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Romagna solatia dolce paese di Francesco Bentini
La sentita poesia di Primo Zini, ascoltata alcune sere fa ad un simpatico convivio della Società del Passatore a San Michele, mi ha convinto
ancora di più che la Romagna ha il diritto di essere considerata Regione autonoma. La storia, la lingua, gli usi, i costumi e, soprattutto,
l’arte sono la testimonianza più tangibile di tutto ciò. Esaltazioni musicali e poetiche della
propria terra, come si trovano in Pascoli, Stecchetti, Spallicci, Casadei, Guerra e tanti altri, dove sono nelle altre regioni? E qui a San
Pancrazio “l’eria d’Rumagna” tutti la respirano. E anche se, al primo impatto, si ha
l’impressione che i giovani non l’avvertano, non è proprio così. E’ solo questione di tempo e quando arriverà anche per loro la maturità e
scopriranno la bellezza delle nostre origini, prenderanno entusiasti il nostro posto a difesa
di queste tradizioni, che non si debbono e non si possono dimenticare. “La Grama” ha dimostrato e dimostrerà sempre
di più che San Pancrazio è terra di Romagna. Il Museo della Vita Contadina in Romagna, la rievocazione annuale dei mestieri secolari sono
la testimonianza che proprio qui siamo al centro di questa magica terra.
Forza giovani! Date una mano a coloro che hanno accesa questa fiaccola, perché si ravvivi sempre più e non debba spegnersi.
“Sempre un villaggio, sempre una campagna” scrisse Pascoli e questa è la nostra Romagna.
Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.60 - Anno 31° - n.1 - Marzo 1998 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti
Redattore: Girolamo Fabbri - Ciclostilato in proprio - Non contiene pubblicità. Spedizione in A.P. (Art.2 - comma 20/c - Legge 662/96) - Filiale di accettazione: Ravenna.
La primavera di Sante Samoré
La primavera arriva ufficialmente il 21 marzo,
ma invece all’inizio del secolo per la maggior
parte delle persone, arrivava ai primi di marzo.
Infatti in quella data, non c’era più bisogno di
accendere il fuoco per scaldarsi, tanto meno
scaldare il letto. Anche le calzature cambiavano:
i contadini e i non benestanti, cominciavano ad andare scalzi (mêrz da e’ pè schêlz). Gli ultimi
tre giorni di febbraio, e i primi tre di marzo, nelle
campagne i contadini accendevano grandi fuochi
all’aperto (al fugaren), che avevano un valore
propiziatorio, per una buona stagione e un buon
raccolto. Questi fuochi (lom a merz) venivano
fatti con grandi mucchi di paglia e sterpaglie, si accendevano all’imbrunire, e nelle sere chiare si
vedevano ovunque in pianura, in collina, sui
monti, anche a notevole distanza. Al fugaren
segnavano la fine dell’inverno, e davano la
sveglia ai campi.
Un altro rituale che si praticava la sera del 3 febbraio, vigilia della festa della Madonna del
Fuoco, era quello di scaricare i fucili con un
numero di colpi dispari, 3 o 5 (rito propiziatorio
per farsi proteggere dagli spari). In questo
periodo i contadini lavoravano nei campi,
zappavano il terreno per seminare le colture
marzoline e tagliavano l’erba in mezzo al grano (runché). I ragazzi e i bambini lavoravano a fianco
degli adulti. In questo periodo a volte c’era un
ritorno di freddo con spruzzate di neve, ma le
persone più anziane non si scoraggiavano e
dicevano: “la nev marzulena la dura da la sera a la matena”. In molti paesi della Romagna questo
(Continua a pagina 2)
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era un periodo di festa: la più rinomata era la
festa della Segavecchia, che coincideva con il
giovedì di mezza quaresima. Si faceva girare per
il paese, su un carro trainato da buoi, un
fantoccio raffigurante una grande vecchia, che
veniva poi tagliato a metà. Dall’interno uscivano carrube, fichi secchi, qualche zuccherino e
venivano lanciati tra la folla.
Un’altra data importante era il 25 marzo, giorno
dell’Annunciazione di Maria Vergine chiamato
“e’ dè dla Madona di garzòn”. I garzoni erano
ragazzi di tredici o quattordici anni di famiglie
La primavera (Continua da pagina 1) molto numerose, che avevano difficoltà a sfamare tutti, quindi venivano mandati presso
altre famiglie a svolgere i lavori nei campi, nella
stalla o in casa. Il contratto dava diritto oltre a
100-150 lire all’anno, anche al vitto, all’alloggio
e alla pulizia degli indumenti personali. Il
contratto era annuale e quando veniva interrotto prima della sua scadenza si diceva: “l’a fat madona”. Sempre il 25 marzo nelle campagne la gente si
affrettava a raccogliere le viole nei fossi, sui cigli
delle carraie, perché si diceva che il giorno dopo
avrebbero perso la virtù (la vartò).
Il 25 marzo, la Madona di garzòn, era un’occasione di festa a San Pancrazio.
Nel periodo fra le due guerre mondiali, i ragazzi
del bracciantato del paese che avevano finito gli
studi (così si diceva allora dopo il conseguimento
dell’attestato di terza elementare) andavano
quasi tutti a fare i garzoni. Il padre accompagnava il figlio presso la casa del
contadino col quale era stato fatto il contratto e
per fargli capire che doveva dare retta, che
doveva ubbidire, quando lasciava il figlio per
tornarsene a casa diceva a voce alta: “se un fa ben dasii dla broca!”. Se i ragazzi nelle case coloniche avevano perso la libertà di giocare, in
compenso avevano trovato una
tavola quasi sempre imbandita
perché i contadini non avevano molta
moneta, ma non pativano di certo nel
mangiare. Salvo qualche eccezione i
ragazzi venivano trattati bene per evitare che parlassero male dei loro
padroni, facendoli sfigurare agli occhi
della gente.
Da tempo fare il garzone era
diventato un mestiere. Alla fine della
prima guerra mondiale però
cominciò a svilupparsi l’edilizia e poi la meccanica. Questi nuovi lavori
assorb i rono quas i tu t ta la
manodopera locale e il mestiere di garzone
venne lasciato alle persone che scendevano dalla
montagna del forlivese, del cesenate e del
riminese, dalla Carpegna e da San Marino. Ne
giunsero talmente tanti che San Pancrazio divenne un importante centro di smistamento
per questo tipo di manodopera. L’iniziativa fu di
due garzoni: Bineli, che per più di quarant’anni fu
il garzone di Rota e Vitouri, che dopo il ritorno
dalla guerra rimase a lavorare da Rota fino agli
anni quaranta. Frazchì d’Rota, Francesco Sbaraglia, era un uomo molto stimato ed era
l’azdor di una famiglia famosa da sempre per
l’ospitalità al viandante forestiero. Per questo
motivo divenne presto la base di smistamento di
tutti i garzoni che scendevano a valle e tutti i
capoccia andavano lì a contrattare. Il giorno della Madonna dei garzoni si organizzava
una festa nell’ Osteria de’ Mat al pomeriggio si
ballava al suono dell’organino e della
fisarmonica. I suonatori erano Nando (il nonno del Dottor Evo Stanghellini), Angiulet d’Bazela e
e’ Gadg de Pastor, che veniva da Roncalceci.
Alla sera una grande braciolata e vino a volontà per tutti.
Il primo acquisto del garzone, dopo
qualche anno di permanenza presso
il contadino, dopo aver imparato ad
andare in bicicletta e aver
racimolato qualche soldo, era la
bicicletta. Si comprava da Tugnazì, Antonio Fabbri, il meccanico di San
Pancrazio, che era il concessionario
per la provincia di Ravenna della
ditta Faggi. Faggi era anch’egli di
origine sanpancraziana e aveva
aperto una fabbrica di biciclette a
Milano: han sempre detto che aveva 500 operai quando la Fiat ne aveva
5.000.
Tugnazì aveva un grande assortimento di
biciclette; ne aveva di tre tipi: la lusso, la turismo
e quella da corsa. Erano biciclette solide e
costavano meno di quelle delle grandi marche. I
garzoni venivano a comprarla da tutta la provincia e fra il ‘28 e il ‘40, nel giorno della
Madonna dei garzoni, si dice si siano vendute fino
a 30 biciclette. Tanti avevano i soldi, molti
venivano con i padroni per garanzia e, per alcuni,
era sempre Frazchì d’Rota il garante.
Dri l'irola
disegno realizzato da Giulia Silvestroni
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Dri l'irola
La minestra di primavera o del pranzo di Pasqua. In questo giorno di festa la tradizione vuole che si mangino uova e sono proprio le
uova l’ingrediente base di questo piatto.
Ingredienti: gr. 130 di pane del giorno prima, grattugiato; gr. 60 di formaggio secco o parmigiano grattu
giato N° 4 uova;
noce moscata a piacere; brodo di buona qualità; Questa è la ricetta povera, ma oggi a piacere
si può mettere un po’ più di formaggio o parmigiano e meno pane.
Preparare un buon brodo. In una casseruola sbattere le uova, aggiungere gli altri
ingredienti, fare un impasto non troppo morbido, poi mettere col mestolo del brodo caldo, ma non bollente.
Versare adagio il composto nel brodo bollente sul fuoco, evitando che si attacchi alla pentola
e appena l’impasto sale in superficie togliere dal fuoco e versare nella zuppiera. La supira adesso nelle case si usa poco, ma per le
minestre in brodo è preziosa. Se la tardura, “da tardel”, è riuscita bene, si
presenta come un grappolo e il brodo attorno rimane chiaro. Io la preparo mezz’ora prima di mangiarla,
metto la zuppiera coperta sull’irola del camino così che si insaporisce la tardura nel brodo, resta calda ed è molto più gustosa.
Questa minestra nella tradizione ha una
simbologia legata alla vita: a primavera la natura rinasce, la Pasqua è resurrezione a nuova vita, la nascita.
Ho scoperto che un’usanza tipica delle famiglie romagnole era quella di servire la
tardura o zuppa d’uovo ai parenti durante il pranzo offerto in occasione di una nascita. I parenti che andavano a vedere il bambino
portavano doni in natura (due capponi o due galline da brodo, uova, pasta margherira, marsala all’uovo, ecc.) per la madre che
doveva alimentarsi adeguatamente dopo le fatiche del parto e perché doveva allattare. E
per festeggiare il lieto evento si faceva un pranzo. C’era proprio un detto specifico anche nelle
nostre campagne: quando una donna aveva partorito le parenti preparavano i doni da
offrirle e per andarla a trovare si diceva “andè a la sopa”.
Le ricette della cucina povera di Luisa Calderoni
A seguito della grande paura e della rabbia che la minacciata chiusura della Scuola Elementare nel 1997 ha seminato fra la
gente di San Pancrazio, è stata costituita un’Associazione Culturale denominata: “Amici
della scuola” con lo scopo di promuovere e consolidare le relazioni fra la Scuola Elementare e Materna di San Pancrazio, il
paese stesso e i paesi circostanti. Sviluppare le relazioni significa, secondo
l’articolo 2 dello Statuto dell’Associazione, conoscere e far conoscere la realtà della Scuola Elementare e Materna, difendere e
valorizzare il patrimonio educativo e formativo acquisito dagli insegnanti in lunghi anni di
esperienza, con la speranza che tutti assieme si possa riuscire ad impedire un nuovo eventuale tentativo di chiudere la Scuola. Se
ciò dovesse succedere bisogna che tutti si rendano conto che si avvierà inesorabilmente
un processo di disgregazione del tessuto economico e sociale del territorio, con grave danno per tutti.
Fra le attività che l’Associazione “Amici della Scuola” si propone di realizzare vi è quella
di promuovere attività ricreative, sportive e culturali, integrative della didattica rivolta agli alunni e funzionali alla loro crescita fisica,
psichica e sociale.
Una scuola, un paese (a cura della Redazione)
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Dri l'irola
A San Pancrazio, nel periodo immediatamente successivo alla Prima Guerra
Mondiale, si riscontrò tutto un fiorire di interessi
e di passioni per gli aerei e per il volo, che può
ritenersi senz’altro superiore ad ogni altro
paese.
Questo entusiasmo per il volo, avvertito da tanti giovani frequentatori il Circolo Repubblicano
di San Pancrazio, favorì poi il realizzarsi di tante
vocazioni per l’aviazione, così da farne una
scelta di vita.
Colui che per primo fu attratto da questa
passione fu Livio Forastieri, classe 1896. Aveva
conseguito il brevetto di pilota in Francia nel 1915 quando in Italia ancora non esistevano i
corsi. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale
volando sui caccia come sergente pilota e
rimase ferito ad un piede. Poi divenne
collaudatore di aerei a Milano e partecipò ad un
giro d’Italia degli aerei da caccia. Partì volontario per la guerra di Spagna e
fu decorato con medaglia d’argento e medaglia
d’oro alla sua squadriglia. Quando fu promosso
maggiore perse la possibilità di volare. Allora
Forastieri, per poter partecipare alla Seconda
Guerra Mondiale come volontario, chiese la
collaborazione di alcuni influenti personaggi di Roma per farsi retrocedere al grado di capitano.
In questo modo, volando di nuovo sui caccia, partecipò ad azioni di guerra in Albania, in
Africa ed in Sardegna.
Dopo la firma dell’armistizio, l’8
settembre 1943, mentre da Littoria (Latina)
si alzava in volo con la sua squadriglia per
raggiungere la Puglia, liberata dai tedeschi, fu urtato dall’aereo decollato per ultimo.
Entrambi i velivoli caddero in fiamme.
Forastieri rimase gravemente ustionato e
morì purtroppo due giorni dopo senza
riprendere conoscenza.
Nato nel 1908, Marino Minghetti si arruolò volontario in aviazione. Poiché i suoi
genitori lo esortavano a rinunciare a
quell’attività troppo pericolosa, in un primo
tempo prestò servizio nella polizia stradale a
Milano. Qui incontrò Jolanda Gobbi che
divenne sua moglie e lo
seguì a Russi, dove tuttora risiede.
Allo scoppio della Guerra
d’Etiopia, Minghetti venne
richiamato in aeronautica e
assegnato al comando di
una squadriglia di caccia e fu promosso maresciallo
pilota.
Purtroppo nel 1938 morì
durante un’esercitazione
sul mare di Brindisi, perché
il suo idrovolante si schiantò
nell’impatto con l’acqua.
Nato nel 1909 e
tuttora residente a Forlì con
la moglie Rina Turchetti di
Chiesuola, il generale Luigi
Sandoli ci ha recentemente raccontato, in una intervista che sarà pubblicata
compiutamente nel prossimo numero di
questo giornale, alcuni momenti della sua
lunga carriera di aviatore.
“Ogni volta che un aereo sorvolava il mio paese restavo incantato a guardarlo finché diventava piccolo all’orizzonte, fino a
San Pancrazio: vivaio di aviatori Avventure e imprese degli eroi dell’aria cresciuti intorno a “e’ cruseri” (*)
a cura di Maria Luisa Pironi
Livio Forastieri a bordo di uno dei primi aerei del secolo con motore posteriore. Francia, 21-7-15
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Dri l'irola
quando non si vedeva più”. E’
solo l’inizio della
storia.
Q u a l c h e
anno più tardi il
giovane Ezio Fantini, nato nel
1911 e figlio del
m a n i s c a l c o ,
o t t e n n e i l
brevetto di pilota
e frequentò
l ’ A c c a d e m i a A e r o n a u t i c a .
Divenuto un
esperto aviatore
fu promosso capitano e citato in un Bollettino
di Guerra perché aveva partecipato, come
capo equipaggio, ad un bombardamento nello
Stretto di Gibilterra. Fidanzato con una giovane del bolognese, alla vigilia delle nozze
fu trucidato assieme alla sua ragazza e alla
intera famiglia di lei. La notizia giunse a San
Pancrazio la mattina seguente quando tutti
erano pronti per i festeggiamenti nunziali.
Nato nel 1920, Carlo Minghetti, aveva ottenuto la licenza media studiando da
privatista mentre contemporaneramente
lavorava come operaio presso la bottega di
Gallignani a San Pancrazio.
Seguendo l’esempio dell’amico e vicino
di casa Ezio Fantini, Minghetti si arruolò volontario nel 1939 nell’Aviazione e conseguì
il brevetto di pilota l’anno successivo.
Volava sui caccia durante l’ultima
guerra mondiale e si meritò vari
riconoscimenti: in particolare, due Medaglie
di Bronzo di cui una sul campo e tre Croci di
Guerra. Venne promosso maresciallo. E’ mancato nel 1984.
Luciano Guerrini, classe 1920, ha conseguito il brevetto di pilota civile alla
Spreta di Ravenna alla fine del 1939, con una
spesa di 5.000 lire, per poter partire militare
di leva con il grado di sergente. Ha ottenuto
ad Osoppo il brevetto di pilota militare e a
Gorizia ha superato gli esami di acrobazie. V e n n e
scelto per volare
sui caccia e
subito inviato in
z o n a d i
operazione col
c o m p i t o d i s c o r t a r e i
convogli navali
nel Canale di
C o r i n t o i n
Grecia e dopo a
Lampedusa e
Pantelleria. I l 6
settembre 1943 a Udine aveva ricevuto
l’ordine di recarsi a Crotone il giorno 10,
insieme a due stormi. L’8 settembre, invece,
dopo la firma dell’armistizio, potè tornare a
casa, a San Pancrazio, dove tuttora risiede.
Oriano Minghetti, nato nel 1945, figlio
di Carlo e nipote di Ezio Fantini, seguendo le
orme del padre è entrato da ragazzo
nell’Accademia Aeronautica e sta
proseguendo nella carriera militare. Ancora
in giovane età è stato assegnato alla
direzione dell’aeroporto di Cervia, primo romagnolo a ricoprire tale incarico. Dopo
aver ottenuto il grado di colonnello, ora è
Addetto Militare in Germania.
Questa visione di insieme, seppure
sintetica, evidenzia una preziosa pagina di storia scritta dagli aviatori di San Pancrazio
che non deve andare dimenticata, a maggior
ragione nel momento in cui l’Areonautica
militare festeggia il suo 75° anno di vita.
Ringraziamo Elio Forastieri che ci ha
raccontato la vita di suo padre e ha donato la foto all’archivio del giornale, e ringraziamo il
Circolo Foto Amatori della Pro Loco di Russi,
per la concessione delle foto di Fantini,
Minghetti e Guerrini, qui riportate. ——————- (*) e’ cruseri - incrocio fra Via Molinaccio vecchia
(ora Via Gino Randi) e Via Farini, nota come e’ camaren, a San Pancrazio.
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Dopo l’uscita dei p r i m i d u e n u m e r i a b b i a m o
r i c e v u t o lettere e
t e l e f o n a t e d i apprezzamento per questo
bollettino e di incoraggiamento alla nostra attività culturale. Per ringraziare, cercheremo di migliorarci sempre di più, inserendo da questo numero “La posta dei lettori” e invitando coloro che hanno memoria di storie vissute a San Pancrazio, poesie o zirudele inedite, a scriverci o a telefonarci perchè sarebbe utile che queste cose venissero pubblicate. Anche le piccole cose accadute nel nostro villaggio fanno parte del patrimonio della storia della Romagna. La prima lettera che abbiamo ricevuto è di Gianfranca Zanzi, la quale, assente fisicamente da San Pancrazio dal 1989, col cuore ringrazia in modo particolare “il maestro Gigino” per aver ricevuto il bollettino. Ci manda la cartina della città di Tolentino per farci vedere dove abita. Io vi posso assicurare, essendoci passato per lavoro, che la cittadina è molto bella e merita di essere visitata. Poi ci ha scritto Teresina Servadei, di Roncalceci, ringraziando il maestro Gigino per l’impegno a tenere vive le nostre tradizioni e offrendo un contributo per la Grama. Il Generale dell’Aviazione Luigi Sandoli ci scrive da Forlì ringraziandoci di averlo riportato indietro nel tempo della sua infanzia e offrendo un contributo al giornale. Nella sua lettera ci parla di quando a sei anni faceva il “garzoncello” dagli Orselli, i Febar d’Sapangrezi, a due lire la settimana. Sandoli ci racconta un episodio della sua vita che vogliamo riportare integralmente perché, oltre alla divertente situazione, si nota in modo evidente quanto sia cambiata la società durante questo secolo: “...Bascian, Bastiano, uno dei tre fratelli, ... sdraiato su di un tavolone sostenuto da un’impalcatura di legno, stava affilando alcuni attrezzi soffregandone il taglio su di un’enorme ruota di pietra da rudé. La ruotona aveva un grosso perno di ferro il quale si prolungava ai due lati assumendo la forma di due grandi manovelloni che servivano per metterla in moto. Un giorno, da una parte c’era un garzoncello di circa quattordici anni, dall’altra c’ero io. Io però contavo poco perché nella fase
ascendente rimanevo appeso ed in quella discendente non facevo che seguire passivamente il manovellone. “ Sempre a proposito degli Orselli, abbiamo ricevuto una telefonata da Ermanno Silvestroni, il quale ha voluto precisare che la fama degli Orselli non è nata con la produzione delle caveje, ma risale al tempo in cui da tutta la Romagna venivano a San Pancrazio perché non c’era nessuno come gli Orselli che sapessero temprare “paletti e pennati” e altri attrezzi da lavoro. Per non dimenticare poi la bravura nello stringere i cerchi delle ruote dei carri. Per quanto riguarda l’allevamento del baco da seta Ermanno ribadisce quanto fosse importante la seta nell’economia familiare a San Pancrazio. Tutti cercavano di trarre un vantaggio economico dalla seta, “persino il Generale Luigi Sandoli”, sostiene Ermanno, “ha comprato della seta a Russi per venderla a Forlì.” Anche Tino Babini ci scrive una lunga lettera dedicata agli Orselli, lettera che conserviamo per quando andrà in porto il progetto del Dott. Fabbri, presidente della Pro Loco di Russi di dedicare una ricerca monografica agli Orselli. In sostanza la tesi di Tino è la seguente: come avevano fatto gli Orselli a conoscere e ad usare nello stelo delle caveje quei fregi che sono uguali a quelli dell’Elmo di Ramsete II d’Egitto? Che sia la conferma che la caveja l’avevano portata i Romani dall’Egitto? Mistero. Sulla formula segreta della tempera Tino ipotizza che gli Orselli usassero dell’olio lubrificante e della polvere da sparo, che lasciassero un po’ a bagno i coltelli e poi li lasciassero raffreddare all’aria? Altro mistero. Per quanto riguarda la “Caveja Campanena”, secondo Tino il nome deriva dal fatto che la Domenica di Pasqua dell’anno 1400 a Russi, quando il prete andò a suonare la messa, la campana si ruppe, e per chiamare i fedeli, usò la caveja dagl’aneli. Da Almese in Piemonte, ha scritto il signor Melandri Manfredi. Ringrazia il maestro Gigino per i primi due numeri di “Dri l’irola”: una cosa bella, afferma, per illustrare ai giovani la vita dei loro progenitori. Offre un contributo per incoraggiare le iniziative culturali della Grama e termina la sua toccante lettera con un grande:
Viva la Romagna! Viva i Romagnoli!
Dri l'irola
La posta dei lettori
(a cura di Luciano Minghetti)
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Il campanile della Pieve romanica di San Pancrazio.
Con una lettera del 16 marzo 1998
l’Associazione Campanari Romagnoli di Russi ci informa della situazione del campanile della nostra chiesa: “Adempiendo ad un preciso compito di questa Associazione (Associazione Campanari Romagnoli di Russi, ndr), ci permettiamo segnalare lo stato di degrado in cui si trova il campanile della Vs. chiesa. Grati se ve ne interesserete, dando fin da ora la nostra disponibilità. Con amicizia.” Ringraziamo Tino Babini per la sua segnalazione. L ’Associazione Culturale La Grama, come ha offerto un contributo al recupero dell’affresco
della chiesa parrocchiale di San Pancrazio, così non mancherà di affrontare la questione del campanile nelle sedi opportune, perché il campanile è un bene comune e fa parte della storia del paese.
In occasione della festa della donna presso l’Auditorium del Centro Polivalente di Russi è stata allestita una mostra fotografica “femminile” voluta dall’Assessorato alle Pari
Opportun i tà de l nostro , Comune . Particolarmente apprezzate sono state le foto ed i relativi commenti dedicati alle edicole votive sparse sul territorio di San Pancrazio. La mostra sarà riproposta anche per i Sett Dulur.
♦ Abbiamo ricevuto diverse telefonate di persone che hanno difficoltà ad inviarci il loro contributo per il giornale.
Proponiamo loro di recarsi all’uffico postale con il bollettino allegato a questo numero: ci è sembrata la soluzione più pratica. Attenzione ad indicare chiaramente il vostro nome e il cognome.
♦ Scrivere al giornale su qualsiasi cosa, grande o piccola che sia, che abbia avuto a che fare con San Pancrazio.
♦ Non buttate via vecchi indumenti e vecchie scarpe anche se rotte. Dobbiamo riempire l’armadio del Museo.
R i nnovo de l Consiglio Direttivo della Grama. Si è svolta il 30 gennaio 1998 presso il Centro Civico di San Pancrazio l’Assemblea annuale dei Soci de “La
Grama”. Dopo la presentazione delle relazioni sulle attività e sulla situazione economica dell’Associazione si è passati al dibattito al termine del quale il Consiglio Direttivo in carica ha rassegnato le dimissioni per scadenza del mandato (3 anni) previsti dallo Statuto. e si è
passati alle votazioni per il rinnovo del Consiglio che ora è composto dai seguenti consiglieri: Bendandi Franco, Buscherini Nevio, Calderoni Luisa, Dolcini PierVincenzo, Minghetti Luciano, Pezzi Vittorio, Silvestroni Luigi. Nella successiva riunione del rinnovato Consiglio
Direttivo sono state distribuite le poltrone nel seguente modo: Presidente: Silvestroni Luigi, responsabile del Museo e attività connesse; Vice-Presidente: Calderoni Luisa, responsabile dei rapporti con gli Enti Pubblici e la Stampa;
responsabile del Corso di cucina; Segretario: Minghetti Luciano, coordinatore delle attività, responsabile della produzione; Amministratore: Dolcini PierVincenzo; Responsabile Organizzativo: Bendandi Franco; Corsi di Orditura e Tessitura: Buscherini Nevio;
Gite Culturali e Turistiche: Pezzi Vittorio;
Convenzione Fra il Comune di Russi e l’Associazione Culturale La Grama di S. Pancrazio. Il Consiglio Comunale, nella seduta di giovedì 26 febbraio ha approvato la Convenzione con La Grama secondo la quale l’attuale Raccolta Etnologica Romagnola, posta presso la Scuola
Elementare di San Pancrazio, diventa Museo della Vita Contadina in Romagna ed entra a far parte del Sistema Museale della Provincia di Ravenna. Sarà regolarmente aperto al pubblico nei giorni di giovedì pomeriggio e domenica mattina e, su
prenotazione telefonica, in qualunque momento. Visitare il Museo costerà duemila lire e questi soldi saranno spesi per il restauro e la manutenzione dei quasi mille pezzi presenti nelle sale del Museo e nei locali di deposito, e di quelli nuovi che ogni settimana entrano a far parte del
Museo. Naturalmente per le Scuole e i gruppi organizzati è prevista una riduzione di tariffa.
Dri l'irola Notizie in breve
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Le attività de “La Grama” nel 1998
Argomento di ricerca per il 1998: latte e formaggio, produzione casalinga.
Allestimento di una stalla in cui poter mostrare dal vivo tutte le fasi di questa attività della famiglia
contadina.
Orditura e Tessitura: allestimento del 3° Corso di Base, 3° Corso Intermedio e 1° Corso avanzato.
Cucina povera: 1° Corso
Gita turistica al Giardino Botanico di Città di Castello e alla città di Urbino.
27 settembre 1988: manifestazione culturale
dedicata al latte e al formaggio fatto in casa.
Inserire qui l'indirizzo
del destinatario
La quota 1998 per associarsi alla “GRAMA” è di lire 20.000
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ssess. alla
Cultura
Materiali realizzati da “La Grama” “Quaderni” di testimonianze orali: Il Grano e il pane: ieri e oggi; Una vita fra la canapa; Tessitura che passione! Una vita fra i bigatti; “L’evoluzione di S.Pancrazio” Documentari su: Testimonianze dal Museo della civiltà contadina; Il grano e il pane: ieri e oggi; Una vita fra la canapa; Latte e formaggio: produzione casalinga e artigianale; Una vita fra i bigatti; Per le pubblicazioni de “La Grama” chiedere informazioni al 0544/534303
Supplemento curato da:
Ass. cult. “La Grama” Via della Resistenza, 12
48020 San Pancrazio (RA)
Tel. (0544) 534303 - Fax 534775
E-mail: minghetti @ netgate.it