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Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica...

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I 26-065-A-10 Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana G. Barette, X. Dufour, A. Cerioli Il massaggiatore-cinesiterapista è spesso portato a trattare dei pazienti che presentano un eccesso di ten- sione dei ventri muscolari (contratture) nella sua pratica quotidiana. Egli utilizza ormai comunemente le tecniche di stiramento postisometrico tipo «contrazione-rilassamento». Ora, questa impostazione ha i suoi limiti, in particolare nella fase acuta (postoperatoria, rachialgie, ecc.). Eppure, esiste un’altra maniera, poco conosciuta in Francia, di trattare queste disfunzioni: è la strain-counterstrain (letteral- mente «tensione-controtensione») che consiste nell’individuare una posizione di benessere, in genere in accorciamento della struttura, che permette il rilassamento di punti precisi induriti e dolenti chiamati ten- der point. L’articolo espone la storia di questo approccio, che risale agli anni 80, così come le concezioni dei vari autori che vi si sono interessati. Il ruolo di questa tecnica di liberazione tissutale, dalle basi fisiolo- giche diverse e a volte contestate, si situa a monte del potenziamento muscolare nell’arsenale terapeutico. La chiave del successo risiede nella qualità del posizionamento passivo del paziente e del mantenimento in questa posizione da parte del terapista in funzione delle zone da trattare. Si tratta di una tecnica funzionale dolce, atraumatica e che presenta poche controindicazioni. Le varie posizioni di trattamento sono codificate dagli autori (con alcune variazioni), il che permette di definire delle grandi linee di gestione e di sequenze di trattamento. Degli esempi di trattamento permettono al lettore di apprendere meglio questo approccio che manca ancora, a tutt’oggi, di una validità scientifica irrefutabile. © 2013 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati. Parole chiave: Strain-counterstrain; Accorciamento muscolare; Contrattura; Posizione di benessere; Tender point; Procedura funzionale Struttura dell’articolo Introduzione 2 Cenni storici sulla tecnica 2 Elaborazione e sviluppo di una tecnica a pieno titolo 3 Altri autori 3 Ruolo della strain-counterstrain nell’approccio terapeutico al paziente 4 Tecnica o metodica? 4 Basi fisiologiche della strain-counterstrain 5 La tecnica oggi 5 Fisiopatologia 5 In che modo la strain-counterstrain permette di regolare questo problema 7 Studi 7 Indicazioni 8 Controindicazioni 9 Controindicazioni assolute 9 Controindicazioni relative 9 Terapia 9 Oggettivazione di un tender point 9 Trattamento di un tender point 9 Sequenza di trattamento 11 Approccio regionale 11 Rachide 11 Arto inferiore 11 Arto superiore 12 Casi clinici 12 Conclusioni 12 L’arte della terapia manuale è antica. Io ho molta stima di quelli che, generazione dopo generazione, mi succederanno e i cui lavori contribuiranno tutti allo sviluppo dell’arte naturale di guarire. Ippocrate (460-370 a.C.). EMC - Medicina Riabilitativa 1 Volume 20 > n 1 > marzo 2013 http://dx.doi.org/10.1016/S1283-078X(12)63930-3
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Page 1: Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana

� I – 26-065-A-10

Ruolo delle tecniche distrain-counterstrain nell’arsenale delchiroterapista nella pratica quotidiana

G. Barette, X. Dufour, A. Cerioli

Il massaggiatore-cinesiterapista è spesso portato a trattare dei pazienti che presentano un eccesso di ten-sione dei ventri muscolari (contratture) nella sua pratica quotidiana. Egli utilizza ormai comunemente letecniche di stiramento postisometrico tipo «contrazione-rilassamento». Ora, questa impostazione hai suoi limiti, in particolare nella fase acuta (postoperatoria, rachialgie, ecc.). Eppure, esiste un’altramaniera, poco conosciuta in Francia, di trattare queste disfunzioni: è la strain-counterstrain (letteral-mente «tensione-controtensione») che consiste nell’individuare una posizione di benessere, in genere inaccorciamento della struttura, che permette il rilassamento di punti precisi induriti e dolenti chiamati ten-der point. L’articolo espone la storia di questo approccio, che risale agli anni ′80, così come le concezionidei vari autori che vi si sono interessati. Il ruolo di questa tecnica di liberazione tissutale, dalle basi fisiolo-giche diverse e a volte contestate, si situa a monte del potenziamento muscolare nell’arsenale terapeutico.La chiave del successo risiede nella qualità del posizionamento passivo del paziente e del mantenimentoin questa posizione da parte del terapista in funzione delle zone da trattare. Si tratta di una tecnicafunzionale dolce, atraumatica e che presenta poche controindicazioni. Le varie posizioni di trattamentosono codificate dagli autori (con alcune variazioni), il che permette di definire delle grandi linee di gestionee di sequenze di trattamento. Degli esempi di trattamento permettono al lettore di apprendere meglioquesto approccio che manca ancora, a tutt’oggi, di una validità scientifica irrefutabile.© 2013 Elsevier Masson SAS. Tutti i diritti riservati.

Parole chiave: Strain-counterstrain; Accorciamento muscolare; Contrattura; Posizione di benessere;Tender point; Procedura funzionale

Struttura dell’articolo

■ Introduzione 2■ Cenni storici sulla tecnica 2■ Elaborazione e sviluppo di una tecnica a pieno titolo 3■ Altri autori 3■ Ruolo della strain-counterstrain nell’approccio terapeutico

al paziente 4■ Tecnica o metodica? 4■ Basi fisiologiche della strain-counterstrain 5

La tecnica oggi 5Fisiopatologia 5In che modo la strain-counterstrain permette di regolare questoproblema 7Studi 7

■ Indicazioni 8

■ Controindicazioni 9Controindicazioni assolute 9Controindicazioni relative 9

■ Terapia 9Oggettivazione di un tender point 9Trattamento di un tender point 9Sequenza di trattamento 11

■ Approccio regionale 11Rachide 11Arto inferiore 11Arto superiore 12Casi clinici 12

■ Conclusioni 12

L’arte della terapia manuale è antica. Io ho molta stima di quelliche, generazione dopo generazione, mi succederanno e i cuilavori contribuiranno tutti allo sviluppo dell’arte naturale diguarire.Ippocrate (460-370 a.C.).

EMC - Medicina Riabilitativa 1Volume 20 > n◦1 > marzo 2013http://dx.doi.org/10.1016/S1283-078X(12)63930-3

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I – 26-065-A-10 � Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana

� IntroduzioneEreditata della medicina greca e romana, la massocinesiterapia

si basa su delle conoscenze anatomiche, biomeccaniche, fisiolo-giche e mediche il cui scopo è quello di supplire alle capacitàdeficitarie di un individuo o di ripristinarle.

Storicamente legata al sistema muscoloscheletrico, essa siriferisce etimologicamente alla terapia mediante il movimento, pro-veniente, all’origine, dalla constatazione di un’assenza di forza odi una debolezza muscolare.

A causa dell’evoluzione costante della pratica e dell’appro-fondimento delle conoscenze nelle scienze mediche, la cinesitera-pia si è orientata nel corso degli anni verso la terapia del movimento,ricercando la restrizione della mobilità e i mezzi per rimediarvi.

Da questo cambiamento di paradigma sono emerse nuovetecniche, spesso empiriche, ricavate dall’osservazione e dallapratica.

La tecnica di Jones, altrimenti chiamata strain-counterstrain(tensione/controtensione), si inserisce nelle tecniche manualifunzionali, a componente neuromuscolare, che prendono in con-siderazione il corpo nella sua totalità. Essa fa parte delle tecnicheosteopatiche che sono emerse progressivamente in seguito allepratiche strutturali definite da Still alla fine del XIX secolo e con-tinuate dai suoi successori.

“ Punto importante

Definizione dell’osteopatia«L’osteopatia è un approccio diagnostico e terapeuticomanuale alle disfunzioni della mobilità articolare e tissu-tale in generale nel quadro della loro partecipazione allacomparsa delle malattie» (Accademia di osteopatia del Bel-gio).L’osteopata dispone di differenti approcci terapeutici checonsidera adatti ai bisogni specifici del paziente, alle sueproprie affinità e alle sue proprie conoscenze [1]. Si distin-guono, tra questi [2]:• le tecniche di mobilizzazione articolare passiva lenta(tecnica generale osteopatica, tecniche funzionali diretteo indirette, ecc.) o rapida (tecnica ad alta velocità e a bassaampiezza, tecnica a bassa velocità e ad alta ampiezza,ecc.);• le tecniche di mobilizzazione articolare attive (tecnica diMitchell, ecc.);• le tecniche di mobilizzazione articolare miste (tecnichedi Sutherland, ecc.);• le tecniche riflesse (riflessoterapia del tessuto con-nettivo, punti di Knapp, punti di Head, punti trigger,trattamenti neuromuscolari, ecc.);• delle tecniche di mobilizzazione delle strutture molli esituate intorno allo scheletro (craniche, viscerali, fasciali,ecc.);• delle tecniche liquide, senza manipolazioni e che inte-ressano tutte le strutture del corpo;• delle tecniche psico-cognitive (empatia, sviluppo dellafiducia in sé, positivismo, ecc.).

Torneremo sull’opposizione e sulla complementarità tra tecni-che funzionali e strutturali.

Questa tecnica consiste nel raggiungimento di un rilassamentomuscolare e di un guadagno di mobilità, per accorciamento pas-sivo del muscolo responsabile della restrizione del movimento. Sitratta, quindi, di una tecnica o di una metodica di trattamentodelle patologie funzionali dell’apparato locomotore che interes-sano sia il rachide che gli arti. La tecnica è atraumatica e la suaoriginalità si basa sulla partecipazione attiva del paziente che

aiuterà il terapista a localizzare le zone di disfunzione e a porreil muscolo nella posizione ideale di massimo rilassamento. Jones,creatore della tecnica, la definisce come un procedimento di sol-lievo del dolore per il posizionamento passivo di un’articolazionein una posizione di massimo benessere. Questa definizione èall’opposto della nozione di barriera motoria e dolorosa. Jones sisitua, quindi, in un campo che offre un’alternativa alle tecnichestrutturali definite da Still e Fryette. Il lavoro realizzato da Jonesha permesso, nel corso degli anni, di censire i diversi punti chepermettono di applicare il trattamento. Tale campionamento hasaputo, nel corso del tempo, progredire al punto che Jones stessonon esitava, nel corso degli aggiornamenti del suo lavoro, a con-sigliare le tecniche di questo o di quel collega, più efficaci dellesue.

� Cenni storici sulla tecnicaLa tecnica è stata messa a punto come abbiamo detto prima

dal Dottor Lawrence Jones, dottore in osteopatia dal 1936, cheesercitava la medicina a questo titolo. Jones aveva, pertanto, rice-vuto un insegnamento osteopatico dei più tradizionali e praticavaall’epoca essenzialmente delle tecniche strutturali. Egli stesso pre-cisava di incontrare dei successi e degli insuccessi terapeuticinell’utilizzo di queste tecniche, che restavano improduttive. Lamessa a punto della tecnica si basa su una scoperta casuale edempirica. La storia che si trova in letteratura racconta che Jonesaveva ricevuto in studio un giovane sportivo che soffriva di unapsoite ricorrente. Si deve notare, d’altra parte, che il primo casotrattato è sempre stato descritto come una psoite, ma il sog-getto era a volte di età media e aveva sviluppato la patologiarestando curvato in avanti e rialzandosi brutalmente. Malgradociò, erano stati tentati tutti i trattamenti sia a livello strutturaleche a livello chiropratico, senza successo. Secondo il raccontodi diversi autori [3–5], il paziente, mantenendosi in flessione deltronco e lamentando dolori notturni che gli impedivano di dor-mire, si presentò allo studio medico di Jones. Dopo aver tentatodi trattarlo in modo strutturale senza alcun beneficio, Jones glipropose di individuare una posizione nella quale potesse ripo-sare con un dolore minimo. Una volta che il paziente fu postoin posizione confortevole, Jones gli chiese di mantenere tale posi-zione per un po’ di tempo (circa 20 minuti) in modo da poterlamemorizzare e riprodurre a casa. Fu aiutando il paziente a rialzarsiche Jones scoprì che il paziente era di nuovo in grado di mante-nersi diritto senza dolore. Jones ipotizzava, nel dubbio, di negarequesta scoperta, in quanto essa era contraria a tutte le conoscenzemediche dell’epoca [3, 6]. Malgrado ciò, questa seduta fu, in realtà, ilpunto di partenza della comprensione del fenomeno. Jones tentò,allora, di individuare dei casi simili. La letteratura riferisce in suc-cessive pubblicazioni parecchi casi, tra cui i più rappresentatividella metodica sono i seguenti:• un operaio che apprezzava la siesta sul divano aveva l’abitudine

di addormentarsi lasciando pendere nel vuoto il braccio. Suamoglie, temendo che gli facesse male, gli rimetteva sistemati-camente il braccio sul petto mentre dormiva. Un giorno in cuisua moglie si era assentata, il telefono suonò e sorprese l’operaioche piegò in maniera rapida il braccio prima di risvegliarsi com-pletamente. Egli avvertì un vivo dolore al bicipite. Dopo 1 mesedi dolore, egli si presentò a visita da Jones e l’anamnesi rivelòun punto doloroso a livello del tricipite, un’atrofia del bicipitee una perdita di mobilità del gomito. Jones lo trattò ponendoin posizione di estensione il gomito, come al momento delloscatenamento del fenomeno doloroso restrittivo. Un miglio-ramento funzionale netto fu constatato dopo soltanto alcunesedute. Occorre notare che il punto sensibile, o tender point, silocalizzava nel muscolo antagonista a quello che presentava ladisfunzione [3];

• un uomo d’affari prese un appuntamento a causa di doloriacuti nella regione lombare. La comparsa del sintomo dolo-roso fu prodotta da un raddrizzamento rapido, in seguito auna chiamata di sua moglie, mentre egli era curvo nel suo giar-dino. L’esame rivelava un punto localmente dolente al livelloanteriore del bacino e il trattamento fu realizzato in flessione

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del tronco, riproducendo, così, la situazione lesionale. Fu suffi-ciente una singola seduta perché fosse individuata la mobilitàristretta, dissipando così i dolori lombari, in quanto il pazienteera venuto non appena questi erano comparsi. A questo livellosi situa la nozione di intervento vicino alla posizione lesionaleconosciuta dai terapeuti. Più l’intervento terapeutico è rapido,più rapidamente è acquisita l’analgesia [3]. Le diverse osserva-zioni che Jones effettuò sui pazienti che venivano nel suostudio lo portarono a trarre delle conclusioni pratiche ripresedall’insieme degli autori, cioè:

• la messa in posizione e il mantenimento in accorciamento per-mettono di restituire della mobilità;

• il fenomeno disfunzionale non deriva dalla tensione in sestessa, ma dalla reazione del corpo alla sollecitazione;

• il ritorno lento e controllato alla posizione neutra sembra deter-minante nella riuscita del trattamento;

• la posizione lesionale mantenuta genera da un lato dei muscoliin posizione allungata e, dall’altro, dei muscoli in accorcia-mento;

• il dolore o il sintomo presentati dal paziente si riscontrano, ilpiù delle volte, dal lato del muscolo allungato, all’opposto delmuscolo spastico;

• la presenza, nel muscolo mantenuto in accorciamento, dipiccole aree tese e dolorose localmente, è evidenziata dalla pal-pazione [3].Jones divenne intimamente convinto che, contrariamente

all’insegnamento che aveva ricevuto, è il muscolo a essere respon-sabile del disturbo funzionale come conseguenza della restrizionedi movimento e non la struttura ossea, come Still sembrava enun-ciare. Egli abbandonò, quindi, il dogma osteopatico per dedicarsisolo alla sua scoperta, a cui diede il nome, in un articolo del 1964,di «correzione spontanea per posizionamento» o «spontaneousrelease by positionning» [7], che tende a informare sulla metodicadi trattamento. Era appena nato un nuovo approccio manuale.

� Elaborazione e sviluppo di unatecnica a pieno titolo

Jones ha dedicato l’intera vita a padroneggiare e a svilupparela sua scoperta. Egli dimostrò che il paziente con una restri-zione di mobilità è incapace di invertire il processo da solo. Ilpaziente si adatta e compensa per rispettare la regola del non-dolore, ricordando che «la sollecitazione o la reazione del corpoa questa scatena un processo nocivo che continua ad agire inmaniera inadeguata e diviene fonte di irritazione» [6]. A Jonespareva che «l’evidente posizione lesionale nella quale il corpomantiene un’articolazione colpita mostra un accorciamento ano-malo dei tessuti» [6], da cui la restrizione di movimento. L’insiemedegli autori è concorde sulla terminologia da attribuire a questatecnica. Essa è così descritta come «funzionale indiretta», lon-tana da ogni barriera di restrizione, permettendo il rilasciamentodel muscolo coinvolto e restituendo flessibilità ai tessuti. Essapuò essere qualificata come posizionale per il fatto di ridurreal minimo le forze usate dal paziente nel trattamento [4, 6, 8]. Perchiarire il rapporto causale (la tensione) con il trattamento (la con-trotensione o l’accorciamento), Jones modificò il nome della suatecnica e la denominò «strain-counterstrain» (SCS). Egli la definìcome «una procedura di posizionamento passivo che pone ilcorpo in una posizione di benessere massimo, attenuando cosìil dolore mediante la riduzione e la sospensione dell’attività inap-propriata del propriocettore che mantiene il malfunzionamento,permettendo, così, il ripristino del movimento. Jones utilizzò,volontariamente, una spiegazione semplice e breve dei mecca-nismi neurofisiologici applicati a questa tecnica. «Piuttosto cheimmaginare delle soluzioni dogmatiche o ipotetiche [...] io nonso. Io sono un medico e lascio ad altri il compito di spiegare ilperché della tecnica. Io so solo una cosa e ancora è che essa offresollievo ai miei pazienti» [3].

Nel momento in cui Jones stava per formulare le sue idee sullacounterstrain, Korr [9] pubblicò un articolo sulla propriocezione esulla funzione somatica che aiutava a spiegare il ruolo della pro-priocezione nel tono muscolare e nella risposta alla disfunzione.

Una parte importante del modello esplicativo si basava, quindi,sul sistema gamma e sul suo ruolo nel tono muscolare Per Jones,l’origine della restrizione della mobilità era, quindi, neuromusco-lare. L’inventore della tecnica ricordava comunque di non doverconsiderare questo come postulato di partenza. Egli precisava chela sensazione dolorosa è un dato importante da non trascurare,in quanto la prima attesa di una persona che si presenta a visitarisiede nella sua scomparsa.

In seguito, altri autori apportarono la loro pietra all’edificiodella strain-counterstrain. Van Buskirk [10] descrisse il ruolo impor-tante della nocicezione nella disfunzione somatica.

È stato ipotizzato anche il ruolo del sistema circolatorio, ma nonè stato per il momento completamente spiegato [11].

Durante questo periodo, Jones si dedicò a fissare i limiti diapplicazione della sua tecnica escludendo in particolare tutte lepatologie con ferite o danni tissutali. Egli si limitò principalmentealla restrizione di movimento indotta da uno spasmo muscolare diorigine neuromuscolare. Numerose critiche del mondo osteopa-tico lo hanno accusato di plagiare delle tecniche preesistenti. Eglistesso non nascose di essersi ispirato ad alcune nozioni comuniapprese durante la sua formazione (in particolare Hoover, perl’approccio facilitatore del trattamento). Tuttavia, egli giustificòsemplicemente la sua tecnica con il suo approccio puramentefunzionale. Egli pose il muscolo responsabile della disfunzioneal centro della sua tecnica, al posto della struttura ossea, come fa,invece, l’osteopata comune. Grazie alla sua esperienza crescente,egli stabilì che «l’incidente iniziale crea una tensione muscolareche pone l’articolazione in uno stato anomalo con l’instaurazionedi una barriera di movimento». Per il trattamento, egli proposela riproduzione passiva della posizione traumatica iniziale nellaquale si è provocato il fenomeno patologico. Noi ritorneremo piùavanti sulla definizione del termine tender point.

� Altri autoriMyers è stato l’alunno diretto di Jones. Il suo approccio, spiegato

nel suo lavoro [5], si trova all’incrocio tra SCS e tecniche di Tra-vell [12]. Egli spiegava, d’altra parte, nell’introduzione, che Jones eTravell sono stati in relazione epistolare per definire la nozione ditender point (TP) e di trigger point (TrP). In partenza, Jones avevadato il nome di trigger point ai suoi punti specifici. È dopo essersiaccordato con Travell che egli li battezzò tender point. Era certo delfatto che esistessero delle differenze notevoli tra i due punti. Il ten-der point è un punto locale che segna il livello della disfunzione,mentre il trigger point si manifesta con un dolore proiettato (targetzone). Tuttavia, la migliore risposta a questa problematica è fornitada Myers stesso. Egli trattò le zone muscolari in disfunzione conle tecniche di Jones, ma si aiutò nella diagnosi con le zone miofa-sciali di Travell. Questa combinazione agevola o, anche, affina ladiagnosi differenziale. Noi torneremo un po’ più avanti sulle dif-ferenze fondamentali e sulla complementarità di questi due punti(Tabella 1).

D’Ambrogio [13], nel suo lavoro sulla SCS, fa risalire a primal’origine dei TP. In effetti, egli confrontò questi punti con i punti«Ah Shi» utilizzati in agopuntura da oltre 5 000 anni. Questiultimi sono stati identificati sotto la dinastia Tang (618-907 a.C.).Si ritrova questa nozione di punto nei lavori dello svedese Hel-leday descritti nelle miofibrosi. Vi sono altri autori, ma è statosoprattutto Chapman a descrivere l’associazione tra alcuni riflessie il sistema linfatico. Questa interazione spiega forse le sceltecompiute da Jones di lavorare alcuni punti direttamente a livelloperiosteo e non su tessuto muscolare, come presentato nelle basidella tecnica. Tuttavia, alcuni autori, come Chaitow o Melzak, nonriscontrarono differenze notevoli tra TP, TrP e punti di agopunturaAh Shi. Chaitow insistette sul fatto che i due tipi di punti sonoidentici e di azione simile. In conclusione, secondo D’Ambrogio,i tender point sono stati scoperti da alcune migliaia d’anni in Cinae, poi, sono stati riscoperti sotto nomi differenti da autori di oriz-zonti diversi. Malgrado ciò, Jones è il solo ad avere associato il TPcon il posizionamento dell’articolazione in disfunzione. È questoche costituisce l’originalità del suo lavoro.

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I – 26-065-A-10 � Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana

Tabella 1.Confronto tra trigger point e tender point.

Trigger point Tender point

Dolore caratteristico Assenza di dolore caratteristico

Situato nel tessuto muscolare Situato in muscolo, tendini,legamenti e fascia

Localmente sensibile Localmente sensibile

Soprassalto quando il punto ècompresso

Soprassalto quando il punto ècompresso

Suscita un dolore irradiatoquando è compresso

Nessun dolore irradiato

Presente in una banda tesa ditessuto muscolare

Assenza di banda tissutale tesa

Contrazione riflessa inoccasione di una palpazionefissa

Assenza di risposta riflessa

Dermografia a livello del punto Assenza di dermografia

� Ruolo della strain-counterstrainnell’approccio terapeutico alpaziente

Osteopatia o chiroterapia? Storicamente, la SCS è una tecnicache fa parte della formazione osteopatica, ma, per Jones, la suascoperta lo ha condotto ad allontanarsi dall’osteopatia strutturalequale è stata definita da Still [14]. Apparirà, allora, un altro termineche è quello di «osteopatia funzionale». Questa terminologia èanche denominata tecnica indiretta. Questi approcci tecnici sonol’opera di due persone ben note in osteopatia. Sutherland è coluiche ha messo a punto le tecniche di trattamento e di valutazionedel cranio. La sua tecnica andava nel senso del massimo movi-mento per correggere le disfunzioni craniche. Egli aveva notatoche i tessuti si rilassavano più facilmente. L’altro autore, Hoo-ver, è all’origine delle tecniche funzionali nelle quali definisce lenozioni di punto di equilibrio, di ascolto tissutale mediante lapalpazione delle diverse aree interessate e di diagnosi funzionale.Egli ricerca delle posizioni di rilassamento e di grande comoditàper facilitare la correzione della zona in disfunzione. Jones rico-nosce di essersi ispirato ai lavori di Hoover. Si comprende, quindi,che la tecnica di Jones emerge in un momento in cui i vari specia-listi sembrano convinti di trovare un’alternativa alle tecniche highvelocity low amplitude (HVLA). La tecnica di Jones apparirà, quindi,a partire dal 1960 e migliorerà progressivamente nel corso deglianni. Il vantaggio delle tecniche funzionali è che esse non utiliz-zano la nozione di HVLA. Sono, quindi, totalmente abbordabiliper il massaggiatore-cinesiterapista, in quanto sono assimilabili adelle tecniche di mobilizzazione specifica che rientrano nelle com-petenze riconosciute. Alcuni istituti di massocinesiterapia hanno,d’altra parte, iniziato a integrare questo approccio nella forma-zione iniziale. Ciò ci porta a porre la questione che è l’oggetto delseguente capitolo: metodica o tecnica?

� Tecnica o metodica?Doveva necessariamente porsi la questione di sapere se si ha

a che fare con una metodica o con una tecnica. Quale diffe-renza? La metodica si definisce come una maniera ordinata dicondurre un’azione, mentre la tecnica si definisce come un mezzoper giungere a un obiettivo. Le esperienze passate hanno mostratoi limiti dei metodi di rieducazione chiusi. Quando si devonoapplicare dei protocolli rigorosi, i terapisti restano spesso bloc-cati o finiscono per chiudersi in pratiche ripetitive. Se la tecnicaserve a un obiettivo, questo deve essere determinato preventiva-mente grazie a un bilancio rigoroso e completo che permetta unadiagnosi di esclusione e differenziale, se necessario. È attraverso

una pratica ragionata della cinesiterapia che la tecnica di strain-couterstrain dovrebbe trovare il suo ruolo in Francia. Esistonodelle differenze tra i sistemi sanitari, a seconda dei paesi, chepossono spiegare le differenze nei metodi di formazione e diesercizio di una tecnica, in funzione della formazione iniziale edel riconoscimento dei titoli di studio. La parte più complicatarimane l’acquisizione della destrezza manuale, ma, anche in que-sto caso, noi ritroviamo i principi stessi di tutte le tecniche dichiroterapia, che sono della pratica e sempre della pratica. Lamemorizzazione dei punti avviene per ripetizione e il possessodi una cartografia precisa permette di facilitare il lavoro. In que-sto noi riteniamo che la SCS faccia parte delle tecniche che ognipraticante di chiroterapia deve conoscere. Sta a lui affinare il suosenso del tatto con una pratica regolare e una memorizzazionedei punti. Con un po’ di abitudine, questo approccio si imparae permette una regolarità nel trattamento. Malgrado ciò, Jonesstesso precisa che il successo non è sempre assicurato [3] e cheè, a volte, necessario ritornare alle tecniche strutturali. Nel rilas-samento miofasciale spontaneo e nei tender point [15], Debrouxfornisce anche lui delle percentuali di successo: o le sue, 65%dei casi per i quali la tecnica strain è stata sufficiente, o quelledi Burnotte. In effetti, egli cita i risultati di uno studio realiz-zato da quest’ultimo (1984) che ipotizza che la tecnica di energiamuscolare sopprime i trigger point nei due terzi dei casi, la tec-nica HVLA nei tre quarti dei casi e la tecnica di counterstrain neidue terzi dei casi. Egli raccomanda, in caso di fallimento, di asso-ciare senza esitare una tecnica funzionale a una tecnica strutturale,in quanto ciascuna ha i suoi obiettivi specifici. Quelli funzionalisono piuttosto nella correzione delle componenti neurofisiologi-che, mentre quelli strutturali sono piuttosto nella correzione dellacomponente biomeccanica. Questa ricchezza tecnica corrispondealla possibilità di associare e di completare le azioni. Nell’ultimaedizione del suo libro, Jones ringrazia alcuni dei suoi colleghi perle correzioni e i miglioramenti apportati alla tecnica con la loroimpostazione personale.

Nella nostra pratica, accade di iniziare la seduta con una tec-nica di Jones e di proseguire con una tecnica a leve corte (HVLA),approfittando del «silenzio muscolare» per terminare la riarmo-nizzazione articolare.

L’approccio di Jones ci sembra interessante, in quanto non com-porta rischi particolari a livello della sollecitazione articolare. Nonvi è una nozione di barriera e di dolore nell’approccio terapeu-tico. Esso seduce per le sue possibilità in pazienti timorosi ed èun’alternativa alle tecniche di «contrazione-rilassamento». È unatecnica di chiroterapia utilizzabile tanto dagli osteopati che daicinesiterapisti per i motivi riportati sopra. Quelli che speranodi andare fino al termine dell’approccio possono formarsi allametodica. Tuttavia, il paradosso esistente tra una metodica e unatecnica è che la tecnica può sempre evolversi, mentre la meto-dica evolve poco. Inoltre, uno studio della letteratura evidenziadelle modificazioni nel trattamento e nelle sue modalità. Così laposizione di mantenimento di 90 secondi non è una necessitàassoluta, in quanto ogni paziente è un caso particolare e un tera-peuta esperto, associato a un paziente che sa rilassarsi, permette diottenere più rapidamente il risultato. Rennie ha così combinato leposizioni di strain con degli esercizi specifici. Rennie [11], Myers [5]

e Ravin [16] si sono accorti che un numero certo di trigger point erasituato in una zona identica a quella dei tender point. Essi hanno,dunque, tentato di trattare il trigger point trattandolo in una posi-zione di rilassamento massimo derivante dalla strain-counterstraine con successo.

Inoltre, una delle fonti di confusione per gli studenti viene daJones stesso che, nel corso degli anni, ha modificato il nome deitender point, al punto che esiste ancora una certa confusione. Ineffetti, alcuni dei punti sono denominati in funzione della disfun-zione, altri in funzione della vicinanza del punto di repere, altriancora in funzione della diagnosi riscontrata e, infine, un certonumero è denominato con il nome del muscolo dove il TP èsituato. È, quindi, chiaro che oggi occorre specificare la nomen-clatura dei punti al fine di evitare confusione negli studenti.

Nelle linee che seguiranno, tenteremo una rilettura delle basifisiologiche proposte da Korr negli anni ′70, per sapere se lespiegazioni offerte in tale epoca sono ancora di attualità o sedobbiamo andare un po’ più lontano nella parte del supporto

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fisiologico. Non resta, comunque, meno vero che l’applicazionepratica rimane efficace come in molte tecniche cinesiterapiche.

� Basi fisiologiche dellastrain-counterstrainLa tecnica oggi

Jones ha proposto un meccanismo lesivo a proposito dei puntisensibili e ha proposto una teoria sulla maniera in cui la tec-nica scatena la risposta adeguata sulla base di principi fisiologici.Egli ha, quindi, trattato il meccanismo lesionale nella manieraseguente:• un evento provoca un allungamento rapido di un muscolo;• un feedback afferente indica una possibile lesione miofasciale

nel corso di uno stiramento;• il corpo tenta di prevenire le lesioni miofasciali contraendo

rapidamente i tessuti miofasciali interessati (accorciamentodell’agonista) e ciò allunga il muscolo antagonista;

• l’accorciamento rapido dell’agonista e l’allungamento contem-poraneo dell’antagonista determinano un riflesso inadeguatoche si manifesta con un punto sensibile nel muscolo antago-nista.Questo conferma la definizione della tecnica data come «un

sistema di diagnosi e di trattamento che considera che la disfun-zione sia un riflesso di stiramento inappropriato, continuo, cheè inibito adottando una posizione di stiramento moderato nelladirezione esattamente opposta a quella del riflesso. Ciò si accom-pagna a un posizionamento diretto specificamente sul puntosensibile per ottenere la risposta terapeutica auspicata» secondol’«Educational Council on Osteopathic Principles».

Esistono, dunque, numerosi postulati quanto alla modalitàd’azione di questa tecnica, ma la maggior parte include le relazionitra afferenze Ia ed efferenze gamma, nonché la nocicezione.

FisiopatologiaKorr, in seguito ai suoi lavori in fisiologia fondamentale, ha

tentato di stabilire una relazione tra disfunzione somatica e limi-tazione del gioco articolare attraverso i meccanocettori. Questoapproccio è stato completato da una teoria basata sui nocicettori.

Korr [9] rende responsabile, nel suo modello neurologico, il fusoneuromuscolare o le terminazioni nervose propriocettive nellagenesi della disfunzione articolare.

Questo concetto trova la sua origine:• nell’importanza della riduzione dell’ampiezza articolare o della

mobilità articolare che caratterizza la disfunzione somatica;• nella funzione muscolare che funge da freno per «resistere» al

movimento articolare.Korr sviluppa, quindi, il suo modello a partire da un doppio

concetto, costituito dai «movimenti facilitati» e dai «movimentiresistiti», fondato sul comportamento di un’articolazione sede diuna disfunzione in cui il movimento libero è indolore in alcunisettori e resistente con dolori nei settori opposti. Per questo autore,è la contrazione monolaterale dei muscoli che pone l’articolazionein una certa posizione. La contrazione dei muscoli resiste al movi-mento di allungamento o di stiramento (movimento resistito) epermette la libertà del movimento nelle direzioni che avvicinanole inserzioni muscolari. Per Korr, è l’afflusso di attività gammache aumenta le scariche afferenti provenienti dal fuso neuromu-scolare (FNM) e che è responsabile di uno spasmo muscolare.Quest’ultimo pone l’articolazione in una posizione che impedisceogni ritorno in posizione neutra.

Secondo Kusunose, nella strain-counterstrain [3], l’implicazionedel fuso muscolare nel malfunzionamento somatico è fondamen-tale. L’idea è di partire da un’articolazione a riposo e di osservarecosa avviene quando sono applicate le nozioni di strain e counter-strain. Noi riteniamo che il lettore conosca il ruolo dei vari fusineuromuscolari e la loro innervazione propria. Malgrado ciò, neitesti allegati, ripetiamo le principali linee di questo sistema.

Per Silvestre [4], si tratta di una sequenza di un’articolazionegenerica. Essa ha un muscolo A e un muscolo B (Fig. 1). La

1

1

1

2

2

2

A

1

1

1

2

2

2

B

1

1

1

2

2

2

CFigura 1. Modellizzazione della disfunzione somatica. Ruolo delmuscolo.A. Neutro.B. Tensione.C. Disfunzione.

frequenza di scarica delle terminazioni nervose annulospirali èrappresentata qui di seguito. Si ritrova la descrizione classica chetenta di evidenziare la disfunzione.

La Fig. 1A rappresenta un’articolazione in posizione neutra;agonisti e antagonisti sono rilasciati. I muscoli hanno un’attivitàelettrica identica da una parte e dall’altra.

La Fig. 1B rappresenta un’articolazione sede di una solleci-tazione. Il muscolo A è stirato in maniera anomala mentre ilmuscolo B è accorciato al massimo. La frequenza di scarica èaumentata a livello del muscolo A, a causa dello stiramento deifusi, mentre l’attività elettrica è quasi nulla a livello del muscolo B.In effetti, l’accorciamento del muscolo inibisce l’attività afferentefusoriale, mentre lo stiramento del muscolo A inibisce reciproca-mente il muscolo B.

Possono verificarsi due casi esemplari: ritorno alla norma conun movimento lento che accorcia progressivamente il muscolo A:tutto ridiviene normale a livello del fuso. Si tratta soltanto di unasituazione di stiramento esagerato e nulla di più.

Tuttavia, se l’organismo reagisce come nella Fig. 1C a questaposizione di sollecitazione con un movimento rapido detto daKorr di panico, per ritrovare la posizione neutra, avviene uno sti-ramento rapido a livello del muscolo B e dei suoi fusi. Il ruolodel fuso nel muscolo B è di individuare le variazioni rapide dellefibre extrafusali. La risposta di scarica delle terminazioni spirali-formi è proporzionale a questa variazione. I fusi di B riferisconoal sistema nervoso centrale (SNC) uno stiramento prima ancorache il muscolo raggiunga la sua lunghezza normale di riposo. Ci siritrova, quindi, con un muscolo spastico in B e non in A come ci sisarebbe potuto attendere. Il muscolo B fissa allora l’articolazionein una certa posizione che resiste a tutti i tentativi di allungamentoper ritrovare una posizione normale. Questa reazione è tanto piùforte in quanto, secondo Korr, esisterebbe un postulato che è ilseguente: il SNC, non ricevendo più informazioni a livello delfuso neuromuscolare, aumenta in maniera significativa le scari-che gamma a livello delle fibre intrafusali per mantenere il fuso inattività o per farlo riprendere. Questa facilitazione gamma (highgamma pain) aumenterebbe la sensibilità del fuso allo stiramento.

Si comprende dunque che, al momento della reazione dipanico, il muscolo iperaccorciato reagisca con un’intensità taleda provocare questa limitazione di ampiezza. Si può, quindi, dire(secondo Korr) che più l’attività gamma è elevata più la contra-zione muscolare aumenta e più la resistenza allo stiramento ègrande. Ciò si può tradurre anche nel fatto che il fuso induce unacontrazione su un muscolo iperaccorciato.

Per Jones e Korr, la disfunzione somatica è una conseguenzadella reazione dell’organismo a una sollecitazione e non una con-seguenza dello stiramento.

Si comprende, dunque, che la risposta a questa problematicasia la strain-counterstrain, utilizzando la posizione di benessere, perrilasciare lo spasmo muscolare riducendo l’attività aberrante delFNM. Ciò è ottenuto riproducendo la posizione iniziale di solle-citazione o applicando una controsollecitazione (counterstrain). Ilritorno in posizione neutra avviene lentamente per evitare qual-siasi rilancio all’interno del fuso neuromuscolare.

EMC - Medicina Riabilitativa 5

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I – 26-065-A-10 � Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana

Stiramento

Stimolonocicettivo

Riflessi midollari di protezione(riflesso di flessione)

Attività muscolarelocale in corsa interna

Mantenimentodell'accorciamento muscolare

Alterazione dellamobilità articolarelocale (ipomobilità)

Riorganizzazione deitessuti connettivi circostantiin una forma ridotta (evita

una contrazione permanente)

Inibizione deimeccanocettori

Effetti possibilisui visceri

Effetti possibili sullarisposta immunitaria locale

Vasodilatazioneed edema tissutale

Attivazione delsistema simpatico

Attivazionedei nocicettori

Figura 2. Modello di Van Buskirk.

Questa teoria sembra interessante, ma una rassegna biblio-grafica ci offre una diversa luce sulla nozione di disfunzionee altri meccanismi possono conferire un nuovo aspetto a que-sta impostazione derivata dai lavori di Korr. Anche il ruolo deinocicettori nella spiegazione del dolore associato alla contratturasembra essere una pista da esplorare. In effetti, nel 1975, Korr [9]

apportava la seguente sfumatura: «L’ipotesi dice soltanto che ilsegmento leso si comporta come se l’attività del motoneuronegamma (l’accumulo) fosse stata aumentata. Sottoponendo questaipotesi, che si riveli fondata o meno, mi auguro che essa stimoligli studi e le domande tanto nella pratica clinica quanto in labo-ratorio, inducendo una migliore comprensione e delle teorie piùsolide e più efficaci nell’esercizio ambulatoriale». Questa ipotesi fucitata in seguito come un aspetto importante della disfunzione,da Jones [3] e Mitchell Jr. [17], rispettivamente autori di Strain andCounterstrain e delle Tecniche di energia muscolare.

Grazie a una spiegazione scientifica sostenibile, basatasull’osservazione clinica e sulla reazione al trattamento, la teoriasembra soddisfacente a molti professionisti osteopati; le reazionisomatiche in rapporto con uno stato viscerale particolare furonodi grande interesse, come attestano la spiegazione esaustiva e idiagrammi contenuti in un articolo di Schaefer, Bailey e Grain-ger [18].

Comunque sia, curiosamente, Mitchell aggiunge una smentita:«Al giorno d’oggi, nell’attesa di ricerche di laboratorio più perti-nenti, la teoria sulle tecniche di energia muscolare (muscle energytechniques, MET) si basa sull’empirismo clinico».

Per molti, tuttavia, l’ipotesi è stata accettata come oro colato ebasata su dei fatti. Questa ipotesi è rimessa in causa dal modellonocicettivo, che è un altro aspetto dell’eredità contemporanealasciata dal concetto di «segmento facilitato» per via parasimpa-tica. Noi non ritorneremo sui diversi meccanismi di controllodel dolore e dei suoi diversi circuiti. A ciò sono dedicati degliarticoli. Noi tenteremo di estrarne gli elementi più importanti

per il terapista. Un’ipotesi concorrente sulla causa della facilita-zione segmentaria a monte della disfunzione è stata avanzata daVan Buskirk [10], che suggerisce che la causa primaria dell’ipertonomuscolare persistente sia secondaria a un fattore afferente noci-cettivo, piuttosto che a una causa propriocettiva (Fig. 2).

Sempre per Sylvestre e Baecher [4], il nocicettore è il perno dellacomprensione della counterstrain. La disfunzione somatica nonè un semplice disturbo muscoloscheletrico isolato, ma collegapiuttosto le restrizioni muscolo-scheletriche locali a una varietàdi altri fenomeni che comprendono il dolore, l’estensione dellarestrizione, la stimolazione del SNA, le disfunzioni viscerali e ladisregolazione del sistema immunitario. Il modello di Van Buskirkstudia passo per passo la maniera in cui il nocicettore può essereall’origine della disfunzione somatica:• un trauma minore attiva i nocicettori in una parte del muscolo

interessato;• l’attivazione dei nocicettori invia degli influssi in tutte le rami-

ficazioni del nocicettore e del midollo spinale (senso dromicoe antidromico);

• gli influssi negli assoni liberano dei trasmettitori peptidici cheprovocano una vasodilatazione, uno stravaso dei liquidi e unafflusso delle cellule immuni a livello del focolaio traumatico.Le cellule immuni liberano a loro volta altri mediatori cheaumentano lo stravaso locale e la vasodilatazione. Ciò portaa un abbassamento della soglia di nocicezione. Il riflesso asso-nale si estende anche verso il SNC e verso la periferia. Gli influssiintramidollari stimolano per via sinaptica i neuroni midollari.Questi neuroni possono provocare la stimolazione su tre livelli:

• a livello centrale attraverso il riconoscimento del dolore, com-ponente cognitivocomportamentale tra l’altro;

• a livello del sistema intermediolaterale per stimolare i neuronipreganglionari del SNA;

• a livello del pool dei motoneuroni traducendosi in riflessi didifesa.

6 EMC - Medicina Riabilitativa

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Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana � I – 26-065-A-10

Le risposte dovute ai riflessi nociautonomi sono tanto numerosequanto diverse: effetti cardiotonici, vasocostrittori o vasodilata-tori, stasi gastrointestinale, broncodilatazione.

Tuttavia, la risposta simpatica è massima nel segmento ver-tebrale interessato e la persistenza di questa attività simpaticafinisce per avere un effetto deleterio sull’organo. Anche la fun-zione immunitaria locale può essere ridotta.

Tali riflessi nocicettivi comportano anche delle risposte segmen-tarie specifiche e spesso perfino multisegmentarie. Queste hannoun ruolo nella diminuzione degli influssi nocicettivi, ma possonotradursi o, in alcuni casi, in un accorciamento dei muscoli lesisotto l’azione dei muscoli sani adiacenti non traumatizzati o, inaltri, nel fatto che i muscoli sottostanti si contraggono per proteg-gere le strutture lese sottostanti (nozione di catena disfunzionalecara agli osteopati).

Il corpo tenta, allora, di ridurre al minimo la trasmissione noci-cettiva a livello midollare e si instaura un certo numero di effettiprimari e secondari in funzione della durata della lesione.

Gli effetti dei riflessi assonali e la vasodilatazione simpatica pro-vocano una limitazione meccanica del movimento qualunquesia l’origine della lesione, muscolare fin dall’inizio o seconda-ria. L’edema tissutale e i mediatori liberati stimolano i nocicettorilocali.

Si verifica, allora, un’evoluzione dello stato di contrazione. Se siesercita una trazione su un muscolo spastico per tentare di ricon-durlo alla sua posizione iniziale definita neutrale, si ottiene unastimolazione dei nocicettori già sensibilizzati, che provocano unaumento del riflesso di difesa. Il muscolo periarticolare non è alle-viato in una posizione di rilassamento massima, in quanto taleposizione provoca la comparsa di sollecitazioni compensatorie inaltre strutture come gli antagonisti e i muscoli attivati per sta-bilizzare il corpo. Gli influssi nocicettivi sono all’origine di unamodificazione della posizione neutra iniziale, che si sposta versouna posizione di nuovo equilibrio articolare.

Se la persistenza di questa attività si mantiene nel tempo, essaha come conseguenza la liberazione di sostanze di degradazionemuscolare che aumentano la stimolazione dei nocicettori.

L’organismo, a causa di questa cronicità e delle spese energe-tiche generate, passa, allora, alla cronicità (variabile da alcuneore ad alcuni giorni) e porta a una riorganizzazione del tessutoconnettivo da parte dei fibrociti. Ancora una volta, l’equilibriotissutale è perturbato e porta a una riduzione delle capacità diresistenza dei tessuti di sostegno. Questa riorganizzazione avvieneprincipalmente nei muscoli accorciati, mentre, per i muscoli sti-rati, il tessuto connettivo non si modifica finché le sollecitazioniin stiramento non sono esagerate.

Infine, l’articolazione non è equilibrata né rispetto alla gravitàné rispetto alla funzione e, quindi, favorisce l’attivazione nocicet-tiva e un’eventuale percezione dolorosa [4].

La disfunzione somatica comprende dunque:• una resistenza importante al movimento nella direzione con-

traria all’accorciamento di origine;• un’attivazione cronica del nocicettore, percepita o meno come

un dolore;• un’attivazione permanente del sistema nervoso autonomo

responsabile dei disturbi viscerali e immunitari.

In che modo la strain-counterstrain permettedi regolare questo problema

Nella tecnica preconizzata da Jones, i tessuti accorciati sonoancora più accorciati. Questo accorciamento permette, allora, dieliminare le sollecitazioni interne e di disattivare i nocicettori.In seguito, con il mantenimento per 90 secondi, la circolazionelocale migliora, in quanto non è più sottoposta alla stimolazionecronica simpatica. Anche l’infiammazione locale e l’edema tissu-tale si riducono man mano che vengono eliminate le sostanzechimiche dannose. Lo stiramento passivo lento che segue ilritorno in posizione neutra restituisce al tessuto connettivo lacapacità di allungarsi e di scivolare, permettendo di riassorbirele sollecitazioni e impedendo la loro trasmissione alle termina-zioni nocicettive. Questa spiegazione riunisce le tesi di Travell eSimmons che fornivano una spiegazione in due punti degli stessi

meccanismi e che sono: il dolore, seguito da una riorganizzazionedel tessuto connettivo. Questi diversi modelli si basano, tuttavia,sulla nozione di dolore cosciente e di tentativo di evitarlo, mentreil modello precedentemente trattato si basa su una manifestazioneriflessa che conduce alla disfunzione somatica.

La validazione di questo modello, anche se è seducente, si scon-tra con diversi ostacoli. Questi limiti si riferiscono all’attuazionedei diversi mezzi che dimostrano l’interazione degli elementi cen-trali con gli elementi periferici e i loro controlli.

L’originalità del modello presentato da Van Buskirk stanell’identificazione, nella disfunzione somatica, del nocicettorein quanto elemento sensoriale che collega tra di loro le limita-zioni muscolari, la stimolazione del sistema nervoso autonomo ele modificazioni circolatorie e immunologiche che ne derivano.

Questa corrente di pensiero è sostenuta da Willard [19], che cita ilavori di Anderson e Winterson, per confutare l’ipotesi del circuitogamma. Nell’esposizione di Willard, la persistenza della contra-zione mediante gli alfa-gamma non potrebbe prodursi dopo laresezione della radice dorsale dei nervi spinali, condizione dellasperimentazione in questione.

Più recentemente, Willard ha contestato il concetto del«segmento facilitato» per via parasimpatica, che può giustifi-care la disfunzione somatica, insistendo piuttosto sul ruolo diuna sensibilizzazione centrale, come fattore causale nel dolorecronico associato alla disfunzione somatica. Quest’ultima model-lizzazione include e amplia una parte dei lavori di Steinmetzet al. [20, 21], destinati ad affinare il modello della facilitazione, sup-ponendo una sensibilizzazione spinale neuronale, come una causadel dolore persistente, quale è osservata nei modelli animali.

Il tender point è descritto da Jones come una piccola area tesa,sensibile, che dà una sensazione edematosa alla superficie deimuscoli e delle fasce, di circa 1 cm. Lo si ritrova anche in prossi-mità delle zone legamentose o nel ventre di alcuni muscoli. Esso èlocalizzato nella zona della disfunzione somatica e realizza, così,uno strumento diagnostico. L’interesse, tra l’altro, del lavoro diJones è di aver identificato dei punti anteriori nel quadro delladisfunzione posteriore, il che ha permesso di trovare un certonumero di soluzioni a dei problemi lombari posteriori.

Come conclusione di questo capitolo, resta ancora un certonumero di indagini da realizzare rispetto alla tecnica messa apunto da Jones. Esistono, in realtà, pochi lavori, e alcuni pub-blicati recentemente propongono una conclusione differente.

StudiUno studio serio del 2010 passa al setaccio gli effetti della tec-

nica sulle lombalgie [22].Dei ricercatori dell’Università del Queensland, (Lewis, Khan,

Souvlis e Sterling) hanno inteso studiare più da vicino la tecnicadescritta come strain-counterstrain; 28 (in partenza 31) volontarihanno partecipato allo studio e hanno risposto ai questionari«the General Health Questionnaire-28» (GHQ-28) e «the Oswe-stry Disability Questionnaire (OSW)». Essi hanno anche indicatosu uno schema le loro aree dolorose (nel quadro di lombalgie,low back pain [LBP]) e le hanno quantificate secondo una scalavisual analog scale [VAS]. Tutti i partecipanti, suddivisi in quattrogruppi diversi, hanno ricevuto tre interventi differenti e, in unordine differente, un intervento SCS (T, quello della tecnica stessastrain-counterstrain), uno sham-SCS intervention (P) e un interventocontrollo (C). Lo studio è durato 5 giorni.

Trattamenti. InterventiStrain-counterstrain intervention

Il trattamento si esegue mediante posizionamento passivo, checorrisponde alla riduzione dei dolori dei tender point secondo unascala sensitiva, per 90 secondi. Una volta realizzata la tecnica, ilritorno alla posizione originale si esegue in maniera lenta e pro-gressiva.

Sham-strain-counterstrain interventionIl trattamento è identico, ma la posizione scelta volontaria-

mente è diversa da quella dell’intervento SCS. Così, una voltatrovata la posizione sopra descritta (quella di SCS intervention),

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Tabella 2.Termini che definiscono i parametri di disfunzione secondo il glossariodella terminologia osteopatica (NdT).

TART Tissue texture changeAsymetryRestriction of motionTenderness

STAR SensitivityChanges in tissue texture abnormalityAsymetryRange of motion change in quality and quantity

la si modifica per dare un’informazione diversa, permettendo diverificare la veracità delle affermazioni della tecnica SCS.

Control interventionI soggetti sono posti per 6 minuti nella posizione che assumono

per abitudine quando si coricano.

RisultatiI risultati sono ottenuti con le seguenti misure:

• pressione che scatena i dolori (pressure pain threshold, PPT);• variazioni elettriche delle soglie di rilevazione (electrical detec-

tion threshold, EDT);• soglie dolorose (electrical pain threshold, EPT);• questionari e VAS.

Effetti immediatiPressure pain treshold (PPT)

I tre metodi di trattamento consentono un miglioramento dellaPPT, vale a dire che è necessario premere più forte dopo il tratta-mento per provocare il dolore.

Electrical detection treshold (EDT) ed electrical pain treshold(EPT)

Anche le soglie elettriche di rilevazione e di dolore aumentanonei tre trattamenti. I migliori risultati si riscontrano dopo il controlintervention.

Effetti a breve termineNon è stata riscontrata alcuna differenza significativa relativa-

mente ai tre trattamenti, sui questionari e sulla scala VAS.

ConclusioniSi tratta del primo studio serio, che utilizza insieme lo studio

dell’attività elettrica e delle sue variazioni, di un confronto conuna sham-SCS.

Esso dimostra che la tecnica SCS permette un aumento imme-diato della PPT (diminuzione del dolore alla palpazione), ma chequesto non è specifico della SCS, come dimostrano i risultati dellosham e del control intervention.

Gli autori suggeriscono che i risultati sono solo il risultato del contattomanuale, come precisano anche gli ultimi studi sulle fasce (2009)e sulla loro dinamica autoregolatrice nervosa, quello di Hou et al.(2002) ma anche di Fryer e Hodgson (2005) e Fernandez de LasPenas et al. (2006).

Non è stato riscontrato alcun risultato sul mantenimento dellariduzione del dolore oltre le 24-96 ore dopo l’intervento.

Sempre secondo gli autori, non si è potuta notare alcuna ridu-zione sulla scala del dolore (VAS) dopo una tecnica specifica distrain-counterstrain (SCS).

Si ritrova, alla luce dei differenti approcci, la nozione di TART oSTAR in francese, che caratterizza la disfunzione somatica (Tabella2). Quest’ultima presenta un approccio multifattoriale in cui sisitua la nozione di cambiamento anomalo della struttura deltessuto, di asimmetria, di restrizione di movimento e di sensibi-lità. Questa tecnica si classifica, come sopra, nella categoria degliapprocci funzionali e delle tecniche indirette. Si pone il pazientein una condizione di rilassamento, permettendo di invertire i

disturbi tissutali osservati. Noi siamo convinti che sia la destrezzamanuale del terapeuta a poter risolvere le scelte di posizionamentodel paziente, certamente con una sua partecipazione, permet-tendo l’elaborazione di una posizione ad hoc che sia la migliorepossibile.

Tutto ciò ci porta a una nuova definizione della disfunzionesomatica.

Si tratta di un malfunzionamento dell’insieme del com-plesso corporeo (fisico, mentale e spirituale), che si manifestadi solito sotto forma di una restrizione meccanica del sistemamuscoloscheletrico (scheletrico, articolare, miofasciale [tessutoconnettivo], strutturale), spesso accompagnato da una sensibi-lità (dolore), una monolateralità, una restrizione della mobilitàe un cambiamento della struttura tissutale. Vi si associano delledisregolazioni del sistema vascolare, viscerale, linfatico e nervosocorrispondenti, in maniera causale o adattativa [23].

� IndicazioniLa prima indicazione è l’eccesso di tensione del ventre musco-

lare in assenza di mantenimento posturale (è la «renitenza» diGilles Péninou [24]). La contrattura è mioelettrica e sembra cor-rispondere a un’attività aberrante del fuso neuromuscolare [9].La ricerca di queste zone di tensione deve avvenire, in primoluogo, sistematicamente, all’opposto di quanto riferito sponta-neamente dal paziente. È, dunque, possibile una correlazionecon la postura del paziente: esempio del cervicalgico in antepo-sizione di testa per eccesso di tensione del piano anteriore (SCM,scaleni).

Così, le tecniche di inibizione muscolare sembrano particolar-mente adatte in fase «acuta» o «subacuta» piuttosto che in fasecronica, dove la contrattura cosiddetta miometabolica associa unafissazione dei ponti di actina miosina a livello del ventre musco-lare e un’ipoestensibilità muscolare legata al rimaneggiamentotissutale (modificazione dell’orientamento delle fibre di collagene,ponti fibrosi). Questa fase di tensione muscolare sembra rispon-dere maggiormente alle tecniche miotensive tipo «stiramentopost-contrazione» [25].

Per estensione, le lesioni articolari tipo distorsione e disturbointervertebrale secondo Maigne [26] o le alterazioni di movimentodi Sohier [27] possono costituire delle indicazioni alla tecnicaa causa delle disregolazioni del fuso neuromuscolare e dellereazioni neurovegetative (infiammazione, liberazione di bradi-chinina, ecc.) che esse generano. D’altra parte, Myers, nel suolavoro [5], propone un legame sistematico tra la percezione dipunti sensibili non situati nei ventri muscolari e il muscolo vicinopotenzialmente incriminato.

La necessità di attuare un programma di rinforzo muscolare odi ergonomia nel quadro di un ricondizionamento vertebrale, peresempio, può anche essere preceduta dall’applicazione di que-sto tipo di tecniche. Gli esercizi possono così essere realizzatiin condizioni di comfort migliorato. Si tratta, in seguito, diapplicare un iter terapeutico ampiamente sviluppato in chirote-rapia: «liberare» attraverso l’inibizione muscolare, «mantenere»con la sollecitazione muscolare e perpetuare mediante consigliergonomici e un programma autoapplicato di esercizi [28]. Questastrategia è, d’altra parte, ampiamente accettata nella letteraturascientifica.

L’assenza di controindicazioni alla realizzazione di queste tec-niche permette un approccio particolarmente interessante allefasi postoperatorie, in quanto l’accorciamento relativo imposto allestrutture non crea tensioni nefaste sulle zone fragilizzate dal gestochirurgico.

Le tecniche di inibizione muscolare hanno, dunque, un inte-resse particolare nella pratica quotidiana quando le tecniche più«convenzionali» (mobilizzazione articolare, stiramento, ecc.) nonpossono essere realizzate a causa del disagio che creano. Il pazienteè mobilizzato lentamente in una direzione che è non dolente allaricerca della posizione di comfort della struttura incriminata [3].Questa dolcezza tecnica permette di trattare dei pazienti fragili eanziani (donne gravide, presenza di osteoporosi, ecc.).

8 EMC - Medicina Riabilitativa

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Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana � I – 26-065-A-10

A BFigura 3. Cartografia dei tender point secondo (A, B) D’Ambrogio e Roth [13].

� ControindicazioniControindicazioni assolute

Le controindicazioni assolute sono:• trauma tissutale legato al posizionamento del paziente;• malattia grave in cui restrizioni rigorose di posizionamento

impediscono il trattamento;• instabilità della zona da posizionare con possibilità di effetti

indesiderati neurologici o vascolari;• sindromi vascolari o neurologiche come un’insufficienza basi-

lare o una lesione di un forame nervoso quando la posizionedel trattamento rischia di aggravare la malattia;

• spondilosi degenerativa grave con fusione locale e assenza dimovimento sul sito in cui il trattamento posizionale dovrebbeavere normalmente luogo.

Controindicazioni relativeLe controindicazioni relative sono:

• pazienti che non possono rilassarsi volontariamente, il checomplica il posizionamento adatto;

• pazienti «stoici» che non possono discernere il grado di doloree le sue variazioni in seguito al posizionamento;

• pazienti che non possono comprendere le istruzioni e ledomande poste dal medico (lattante);

• pazienti che soffrono di malattia sistemica, di artrite, di Parkin-son e così via, nei quali una posizione di rilassamento peggiorai sintomi.

� TerapiaOggettivazione di un tender point

Si tratta di un punto di tensione a livello cutaneo, che traducevari tipi di tensioni differenti, cutanee, muscolari, connettive ofasciali. Questo punto è doloroso per una pressione circa quattro

volte inferiore rispetto a un’altra zona cutanea. Questa concezionepiù ampia rispetto alla sola struttura muscolare corrisponde agliadattamenti dei vari tessuti in seguito a uno stress (strain) fisico.Tale idea più globale corrisponde al principio della sindrome,caro agli anglosassoni. La classificazione in sindrome, avendocome limite una specificità meno accentuata, ma permettendoun pragmatismo, è molto interessante in clinica e nella praticaquotidiana.

Trattamento di un tender point

La metodica è tipicamente descritta in cinque tempi [4, 6]:• individuare un tender point (TP) significativo;• posizionare in situazione di rilassamento massimo;• mantenere la posizione 90 secondi con verifica a 30, 60 e

90 secondi;• ritornare lentamente e passivamente;• verificare il rilassamento.

I cinque tempi sono spiegati dettagliatamente per permetterea ciascuno di individuare i dettagli pratici e le modalità dellatecnica.

Individuare un tender point significativoLa ricerca di TP fa seguito a un interrogatorio che ha permesso

di evidenziare un principio di disfunzione, rigidità o lesione, cioèuna patologia funzionale. La zona così determinata è oggetto diuna ricerca palpatoria fine e sistematica alla ricerca di zone dolentiper una pressione bassa, secondo una cartografia determinata daidiversi autori (Fig. 3). La sensibilità deve essere chiaramente esa-gerata per una pressione di solito non dolente o rispetto al latocontrolaterale e la reazione del paziente si può esprimere verbal-mente o per reazione di difesa o di allontanamento. Il terapistaesperto può spesso limitarsi a una pressione più debole per limi-tare le reazioni e stabilire la sua diagnosi palpatoria in base allapresenza di una consistenza più dura e a degli indurimenti neltessuto connettivo.

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Se il terapista ritrova più TP situati in una stessa regione, gli sipresentano due ipotesi: trattare il punto centrale o trattare il piùdoloroso, sperando che questo abbia una ripercussione sui puntivicini.

Posizionamento in situazione di rilassamentomassimo

Il principio scoperto empiricamente da Jones per ottenere ilrilassamento è di posizionare il paziente in una situazione vicinaa quella che ha creato la lesione di partenza, cioè, nella mag-gior parte dei punti, in una situazione corta tra la corsa internae la corsa media. Al momento della realizzazione della tecnica, èmolto importante ottenere il perfetto rilassamento del pazientenella situazione più indolore possibile per la zona considerata e lapressione sul TP non deve più provocare dolore.

Una volta trovata questa posizione, «parte il cronometro» per90 secondi. Durante questo tempo, il paziente deve rimanere total-mente passivo e il terapista mantiene il contatto con il TP, ma nondeve appoggiare per stimolare il punto, cosa che può avvenire nelladigitopuntura o nelle tecniche di trigger point.

Alcuni terapisti impiegano la scala visiva analogica (VAS) permisurare il miglioramento percepito dal soggetto. Il paziente for-nisce una collaborazione utile al trattamento con le indicazioniverbali che formula. Tuttavia, occorre diffidare di alcuni pazientiche percepiscono male o non concepiscono che noi possiamodiminuire significativamente in solo alcuni secondi di tratta-mento i loro dolori, presenti a volte da anni. Se il paziente nonriesce a fornire una risposta verbale favorevole, la palpazione è,allora, il solo mezzo per individuare la posizione di massimo rilas-samento.

“ Punto importante

Le tecniche di inibizione muscolare sono spesso state inse-gnate male o confuse con le tecniche di trigger point. Èstato spesso descritto un appoggio per stimolare il puntoin alcuni istituti di formazione in massocinesiterapia (IFMK)o istituti di osteopatia. Questa pratica è un errore di tra-duzione delle pratiche realizzate dai pionieri dell’inibizionemuscolare e ha inconsistenza fisiologica.

La ricerca della posizione avviene generalmente in due tempi.Si pone globalmente il soggetto nella posizione di rilassamento,ancora tradotta letteralmente come posizione di agio o di comfort.In seguito, occorre adattare finemente ciascuno dei parametri perottenere il risultato ottimale (tune the point). Per quelli che hannoconosciuto la regolazione dei tuner mediante ago, vale lo stesoper ricercare la posizione ideale. Dato che le posizioni sono tridi-mensionali, la cosa semplice è sperimentare ogni piano uno dopol’altro, con più o meno flessione, quindi con più o meno abdu-zione o adduzione e, quindi, con più o meno rotazione. Talvolta,è necessario un ultimo tuning nel primo piano testato per indi-viduare la posizione ottimale denominata mobile point (Fig. 4).

Mantenimento della posizione di rilassamentoUna volta trovato il mobile point, inizia il conto alla rovescia di

90 secondi. Questo tempo è quello fornito da Jones e si tratta deltempo minimo a partire da cui tutti i TP hanno ceduto. Questotempo è empirico e trova qualche giustificazione nei modelli fisio-patologici precedentemente descritti, ma senza alcuna certezzascientifica.

Per tutta la durata della tecnica, è mantenuto il contatto con ilpunto, ma senza appoggio e senza stimolazione, con un tripliceobiettivo:

Dolore massimo, tensione, sensibilità

Movimento importantepoco cambiamento

Movimentoridotto, moltocambiamento

Ritorno lento Puntomobile1 2

3

Ampiezza articolare

Sca

la d

i dol

ore

o se

nsib

ilità

Figura 4. Nozione di mobile point [4]. La linea mediana rappresenta laposizione neutra del sistema articolare, ossia la posizione (1). Il pazientearriva generalmente con una tensione importante, ossia nella posizione(3). Utilizzando i tre piani dello spazio (flessione o estensione, flessionelaterale, rotazione), egli è portato passivamente e lentamente verso laposizione di comfort ottimale. Progressivamente, passerà dalla posizione(3) alla posizione (2), posizione di comfort ottimale nella quale la tensioneè minima.

“ Punto importante

La curva (Fig. 4) dimostra che la soglia dolorosa varia assaipoco per tutta la corsa esterna e interna massima. Vice-versa, vi è una corsa molto breve per la quale il dolorediminuisce totalmente. Il termine di mobile point meri-terebbe forse di essere tradotto come posizione mobilepiuttosto che come punto mobile, per evitare di confon-dere il termine «punto» tra mobile point e tender point.Il tender point è una zona di tensione rappresentata daun punto doloroso, mentre il mobile point è una posizioneche riduce totalmente il dolore di questo punto, che cor-risponde a una forte riduzione delle tensioni locali.

• essere sicuri di valutare lo stesso punto per tutta la durata dellatecnica e non rischiare di alterare le nostre sensazioni con uncambiamento di posizione;

• conservare un controllo sensoriale e palpatorio della zona pervalutare i cambiamenti di struttura o di consistenza del tessutoconnettivo che possono prodursi durante la tecnica;

• testare il punto in maniera intermedia a 30 e a 60 secondi,quindi verificare che il rilassamento sia mantenuto al momentodel ritorno in posizione neutra.Dopo 30 secondi, il terapista verifica con una pressione sul TP

che il posizionamento offra sempre il rilassamento massimo eun’assenza di dolore. Se questo non avviene, deve essere ricer-cata una posizione più favorevole. La stessa operazione è realizzatadopo 60 secondi.

Accade anche che il punto ceda prima o dopo 90 secondi. Unaltro fenomeno palpatorio è proposto anche da Silvestre: il polsoterapeutico [4]. Esso sembra essere «una vasodilatazione tissutaledi origine simpatica provocata dal trattamento». Esso dovrebbe

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Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana � I – 26-065-A-10

permettere di conoscere la fine del trattamento quando diminui-sce e diventa sincrono, per esempio, con il polso radiale. In alcunicasi, è possibile che esso divenga percepibile solo dopo i 90 secondidi mantenimento della posizione.

Ritornare lentamente e passivamenteIl ritorno alla situazione neutra è molto importante e il mancato

rispetto di questa fase può annullare tutti i benefici guadagnatidurante i 90 secondi. È, quindi, importante rispettare questa fase,per evitare il rischio di dover ricominciare.

Occorre avvertire il paziente che il ritorno deve essere passivo elento e che il suo «aiuto» sarà un ostacolo. Questa regola è tantopiù importante nei primi gradi del movimento. Se, nonostantegli ordini, il paziente si contrae durante il ritorno alla posizioneneutra, occorre interrompere il ritorno, chiedergli nuovamente dirilassarsi, ottenere una decontrazione totale e, poi, ricominciaredi nuovo.

Verificare il rilassamentoUna volta tornati in situazione neutra, è necessario testare la

sensibilità del punto. La tecnica è riuscita se il dolore persistente èinferiore a un terzo del dolore inizialmente percepito dal paziente.Se il risultato non è all’altezza, è stato commesso un errore nellascelta dei TP o nella realizzazione della tecnica.

Sequenza di trattamentoLa sequenza di trattamento comprende diversi tempi:

• iniziare sempre dai punti del tronco;• i punti vicini all’asse si trattano nel piano sagittale;• i punti vicini alla lateralità si trattano in inclinazione o in rota-

zione;• i punti della radice degli arti sono trattati prima della periferia;• quando i punti sensibili sono molteplici, è preferibile dedicarsi

dapprima ai più intensi;• se i punti sono «allineati», il trattamento inizia con quelli situati

al centro della catena;• la progressione si esegue da prossimale a distale (dall’asse verso

le estremità). Per esempio, la presenza di sintomi a livello delgomito richiede, prima dell’approccio a questa zona, il tratta-mento dei punti sensibili della regione cervicale e della spalla.Questa impostazione «a distanza» è, d’altra parte, comune-mente praticata in chiroterapia e in osteopatia.

� Approccio regionaleRachideRegione cervicalePiano anteriore

I punti anteriori del collo, situati in corrispondenza dell’apicedei processi trasversi, si trattano con messa in flessione, inclina-zione e rotazione controlaterali al punto.

Il punto sensibile situato nella parte superiore dell’estremitàmediale della faccia posteriore della clavicola si tratta ponendoin corsa interna lo sternocleidomastoideo (SCM) secondo Jones [3]

o come i punti precedenti secondo Debroux [15].

Piano posterioreI punti sensibili situati sulle spinose e molto leggermente laterali

rispetto ad esse sono trattati ponendo in estensione la regione.I punti situati lungo i processi articolari posteriori sono affron-

tati con posizione in estensione, inclinazione omolaterale erotazione controlaterale.

I punti sensibili situati a livello del ventre del trapezio supe-riore e dell’elevatore della scapola si trattano con un’inclinazionee una rotazione omolaterali della testa associate a un’elevazionedel moncone della spalla (può rivelarsi necessario aumentarel’ascesa della scapola mediante una trazione su questa da partedell’elevatore).

Due casi particolari: un punto situato sotto l’inion si trattasoprattutto in flessione cervicale alta («doppio mento») e ipunti situati lateralmente sulla linea curva occipitale conun’anteposizione della testa (estensione cervicale alta).

Regione toracicaPiano anteriore

Il paziente è seduto o in decubito dorsale.I punti sternali, sterno-costali e addominali mediani si trattano

con una flessione o della regione cervico-toracica o del complessolombo-pelvi-femorale. Quando sono laterali, è possibile associareun’inclinazione omolaterale così come una rotazione controlate-rale.

Piano posterioreIl paziente è in procubito.I punti situati sulle spinose sono trattati con un’estensione pura,

mentre per quelli in corrispondenza delle apofisi trasverse è neces-sario associare una rotazione omolaterale del cingolo scapolare(regione superiore e media) o del cingolo pelvico (regione mediae inferiore), nonché un’inclinazione controlaterale.

FianchiIl paziente è seduto.I punti anteriori situati sulla linea mediana ascellare sono trat-

tati con una posizione in «chiusura» del paziente (seduto) versodi essi: flessione, inclinazione e rotazione omolaterali.

I punti posteriori, situati lungo gli angoli posteriori delle coste,si trattano associando estensione, rotazione e inclinazione con-trolaterali.

Il trattamento del punto sensibile della prima costa, situatoappena davanti al trapezio superiore, richiede l’associazione diun’estensione marcata a un’inclinazione controlaterale e a unarotazione omolaterale moderate.

Regione lombarePiano anteriore

L’accesso del piano anteriore è più facile su un paziente in decu-bito dorsale.

I punti situati all’interno della spina iliaca antero-superiore eda una parte e dall’altra della spina iliaca antero-inferiore si trat-tano rispettivamente con una flessione associata a un’inclinazioneomolaterale o controlaterale e con una rotazione omolaterale ocontrolaterale del cingolo pelvico.

Il punto situato ad alcuni centimetri (lateralmente) sulla sinfisipubica è affrontato con una flessione marcata associata a inclina-zione e rotazione lievi, a seconda degli autori.

Piano posterioreIl paziente è in procubito.I punti (rari) situati sulle spinose sono trattati con un’estensione

pura, mentre, per quelli in corrispondenza dei trasversi, è neces-sario associare una rotazione omolaterale del cingolo pelvico aun’inclinazione controlaterale.

Un punto sensibile situato a livello del quadrato dei lombi(in particolare in corrispondenza della vertebra L3) si trattain posizione di «semi-rana»: paziente in procubito, incli-nato omolateralmente a livello del rachide toraco-lombale eflessione-abduzione-rotazione esterna dell’anca lungo il piano deltavolo.

Arto inferioreRegione del bacino e dell’ancaPiano anteriore

Il paziente è in decubito dorsale.Il punto situato sulla parte superiore del pube all’esterno

della sinfisi si tratta in flessione pura di almeno 120◦, mentrei punti situati sulla branca ischiopubica possono essere trattaticon la posizione del loto (flessione, abduzione e rotazione esternadell’anca), come il punto dell’ileo-psoas (palpazione addomi-nale profonda a equidistanza dall’ombelico e dalla spina iliacaantero-superiore [SIAS]) e della regione trocanterica anteriore.

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I – 26-065-A-10 � Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale del chiroterapista nella pratica quotidiana

Piano posterioreIl paziente è in procubito.All’esterno della SIPS si trova un punto da trattare con esten-

sione e abduzione coxofemorale, il che permette anche di trattarei punti trocanterici inferiore e posteriore.

Un punto sensibile situato a livello del piriforme (a equidi-stanza dall’osso sacro e dalla parte postero-laterale del tubercolomaggiore) si può trattare, con il paziente in procubito (oppurein decubito dorsale) mediante flessione, abduzione e rotazioneesterna dell’anca.

GinocchioIl paziente è in decubito dorsale.I punti situati sul contorno della rotula (in particolare sui reti-

nacoli) possono essere trattati con una traslazione verso di essi.Quando sono situati sul tendine rotuleo, è necessario associarvi

un recurvato nonché una moderata rotazione.Il punto situato nella fossa poplitea è trattato con uno scivola-

mento anteriore della tibia, con il ginocchio in flessione moderata(corrispondenza con il legamento crociato posteriore secondoJones) e i punti palpabili alle estremità di questa fossa (in cor-rispondenza dell’inserzione alta dei gastrocnemi) si trattano conuno scivolamento posteriore.

Caviglia e piedeI punti situati sulla circonferenza dei malleoli si trattano in

«chiusura» del piede sul punto individuato: il piano mediale, gra-zie a una supinazione del retropiede in particolare, e il pianolaterale, con una pronazione.

L’accesso alla regione del tendine achilleo richiede la combi-nazione di una flessione plantare della tibio-astragalica e di unatrazione postero-mediale del calcagno, il che permette di trat-tare, nello stesso momento, eventuali punti situati nel ventre deigastrocnemi.

Regione dorsalePer Jones, il trattamento di un punto situato sul cuboide

richiede una potente dorsiflessione della porzione late-rale del piede, mentre Debroux raccomanda un’inversionedell’avampiede, associata a un controappoggio plantare sulcuboide.

Un’«apertura» dell’arcata mediale tratta il punto dello scafoide(parte superiore).

La tarsometatarsale si tratta in «chiusura» della racchetta versoi punti.

Il trattamento dei punti situati sulle articolazionimetatarso-falangee si esegue nuovamente in «chiusura» dellafalange corrispondente (estensione, inclinazione e rotazione).

Regione plantareLa zona del cuboide è trattata realizzando una potente eversione

della metà laterale del piede, mentre quella dello scafoide richiedeun’inversione di quest’ultimo.

La zona estesa dell’aponeurosi plantare (in particolare in cor-rispondenza della tuberosità mediale) si può trattare con unapotente flessione plantare del piede, a ginocchio flesso.

Arto superioreSpalla

I punti anteriori e posteriori della regione scapolare sono, ilpiù delle volte, tendinei e si trattano ponendo in sufficiente corsamediale il muscolo.

La zona della borsa sierosa subacromiale (palpabile nella partepostero-inferiore dell’acromion) si può trattare in flessione delbraccio a 90◦ associata a una rotazione interna o in elevazionee rotazione esterna, a seconda degli autori.

I punti situati sulla parte anteriore e posterioredell’acromio-clavicolare richiedono, per essere trattati, la combi-nazione di adduzione, di trazione dell’arto e, rispettivamente, diflessione o di estensione.

GomitoIl punto situato nella parte antero-laterale della testa radiale

si tratta con un’estensione completa del gomito associata a unasupinazione e a un valgo.

La zona degli epicondiloidei mediali risponde a un’associazionedi estensione, pronazione e varo. Secondo Debroux e Jones, sitratta la parte alta del pronatore rotondo con una flessione a 90◦

e una pronazione completa.La zona dell’olecrano è trattata con un recurvato in supinazione

associato a un movimento frontale verso il punto.

Polso e manoI punti situati a livello della radio-carpica rispondono a una

«chiusura» della mano verso di essi. Per trattare i diversi puntisituati sulla faccia palmare e dorsale, basta, in genere, portare insufficiente rotazione l’insieme delle altre dita verso il punto.

Le articolazioni metacarpo-falangee e interfalangee si trattanomobilizzando la falange corrispondente verso il punto.

Casi cliniciCaso di un paziente lombalgico

La gestione di un paziente lombalgico si può realizzare in duetempi, in rapporto sistematico con la sintomatologia.

I punti anteriori devono essere trattati per primi: ileo-psoas epunti addominali e pelvici.

In un secondo tempo, può essere trattata la zona posteriore(quadrato dei lombi, massa spinale, piriforme, punti pelvici poste-riori).

Il terapista può estendere il suo approccio ai punti della regionetoracica anteriore che contribuisce all’eventuale «fissazione» dellacifosi toracica all’origine di un’ipermobilità lombare dolorosa.

Caso di un paziente con dolore alla spallaLa spalla dolorosa è spesso associata alla presenza di strutture

anteriori sensibili e accorciate, che si associa a una sagittalizza-zione e a un basculamento anteriore della scapola. Le tecniche diinibizione si rivolgono, quindi, ai muscoli sottoscapolare, grandee piccolo pettorale e dentato anteriore.

Il terapista ha ogni interesse a esaminare i punti costali supe-riori (le quattro prime coste), che possono essere all’origine diuna «fissazione» scapolare che ostacola l’elevazione del braccioe che favorisce, per questo motivo, il conflitto subacromiale. Lapresenza di un’ipercifosi concomitante richiede l’eventuale trat-tamento dei punti toracici anteriori.

� ConclusioniSi ritrova dunque, alla luce di quanto esposto, una tecnica che

ha visto i suoi supporti fisiologici e fisiopatologici modificarsinel corso del tempo. Gli studi scientifici vanno nel senso di unamodificazione delle basi riconosciute negli anni ′80. Malgrado ciò,questa tecnica rimane efficace nel suo bilancio e nel suo approccioclinico del paziente.

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G. Barette, Masseur-kinésithérapeute, moniteur-cadre en massokinésithérapie, ostéopathe DO, enseignant en Institut de formation en massokinésithérapie[IFMK] et à l’Institut de thérapie manuelle de Paris [ITMP] ([email protected]).X. Dufour, Masseur-kinésithérapeute, ostéopathe DO, enseignant en IFMK et à l’ITMP.A. Cerioli, Masseur-kinésithérapeute, cadre pédagogique à l’IFMK CEERRF [93], thérapeute manuel certifié, enseignant en institut de formation en massoki-nésithérapie et à l’ITMP.99, rue Gabriel-Péri, 93370 Montfermeil, France.

Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Barette G, Dufour X, Cerioli A. Ruolo delle tecniche di strain-counterstrain nell’arsenale delchiroterapista nella pratica quotidiana. EMC - Medicina Riabilitativa 2013;20(1):1-13 [Articolo I – 26-065-A-10].

Disponibile su www.em-consulte.com/it

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