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Stefano «S3Keno» Piccoli
Roots 66
Oggi sei stanco, padre.Passata una vita, sei vecchio.
E adesso tocca a me,alla mia rabbia.
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Roots 66
Collana «Prospero’s Books» n. 23I edizione: ottobre 2009
Soggetto, sceneggiatura, disegni e lettering: Stefano «S3Keno» PiccoliGrafica di copertina e impaginazione: Tunué S.r.l.Illustrazioni di copertina e interne: Stefano «S3Keno» Piccoli
Text and illustrationsCopyright © 2009 Stefano «S3Keno» Piccoli/Tunué S.r.l.All rights reserved.
Direzione editoriale: Massimiliano Clemente
Tunué S.r.l.Via Bramante 32 – 04100 Latina – Italytel. 0773 661760 | fax 0773 [email protected] | www.tunue.com
ISBN-13, GS1 978-88-89613-69-6
Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 presso:Arti Grafiche Civerchia S.r.l.Via Pantanaccio 82/B04100 Latina – Italy
Carta:Hello Silk + 300 g/m2 (copertina)GardaMatt Art 150 g/m2 (interni)Roots 66 è stampato su carta «amica delle foreste» certificata FSC
Di Stefano Piccoli presso Tunué:Album Stefano Piccoli (Collana «Album» n. 12)
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Stefano Piccoli, detto S3Keno (Roma, 1970),giornalista musicale, illustratore, autore difumetti e grafico.Come giornalista fonda e dirige Biz Hip Hop
Magazine per le Edizioni Magic Press e la te-stata Blackmagazine.it per Nexta Media; at-tualmente collabora per diverse testate perio-diche tra cui il settimanale Vanity Fair e ilmensile Rockstar per i quali realizza intervi-ste esclusive a grandi star della musica inter-nazionale.Ha svolto il ruolo di art director per marchidi abbigliamento giovanile come Pickwick eOnyx. Oggi collabora come consulente crea-tivo con il gruppo Cartorama per cui cura lelinee scolastiche e cartotecniche di vari mar-chi come Disney e DC Comics.Negli anni i suoi lavori sono stati pubblicatida Comic Art, Play Press Publishing, EuraEditoriale e Magic Press, tuttavia come auto-re di fumetti si forma nel mondo dell’autopro-duzione. È tra i fondatori della Factory, unadelle più interessanti esperienze di editoriaindipendente, fa parte dei fumettisti presen-ti su Katzyvari e Tribù, importanti riviste delcircuito underground.il Massacratore (Bottero Edizioni) è la suacreatura più conosciuta e che lo ha reso unautore noto anche al di fuori del settore del-l’autoproduzione.
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Tutto è cominciato con una puntata di Pop-Corn: gente che girava sulla testa, di-schi mandati avanti e indietro sotto alle puntine, due minuti e il tunnel era incomin-ciato. Ogni tanto la Creatura riemergeva dal mistero e lasciava intravedere parti di sé.Ora la foto di un pezzo su un giornale di moda, ora un moonwalkin’ in un telefilm.
Mai associate, le parti si componevano in un tutto logico. Ancora non ne conosce-vo il nome e già ne riconoscevo i tratti. La Cosa iniziava a crescere intorno, dentro.Poi arrivò il nome: hip hop. E fu subito un orologetto profumato, nelle edicole e nel-le librerie i primi corsi di breakin’ e tutti a imitare i Break Machine. Per trovare undisco dovevo fare il giro di quattro negozi e ascoltarne cento. Ero solo. Ero convin-to che tale sarei rimasto e non mi preoccupai di cercare nessun altro, che sciocco.
Poi vidi i primi muri dipinti, molto lontano dal posto in cui vivevo, troppo. Conti-nuai a documentarmi isolato dal resto della scena. Beat Street, Breakdance, trentasecondi di Flashdance, e non ho mai ballato. Poi ho scoperto che il filo che univaogni componente dell’hip hop si chiamava Zulu Nation: «peace, love & unity». E mimisi alla ricerca del beat perfetto.
Compresi come potesse dare forza alle parole e iniziai a inseguirlo. Pian piano lefrontiere culturali divennero più permeabili e arrivarono i primi video. Poi i secon-di. L’informazione esplose, costituita da trafiletti, da «identikit del perfetto b-boy»,glossarietti, marche, espressioni idiomatiche, mani che fanno le corna, «Yo! Yo!». No-nostante tutto ciò, «peace, love & unity» mi sembravano ancora più importanti.
Poi hanno inventato per noi «la musica Posse»; qualunque cosa si dicesse andavabene, bastava fosse contro. Bisognava lottare per restare aggrappati alla propria emar-ginazione come se fosse l’unica cosa che era lecito possedere. Poi sono venuti i bluejeans con i graffiti sopra, rap è diventato sinonimo di giovane e di moderno: UnoRap, Liquidator Rap, e sono tornate le marche, le espressioni, i glossarietti.
Oggi l’emarginazione non paga più, tocca essere inseriti, frequentare. Non è piùuna vergogna firmare per una casa discografica vera, oggi è diverso. «Peace, love &unity» rimangono il cardine, e il beat perfetto non si è ancora fatto raggiungere.
E mi misi alla ricerca del beat perfettodi Frankie Hi-Nrg Mc
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Non mi sono mai chiesto se c’entrassi o no nel fatto che oggi la cultura hip hopstia iniziando ad avere una diffusione molto grossa anche in Italia. Comunque nonme lo chiedo, e non è un problema se l’hip hop lascia un segno dentro di me anchese io – forse – non lascerò un segno nell’hip hop. Il solo fatto di cercare questo tipodi risposta sarebbe in netto contrasto con il mio credo di b-boy.
I b-boys nascono per contaminazione, da un ascolto di musica fortuito, dallo sba-lordimento di fronte a un graffito e la voglia conseguente di fare la stessa storia, dalvedere lo stato di grazia di un dj con le palle mentre cutta due copie dello stesso di-sco, dai movimenti di un altro b-boy mentre balla, dal break di una ritmica o da ungiro di basso che vorresti far girare all’infinito.
I b-boys crescono alimentandosi di progressi ottenuti con la fatica, di sfide con al-tri simili, con il gas tossico delle bombole, di musica estrema fatta da gente estre-ma, di ritmo, di adrenalina, di ore passate sui giradischi e sul mixer, di business, diodio, di amore, di notte.
I b-boys rappresentano i propri amici, la propria musica, il proprio stile, il proprioquartiere. Con gli unici maestri che riconoscono e rispettano, sono in competizioneestrema, aspirando sempre al massimo livello. Il migliore. I b-boys non li puoi fer-mare, li puoi solo guardare o ascoltare. Se non vuoi condividere non puoi sperare dientrare e comprendere. Devi dare la tua parte, sperando di dare il meglio. Per rap-presentare.
I B-boys nascono, crescono, rappresentanodi Ice One
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