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S A ’E -R E F (XIII – XX .) VITA QUOTIDIANA · 2012. 9. 26. · Presentazione Le manifestazioni...

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EBREI A FERRARA (XIII – XX SEC.) VITA QUOTIDIANA, SOCIALITÀ, CULTURA MINISTERO PER I BENI E LE A TTIVITÀ CULTURALI SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L ’EMILIA-ROMAGNA a cura di Giovanna Caniatti Laura Graziani Secchieri Pianta del piano terra dell’edificio in via Vignatagliata di Giovanni Battista Grandazzi, eseguita dal perito Maurelio Panizza il 15 gennaio 1753, con indicazione delle porte (una su strada ed una verso altra proprietà) da chiudere per l’inserimento dell’edificio in ghetto.
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Page 1: S A ’E -R E F (XIII – XX .) VITA QUOTIDIANA · 2012. 9. 26. · Presentazione Le manifestazioni organizzate a Ferrara in occasione della XIV Settimana della Cul-tura promossa

EBREI A FERRARA (XIII – XX SEC.)VITA QUOTIDIANA, SOCIALITÀ, CULTURA

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALISOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’EMILIA-ROMAGNA

a cura diGiovanna Caniatti

Laura Graziani Secchieri

Pianta del piano terra dell’edificio in via Vignatagliata di Giovanni Battista Grandazzi,eseguita dal perito Maurelio Panizza il 15 gennaio 1753,

con indicazione delle porte (una su strada ed una verso altra proprietà)da chiudere per l’inserimento dell’edificio in ghetto.

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In collaborazione con:Comunità ebraica di FerraraComune di Ferrara

In copertina:Pianta e Alzato della città di Ferrara, di Andrea Bolzoni (anno 1742) nell’elaborazione della Comunità ebraica di Ferrara

In quarta di copertina:ARCHIVIO DI STATO DI FERRARA, Archivio Notarile Antico di Ferrara,not. Giuseppe Antonio Ferialdi, matricola 1511, pacco 7, 10 aprile 1753, allegato.

È severamente vietato riprodurre con qualsiasi mezzotutto o parte del contenuto di questo libro senza specifica autorizzazione

© copyright 2012 Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna

Stampa: SATE s.r.l. - Ferrara

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Presentazione

Le manifestazioni organizzate a Ferrara in occasione della XIV Settimana della Cul-tura promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali dedicate al tema Ebrei aFerrara (XIII-XX sec.). Vita quotidiana, socialità, cultura si propongono di dare voce aduna componente fondamentale della storia, della cultura e dell’identità ferraresi nel corsodei secoli. Intendono farlo mettendo a fuoco, in primo luogo, dimensioni apparente-mente minori, quali quelle della quotidianità dei legami familiari e sociali, delle attivitàeconomiche, dei rapporti con le autorità cittadine, delle condizioni di vita nel ghetto,così come ci sono restituite, per i secoli dell’alto medioevo e per tutta l’età moderna, finoal XIX secolo, dagli atti dei notai ferraresi e dai documenti di varie istituzioni cittadine.Una prospettiva diversa è offerta dalla documentazione conservata nell’archivio della Co-munità ebraica, costituitasi come Università ebraica all’indomani dell’Unità. In questocontesto si è voluto mettere in evidenza con particolare vigore l’impegno profuso dallaComunità nello svolgimento di attività educative, assistenziali e ricreative a favore deisuoi membri, per rafforzarne la coesione e lo spirito comunitario.

Quello della Comunità ebraica è – come ben sappiamo - un archivio drammatica-mente ferito, che denuncia attraverso le sue vaste lacune e i pochi lacerti antecedenti laseconda guerra mondiale, i tragici esiti della persecuzione razziale del fascismo culminatanel sostegno alla politica di sterminio perpetrata negli anni dell’occupazione nazista. Senell’archivio della Comunità sono soprattutto i silenzi e i ‘vuoti’ a tramandare memoriadelle distruzioni, asportazioni e deportazioni subite dagli ebrei ferraresi, le carte della Pre-fettura e della Questura illustrano eloquentemente, dall’interno, i meccanismi persecutorimessi in atto dalle autorità nazifasciste, ma non si limitano a questo. Per quella paradossaleeterogenesi dei fini che costituisce il tratto più intrigante della memoria documentaria,esse restituiscono voce ai perseguitati e agli oppressi di allora che continuano a parlarciattraverso le corrispondenze con le autorità, oppure le lettere o i documenti sequestratinel corso di arresti e perquisizioni.

Seppure una mappa completa ed esaustiva della documentazione relativa alla pre-senza ebraica a Ferrara sia ancora da tracciare nella sua interezza, le iniziative di cui sicompone la manifestazione, ne offrono già uno spaccato assai significativo che si arti-cola in un percorso che coinvolge varie istituzioni cittadine, proprio perché il radica-mento della cultura e del tessuto sociale ebraico a Ferrara ha lasciato abbondanti tracce,oltre che nell’archivio della Comunità ebraica, nel patrimonio dei principali istituti diconservazione della città: l’Archivio di Stato, l’Archivio Storico Comunale e la Biblio-teca Ariostea.

Senza un forte spirito di collaborazione fra quegli istituti e una spontanea conver-genza di intenti, l’ideazione e la realizzazione di questa iniziativa non sarebbero stati pos-

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sibili. Il merito di ciò va in primo luogo alla dottoressa Loretta Vancini, direttore del-l’Archivio di Stato di Ferrara, al dottor Enrico Spinelli, dirigente del Servizio Bibliotechee Archivi del Comune di Ferrara, al professor Michele Sarcerdoti e al dottor LucianoCaro rispettivamente presidente e rabbino della Comunità ebraica. L’organizzazione deivari eventi in cui si articola l’iniziativa è stata possibile grazie alla professionalità e alla di-sponibilità ben oltre i doveri d’ufficio della dottoressa Mirna Bonazza, della dottoressaGiovanna Caniatti, del dottor Davide Guarnieri, dell’architetto Laura Secchieri Grazianie del personale dei rispettivi istituti.

Si tratta di un risultato di estrema importanza poiché non può prodursi cultura néfarsi storia di una città se non intrecciando e facendo sapientemente interagire fonti do-cumentarie di natura e provenienza diverse di cui sono custodi le istituzioni culturali cit-tadine. L’insieme di quelle fonti costituisce un vero e proprio sistema ecologico, la cuiconservazione e tradizione nel tempo richiede una cura ed un’attenzione speciali, unamore ed uno sforzo collettivo di cui la comunità cittadina nel suo insieme e le istituzioniche la rappresentano devono sentirsi partecipi e responsabili.

La Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna, per parte sua, concorrendoattivamente alla realizzazione di questa manifestazione, ha voluto in primo luogo offrireun ulteriore contributo alla tutela e alla valorizzazione della documentazione di interesseebraico, nei confronti della quale nel recente passato ha promosso un insieme di interventidi riordino e inventariazione resi possibili dalle risorse assicurate dalla legge 17 agosto2005, n. 175 – Disposizioni per la salvaguardia del patrimonio culturale ebraico in Italia.

Ma non si è trattato solo di questo. Si è voluto anche ribadire con forza come i prin-cipi della collaborazione e del fare sistema costituiscano, nei tempi difficili che stiamovivendo, una ricchezza inestimabile che occorre difendere e sviluppare per affrontare confiducia il presente e il futuro.

STEFANO VITALI

Soprintendente archivistico

per l’Emilia Romagna

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Indice

LAURA GRAZIANI SECCHIERI

pag. 5 La presenza ebraica a Ferrara

LAURA GRAZIANI SECCHIERI

pag. 9 Un percorso nella vita ebraica dal XIII al XIX secolo nei documenti

dell’Archivio di Stato di Ferrara

DAVIDE GUARNIERI

pag. 15 La persecuzione razziale nella documentazione di Prefettura e Questura

MIRNA BONAZZA

pag. 19 Gli ebrei e le Arti a Ferrara: tessere di memoria nelle carte

dell’Archivio Storico Comunale

ENRICO ANGIOLINI

pag. 27 Le istituzioni ebraiche ferraresi postunitarie

Le vicende dell’archivio delle Comunità ebraica ferrarese

La Comunità ebraica di Lugo e il suo archivio

pag. 32 Bibliografia

Il prestito ad usura e su pegno vedeva gli ebrei sempre attivi sulla piazza ferrarese: l’8 aprile 1398, al bancodella Gabella grande della Riva posta a Ferrara nella contrada del Sesto di San Romano, l’ebreo Manuele delfu Matasia, prestatore in Ferrara, abitante nella contrada di San Romano, ha ricevuto dal procuratore delnobile Alberto da Castelbarco, abitante a Verona, 800 ducati d’oro come saldo del pagamento di 1126 ducatid’oro e 19 soldi marchesani, avendoglieli prestati con garanzia su una partita di pepe che Alberto aveva in Ga-bella grande della Riva a Ferrara, fatti salvi di diritti di Manuele sulla stessa partita per i rimanenti 326 ducati.

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ARCHIVIO DI STATO DI FERRARA, Archivio Notarile Antico di Ferrara, not.Natale Sovertari, matricola 11, pacco 1, schede 1384-1398, 8 aprile 1398.

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La lunga permanenza ebraica a Fer-rara (attestata già nel 1227 dal lascito testa-mentario di un gentile a Sabatinus iudeus)aveva preso avvio da una migrazione di pre-statori romani in epoca altomedievale chehanno ottenuto il riconoscimento dello sta-tus nell’ultimo quarto del Duecento,quando il governo della città si è impegnatoad osservare in modo scrupoloso le immu-nità concesse agli ebrei dal vicario e dal con-siglio generale cittadino, includendo questadeliberazione negli Statuti. La vitalità cul-turale della comunità ferrarese è ravvisabilenell’attività del rabbino Moshè ben Meir daFerrara, glossatore e talmudista, di Meirben Moshè da Ferrara, autore di scritti ri-tualistici, e dello scriba Ionathan ben Abie-zer ha-Coen da Ferrara. Del 1239 è notoanche il responso legale del rabbino Izhakben Mosè da Vienna che riporta un riferi-mento al tribunale rabbinico di Ferrara: unbet-din può essere istituito solo con collegiodi almeno tre esperti di legge ebraica cheFerrara poteva assicurare già nel XIII secolo.

A cavaliere fra Due e Trecento, l’In-quisizione ha sottoposto ad indagine e per-seguito alcuni ebrei ferraresi, fra cui ancheun medico. Variavano dalla semplice penapecuniaria sino al rogo le condanne inflittead apostati ed a chi li aveva favoriti. Dal-l’inizio del governo di Casa d’Este, con lecondotte che regolavano la permanenza deiprestatori è incominciato un periodo di sta-bilità: gli ebrei hanno goduto della benevo-lenza dei Signori di Ferrara, che hapermesso alla società ebraica locale di rag-giungere un benessere complessivo, riflessodelle aziende bancarie dislocate in diverse

loca lità del territorio e che hanno servito glistessi Estensi. Oltre a vari altri nuclei sparsipiù piccoli, si sono sviluppate comunitàebraiche nel capoluogo ferrarese ed aCento, Lugo, Mirandola, Carpi, Scan-diano, Correggio, Modena, Reggio, Ar-genta, Brescello, Sassuolo e Finale.

Alla metà del ’400, al primo gruppodi origine italiana si sono affiancati ebreimitteleuropei, gli askenaziti, i quali si sonointegrati con le stesse concessioni e limita-zioni che erano già state attribuite ai ‘locali’:erano permessi il prestito ad usura e supegno, l’artigianato e il commercio, seb-bene siano sporadici i casi in cui ebrei sianostati accolti nelle corporazioni. La cittadi-nanza ferrarese, conditio sine qua non per di-venire proprietario di un immobile, è stataaccordata in via eccezionale ai maggioriesponenti delle aziende di prestito che po-tevano godere di altri privilegi: l’esenzionead indossare il segno, il diritto ad essere giu-dicati dal solo Giudice dei Savi in qualsiasicontroversia, l’autorizzazione a portare armiper difesa e ad allestire oratori, seppure peruso privato. Nel 1481, il foenerator Mele daRoma ha istituito la fondazione della sina-goga pubblica che era ospitata nella fab-brica sede del banco dei Sabbioni,acquistata allo scopo di cederla in perpetuoagli ebrei di Ferrara. Solo alla metà del se-colo seguente, l’accresciuto numero di ebreispagnoli e portoghesi (che hanno costituitola colonia sefardita) ed askenaziti porteràalla realizzazione delle sinagoghe per i rela-tivi riti.

Gli inviti rivolti dai duchi d’Este adiberici e levantini perché si stabilissero a

La presenza ebraica a FerraraFerrara sono stati una mossa vincente perl’economia locale poiché i nuovi innestihanno rinnovato le energie materiali edanche spirituali della comunità ferrarese:dalle famiglie più prestigiose si allargavauna fitta rete di legami familiari, culturali efinanziari con le comunità ebraiche sparsenel Mediterraneo e non solo. Sicure dellaprotezione estense, le famiglie più solide neraccoglievano altre attorno a loro, deditealle più svariate attività e ciascuna, a suavolta, apportatrice di un consimile intrecciodi relazioni con i correligionari delle coloniedi altre città e di altri paesi, a consolidare ilruolo predominante della comunità ebraicaferrarese nel panorama italiano ed interna-zionale. Proprio a Ferrara ha ripreso a pra-ticare apertamente l’Ebraismo unimprecisato numero di marrani, terminedispregiativo che, in terra iberica, indicavai giudaizzanti costretti a dichiararsi cristianiche anelavano a ritornare alla religione deiPadri. Significativo è il decreto emanato daErcole II nel 1555 e poi riconfermato daAlfonso II, rivolto all’accoglimento degliebrei della diaspora iberica: era indirizzatoa Spagnuoli e Portoghesi di stripa [= stirpe]Hebrea. Volutamente generica, la dizione siadattava ad ebrei dichiarati, a cripto-giudeied a marrani. Nel ducato estense hanno tro-vato ospitalità anche i fuggitivi da Bologna,a causa della reclusione in ghetto nel 1556e dopo il bando di espulsione del 1593.

Non sono mancati episodi sporadicidi allineamento alle richieste papali: il ci-clico rinnovo dell’editto che ordinava di in-dossare la O in lo petto di giallo cusito, lapubblica disputa su temi religiosi cui è statoobbligato l’erudito Abram Farissol, il rogodei Talmud nel 1553. Ad esclusione di que-st’ultimo atto, le altre limitazioni sono statevissute come marginali e non hanno avutoinfluenza sulla vita economica e spiritualedella cosmopolita colonia ebraica ferrarese:

non stupisce che Samuel Usque abbia chia-mato Ferrara il rifugio d’Italia più sicuro chepotesse dare ricetto ad un ebreo, nel Cin-quecento. Il poeta sefardita esprimeva laprofonda tranquillità di vivere fra le sicuremura estensi ed il sollievo di praticare infine la religione dei Padri da parte di chiaveva subito ogni genere di sopruso, dallaconfisca dei beni all’espulsione, dalla reclu-sione in ghetto alla condanna a morte.Dalla metà del XVI secolo, proprio per lavivace presenza di rappresentanti dell’ari-stocrazia sefardita, a Ferrara si è sviluppataun’intensa produzione tipografica che haavuto come oggetto in particolare le volga-rizzazioni spagnole delle preghiere ebraiche,indirizzate ai cripto-giudei ritornati al-l’Ebraismo, prima fra tutte la Biblia espa-ñola o Bibbia di Ferrara stampata nel 1553.

La morte di Alfonso II ha determi-nato una netta cesura: il 1598 segna lo spar-tiacque fra quella che era stata l’attivitàculturale e l’economia di Ferrara capitaledel ducato estense, con la vita del presidiomilitare pontificio al confine dello stato.Nel rapido rinchiudersi su se stessa dellacittà è stata coinvolta anche la comunitàebraica in tutti i suoi aspetti: con la devo-luzione alla Santa Sede, la produzione edi-toriale è declinata rapidamente e sono stateridimensionate molte altre imprese econo-miche. Le fasi della limitazione della libertàdegli ebrei ferraresi si sono susseguite aritmo rapido. Nel 1602 l’alienazione forzatadegli edifici in possesso degli ebrei, uno deiprimi provvedimenti presi dal CardinaleLegato Cennini, era ormai ultimata. Le li-berali terre degli Estensi conoscevano le im-posizioni già in vigore nello StatoPontificio, fino all’editto del 1624 che isti-tuiva il ghetto, la cui realizzazione è stataultimata nel giro di 3 anni con il trasferi-mento forzato di alcune centinaia di fami-glie nella piccola area prescelta: il

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censimento del 1630, in occasione diun’epidemia di peste, contava 1720 per-sone. Era consentita una sola sinagoga perogni rito ed erano proibiti i funerali pub-blici. Nel 1629 sono state introdotte le in-terdizioni ai medici ebraici di assistereinfermi cristiani ed a balie e servitori cri-stiani di avere rapporti con ebrei. Cin-quant’anni dopo, il cardinale Pio haistituito l’obbligo per un terzo degli uominidi assistere ogni sabato alle funzioni prepo-ste alla conversione. Poiché la Cappella Du-cale, inizialmente utilizzata, era distante dalghetto ed il tragitto si trasformava in unsupplizio per gli ebrei costretti a subire leangherie del popolino, nel 1695 il cardinaleImperiali ha destinato a tale scopo l’Orato-rio di San Crispino, contiguo al recinto degliHebrei. Nel 1703 le famiglie residenti nelghetto erano ridotte a 328; il livello econo-mico medio era scadente, fino a contare148 mercanti incapaci a pagare le tasse e 72che vivevano di elemosina. La situazione fi-nanziaria era grave, ma non tale da annichi-lire lo spirito della comunità: XVII e XVIIIsecolo sono stati, nonostante il ghetto,un’epoca di fervore nel campo degli studiche ha visto personalità rabbiniche cono-sciute e riconosciute in tutto il mondoebraico e non, primo fra tutti Isaac Lam-pronti.

Poco prima dell’emancipazione, loStato Pontificio raccoglieva un terzo dellapopolazione ebraica della penisola; a Fer-rara gli ebrei residenti erano circa 1500,mentre qualche centinaio erano a Lugo eCento. Alla fine del ’700, con le armatefrancesi è giunta per gli ebrei italiani l’equi-parazione giuridica contemplata dalla Di-chiarazione dell’uomo e del cittadino: nelgiugno 1796, la comunità ferrarese è statala prima emancipata delle Legazioni Ponti-ficie, da subito partecipe entusiasta della ge-stione pubblica con un fervore culturale

quanto economico del tutto nuovo, final-mente rivolto verso la città intera e non piùal solo recinto del ghetto. In tutte le ex Le-gazioni, ebrei si sono arruolati nella guardiacivica ed hanno partecipato ad associazionipatriottiche. Molto più guardinghi si sonomostrati nell’acquisto di immobili espro-priati agli enti religiosi e messi all’asta dallaRepubblica Romana nel 1798-99: solo 2ebrei romani, 4 di Ancona ed 1 ferrarese vihanno partecipato; al contrario, a Ferrarasono stati numerosi gli edifici urbani e letenute agricole acquistati da ebrei. Al mo-mento della revoca delle vendite per il riaf-fermarsi del governo pontificio, proprioquesti sono stati fra i pochi a non essere in-dennizzati. Ogni restaurazione si manifestacon esiti più pesanti della condizione pre-cedente: al rientro di Pio IX in Vaticano, gliebrei dello Stato Pontificio sono stati nuo-vamente rinchiusi in ghetto e la comunitàdi Ferrara è stata anche obbligata al paga-mento dei nuovi portoni.

Fra il 1859 ed il 1860 tutte le terredelle Legazioni sono riuscite ad emanciparsidefinitivamente; la partecipazione ebraicaalla vita politica ed amministrativa delRegno d’Italia si è fatta addirittura febbrile:a Ferrara, nel 1859, si è potuta costituire laGuardia Nazionale grazie alla sola sottoscri-zione degli 126 ebrei, che sono stati i primiad apporre la propria firma. L’assimilazionedella componente ebraica nella società fer-rarese è stata tanto completa che il podestàfra il 1926 e il 1938 è stato l’avv. Renzo Ra-venna. Le leggi razziali hanno sorpreso etravolto decine di famiglie di religioneebraica. Il dopoguerra ha visto la Comunitàferrarese, ridotta nel numero ma vitale, hasaputo offrire Giorgio Bassani e GianfrancoRossi alla letteratura italiana, Aron di LeoneLeoni agli studi di storia sefardita.

LAURA GRAZIANI SECCHIERI

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A Ferrara si sono laureati gli ebrei Guglielmo di Isaia da Urbino (15 aprile 1426) ed Obadià Sforno da Cesena(27 aprile 1501). Da fonte notarile apprendiamo che abitavano a Ferrara gli ebrei maestro Iacopo medicofisico del fu Iacobo di Sicilia, nel 1406, e maestro Moisè dottore di chirurgia figlio di maestro Vitale de Pe-demontio, nel 1457. Dopo il Concilio Tridentino, si è affermata la via extra Studium per il conferimento didottorati ineccepibili sul piano giuridico ma differenti sul piano formale in quanto non interveniva il Can-celliere dello Studio: fra il 1559 ed il 1579 a Ferrara ne sono stati concessi addirittura dieci, quasi quanti neerano stati elargiti in tutta Italia nel precedente secolo e mezzo.

Magistro Iacopo iudeo medico fisico filio quondam Ia-cobi de Sicilia (ARCHIVIO DI STATO DI FERRARA, Ar-chivio Notarile Antico di Ferrara, not. Pietro Loiani,matricola 21, pacco 2, prot. 1406, 2 marzo 1406).

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Magister Moyses ebreus cirugie doc-tor filius magistri Vitalis de Pede-montio (ARCHIVIO DI STATO DI

FERRARA, Archivio Notarile An-tico di Ferrara, not. GiacomoMeleghini, matricola 72, pacco2, prot. 1457, 6 settembre 1457).

Il dominus Lazarus filius domini Iosep de Rubeis deMantua hebreus ottiene il privilegio di dottorato inarti e medicina il 20 maggio 1559 (ARCHIVIO DI

STATO DI FERRARA, Archivio Notarile Antico di Fer-rara, not. Boezio Silvestri, matricola 594, pacco 9 s,Schede 1559, 20 maggio 1559).

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Fra le carte dell’Archivio di Stato diFerrara si possono trovare i gesti della quo-tidianità, le vicende private, i rapporti fami-gliari, l’operare febbrile degli ebrei ferraresi:questo attenua il rimpianto che l’Istitutonon annoveri i documenti istituzionali chehanno regolato nel tempo la presenzaebraica in città.

Le pergamene dell’Arcispedale San-t’Anna ci forniscono spaccati di vicende in-dividuali, quasi istantanee della presenzaebraica fra XIII e XIV secolo: si presenta anoi dominus Bomcambius iudeus che, nel1280, in nome e per conto di domina Bellavedova dell’ebreo Biadino (la quale, a suavolta, agiva come tutrice di Bonaventura,Imperia ed Onorata, figli suoi e del suo de-funto marito) ha venduto per 14 lire di fer-rarini vecchi al sarto Marcobono un terrenocon vigne posto nel polesine di San Giorgiodi diretto dominio della chiesa di San Laz-zaro, dalla quale Bomcambio deteneva il di-ritto d’uso in nome della detta Bella. L’annoseguente, ritroviamo gli stessi contraenti nelpalazzo del comune di Ferrara, dove Bon-cambius iudeus ha dichiarato di avere rice-vuto da Marcobono cinque soldi di venetigrossi a saldo del debito contratto. Invece, ildominus Marchisio Mainardi era divenuto apiù riprese debitore di Isac iudeo figlio di serSalamonis iudei: per quattro lire di venetigrossi e di dieci soldi di grossi, poi di tre-cento soldi di veneti grossi, ancora per ventisoldi di veneti grossi, infine di venti soldi diveneti di grossi, per cui nel 1300 il signore

si è risolto a cedere ad Isaac in saldo dei de-biti un edificio nella contrada di SantaMaria Nuova. Nel 1311, Graciadeus filiusSalimbeni iudei ha nominato Proenciallem deMascharinis di Mantova procuratore specialea prendere possesso di una pezza di terrenovitata posta in fundo Vigoencie in località Ru-gollate, che Graziadio aveva acquistato da ungentile.

Per parte sua, il fondo Notarile Anticoè fonte quasi inesauribile di episodi e fatti:con un lavoro lento ed appagante, sfo-gliando i protocolli e le schede dei notai co-nosciamo situazioni e protagonisti, legamifamigliari e sposalizi. Diveniamo partecipidell’ammontare e della consistenza in benimobili e personali come in denaro che ilpadre cedeva come dote della propria figlia,e del Tosefed o sopradote che lo sposo ag-giungeva e che prometteva di restituire nelcaso se ne fosse presentata la necessità (di-vorzio o morte della sposa); fra i tanti, spiccail dono di 100 per le nozze e secondo la tra-dizione in vigore a Pisa che Mele di Angeloda Ferrara faceva a Isacco di Manuele aliasPauli, ebreo di Pisa, fratello della sua futuramoglie Bianca, nel 1483. Spesso i contraentidichiaravano che i patti dotali erano la tra-duzione fedele della ketubah a lettere ebrai-che: piccola consolazione per la perdita, maisufficientemente lamentata, della documen-tazione di produzione ebraica. Per tale ra-gione, facciamo riferimento a quanto iprotagonisti hanno dettato al notaioquando, nel 1481, Shemuel detto Mele figlio

Un percorso nella vita ebraica dal XIII al XIX secolo

nei documenti dell’Archivio di Stato di Ferrara

di Salomone da Roma ha acquistato daDeodato fu Sabato Norsa l’edificio con bot-teghe nella contrada dei Sabbioni dove eranoil banco di prestito e l’oratorio degli ebrei.Mele aveva incaricato quattro fiduciari siadell’acquisto dell’edificio sia della conserva-zione della sinagoga. L’atto di acquisto è an-cora più esplicito sulle intenzioni delcompratore e sulle condizioni di accetta-zione da parte degli esecutori, i quali hannodichiarato che avrebbero conservato e pre-servato in perpetuo ad uso degli ebrei illuogo deputato ai servizi religiosi nell’edifi-cio predetto. Quando poi ser Mele ha det-tato il suo testamento, ha nominato cinquecuratori: con gesto lungimirante, ha costi-tuito una fondazione che doveva gestire lasinagoga preservandola per i discendentidegli ebrei di Ferrara, quando ancora nonera neppure stata ipotizzata tale comunità.Del banco di pegni compreso nell’edificionon fanno menzione specifica né i rogiti néla memoria riassuntiva elaborata nel 1487da Abraham Farissol, l’erudito di Avignoneche si è stabilito a Ferrara nella seconda metàdel Quattrocento, il cui testo è scolpito sullalapide marmorea nella Sinagoga italiana.

Di rogito in rogito si può ricostruirel’attività dei banchi di prestito, dalle societàspesso formate da cordate di famiglie anchenon residenti a Ferrara che nominavano pro-pri rappresentanti e fiduciari, alle cessioni diquote dell’azienda feneratizia. Vediamo, adesempio, che ha cessato l’attività il bancoubicato nella contrada di Borgoricco pressola corte vecchia degli Estensi, la cui presenzanon è testimoniata oltre il 1456: si trovavanell’area di profonda trasformazione del pa-lazzo marchionale (e poi ducale). Le cartenon descrivono le ragioni di tale chiusura: ifratelli Manuel, Beniamin e Vitale del fuConsilio da Corinaldo, che lo avevano ge-stito fino al 1456, sono rimasti a vivere aFerrara anche dopo la cessazione dell’attività,

così come almeno qualche loro discendenteed erede, ma dal 1458 risultano tutti abitarein un’altra zona urbana, nella contrada diSant’Agnese.

Dalla penna dei notai ferraresi appren-diamo i dettagli delle contrattazioni nei ban-chi: il nobile che portava in pegnosuppellettili d’argento o tessuti preziosi, lavedova che impegnava le lenzuola consunteo le scodelle, l’aristocratico imprenditore chestipulava un prestito per intraprendere le bo-nifiche di terreni nel forese. Tutta la città èpassata nelle botteghe dei foeneratores, anchei rappresentanti del clero, per i quali era ne-cessaria una particolare dispensa.

Fra le carte notarili è rimasta tracciadelle attività commerciali ed artigianali la cuipratica era consentita agli ebrei, prima fratutte la strazzeria, il commercio di tessuti edabiti usati di cui gli ebrei entravano in pos-sesso tramite acquisto diretto o come pegninon riscossi nei loro banchi. La lunghissimadurata degli abiti permetteva agli agiati diammortizzare in parte il pesante costo ini-ziale, ai meno facoltosi di venire in possessodi vestiario di qualità anche ottima se purenon di prima mano, alle rinomate rammen-datrici ebraiche di intervenire più e più voltead ogni passaggio di proprietà, mano amano che gli indumenti venivano in uso allapopolazione meno abbiente. Un motu pro-prio elargito nel 1535 spiega che con il ter-mine di strazzeria doveva intendersicomprare et far comprare, vendere et far ven-dere, tagliare, cusere, adaptare et scavezarepanni di lino, lana, seda, d’argento et d’oro,tapezarie et altra sorte de robbe, et fare così denovo come de vecchio.

Un aspetto commerciale che si è spessotramutato in un’imposizione, talora anchedannosa economicamente, è stata la sovven-zione di vettovaglie e di articoli di casermag-gio per le truppe di stanza o di passaggio,durante il governo pontificio. Come questa

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attività era consentita e remunerativa intempo di pace, così era imposta senza alcuncompenso in caso di belligeranza. Si è spessoverificato che i rifornimenti di guerra, so-prattutto quando ripetuti entro brevi periodidi tempo, si siano trasformati in pesantiesborsi a discapito della comunità ebraica.

Se compravendite di edifici non eranoall’ordine del giorno per il divieto di acqui-sto da parte dei non cittadini, tantissimisono i rogiti di affitto di abitazione e di bot-teghe, per il periodo estense, e di jus kazakà,dopo la realizzazione del ghetto. L’ArchivioPeriti Agrimensori arricchisce di stime e de-scrizioni, ma soprattutto di piante che avolte sono semplici schizzi talaltra sonosplendide riproduzioni in scala acquerellate,la nostra conoscenza degli edifici che costi-tuivano il ghetto. Jus kazakà è un’espres-sione che è sintesi di latino e di ebraicotalmudico ed indica concetti simili ma di-versi tra loro, in particolare, la presunzionelegale di un rapporto giuridico. Derivadall’ebraico chazaqàh e significa comune-mente ‘possesso’; è stato evidenziato dainotai attraverso l’uso di una fraseologia spe-cifica che, soprattutto nei primi decenni delSeicento, faceva riferimento all’origine se-mantica del termine: troviamo indicato ilcontratto d’affitto come Jus Inquilinatushaebraicè nuncupato Gasacà, oppure pro iureCasacà hebraice nuncupato, o come il Ius in-quilino nominato in idioma Ebreo Cassacà.È stato spesso sentito come un risarcimento,implicito quanto sottinteso, del perduto di-ritto di proprietà immobiliare. Talora, dopol’affrancazione dal ghetto, gli ebrei hannorinunciato con riluttanza allo jus kazakà edalcuni addirittura lo hanno rimpianto,come per la perdita di un’effettiva preroga-tiva giuridicamente valida. Come è testimo-niato dalla ricca documentazione prodottada notai e periti, si trattava di un diritto dilocazione che poteva essere ereditato o do-

nato, assegnato in dote o venduto, cedutoin restituzione di debiti o rinunciato in fa-vore di consanguinei, ipotecato o trasferitoin legato, attribuito ad una vedova come re-stituzione dell’assegno dotale.

Sicuramente situazioni drammatichehanno vissuto quanti non erano più in gradodi far fronte alla pigione dovuta e rinuncia-vano allo jus kazakà cedendolo all’Universitàsopra le Case e Botteghe del Ghetto, la societàebraica preposta a rispondere ai proprietaricristiani ed alla Camera Apostolica dellostato degli immobili e della loro resa econo-mica. È il caso in cui si sono trovate nume-rose ebree ferraresi, da sempre la frazione piùdebole della società: la loro petizione acco-rata inoltrata al Legato Pontificio Sforza è al-legata all’atto del 15 gennaio 1693 con ilquale Gioia Rossi, vedova di Iacob Sacerdoti,rinunciava alla casa dove aveva abitato conil marito, nella strada dei Sabbioni.

Il ricorso allo jus kazakà era una praticatalmente abituale che si assiste alla sua ap-plicazione anche da parte di ebrei nei con-fronti dei correligionari persino dopol’apertura del ghetto. Il 9 maggio 1803, irappresentanti della Scuola Spagnola hannoconcesso a titolo di affitto perpetuo alias Jusdetto Inquilinato alias Kazaga un edificio inVignatagliata al Cittadino (poiché si era inpiena dominazione francese) Benedetto diSalomon Pesaro: proprietaria dell’immobile,la Scuola Spagnola applicava le medesimeleggi di mercato imposte dalla comunità cri-stiana agli ebrei a partire dai primi decennidel Seicento. In questo senso, lo jus kazakàsi configurava come fonte di rendita ancheper gli ebrei: Al tempo che seguì la morte delfu Jacob Coen Vitali, esausto si trovò il suo pa-trimonio tanto che i figli ed eredi Deodato eBella Rosa si sono visti costretti a cedere leporzioni di utile dominio della loro abita-zione, nella strada di Vignatagliata, compresitutti i beni mobili, a Leon Prospero del fu

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Il banco foenoris svolgeva i suoi servigi anche nei confronti dei correligionari: il 9 dicembre 1429, a Ferraranella contrada di Boccacanale nell’edificio in cui era esercitato il banco di prestito degli eredi dell’ebreo Con-silio, alla presenza di testi fra cui gli ebrei Isac del fu Angelo di Bologna della contrada di San Romano e Gu-glielmino di Fermo della contrada di Sant’Agnese che hanno dichiarato di conoscere bene il contraentebudriese, l’ebreo Sabaducio del fu Gaio del castello di Budrio in distretto di Bologna, agendo come curatoree procuratore di Salomone ebreo da Bologna, muto e demente, figlio del fu Ruffino, ha dichiarato a richiestadell’ebreo Manuele del fu Consilio, della contrada di Boccacanale, gestore del banco di Borgo Ricco edagente per sé e per gli altri suoi soci, che Manuele gli ha dato sufficiente rendiconto per 2.000 lire di mar-chesini di Salomone, impegnate a prestito nel banco, fino al 27 febbraio del 1429.

Al piede della pagina del protocollo, il notaio ha re-gistrato l’assoluzione; da notare che, nella data to-pica, la sua penna era corsa a scrivere «in domohabitationis» per poi correggersi subito, cancellare evergare in qua exercetur banchum imprestati heredumquondam Consii hebrei (ARCHIVIO DI STATO DI FER-RARA, Archivio Notarile Antico di Ferrara, not. An-drea Santi, matricola 61, pacco 1, prot. 1429, cartanon numerata (recto), 9 dicembre 1429).

Nella seconda pagina, la stesura è fluita senza ripen-samenti. (ARCHIVIO DI STATO DI FERRARA, ArchivioNotarile Antico di Ferrara, not. Andrea Santi, ma-tricola 61, pacco 1, prot. 1429, carta non numerata(verso), 9 dicembre 1429).

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Jacob Norsa accendendo con lui un vitalizio.Particolarmente delicate le parole di BellaRosa che, a trentotto anni, si definiva d’etàavanzata nubile, ma di cagionevole salute, im-petrando all’acquirente delle di lei ragionimaterne di non grande entità affinché si ob-bligasse a mantenerla e trattarla decentementevita naturale di lei durante, come una della dilui famiglia.

Lo jus kazakà era divenuto una praticatalmente radicata da essere utilizzato ancheper edifici al di fuori del ghetto: il 5 maggio1836, i fratelli Salomone, Giuseppe e DavidePesaro hanno concesso a David del fu AbramTedeschi lo Jus Casacà della Casa in Strada delPallone N°. 3352, quindi in zona esterna alghetto. Il ricorso allo jus kazakà da parte diproprietari ebrei, che può apparire comeun’assurda anomalia, è stato probabilmentemotivato dall’esigenza di attribuire un sensodi stabilità ad una situazione che gli affittuaridel ghetto temevano potesse essere interpre-tata o risultasse come temporanea ed effi-mera. Tanto è vero che, nel 1749, gli ebreiacquirenti lo jus kazakà dell’edificio in cui giàabitavano hanno ritenuto necessario affidareal notaio le ricevute di pagamento, reccapiti,che comprovavano la quasi centenaria del le-gittimo e pacifico possesso della kazachà nel ti-more che si smarriscano e restino perduti.Dietro questo desiderio traspare la paura, diorigine atavica e ormai profondamente radi-cata, di vedere cancellati ogni conquista equalsiasi beneficio faticosamente raggiunti:anche l’essere affittuari da quasi un secolo po-teva fornire una sorta di patente di legalitàche infondeva sicurezza e serenità a chi,troppe volte, aveva perso ogni avere.

Lo jus kazakà poteva anche essere con-cesso in subuso: era la situazione, frequentis-sima, cui soggiacevano gli immobili avuti incessione dall’Università degli Ebrei (nome at-tribuito nel tempo alla Comunità ebraica) inprima persona e, da essa, trasferiti ad altri.

Ecco, quindi, Moisè Cesare Finzi e AbramoRocca che abitano e conducono a titolo d’usola casa al 2502 di via dei Sabbioni, l’edificioera di proprietà di Alessandro Canonici ed ilsuo uso fù già istituto dalla Università di que-sto Ghetto, e questa la tiene ad uso Kazakà daldetto proprietario.

Il risultato di questa evoluzione giuri-dica e di tradizioni può essere paragonato, incerti aspetti, all’enfiteusi ed al feudo nel di-ritto medievale in quanto, anche nel casodello jus kazakà si assiste ad una scissione deldiritto reale originario con la costituzione didue ‘domini’ paralleli e ben separati, l’utileed il diretto. Questo è evidente in particolarisituazioni, ad esempio quando un ebreo con-vertito alla religione cristiana era al tempostesso erede di immobili soggetti allo jus ka-zakà: con automatismo perfetto, la famigliaebrea perdeva quel diritto d’uso, mentre ilneofita risultava investito da semplice livelloed egli, a sua volta, cedeva l’unità edilizia insubuso. Proprietari di beni in ghetto nonerano solo cittadini ma anche e soprattuttonobili (anche non ferraresi), congregazionilaiche e religiose, conventi ed ecclesiastici atitolo personale, la stessa Camera Apostolica.Fra le innumerevoli circostanze esemplifica-tive: il 30 ottobre 1640 il marchese Sigi-smondo Coccapani di Modena hapermutato un suo fabbricato in via GattaMarcia con un altro di proprietà del conteAlfonso Perondoli; il 23 gennaio 1754, laMensa Arcivescovile ha investito a titolo juskazakà l’Eccellente di Filosofia e MedicinaDott. Giacobbe Zaolon Ebreo ferrarese di ra-gione delle Compagnia del Santissimo Sacra-mento, dell’uso di un guasto dove un tempoera una stalletta, ancora in via Gatta Marcia;il Cittadino Sacerdote Girolamo Baruffaldi havenduto la sua proprietà in via Gatta Marciaa Marianna Chiozzi Baruffaldi, nel 1804.

LAURA GRAZIANI SECCHIERI

Renato Castelfranchi

Nato a Ferrara il 6 novembre 1878, socialista, motivo per cui «in pubblico – recita la sua scheda biograficadi polizia aperta nel 1902 - risente fama poco buona (…) è di carattere piuttosto mite, educato, intelligente,ha molta cultura ed è laureato in chimica». Produttore di liquori, tenne conferenze, nelle campagne ferraresitra il 1901 e il 1902. Segretario della federazione comunale delle leghe di Argenta, poi della Camera dellavoro di Cremona ed infine, nel 1903, di quella bolognese. Di «cattiva condotta politica»,«propagandistasfrenato» in grado di «rendersi pericoloso», divenne poi interventista, aderendo successivamente al P.N.F.,iscrizione forse fittizia, perché fu sempre sospettato di non aver mai abbandonato le idee socialiste. Internatoad Apecchio (PU) nel 1940, perché sorpreso con un anarchico ed un antifascista, venne liberato solo dopola caduta di Mussolini, il 29 luglio 1943. Fu tra le decine di arrestati, dopo l’uccisione del federale di Ferrara.Trasferito all’ospedale S. Anna in dicembre, venne portato nella Sinagoga di via Mazzini, dove gli fu seque-strato un orologio d’argento. Partì il 12 febbraio 1944 per il campo di Fossoli; da lì il 22 per Auschwitz.Venne ucciso il giorno del suo arrivo al lager, il 26 febbraio 1944.

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Nota relativa alla deportazione al campo di Fossoli (Carpi) di Renato Castelfranchi (ARCHIVIO DI STATO DI

FERRARA, Questura, gabinetto, categoria A8 ebrei, busta 1, fascicolo 27).

Estratti della lettera di Renato Castelfranchi al Capo della Provincia di Ferrara Enrico Vezzalini, 23 dicembre1943 (ARCHIVIO DI STATO DI FERRARA, Questura, gabinetto, categoria A8 ebrei, busta 1, fascicolo 27).

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Documenti relativi ai diversi aspettidella persecuzione razziale, attuata dal re-gime fascista, si possono ritrovare sia tra lecarte della Prefettura sia tra quelle dellaQuestura che conserva quello che è forseil corpus qualitativamente principale: i 168fascicoli della categoria A8 “Persone peri-colose per la sicurezza dello Stato”, inte-stati ad ebrei, in gran parte aperti a partiredal dicembre 1943, 16 dei quali primadell’emanazione delle leggi razziali. La ti-pologia documentaria in essi conservata èestremamente varia: stati di famiglia, rela-zioni dei pedinamenti, verbali di interro-gatorio, richieste di autorizzazione,certificati medici, elenchi di beni seque-strati. Un elemento spicca, però, all’in-terno di questo materiale: le lettere,censurate e non, che, anche se solo inparte, tratteggiano, gli stati d’animo degliebrei dopo l’emanazione dei provvedi-menti razziali: «Le recenti disposizioni inmateria razziale - scrive Aurelia Scandiani- hanno molto turbato la mia anima diperfetta italiana e mi addolora l’afferma-zione ch’io possa essere considerata stra-niera e nemica della Patria». Avevapartecipato alla marcia su Roma e la so-rella era stata la prima segretaria del fasciofemminile ferrarese: «Posso io quindi con-siderarmi nemica della Patria? Lascio la ri-sposta a chi mi dovrà giudicare ma perultimo aggiungo che ho quasi settantaanni, che mi sento vecchia, ammalata e pe-nosamente avvilita e la infelicissima pro-

spettiva di un campo di concentramentoturba in modo indicibile il mio spirito».

L’antisemitismo italiano portò, a par-tire dal 1940, alla nascita di campi di de-tenzione dove vennero inviati anche diversiebrei ferraresi, allontanandoli dalle famiglie,dalle proprie attività lavorative ed impren-ditoriali. I fascicoli personali testimonianoanche questo aspetto, attraverso le richiestedi permessi inoltrate alla polizia per tornaretemporaneamente a casa, o ancora le letteredi mogli e madri che supplicavano di resti-tuire ai propri famigliari il marito o il figlio.Nino Contini, per esempio, venne inter-nato alle isole Tremiti ed a Pizzoferrato per-ché accusato di contrabbando valutario, difinanziamento dei repubblicani spagnoli edi aver organizzato un comitato di soccorsoper i «correligionari» espulsi dalla Germa-nia, riuscendo, talvolta, a farli espatriare inPalestina.

Tra le altre figure spiccano quella diCarlo Hanau, schedato sin dal 1908 per-ché «pericoloso repubblicano», venne ri-petutamente diffidato dalla questuraassieme ai figli. Il «suo comportamento haprovocato frequentemente il risentimentodell’elemento fascista e nel 1938, trovan-dosi in un esercizio di caffè sito nel centrodella città, per avere un giorno pronun-ciato una delle sue consuete frasi antifa-sciste, fu malmentato da alcuni fascistiche, fra l’altro, gli imposero di non fre-quentare più oltre detto esercizio, a scansodi gravi conseguenze».

La persecuzione razziale nella documentazione

di Prefettura e Questura

Ad accusare gli ebrei non mancaronoalcuni delatori anonimi, come nel caso diGiacomo Pesaro, «di carattere spavaldo esuperbo, [che] con tale suo comporta-mento fa comprendere di non avere pauradi nessuno», noto dall’agosto del 1938 pergli «apprezzamenti sfavorevoli nei con-fronti del Governo Fascista e precisamenteper la preoccupazione in cui vivono oggi-giorno gli ebrei». L’attenzione verso la Co-munità ebraica ferrarese da parte delleautorità politiche fasciste precedette dicirca due anni il censimento dell’agosto1938 a distanza di due sole settimane dalquale il vice commissario di pubblica si-curezza Giuseppe Montagnese informò ilquestore che la Federazione fascista di Fer-rara stava lavorando «per avere aggiornatol’elenco degli ebrei di questa Provincia, estabilire la precisa attività da essi svolta nelquadro politico economico e sociale dellaNazione». Il risultato finale sarebbe statoun vero e proprio schedario, creato anchegrazie ad un ‘fiduciario’ «ebreo – sembralautamente compensato», contente, oltreai dati anagrafici, l’eventuale data di iscri-zione al P.N.F. e «se hanno rivestito o ri-vestono tuttora cariche politiche e se incaso di guerra siano elementi pericolosi ocomunque da vigilare».

Le carte del gabinetto della Prefetturaconservano 310 fascicoli, tra domande didiscriminazione e accertamenti della razzacompiuti d’ufficio: se in questi è conservatala documentazione presentata dagli ebreiferraresi, in 66 fascicoli personali dellaQuestura si possono invece trovare notiziesui provvedimenti definitivi presi.

Non mancarono anche gli arresti diebrei nei giorni tra l’armistizio dell’8 set-tembre 1943 e la nascita della Repub-blica Sociale Italiana: Primo Lamprontifu fermato dai carabinieri «perché sor-preso a fissare i seguenti manifestini:

sappiate che la rovina dell’Italia è statoil fascismo e i Tedeschi».

La situazione per la Comunità ebraicaferrarese precipitò dopo l’uccisione del fe-derale di Ferrara Igino Ghisellini e la suc-cessiva nascita della Repubblica SocialeItaliana: tra le decine di arresti compiuti trail 13 e il 14 novembre 1943, figurano inomi di diversi ebrei due dei quali, Vittoree Mario Hanau, padre e figlio, furono fu-cilati al muretto del castello, con altri seiferraresi come rappresaglia. Oltre che alcarcere di via Piangipane, Carabinieri, uo-mini dalla Questura, della G.N.R., o dellaPolizia Repubblicana, rinchiusero gli ebreinella sinagoga di via Mazzini e nell’asiloebraico di via Vittoria adibito ad ospedaleed in cui vennero ricoverati gli anziani.

Sono questi i luoghi da cui le S.S. liprelevarono per inviarli a Fossoli e da quelmomento i famigliari dei deportati nonseppero più nulla dei propri cari. Ancorauna volta sono delle lettere a riportarci aquei terribili momenti. Il 3 settembre 1944la signora Erminia Rossi, novantennemolto malata, scrisse al Capo della Provin-cia, Giuseppe Altini, per ottenere «che levenga rimandata a casa la sua cara ed ado-rata figlia Margherita Rossi chiusa incampo di concentramento». La figlia eragià stata uccisa all’arrivo al campo di Au-schwitz, il 10 aprile 1944. Durezza ed in-differenza di Questore e Capo dellaProvincia verso i sentimenti di pietà umanaemergono con Lionello Forti, classe 1868.Il 21 febbraio scrisse ai responsabili delcampo di Fossoli chiedendo di essere di-messo per l’avanzata età e per non arrecaredanni agli altri internati viste le sue precariecondizioni di salute. Il 4 marzo il QuestoreEnzo Visioli comunicò a Carpi che «suconforme parere del Capo della Provincia,non ravvisa, almeno per il momento, l’op-portunità che l’ebreo Forti Leonello fu Fe-

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lice venga dimesso da codesto campo diconcentramento, quantunque abbia sor-passato l’età di anni 70». Lionello Forti eragià stato deportato ad Auschwitz dove erastato ucciso al suo arrivo, il 26 febbraio.Identica è la vicenda di Costanza Pesaro,classe 1870: in questo caso la risposta venneinoltrata l’8 marzo 1944, dopo la suamorte, avvenuta ad Auschwitz il 26 feb-braio.

Fortunatamente sono giunte fino anoi anche testimonianze archivistiche del-l’attività svolta da alcuni dipendenti delpersonale dell’Ospedale S. Anna, tra questiil prof. Giovan Battista Dall’Acqua e suorAgnese Bulgarelli, in favore degli ebrei ri-coverati. Se in alcune circostanze, come inquello di Maria Zamorani, il tentativo fallì,in altri, per esempio per Wanda Pesaro, haavuto esito felice. Un appunto manoscrittonon datato recita: «L’Arcispedale S. Annaprima dimette gli ammalati e poi lo comu-nica a questo ufficio. La Pesaro Wanda eraricercata». Non si trattò dell’unico caso,visto che il 29 febbraio 1944 il direttore sa-nitario rispose alla Questura: «riguardo agliinfermi di cui all’oggetto, vi comunichiamoche all’atto dell’uscita sarete tempestiva-mente informati». Ed infatti, così fu perIsacco Fink e Olga Neppi, avviati poi a Fos-soli l’11 marzo e l’11 maggio 1944.

Sono, infine, le carte della categoriaA4a del gabinetto della Questura ad aprireun piccolo squarcio sull’attività di controlloe sequestro di beni e patrimoni ebraici. Ilprimo dicembre 1943 il Capo della Provin-cia Enrico Enrico Vezzalini aveva comuni-cato al direttore della Banca d’Italia dibloccare il pagamento e il rimborso disomme e l’apertura di cassette di sicurezzain favore di ebrei e «per evitare che possanocomunque sorgere equivoci nella praticaapplicazione del provvedimento» il diret-tore, assicurandone la diffusione alle ban-

che della provincia, richiese copie del-l’elenco dei nominativi e delle ditte neiconfronti delle quali applicare il provvedi-mento. I sequestri avrebbero dovuto riguar-dare anche le azioni di società industriali ecosì, nell’estate del 1944, Montecatini,Anic, Edison, Pirelli, Finsidier chiesero allaPrefettura una copia dell’elenco di tutti gliebrei nati o residenti nella provincia di Fer-rara. Si sottoposero a controllo i movimentidi denaro, verificando la diminuzione didepositi bancari e la trasformazione deiconti correnti in libretti al portatore fattoin gran parte dovuto ad operazioni com-piute da ebrei.

Il fascicolo più importante è quello ri-guardante oggetti e valori sequestrati nellasinagoga di via Mazzini. I documenti atte-stano una conoscenza di questo materialegià in epoca antecedente al 25 febbraio,data in cui si ricorda al Capo della Provin-cia essere in atto «da parte della polizia Tri-butaria Investigativa (…) un servizioveramente encomiabile» di ricognizione:argento lavorato per 150 chili, paramentisacri, oggetti di rito e lampadari stimati duemilioni di lire, documenti d’archivio defi-niti di «grande interesse storico per la rico-struzione della vita ferrarese nei secoliXVIII e XIX», qualche «pezzo di pregio» dasottoporre a stima ed ancora altri oggettid’oro e d’argento già presso l’Intendenza diFinanza. Il giorno successivo la Questurainviò due carabinieri a vigilare la Sinagoga.Il 15 marzo 1944 quattro casse piombate,dal contenuto non specificato, venneroconsegnate dall’Intendenza di Finanza allaQuestura. Dieci giorni più tardi copia delverbale di quanto sequestrato presso la Si-nagoga, inclusa la biblioteca ed i mobilivenne inviato a Roma, alla segreteria delCapo della Polizia.

DAVIDE GUARNIERI

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Liber Statutorum et Provisionum ad Maleficia depu-tati, 1394. Libro IV, capitolo 68 Quod judei stent indomo die veneris sancti (ARCHIVIO STORICO COMU-NALE FERRARA, Archivio Antico del Comune di Fer-rara, Serie Patrimoniale, busta 5, fascicolo I).

1703. Processo dell’Arte dei Sarti contro MoiseLampronti per indebito esercizio dell’Arte (ARCHI-VIO STORICO COMUNALE FERRARA, Archivio Anticodel Comune di Ferrara, Serie Corporazioni delleArti, Sarti I, busta 32, fascicolo 13).

18 gennaio 1779: licenza d’esercizio ri-lasciata dal massaro dell’Arte degliStrazzaroli Ubaldo Matuelli (ARCHIVIO

STORICO COMUNALE FERRARA, Archi-vio Antico del Comune di Ferrara,Serie Corporazioni delle Arti, Strazza-roli e Tintori, busta 39, fascicolo 14).

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Nell’Archivio Storico Comunale diFerrara si conserva una quantità impor-tante di codici e documentazione - mano-scritta e a stampa - che attesta la presenzadegli ebrei e della loro Comunità a Ferraranel corso dei secoli e che ne avvalora l’im-portanza sul piano economico-finanziario.Tuttavia, lo stato delle fonti e la comples-siva situazione archivistica cittadina nonconsentono, al momento, di avere unamappa completa della documentazione ri-guardante la presenza ebraica sul territorio.Comunque sia, sarebbe auspicabile riscri-vere la storia degli ebrei a Ferrara, colman-done le lacune e creando una maggiorecontinuità nella successione degli eventi,da non trattarsi più come episodi isolati mavisti più armonicamente.

Gli ebrei, la cui presenza è attestataa Ferrara certamente dal XIII secolo, nonebbero relazioni semplici con le istituzionidella città. Il capitolo sessantotto del libroIV del Liber Statutorum et Provisionum adMaleficia deputati del 1394, meglio notocome Statuto dei Malefici, riproponendoquanto già espresso negli Statuta Ferrariaedel 1287, vietava agli ebrei, sia uominiche donne, di uscire dalla propria abita-zione il venerdì e il sabato santi - preci-sando ulteriormente, qualora ve ne fossestato bisogno, «stent clausi tota die indomo» - pena la corresponsione di diecilire di ferrarini da versare per metà al Co-mune e per metà all’accusatore. Gli ebreiottennero il sostegno, seppur differen-

ziato, degli Estensi per l’apporto econo-mico e per il ruolo che detenevano nelleattività commerciali della città e in deter-minate sfere operative. Fin dagli alboridella tipografia, affiora prepotentementela vitalità e lo sviluppo dell’editoriaebraica a Ferrara. La presenza in città,negli anni Settanta del Quattrocento, diAbraham ben Hayyim dei Tintori, oPinti, di Pesaro ne è una testimonianza. Ilsuo impegno nell’arte tipografica a Ferrarasi espresse curando la stampa di impor-tanti opere: Perush Iyov (Commentarius inJob) di Levi ben Gerson, del maggio1477, di cui la Biblioteca Comunale Ario-stea vanta un esemplare; di Yaaqov benAsher, Tur Yoreh Deah, 25 luglio 1477, dicui poche sono le edizioni conservate almondo e solo tre in Italia; Pentateuco, Pro-feti, Agiografi, a Soncino, con YehošuaŠelomoh ben YiZra’ el Natan Soncino, 11Iyyar 5248 (22 aprile 1488). A metà Cin-quecento l’editoria ebraica a Ferrara vedràuna nuova fioritura con Yom Tob Atias eAbraham Usque. La fama di quest’ultimopuò dirsi strettamente connessa all’im-presa che lo portò ad editare nel 1553 laBiblia española «traduzida palabra por pa-labra dela verdad hebrayca».

Oltre al ruolo di spicco, intrinseca-mente correlato ai banchi di prestito, chegli ebrei assumeranno sempre di più,emerge il loro energico coinvolgimentonelle attività economiche della città nel-l’ambito delle Arti – dette anche Univer-

G li ebrei e le Arti a Ferrara: tessere di memoria

nelle carte dell’Archivio Storico Comunale

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sità o Scole - e dei loro Statuti. Le primetestimonianze documentarie relative allacostituzione e all’organizzazione delle at-tività artigiane, commerciali e imprendi-toriali, seppure in nuce, nella città diFerrara risalgono al secolo XII. Le Arti, oCorporazioni di mestiere, erano associa-zioni artigiane e imprenditoriali cittadine,organizzate secondo un sistema struttu-rato, che raggruppavano, sotto la stessaegida uomini (ma anche donne la cui par-tecipazione, soprattutto nei primi secoli,è pressoché ignorata e omessa) esercitantiun’attività lavorativa professionale co-mune, o affine, nell’ambito del propriosettore di competenza. In questo contestosi richiamerà la posizione nella dimen-sione produttiva e, di riflesso, nel tessutosociale degli ebrei nel corso dei secoli,dapprima in epoca estense, con partico-lare attenzione al Quattrocento e al Cin-quecento, e, successivamente, durante lastagione Legatizia nel Seicento e nel Set-tecento, prendendo in esame gli Statutidelle corporazioni ferraresi. Certamente lapresenza degli ebrei nelle corporazioni dellacittà riguarda in generale tutte le profes-sioni anche se in forma più peculiare si de-nota la loro appartenenza alle Arti deimercanti, degli strazzaroli, dei drappieri,dei setaioli, dei sarti, degli orefici. E nellospecifico, la documentazione sei-settecen-tesca che si riscontra negli Statuti rispettoal ruolo degli ebrei nelle attività cittadineè particolarmente interessante e cospicua.

Le svariate carte che trattano dellapresenza ebraica a Ferrara nel corso delCinquecento ci mostrano, da diverse pro-spettive, lo status degli ebrei. Provenientida Spagna e Portogallo, i mercanti abitantia Ferrara si costituirono in una Università.

Il 24 dicembre 1559 Alfonso IId’Este, duca di Ferrara, confermò all’Uni-versità dei mercanti portoghesi e spagnoli

abitanti in città i privilegi concessi, il 17gennaio 1542, dal suo predecessore, epadre, il duca Ercole II. Il documento,presente in copia nell’Archivio EstenseTassoni, riporta integralmente il rescrittoducale del 1542 facendoci cogliere ap-pieno che, nonostante il radicamentodella nazione spagnola e portoghese, nonvi era ancora una Comunità strutturata,dotata di un sistema organizzativo. La let-tera patente prevedeva in caso insorges-sero, tra loro, liti e controversie, fattaeccezione per quelle «che saranno crimi-nali», che fosse lecita l’elezione di due ar-bitri «huomini di quella natione, uno perparte» affinché non «s’havessero a ridursidinanzi a tribunali de’ Giudici d’altra lin-gua, et natione». In questi termini la con-cessione e la riconferma dell’arbitrato, chepoteva estendersi all’elezione di un terzouomo nell’eventualità di un mancato pro-nunciamento, manifesta la precisa volontàda parte dei Duchi di assumere una posi-zione, nei confronti di questa Universitàdi mercanti, analoga a quella che potevaessere una qualsiasi comunità di mercantistranieri. Un passo avanti nella strutturaorganizzativa e nella autonomia si concre-tizzò con un rescritto del 1° ottobre 1557col quale Ercole II concedeva la facoltà dipoter eleggere liberamente nelle sinagoghemassari e ufficiali che avessero l’autoritàdi imporre pene di scomunica agli inob-bedienti e ai delinquenti, e a coloro che,intrattenendo rapporti con questi ultimi,non si conformassero alle disposizioni deimassari; di imporre collette, di poter cac-ciare dalla sinagoga coloro che avesserocommesso peccati contro la loro legge oche fossero contravvenuti ai precetti delloro culto. I massari avevano, inoltre, fa-coltà di multare con pene pecuniarie gliappartenenti all’Università, d’applicarsiper metà alla Camera Ducale e per metà

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ai poveri dell’Università medesima. Tutteconcessioni che Alfonso II, su supplicadell’Università dei mercanti portoghesi espagnoli, riconfermò il 27 dicembre1559. Indubbiamente mediante i suddettiprivilegi ducali vi era il proponimento diaffermare un’autonomia interna all’Uni-versità cercando di evitare che le contro-versie finissero con l’interessare iltribunale della città. Questione che si ri-velò utopistica.

Principalmente per l’Arte dellaStrazzaria, ove esercitavano varie mae-stranze di ebrei, sono tantissime e diversele testimonianze, in un arco di tempoampio, relative alla presenza degli ebreimedesimi. Già il 1° gennaio 1415 il mar-chese Niccolò III d’Este concedeva, agliebrei che esercitavano l’Arte della Strazza-ria, sei nuovi capitoli che avevano l’obiet-tivo di regolamentare i rapporti di venditanella piazza di Ferrara e in relazione aglistrazzaroli cristiani. Vi è anche una sen-tenza del 7 luglio 1535 che stabiliva chegli ebrei strazzaroli fossero accettati nel-l’Arte della Strazzaria: l’elenco dei nomidi ebrei accettati, rogati dal notaio Gio-vanni Maria Agolanti, giunge fino al-l’anno 1555. Il duca Alfonso II d’Este il6 febbraio 1560 confermò il decreto cheproibiva sia a cristiani che ad ebrei, eser-citanti l’Arte della Strazzaria nella città diFerrara, di tenere aperte le botteghe neigiorni di feste comandate, come per Na-tale, Pasqua, o il Sabato per rispetto diebrei e marrani.

Si conservano inoltre documenta-zioni di affittanze. Il 27 ottobre 1651 ilmassaro e i sindaci dell’Arte degli Strazza-roli affittarono «secondo la forma dei ca-pitoli del ghetto» all’ebreo Lazaro Colognala casa che l’Arte possedeva nel circondariodel ghetto nella contrada di Gattamarcia;la stessa abitazione a distanza di oltre un

secolo, il 1° giugno 1785, veniva affittataall’ebreo Samuele Finzi. In data 18 gen-naio 1779 si contano, inoltre, una serie dilicenze d’esercizio rilasciate dal massaroUbaldo Matuelli «a diverse persone di cittàe di fuori»: è evidente dai nomi che sitratta di ebrei. Per l’anno 1776 è sempre ilmassaro Matuelli che riporta l’elenco degliobbedienti ebrei dell’Arte.

Vari sono gli editti emanati nel Set-tecento che evidenziano l’obbligatorietàdi essere iscritti alle corporazioni per poteresercitare. L’8 aprile 1742 il cardinale Le-gato Ranieri d’Elci emanava un editto colquale ordinava che nessuno, né forestiero,né del luogo, né cristiano, né ebreo, po-tesse esercitare, o far esercitare, l’Arte dellaMerceria, né vendere, né far vendere al-cuna cosa spettante ai merciai della città,borghi e distretto di Ferrara se non fossestato iscritto, non avesse avuto dimorastabile con la famiglia e una bottega, pro-pria o presa in affitto; pena il pagamentodi cinque lire marchesane d’applicarsi permetà alla Massaria del Comune e permetà all’Arte. L’editto imponeva, altresì,a tutti gli uomini iscritti, di celebrare lafesta di San Romano, protettore dei Mer-ciai, portando il palio alla chiesa delSanto, per assistere ai divini Offici, preci-sando che tanto i cristiani che gli ebrei ilgiorno della detta festività avrebbero do-vuto tener serrate le botteghe e non darlein conto alcuno, pena per i trasgressori ilpagamento di dieci scudi.

Il 18 settembre 1779 è il cardinaleLegato Francesco Carafa ad emanare uneditto che ribadisce gli stessi concettiestendendoli anche alle Arti dei Drap-pieri, Setaioli, Spazzini e Stracciaroli dellacittà, borghi e governi della Legazione.Già una sentenza pronunciata dal Giudicedei Savi Filippo Cestarelli il 1° dicembre1494 stabiliva per gli ebrei, che volessero

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24 dicembre 1559: Alfonso II d’Este conferma al-l’Università dei mercanti portoghesi e spagnoli abi-tanti in città i privilegi concessi, il 17 gennaio 1542,dal suo predecessore, in copia. (ARCHIVIO STORICO

COMUNALE FERRARA, Archivio Estense Tassoni,cassa 47, fascicolo 22).

Registrazioni di sanzioni disposte dal 1599 al 1670agli ebrei inosservanti dei Capitoli dell’Arte degliOrefici (ARCHIVIO STORICO COMUNALE FERRARA,Archivio Antico del Comune di Ferrara, Serie Cor-porazioni delle Arti, Orefici, busta 24, fascicolo 1).

1737-1739. Vertenza tra l’Arte degli Orefici e l’ebreoferrarese Aron Bonforni dell’Arte degli Strazzaroli perl’arbitraria vendita di merce spettante all’Arte degliOrefici (ARCHIVIO STORICO COMUNALE FERRARA,Archivio Antico del Comune di Ferrara, Serie Corpo-razioni delle Arti, Orefici, busta 24, fascicolo 16).

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esercitare le cose pertinenti all’Arte deiMerciai, l’obbligatorietà ad avere una lorobottega, pagare ed osservare ciò che gliStatuti e i decreti dell’Arte stabilivano.

Ugualmente nell’Arte dei Drappierisi trovano molti operatori ebrei: lo sievince anche dai Libri di entrata e diuscita dell’Arte per gli anni 1648-1669;così per gli anni 1669-1772, e la notiziache per l’anno 1760 gli ebrei cestaroli fu-rono condannati a pagare la metà dell’obe-dienza; lo stesso per gli anni 1773-1797,ove al termine di ogni annualità venivanoindicati i nomi degli obbedienti ebrei. Al-tresì per il 1785 in cui era massaroUbaldo Matuelli.

Il 25 maggio 1616 il cardinale Le-gato Giacomo Serra concesse, all’Artedella Seta della città di Ferrara, i Capitoli,parte dei quali emanati dal suo predeces-sore il cardinale Legato Orazio Spinola ein parte modificati. Dei 39 Capitoli, ilquattordicesimo esordisce sottolineandonon essere conveniente che in un’Arte cosìprincipale si ammettano e si accettino gliebrei, tuttavia continua «non si vuol peròne anche per benefizio di questa piazzaimpedir loro del tutto l’esercitarla». Per-tanto agli ebrei sia forestieri sia ferraresidi nascita era concesso esercitare l’Artedella Seta anche se con limitazioni checontemplavano la sola apertura di quattrobotteghe di «drapperia intiera, e schiettadi seta, e non mista d’altre merci» e la no-mina dei padroni di quelle botteghe s’in-tendeva espressamente riservata alCardinale Legato. Quattro i nomi indicatinel Capitolo degli Statuti: Vital Bren,Neptalin Vitta, Benedetto de’ Sacerdoti,Jacob da Carpi. Le restrizioni interessa-vano anche quegli ebrei che avevano bot-teghe miste, ossia costituite da drappi diseta e da altre merci, ai quali era vietatal’apertura indiscriminata di altre analoghe

botteghe e li si obbligava ad investire lametà del loro capitale in drapperia di seta.Era inoltre concesso agli ebrei - giacchéera loro riconosciuto dall’autorità legatiziaavere traffici «e corrispondenze in diverseparti», principalmente di drapperia diseta, che consentivano loro di richiamareverso la piazza di Ferrara denaro e merci -di lavorare e far lavorare per il commercioesterno finalizzato all’esportazione dellaproduzione. Ma poiché la preoccupazionedel governo della città era quella di scon-giurare il monopolio dei mercanti ebrei«nella sola Nazion loro tutto il commer-cio» a danno dei cristiani, proibiva espli-citamente a coloro che lavoravano, o cheavrebbero fatto lavorare, «per fuori» divendere, o far vendere, drappi all’internodella città e di destinarli invece al mercatoforestiero. E, disciplinava il Capitolo, poi-ché agli ebrei «si concede esercizio sì no-bile, e dal quale sono per ricevereguadagni notabili, e grandi, è ben anco ra-gionevole, che contribuiscano qualcheonesta ricognizione all’Arte». L’autoritàveniva al dunque: gli ebrei avrebbero do-vuto «pagare per una volta sola all’Arte»,venticinque lire i ferraresi, trentacinque iforestieri, e annualmente «per la tolle-ranza, e per la rinovazione della licenza»versare, senza eccezione alcuna, i ferraresilire tre, i forestieri lire quattro, in monetaferrarese. Si prevedeva per disattesa ot-temperanza del Capitolo e delle disposi-zioni indicate in esso e nel caso diaccertata frode, ipso facto l’impossibilità inperpetuo di esercitare, o di far esercitare,l’arte, nonché l’espulsione.

Nonostante le disposizioni dei car-dinali Spinola e Serra, l’Arte della Setanon riuscì ad uscire dal suo isolamento. Iprovvedimenti presi dall’autorità legatizia,per incentivare, potenziare e organizzareanche a Ferrara una produzione qualifi-

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cante della lavorazione di drappi di seta el’apertura del commercio di essa, nondiede i risultati auspicati. Le manifatturedella seta, sviluppatesi e decadute a fasi al-terne, soffrirono di fatto di forti gravamiderivati da un opprimente sistema d’im-poste che ne mortificò la crescita e l’aper-tura ad un panorama non esclusivamentelocalistico. Una grida emanata dal cardi-nal Spinola dell’11 giugno 1613 e unbando del cardinale Serra del 3 giugno1616 disponevano che tutti i sensali daseta, sia cristiani sia ebrei, per poter eser-citare l’Arte della Sensaria dovessero ver-sare duecento scudi al notaio dell’Arte.

Il pontefice Urbano VIII con ilBreve del 7 agosto 1638 confermò e ap-provò gli Statuti dell’Arte dei Sarti dellacittà di Ferrara: fra i nuovi Capitoli ilterzo disciplinava l’attività degli ebrei cheesercitavano l’Arte della Sartoria. L’incipitdel Capitolo focalizza immediatamentel’attenzione sull’autorità accreditata agliUfficiali dell’Arte e sulla consapevolezzadell’importanza che la conoscenza degliStatuti non poteva prescindere dall’eser-cizio dell’Arte. Il Capitolo stabiliva infattiche nessun ebreo, sia maestro che lavo-rante, che non fosse stato prima approvatodagli Ufficiali e in osservanza degli Statutidell’Arte, potesse lavorare «in drappinuovi e tagliati, dalla pezza, o da loro, oda altri, pigliandone le misure o permezzo di stampe, o di dieme siano diqualsivoglia materia, o sorte», senza averottenuto la licenza, in forma scritta, daiMassari e dai Sindaci dell’Arte. Inoltre,ogni anno, in occasione della festa delprotettore dell’Arte, Sant’Omobono, eraobbligo dei maestri e dei lavoranti ebreipagare, nelle mani del Massaro, rispetti-vamente venti e dieci soldi; l’avvenutoversamento, affinché avesse valore, dovevaessere riportato, dal Massaro medesimo,

sul libretto che ogni iscritto aveva l’ob-bligo di esibire in caso di accertamenti.

Alcune note documentarie atten-gono all’antica Arte dei Sarti: è del 1673una vertenza tra l’Università degli ebrei el’Arte dei Sarti in merito alla trasgressionedi Capitoli di cui viene messa in discus-sione la validità; degli anni 1676-1680 ilprocesso dell’Arte dei Sarti contro i sartiebrei che si rifiutavano di pagare la tassaper la processione del Corpus Domini; an-cora, del 1703 il processo dell’Arte deiSarti contro Moise Lampronti condan-nato per aver esercitato l’arte senza licenzadel Massaro.

Piuttosto esplicito e risoluto il Capi-tolo 23 degli Statuti dell’Arte dei Frutta-roli, Casaroli, e Confortinari confermatie approvati, il 15 dicembre 1750, dal car-dinale Legato Camillo Paulucci. Il Capi-tolo proibiva al Massaro pro tempore e allaCongregazione dei Trenta Uomini matri-colati, che componevano l’annuale reg-genza dell’Arte, di accettare nellamedesima, per uomo matricolato, unebreo di qualunque stato, grado e condi-zione. Gli ebrei potevano essere ammessisolo in qualità di obbedienti perciò ognianno, per tutto il mese di giugno, avreb-bero dovuto recarsi presso il Massaro protempore a prendere la loro licenza e a ver-sare quanto gli obbedienti cristiani, penaper l’inosservanza la cassazione dall’Arte.

Resta memoria di condanne, appli-cate dai Massari e dai Sindaci dell’Artedegli Orefici, di pagamenti agli ebrei ore-fici, per mancanze commesse, estratte daBartolomeo Missoli dai Libri dell’Artel’anno 1669. L’elenco registra le sanzionidisposte dal 1599 al 1670 agli ebrei tro-vati inosservanti dei Capitoli: talvolta sitratta di reiterazioni di reato che hanno ache fare con l’esecuzione dei manufatti esovente coinvolgono le stesse persone. I

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provvedimenti presi dovevano servire agarantire gli acquirenti. Si ricordano fraessi alcuni nomi: Abram Franchi, condan-nato nel 1616 per aver realizzato anelli inoro a basso titolo e, di nuovo, nel 1618per un candeliere d’argento basso; IsachCalvi condannato nel 1617 per aver ven-duto un anello a basso titolo; nel 1668 aPellegrino Diena fu proibito di fornireuna saliera in argento «per non eser allalega» che il Massaro non volle bollare. Ènoto che i manufatti dovevano esseremarcati dal Massaro con il bollo dell’Arte.

Nel Settecento, e precisamente neglianni tra il 1737 e il 1739, la documenta-zione registra una vertenza tra l’Arte degliOrefici ed Aron Bonforni ebreo ferraresedell’Arte della Strazzeria accusato di averarbitrariamente venduto merci spettantiall’Arte degli Orefici. Gli accusatori testi-moniarono di aver visto due ebrei cammi-nare per la piazza: Abram Coen e AronBonforni, filius quondam Moysis, abitante

del ghetto nella via dei Sabbioni. Que-st’ultimo, che teneva in mano «alla pub-blica vendita» una spada con guardiad’argento, all’atto della contrattazione fufermato dagli esecutori i quali richiesero lalicenza di vendita. Certamente il processodivenne uno strumento per rimarcarel’ambito di pertinenza delle due Arti. Nonbisogna dimenticare che le controversiefra le Arti erano piuttosto frequenti espesso le sentenze servivano per ribadire eridefinire i ruoli.

Tutti momenti di vita quotidianache costituiscono una minima parte dellacospicua e molteplice documentazione,ancora da affrontare ed esaminare, custo-dita presso l’Archivio Storico Comunale,relativa agli ebrei che con le loro attività eil loro patrimonio culturale concorsero aforgiare la comunità ferrarese.

MIRNA BONAZZA

Scuola media ebraicaCon Regio decreto del 5 settembre 1938, n. 1390 recante disposizioni per la difesa della razza nella scuolaitaliana, vengono espulsi da tutte le scuole di qualsiasi ordine e grado gli allievi, gli insegnanti e tutto il per-sonale non docente di razza ebraica.Dall’ottobre del 1938 i provvedimenti colpiscono a Ferrara oltre 70 allievi di origine ebraica e il prestigiosoR. liceo Ariosto è costretto a rinunciare oltre ad insegnanti di grande esperienza anche allo stesso presideEmilio Teglio, collocato a riposo.Viene fatto altresì divieto di adozione da parte degli «alunni italiani» di libri di testo, nonché delle operecommentate o rivedute da autori di razza ebraica.Con la legge del 15 novembre 1938, n. 1779, le scuole d’istruzione per alunni ebrei possono essere istituitedalle Comunità israelitiche solo nel rispetto delle disposizioni relative all’istituzione di scuole private. Apartire dall’anno scolastico 1938-1939 la scuola media ebraica di Ferrara viene aperta nell’edificio di via Vi-gnatagliata 79 che dalla metà dell’Ottocento aveva ospitato l’asilo e le scuole elementari della Comunità;fino al 1941 la scuola funziona seppur clandestinamente in forma ben strutturata grazie alla dedizione di in-segnanti come, tra gli altri, Giorgio Bassani, jona Massimo e Riccardo Veneziani. Gli allievi possono cosìbrillantemente superare gli esami come privatisti nelle scuole del Regno, subendo tuttavia nel momento delleprove scritte e orali il trattamento discriminatorio di essere isolati in aule separate dagli allievi di razza ariana.Solo dall’agosto del 1941 con decreto del Ministero dell’Educazione nazionale viene autorizzata in Ferraral’istituzione di una scuola israelitica, il preside deve tuttavia constatare la difficoltà a garantire il regolare svol-gimento delle lezioni per mancanza di personale docente precettato per altri incarichi.A far data dall’1 dicembre 1943 in ottemperanza al decreto collettivo di chiusura di scuole e corsi gestiti daComunità israelitiche viene definitivamente chiusa la scuola Media della Comunità israelitica di Ferrara.

Resoconto dell’anno scolastico 1938-1939 della «ScuolaMedia Ebraica» attivata dopo l’espulsione degli studentiebrei dalle scuole pubbliche a seguito delle «leggi razziali»(ARCHIVIO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI FERRARA,Scuola Media Israelitica, 1).

Nota della Comunità ebraica di Ferrara al R. Provvedito-rato degli Studi di Ferrara recante la rassicurazione chepresso la Comunità Ebraica di Ferrara non è istituita alcunascuola media ebraica come prescritto dalle disposizione aseguito delle «leggi razziali» (ARCHIVIO DELLA COMUNITÀ

EBRAICA DI FERRARA, Scuola Media Israelitica, 1).

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Dopo l’Unità la comunità degli ebreiferraresi si costituì subito in «Università israe-litica» ai sensi della legge del Regno di Sarde-gna n. 2325 del 4 Luglio 1857 sulleUniversità israelitiche («Legge Rattazzi»), di-venendo una delle comunità-guida della rina-scita morale e materiale dell’ebraismo italiano:fu infatti a Ferrara che si tenne, nel 1863, ilprimo convegno delle Comunità israeliticheitaliane e la città fu a lungo un luogo di pienae assoluta integrazione, con gli ebrei ferraresipresenti nell’economia, nella cultura e nellapolitica cittadina ai massimi livelli e in tuttigli schieramenti, con casi eclatanti comequello di Renzo Ravenna, il «podestà ebreo»assai vicino al ras dello squadrismo fascista fer-rarese Italo Balbo e «dimissionato» soltantonel 1938 all’atto delle leggi razziali.

L’Università israelitica assunse poi, inpiena continuità istituzionale, il nuovo profilogiuridico di Comunità ebraica previsto dalr.d., 30 ottobre 1930 n. 1731, con cui fu ri-conosciuta come una delle 26 «comunità me-tropolitane» del Regno d’Italia, unendo a sé(dopo che nel 1902 vi era già stata aggregatala Comunità di Cento) anche la Comunitàebraica di Lugo di Romagna.

Tuttavia, se già la promulgazione dellesempre più stringenti leggi antisemite avviatedal regime fascista a partire dal 1938 colpì vio-lentemente la compagine degli ebrei di Fer-rara, spingendone molti membriall’emigrazione, dopo l’8 settembre 1943 laRepubblica Sociale Italiana si applicò alla spo-liazione sistematica del patrimonio mobile eimmobile della locale Comunità e all’attua-zione del progetto nazista di deportazione e disterminio, a seguito del quale gli ebrei ferraresi

pagarono il tributo altissimo di circa un cen-tinaio di vittime. Soltanto dopo la Liberazionedel 21-22 aprile 1945 poté ricominciare la fa-ticosa opera di ripresa umana, patrimoniale,amministrativa della Comunità.

LE VICENDE DELL’ARCHIVIO DELLA

COMUNITÀ EBRAICA FERRARESE

Di fatto, purtroppo e prevedibilmente,ben poco della persistente e secolare presenzaebraica a Ferrara fino al 1943 rimane testimo-niato dall’archivio della Comunità così comelo si vede oggi: questo perché - se pure in ap-plicazione del decreto legislativo della Repub-blica Sociale Italiana n. 2 del 4 gennaio 1944,che disponeva la confisca generalizzata di tuttii «beni ebraici», il 23 febbraio 1944 la Guardiadi Finanza repubblichina aveva preso possessodei locali di Via Mazzini n. 95 dove avevanole loro sedi i luoghi di culto, gli uffici, la bi-blioteca e l’archivio, redigendone un assaipuntuale inventario e ponendo i sigilli agliedifici interessati - di fatto tra l’estate e l’au-tunno del 1944 gli stessi locali vennero piùvolte violati e saccheggiati, con l’asportazionefurtiva di tutti gli oggetti di valore e la distru-zione vandalica di quanto restava.

Pertanto oggi soltanto l’analitico verbaledi sequestro compilato tra il 23 e il 25 feb-braio 1944 (conservato in: ARCHIVIO DI

STATO DI FERRARA, Questura, Gabinetto,Fondo riservato, Cat. A4, b. 4P, Sinagoga - Se-questro di oggetti e valori)* tramanda la memo-ria di un archivio in cui si conservavano cartedi contabilità e di amministrazione dal XVIIsecolo, epoca in cui l’istituzione del ghetto

Le istituzioni ebraiche ferraresi postunitarie

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aveva, per così dire, «obbligato» la Comunitàebraica ferrarese a darsi forme istituzionali so-lide. Vi erano infatti: Libri di assegnazione dicase del Ghetto dal 1642, Filze dei massari delGhetto dal 1661 e assai più atti deliberativi,contabili, contrattuali e di gestione patrimo-niale del Settecento e dell’Ottocento.

Perciò, a parte contenuti lacerti di Cor-rispondenza (dal 1850) e di Contabilità antica(1635-1906), per lo più relativa in manieradesultoria ai negozi di private persone, di do-cumentazione fino alla prima metà del XX se-colo restano un solo registro della Scuolaspagnola levantina (1882-1883), i Repertoridegli atti e contratti (1909-1960), i materialirelativi alla gestione del Cimitero israelitico (dal1873), con i Permessi di seppellimento (1883-1954) e i Permessi d’ingresso al cimitero (1897-1927); documentazione ottocentesca è poistata in vario modo raccolta ex post a costituirei precedenti per il recupero dei beni razziati,con le serie di Confisca dei beni della Comunitàisraelitica (1883-1949) e di Ricostituzione delpatrimonio (1945-1955). Particolarmente im-portante anche il solo fascicolo della ScuolaMedia Israelitica (1938-1946), sorta dopol’esclusione degli studenti di religione ebraicadalle scuole pubbliche a seguito delle leggi an-tisemite del regime fascista.

Si sono invece conservati in maniera re-lativamente più continuativa gli archivi aggre-gati delle istituzioni educative e assistenzialiche operavano nell’ambito della Comunitàebraica ferrarese, probabilmente perché depo-sitati presso privati o nelle sedi di quegli stessienti. Così è ad esempio per l’archivio del-l’Ospizio marino israelitico italiano «LazzaroLevi», sorto a seguito del lascito testamentariodi Lazzaro Levi di Cento († 1917), che fondòquesto istituto allo scopo di «fornire di curamarina i ragazzi più bisognosi appartenentialle varie comunità israelitiche d’Italia, conparticolare riguardo ai ragazzi delle provinciedell’Emilia», precisando che in esso fossero

scrupolosamente osservate le prescrizioni ri-tuali ebraiche. L’istituto fu eretto in ente mo-rale e vide il proprio statuto approvato con ildecreto luogotenenziale n. 550 del 27 marzo1919; iniziò a operare dal 1918 a Caletta diCastiglioncello (LI) e negli anni di più intensaattività giunse a ospitare anche più di 100 fan-ciulli in due turni di cura marina, per poi co-noscere una lunga parentesi di forzatainattività dal 1940 (limitandosi quindi a ero-gare sussidi) e più ancora dal 1943, quandofu anch’esso commissariato come le altre isti-tuzioni ebraiche ferraresi. L’edificio della co-lonia, distrutto dagli eventi bellici, poté esserericostruito soltanto negli anni Sessanta ora tra-scorsi, così da riprendere l’attività che prose-gue tuttora. Nell’archivio storico di questoente si conservano sistematicamente i Verbalidel Consiglio d’amministrazione (dal 1918), laCorrispondenza (dal 1917), la Contabilità (dal1917), le Concessioni ferroviarieper i viaggi deigruppi di bambini avviati alla colonia (1917-1939), nonché alcune carte private del bene-fattore Lazzaro Levi (1862-1918).

Più contenuti i complessi documentarirelativi al Legato «Federico Zamorani» (1933-1941), da cui venivano erogate periodica-mente rendite alla Comunità israelitica, agliospizi, agli asili, ai templi e alle confraternite,e all’Ospizio israelitico «Anna Cavalieri San-guinetti» (1942-1944), casa di riposo per an-ziani gestita dalla Comunità ebraica ferrareseche fu attiva fino al 1944, quando anche i de-genti in essa furono avviati al ricovero negliospedali comuni o alla deportazione. Dopo il1945 la sua amministrazione fu concentratanella ricostituita Comunità ebraica.

LA COMUNITÀ EBRAICA DI LUGO

E IL SUO ARCHIVIO

All’interno dell’archivio della Comu-nità ebraica di Ferrara è confluita anche la

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documentazione superstite dell’Universitàisraelitica di Lugo di Romagna, rimasta le-gata al capoluogo ferrarese sulla scia di secolidi tradizionali legami all’interno della «Ro-magna estense» prima, e poi della Legazionedi Ferrara dello Stato pontificio.

Una presenza ebraica a Lugo è testimo-niata fin dal XIII secolo, con una comunitàper più secoli fiorente data la vivace attivitàmercantile del centro lughese e la sostanzialeprotezione accordata anche qui agli ebreidagli Estensi, cui Lugo appartenne a partiredal 1376. Dopo la devoluzione di Ferrara edella Romagna estense alla Chiesa nel 1598,Lugo fu una delle tre città della nuova lega-zione pontificia (assieme a Ferrara stessa e aCento, della cui comunità - unita a quella diFerrara nel 1902 - per ora non si sono repe-rite tracce documentarie) in cui fu consen-tito agli ebrei di permanere, giungendosiperò alla loro effettiva chiusura in un ghetto- richiesta dalla municipalità nel 1624 - sol-tanto nel 1639, nel borgo di Codalunga.

I portoni del ‘chiuso’ furono abbattutiuna prima volta nel 1797, ripristinati nel1826 e di nuovo abbattuti nel 1831, per nonessere poi più innalzati. All’atto dell’Unitàd’Italia e della piena emancipazione ebraica,anche a Lugo sorse una «Università israeli-tica» ai sensi della legge 2325/ 1857, checontinuò la sua attività nell’ambito della vi-gente legge, così come testimoniato dalla do-cumentazione, fino all’applicazione del r. d.30 ottobre 1930 n. 1731, per cui la Comu-nità lughese fu unita a quella di Ferrara.

Non è dato sapere se la documenta-zione d’archivio di questa Comunità fossestata concentrata a Ferrara già all’atto del-l’unione delle due comunità o meno; il fattoche non vi si accenni nel verbale di sequestrodell’archivio della Comunità ferrarese nel1944 fa ipotizzare che essa fosse rimasta aLugo, dove comunque la sinagoga con granparte dell’ex ghetto fu distrutta da diverse in-

cursioni aeree, e che quindi questi ridotti nu-clei siano stati consegnati in prosieguo ditempo dagli ebrei lughesi superstiti alla Co-munità da cui il territorio lughese (con par-ticolare riguardo alla manutenzione dellocale cimitero ebraico della Via di Giù) con-tinua a dipendere a tutt’oggi.

All’interno dell’archivio dell’Universitàisraelitica di Lugo si conservano ridotte seriedi: Liste elettorali (1905-1929), Corrispon-denza (1864-1920), Bilanci preventivi(1908-1929), Conti consuntivi (1869-1913),Bollettari delle entrate (1927), Fatture e rice-vute (1917-1922), Rogiti e cause (1816-1928) e Permessi di seppellimento(1924-1928). Presso di esso si trovano anchegli archivi aggregati della Compagnia dellaMisericordia di Lugo (6 fascicoli dal 1885 al1949), esistente sin dal XVIII secolo, erettain corpo morale con r. d. del 29 luglio 1878e avente lo scopo di «somministrare carne emedicinali ai poveri appartenenti alla localeUniversità Israelitica e anche a forestieri,quando cadono ammalati, e di provvederein caso di morte alle spese occorrenti alla lorotumulazione, e alla celebrazione delle prati-che religiose prescritte dal culto ebraico perl’agonia e pel suffragio delle anime», e del-l’Amministrazione «Malbis Harumim» (cioè«Vestire gli ignudi»: un solo registro di Bol-lettari delle offerte dal 1907 al 1923), confra-ternita assistenziale dedita alla carità - al paridelle numerose associazioni omonime testi-moniate presso altre comunità ebraiche ita-liane - e caratterizzata come partecipataesclusivamente da contribuenti di sesso fem-minile.

ENRICO ANGIOLINI

*Ora: ARCHIVIO DI STATO DI FERRARA, Que-stura, Gabinetto, categoria A4a, I versamento,busta 3, fascicolo 74.

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Ospizio marino israelitico italiano “Lazzaro Levi”

L’Ospizio marino israelitico italiano “Lazzaro Levi” viene istituito a Ferrara nel 1917 per volere testamentariodi Lazzaro Levi , il quale spirato a Cento il 23 febbraio 1917, lasciava tutti i propri averi allo scopo di fondareun istituto dedito «alla cura marina dei ragazzi più bisognosi appartenenti alle varie comunità israelitiched’Italia con particolare riguardo ai ragazzi delle province dell’Emilia», ordinando che nell’Ospizio fosseroscrupolosamente osservate tutte le prescrizioni del rito ebraico.L’istituto fu eretto in ente morale con decreto luogotenenziale n. 550 del 27 marzo 1919 che ne approvavalo statuto. Amministrato da un consiglio direttivo presieduto da Felice Ravenna, esecutore testamentario diLazzaro Levi e composto da altri quattro membri delegati rispettivamente dalle Università israelitiche di Fer-rara, Firenze, Milano, Roma, l’istituto iniziò ad operare presso l’ex villa Menicanti a Caletta di Castiglioncello(Li), dapprima presa in affitto poi acquistata nel 1922.Per motivi sia di guerra che razziali, l’istituto che nel 1940 aveva dovuto chiudere la propria colonia di Ca-stiglioncello dopo aver funzionato per più di un ventennio prestando cure salsoiodiche a fanciulli di un’etàcompresa tra 6 e 12 anni e affetti da varie patologie, limita la propria attività alla semplice erogazione diparte delle proprie rendite a favore dei bambini bisognosi di assistenza fino all’estinzione di ogni residua at-tività nel novembre del 1943 quando viene nominato dalla Prefettura un commissario sequestratario.L’edificio della colonia fu distrutto dagli eventi bellici e poté essere ricostruito soltanto negli anni sessantadel secolo scorso.L’Ospizio marino israelitico italiano “Lazzaro Levi” viene soppresso nel 1989 con legge n. 101 del 8 marzo1989 e trasferiti i beni alla Comunità ebraica di Ferrara.

La brochure di presentazione dell’attività dell’Ospi-zio marino israelitico italiano «Lazzaro Levi», 1930ca. (ARCHIVIO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI FER-RARA, Ospizio marino israelitico italiano «LazzaroLevi», Regolamenti, 1).

Il «Regolamento interno» (s. d., ma del 1930 ca.)per il funzionamento della colonia dell’Ospizio ma-rino «Levi» (ARCHIVIO DELLA COMUNITÀ EBRAICA

DI FERRARA, Ospizio marino israelitico italiano«Lazzaro Levi», Regolamenti, 1).

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Page 18: S A ’E -R E F (XIII – XX .) VITA QUOTIDIANA · 2012. 9. 26. · Presentazione Le manifestazioni organizzate a Ferrara in occasione della XIV Settimana della Cul-tura promossa

L’«Inventario mobili e biancheria appartenenti al-l’Ospizio Marino “Lazzaro Levi”» aggiornato al lu-glio 1934, aperto dagli arredi dell’oratorio(ARCHIVIO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI FERRARA,Ospizio marino israelitico italiano «Lazzaro Levi», Ri-costruzione della colonia, 1).

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L’«Elenco dei bambini» avviati al II turno della«Cura marina» del 1938, dall’8 agosto al 14 settem-bre (ARCHIVIO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI FER-RARA, Ospizio marino israelitico italiano «LazzaroLevi», Elenchi dei bambini, 1).

Una delle fatture per «Rimozione di macerie dellaVilla demolita di Caletta», datata al 24 dicembre1945) dopo le distruzioni belliche dell’edificio dellacolonia marina (ARCHIVIO DELLA COMUNITÀ

EBRAICA DI FERRARA, Ospizio marino israelitico ita-liano «Lazzaro Levi», Ricostruzione della colonia, 1).

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