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s mbr Periodico di miserie umane e misurazioni ... · no mai un cazzo. I giovani, a una certa età...

Date post: 20-Feb-2019
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Periodico di miserie umane e misurazioni maxillofacciali. Numero diciassette (2011, a. IV). In attesa di giudizio divino. I giovani, anche da vecchi non capiran- no mai un cazzo. I giovani, a una certa età si sentono già vecchi. I giovani, passano le ore ad aspettare di diventare grandi. I giovani, pensano che gli altri giovani siano come loro. I giovani, entrano ed escono dall’adole- scenza per tutta la vita. I giovani, vanno a fare i lavori che i grandi non vogliono fare. I giovani, anche da piccoli erano dei bambini con forti disagi. I giovani, sperano che i grandi sappiano qualcosa più di loro. I giovani, hanno il passato breve, il presente noioso, il futuro incerto. I giovani, contano come il due di picche. I giovani, hanno tutte le occasioni da perdenti. I giovani, tra qualche anno finiranno col dire che si stava meglio prima. I giovani, andranno a fare le cose da giovani dopo un bel po’ di anni. I giovani, invecchieranno con il timore di aver perso la giovinezza. I giovani, passeranno la vita a racconta- re storie di quando erano giovani. I giovani, perdono tempo ad ascoltare chi vuole spiegargli come si deve vivere. I giovani, erano già vecchi quando la vita media era di trent’anni. L’ mbr s ho tremila amici su facebook, cinquecento contatti twitter, tre canali youtube e due smartphone. e non ho un cazzo da dire. largo ai loboto giuovani! vuoti a perdere LOMBROSO.NOBLOGS.ORG
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I giovani, anche da vecchi non capiran-no mai un cazzo.I giovani, a una certa età si sentono già vecchi.I giovani, passano le ore ad aspettaredi diventare grandi.I giovani, pensano che gli altri giovani siano come loro.I giovani, entrano ed escono dall’adole-scenza per tutta la vita.I giovani, vanno a fare i lavori che i grandi non vogliono fare.I giovani, anche da piccoli erano dei bambini con forti disagi.I giovani, sperano che i grandi sappiano qualcosa più di loro.I giovani, hanno il passato breve, il presente noioso, il futuro incerto.I giovani, contano come il due di picche.I giovani, hanno tutte le occasioni da perdenti.I giovani, tra qualche anno finiranno col dire che si stava meglio prima.I giovani, andranno a fare le cose da giovani dopo un bel po’ di anni. I giovani, invecchieranno con il timore di aver perso la giovinezza.I giovani, passeranno la vita a racconta-re storie di quando erano giovani.I giovani, perdono tempo ad ascoltare chi vuole spiegargli come si deve vivere.I giovani, erano già vecchi quando la vita media era di trent’anni.

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s ho tremila amici su facebook, cinquecento contatti twitter,

tre canali youtube e due smartphone.

e non ho un cazzo da dire.largo ai lobotogiuovani!

vuoti a

perdere

lombroso.Noblogs.org

Quando il ministero della gioventù presieduto dall’onorevolissima G. Meloni ha espressamente richiesto a L’ombroso (collaboriamo spesso con le istituzioni governative, ci dà un tono) di confezionare un numero sui Giovani, una coltre di imbarazzante ansia sudata è scesa sull’accolita um-bratile che dà vita a questo progetto misterioso.

Che cazzo ne sappiamo noi, che siamo tutti sofferenti di non pre-coce alopecia?Poi però, investiti di questa re-sponsabilità istituzionale da la-sciare ai posteri (fottuti futuri giovani anche loro), sistemato il cappuccio sulle ventitre, è partito il brain-storming insieme al brainwashing e sono fioccate gemme di saggezza che ivi abbia-mo raccolto.Personalmente non nascondo di ave-

re provato un certo disagio, un po’ di son-nolenza e di avere fatto un considerevole sforzo di memoria. Come prima cosa, i giovani hanno un difet-

to, scientificamente pro-vato: loro sono giovani e io non più, ad esempio.Il mio inappellabile giu-dizio nei loro confronti varia così in uno spettro emotivo che contempla a un estremo il fastidio e all’altro la pietà. Ho una leggera preferenza per il primo sentimento co-munque.A volte invece fanno te-nerezza. Non a me. A un’attenta disanima comportamentale, il loro onanismo esistenziale

oggi si radicalizza nell’unico posto dove credono sia possibile vivere scialla, su Facebook. Ultimamente mi sono dedicato allo studio dei loro commenti in cui spesso commentano quel che è stato commenta-to: cose di vitale importanza come il caffè non bevuto la mattina, il cagotto all’uni-

versità, l’emicrania da ciclo mestruale o l’irrefrenabile

voglia di risotto di cui met-tere al corrente l’univer-so mondo delle proprie presumibili amicizie. Non

vedo l’ora che prenda pie-de Tuitter anche qui, non

vivremo più l’angoscia dell’attesa ma sapre-mo in tempo reale se quell’ignobile brufolo

romanista (giallo-ros-so) schiacciato in ba-gno ha lasciato tracce schizzate sullo spec-chio. Io, per quel che mi riguarda, in spregio alle mode passeggere

di tempi miopi, rimango fedele alle antiche e sane abitudini. Chi mi vuole parlare, sa dove trovarmi. Su Second Life.Detto ciò, e rifacendomi alle analisi so-ciologiche di chi ha studiato la materia, è normale e giusto odiare i giovani, è l’unico modo per creare una dialettica intergene-razionale. Noi odiamo loro, loro odiano noi, è così che si differenziano le generazioni culturali.Ma in fondo, parafrasando noi stessi, chi se ne sbovva. E con questo credo di avere posto la parola fine a questa breve ma luci-da digressione; non è d’altronde mica col-pa mia se l’oggetto del contendere più che afflati di speranza nelle nuove generazioni stimoli riflessioni sul rigor mortis. Ah, dimenticavo: non ci sono più i giovani di una volta. Sono morti.Tripudio di brufoli. Pus sugli spettatori. Sipario.

Youth degenerationA rigor di logica, era meglio morire da piccoli Max Brododidado

Segui il nostro corso

di demotivazione.

Perchétu vali.

(‘na sega)

Si fa presto a dire “per me non hanno segreti, tutti uguali”... Ma dentro, come sono fatti?

La scelta del soggetto fu assai diffi-coltosa, perché i giovani sono come i pesci, vanno a male. Appurammo in-controvertibilmente da esperienze su migliaia e migliaia di soggetti che i giovani invecchiano.Per tale ragione, se scelto con imperizia il giovane, ancorché individuato giovane, rapidamente invecchiava e, prima ancora di cominciare il lavoro, vanificava i nostri sforzi. Si videro giovani invecchiare dopo uno sganassone in volto, altri avvizzirono non appena si rivolse loro la parola, altri ancora maturavano nel corso delle attivi-tà cliniche, invalidando qualsiasi risultato, non essendosi ancora individuata con pre-cisione la soglia della trasformazione, che è problema assai complesso.Tuttavia le difficoltà non si fermarono qui. Quando ci parve di avere individuato un gruppo sufficientemente stabi-le, ai primi tentativi di cattura ci rendemmo conto che questi es-seri corrono come lepri, perciò si dovette agire di concerto di modo che la sagacia strategi-ca vinse sull’atletico ardore. Quelli che fu troppo facile catturare, in assenza di diverse evidenze, rivelarono sempre un certo grado di insta-bilità mostrando a un esame più accurato le prime pieghe nelle ani-me e qualche segno at-torno agli occhi. Molti di loro citavano Capa Rezza e utilizzava-no cosmetici e altri palliativi per masche-rarsi da giovani. Perciò fu indispensabile esaminarli e selezionarli con attenzione sottoponendoli ad alcuni test reattivi prima di passare all’operatività. Sul viso un foro con un pezzetto di metallo passante è ge-neralmente indice di freschezza dell’indi-viduo. Si asporta facilmente con una tena-glia. Nella bocca in tra i soggetti più giovani trovammo una intera gabbia metallica che legava i denti. Si poté asportare con cac-ciavite e tenaglia.L’indagine partì dalla testa, con il propo-sito di procedere successivamente verso l’estremità inferiore.Sul cranio presentano invariabilmente una folta peluria. Se i capelli risultavano radi o assenti, scartavamo il soggetto. Nella

più parte dei casi esaminati, non appena superficialmente inciso sulla fronte, il sog-getto cominciò a dimenarsi scomposta-mente e a ululare. Fu necessario rinsalda-re le misure contenitive e inserire cotone idrofilo nel cavo orale. Quindi si procedette all’asportazione del cuoio capelluto per osservare a nudo il complesso craniale. In tre soggetti si evidenziò una galea aponeu-rotica piuttosto sensibile alla imposizione di leggere scariche elettriche, il soggetto perdeva momentaneamente conoscenza. In altri tre soggetti si è riscontrato il seno sagittale superiore decisamente ingrossa-to, nella totalità dei soggetti esaminati la dura mater risultò di un color salmone pal-lido niente bello, chiaro indizio di carattere debole e superficiale. La totalità dei sog-getti è deceduta all’atto della asportazione del cervello, che si presentava come indi-

stinto opalescente materiale acquoso, dal che deducem-

mo che prima dell’aspor-tazione fosse in uso, ma anche ipotizzammo una spiccata tendenza del-la gioventù a svilup-

pare dipendenze dagli organi e dalle sostanze.

Il peso dell’organo non superò in nessun caso il

chilo e due. In un soggetto con alito importante si osservò una lingua patinata, e questo spiegherebbe la

tendenza dei giovani alla menzogna. Quando

la lingua gli fu cesoiata, que-sta continuò ad agitarsi sul tavolo operato-rio come la coda mozzata di una lucertola. Tale fenomeno dovrebbe essere appro-fondito. Infatti non si esclude che la lingua dei giovani possa risultare eterodiretta. E a supporto di questa teoria si rileva che il soggetto decedette per apparente dissan-guamento un’ora e ventidue minuti dopo l’asportazione della lingua. Tuttavia in altri due casi il fenomeno del ballo della lingua non si diede.Su sette casi si riscontrò un ispessi-mento del muscolo ciliare. Questo in-dica chiaramente una natura pigra e un carattere influenzabile, pertanto indotto a delinquere.I corpi nella loro complessione erano

generalmente armonici e sorprendente-mente lisci, circostanza dalla quale si può dedurre una esagerata percezione di sé e una cura maniacale del proprio aspetto. Tuttavia, a conferma della rapidità con cui i giovani tendono a invecchiare, dopo tre giorni di indagini i soggetti cominciarono a mostrare diffusa putrescenza e ad ema-nare un inequivocabile olezzo di cadavere. Tale circostanza rese penoso e del tutto in-fruttuoso il proseguio dell’attività.In conclusione, noi ci auguriamo che que-ste brevi note potranno essere di sprone affinché la ricerca vada avanti per il bene dei giovani di oggi e di domani. La gioventù è una bella cosa, ma i giovani sono in diffi-coltà e noi non sappiamo un cazzo di loro. Non abbandoniamoli, aiutiamoli, indaghia-mone con entusiasmo la sottile natura.

appunti per uno studio endofisiognomico sui giovaniIl Miserabile Jean

Aveva proprio ragione il vecchio Lombroso, ci sono delle facce che «sembrano delle unghie incarni-te». Stesso fastidio e stessa concen-trazione dei tratti somatici in una superficie ristrettissima al centro dell’alluce. È un tipo così Daniele “Faccia da piede” Scarpon, quel genio che ha promosso una sfilata di freaks alla Todd Browning vi-sta in agosto in centro a Verona, una ric-ca chermess che, dopo essere approdata nelle più prestigiose località venete (come Montecchio Maggiore, Villorba e Bussolen-go), ha trovato nella suggestiva cornice di Piazza dei Signori la sua tappa ahinoi conclusiva.L’intento del bel fe- stival patrocina-to dall’assesso- rato regionale all’Identità Ve- neta, Protezione Civile, Caccia, Flussi Migratori e Caccia ai flus- si immigratori? Quello di va- lorizzare le t r a d i z i o n i della nostra

comunità, la stessa che ci

ha valorizzato nel mondo con il

contributo dei vari Tosi, Gentilini, Flego, Donazzan e Prezze-molo.Il risultato? Una pa-rata dell’orrore, una dimostrazione del perché è bene dire

No alla vita, una sequela di errori della Natura che nemmeno il più colto dei fi-siatri ottocenteschi avrebbe potuto met-tere assieme con tanta perizia.Ma andiamo con ordine: “Faccia da piede” in persona ha presentato lo show con mu-gugni ed espressioni dialettali bofonchiate sputando pezzi di polenta e tocchi di pomi-doro masticati. Nessuno tra il pubblico ha capito un tubo e, forse anche per evitare figuracce, è salito in fretta e furia a strap-pargli il microfono un grugno con giacca verde e camicia aperta fino all’ombelico. Trattavasi di Attilio Splatch, esponente della Lega di Vicenza, uno che ha un co-gnome onomatopeico, perché la sua fac-cia sembra proprio uno splatch: una cozza spiaccicata da un pugno di braccio di ferro o, se preferite, una ciunga calpestata su un marciapiede di Vicenza. Anche da lui frasi confuse e periodare inconcludente, finché a cercare di salvare la baracca non è stato spedito sul palco il sindaco di un paesotto, tal Mirco Felici. A causa di una grave forma di meningite contratta all’età di un anno, è cinquant’anni che Felici alterna sorrisi e risate. Dopo quattro o cinque sganasciate, tra le quali ha cercato di spiegare la trage-dia degli alluvionati in Veneto, è stato por-tato via da un infermiere. Finalmente poi sono arrivate le vallette Giuseppa Pollaio e Letizia Isolata: parlano come cip e ciop e, alternando una frase di una alla frase dell’altra, hanno introdotto il primo ospite: «directly from Pescantina… Andrea Vanitini!». Il menestrello autore dell’epica «Meno male che Silvio c’è» sfog-

gia sciarpetta di seta e ray-ban da sole alle dieci di sera. Seduto alla tastiera attacca il suo ultimo capolavoro: «Ti preferisco al mio piano, baby». Dopo dieci minuti di melassa insostenibile, tocca allo show di Giusy Zenzero, una carrellata di barzellette in dialetto di li-vello bassissimo e battutine su africani, cingalesi, veline e altre amenità. È la volta dei Freva da Bamba, gruppo di Mira che fa musica brasi-liana in dialetto veneziano. È pur sempre estate ma spira un singolare vento siderale che raggela i presenti. Calcano dunque il palco le ballerine The Gamblers: bravissime, pirotecniche, elastiche, un tentativo in extremis di viagra danzeri-

festival veneto, forti emozioniUn suceson che rende sacrosanta giustizia ai popoli di lengoa venata Quel Brutale Finalmente

ControcantoMe piase i butei,ma solo de queiche in scarsela gà i cortei.

Me piase i butei,sempre de quei,che i dà duro ai negri e ai ghei.

Semo propio brai butei,testa rasa e nò cavei,co la svastica sui diei.

Se la femo sempre franca,se la digos gà la stanca,l’è parché sem numerosi esopratuto amici a Tosi.

Alì Tosi

erediteretecaroerediteretetutto

università degli schiaffidel Cavalier del lavoroRigoberto Gobetto

rudimenti - primi approcci - corsi avanzati - tecniche orientali - riconoscimento faccia da schiaffi

no per rivitalizzare il pubblico proto-ottuagena-rio. Ma a catalizzare l’at-tenzione della catalettica platea è una rissa che va in scena a bordo palco tra due amministrato-

ri locali non meglio identificati. Sembra che il primo abbia

chiesto al secon-do di assumere il figlio («aiutalo a tirarse fora che l’è un po’ ampecile»), ma il malde-stro tentati-vo di racco-mandazione è finito a pugni. Tra le al-tre chic-che della s e r a t a il jazz in veneto di G i s e l a F e r a -

rin e l’allegria sfrenata del tristo mietitore di rime e canto intonato Damian Parodini, vera rivelazione del festival, che ha pre-sentato la malinconica nenia asfissiante «Baci, baci» in compagnia della sua cori-sta, probabilmente schiava di un grave tracollo finanziario per essere lì. E così, tra una sfilata pret-a-porter di calze conturban-ti per la casalinga veneta (sempre rigorosamente in lingua veneta), i finti tempi televisivi della finta diret-ta che neanche sanremo e un «Uselìn de la coma-re» che strappa più di una nostalgica lacrima, chiude l’eventone, quando ormai tutti se ne stanno andando, Mas-simo Primero, che ha anche lo stragrande merito di essere il di-rettore artistico dello show. Dopo un piattissimo set di voce e chitar-ra in stile parrocchiano, il Ligabue lagunare ha salutato dicendo ai sei comatosi rimasti ad ascoltarlo: «Grazie dal profondo dell’anima. Per tutta l’energia e le carezze che mi avete fatto arrivare. Per la forza

della vostra splendida presenza…». E se per qualche astruso motivo qualcuno non ricordasse le parole della sua hit, suggeri-sce sornione: «Basta che la cantate dentro di voi…». Poi si abbraccia da solo. Alle sue spalle già iniziavano a smontare il palco.

Tutto bello, tutto veneto, tutto pla-tealmente impestato del colore ver-de, dallo sfondo con l’Alpe al tanga dei macchinisti. Unica nota stonata, forse, l’annunciato numero finale

del sindaco di Veronda che si sarebbe esibito come uomo cannone, sparan-dosi sulla folla al grido di “Piccioniiii!”, all’ultimo momento è saltato. Peccato, ci stava bene.

Quando il direttore tempo fa mi chiese di recarmi a Ma-drid per seguire la Giorna-ta Mondiale della Gioven-tù non pensavo che sarei precipitato in un simile incubo.

Don Clodoaldo, organizzatore della comitiva, è un essere laido, untuoso e ambiguo con occhialoni da miope e faccia da cazzo. Tutto in lui puzza: tonaca, montatura nera, denti gialli acca-vallati in una selva raffazzonata di incisivi e canini, scarpe e bubboni emanano un fetore insopportabile di aglio misto incenso. È lui che con foga rabbiosa incita i cori del clan “Tutti pazzi per Tettamanzi”, un gruppo di tripponi esal-tati arrivato in pullman che corre in preda a una sorta di delirio per le vie di Madrid brandendo il sim-paticissimo striscione. Die-tro a loro un’infernale calca di esseri brufolosi che mi chiede se voglio essere loro amico lanciando santini di padre Pio. Facendomi largo tra quintali di forfora, sebo appiccicatic-

cio e sguardi pallati, ecco, là in fondo, lungo i muri del

Museo del Prado, scorgo Dionigi che attacca la sua predicozza: «Come Maria, anche noi siamo chiamati a lottare con-tro il mistero dell’ini-

quità senza farci soffo-care né intimorire. Come

Maria, anche noi dobbiamo coltivare la certezza che il de-

stino dell’umanità non è un destino di violenza ma che tutti siamo aperti ad una vita più forte e più buona». Buona come suor Sue, la direttrice dei famigerati collegi fem-minili cattolici irlandesi? Ah no, ecco: buona come la nerchia dei sordomuti del Provolo… o buona come la frase rivolta da Wojtila a Pi-nochet? Oppure come la carità cristiana che impedisce a dei malati terminali di morire? Meditazioni inutili: di fianco a me ecco un gruppo di integralisti danesi in giacca e cra-vatta che porta sulle spalle enormi crocifissi ricoperti di punte, un idrocefalo con labbro leporino che viene pestato da un prete con cicca in bocca, torme di dementi senili al

guinzaglio che pregano in saio in Plaza de la Villa. Poi, quando arriva il papa, una mol-titudine di partecipanti mi schiaccia contro i muri del Palacio Real: vedo brufoli emanare pus verde, nani genuflettersi scoreggiando, suore sorseggiare mestruo bollente e nerds con una croce tatuata in fronte iniettarsi ac-qua santa nelle vene. Salvo per miracolo e in stato di semi-incoscienza vengo nevrotica-mente palpeggiato da don Zio Rino che poi mi adagia sul pullman per La Spezia, ovvero sei ore di viaggio al suono di «Quello che la-sci tu lo conosci». È proprio il caso di dirlo: «zio boia».

la mia giornata pazza con tettamanziL’inviato più crazy che abbiamo, questa volta crazy di gioia e di fede Minali

Never forghet m

i.

Ricordatemi così,

amorevole coi giov

inetti.

L’OMBROSO LIBERESCION FRONT (L’OLF)è un’associazione no profit che si occupa

principalmente di venerare la statua di Cesare Lombroso. È composto da un gruppo di giovani giustizieri della notte

a sostegno dell’ombra, amanti di aquilo-ni, luci colorate e animaletti metallici.

Se sei stanco e annoiato dalla tua cit-tà, se sei tra quelli che dicono che a Verona non si può fare niente, se non riesci ad aspettare un altro anno per il

ritorno del Tocatì, non disperare! Fai come noi de L’OLF e gioca ai giochi più cool del momento. Non sprecare la tua giovinezza!

GIOCO L’OLF NUMERO 1: CACCIA ALLA SVASTICA Si gioca in singolo o a squadre. Lo scopo del gioco è segnare su di una cartina di Verona tutte le svastiche che si trovano dipinte su muri, cassonetti, monumenti, ecc.; chi ne trova di più vince. La stessa svastica trovata da più persone non verrà conteggiata. Valgono anche croci celtiche, simboli di blocco studentesco e le frasi “JUDEN RAUS”, “TOSI BUGIARDO”, “I NEGRI SPUSANO E I ME CIAVA EL LAORO” e “BUTEI LIBERI”.

GIOCO L’OLF NUMERO 2: CENTO METRI PIANI CON PINNEPiù che un gioco, una gara. Basta attrezzarsi di pinne e crono-metro e dirigersi verso la nuova vasca dell’Arsenale. Al fischio di partenza i concorrenti dovranno attraversare la pozza d’acqua il più velocemente possibile. Il primo che arriva vince. Altri pre-mi saranno elargiti ai concorrenti che si esibiranno in cadute spettacolari.

GIOCO L’OLF NUMERO 3: SFIDA NOTTURNA TRA BANDQuesto concorso si tiene ogni primo mercoledì del mese dalle ore 22.00 in poi in piazza dei Signori. Una giuria formata da una pattuglia della squadra mo-bile esaminerà i singoli concorrenti assegnando al gruppo migliore la multa più salata. La giuria potrà avere come ospiti d’onore gli abitanti delle case limitrofe alla piazza, ben contenti di essere stati svegliati dal suono dei bonghi.

GIOCO L’OLF NUMERO 4: SCAPPA DAL LEONEUn gioco per i più audaci. Recarsi nel luogo della battuta di caccia del sindaco Tosi travestiti da: alce, muflone, cardellino, volpe, orso grizzly, ornitorinco, ecc. Il gioco consiste nel riuscire a non farsi impallinare. Premio di consola-zione sarà dato a chi viene colpito da più pallini e fornisce alla questura una storia verosimile.

p.s. I partecipanti ai giochi solitamente accendono un cero sotto la statua del Lombroso per ingraziarsi il fato.

LETTERE A DONNA RICINACiao Ricina,sono Kevin, finalmente ti posso scrivere, perché avevo tanta voglia di raccontarti del viaggio che ho fatto questa estate senza mamma e papà. Sono stato al raduno dei giovani, il GMG.Eh sì, proprio alla giornata mondiale dei giovani. Tutto è comin-ciato quando il mio papà è tornato a casa e mi ha detto che il curato di Lugo stava preparando un pullman per andare al GMG a vedar el papa.«Sarete in tanti e ghe sarà anca piene de fig...», ha detto il mio papà, che non ha potuto finir la frase per un calcio che gli ha dato la mia mamma nelle cauce. «Vai anca ti Kevin, i butei de Lugo ghe va tuti». Io a dir la verità preferivo andare a Sottomarina col mio cugino Maicol Negro come l’anno scorso, ma per far contento papà e curato ho deciso di partecipare. Siamo così partiti per la Spagna con un pullman pieno di gente anche se ala fine l’unico de Lugo ero mi. Durante il viaggio tutto è andato abbastanza bene, tran-ne che non si poteva proprio dormire. Durante il giorno infatti tutti cantavano come matti le cansoni del dai che cantemo e di notte, quando si doveva riposare, il mio vicino di posto, don Tano, mi disturbava na volta con una ronfata e l’altra con na sco-resa. Con un viaggio così, l’unica cosa che volevo fare in Spagna era dormire. Purtroppo però ci hanno dato una tenda da 6 posti in 11 e col caldo che c’era mi sembrava di stofegare dall’odor di ascelle dei miei amici adolescenti. Tra l’altro, tutta notte i miei compagni non facevano altro che pensare a scappare dalla tenda per andare dalle butele. Pur-troppo però finivano solo col corersi drio con le bande di preti che non so come mai erano sempre vicino alle tende.«Per spiare che non fate pecati», dicevano loro. Mah. So solo che non sono riuscito a dormire neanche lì.Alla fine è arrivato il momento della messa del papa. Almeno mi hanno detto che era lui, perché l’ho visto così distante che l’era come scoltar la messa de Gressana rimanendo in piazza a Lugo. «Per arrivare al posto della messa bisogna fare una bella passeggiata, ma io che ho mal di schiena vi precedo in auto» ha detto don Tano, prima di partire con un pulmino pieno di preti e suore .La bella passeggiata però è stata un po’ lunga, visto che abbia-mo fatto 4 ore di camminata sotto il sole de Madrid, in agosto, a 40 gradi. Alla fine siamo arrivati al posto della cerimonia, un aeroporto militare, dove ovviamente non c’era neanche una pianta pelata. Io ero sempre più straco e pien de sono. Gli altri giovani invece, anche se non vedevano il palco del papa, erano tantissimo felici di ascoltare la messa dai megafoni. Erano così contenti che cantavano come in un concerto di Laura Pausini… Finalmente parla el papa. Io però ero così stracco che dopo due parole mi sono addormentato come un soco de siresaro, tanto che tutti sono andati via ed è venuto don Tano dopo qualche ora a svegliarmi sul prato. Che figurassa. Addormentato finché parla el papa. Così don Tano ce lo ha detto al mio papà che però non si è arrrabbiato come al solito.«Può capitare Kevin, sarà stato un colpo di sole», mi ha detto il mio papà. «A proposito, gh’era o no pien de fig…», anca stavolta non è riuscito a finir la frase perché la mamma gli ha tirato un pesatata nei stinchi che mi sa se la ricorda per un po’. «Vole-vo dir fig… ure importanti per la tua crescita, Kevin», ha poi aggiunto.Mah. Ricina mi puoi aiutare tu a capire che genere di figure si in-tendeva il mio papà? Mi sa che erano importantissime, sembra-vano l’unica cosa che gli interessava.Ps: la prossima volta comunque vado a Sottomarina almeno se dorme tranquilli.

Kevin Bonetto14 anni, Lugo di Valpantena

Caro Kevin, sei così fanciullo pudico e immacolato. Tuo padre è sempre un po’ grezzo e presta il fianco a facili interpretazioni. Di sicuro le figure e gli esempi per la crescita che intende ce li hai davanti tutti i giorni, vicino a te. Segui l’esempio di tuo padre e se non ti addormenti prima, sarai anche tu, fede in Dio, un libero imprenditor nella terra del leon. Ritira l’obolo Kevin, che al resto ci abbiamo già pensato.

Donna Ricina

Un giorno ero lì pacifico che chattavo con una tardona su Badoo. Ormai era quasi con-vinta a mostrarmi le sise. Andavo alla gran-de quando mi telefona il capo degli ombrosi (perché, voi non lo sapete, ma i l’ombrosi c’hanno un capo). Comunque, dicevo, ero lì che stavo per riempire l’ennesimo kleenex con la mia maschia esuberanza che tizio mi fa: «oh, ma ce l’hai ancora quella foto tua davanti alla parrucchiera?». «Scialla, ve-cio», asserisco con puberale sicumera. Non faccio do-mande, convinto che volesse dedicare depositi seminali al bel giovane immortalato in quello scatto anni ‘80. Per-dipiù conosco bene i l’om-brosi e so che preferiscono l’amore bizzarro-zoologico a quello cristiano. Strani personaggi i l’ombrosi... tempo di mettere giù il telefono, salutare la cicciona e ripulire lo schermo del mio mac che tizio già se la godeva con la mia foto.Solo più tardi mi disse che doveva rappresentare il paradigma del perché odia-mo i giovani. Cerco sul voca-bolario cosa significhi “paradigma” e imme-diatamente penso a Robertina di Telemike che si fa sbattere nel magazzino di un Billa di periferia, visione sufficientemente deca-dente e realista delle ambizioni dei giovani di ieri e di oggi; eppure, riguardando con attenzione quella foto da sbarbato, capisco la sottile metafora sottesa nella mente ma-lata di tizio.Ricordo ancora molto bene le rinunce fatte per preservare la forma perfetta di quel-la chioma. La parrucchiera, che preferirei chiamare artista tricologica, artefice del capolavoro era di Cerea. La cosa tragica non era tanto Cerea e la sua ridicola ge-nia di bifolchi, come si potrebbe pensare, e nemmeno la tinta rossa che si faceva quel-la rugosa arricciaparrucche di campagna,

quanto il fatto che se la sbatteva mio zio. Sì, il mio giovane zio pelato, un abituè di Pre-dappio, che non si radeva per amor del duce ma per genetico e beffardo destino. Zio col-tivava una smodata passione per le cozze. Questa però era decisamente vecchia (cosa che mi spinge a ritenere mio zio uno dei l’ombrosi), comunque mi faceva i capelli gratis e alla bella marinara ogni cazzo di sabato che dio abbia concesso in tutta la

decade ‘80. Il ciuffo era vertiginosamente alto, ingellato e fiero come l’elmo di un corazziere, nano. A me piaceva così. Era il fottuto SUV di tutte le possibili acconciature maschili. Per conservare alla perfezione quel falli-co ciuffo evitavo tutto, in primo luogo le piscine, nemico numero uno. Evi-tavo il vento, ché poteva fare vela, dormivo rigo-rosamente sulla schiena e avevo rinunciato al mo-torino pur di non indos-sare il casco. Pensavo che quello sconcertante deposito di gel che era la mia testa mi avrebbe garantito fica gratis a vita

ma forse stavo sopravvalutando il trend del costo del gel che pareva levitare come il debito pubblico e, soprattutto, i vestiti che avevo addosso.Guardando oggi a quella foto credo mia madre avesse sempre desiderato una fi-glia; non che mi mettesse gonne o tampax di sorta (le pattine sono unisex!), le piace-va più che altro vestirmi da fighetto efebo, tutto qui. Una passione che l’ha spinta a farmi attraversare anche la fase Nick Ka-men: jeans, bretelle nere e t-shirt bianca. Mamma ci teneva davvero tanto e non mi faceva mancare nemmeno le maschere di argilla. Nello scatto sbarazzino rubato die-tro la vetrina sfoggiavo la miglior moda pre-paninara che i banchetti dello stadio potes-sero offrire. Eravamo felici, io e mamma;

beh, anche zio fascio e zia incartapecorita lo sembravano, ma mamma aveva una mar-cia in più: mi portava a mangiare al melody e a breve mi avrebbe comprato gli stivali in pelle coi ghirigori. Cazzo, non potevo desi-derare di meglio, ero giovane, strafico ed ero convinto che si stesse per aprire la mia stagione dell’ammmore fisico. Nessuna mi cagò per anni, mi regalarono un cane però. Femmina. Passammo momenti meraviglio-si assieme.Solo a sedici anni capii finalmente tutti i miei errori, folgorato dall’osservazione acuta di una brufolosa compagna di classe. Mi sta-va definitivamente spiegando il perché non mi avrebbe mai e poi mai fatto un pompino quando arrivò al punto più pregnante della sua lista, il numero 23: il nostro primo gior-no di scuola. Iniziò un impetuoso flusso di coscienza. Perché avevo rimosso il fatto che il primo giorno di quarta ginnasio mia madre mi aveva mandato a scuola con un completino bianco/rosso di Enrico Coveri? Il gilet era a righe bianche e blu, cristo! A cosa cazzo pensavo quando un tizio passan-do per strada mi aveva urlato «ehi, bei pan-taloni rosso marchese»? Perché la credetti un’acuta osservazione a sottolineare l’ari-stocrazia dei miei calzoni? E, soprattutto: quanto sfigato era Nick Kamen? Il mio ego, ingrassato per anni con le promesse di bel-lezza del topexan, era in frantumi in un atti-mo e per di più in quel periodo Marco Masini andava alla grande. Ma fu grazie a quella tardiva osservazione che abbandonai i con-sigli di mia madre, abbandonai il suo letto e anche quel cazzo di completo scacciafighe. Davanti a me c’era solo il mondo del grunge e tutte le mie nuove certezze: non avrei mai chiavato ma avrei per sempre tenuto i ca-pelli lunghi e gli anfibi ai piedi.Oggi ho qualche anno in più, odio i giovani e odio mia madre. Metto le geox, ché gli anfibi mi facevano puzzare i piedi e mia mamma dice che le geox fanno respirare il piede. Il ciuffo è rimasto a Cerea dalla ex di mio zio che ormai sarà mummificata dai vapo-ri della lacca e dove c’era quell’erto scalpo al sapor testosterone oggi si apre un’arida piazza. Però almeno ho una bella pelle e un buon lavoro: dirigo un Billa a Bovolone e in magazzino ogni tanto ci scappa una caval-cata con una collega. Dicono fosse famosa, da piccola.

Lord Scoppiafica

Riceviamo e quasi volentieri pubblichiamo.

MERITO LA CEREGA

vitevissute

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... e non si dimentichi il blog:lombroso.noblogs.org

L’ombroso viene diffuso clandestinamente in 1.000 copie in locali, circoli, librerie. Chi vuole segnalarci nuovi spazi distributivi, non titubi. Illustratori, vignettisti e scribacchini, unitevi alla

maraja umbratile. Lo scriviamo qui in piccolo, per chi vuole, siamo su un social network che inizia per f e finisce per k (Lo Ombroso). Non ditelo in giro.

Un ringraziamento a Dottor Stranamore, Fra Casso, Mikubo, B.Rutto e Larossa Sbarazzina. Speciali carezze alle amiche e agli amici del Malalido che quest’anno non solo hanno dato ospitalità al nostro banchetto ma pure offerto birre e devoluto un consistente tesoretto. Così si fa.

supplemento a Sicilia Libertaria n. 305 del 2011. Aut. trib. di Ragusa n.1 del 1987. Stampato a Ragusa, presso la Società dei Libertari, via G.B.Odierna 212

Un grazie a tutt* coloro che ci inviano vignette e varie amenità grafiche. Alcune sono state selezionate, altre sono state conferite ad Amia per alimentare l’inceneri-tore di Ca’ del Bue. Poi dite che non serve.

Un saluto e un augurio ad Ali Farzat, vignettista sati-rico, a cui il 25 agosto scorso le forze dell’ordine del regime siriano di Assad hanno rotto ambedue le mani.(autoritratto con dedica ai propri aggressori)

I giovani e lo sportSono un trentenne, precario e disperatose non del tutto giusto quasi niente sbagliato.Me piase tanto el vinsoprattutto Zonin.Perciò quando mi invitano alla battutapenso tra me: «qui ci scappa una bevuta!».Un week-end con persone per benequasi quasi mi conviene.Potrei fare conoscenzacon qualche eccellenza,se gioco bene le cartedimostrare la mia arte.Così lesto vo’ all’arrembaggioper provare il mio lignaggio.Ma quando vedon che l’ospite d’onore floppae non impallinerebbe neppure una zoppa,gli altri decidono che sarei stato l’escadella sua furia animalesca.Quindi cotone per creare un ciuffettocome la coda di un conigliettoe prima che Grugnolo tuonami dicon: «Corri, mona!».Ma non faccio tempo a protestareche il colpo sento deflagrare,e mentre piango di disperazione per la figura da gran coglione,vedo i cicisbei dare al campione l’alloro,«Caro sindaco, finalmente hai il tuo traforo!».

Silvio Fato

- spritz + oboliL’unico giornale serio di Veronda non ha patro-cini né padroncini. Questo ci rende fighi ma an-che pulcini bagnati nei confronti delle intemperie dell’esistenza. Per sostenere i costi di stampa ci affidiamo così ai contributi individuali e volontari di chi ha sposato la causa. Per tutte le altre e gli altri, giovani e simpatici aficionados, un modo per contribuire ai nostri sforzi ci sarebbe: rapinare banche e devolvere parte dell’introito all’ombra oppure elargire oboli a fronte dell’acquisizione di magliette, spille, vini, libri e, ultima arrivata, la borsina che va dove vi porta il cuore. Alla cerca!


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