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Salò Terremoto capitolo 7

Date post: 22-Mar-2016
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Salò Terremoto capitolo 7
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187 Le dimore della Comunità In ragione di questo a Salò vengono a concentrar- si edifici di rappresentanza delle istituzioni del Co- mune e della Comunità: la residenza privata del prov- veditore, la sede del Consiglio della Comunità, la residenza del podestà, le cancellerie, gli uffici dei funzionari minori. Sfugge oggi quali potessero essere le strutture più antiche, che pure sono inequivocabilemente ricor- date nel 1386 nella pubblicazione degli statuti cri- minali della Riviera, avvenuta in un Consiglio gene- rale della Comunità riunitosi “in terra de Salodo in domo comunitatis Riperie lacus Garde in qua habi- tat infrascriptus dominus capitaneus posita in contra- ta fontane apud lacum” 62 . D’altra parte alla program- matica campagna di ricostruzione degli edifici più rappresentativi – a partire dalla pieve – che conferì a Salò un aspetto moderno e urbano, difficilmente po- teva sopravvivere la sede dei rettori. Le uniche trac- ce di una parziale conservazione dell’aspetto più an- tico sembrano da cogliere in quella nota del Grattarolo che ricorda, sul lato settentrionale del palazzo del Provveditore, l’esistenza di teste di pietra medievali, dal naso mozzato, da lui ricondotte alla repressione di Arrigo VI contro i Bresciani al termine dell’assedio del 1310 e che ai suoi tempi dovevano essere già scomparse 63 . I l trasferimento temporaneo della sede del rettore sotto Regina della Scala, benché di brevissima dura- ta, di fatto sancisce l’avvio di un processo di ascesa del centro salodiano rispetto a Maderno. Esso trove- rà piena sanzione nella ducale con cui Francesco Fo- scari nel 1448 definisce l’assetto della Comunità di Riviera, che il passaggio sotto la Repubblica di San Marco non modifica drasticamente: a Salò, dove fin dall’età viscontea si riunisce il Consiglio costituito dai rappresentanti di ciascuna delle sei quadre in cui si articola la Comunità, risiederanno per metà del proprio mandato il provveditore estratto dal patrizia- to veneziano – che per i restanti otto mesi eserciterà le sue funzioni a Maderno – e un podestà bresciano, unica vera novità rispetto alla piena autonomia dal- la città vicina che era stata garantita tanto dai Viscon- ti, quanto dai Veneziani stessi nella primissima fase successiva alla dedizione, e che i Bresciani avevano imposto dopo la tragica resistenza antiviscontea nel- l’assedio del 1437-1440. L’equilibrio tra i due centri rivieraschi determina l’invio a Maderno di un vica- rio, pure bresciano e come il podestà incaricato del- le cause civili. A Salò sono tenuti a risiedere anche i collaboratori del rettore: “vicarios qui sint doctores legum, collaterales, cancellarios, conestabiles et fa- mulos terrarum prefate nostre ducalis dominationis” 61 . Capitolo 7 di Monica Ibsen LE DIMORE DELLA COMUNITÀ Capitolo07 187-202 (Ibsen) 28-04-2009 22:04 Pagina 187
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Page 1: Salò Terremoto capitolo 7

187Le dimore della Comunità

In ragione di questo a Salò vengono a concentrar-si edifici di rappresentanza delle istituzioni del Co-mune e della Comunità: la residenza privata del prov-veditore, la sede del Consiglio della Comunità, laresidenza del podestà, le cancellerie, gli uffici deifunzionari minori.

Sfugge oggi quali potessero essere le strutture piùantiche, che pure sono inequivocabilemente ricor-date nel 1386 nella pubblicazione degli statuti cri-minali della Riviera, avvenuta in un Consiglio gene-rale della Comunità riunitosi “in terra de Salodo indomo comunitatis Riperie lacus Garde in qua habi-tat infrascriptus dominus capitaneus posita in contra-ta fontane apud lacum”62. D’altra parte alla program-matica campagna di ricostruzione degli edifici piùrappresentativi – a partire dalla pieve – che conferì aSalò un aspetto moderno e urbano, difficilmente po-teva sopravvivere la sede dei rettori. Le uniche trac-ce di una parziale conservazione dell’aspetto più an-tico sembrano da cogliere in quella nota del Grattaroloche ricorda, sul lato settentrionale del palazzo delProvveditore, l’esistenza di teste di pietra medievali,dal naso mozzato, da lui ricondotte alla repressionedi Arrigo VI contro i Bresciani al termine dell’assediodel 1310 e che ai suoi tempi dovevano essere giàscomparse63.

Il trasferimento temporaneo della sede del rettoresotto Regina della Scala, benché di brevissima dura-ta, di fatto sancisce l’avvio di un processo di ascesadel centro salodiano rispetto a Maderno. Esso trove-rà piena sanzione nella ducale con cui Francesco Fo-scari nel 1448 definisce l’assetto della Comunità diRiviera, che il passaggio sotto la Repubblica di SanMarco non modifica drasticamente: a Salò, dove findall’età viscontea si riunisce il Consiglio costituitodai rappresentanti di ciascuna delle sei quadre in cuisi articola la Comunità, risiederanno per metà delproprio mandato il provveditore estratto dal patrizia-to veneziano – che per i restanti otto mesi eserciteràle sue funzioni a Maderno – e un podestà bresciano,unica vera novità rispetto alla piena autonomia dal-la città vicina che era stata garantita tanto dai Viscon-ti, quanto dai Veneziani stessi nella primissima fasesuccessiva alla dedizione, e che i Bresciani avevanoimposto dopo la tragica resistenza antiviscontea nel-l’assedio del 1437-1440. L’equilibrio tra i due centririvieraschi determina l’invio a Maderno di un vica-rio, pure bresciano e come il podestà incaricato del-le cause civili. A Salò sono tenuti a risiedere anche icollaboratori del rettore: “vicarios qui sint doctoreslegum, collaterales, cancellarios, conestabiles et fa-mulos terrarum prefate nostre ducalis dominationis”61.

Capitolo 7 di Monica Ibsen

LE DIMORE DELLA COMUNITÀ

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234. Salò, loggia

della Magnifica Patria,

stemma dipinto.

Foto Augusto Rizza.

235. Salò,

palazzo del Provveditore:

epigrafe di Gerolamo

e Leonardo Cicogna.

Foto Monica Ibsen.

236. Salò, deposito comunale

di via Fantoni:

epigrafe di Gerolamo Capello.

Foto S&B trade promotion.

Intorno ai palazzi verso lago e verso strada ven-gono progressivamente edificati o sistemati gli ufficie le abitazioni per i funzionari, in particolare nellaspina di case che ha lasciato posto a piazza Sant’An-tonio: lì vengono costruite anche le carceri, con leabitazioni per il commilitone e i suoi assistenti, regi-strate in età austriaca (ma l’assetto deve corrisponde-re in parte a quello antico nell’edificio adiacente ilpalazzo superiore del provveditore e ad esso colle-gato da un sovrappasso, demolito nel 190164). Qual-che notizia si ha intorno alla cancelleria criminale,l’ufficio direttamente connesso all’attività giudiziariadel provveditore e del giudice al maleficio, che nelCinquecento ha sede all’interno del palazzo versolago e che viene in seguito trasferita sopra la casa delcommilitone, uno degli edifici poi demoliti per lacreazione di piazza Sant’Antonio65; anche qui comesotto la Loggia, viene posta un’immagine della Ver-gine, probabilmente su tela, acquistata nel 158266.Pochi decenni più tardi, nel 1629, la cancelleria vie-ne ricostruita sul sito della precedente: i lavori sonoaffidati a Domenico Lavarino, capomastro attivo inDuomo e in Santa Giustina67.

Più ancora che il terremoto sono stati i moti segui-ti alla caduta della Serenissima a cancellare il tessu-to di architetture e di emblemi che doveva caratte-

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rizzare il centro politico e istituzionale di Salò: sonostati distrutti tutti gli stemmi dipinti – centinaia, se sitiene conto dei 254 rettori e dell’iterazione degli em-blemi che venivano posti negli spazi aperti come ne-gli uffici, e i due frammenti nella loggia della Magni-fica Patria altro non fanno che enfatizzare lapercezione del danno – e sono rimasti pochi fram-menti di alcune delle epigrafi, di cui offre una noti-zia sommaria, fino al 1587, l’Historia di Grattarolo:abrasa l’epigrafe che ricorda i rettori Gerolamo e Leo-nardo Cicogna68, così come quella di Ludovico Ca-pello (1583), si è conservata solo quella di Alvise Tre-visan, probabilmente perché legata alla memoria dellapiazza di Salò, anche se è possibile che a un espo-nente della famiglia Loredan, che diede numerosimagistrati a Salò, vada ricondotta l’epigrafe “NONNOBIS DOMINE NON NOBIS”, che sembra essersempre rimasta sulla facciata del palazzo dei Prov-veditori (la si intuisce nelle foto antecedenti il terre-moto) e che anche caratterizza il palazzo fondato sulCanal Grande da Andrea Loredan. Lo stemma di unmagistrato della famiglia Pesaro, abraso e sfregiatonegli anni della Rivoluzione, è l’unico testimone de-gli stemmi lapidei, che secondo una tradizione con-solidata nei palazzi pubblici della Terraferma vene-ziana, dovettero essere apposti in gran numero nelCinquecento, tanto da indurre la Comunità a vietar-li, a causa dei problemi statici del palazzo, su impul-so di Alvise Longo, provveditore nel 157269.

237. Salò, palazzo

del Provveditore: epigrafe.

Foto S&B trade promotion.

238. Cividale del Friuli, palazzo

dei Provveditori Veneti

(1581-1596).

Foto Monica Ibsen.

239. Salò, loggia

della Magnifica Patria:

la Giustizia con lo stemma Pesaro.

Foto Monica Ibsen.

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Ben presto (a partire dal 1478) la regola di alternan-za tra le sedi del potere della Comunità venne disat-tesa e i rettori stabilirono la residenza a Salò, anchese la scelta sarebbe stata ratificata giuridicamente so-lo alla fine del secolo successivo a seguito delle pre-tese di Maderno di ristabilire il dettato degli statuti.La presenza della sede del Consiglio (che peraltrocontinuava, almeno fino al 1457, a riunirsi anche nel-la domo arengaria di Maderno70) dovette avere unruolo significativo nella scelta dei patrizi veneziani,ma uno dei mezzi posti in campo a quest’effetto daSalò fu certamente la realizzazione di un palazzoadeguato allo status dei rappresentanti inviati da Ve-nezia, che almeno non fosse inferiore al cosiddettopalazzo delle Fosse di Maderno, edificato nel recin-to del castello: di esso, che Marin Sanudo ricorda co-struito more veneto, ancora nel 1554 – quando or-

mai giaceva in pieno abbandono – Silvano Cattaneopoteva tessere uno straordinario elogio71.

Le struttureIl palazzo del Provveditore dal Quattrocento fino

al Seicento sarà il Palatium per antonomasia: neppu-re la sede comunale potrà ambire a tale definizionee per secoli fino alla ricostruzione del 1612 – quan-do si distingue domus vetus e palatium novum perpoi adottare il termine palatium per entrambi gli edi-fici –, rimarrà la domus communis. Alle origini di ta-le gerarchia sta da un lato la consapevolezza che sul-la residenza del rettore si fondava il primato dellacittà, dall’altro la figura stessa del rettore veneziano,che emerge dalle fonti coeve come direttamente in-vestito di una regalità derivantegli dall’essere un pa-trizio, membro, al pari del doge, del corpo deposita-rio della sovranità della Repubblica72.

Il palazzo è principalmente – ma non solo, e lo sivedrà più avanti – residenza del rettore e della suafamiglia e sede di rappresentanza, con il grande sa-lone in cui il magistrato veneziano esercita le sue fun-zioni di capo militare e dà udienza e in cui si riuni-sce il Consiglio della Comunità di Riviera; talemescolanza di funzioni caratterizzava il palazzo dal-l’età viscontea, come dimostrano i già ricordati sta-tuti criminali, pubblicati in una riunione del Consi-glio della Comunità nella “domus comunitatis in quahabitat infrascriptus dominus capitaneus, posita incontrata Fontane apud lacum”73; che il rettore vi abi-tasse effettivamente, lo mostra il fatto che nel 1484fu saldato alla famiglia Segala l’affitto di una casa incui il rettore si era trasferito per circa due anni du-rante i lavori al palazzo. Nello stesso palazzo avevasede e residenza anche il cancelliere, come docu-mentano una serie di parti dalla metà del XVI seco-lo, così come, almeno fino al 1504, vi si trovava ilcarcere74.

Probabilmente non è casuale la vicinanza crono-logica tra il trasferimento definitivo dei rettori a Salòe i lavori al palazzo documentati nel 1482-1484. La

Il palatium dei rettori

240. Maderno,

il palazzo delle Fosse

nella cartografia seicentesca.

Da TURRI 1997.

240

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corpo maggiore del tribunale, mentre la porzione diminore lunghezza sul lato occidentale è l’esito del-l’addizione di una casa nel 1550; l’edificio dovevacomporsi della loggia impostata su pilastri cilindricidi pietra di Seasso – mentre quelli settentrionali dirosso ammonitico suggeriscono per l’impianto pri-mitivo una cronologia trecentesca –, affiancata da uf-fici e al piano superiore dalla sala grande e dagli am-bienti residenziali. La posizione della loggetta o lobiaminor, ripetutamente citata nella documentazione,in cui si aprivano ad esempio gli uffici della cancel-leria, è riconoscibile nella mappa catastale austriacacome quasi interamente addossata allo stabile occu-pato nell’Ottocento dalla Guardia di Finanza79. Lacommistione tra funzione ufficiale e residenziale sirivela soprattutto negli annessi del palazzo: il portoè isolato da quello delle case attigue mediante murisormontati da merli e ornati di stemmi dipinti, ed èdotato di un giardino con una pergola intagliata maallo stesso tempo lo si provvede di uno stenditoio edi un riparo per fare il bucato; cento anni più tardi,nel 1599, vi si realizzerà anche una peschiera80.

Nella primavera del 1484, terminati i lavori edili-zi, si procede alla decorazione e viene pagato Gio-vanni da Ulma per la realizzazione del leone mar-ciano accompagnato dallo stemma di Giovanni Erizzosulla facciata e per il fregio della sala: se degli inter-venti decorativi e delle figure coinvolte si parlerà più

Comunità stipulò un contratto con il capomastro Gia-como q. Pace di Valtrompia, abitante a Riva, per unintervento radicale all’edificio probabilmente trecen-tesco, che prevedeva l’abbattimento di parte dei pe-rimetrali e la palificazione della facciata e dei can-tonali, salvaguardando la sala [doc. 1].

In quest’occasione sorprende il tenore del contrat-to da cui emerge un ruolo diretto del rettore venezia-no Giovanni Erizzo sulle scelte anche tecniche delcantiere, dalle palificazioni, agli spessori dei muri al-le tipologie di finestre. Un diretto riconoscimento aquesto ruolo deve dunque costituire la presenza ri-petuta dello stemma con le iniziali del patrizio tra letavolette del soffitto della sala75.

I lavori affidati a Giacomo da Riva si protrasserofino al 1484 e furono tanto radicali che in alcuneprovvisioni del 1486 il palazzo è citato come novi-ter constructo76. Il palazzo prima e dopo i lavori eraad un solo piano77, come si deduce chiaramente dal-la clausola nel contratto del 1482 che nel corso deilavori la sala dovesse rimanere coperta; né in quel-l’occasione si operarono interventi di sopraelevazio-ne: nel 1505 sulla copertura della sala magna verràcostruita una baltresca per la stenditura dei panni el’ordinamento per il rifacimento al tetto della sala nel1507 conferma il ridotto sviluppo verticale del pa-lazzo. L’edificio cui le carte fanno riferimento è rico-noscibile nella planimetria del catasto austriaco78 nel

241

241. Salò, palazzo comunale:

tavoletta lignea dal soffitto

della sala dei Provveditori

con l’emblema e le iniziali

del rettore Giovanni Erizzo.

Foto Augusto Rizza.

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242. Salò:

il sovrappasso tra le due sedi

dei magistrati veneziani in una

fotografia di fine Ottocento.

Collezione

Pierangelo Del Mancino.

243. Salò:

il sovrappasso tra le due sedi

dei magistrati veneziani

in una incisione pubblicitaria

di fine Ottocento.

Da SINISTRI 2000.

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avanti, va segnalata questa presenza di stemmi e im-prese dei capitani caratteristica delle sedi delle ma-gistrature locali nelle terre della Serenissima, dove ilpalatium è la sede per la celebrazione della giusti-zia, della gloria di Venezia e delle famiglie dei capi-tani, che appongono i propri emblemi, dipinti o scol-piti.

Nei vent’anni successivi all’opera di Giacomo daRiva si svolge un duplice processo: da un lato la ri-qualificazione e la decorazione del palazzo, dall’al-tro l’espansione delle sedi istituzionali attraverso l’af-fitto delle case adiacenti e la ristrutturazione e ilcollegamento con il palazzo verso strada o palazzosuperiore, il cosiddetto palazzo del Provveditore, chea sua volta diventa oggetto di una serie di interventidi riqualificazione a partire dall’inizio del Cinque-cento, in modo da poter ospitare il cancelliere delcapitano e il capitano stesso81. Nel 1503, infatti, so-no registrati pagamenti per oculi in vetro per lo stu-dio del capitano, “versus sala magna pallatii” e nel-l’anno successivo per banchas, e il palazzo stessoviene citato come palazzo del Capitano82. Da questomomento, inoltre l’edificio sul lago cesserà di esse-re definito univocamente pallatium ressidentie capi-tanei, ma sarà indicato più genericamente come pa-lazzo verso lago o palatium capitanei versus lacum,cui si affianca ormai il palatium superioris ressiden-tiae magnificentiae suae, a suggerire un mutamentodi funzione in corso, che ben giustifica l’attività feb-brile in entrambi gli edifici. Nel 1505 questi sarannocollegati da un poggiolo ligneo sostituito, entro il1551, in seguito alla completa ricostruzione del pa-lazzo superiore e alla ristrutturazione di quello ver-so lago, da una struttura in muratura di cui conoscia-mo l’aspetto più recente grazie ad alcune foto eincisioni di fine Ottocento: il sovrappasso corrispon-deva ai due piani superiori dei palazzi e si compo-neva di un corridoio chiuso, illuminato da finestrequadrate aperte sui due lati, e di un loggiato retto dacolonne. L’incisione restituisce anche qualche trac-cia del decoro – una finta architettura – riconducibi-le forse all’intervento di Bongianni Grattarolo, chenella Storia della Riviera ricorda di avervi dipinto “duocavalli, uno di Q. Rufo e l’altro di Oratio Coclo” nel-la sua prima impresa pittorica83. 243

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Oltre ad essere la residenza del capitano e sededel Consiglio della Comunità, nel palazzo si ammi-nistra la giustizia, si registrano atti pubblici e privatie si fa commercio: tutte queste attività si svolgononelle due logge sottostanti l’edificio: in quella cen-trale, il “portico grande aperto, soffolto da molte co-lonne”, descritto dal Grattarolo, trova posto il “tribu-nal”, ovvero il banco sopraelevato e privilegiato delpodestà bresciano, ma anche il banco notarile, e pro-prio al notaio viene imposto di provvedere al lumeperpetuo davanti all’immagine della Vergine dipintasu una delle colonne verso lago84. La loggia è luogodunque di una liturgia del potere e di attività civili,su cui è invocata la presenza taumaturgica della Ver-gine85, ma è anche spazio d’incontro, versione in mo-do minore – ma non domestica né rustica – del mi-to umanistico del foro urbano (testimone ancora il

Grattarolo, che lo dice “luogo dove ragionando, pas-seggiano i nobili”). Il palazzo aveva una seconda log-gia, la “lobia minor” o lobietta distrutta negli inter-venti successivi al terremoto del 1901, e riconoscibilenel porticato che si affacciava sulla Strada regia.

Il gusto veneziano nell’articolazione architettoni-ca emerge chiaramente dalle carte: il palazzo sul la-go viene dotato nel 1505 dello scalone in pietra checollega il suo porto con la sala magna, e scale in pie-tra conducevano dalla loggia all’approdo; un’ulterio-re spinta in questa direzione venne apportata dai mas-sicci interventi del 1558-1560, sotto Francesco e PietroNani [doc. 12]. In seguito all’acquisto di casa Bertel-li, sul lato occidentale, imposto dal rettore Giulio Do-nato nel 155086, si resero necessari lavori di unifica-zione degli spazi e probabilmente a queste date rinviala sopraelevazione del palazzo (che si può ben da-

244

244. Salò:

il palazzo del Provveditore

con la loggia e la terrazza

sul lago prima delle demolizioni

di fine Ottocento.

Da TURRI 1997.

245-250. Salò, palazzo comunale:

tavolette lignee dal soffitto

della sala dei Provveditori.

Foto Augusto Rizza.

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Della veste del palazzo visto da Isabella si conser-vano solo le tavolette della sala dei Provveditori, manelle sedi del rettore nell’ultimo quarto del Quattro-cento furono chiamate a lavorare alcune botteghe diartigiani – marangoni, intagliatori, pittori – cui ven-ne richiesto di realizzare ambienti sontuosi e confor-tevoli e dal trasparente significato simbolico. Le com-messe vanno per la quasi totalità a Francesco Cattaneida Padova, Giovanni da Ulma, Giovanni Bastari e aGiovanni da Desenzano e – per i lavori d’intaglio –a Bartolomeo Otello90. I loro interventi non rispon-dono ad un piano organico definito a priori, ma al-lo stesso modo degli interventi architettonici e strut-turali, si qualificano piuttosto come opera in progress,dettata da esigenze estemporanee.

Saranno chiamati in primo luogo a iterare stem-mi, imprese, emblemi di Venezia e delle famiglie deirettori: nella sala, nella loggia, nella scala, sulla fac-ciata, nella cancelleria. Qui in particolare nel 1504sarebbe stata commissionata la realizzazione deglistemmi di tutti i rettori sulle pareti, mentre già i ban-chi ne erano fregiati [doc. 2]. I luoghi determinanomodalità, tecniche, gerarchie esecutive diverse, cosìche nella sala e negli ambienti più rappresentativi siraccomanda l’impiego di pigmenti preziosi.

Soprattutto, la somma delle loro opere disegneràin pochi lustri il profilo di una piccola capitale, affi-dato ai suoi edifici rappresentativi e alla loro deco-razione, ma anche ad aspetti minori, in grado di con-notare un contesto: è così, ad esempio, che a Giovannida Ulma verrà affidata la realizzazione delle bande-ruole con l’emblema marciano da porre alle trombedei ministrali della Comunità91. Sono elementi chevanno a comporre uno scenario urbano accanto adaltri strutturali, come la presenza di finestre vitree, alposto delle assai più consuete impannate: le vetratea oculi, per le quali vengono chiamati maestri vetraibresciani, adorneranno una serie di sale del palazzosuperiore e del palazzo verso lago, nonché la can-celleria92. Inoltre, dal 1506 le scale in mattoni concui si accedeva ai piani superiori del palazzo versolago vengono sostituite da sontuose scale in pietra ele pareti dipinte, e dal 1477 intorno agli edifici pub-blici erano state lastricate tanto la Strada regia, quan-to i brevi tratti che congiungevano i palazzi tra loro

tare al 1550-1551, prima della sostituzione del pog-giolo con il sovrappasso a due piani dipinto da Grat-tarolo nel 1551) e il rifacimento del prospetto versolago con la realizzazione della loggia descritta dalGrattarolo ornata di dipinti e aperta sul lago. A talestruttura potrebbero riferirsi le demolizioni ottocen-tesche, ma documentate nel 1901, della “parte dimezzogiorno del palazzo del Tribunale e della Pre-tura con lo sporgente terrazzo”, strutture che sembra-no peraltro riconoscibili in un’incisione pubblicatanel 189287. Con quest’intervento sostanzialmente siconclusero le vicende più significative di trasforma-zione del palazzo che assunse la sua struttura defi-nitiva, subendo invece da un lato continui interven-ti statici88, dall’altro ulteriori continui incrementi etrasformazioni dell’apparato decorativo e degli arre-di, sia nel palazzo verso lago sia in quello verso stra-da, legati alle variazioni del gusto e alla volontà diautorappresentazione dei rettori.

La decorazione e gli arrediSe la costruzione su una linea arretrata rispetto al-

la sponda del lago ha consentito la conservazionedella struttura, le vicende storiche e operazioni di-sattente hanno portato alla completa dispersione del-le decorazioni e degli arredi di una dimora che lecarte ci descrivono fastosa e destinata ad ospitare per-sonaggi di primo piano della scena europea: da Isa-bella d’Este nel 1514 a Nicola Madruzzo, al cardi-nal d’Augusta e a Guglielmo Gonzaga, duca diMantova, nel 1562 – durante il concilio tridentino –secondo la testimonianza di Grattarolo89. Ed è pro-prio Isabella d’Este a descrivere per la prima volta ilpalazzo e l’ospitalità dei reggitori della Riviera allo-ra in mano spagnola.

Smontai alla Casa dil Comune dove sta il Capitano, dove era-

no gran numero di persone, et tante che restai stupefatta. Li

homini de la terra ne receueteno con allegra Ciera: et sotto

una loggia che Confina alla Ripa dil laco, et sopra la quale

e la sala di ditta Casa, erano Tavole Cariche di Panere gran-

di di Pane, Brazadelli Pomi, Peri, Vua Frescha, scatole di Con-

fetti Pignocati Marzapani, Cera, Zocharo et piatti de Pesci de

diverse sorti et in bona quantita, Quali essi homeni me apre-

sentorno con longe reverente et Belle parole...

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o ai rispettivi porti93. A questa dignità manifesta cor-rispondeva un vero e proprio lusso all’interno, sia ne-gli ambienti di rappresentanza, sia in quelli destina-ti alla privata residenza del rettore: si pensi ad esempioalla camera noviter facta nel 1474, destinata ad usodi studio e riposo del rettore, in cui la Comunità –per renderla pulchra, bella, come la richiede il patri-zio veneziano Daniele Dolfin – mette a lavorare unintagliatore, tale Bertolino che s’impegna a realizza-re un mobilio cum retortis et intaliis, definizione chesuggerisce elementi traforati di gusto ancora tardo-gotico, e il pittore Giovanni da Ulma, documentatoqui per la prima volta94.

Il fulcro dell’intero complesso è la sala grande, checostituiva l’ambiente di rappresentanza della residen-za del rettore riunendo così una molteplicità di fun-zioni direttamente riflessa, poi, nel suo arredo e nel-la sua decorazione. Era, infatti, al tempo stesso auladi giustizia, sede delle riunioni del Consiglio dellaComunità – funzioni esercitate tuttavia anche nellasottostante loggia e nella sala della Cancelleria – esalone delle feste, come mostra una provvisione delfebbraio 1506, con cui il Consiglio deliberò di pun-tellare il soffitto della loggia per assicurare il pavi-mento della sala e potervi così ballare95.

Se dal 1470 in poi siamo aggiornati su un conti-nuum di interventi nel palazzo da parte di pittori,chiamati a dipingere frisiis e stemmi sulla facciata ein vari ambienti, l’arredo e la decorazione della salasi profilano con una certa precisione nell’ultimo quar-to del Quattrocento, subito dopo i lavori di Giaco-mo da Riva: nel 1484 Giovanni da Ulma viene pa-gato per aver dipinto lo stemma del capitano Erizzoe l’emblema marciano sulla facciata e un fregio etalia nella sala96; nel corso del 1486 e 1487 si susse-guono altri pagamenti allo stesso Giovanni per varienon specificate pitture nel palazzo e nella sala. A que-sto momento vanno ricondotte con ogni probabilitàle cinquantadue tavolette lignee del soffitto97: le ta-volette superstiti alternano stemmi, emblemi della Se-renissima, animali e volti maschili e femminili secon-do modalità ben attestate in questa tipologiadecorativa; rimandando oltre per quanto concernel’autore, è il caso qui di notare come i tocchi d’orosui fondi dovessero integrare le tavolette nel tessuto

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prezioso degli arredi del palazzo. Nel 1487 – a riba-dire la commistione tra vita civile e sacro – nella sa-la è realizzato l’altare della Madonna, che verrà suc-cessivamente circondato da una balaustra ligneadipinta [doc. 6]; è plausibile che l’immagine sull’al-tare fosse un dipinto murale, la cui realizzazione ven-ne affidata a Giovanni da Ulma; ancora una volta delcomplesso nulla resta, ma sembra identificabile conquello che un secolo dopo Carlo Borromeo avrebbestigmatizzato come simile piuttosto ad un armadioche ad un oratorio, vietandone l’uso98.

Anche gli arredi fissi poi – i banchi e le spalliere,ossia quelle strutture lignee fissate al muro, necessa-rie per l’applicazione di tappezzerie ad uso decora-tivo o con la funzione, appunto, di spalliere – saran-no dipinti ad verduras e con i consueti emblemi diVenezia [doc. 4]. Nel 1506, ad enfatizzare il ruolodi autorità giudiziaria e di capo militare del capita-no, vengono costruiti un tribunal e una panoplia (lan-ceria) per le lance del capitano stesso99, entrambi li-gnei e dipinti.

La decorazione viene sostanzialmente replicata inpiccolo tanto nella cancelleria adiacente quanto nel-la saletta del palazzo superiore.

Come accennato più sopra, anche la sala subì unaserie di modifiche strutturali nel tempo: la disconti-nuità dello spessore murario della parete occidenta-le attesta come originariamente l’ambiente si chiu-desse in corrispondenza dello spigolo tuttora visibilein quella parete, a circa 8 metri dalla facciata nord,in modo tale che l’immagine sacra – ora l’Annuncia-zione su pietra di paragone – si trovasse al centro del-la parete occidentale. L’ampliamento, posteriore pro-babilmente alla realizzazione dell’Annunciazione,deriva forse dall’abbattimento dell’antica facciata cheera rimasta come muro divisorio tra la sala e il log-giato edificato sul portico a metà Cinquecento, se co-sì si può interpretare il riferimento di Grattarolo a“una longa, larga, et aprica loggia da passeggiare di-nanzi, coperta d’un soffitato colorito e tempestatod’oro”.

Lo scrittore salodiano descrive inoltre i lavori chemodificarono radicalmente la sala magna a fine Cin-quecento, con la realizzazione di un’aggiornata de-

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corazione manieristica, nella quale tuttavia dovette-ro essere preservate le tavolette del soffitto. Ancorauna volta vennero riproposti gli stemmi dei rettori,sorretti da figure fantastiche e accompagnati da car-tigli, in un insieme oggi scarsamente leggibile, di cuiancora una volta di cui sfugge la paternità e se ne co-nosce approssimativamente la data di realizzazione,anteriore al 1587, quando la decorazione è citata, esi sa che negli anni Ottanta è impegnato nel palaz-zo Gian Pietro Mangiavino, nominato nel 1586, chenegli stessi anni si trova sui ponteggi del Duomo arinnovarne la decorazione delle volte100. Pochi annipiù tardi verrà realizzato l’orologio del palazzo, do-cumentato dal 1600101.

Anche la cappella fu coinvolta nel rinnovamentodel palazzo nel 1559, e a seguito del decreto del Bor-romeo fu realizzato un nuovo oratorio, il cui proget-to venne sottoposto all’approvazione apostolica nel1582102.

Ubicazione e caratteri dell’oratorio ci sfuggonocompletamente come è imprudente qualsiasi ipote-si sull’immagine sacra che doveva esservi posta, dalmomento che la tela con la Vergine col Bambino, sanMarco e il provveditore Giovanni Barbaro di Giovan-ni Andrea Bertanza dovrebbe essere collegata allacommissione del 1612 per un dipinto da porre nel-la sala d’udienza del rettore, quindi probabilmentenella sala dei Provveditori [doc. 26]103.

Altra raffigurazione mariana conservata è l’imma-gine della Vergine di Loreto con la data 1602, dipin-ta in un ambiente adiacente la sala sul lato sud-oc-cidentale: benché modesta e sconciata da secolariinterventi di restauro, la raffigurazione ha un suo in-teresse perchè è collegabile ad una delibera del 1602con cui si saldava Giovan Battista Quaglia per averdipinto l’immagine della Vergine “super scriptoriumpalatii”, e davvero se, con le cautele imposte dallostato di conservazione, il dipinto può essere utilizza-to per tracciare un profilo del Quaglia, questi ne emer-ge come un modesto artigiano che nella decorazio-ne della sala del Consiglio nel palazzo del Comunepuò aver avuto solo un ruolo di aiuto104.

Anche l’ultimo significativo intervento nella saladel Consiglio rientra nell’esaltazione della Verginecara alla cultura e all’ideologia veneziane: ad un’ini-

ziativa di Paolo Condulmer, rettore nel 1681-1683,che fece scolpire le proprie iniziali e lo stemma, sideve l’Annunciazione su pietra di paragone, postaentro una cornice in pietra ornata di cavalli marini,sirene e putti. Il dipinto, di notevole qualità e attri-buito tradizionalmente ad Andrea Celesti, è stato ri-condotto ad Alessandro Campi, collaboratore del Ve-neziano, cui meglio si adattano le fisionomie dai trattiesasperati e gli occhi stupiti affondati in pesanti om-bre; spicca nel dipinto la finezza dei panneggi leg-gerissimi, il cromatismo affocato e la vertiginosa pro-spettiva del pavimento, non del tutto risolta105.

I frammenti superstiti poco restituiscono comun-que del complesso figurativo: nel 1631, al posto del-le consuete armi, il Consiglio della Comunità si risol-se a celebrare il rettore Priuli non con la consuetarappresentazione araldica, ma accompagnandola conla raffigurazione dei “tre infortuni seguiti nel corso delregimento di sua signoria illustrissima, cioè di peste,carestia et guerra, superati con la sua prudenza”106.

Alla fine del XVII secolo Francesco Paglia ricorda-va nella sala anche “un ritratto al naturale espressodi Pietro Bellotto”, segno del continuo aggiornamen-to del patrimonio figurativo, in questo caso attraver-so il ricorso a un artista assurto a fama europea pro-prio per la ritrattistica e le teste di carattere107.Piacerebbe aver trovato qualche traccia della com-missione della tela con La Riviera che rende grazie alprovveditore Soranzo, pure destinata alla sala deiProvveditori, con cui la Comunità di Riviera, alla vi-gilia della fine, nel 1786 onorò il provveditore Mar-co Soranzo per la sua vittoriosa opera contro il bri-gantaggio. L’opera che fu affidata al protagonista dellascena artistica contemporanea tra Brescia e il Garda,il salodiano Sante Cattaneo, nell’equilibrio compo-sitivo, nella chiarità e levità cromatica, restituisce gliestremi momenti di splendore della committenza pub-blica salodiana108.

Accanto a queste testimonianze merita almeno diessere citato – dal momento che l’analisi è ora pre-clusa dalla collocazione privata – l’ambiente dellaresidenza del provveditore “verso strada”, ora casaAmadei, che conserva una straordinaria mostra di ca-mino in stucco, del 1624, commissionata probabil-mente dal rettore Giovan Maria Pesaro.

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251. Salò:

la facciata settentrionale

del palazzo del Provveditore

in una fotografia

di fine Ottocento.

Collezione

Pierangelo Del Mancino.

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La residenza dell’autorità bresciana, mal accettadalla città e dalla Comunità e subita solo in forza del-l’imposizione della Serenissima, costituisce anchel’episodio meno documentato della vicenda. Impo-sta nel 1440 dalle autorità veneziane109, la dimora delpodestà fu a lungo provvisoria e ancora quindici an-ni dopo il magistrato bresciano reclamava un’abita-zione adeguata e dotata del necessario al soggiornoe all’attività110; solo nel 1462 si giunse all’acquisto diuna casa, e il saldo a Giorgio di Lodrone per l’affit-to di una casa per il podestà nel 1460 attesta comesi fosse proceduto fino allora, quasi a riaffermare l’in-tenzione che la presenza del rettore bresciano fossesolo provvisoria111; non solo, un’ulteriore provvisio-

ne del 1460 mette a vista la singolare coabitazionetra il podestà e un ricamatore già insediato nella ca-sa destinata al patrizio bresciano e che la Comunitàchiede di non allontanare112.

L’acquisto nell’agosto 1462 fu seguito solo nel giu-gno successivo da delibere per lavori di adattamen-to, che dovevano configurarsi impegnativi se ancorauna volta il podestà venne ospitato in una casa in af-fitto: la scarsa volontà della Comunità di provvede-re alla sua residenza emerge del resto chiara dalladurata dei lavori, cinque anni in cui le delibere nonsembrano denunciare il progredire degli interventiquanto la loro dilazione113. Nel 1469, l’inventario de-gli arredi e le successive provvisioni per acquisti di

La casa del podestà

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252. Salò, casa Amadei:

il camino della sala

di quella che fu la residenza

del provveditore

veneziano (1624).

Foto S&B trade promotion.

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e di un’altana119. Le testimonianze cinque e seicen-tesche (Grattarolo e un contratto d’affitto per la casadel Comune sulla piazza) e il catasto napoleonicoconsentono di rintracciare con sicurezza l’edificio,che doveva essere quello registrato sul catasto con ilmappale 1698: arretrato rispetto alla riva, da cui do-veva essere separato da un giardino oltre che dal por-to e dalla fondamenta, non è visibile sulle foto di ini-zio Novecento in cui si scorge tuttavia la sua altana.

Esemplari del differente trattamento riservato dal-la Comunità ai due magistrati sono la presenza di im-pannate alle finestre, al posto degli oculi vitrei riser-vati al palatium del rettore, e il riferimento ai privilegidella Comunità di fronte a ogni richiesta d’interven-to alla casa del podestà, per limitarne la portata; d’al-tra parte la sequenza di richieste di mobilio e masse-rizie da parte dei patrizi bresciani suggerisce da unlato uno stato di perpetua precarietà delle dimore,dall’altro un vero e proprio braccio di ferro giocatointorno al testo della ducale che vietava ai magistra-ti di chiedere utensili, masserizie e mobili alla Co-munità, che si concluderà peraltro con una nuovaducale, sollecitata da Brescia, che obbliga la Comu-nità a fornire mobili alla casa del magistrato120.

La lunga trattazione di Bongianni Grattarolo dedi-cata alla sequenza dei podestà trasmette tutta l’am-bivalenza del rapporto: i magistrati estratti dalle piùnobili famiglie bresciane (Caprioli, Calzaveglia, Mar-tinengo), sono spesso fini letterati, cui la Comunità ei suoi esponenti maggiori dedicano versi e doni raf-finati, ma tuttavia relegati a risiedere in una “stanza”,ossia una sede priva di qualunque ambizione monu-mentale.

mobilio suggeriscono la conclusione del lungo iter114,anche se l’insediamento sarebbe stato tutt’altro chedefinitivo: è ipotizzabile che la “domus communita-tis in qua habitat dominus potestas” corrispondesseal sedime dell’ex hotel Metropole (mappale 1696 delcatasto napoleonico), sul lato E della piazza pubbli-ca con affaccio sul lago (con il proprio porto), comesembrano dimostrare gli atti successivi alla venditadella casa stessa al Comune nel 1532, momento incui nei documenti del Comune comincia ad appari-re la distinzione tra le case “a sero” e “a mane”.

In sostituzione della casa sulla piazza presso il la-go, la Comunità ne acquistò un’altra da BartolomeoCalsoni, posta in contrada della Fonte, dunque inprossimità del palazzo del Provveditore115: stavolta ledecisioni sui lavori vennero prese con speditezza econtestualmente all’acquisto si stabilì la costruzionedi un accesso monumentale e della scala in pietra116,ma il podestà Orfeo Boni rifiutò di insediarvisi, dan-do vita ad un procedimento di fronte al provvedito-re veneziano, che dovette concludersi sfavorevolmen-te per la Comunità. Questa, attraverso la mediazionedel patrizio Leonardo Basadonna, inviato da Vene-zia, procedette all’acquisto di un nuovo edificio, concui sembra concludersi definitivamente la vicenda117

e che dunque dovrebbe corrispondere a quello regi-strato nel 1587 da Grattarolo in prossimità della ca-sa del Comune sul lato orientale della piazza affac-ciato sul lago, da cui è separato da una fondamenta.Dai regesti degli ordinamenti della Comunità sem-bra di assistere – in parallelo a quanto si dispone perla residenza del provveditore – a un’iniziativa di ab-bellimento e ampliamento delle strutture destinate alpodestà negli anni intorno al 1500-1552: viene ac-quistata la casa di Gerolamo Griffi (per il costo di 650lire), contigua alla casa del magistrato bresciano, eper un momento si pensa ad acquisire anche un’al-tra sede confinante cui poi si rinuncia; all’acquistoseguono interventi di adattamento e miglioria. Tra il1582 e il 1593 sono finalmente documentati massic-ci interventi all’edificio, oggetto da allora in poi so-lo di interventi di restauro (ad esempio per un incen-dio nel 1604) e manutenzione118.

Della dimora del podestà si conosce poco altro:l’esistenza di un approdo, di un poggiolo in facciata

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253. Salò,

la casa del Provveditore.

Foto S&B trade promotion.

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254. Salò, vista da est.

Foto Marino Colato.

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