Eucaristia, qualche nonno o altre figure che facciano squadra con i catechisti e portino il loro contributo carismatico specifico (caritativo, musicale, ludico...).

4ª settimana - Domenica con le famiglie: preferibilmente la domenica mattina

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un’ora circa prima della messa, consiste in un incontro, guidato dal parroco o da un formatore, in cui i genitori si ritrovano per una verifica dell’esperienza vissuta in famiglia e per approfondire le questioni aperte. I bambini intanto preparano una preghiera, un gesto, un segno per riesprimere nella messa qualcosa del cammino fatto nella tappa, coinvolgendo l’assemblea.

Ogni parrocchia è invitata ad applicare il metodo tenendo conto del proprio contesto, delle proprie risorse, delle famiglie coinvolte... fatti salvi però i criteri guida che lo caratterizzano.

Sussidi (guida per l’équipe e quaderno di lavoro per i bambini)1ª elementare “Mi racconti Gesù”2ª elementare “Un regalo per te”3ª elementare “Cuore di padre”4ª elementare “Venite è pronto”5ª elementare “Ora tocca a noi”

1ª e 2ª media “Eppur ci sono”3ª media

cfr. “Itinerario per l’iniziazione cristiana con le famiglie” (a cura di antonio Scattolino) ideato dall’Ufficio catechistico di Verona, metodo 4 tempi EDB

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TRE GIORNI PASTORALE

Proposta generale per l’anno pastorale 2013-2014Il cammino della fede tra fragilità e affettività

PRIMO ANNOPer quanto riguarda la catechesi degli adulti, il vescovo propone un accostamen-

to ai Comandamenti della vita relazionale e precisamente dal 4º all’8º compresi.Riproporre il tema della misericordia come viene vissuto nel sacramento del-

l’Eucaristia con particolare riferimento a due momenti della celebrazione:a) atto penitenziale come richiesta di perdonob) atto offertoriale come presentazione della fragilità perché venga assunta e

trasformata dalla misericordia di Dio.“Il Salmo di riferimento” può essere il 23 (“Il Signore è il mio pastore”) con

attenzione particolare alle immagini: - dei pascoli erbosi (nutrimento)- alla valle oscura (l’incertezza del cammino, resa ancora più incisiva dalla fra-

gilità, ma rinfrancata dalla certezza che non siamo mai soli…)I temi: che andranno poi trattati nelle singole schede si articoleranno a partire da

precisi interrogativi che la nostra gente continua a porsi abitualmente.Ovviamente sono tenuti come sfondo il Catechismo della Chiesa Cattolica è il

Catechismo degli adulti.

1. Il volto di Dio come volto del MisericordiosoL’atteggiamento misericordioso di Dio appare quasi subito, nella rivelazione

biblica, partendo dal libro della Genesi, quando interviene a rivestire con tuniche di pelle la nudità di Adamo ed Eva. Seguendo la storia sacra, si possono eviden-ziare i gesti significativi attraverso i quali Dio si pone dalla parte del suo popolo.

Il tratto costante è proprio questo atteggiamento di misericordia che lascia emergere il volto di Dio che ascolta, perdona, sostiene il cammino e cambia il cuore. Scopriamo infine il dono massimo della misericordia nel “volto” e rapporto vitale con Gesù.

2. La buona relazione in famiglia (4º - 5º Comandamento)Ci chiediamo anzitutto che cos’è la famiglia e ne precisiamo l’identità dal punto

di vista della morale cattolica. Precisato questo, evidenzieremo la complessità dei

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rapporti familiari per tentare di far emergere l’armoniosità possibile. Nella vita media, la stragrande maggioranza di noi vive contemporaneamente la dimensione di figlio e di padre. Sarà interessante delineare qualche aspetto di questa duplice direzione e precisarlo come valore fondante del rapporto familiare, per una qua-lità di vita migliore e non solo nell’ambito familiare. Nei confronti poi della tra-smissione ed educazione della vita, la famiglia va presentata come luogo ideale. Soprattutto tenendo conto della sua naturale vocazione e ancor più del fatto che la vita nasce da un atto di amore…

3. La capacità di amare, il valore della castità (6º Comandamento)Tema di difficile approccio per la cultura di oggi. Partendo dalle parole di Gesù

nel Vangelo (Mt 19, 11-12), diamo un inquadramento più generale del tema par-tendo dalla dimensione profonda dell’essere umano. Si tratta di sondare le dina-miche che ci muovono nel costruire una personalità che trovi il giusto e fecondo rapporto tra desiderio (inteso come pulsione) e libertà (intesa come capacità di donarsi). Allora potremo capire che in tale contesto la castità aiuta a crescere nella capacità del dono e orienta fino alla scelta definitiva di un amore più grande e onnicomprensivo.

La castità ha una straordinaria portata nel cammino personale di ascesi dell’es-sere umano. Sia esso nello stato di speciale consacrazione come inserito nella vita matrimoniale. Qui è considerata come via preferenziale per aumentare il desiderio di comunione tra i coniugi, ma anche per far superare il concetto che la sessualità si esprime solo attraverso il rapporto fisico. Sappiamo dall’antropologia che ogni manifestazione umana porta la connotazione della persona come essere sessuato.

4. L’uso dei beni (7º Comandamento) E’ opportuno richiamare che i beni, in generale, sono dono di Dio, elargiti per

una finalità strettamente connessa alla promozione della dignità umana. Questa è la principale, se non unica finalità. L’uso dei beni al di fuori di questo obiettivo contrasta con la vivibilità e con la visione cristiana. Posto questo dato fondamen-tale, c’è un’idea di fondo circa i beni; e cioè se essi siano un diritto o non piuttosto dei doni che grazie al mio lavoro, applicando i miei talenti (doni anche questi!), contribuisco ad accrescere.

Dobbiamo poi approfondire tutta la dinamica dei rapporti tra noi e i beni... (ad esempio: ne usiamo o siamo usati? La finalità dell’uso è a sfondo egoistico o altruistico? Sappiamo prendere le distanze dalla logica mercatale di oggi che sem-bra avallare l’ipotesi che l’essere umano ha la sua vocazione più alta nel consumo smodato dei beni materiali?). Dobbiamo quindi ragionare sul come, in un ambito di catechesi, possiamo favorire un equilibrio da recuperare, anche urgentemente, nel rapporto persona - cose.

E poi il Comandamento specifico “non rubare”.... Come lo si presenta nella catechesi, circa ad esempio le forme attraverso le quali si ruba?

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5. Il rapporto leale tra le persone e con il creato (8º Comandamento)Tra i valori da lasciare emergere e da promuovere nel rapporto interpersona-

le, occorre far capire che la verità edifica sempre. E’ necessario impostare un percorso educativo che sottragga le persone a una tipologia di rapporto spesso caratterizzato da torbidezza, incapace di arginare la spinta verso l’egoismo e l’in-dividualismo. Chiediamoci che cosa ci proponiamo quando ci relazioniamo con le persone. Soprattutto quali sono i motivi che ci muovono a proferir parola. Gesù ha parlato per farci crescere nella gioia (Gv 15, 11)]. Occorre imitare il Maestro dando alle nostre parole la stessa finalità. E poi... il nostro essere nel mondo. il rispetto e l’amore verso il creato e la sua salvaguardia che è il compito specifico affidatoci dal Creatore.

6. Le scelte dell’accoglienza e del donoI passi da compiere nell’itinerario catechistico sono due:a) Far leva sulla dimensione interiore della persona come vivente capace di far

spazio ad un’alterità. E’ un punto importante per la formazione di una personalità che sia “capace” dell’altro. Mentre oggi c’è un dilagante fenomeno di individua-lismo che non può non sfociare in una dimensione di vita a sfondo egoistico-nar-cisistico. Pertanto se la persona non è o, meglio, non si educa ad essere “capace” dell’altro, la conseguenza è che ogni forma relazionale, compresa purtroppo quel-la matrimoniale, non ha esito fecondo.

b) Dal punto di vista del dono, è necessario, auspicabile e possibile un ribalta-mento della logica assai diffusa, se non addirittura imperante, che poggia sull’as-sioma: “...più si ha più si è felici...”. La tradizione consolidata della riflessione cristiana, e lo stesso personalismo ontologicamente fondato, affermano che più che nell’avere, la felicità sta nell’essere (essere capaci di donare...). S. Paolo ha posto una pietra miliare e ci fa compiere un ulteriore passo: afferma che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. E’ questo l’obiettivo da raggiungere tanto nel cammino del singolo quanto in quello comunitario. Pertanto educarsi al dono è l’imperativo che in nome del vangelo dobbiamo assumere.

SECONDO ANNOVerranno trattati i temi:- della Riconciliazione- dell’Unzione degli infermi

Lo schema, verrà definito in seguito…L’obiettivo da raggiungere nel percorso di catechesi per gli adulti nel biennio

2013 - 2015 è arrivare a porre in relazione festa e lavoro al senso e valore del tempo.

La preghiera che accompagna il biennio è l’Ave Maria.

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Temi Comandamento 1 anno 2 anno Riconciliazione

Il bello con

l’altro!

IV° Onora il Padre e la Madre, l’essere immersi in rapporti che non abbiamo scelto parte già dalla famiglia! E si estende ad una comunità che chiamiamo fratelli e non amici! Gli amici li scegli, i fratelli no!

VI° - Non commettere adulterio, nel senso di non adulterare, di non corrompere, di non mischiare qualcosa di puro, di bello, di autentico.

Amicizia/amore, lo stare insieme, come mi vedono gli altri, cosa ci trovo negli altri, le passioni condivise, la relazione di coppia, lo sport (perché no?). Ma anche gli sgarri, le invidie, i rancori che si scavano e rovinano le relazioni (come fragilità). La vocazione umana a una vita bella. La vita di coppia come modello di una vita donata.. Siamo già da sempre immersi in rapporti che non abbiamo scelto noi. Amiamo e siamo amati già prima di conoscerci. DDistinzione tra affettività ed emotività, ttra la passione fugace e l’affetto profondo.

Proposta biblica: l’amicizia di Davide e Gionata?

La vita del cristiano all’interno della comunità. I cristiani non sono soli e non sono semplicemente quelli che si ritrovano insieme la domenica. Sono (dovrebbero essere) una comunità. Mangiano e vivono insieme. Condividono. Dio li sceglie spesso a due a due. E a due a due li manda. La vita cristiana è uno stare insieme.

Proposta biblica: La prima comunità cristiana negli Atti - At 2, 42-48?

Incontrotra

l’affettodel Padre

e la fragilità

dell’uomo

I parte

Il bello conme!

VIII – Non testimoniare il falso o meglio “Non rispondere come testimone di menzogna” - Il vedermi come non sono,che porta alla depressione!

Come io vedo me stesso; mmivoglio bene?; cosa mi piace in me, cosa no? Cosa non sopporto quando mi guardo allo specchio? Cosa cambierei? So stare da solo? Mi adeguo al comportamento altrui per fare colpo? Ho una mia identità? Quali sono i miei punti di forza e le mie fragilità? I miei slanci e le mie paure? Per voler bene agli altri devo voler bene a me. Mi sento amato?

Proposta biblica: Salomone? Di nuovo Davide? Qualcosa di

Paolo coi suoi alti e i suoi bassi?

Fragilità non deve paralizzarmi e la vanagloria non deve esaltarmi troppo. Se aspetto che sia tutto perfetto, non farò mai nulla. L’impegno nel mio piccolo, l’importanza delle scelte anche quotidiane. La fedeltà come risorsa e come dono (nell’amicizia, nelle scelte, nella vita di coppia). Il perdono e l’essere perdonati. La vocazione come scelta anche affettiva. Si ama la strada che si sceglie (iil contrario è la depressione, la strada senza sbocchi).

Proposta biblica: Giona, immagine del depresso?

II parte

Il bello di

comevivo!

V° Non uccidere – iovoglio vivere, tutela della vita e rispetto

dell’altro.

VII° Non rubare – mibasta quello che ho – impegno in un mondo

migliore.

Sentirsi amati: alla radice della mia vita c’è un progetto

d’amore. Gesù chiede di essere suoi “amici”. Lo prendiamo sul

serio questo? Prima del “giusto”, del “buono”, c’è la storia di un incontro, di un

contatto. Gesù ci accompagna, condivide la nostra vita.

Dall’amicizia con lui non si perde nulla. Non siamo soli. Essere tempio dello spirito,

pietra viva: una testimonianza che si gioca nella bellezza della vita vissuta! Dio stesso non sta

solo, ma è Trinità.

Proposta biblica: “non vi chiamo più servi, ma amici”?

“da questo riconosceranno che siete miei discepoli, chi vi amate

gli uni gli altri”?La vite e i tralci?

L’amore che si allarga. La Passione di Gesù, il Samaritano: una compassione che ci prende nelle carni. Cosa vuol dire davvero che Dio è Amore? Dio

ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio a salvarlo. Dio non è giusto,

al modo nostro, perché se no il mondo magari l’avrebbe già distrutto.

Ma lo ama (Abramo e Sodoma). EEnoi amiamo il mondo come lo ama Dio? Senza subirne il fascino? Ma per la bellezza che può esprimere? Per ciò che potrebbe essere? L’impegno per un mondo migliore. Il servizio come

atto di amore. Amare i nemici. Amare non solo chi ci ama. Ma non

semplicemente perché “dobbiamo” volerci bene.

Proposta biblica: la Passione - puntando sulla lavanda dei piedi?

III parte

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TRE GIORNI PASTORALE

Catechesi battesimaleda 0 a 6 anni

METE / OBIETTIVI: coinvolgimento della famiglia (entrare in contatto con la famiglia, verificare le motivazioni, presentare il percorso, proporre la preghiera in famiglia).

ARTICOLAZIONE DEL CAMMINO: 4 catechesi (3 pre-battesimali e 1 post-battesimale) così articolate: 1) “perchè battezzare il nostro bambino” - a casa della famiglia; 2) “che cosa è il battesimo” - in parrocchia; 3) “il rito” - in parrocchia, spiegato dal parroco; 4) catechesi di risonanza delle famiglie con bambini battezzati, in occasione Festa liturgica Battesimo di Gesù.

PROPOSTE POSSIBILI: dedicare l’anno pastorale 2013/2014 alla formazio-ne dei catechisti circa le 4 catechesi proposte. I sussidi ispirati sono quelli delle Diocesi di Fossano e di Cuneo e ovviamente i Catechismi della CEI e il Catechi-smo della Chiesa cattolica. Formatori: coinvolgere chi già fa formazione a Cuneo e Fossano.

COLLABORATORI: in questa fa iniziale l’équipe della catechesi battesimale si trova a cadenza mensile in Seminario o, meglio ancora, a casa di una famiglia; potenziali collaboratori i parroci e i catechisti formati in itinere.

PARTENZA: disponibilità dei catechisti e loro formazione da novembre 2013 a maggio 2014; attuazione delle 4 catechesi con il nuovo anno pastorale 2014 / 2015.Punti emersi nella équipe: il parroco è sempre coinvolto, è lui che segnala ai

catechisti le famiglie da incontrare; necessità di sussidi e di strumenti per i cate-chisti che andranno accompagnati in questo percorso anche con verifiche in itine-re; utile la scheda della psicologa dove dà una traccia “umana” al primo incontro catechisti / famiglia; la formazione deve essere zonale e diocesana; formatori: si può anche chiedere aiuto alla Diocesi di Cuneo e di Fossano.

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TRE GIORNI PASTORALE

Itinerario per giovanissimi e giovani

La riflessione è articolata su tre aspetti:1. Educazione agli affetti;2. Tema dell’identità;3. Relazionalità del corpo (mezzo per eccellenza dell’educazione agli affetti),

educare alla generatività (fine per eccellenza dell’educazione agli affetti).

1. Educazione agli affettiNella nostra società attuale c’è uno sbilanciamento verso l’emozione, verso il

“cio che si sente”, quello che si prova (affettività staccata dall’ethos). Legato allo spontaneismo, al soddisfacimento del bisogno. Lungo il percorso di crescita si è educati cognitivamente e culturalmente, dando poco spazio alle dimensioni affettive e relazionali. Se il mondo degli affetti non è affinato da un lavoro educa-tivo, il rischio è ridurre l’affetto all’emozione e dunque di far diventare lo spazio dell’incontro con l’altro uno spazio di esclusiva espressione dei proprio bisogni e dei propri desideri.

Esempio: il significato delle parole utilizzate dai giovani/issimi in modo super-ficiale, complici i social network.

EMOZIONE- Movimento individuale che da “dentro” va verso “fuori”. Dimensione indi-

viduale- Bisogno di soddisfare.- Segue il principio del piacere.

AFFETTO- Direzione verso un incontro che mi ha colpito. Dimensione relazionale- Bisogno di relazione.- Non necessariamente procura il piacere, spinge anche a rinunciarne per il bene,

il buono, il giusto.

In sintesi:L’esperienza affettiva è un’esperienza di relazione e non si dà se non congiunta

ad una dimensione etica. (cfr. relazione R. Iafrate, Pianezza 16-02-2013)

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2. Tema dell’identità

L’uomo è essenzialmente persona di relazione.La cultura contemporanea sembra incapace di pensare la “relazione”, ossia di

pensare ciò che lega le persone tra loro. La capacità di relazione non è un’abilità, ma l’abilità che definisce l’essere umano:

- L’essere umano nasce in relazione con la madre, nasce in un contesto sociale-familiare.

- Problema: autorealizzazione, il “farsi da soli”.- Studi di psicologia sociale sulla identità: la persona non può definirsi se non in

relazione con altri. Chi sono io? Figlio/padre/fratello. Identità in relazione.

Gli esseri umani sono “esseri relazionali”. Un’autentica vita affettiva non può essere disgiunta da una dimensione etica.

PERICOLI DEL PASSATO: legami senza affetti. Positiva è la conquista del nostro tempo che ha saputo ridare spazio alla dimensione affettiva dell’uomo…

PERICOLO DEL PRESENTE: affetti senza legami, ipertrofia dell’affetto, l’af-fettività sradicata dall’ethos, da una direzione e scopo; ci si riduce a “ciò che si sente”. Indipendenza e autoreferenzialità.

In sintesi:Necessario recupero tra affetti e legami.

3. Relazionalità del corpo, educare alla generativitàIl mezzo privilegiato per l’educazione all’affettività è il corpo (simbolo per ec-

cellenza). La nostra identità si sviluppa attraverso la trasformazione che il nostro corpo subisce, come esprime il nostro benessere ed il nostro malessere al di là delle parole (sintomi psicosomatici, anoressia - un corpo esprime sofferenza con la parola “va tutto bene!”).

Si tratta di capire se a dominare è un “corpo per le emozioni” o un “corpo per gli affetti”.

Corpo inteso come significato individualistico-narcisistico: come bene dell’in-dividuo da curare, di cui godere, da coccolare, da tenere in forma, da esibire - det-tato dal BENESSERE. Arrivando al corpo come luogo disordinato dell’io: servito e vezzeggiato dall’esterno, è invece sovente violato dall’interno perché i moti dell’animo vi spadroneggiano. Uso indiscriminato di chirurgia estetica, droghe, sesso, un vero sfogo degli istinti! [Il bello di me - Il VI Comandamento]

Chiave di lettura per parlare del corpo è la relazione, nel limite, nel confine. Il pa-radosso di questa prospettiva è che proprio su questo limite intrinsecamente umano si colloca la più grande potenzialità, la più straordinaria risorsa della persona!

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Il fine per eccellenza per l’educazione all’affettività è la “generatività”.La vera sfida culturale oggi sta dunque nel recuperare il senso, l’obiettivo della

vita umana, la sua più intrinseca funzione, ossia quella generativa. Generatività: tendenza che indica la capacità di uscire dalla narcisistica esclusi-

va preoccupazione di sé per prendersi cura delle nuove generazioni, non necessa-riamente nei termini della procreazione biologica. Responsabilità verso l’altro.

GENERAZIONE SOCIALE: interesse di impegnarsi al di là di se stessi per promuovere le future generazioni. Presa in carico dei giovani. Drammtico quando una società non è più generativa, sta andando verso la morte.

In sintesi:La condizione dell’autentica felicità, avviene nel rilanciare il tema dell’affetti-

vità e della sessualità in prospettiva relazionale e della generatività come obietti-vo intrinseco dell’esistenza è la via privilegiata per dare ai nostri limiti un respiro di speranza e di piena realizzazione dell’esperienza umana.

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TRE GIORNI PASTORALE

Percorsi per giovani coppie Le propostea) di avvio: “Cana l’inizio”, esperienza fatta; percorso presso la “Città dei ra-

gazzi”.b) Coppie in vista del matrimonio. La riflessione è sul ripensare o rivedere i

corsi prematrimoniali: esigenze che nascono dal moltiplicarsi delle convivenze.

Giovani coppie sposate (primi anni!)In base alle esperienze fatte come: Consultorio, Pastorale familiare diocesana,

Cammino interdiocesano alla “Città dei ragazzi”.

Le ESIGENZE sono:• Sostenere le coppie nei primi anni del matrimonio, periodo che si può rivelare

delicato, impegnativo e a tratti molto faticoso.• Aiutare a crescere nel dialogo di coppia.• Aiutare a fare un cammino di fede e di Chiesa: “luogo di crescita nella fede e

nella spiritualità propria della stato coniugale, momento di apertura alla vita par-rocchiale e comunitaria, stimolo al servizio pastorale nella Chiesa e all’impegno nella società civile” (dal Direttorio di Pastorale familiare)

ModalitàFar partire una piccola équipe diocesana/unità pastoraleÈquipe: coppie disponibili accompagnate dall’Ufficio Famiglia, partendo dalla

due coppie dell’“Èquipe di Pastorale giovanile settore Giovani Famiglia”.

Modalità di lavoro: crescita della coppia, crescita delle altre coppie, sentendo le esigenze e progettare insieme un percorso per giovani coppie, per poterlo fare nelle loro parrocchie o unità pastorali.

- Gestire un gruppo famiglia.- Far partire un gruppo in parrocchia/unità pastorale

Èquipe: Il prete e una coppiaModalità: a casa a turno una volta al mese, si mangia, si discute partendo dalla

scheda, si legge o una coppia a turno la presenta, dieci minuti a coppia e poi con-divisione in gruppo, e preghiera finale.

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TRE GIORNI PASTORALE

“Consolare gli affl itti”è opera di misericordia

Per gli ammalati e gli anziani, a cui prestare attenzione amorevole e pastorale, per un cammino di fede che inglobi le loro fatiche e le loro prove, sarà proposto un sussidio mensile da ottobre, che verrà distribuito nelle Case di riposo e portato nelle abitazioni dei sofferenti, per un percorso di preghiera, di consapevolezza, di con-divisione… che faccia sentire dentro il tessuto ecclesiale a pieno titolo. Dai gruppi di lavoro, è pure emersa l’indicazione a far leva sui ministri straordinari dell’Eu-caristia che avvicinano tanti malati ed anziani nelle case, aiutandoli a coltivare una costante catechesi in pillole, magari con agili ed adeguati strumenti per la preghiera personale e l’ascolto della Parola. Ammalati e anziani sono persone in grado di do-narci l’essenziale del Vangelo che è la Croce del Signore. Un appello accorato per le nostre comunità cristiane perchè pensino, concretamente, al crescente numero di persone esaurite e depresse (con talora esiti tragici nel suicido, fenomeno grave, presente nelle nostre terre). “Cosa possiamo fare su questa frontiera cruciale? Pos-siamo allestire piccole fraternità, spazi aperti per l’ascolto, momenti di accoglienza e di attenzione? Lo Spirito ci dia una mossa in questo senso. Se il Vangelo ci vuole specialisti nell’amore all’altro, qui dobbiamo rimboccarci le maniche a tutti i co-sti”.

Giovani in Casa di riposoper un’ora di volontariato, una proposta da imitare

In Val Bormida una cinquantina di ragazzi sono presenti per un’ora di volonta-riato a settimana in Case di riposo o presso anziani o disabili che sono in carroz-zella nella propria abitazione. E’ un’iniziativa che rompe un po’ gli schemi ed è a suo modo sorprendente”. È un modo per aiutare i ragazzi a qualificare le loro relazioni senza che si riducano a vivere soltanto di emozioni indotte da ogni dove ed in particolare dai social forum.

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TRE GIORNI PASTORALE

La lettera pastorale “Nella fragilità, nella debolezza... una fede che spera e che ama”

“Vogliamo perseguire con coraggio e fiducia una catechesi che sia nutrimento della fede in ogni stagione della vita, dagli zero agli… anta anni, impostando globalmente il nostro sforzo per un cammino che accompagni tutti nella misura del possibile”, così il vescovo mons. Luciano Pacomio, concludendo la Tre-giorni pastorale, mercoledì 5 giugno al Santuario. Spiegando come le difficoltà – pro-spettate in particolare dalle Zone Val Pesio e Val Bormida in un appassionato intervento, circa la possibilità di tradurre le indicazioni elaborate dentro le realtà locali – vadano tenute in debito conto, scommettendo però sulla gradualità dei passi da compiere, investendo sulla comunicazione costante tra credenti e poi comunque procedendo senza stare fermi mai.

Nello stesso tempo il vescovo ha anticipato l’intelaiatura della prossima lette-ra pastorale con il titolo provvisorio “Nella fragilità, nella debolezza… la fede che spera e che ama”. Il punto di partenza sarà doppio: il limite che tocca tutti (morale, psicologico, fisico), ma in particolare il dono di Grazia (la presenza del Signore al fianco), per prendere sul serio la fragilità ma non lasciarle l’ultima parola, anzi rispondendo alla chiamata ad una libertà liberata, praticando carità, umiltà e gioia. Due saranno le preghiere da condividere insieme, con costanza: il Salmo 21 (“Il Signore è il mio pastore”) e l’Ave Maria. L’orizzonte della Pa-rola di Dio farà leva sui comandamenti, non come divieti ma come appelli che Dio fa per una vita piena. Ai sacerdoti verrà chiesto un tempo adeguato (almeno un’ora in chiesa al sabato pomeriggio prima della Messa vespertina) per pregare ed accogliere i credenti per la Riconciliazione. E della Messa si assumeranno, per renderli significativi, il momento iniziale della richiesta di perdono e l’offertorio in cui ricordarsi dei poveri.

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GIORNATA MONDIALE DEI MIGRANTI

Domande per diventare “inquieti”

Ormai si sente nell’aria, si respira nel nostro quotidiano… il mondo sta cam-biando vertiginosamente, non solo per le notizie drammatiche che ci giungono in casa ogni giorno, che creano una psicosi generale del “tutto va male”, ma per le cose nuove e positive cha stanno nascendo.

Una di queste, forse la più evidente, è la mescolanza di etnie e colori che si diffonde a macchia d’olio in tutto il pianeta e che tocca anche la nostra realtà locale. Tempo addietro il fenomeno era visto come cosa rara ed esclusiva delle metropoli, ma ora che persino l’ultimo paesino di montagna può contare fra la sua gente il malgaro albanese, la famiglia del Marocco, l’aiutante indiano, la badante ucraina… e soprattutto vedendo la scuola colorarsi di tutte le sfumature, dal nero al biondo, ci si rende conto che “il mondo sta cambiando” e che questo processo tocca tutti da vicino: stiamo veramente entrando in un mondo nuovo.

Una domanda: ci stiamo preparando a questo, oppure ci stiamo ancora difen-dendo, ritagliando spazi recintati per noi, lasciando alla porta o in terza classe chi vuole entrare? Se si ragiona un po’, prescindendo dal “fatto cristiano”, che tocca tanti di noi, mi pare che si ponga il problema di come affrontare, in modo intelligente e positivo, questa svolta storica che sta delineando il nostro futuro. Questa Giornata mondiale delle migrazioni è un’occasione che si offre alla nostre comunità per una riflessione su questo fenomeno che sta trasformando la geogra-fia umana del globo. La comunità cristiana non può stare fuori da questo proces-so, ma in ogni epoca è chiamata dal suo Maestro ad essere stimolo e fermento di una società rinnovata in cui si vivano la fratellanza, la giustizia, e si costruisca la pace.

In questo momento la Chiesa è chiamata più che mai a vivere la sua cattolicità, cooperando per un mondo multietnico in cui, ciascuna cultura, con i suoi tipici colori, entri in dialogo con le altre, formando un arcobaleno di convivenze. Credo che a livello teorico queste cose siano accettate abbastanza, è a livello pratico che sorgono le difficoltà e le resistenze, perché vengono intaccati il nostro sistema di vita e anche le nostre quotidiane sicurezze. Sembra che questo sia riservato a po-chi e che il Vangelo non c’entri tanto, perché questo pizzica parecchio e ci mette in discussione. Forse dimentichiamo che Gesù ha detto “... avevo fame, avevo sete… ero forestiero”. E ancora: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra”.

Questo non scavalca l’agire saggio, prudente ed esigente che è alla base di ogni

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concorde convivenza umana. In Italia abbiamo 5.011.000 persone immigrate, con un’incidenza del 8,2% sulla popolazione residente. Le provenienze sono dai 5 continenti, con una preponderanza di Europa dell’Est e di Africa. Se ci rendessi-mo conto di questa realtà, pur nei suoi aspetti critici, e dei vantaggi anche econo-mici che ha portato all’Italia (pensiamo al gettito INPS degli immigrati, al servizio prezioso e indispensabile, in tanti casi, delle badanti...) e a tante altre risorse che col tempo si renderanno manifeste, cominceremmo a vedere l’immigrazione con occhi diversi e a superare i luoghi comuni che vedono nel fenomeno migratorio l’aumento della delinquenza e della disoccupazione.

Tutto questo parte da una concezione egocentrica e campanilistica della vita che sa delimitare molto bene gli spazi fra “quelli che sono i nostri” e “quelli che non sono dei nostri”, mentre Gesù 2000 anni fa ha insegnato all’umanità a dire “Padre nostro” per tutti noi. Penso sia ora di rimboccarsi le maniche iniziando dal nostro ambiente a muovere piccoli passi verso l’ascolto dell’immigrato che abita vicino a noi, non solo per giudicare comportamenti a noi estranei, ma per entrare in un tipo di mentalità e aiutare in un inserimento necessario con i poveri mezzi di cui disponiamo. E’ importante passare dallo spirito di assistenzialismo a sentimenti di collaborazione e progettazione comune (ne è esempio l’Associazione Mondo-qui).

La sfida è grande, ma è qui che ci giochiamo il futuro. Diventando più poveri saremo più capaci di capire chi soffre e chi lotta per la vita. Impegniamoci perché la Chiesa, che siamo tutti noi, lasci sempre di più gli orpelli, i titoli, le garanzie e sicurezze del mondo, per tentare la via del rischio, della povertà evangelica, per amare di più, come il suo Maestro. Forse è tempo di favorire e promuovere scuole e corsi di intercultura e di uscire dagli schemi e tentare strade nuove, anche per le nostre Chiese. Lo Spirito soffia da Oriente e da Occidente e la gente arriva per sedersi alla mensa comune… sediamoci anche noi a tavola per non “esserne cacciati fuori”.

don Gianni Martino della Commissione missionaria

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SOSTENERE I MISSIONARI E LA “CITTADELLA DELLA CARITÀ”

Il deserto fi oriràTutti gli anni, nella nostra diocesi, dedichiamo i frutti della “Quaresima di fra-

ternità” per le attività svolte dei nostri preti monregalesi con le loro comunità in Brasile e per le urgenze della “Cittadella della carità” a Mondovì. Non vuol essere innanzitutto una raccolta di fondi ma il condividere concretamente il cammino di conversione con chi fa fatica a vivere. La Quaresima richiama l’immagine del deserto, tema caro alla Bibbia, ed è adatto ad illustrare il cammino che vogliamo fare in questi 40 giorni. Conversione vuol dire “cambiare strada, cambiare te-sta”… lasciare alle spalle i luoghi comuni di una fede tradizionalista e piatta, per tentare sentieri più spogli ed essenziali, come appunto ci insegna il deserto, per far rinascere in noi quell’essere a immagine vera del Figlio di Dio che è fratello degli altri. In un certo senso il deserto può anche significare l’aridità di un mondo in cui la vita è sempre minacciata e schiacciata, per mancanza di amore e di giustizia (l’acqua)...

Questa Quaresima, facendoci inoltrare nel deserto per spogliarci della nostra zavorra e ascoltare meglio la voce di Dio e dell’umanità, ci mette a contatto bru-ciante con il deserto del mondo in cui è facile perdere gli orizzonti e smarrirsi.

Ma oggi è proprio questa la sfida per chi si sente parte responsabile della fami-glia umana, e soprattutto per chi si dice credente. Mi piace citare due versetti del profeta Isaia 41,18-19. Dice Dio: “Renderò il deserto un lago d’acqua, la terra arida una fontana. Nel deserto pianterò il cedro, l’acacia, il mirto, l’olivo; nella steppa metterò il cipresso, l’olmo e l’abete”. Quest’immagine biblica è vista come poesia e forse messa ai margini della storia dagli esperti della scienza e della tecnologia. Stando all’evidenza infatti è proprio il contrario della realtà. Eppure la Parola di Dio contiene in sé una verità che scavalca i secoli e le generazioni e va oltre i nostri sguardi miopi, prospettando un futuro di rinascita per l’uomo, se sceglie di seguire il progetto del Creatore.

Stando poi ai dati della scienza non sembra proprio che i deserti non possano rifiorire, se c’è un’impostazione socio-politica e economica diversa nel pianeta, in cui prevalga innanzitutto il bene di ogni essere umano. (Basta vedere il ricupero del deserto fatto da certi Paesi).

Comunque non dimentichiamo la forza dirompente del bene, che, stando alle parole del Cristo, alla vigilia della sua apparente sconfitta, avrà la meglio nella storia dell’umanità: “Coraggio, io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33).

La Quaresima è l’occasione per “osare l’amore vero” verso i propri simili, non tanto riducendolo ad un gesto di solidarietà, ma impostando il vissuto quotidiano

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su uno stile di sobrietà e giustizia che arrivi a toccare le nostre Eucaristie, gli incontri parrocchiali e le varie attività pastorali e, come cerchio d’onda, anche la vita sociale e politica, intesa come partecipazione sentita e responsabile al bene comune.

Non possiamo girarci dall’altra parte oggi che il mondo è villaggio, ma apri-re maggiormente mente e cuore per dare vita alla nuova umanità. Dice il poe-ta messicano Salvador Diaz Mironi: “Sappiatelo, sovrani e vassalli, eminenze e mendicanti, nessuno avrà diritto al superfluo, finché uno solo mancherà del necessario”.

La cosiddetta crisi economica che stiamo passando può farci scoprire valori che avevamo messo da parte e favorire un rinnovato tessuto sociale basato sull’aiu-to reciproco e sulla giustizia. Forse in questo contesto possiamo capire e vivere meglio la “Quaresima di fraternità” e …se ciascuno si impegna a “curare bene la pianticella della propria vita” pian piano il deserto fiorirà.

d. Gianni Martino della Commissione missionaria

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Con l’A.C. a riscoprire il Concilio che vale nell’oggi

La gioia e l’entusiasmo dell’adesione consapevole e libera a Cristo hanno unito i partecipanti agli “Esercizi spirituali”, proposti dall’AC diocesana agli adulti, e tenutisi nell’accogliente Villa Paolina a Pietra Ligure, con la guida davvero magi-strale di mons. Sebastiano Dho. L’obiettivo dell’esperienza era riflettere e pregare per ricomprendere il senso del nostro vivere da cristiani adulti nell’oggi della società e della Chiesa: che significa e che cosa comporta nella concretezza del nostro quotidiano, fatto di lavoro- famiglia- rapporti sociali e tanto altro, credere nel Dio rivelato da Gesù Cristo? La risposta è venuta dalle meditazioni proposte da mons. Dho, attingendo direttamente ai documenti del Concilio, che a 50 anni dal suo svolgersi conservano tutto “il loro vigore normativo” e la forza di rinnova-mento profondo della fede. Una fede come risposta personale libera all’iniziativa gratuita di Dio che si rivela, dunque una fede che nasce dall’ascolto di Dio che parla, cresce e si alimenta nella liturgia celebrata nella e dalla Chiesa, per essere vissuta nella storia, giorno per giorno, insieme con gli altri. Nell’esperienza d’es-ser Chiesa, dove ognuno ha uguale dignità e tutti si è chiamati alla santità come vita buona, pienezza di umanità, si è inserito come faro di luce, motivo di gioia e speranza profonda, l’evento dell’elezione del Papa. In quei giorni ci eravamo uniti alla preghiera di tutta la Chiesa perché il Conclave, con l’aiuto dello Spirito, indicasse un Papa secondo il cuore di Dio. Quando vedemmo affacciarsi Fran-cesco e ne ascoltammo le parole, con commozione, gratitudine, intensa letizia ci siamo detti che davvero lo Spirito dona alla Chiesa e al mondo il Papa giusto al momento giusto. Gioia e speranza condivise là per la durata della bella espe-rienza comunitaria, permangono ora che siamo tornati all’ordinarietà della nostra esistenza, sostenendoci nell’impegno a vivere pienamente da figli di Dio e fratelli d’ogni altra persona nel nostro quotidiano, camminando uniti nel grande popolo di Dio del quale siamo membra.

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LA CONSACRAZIONE NELL’ORDO VIRGINUM

Spendersi per il “Regno” nella laicità del mondo

Ci sono incontri che non fanno scalpore, ma, per chi li vive e per quanti sono inseriti sensibilmente nel tessuto delle nostre comunità cristiane, possono rive-stire il carattere di incoraggiante testimonianza e, forse, di “segni dei tempi” da accogliere con discernimento e con speranza.

Ci riferiamo all’incontro regionale annuale delle consacrate dell’Ordo Virgi-num del Piemonte e della Valle d’Aosta, che si tiene ogni anno in una diocesi piemontese, svoltosi mercoledì 1º maggio presso la “neo-nata” Casa di accoglien-za “Sacra Famiglia” a Sant’Albano Stura. Erano presenti 33 sorelle provenienti dalle diocesi di: Torino, con il loro delegato don Paolo Ripa; Novara, Asti, Biella, Saluzzo e Mondovì con il delegato don Flavio Begliatti. Significativa anche la presenza di ragazze e donne che hanno partecipato per conoscere più da vici-no la realtà di questo tipo di consacrazione. La giornata ha assunto il carattere di arricchente incontro ecclesiale nella condivisione fraterna, nell’ascolto e nella preghiera, grazie alla presenza del vescovo mons. Luciano Pacomio che ha tenuto una riflessione su: “La fede nella concretezza del quotidiano dell’O.V.”. Erano presenti anche il parroco ed il diacono della parrocchia ospitante don Giuseppe Ferrua e Corrado Calcagno. La celebrazione eucaristica e il pranzo consumato in gioiosa fraternità, grazie anche al servizio di alcuni volontari, hanno impresso alla giornata una particolare intensità umana e spirituale. Nel pomeriggio siamo par-titi alla volta di Vicoforte dove don Meo Bessone ha guidato la visita al Santuario terminando poi con i Vespri nella cappella di Casa “Regina” ed un momento di confronto sulle esperienze di apostolato che ogni consacrata vive nel servizio in parrocchia o nelle strutture diocesane. E’ stata una giornata molto arricchente per tutti: ci siamo scambiate le gioie e le sofferenze del nostro vivere la consacrazio-ne, aiutandoci così a sentirci sorelle seppure lontane.

“La consacrazione personale dell’Ordo Virginum prevede che si conservi la condizione di laicità nel mondo e si operi in esso. E’ il vescovo diocesano che ammette alla consacrazione e presiede il rito. Da parte sua la vergine consacrata realizza nella Chiesa un segno particolare visibile della comunione con il vesco-vo” (dallo Statuto della diocesi di Mondovì).

don Flavio e le sorelle consacrate dell’Ordo Virginum di Mondovì Sara, Annamaria, Nives, Ornella e Lidia

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ATTI E COMUNICATI DI CURIA

Ammissione agli ordini sacri

Il 16 maggio 2013, celebrando l’Eucaristia nella Cappella della Casa di Spi-ritualità al Santuario di Vicoforte, Mons. Vescovo ha ammesso tra i candidati al Presbiterato il seminarista Marco Sciolla della Parrocchia Maria Vergine Assunta di Ceva.

Nella stessa celebrazione, ha istituito Lettore il seminarista Federico Boetti della Parrocchia di Santa Caterina in Villanova Mondovì.

Il 26 maggio 2013, festa della SS. Trinità, nella chiesa parrocchiale di S. An-tonio in Bagnasco, Mons. Vescovo ha istituito Accolito Roberto Oggerino da Massimino.

Nomine

19 marzo 2013- Il rev. don Domenico Prandi, Arciprete di Carrù, è nominato anche parroco

di Ciglié.28 marzo- Il rev. don Giancarlo Canova è trasferito parroco di Murazzano e di Marsa-

glia e collaboratore per la pastorale giovanile nell’Unità pastorale di Dogliani.- Il rev. don Leonardo Modica è trasferito parroco di S. Barbara e di San Giu-

seppe in Cengio e di S. Nicola in Rocchetta di Cengio.- Il rev. don Marco Giordanengo, vicario parrocchiale di Millesimo, estende il

suo incarico anche alle parrocchie di Cengio.29 giugno- Il rev. don Silvio Danna, Prevosto di Morozzo, è nominato anche parroco di

San Biagio di Mondovì.- Il rev. don Nestor N’Zokonga, sacerdote fidei donum, è nominato vicario

parrocchiale di S. Giorgio in Bormida.

Decreto di approvazione

Il 21 marzo 2013 Mons. Vescovo ha approvato lo Statuto e la “Piccola regola” della “Comunità del Monastero di San Biagio di Mondovì” ed ha concesso alla Comunità la personalità giuridica.

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IN MEMORIAM

1. Pastorino don Luigi (1922-2013)Si è spento all’Ospedale di Ceva il 2 gennaio 2013 don Luigi Pastorino, a 90

anni di età e 66 di sacerdozio. Era nato a Millesimo il 12 settembre 1922 e compiuti gli studi nei seminari dio-

cesani, fu ordinato sacerdote da Mons. Sebastiano Briacca il 14 luglio 1946 nella chiesa del suo paese natale.

Iniziò il ministero pastorale festivo nella parrocchia di San Lorenzo a Villanova e fu poi Vice curato a Monesiglio per due anni nel 1947 e 48.

Sul finire del 1948, essendosi resa vacante la parrocchia di Prunetto Colombi per la rinuncia di don Carlo Braida, don Pastorino vi fu nominato prevosto a se-guito di concorso canonico. La parrocchia, istituita da appena cinque anni, venne dotata di confessionali e di una nuova campana e la borgata Colombi ebbe un proprio cimitero inaugurato nel 1952.

Il Vescovo Mons. Carlo Maccari nel 1964 prospettò a don Pastorino un orizzon-te più vasto nel campo delle comunicazioni sociali; ed egli, mantenendo l’ufficio di parroco, fu per 20 anni direttore per il Piemonte e la Valle d’Aosta dell’Acec Sas, l’Associazione delle sale cinematografiche parrocchiali, oggi note come “sale della comunità”. Concluso questo servizio regionale, nel 1983, conservando la cura di Prunetto Colombi, divenne parroco di S. Antonio di Camerana e nel 1986 anche della SS. Annunziata nello stesso Comune. Parroco emerito nel 1995, mal-fermo nella salute, don Pastorino visse da allora a Millesimo e poi a Camerana.

I funerali, presieduti dal Vescovo, sono stati celebrati nella chiesa della SS. Annunziata a Camerana Villa il 4 gennaio. La salma riposa nel cimitero di Mille-simo, nella tomba di famiglia.

2. Bonino don Ferdinando (1932-2013)Nato a Rocchetta Cengio il 4 marzo 1932, ordinato presbitero dal vescovo Mons.

Briacca il 29 giugno 1957, don Ferdinando Bonino svolse il ministero di Vice curato a Margarita dal 1958 al 1960. Problemi di salute lo convinsero a rientrare in famiglia a Rocchetta e successivamente, nel 1963, a trasferirsi a Ventimiglia, nella casa dei Fratelli Maristi, come Cappellano.

Ritemprate così le forze, il primo maggio 1966 fu nominato Prevosto di Plodio in Valle Bormida, e si dedicò generosamente alla parrocchia di Sant’Andrea per 45 anni, ammirevole nella sua esile figura di sacerdote.

Alla fine del 2011 rinunciò al ministero attivo e rientrò a Rocchetta, suo paese d’origine. Ha concluso la sua giornata terrena a Millesimo, nella “Residenza assi-stita”, il 10 giugno 2013, all’età di 81 anni, e 56 di sacerdozio.

I funerali, presieduti da Mons. Vescovo, sono stati celebrati a Rocchetta di Cen-gio il 12 giugno. La salma attende la risurrezione nel cimitero di Plodio.

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3. Blengino don Antonio (1925-2013)Il 22 giugno 2013, all’età di 88 anni e 65 di Messa, don Antonio Blengino, Vi-

cario di San Biagio e Rettore di Santa Maria Rocca, è andato incontro al Signore. La morte è avvenuta all’Ospedale Carle di Cuneo dopo pochi mesi di malattia.

Era nato a Margarita il 5 dicembre 1925. Compiuti gli studi nei Seminari dio-cesani, aveva ricevuto l’ordinazione presbiterale il 27 giugno 1948 dal Vescovo Mons. Briacca.

Fu Vice curato a Crava nel 1949, a Riofreddo nel 1953, a Magliano Sottano nel 1954 e ancora a Peveragno S. Maria nel 1957.

Dal 1961 al 64 ricoprì l’ufficio di Prefetto di sacrestia al Santuario di Vico; svolse poi il ministero pastorale a Roma per alcuni mesi.

Il Vescovo Mons. Maccari gli affidava nel 1965 la parrocchia di Sant’Anna Avagnina: don Blengino accettò la nomina, ma per motivi di salute dovette rinun-ciare all’incarico e trascorse ancora due anni a Roma, nella parrocchia di Santa Chiara. Rientrato in diocesi, fu Prevosto di Crava dal 1967 al 74; visse poi alcuni anni al Santuario di Vico come addetto alla Basilica e nel 1985 assunse la rettoria di Santa Maria Rocca. Nel 1997 fu nominato Vicario di San Biagio di Mondovì e resse quella chiesa per 16 anni, nonostante le evidenti infermità, amato e sorretto da i suoi parrocchiani. Uomo dal carattere deciso, si è fatto apprezzare per la pre-dicazione accurata e per l’amore verso la parrocchia.

I funerali, presieduti dal Vescovo, sono stati celebrati lunedì 24 giugno a Mar-garita. La salma riposa nel locale camposanto.

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RIVISTA DIOCESANA MONREGALESE

Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia vescovile – Mondovì

Supplemento a L’Unione Monregalese, N. 29 del 17 luglio 2013Dir. Resp. Corrado Avagnina Sped. in a. p. 45% – art. 2 comma 20/b legge 662/96 – aut. 668/D.C.I./CN del 18/10/2000 – Filiale di Cuneo – Tassa riscossa – Abbonamento posta – 12100 Cuneo c.p. Italy

REDAZIONE:Corrado AvagninaGiuseppe Bongiovanni, cancelliere vescovile

Mondovì, 31 dicembre 2012Mondovì, 30 giugno 2013

Abbonamento annuo: euro 25

C.C.P. n. 12417127 intestato a Curia Vescovile – Mondovì

CURIA VESCOVILE – 12084 Mondovì Piazza (Cn) Vescovado: 0174 42550 Curia Vescovile: 0174 330420 – Fax 0174 553533

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