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SALA VERDI DEL CONSERVATORIO Sir András Schiff · rola Mikrokosmos può essere interpretata come...

Date post: 04-Feb-2020
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SALA VERDI DEL CONSERVATORIO Sir András Schiff pianoforte Ciclo Bach, Bartók, Janác ˇek, Schumann - III Bach - Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo BWV 992 Bartók - Danze in ritmo bulgaro da “Mikrokosmos” Sz 107 n. 1-3 Bach - Duetti n. 1 e 2 BWV 802 e 803 Bartók - Danze in ritmo bulgaro da “Mikrokosmos” Sz 107 n. 4-6 Bach - Duetti n. 3 e 4 BWV 804 e 805 Bartók - Sonata Sz 80 Janác ˇek - Nella nebbia Schumann - Fantasia in do maggiore op. 17 23 Martedì 9 maggio 2017, ore 20.30
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SALA VERDI DEL CONSERVATORIO

Sir András Schiffpianoforte

Ciclo Bach, Bartók, Janácek, Schumann - IIIBach - Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo BWV 992Bartók - Danze in ritmo bulgaro da “Mikrokosmos” Sz 107 n. 1-3Bach - Duetti n. 1 e 2 BWV 802 e 803Bartók - Danze in ritmo bulgaro da “Mikrokosmos” Sz 107 n. 4-6Bach - Duetti n. 3 e 4 BWV 804 e 805Bartók - Sonata Sz 80

Janácek - Nella nebbiaSchumann - Fantasia in do maggiore op. 17

23Martedì 9 maggio 2017, ore 20.30

Di turnoNicoletta Geron Andrea Kerbaker

Direttore artisticoPaolo Arcà

Con il contributo e il patrocinio di

Johann Sebastian Bach(Eisenach 1685 - Lipsia 1750)

Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo BWV 992 (1704/1707?) (ca. 10’)Arioso. Adagio - (Andante) - Adagissimo - Aria di Postiglione. Adagio poco - Fuga all’imitazione della cornetta di postiglione

Béla Bartók (Nagyszentmiklós 1881 - New York 1945)

Sei danze in ritmo bulgaro dal VI Libro di “Mikrokosmos” Sz 107 (1932-1939)n. 148 (1) - n. 149 (2) - n. 150 (3) (ca. 6’)

Johann Sebastian Bach

da “Clavier Übung” III (1739) Duetto I in mi minore BWV 802 (ca. 2,40’)Duetto II in fa maggiore BWV 803 (ca. 2,30’)

Béla Bartók

Sei danze in ritmo bulgaro da “Mikrokosmos” Sz 107 n. 151 (4) - n. 152 (5) - n. 153 (6) (ca. 6’)

Johann Sebastian Bach

Duetto III in sol maggiore BWV 804 (ca. 3,20’) Duetto IV in la minore BWV 805 (ca. 2’)

Béla Bartók

Sonata Sz 80 (1926) (ca. 15’)I. Allegro moderato II. Sostenuto e pesante III. Allegro molto

La terza tappa del viaggio di Schiff nei meandri della musica di Bach e di Bartók presenta degli aspetti diversi, rispetto ai precedenti dialoghi. Anche in questo caso lo spunto iniziale è di carattere pedagogico, dal momento che sia le Danze in ritmo bulgaro di Bartók, sia i Duetti di Bach provengono da due raccolte di natura didattica, ma il tema viene sviluppato in un contesto molto espressi-vo e più originale. I Quattro duetti BWV 802-805 infatti chiudono in pratica la terza e ultima parte della Clavier Übung, la grande impresa didattica di Bach, pensata, come sottolinea l’autore, “soprattutto” (hauptsächlich) per gli organi-sti, lasciando così intendere che i pezzi non siano tutti, o non solo, pensati per l’organo. La scrittura dei Duetti infatti si presta a un’interpretazione ambigua circa lo strumento da impiegare, anche se il frontespizio della III Parte recita chiaramente che si tratta di una raccolta di “preludi per la Comunione e altri canti” per l’organo. Mentre infatti la Fuga a 5 con pedale che chiude la raccolta non lascia dubbi sull’uso dell’organo, i Duetti precedenti sono considerati dal primo biografo di Bach, il Forkel, senza dubbio per il Clavier, ovvero per la tastiera del cembalo. Anche la definizione di Duetto è molto incerta e si presta a interpretazioni contrastanti. In genere Bach impiega altri termini per definire una scrittura a due voci nella musica strumentale, come preludio, invenzione, fantasia, mentre duetto è riservato al mondo delle cantate. Potrebbe indicare in questo caso un duplice carattere espressivo insito nel pezzo, invece che un elemento idiomatico del linguaggio. In ogni caso, la raffinatissima arte del con-trappunto dispiegata in questi Duetti spicca per la fantasia e la semplicità dei mezzi tecnici della scrittura, raccolta in una dimensione molto intima e poetica, accessibile solo ai famosi “intenditori” (Liebhabern und Kennern) che abbiano seguito l’intero percorso della Clavier Übung. In un contesto e in un’epoca completamente diversa, anche Béla Bartók affida a un mosaico di piccoli pezzi per pianoforte il compito di conservare e trasmettere alle generazioni future il nucleo vitale dell’arte di cui era maestro. Mikrokosmos raccoglie in maniera meditata, ma non sistematica 153 brevi frammenti, sparsi lungo un arco di tempo molto lungo che va dal 1926, l’anno eroico del pianofor-te di Bartók, fino al 1939, estrema propaggine del suo mondo autentico prima dell’inevitabile e quanto mai sofferta emigrazione negli Stati Uniti. A chi gli chiedeva che cosa significasse esattamente il titolo, l’autore rispondeva: «La pa-rola Mikrokosmos può essere interpretata come una serie di pezzi in molti stili diversi, che rappresentano un piccolo mondo. O può essere interpretata come “il mondo dei piccoli”, dei bambini». Bartók, riluttante a insegnare e felice di liberarsi della cattedra all’Accademia di Budapest nel 1937, non aveva in mente comunque un nuovo metodo per pianoforte, un lavoro che lo avrebbe lasciato del tutto indifferente, bensì uno strumento pedagogico per inculcare negli studenti una visione della musica più ampia e libera da pregiudizi. Tra questi ultimi spic-cava la concezione rozza ed elementare del ritmo nella tradizione classica, so-prattutto a confronto con la ricchezza di espressione ritmica della musica etnica

e contadina. Non a caso Mikrokosmos si chiude con una sorta di suite di danze, improntate alla variopinta gamma di sfumature del cosiddetto ritmo bulgaro. Nel 1938 Bartók aveva dedicato un saggio specifico a questa vitalissima forma d’espressione ritmica, nel quale si legge ad esempio: «Se coloro che studiano musica si familiarizzassero sin dall’infanzia con simili ritmi, non succederebbe che musicisti, orchestrali, diplomati, restino con la bocca aperta dinanzi a for-mule ritmiche anche molto più facili, quasi come se vedessero qualcosa scritto in caratteri arabi». Per avere un’idea di queste formule ritmiche non convenziona-li, prendiamo per esempio la danza n. 1 e la danza n. 5, entrambe in 9/8, un ritmo che nella tradizione occidentale viene suddiviso abitualmente in 3 (3+3+3). In realtà 9/8 si potrebbe dividere in molti altri modi, per esempio (4+2+3) come nella n. 1 o (2+2+2+3) come nella n. 5. Altrettanto avviene nelle rimanenti dan-ze, ciascuna delle quali è modellata su un metro estremamente duttile e flessi-bile. Accompagnate da una concezione altrettanto libera e aperta della melodia e dell’armonia, le Danze in ritmo bulgaro rappresentano un perfetto mondo in miniatura dello stile maturo della musica di Bartók, come il Quarto e Quinto Quartetto, la Sonata per due pianoforti e percussioni, la Musica per archi, ce-lesta e percussioni. La cornice di questa sostanziosa pedagogia musicale di Bach e Bartók è formata invece da due lavori, che rappresentano i confini opposti del rapporto dei due autori con il proprio strumento, e forse in senso lato il perimetro tout court del pianoforte moderno. Il Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo BWV 992 venne pubblicato nel 1839 da Carl Czerny, in una raccolta di lavori per pianoforte di Bach. Sull’autenticità del Capriccio non ci sono dubbi, malgrado l’autografo sia perduto, mentre sulla collocazione esatta del lavoro affiorano in-vece diversi interrogativi. La tradizione storiografica ottocentesca, a partire da Philipp Spitta, vuole che il lavoro sia stato scritto in occasione della partenza per la Polonia del fratello Johann Jakob Bach, arruolato nell’esercito di Carlo XII di Svezia come suonatore di oboe. Bach era molto legato al fratello maggiore, con cui aveva condiviso, poco più che bambini, l’amara esperienza della morte dei genitori a breve distanza l’uno dall’altro, nel 1694 la madre e l’anno dopo il padre. Insieme erano stati accolti in casa da un altro fratello, Johann Christoph, a Ohrdruf, dove Bach aveva potuto frequentare il liceo e ricevere un’adeguata istruzione musicale. I due fratelli non si rividero più, dopo la separazione. Jo-hann Jakob morì nel 1722 a Stoccolma, dopo aver seguito come musico di corte Carlo XII nelle sue numerose campagne militari. Spitta ritiene che la data più probabile per questa musica sia il 1704, ma ci sono troppe lacune sui primi anni della vita di Bach per andare al di là delle ipotesi. All’epoca Bach, non ancora ventenne, era organista nella chiesa di Arnstadt e già vantava un nome all’in-terno del variopinto clan musicale dei Bach. Il Capriccio rappresenta un lavoro eccezionale, perché è l’unica partitura di Bach ampiamente corredata di dida-scalie descrittive. Nel primo “Arioso”, in si bemolle maggiore, gli amici cercano di convincere il fratello dilettissimo a recedere dal proposito di partire. Lo stile

è semplice e cantabile, come nella sonata a tre italiana. Le due voci superiori si muovono quasi sempre in coppia, sopra un accompagnamento da basso conti-nuo. Il tentativo di convincerlo a desistere si anima nella sezione successiva, che dovrebbe illustrare le varie disgrazie a cui potrebbe andare incontro. Lo stile si fa appena più concitato, con una scrittura imitativa resa pungente da mordenti e altri abbellimenti sparsi in maniera abbondante nelle varie voci. Il lamento in fa minore al centro del Capriccio, in tempo “Adagissimo”, è una forma di passa-caglia, ovvero una serie di variazioni su un basso discendente di quattro battute. La tonalità, il movimento discendente, le legature a due, il marcato cromatismo sono gli elementi necessari a raffigurare il dolore degli amici, che però recu-perano uno spirito più virile nel momento dell’addio, con una coda finale in fa maggiore. In realtà il Capriccio si conclude su una nota umoristica, prendendo spunto dal caratteristico salto d’ottava del corno da postiglione per imbastire una fuga in si bemolle maggiore che raffigura la partenza della carrozza. Forse è proprio la mescolanza di caratteri e di stili, dal patetico all’umoristico, che giustifica la scelta di un termine come Capriccio per definire un lavoro come questo, che secondo alcuni studiosi rappresenterebbe una parodia delle Sonate bibliche di Kuhnau, probabilmente note e studiate dal giovane Bach.L’arte pianistica di Bartók trova invece la sua massima espressione nella So-nata, scritta nel 1926 nel fuoco di un periodo creativo rivolto in particolare al pianoforte. Il nome di Bartók, soprattutto a livello internazionale, era legato alla sua attività concertistica, che lo aveva portato anche in Italia nei primi mesi del 1926. Al ritorno in patria, stimolato dalle novità musicali che aveva conosciuto nel corso delle varie tournée europee di quegli anni, Bartók riprende in mano il filo di una ricerca sulla scrittura pianistica iniziata con l’Allegro barbaro molti anni prima, nel tentativo di trovare una strada propria e originale nella musi-ca moderna. Non condivideva infatti la grammatica normativa della musica di Schönberg e dei viennesi, ma si sentiva altrettanto estraneo al carattere fred-do e oggettivo del linguaggio di Stravinskij e delle varie tendenze neoclassiche emerse negli anni Venti. Bartók desiderava forgiare forme pure e classiche, ma impregnate di senso morale e di profondità espressiva in senso beethoveniano. Il nuovo classicismo di Bartók inizia però dal suono del pianoforte, che viene interpretato come un vero e proprio strumento a percussione. Il ritmo secco e percussivo imposto fin dall’inizio dell’“Allegro moderato” sembra generato da stridenti armonie, dove tonalità maggiori e minori fanno continuamente a coz-zi, e da ossessive ripetizioni di accordi. La forma tuttavia si sviluppa secondo una griglia strutturale classica, con un primo tema forte ed energico esposto in apertura dalla mano destra su un ritmo puntato, un secondo tema contrastante, sottovoce ed espressivo, caratterizzato da un salto discendente di quarta, e un terzo tema di sapore popolare con un’ampia melodia punteggiata da acciaccatu-re di ottava. Nel movimento lento, “Sostenuto e pesante”, Bartók mette in luce un’acuta sensibilità per un timbro e un colore pianistico nuovo, che sfocerà nei misteriosi e incantati notturni dei lavori maturi. La pulsazione regolare e ipno-

tica del ritmo crea in realtà un falso movimento, come un avvolgersi a spirale attorno a se stesso. L’“Allegro molto” finale risente l’influsso delle incessanti ricerche etnomusicologiche di Bartók, che prende spunto dalle caratteristiche eterodosse della musica popolare per inventare una nuova grammatica ritmica e melodica. L’estrema flessibilità dei ritmi balcanici sono lo sfondo di questa sorta di danza coloratissima, animata da vampate di suono che salgono all’improvviso dal suono petroso e martellante del pianoforte.

Leoš Janácek(Hukvaldy 1854 - Ostrava 1928)

Nella nebbia (1912) (ca. 15’)I. Andante II. Molto Adagio - Presto III. Andantino IV. Presto

Tra i molti motivi d’interesse del ciclo progettato da Schiff c’è anche l’integrale dell’opera pianistica di Janácek, che ha scritto per il suo amato strumento sol-tanto tre lavori, uno dei quali, la Sonata 1.X.1905, sopravvissuto alla distruzione grazie alla copia clandestina del manoscritto fatta dalla prima interprete. La sua contrapposizione al classicismo tedesco si manifesta però in forma più radicale nei successivi lavori pianistici, scritti in anni segnati da frustrazioni professiona-li e da penose vicende private. Nella nebbia risale al 1912 e sembra raffigurare lo stato d’animo smarrito e sfiduciato dell’autore. Janácek, alla soglia dei ses-sant’anni, lottava ancora invano per avere un riconoscimento pieno, dubitando ormai di se stesso e della propria vocazione artistica. Il ciclo è formato da quat-tro pezzi, legati dalla tinta opaca di tonalità ricche di note “nere” come re bemol-le maggiore e sol bemolle maggiore. Malgrado il titolo esprima un sentimento di profonda insicurezza, il linguaggio musicale di Janácek segue invece senza incertezze la propria natura. Il fraseggio dell’“Andante” iniziale, per esempio, manifesta una vera idiosincrasia per le strutture simmetriche classiche. Il tema espressivo principale (cantando, recita la didascalia) è formato infatti da una struttura di 3+3+4+2 misure e il tema in re bemolle minore del “Poco mosso” centrale non mostra certo un disegno più regolare. I temi del “Molto adagio” e del “Presto” finale sembrano ancor più liberi di vagare nello spazio, ignorando del tutto le stanghette delle battute. L’armonia dal canto suo fluttua con estrema libertà da una tonalità all’altra, spinta dall’istinto e dall’impressione psicologi-ca del momento. Eppure la scrittura di Janácek riesce in maniera misteriosa ad aggregare la materia in una forma coerente, come se l’espressione nuda e sincera dell’ignoto narratore conferisse al caos emotivo un ordine poetico e un linguaggio del tutto idiomatico, ma tuttavia pienamente comprensibile.

Robert Schumann(Zwickau 1810 - Endenich 1856)

Fantasia in do maggiore op. 17 (1836) (ca. 35’)I. Durchaus phantastisch und leidenschaftlich vorzutragen (Sempre fantastico e appassionato) II. Mässig. Durchaus energisch (Moderato. Sempre energico) III. Langsam getragen. Durchweg leise zu halten (Adagio sostenuto. Tutto sottovoce)

La musica di Schumann esprime consonanze e dissonanze di un’anima inquieta, che anela disperatamente a ricomporre i frammenti di una personalità divisa tra tendenze opposte. Schumann stesso, scrittore di grande talento, ha river-sato questo dualismo nelle figure di Eusebio e Florestano, che incarnano ri-spettivamente il lato più indulgente e quello più intransigente della sua visione artistica. Il nome dei personaggi, comparsi per la prima volta in un articolo del 1831, non era ovviamente scelto a caso. Come l’omonimo protagonista del Fi-delio di Beethoven, Florestano era pronto a difendere eroicamente le proprie opinioni artistiche in nome della verità. La storia di Eusebio invece è un po’ più complicata e s’intreccia alla controversa vicenda sentimentale con Clara. Nel calendario sassone infatti Sant’Eusebio cade il 14 agosto, dopo Santa Clara (12) e Sant’Aurora (13). L’Aurora era dunque il ponte tra il nome di Clara e quello dell’alter ego introverso e melanconico del musicista, un legame indissolubile sottolineato da una proliferazione di analoghi rapporti simbolici. Il 13 agosto 1837 Clara tenne il famoso concerto a Lipsia, dove inserì a sorpresa tre Studi Sinfonici di Schumann, una sorta di segnale in codice di fedeltà. Il giorno dopo, 14, i due amanti suggellavano il fidanzamento, di nascosto al padre di Clara, Friedrich Wieck, antico maestro di Robert. Il 12 settembre del 1840 vengono celebrate le nozze, esattamente il giorno prima del ventunesimo compleanno di Clara (13). La musica di Schumann si nutre di riferimenti segreti e citazioni comprensibili soltanto a chi è in possesso delle chiavi del suo cuore. Nella secon-da metà degli anni Trenta, Clara rimane bene o male sempre al centro della sua ragnatela sentimentale. Le origini della Fantasia op. 17 risalgono al momento più buio e disperato della loro relazione. Il primo nucleo della Fantasia consiste in un lavoro intitolato Ruines, scritto di getto nell’estate del 1836 dopo la perdi-ta quasi contemporanea della madre e di Clara. Il vecchio Wieck infatti, deciso a stroncare sul nascere la relazione, proibì qualsiasi rapporto tra i due giovani e partì con la figlia per una lunga tournée. Ruines esprimeva bene il senso di de-solazione spirituale vissuto in quei mesi da Schumann, il quale, per completare il quadro delle disgrazie, perdeva nel vecchio maestro anche una sorta di figura paterna. Già alla fine dell’anno tuttavia Schumann pensò di sfruttare questo lavoro, destinato a diventare il primo movimento della Fantasia, per scrivere una grande Sonata in omaggio a Beethoven, in vista della raccolta di fondi per

erigere un memoriale a Bonn. Vari editori rifiutarono il progetto, che attraverso diverse trasformazioni giunse nel 1839 alla pubblicazione come Fantasia op. 17 “dedicata a Franz Liszt”. Anche il significato della dedica appare controverso, in un lavoro così esplicitamente associato alle sue sofferenze amorose. Forse la dedica a Liszt celava un sottaciuto rimprovero a Clara, che dal canto suo evitò per quasi trent’anni, fino al 1866, d’interpretare in pubblico il capolavoro pia-nistico indiscusso del marito. La forma della sonata si presenta nel movimento iniziale sotto forma di “rovina”, ovvero privata dei suoi canoni classici per es-sere riesaminata dalla fantasia dell’autore. La funzione dei vari elementi viene stravolta in una sorta di racconto ininterrotto, nel quale si mescolano memoria e impressione immediata. Il perpetuo divenire del motto iniziale, simile a un grido di dolore, manifesta la natura fluttuante e appassionata delle esperienze vissute dall’autore, che rimane al centro di questo lavoro assolutamente autoreferen-ziale. L’unico momento di parziale distacco è rappresentato dall’episodio di tono epico (Im Legendenton, recita l’indicazione espressiva), calato significativamen-te negli ombrosi recessi della tonalità di do minore. Il pannello centrale consiste in una sorta di marcia eroica, pensata in prima stesura come Arco di Trionfo in omaggio a Beethoven. Ma in Schumann l’eroismo s’innesta sul tema della virtù femminile in amore, con un corto circuito che coinvolge tanto Fidelio quanto Clara. Il “Lento e sostenuto” finale mostra infine il lato notturno e sensuale della musica di Schumann. In quest’ultima pagina riecheggia forse la quartina di Friedrich Schlegel citata nel frontespizio: «Tra tutti i suoni risuona/ nel vario-pinto sogno terrestre/ un suono dolce percepibile/ a chi sa tendere l’orecchio».

Oreste Bossini

András Schiff

Nato a Budapest nel 1953, András Schiff ha iniziato a studiare pianoforte a cinque anni con Elisabeth Vadász. Ha poi proseguito gli studi all’Accademia Liszt con Pál Kadosa, György Kurtág e Ferenc Rados e infine a Londra con George Malcolm. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali tra i quali la nomina a membro onorario del Beethoven-Haus di Bonn (2006), il Premio Abbiati (2007) e la medaglia della Wigmore Hall di Londra (2008). Nel 2011 ha meritato il Premio “Robert Schumann” e, nel 2012, la medaglia d’oro della Internationale Stiftung Mozarteum e la nomina a membro onorario del Wiener Konzerthaus e membro speciale del Balliol College di Oxford. È stato inoltre insignito della Croce al merito della Repubblica federale tedesca. Nel dicembre 2013 ha ricevuto la medaglia d’oro alla carriera della Royal Philharmonic Society; nel 2014 è stato insignito dalla Regina Elisabetta della onorificenza di KBE (Knight Commander of the Most Excellent Order of the British Empire, Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico) e ha ricevuto la laurea honoris causa dell’Università di Leeds.Ospite delle maggiori orchestre in tutto il mondo e dei maggiori festival, nel 1999 ha fondato una propria orchestra da camera, la “Cappella Andrea Barca” con la quale lavora, come con la Philharmonia Orchestra di Londra e la Chamber Orchestra of Europe, nel duplice ruolo di direttore e solista. Nel 1989 ha fondato il festival “Musiktage Mondsee” e, con Heinz Holliger nel 1995, i “Concerti di Pentecoste” di Ittingen in Svizzera. Dal 1998 anima a Vicenza una serie di concerti “Omaggio a Palladio”. “Artist in residence” per la stagione 2007/08 dei Berliner Philharmoniker, è “in residence” presso la nostra Società per l’esecuzione integrale delle Sonate di Beethoven nelle stagioni 2012/13 e 2013/14.Tra le sue incisioni ricordiamo l’integrale dei concerti di Beethoven con la Staatskapelle di Dresda e Bernhard Haitink e quella dei concerti di Bartók con la Budapest Festival Orchestra e Ivan Fisher. Nel 2012 ha meritato l’International Classic Music Award per l’incisione delle Geistervariationen di Schumann.Dal 2006 collabora con la casa editrice Henle al progetto di pubblicazione di tutti i Concerti per pianoforte di Mozart nella versione originale. Nel 2007 ha inoltre pubblicato un’edizione del Clavicembalo ben temperato di Bach.È professore onorario alle Musikhochschulen di Budapest, Detmold e Monaco di Baviera.È stato ospite della nostra Società nel 1988, 1993, 1998, 2000, 2006, 2007, 2008, 2009, due volte nel 2010, nel 2011, nelle stagioni 2012/2013 e 2013/2014 con i sei concerti dell’integrale beethoveniana, nel 2016 in recital e in duo con la violinista Yuuko Shiokawa, e il 10 gennaio e 14 febbraio scorsi per i primi due concerti del ciclo.

Prossimo concerto:Martedì 23 maggio 2017, ore 20.30FuturOrchestraAlessandro Cadario direttoreLuca Buratto pianoforte

La stagione del Quartetto si chiude con una festa della gioventù musicale imperniata sul progetto di FuturOrchestra, gruppo strumentale al vertice formativo del Sistema delle Orchestre e dei Cori giovanili e infantili in Lombardia. FuturOrchestra riunisce giovani musicisti dai 12 ai 22 anni provenienti dai vari Nuclei del Sistema sparsi sul territorio, per lavorare sul grande repertorio a contatto con artisti come Dario Fo, Ennio Morricone, Enrico Dindo, Jeffrey Swann. Per questo progetto, che comprende l’ultimo Concerto per pianoforte di Mozart K 595 e la Quinta Sinfonia di Caikovskij, i ragazzi di FuturOrchestra, sotto la guida del loro preparatore abituale Alessandro Cadario, lavorano con un giovane solista emergente, Luca Buratto, maggiore di pochi anni, vincitore nel 2015 del prestigioso Concorso pianistico Internazionale di Honens, in Canada.

Società del Quartetto di Milano - via Durini 2420122 Milano - tel. 02.795.393www.quartettomilano.it - [email protected]


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