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SARA CAMPESAN - Studio d'Arte GR ORMENESE Int catalogo.pdf · Nel 1970 lo storico dell’arte...

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ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE SARA CAMPESAN BEN ORMENESE
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ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE

SARACAMPESAN

BENORMENESE

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ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE

SARA BEN CAMPESAN ORMENESE

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a cura di

Elsa DezuanniGiovanni Granzotto

Ennio Pouchard

ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE

SARA BENCAMPESAN ORMENESE

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Museo Civico di Santa CaterinaTreviso, Piazzetta Mario Botter

14 novembre 2010 - 13 febbraio 2011

Mostra a cura diElsa Dezuanni e Giovanni Granzotto

RealizzazioneStudio d’Arte GR, Sacile (Pordenone)

CoordinatoreEnnio Pouchard

Direzione organizzativaUgo Granzotto

Direzione tecnico-scientificaMaria Lucia FabioAlberto Pasini

Progetto grafico del catalogoDiego Arnoldo con Elsa Dezuanni

in collaborazione con

Studio d’Arte GR, Sacile

La mostra è stata resa possibile grazie al contributo di

Città di Treviso

© 2010 Studio d’Arte GR © 2010 GMV Libri

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dai proprietari dei diritti e dell’editore

In copertinaSara CampesanFrammentazione di tre spirali, 1987

Ben OrmeneseStudio cromatico, 1970

Un particolare ringraziamento a Aldo CiciliotLuciano DureghelloRenzo LimanaAntonio Lucchetta Fiorenzo Lucchetta Gaspare Lucchetta Giancarlo Lucchetta Flavia PasiniClaudio Ruberti

Catalogo a cura diElsa Dezuanni, Giovanni Granzotto, Ennio Pouchard

Crediti fotograficiArchivio Sara Campesan, Venezia-Mestre Archivio Studio d’Arte GR, Sacile-PNGiancarlo Gennaro, CittadellaEnnio Pouchard, Treviso

AssicuratoreAssicurazioni Generali S.p.A. Agenzia Generale di Treviso

ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE

SARA BENCAMPESAN ORMENESE

www.studioartegr.com

www.grafichemarini.com

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L’esperienza del tutto positiva del Museo Civico di Santa Caterina nel destinare parte dei propri spazi espositivi alle mostre temporanee di arte contemporanea ha trovato un’ulteriore conferma, la primavera scorsa, nella ottava di esse, dedicata alle opere di Franco Costalonga e Nadia Costantini, che — dopo il primo ciclo, intitolato Spazialismi a confronto e la precedente personale di Giuseppe Gambino — segnava il secondo appuntamento della serie ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE, programmata fino al 2011 ed avviata da Alberto Biasi e Jorrit Tornquist.È con vivo entusiasmo che abbiamo condiviso l’impegno dei curatori, degli organizzatori e degli sponsor per l’esposizione che porta oggi le presenze di altri due autori di provata rappresentatività, Sara Campesan e Ben Ormenese. Due artisti, l’una veneta e l’altro friulano, che per una parte cospicua della propria vita hanno studiato, verificato, sviluppato e costruito un insieme di valori inediti nel percorso di un’arte sempre nuova, perché legata a metodi e mezzi eminentemente scientifici e tecnologici. Tali incursioni nel contemporaneo completano le straordinarie affermazioni nella valorizzazione dei tesori di proprietà del Museo, suddivisi tra le collezioni di capolavori pittorici e scultorei rinascimentali e moderni, il patrimonio archeologico e quello medievale, ricco di affreschi unici al mondo come, in particolare, il ciclo delle Storie di Sant’Orsola di Tomaso da Modena, di cui si è concluso negli scorsi mesi l’importante restauro.Più che mai, quindi, si ritiene valido l’assunto già affermato, qui, in una precedente occasione: che ogni ambiente progettato con tutti i crismi rimane asettico finché le opere non gli infondono quel soffio vitale che lo invera. Il nostro pubblico potrà verificare che l’Arte programmata e cinetica, che è l’anima della mostra in atto, ne dà la prova più viva.

Emilio Lippi Direttore delle Biblioteche e dei Musei Civici

Da diversi anni abbiamo deciso di affiancare all’impegno imprenditoriale nel settore dell’arredamento il convinto apporto a eventi artistici di assoluto prestigio in Italia e all’Estero. Essere sponsor di una grande mostra, così come sostenere l’attività di alcuni tra i più importanti artisti italiani, per noi ha significato, e sempre più significa, non solo offrire un contributo concreto, ma soprattutto riconoscere un’identità di ispirazione tra l’aspetto creativo del nostro lavoro e quello che ha portato alla genesi dei grandi capolavori dell’arte. Lo sviluppo di tali azioni si è gradualmente differenziato tra il sostegno alle attività espositive di svariati artisti e l’appoggio concreto a rassegne di grande levatura, come appunto il ciclo di quattro mostre dal titolo ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE, ideato per gli spazi del complesso museale di Santa Caterina a Treviso, e programmato fino alla primavera del 2001, di cui si presenta ora la terza esposizione. Il prodotto di industrial design del Gruppo Euromobil, all’avanguardia nella scelta delle linee e dei materiali, trova infatti nell’arte contemporanea il proprio naturale partner comunicativo, per il parallelismo — che l’esperienza seguita a confermare — tra le innovazioni nel nostro campo e in quello dell’arte, basate necessariamente sulla dinamica conoscitiva delle proprie tradizioni e proiettate, nel contempo, verso la ricerca di nuovi valori. Ed è motivo di soddisfazione per noi essere presenti nell’attuale esposizione del Museo trevigiano di Santa Caterina, che presenta opere di Sara Campesan e Ben Ormenese, artisti che per sensibilità sentiamo particolarmente vicini.

Antonio, Fiorenzo, Gaspare e Giancarlo Lucchetta Gruppo Euromobil

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GMV, Grafiche Marini Villorba, partecipa con rinnovato entusiasmo alla realizzazione del ciclo di mostre sul tema ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE, che dopo le due precedenti esposizioni — dedicate l’una ad Alberto Biasi e Jorrit Tornquist e l’altra a Franco Costalonga e Nadia Costantini — presenta ora Sara Campesan e Ben Ormenese. Un’adesione, quella della GMV, che si motiva sulla volontà di sostenere progetti atti a conferire prestigio alla città di Treviso, valorizzando altresì ulteriormente gli splendidi spazi del Museo di Santa Caterina. La collaborazione intrapresa rientra, infatti, nella politica editoriale di questa azienda trevigiana, sviluppata principalmente nel settore dei cataloghi per mostre d’arte e delle monografie d’artista, in funzione di una stimolazione culturale partecipativa nel proprio ambito territoriale. A ciò dedica le proprie energie per garantire una produzione basata sull’estrema cura qualitativa del prodotto, sia nei contenuti, sia nella definizione grafica e tipografica, convinta del riconoscimento che è indispensabile rivolgere ai dinamismi artistici sui quali si è costruita la storia dell’arte italiana e internazionale del secondo Novecento.

Claudio Ruberti GMV Libri

Le Assicurazioni Generali sono liete di contribuire ancora, in qualità di sponsor, tramite l’Agenzia Generale di Treviso, alla realizzazione delle mostre d’arte contemporanea del Museo civico di Santa Caterina a Treviso, che dal 2006 scandiscono le aperture dei suoi splendidi spazi espositivi. Abbiamo ampiamente apprezzato il precedente ciclo di cinque esposizioni dedicate al ramo dello Spazialismo sviluppatosi a Venezia ed è con altrettanto interesse che seguiamo questa seconda serie biennale incentrata sull’arte cinetica e programmata in ambito veneto, che porta il titolo ARTE SCIENZA PROGETTO COLORE. Il successo della prima di tali rassegne, dedicata ad Alberto Biasi e Jorrit Tornquist, si è riconfermato con la successiva, che ha visto protagonisti Franco Costalonga e Nadia Costantini. Esprimiamo la nostra piena certezza che il nuovo evento, con le presenze di Sara Campesan e Ben Ormenese, sarà ancor più di stimolo per un pubblico non soltanto trevigiano, portando al visitatore l’esperienza affascinante di colloquiare con un tipo di arte che si alimenta mirabilmente di scienza e di tecnologia, coniugandosi con esse. Convinte di dare un utile appoggio alla crescita di una coscienza allargata nei confronti di una cultura aperta a tutti, le Assicurazioni Generali riaffermano il proprio impegno in tale proposito, nelle zone di competenza di ogni singola agenzia.

F. Rosi, G. Trevi, P. Lenzi, F. Martin Assicurazioni Generali Agenzia Generale di Treviso

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SOMMARIO

Cinetismi e oltre Una vitalità ininterrotta Ennio Pouchard

Osservazione e ricerca:come nasce un atto d’amore Giovanni Granzotto

Sara Campesancenni biografici e percorso artisticoElsa Dezuanni

Ben Ormenesecenni biografici e percorso artisticoGiovanni Granzotto

OpereSARA CAMPESAN BEN ORMENESE Appendice Ennio Pouchard

Antologia critica Bibliografia essenziale

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PREMESSAArte Scienza Progetto Colore è il titolo comune delle quattro mostre programmate dal Museo di Santa Caterina a Treviso per il biennio tra l’autunno 2009 e la primavera 2011, del quale questa, dedicata a Sara Campesan e Ben Ormenese, è la terza. Un titolo scelto perché gli artisti partecipanti, pur avendo seguito o seguendo tendenze anche sensibilmente diverse, risultano impegnati a lavorare su basi scientifiche, rinunciando alla tradizionale creatività legata all’ispirazione e al gesto. Le loro opere, costruite in un contesto di progettualità che contempla l’uso di materiali non necessariamente propri del fare arte, prevedono l’instaurarsi di un rapporto reciproco con il fruitore, nonché la possibilità di amalgamarsi con altre forme creative.Per trovare le origini di tali caratteristiche bisogna risalire ai tardi anni Cinquanta del secolo scorso, quando pressoché simultaneamente si sviluppò in gruppi di giovani artisti di varie nazionalità un tipo di ricerca tesa a produrre opere in cui il movimento assumeva una parte essenziale, e quindi, dal greco kínesis, venivano dette cinetiche. In vari casi si trattava di un moto reale ed effettivo di qualche loro componente, generato sia da meccanismi che facevano parte integrante dell’oggetto artistico, sia da interventi esterni. Ma per lo più era solo apparente — ossia dovuto a effetti ottici, percepiti dal riguardante in quanto indotti in lui dai propri spostamenti rispetto all’opera; ma anche a sensazioni ottiche d’instabilità dovute a deformazioni di strutture geometriche dipinte, tipiche della Optical art — e in questo caso si preferiva definirlo virtuale. La caratteristica comune a tali operatori artistici — come essi scelsero di definirsi — fu di produrre classi di opere in base a progetti, con metodi simili sotto vari aspetti a quelli dell’industria. Ciò convinse il più anziano e ben noto designer, progettista e inventore Bruno Munari a farli partecipare, in gruppo o singolarmente, alla sua mostra intitolata Arte programmata (maggio 1962, negozio Olivetti di Milano, e successivamente in altre sedi dell’azienda, compresa quella newyorkese), il cui sottotitolo era Arte cinetica. Opere moltiplicate. Opera aperta1. Era la punta più avanzata del contemporaneo, per la quale nel 1983, in occasione di una grande mostra a Milano (Palazzo Reale), la curatrice Lea Vergine coniò l’espressione L’ultima avanguardia.

CINETISMI E OLTRE UNA VITALITÀ ININTERROTTA

ENNIO POUCHARD

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Questa tendenza a uscire dai confini dell’arte — o meglio delle arti, perché riscontrabile anche in musica, e in poesia, e nel teatro di prosa — per addentrarsi in territori culturali diversi si è manifestata nel mondo occidentale negli anni di poco posteriori al grande conflitto, ma non era priva di passato. I campi esplorati andavano dalla scienza alla filosofia, a ideologie specialmente politiche; ma erano fondamentali le contaminazioni con la psicologia. Nel periodo della fioritura di questi eventi era specialmente diffusa tra i cultori dell’arte la familiarità con una teoria specifica, la psicologia della forma (dall’originale tedesco Gestaltpsychologie) elaborata dallo psicologo ceco Max Wertheimer negli anni Venti. In essa si trovavano le basi di un rigore che per artisti e critici era sentito come necessità irrinunciabile. Wertheimer, comunque, aveva elaborato un concetto apparso nel 1890 nel saggio del filosofo viennese Christian von Ehrenfels Über Gestaltqualitäten (Sulle qualità della forma), le cui origini risalivano, a loro volta, a teorie di un grande letterato, Goethe, e di un fisico influente, Ernst Mach2. In Italia il termine abbreviato, scritto “ghestaltica” per opportunità di lettura, diventò di uso corrente verso la fine degli anni Sessanta. Nel 1970 lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan, in L’Arte moderna 1770-1970, chiarì l’importanza del problema della “formazione” (Gestaltung) dichiarandolo di livello non inferiore a quello della “forma” (Gestalt): per quanto riguarda l’arte programmata, ciò stabiliva un legame stretto tra processo e opera, legittimando quindi il fatto di considerare ghestaltici tutti gli artisti ora presenti nelle esposizioni di cui stiamo trattando.

LA MOSTRAPiuttosto che per affinità di vario genere tra gli autori presentati, è per le differenze tra loro, e talvolta addirittura per i contrasti, che le esposizioni del ciclo Arte Scienza Progetto Colore, e questa nello specifico, continuano a caratterizzarsi. L’idea di base che ha guidato le scelte degli organizzatori e curatori è stata infatti di evidenziare le illimitate possibilità sviluppabili nel campo circoscritto dell’arte programmata e cinetica, offrendo volta per volta un accoppiamento tra esponenti di alto rilievo, anche di origini e trascorsi differenziati. Così sono stati abbinati i lavori di artisti provenienti dai gruppi di ricerca degli anni Sessanta (il padovano Enne finora in esclusiva, quale protagonista sulla scena veneta, con Alberto Biasi nella prima mostra ed Edoardo Landi nella prossima) e di “attori” isolati o aderenti a raggruppamenti non specifici (Jorrit Tornquist, Franco Costalonga, Nadia Costantini e, ora, Sara Campesan assieme a Ben Ormenese). È opportuno far notare, comunque, che la realtà dei gruppi è stata di breve durata e che gli ex-partecipanti ancora attivi sono tutti, nessuno escluso, operanti isolatamente.La differenza di età tra il più e il meno anziano di tutti questi artisti è di una ventina d’anni, quindi lascia ritenere che non esistono tra loro mentalità diverse su argomenti riguardanti il rapporto tra artista e società. Permane, per esempio, il colto e determinato radicalismo intellettuale caratteristico dei tardi anni Cinquanta-primi Sessanta, contrario alla tradizione e all’accademismo. Ma sono svaniti, però, l’originaria tendenza verso l’attività di gruppo e la funzione didattica dell’operare insieme, l’impegno politico aperto al coinvolgimento nel sociale, l’interesse per la musica sperimentale e la poesia concreta. Per alcuni, invece, rimangono vive l’apertura all’urbanistica

e l’assimilazione del design come forma creativa d’arte, la sperimentazione fenomenologica di materiali prodotti dall’industria, l’accettazione di un pensiero fluido, con la fine di qualsiasi certezza e staticità. Ricapitolando i motivi conduttori delle mostre precedenti, ricordiamo che nella prima, con Alberto Biasi e Jorrit Tornquist, il punto di vista dei curatori mirava a rimeditare sulla visione d’insieme dell’Arte programmata attraverso il lavoro di due artisti pressoché coetanei e attivi sui due versanti diversi della forma-materia e del colore, in partenza similmente motivati dalla volontà di un radicale superamento delle crisi di linguaggi.Con Franco Costalonga e Nadia Costantini, nella seconda mostra, sono state esaminate le differenze tra l’operare del primo, più maturo per età, già designer e inventore prima di dedicarsi all’arte, autore di opere formate con moduli progettati da lui, e la seconda, entrata in scena nel decennio successivo, che si serve anche di mezzi dell’industria per operare su materiali che traducono in realtà un suo pensiero lirico e poetico, alternativamente e prima maturato in pittura. L’accostare ora Sara Campesan e Ben Ormenese (ottantasei — da compiere nel corso della mostra — e ottant’anni) porta a un terzo approccio: infatti, mentre la Campesan, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Venezia (sua città natale), pur lavorando indipendentemente, ha aderito a gruppi (“Dialettica delle tendenze”, “Set di Numero”, collettivo “Sincron” di Brescia) e ha partecipato alla fondazione di altri (“Donnaarte” a Roma, e il Centro “Verifica 8+1” a Mestre, retto organizzativamente da lei in prima persona), Ormenese (friulano diventato milanese per elezione e ritornato poi nella sua terra), che ha abbandonato gli studi di architettura per dedicarsi instancabilmente all’arte, svolge da allora ricerche sui fenomeni del cinetismo e opera in intransigente solitudine, estraneo a qualsiasi tipo di raggruppamenti.Nel lavoro li accomuna la ricerca iniziale in pittura sul colore-materia (su piani differenti, ma altrettanto originali) e la svolta pressoché contemporanea (primi anni Sessanta) verso indagini sulle vocazioni espressive di materie radicalmente diverse: per Sara Campesan principalmente il metacrilato (in lastre o in fogli morbidi di perspex), trasparente al naturale o colorato a mano; per Ben Ormenese il legno, la carta, ma anche, come accessori strutturali, plexiglas e ferro. È tale svolta che apre all’una e all’altro la strada del cinetismo, dell’arte programmata, della ghestaltica, ed è rigorosamente questa la parte della loro vita di lavoro che viene analizzata nella mostra trevigiana che ora li accomuna.La produzione considerata, quindi, per lei parte dalle tele bianco-grigie sabbiate e tagliate (Spaccature e Rilievi), realizzate tra il ’61 e il ’65, e prosegue con le tele bianche dalle quali ciondolano, con diafani effetti d’ombra e sprazzi di luce riflessa, dischi di perspex incolore (Immagini luce e Sovrapposizioni), le Strutture ambientate per arredamento del ’66, con tondi pieni o corone circolari pendenti, le semisfere di perspex con segmenti colorati, ruotanti attorno a un diametro metallico costruite dal ’70 in poi (Sincron 250, così denominati dal nome del Centro Operativo bresciano che ne deteneva il monopolio e perché riproducibili in multipli, sempre per mano dell’artista, fino a 250), le Strutture girevoli, gli Oggetti cinetici e i Quadri-oggetto, che si sviluppano da due forme geometriche perfette, il cerchio e la spirale aritmetica, sezionate e rimontate secondo infinite

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modalità diverse, per finire con una mai interrotta serie di Scomposizioni: il tipo di opere più intellettualmente impegnate e complesse, da cui dagli anni Ottanta uscirà una valanga di strutture chiamate Ritmi rotatori e Rotazioni. Risultano invece un concentrato di tutto le splendide versioni su cartoncino in formato di libro apribile a zig-zag, come il Libro Campesan e l’esemplare Virginia Woolf, itinerario (bio)grafico, edito da Eidos, con il seguito spiritoso e, nel contesto della poetica dell’Autrice, coerente (per me — appunto per questo — persino più interessante dell’originale), del volume successivo, che in copertina riporta le iniziali della Woolf, VW, e la scritta Recuperi tipografici, in quanto è realizzato proprio utilizzando materiale già lavorato per il primo. Colore, non colore, forme uniche in una struttura sola o ripetute in montaggi differenti su un’unica base…: da tali accostamenti sono nati prodigi di fantasia e d’ingegno, che diventano poesia senza parole e partitura musicale autogenerata. A proposito di musica, sono richiami alla musica anche le opere più recenti, fatte di cd assemblati sul supporto: è la serie detta Luci tecnologiche. Per Ormenese, la scelta dei lavori esposti è stata fatta tra le opere degli anni Sessanta, quando l’artista iniziava la produzione di quadri su base di legno in cui la carta bianca, pieghettata per formare strisce in rilievo variamente ondulate, produceva stimolanti effetti cinetici. A tali artifizi formali si aggiungevano campiture in un unico colore compatto, con forti risalti, e nascevano così le Composizioni (in rosso, bianco, bianco e nero, bianco e giallo, o siglate A, C, D, U) e i LAM (lamellari) con numeri piuttosto criptici, per l’osservatore: leggo, per esempio, 1-8-LAM, o 34-8-LAM, e passo oltre. Altre Composizioni seguivano le prime, fatte di soli piani o lingue sporgenti (di carta o legno, sempre del solo colore bianco), e lì entravano in gioco formature polite di parti sovrapposte: quadrati, tondi, ma anche in geometrie composte. Più o meno a questo punto apparvero i lavori in legno: dapprima rigorose geometrie e coloriture timbriche essenziali, con preminenza di nero e rosso, in seguito, nei decenni, prima gli insiemi — sempre geometrici — colorati con bruciatura, poi quelli lasciati al naturale e fatti di moduli incastrati: si chiamavano solo Strutture, oppure Legni bruciati, Legni verniciati, Rilievi, Torri Struttura, Vele, Totem. L’opera successiva si è presentata con strutture-quadro portanti un insieme elaboratissimo di famiglie di curve coerenti, dall’incredibile precisione, che determinavano con i loro incroci campi aperti al colore: ancora neri, rossi, gialli, ma pure scale di blu, sempre compatti, sempre pieni. Frequenti le sovrapposizioni di lamine metalliche o di plexiglas, integrate nel disegno e facenti parte di esso, poste per indurre nello spettatore, con i suoi spostamenti, la percezione di varianti formali tipiche dell’arte cinetica. I titoli: per la più parte niente, cioè quel Senza titolo che diventa titolo; quelli espliciti in parecchi casi sono seriali, come Fluttuazioni, Variazioni, Levitazioni, Studi Cromatici, Teatrini, Teatrini musicali. Casi singoli, Solare, Naufragio di veliero e, inatteso, Donna. Per la mostra negli splendidi saloni dell’Ala Foffano del Museo di Santa Caterina in Treviso, il confronto tra i due artisti, sviluppato con una scelta di circa settanta opere tra quelle fin qui descritte, punta a verificare il peso dei modi creativi individuali, delle diverse innovazioni o delle continuità produttive, delle contiguità, delle compatibilità e, infine, delle eventuali similitudini, che non arrivano, possiamo anticiparlo, a influenze reciproche.Per Campesan, un significativo Omaggio a Fontana, inserito tra i lavori della prima fase, e

un “musicale” Omaggio a Tiepolo, tratto dalla recente serie di varianti sulle opere composte di CD, abbraccia quasi tutto l’insieme. Andando controcorrente nel fiume del tempo, quindi, la partecipazione dell’artista veneziana alla mostra di Treviso potrebbe essere intitolata “Da Fontana a Tiepolo”. In tale ambito si scalano le testimonianze concrete di una vita di lavoro assiduo e compiuto a passi brevi, con innovazioni sempre meditate. Un posto speciale nel medesimo contesto va riservato a una sua incursione nel poverismo, con il ricamo che costituisce il monumentale Stendardo del 2001, realizzato per una manifestazione pubblica organizzata sulle mura della città capoluogo della “Marca gioiosa” da Luigina Bortolatto e mai più esposto, fatto di strisce di sacchi di plastica intrecciate nelle maglie di una rete rossa da cantiere edile. Ancora un linguaggio aggiunto nella serie già ampia di Sara, nel cui insieme la rottura e la diversa ricomposizione di moduli grafici ha già portato a stesure poetiche, prive di testo ma dotate di rime visive, e musicali, fisicamente eseguibili e già eseguite. Dalla parte di Ormenese, i dipinti e i quadri-scultura distribuiti lungo il percorso delineano chiaramente le fasi in cui si distribuisce il suo lavoro nel tempo, prima e dopo il periodo di silenzio tra la fine degli anni Settanta ai tardi Novanta. Sono presenti pure alcune apparizioni inedite che forniscono esempi di recentissime rielaborazioni e figurazioni stilizzate, sviluppate su temi preesistenti, con scomposizioni e ricomposizioni di notevole complicatezza e di felice effetto. Fittissimo, in tali opere, datate dal 2008 al 2010, il rapporto positivo-negativo tra le parti del quadro (il sopra e sotto, o le diverse distanze dai centri di luce); rimane preminente, tuttavia, la tipologia delle variopinte creazioni immediatamente precedenti, che continuano a contraddistinguere in modo inequivocabile la figura del maestro.Per concludere, è spontaneo rilevare che non sono gli organizzatori e i curatori dell’esposizione che possono assumersi l’autorità di fornire le riposte ai quesiti qui posti: il loro e il nostro compito credo si debba limitare all’individuazione dei parametri validi per un equilibrato apprezzamento e alla presentazione al pubblico di opere il più possibile rappresentative nei confronti degli artisti convenuti. Ed è quanto mi auguro si sia riusciti a fare.

1 Il binomio Opera aperta, ripreso dal titolo dell’omonimo libro (allora appena uscito) del ventottenne semiologo Umberto Eco, era stato già proposto dall’autore nel 1958, in seno al XII Convegno Internazionale di Filosofia a Venezia. Nel libro la trattazione comprendeva indagini inedite negli studi di estetica, in cui emergevano suggestioni tratte da Tommaso d’Aquino e James Joyce, o Aristotele e Luigi Pareyson, maestro di Eco. Tutto mirava a emancipare l’arte in ogni sua forma — dalla pittura, con l’avvento dell’informale, alla musica, con l’avvento dell’elettronica; e quindi anche l’arte programmata — da ogni legame sia con la tradizione (e il crocianesimo in primis), sia con le influenze ideologiche hegelo-marxiane allora in voga, a partire dal concetto di alienazione. Per l’artista dell’arte programmata significava la volontà di interagire con l’inconscio del fruitore, di creare in piena libertà di indefinitezza, aleatorietà e casualità, di dare la propria disponibilità alla produzione multipla, nonché a poetici “inquinamenti” con diverse espressioni dello spirito e della creatività, verso spazi mentali inesplorati. 2 In aeronautica, il numero detto — in omaggio a lui — “di Mach” definisce la velocità del velivolo rispetto a quella del suono.

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SARA CAMPESANE’ davvero sorprendente scoprire come di molti attori di primissimo piano dell’arte programmata, dall’analisi a posteriori del loro percorso emerga un’anima emozionale, intuitiva, perfino naturalista. Rivedendo e affrontando le opere di Sara Campesan in termini comparativi, proprio queste sono state le prime suggestioni e le prime considerazioni che queste opere mi hanno sollecitato: ancora un’artista impegnata sul piano del confronto con una nuova dimensione dell’arte, estranea all’impulso ed all’improvvisazione creativa (invece definita all’interno della progettualità e del metodo), un’artista aperta alle nuove frontiere della tecnologia e della scienza, ma anche, in verità, osservatrice entusiasta, esploratrice ammirata dei miracoli naturali.E mi è venuto subito da pensare all’inventore, nella scultura contemporanea, dell’elemento modulare: a Francisco Sobrino, estasiato e coinvolto testimone dei fenomeni di rifrazione luminosa e di cangiamento cromatico, di variazione ed illusione percettiva, provocati dalle trasformazioni dell’atmosfera, e che ha appunto inteso ricuperare nella realtà organizzata e prodotta dall’uomo i segreti ed i meccanismi della natura. Assegnando ai moduli, a questi elementi primari, il ruolo auto-espansivo della creatività artistica.E ho anche pensato allo sguardo stupito e partecipe di Alberto Biasi di fronte ai fenomeni naturali, alla sua sorpresa ammirata nello scoprire le mutazioni nella percezione di un’immagine paesaggistica a causa di un moto continuo dello spettatore (in piedi su un treno in corsa, ad esempio), o magari alla infinita successione di accadimenti formali provocati dalla caduta di una goccia d’acqua in uno stagno.E ancora mi è venuta alla mente l’affascinazione provata da Jorrit Tornquist per le innumerevoli proposte percettive che le trascolorazioni atmosferiche riescono a sollecitare: ecco, questi protagonisti dell’arte programmata sono approdati ad un’esperienza artistica tutta fondata sulla progettualità e sul metodo tecnico-scientifico, partendo dal dato naturale.

OSSERVAZIONE E RICERCA: COME NASCE UN ATTO D’AMORE

GIOVANNI GRANZOTTO

Anche Sara Campesan è partita da li, dalla realtà naturale, e dalla constatazione che in essa ritornano costantemente epifanie segniche, apparizioni formali che sembrano racchiudere valenze ontologiche, percorrendo le zone e attraversando i confini misteriosi della immaginazione e dello straniamento, e quelli altrettanto profondi e segreti della struttura e dell’architettura delle cose. Infatti, nelle opere degli anni cinquanta, dai temi apparentemente rappresentativi ed iconografici, come “La sedia”, “L’uomo delle girandole”, “Ritratto”, va da subito ad evidenziarsi una peculiare circolarità ritmica delle linee, nella ricerca di una forma dinamica ed allusiva. E’ il segreto della identità circolare delle cose, degli stessi organismi viventi, che in Sara Campesan sembra commisurarsi, anzi perfino identificarsi in una unità modulare di matrice geometrica: la spirale. La spirale, questa struttura curvilinea e sinuosa, autoespansiva, conclusa ed in progress allo stesso tempo, sembra quasi riportarci a simbologie pitagoriche, a quella visione ontologica di una realtà matematica che governa dal profondo ogni realtà.E il passo seguente, sempre sostenuto da un grande amore per l’ambiente naturale, da una straordinaria immedesimazione con la sua laguna, con le sue distese marine, in una sorta di immersione in una nuova, moderna panicità acquorea, il momento successivo è stato il lasciar affiorare dai territori della visione, ma anche dell’inconscio e della memoria, le superfici dei muri delle case, con le loro muffe, con le loro abrasioni, con i loro rilievi, e le distese delle spiagge, dei litorali, delle battigie, sottomesse, in balia di maree capaci di trasformare e rinnovare la consistenza stessa delle distese sabbiose, attraverso una incessante mutazione, in cui l’elemento liquido diventa strumento e artefice di una architettura metamorfica. E sempre ritorna il tema incorruttibile della spirale, della serpentina, della sinuosità, del movimento circolare che si conferma come il centro operativo e della visione e della realtà stessa.Ecco, dunque, che anche tutti i passaggi posteriori, dallo studio di un’altra forma necessaria -il cerchio-, alle esperienze sulla materia più prossima, più omogenea alla sua ricerca, una materia ricca di luce ed aria (che porterà la Campesan a privilegiare il metacrilato), ed alle conseguenti innumerevoli proposte formali sul campo delle “sovrapposizioni”, delle “rotazioni”, delle “trasparenze”, delle “luci tecnologiche”, etc., continueranno ad essere, più o meno coscientemente, influenzati da questa iniziale, totalizzante immedesimazione con le profondità sommerse dell’elemento naturale.

BEN ORMENESE“C’è un quadro di Benito Ormenese del 1961, una magnifica “Apocalisse”, che già ci parla del suo amore per la materia, di quel rapporto fisico, stretto, intimo con lo strumento della sua creazione. L’artista era, in quegli anni, imbevuto di influenze ed atmosfere un po’ nordiche, con riferimenti espressionisti e simbolisti, e le sue opere sembravano sostenute da una specie di gelida visionarietà, che pareva annunciare ghiacciati e misteriosi inverni, arcane avventure

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di cavalieri vendicatori, perfino drammi incombenti e non evitabili. Ma la tensione e il senso di straniamento che sembravano affluire da queste opere un po’ inquietanti, venivano rapidamente a placarsi nella densità sontuosa della materia pittorica. Al di là di una già allora vigilatissima impaginatura, e di una equilibrata e ritmica scansione dei piani, risaltava questa materia grassa e ricca, questa materia colore, che non squillava per tonalità alte e pure, ma che si proponeva come volume, come elemento plastico, come disposizione al superamento della bidimensionalità.Ormenese mescolava e faceva macerare colori naturali con vinavil ed altre stregonerie, fino a ottenere delle paste alte e traslucide, che egli riusciva ad addomesticare fino a produrre certi squarci e certe ferite nella materia, nelle quali venivano a trascorrere lividi bagliori, lucentezze corrusche, sorprendenti brividi di colore, che servivano a rischiarare, quasi a sorpresa, delle piccole zone del dipinto. Gli affidava, così, una luminosità innaturale, che veniva quasi a immergerci in una atmosfera notturna, lunare. Una atmosfericità che sarebbe poi rimasta anche negli anni e nelle opere successive, una volta definitivamente abbandonato il fardello della figurazione.I dipinti seguenti, infatti, quelli della prima metà degli anni sessanta, continuavano a presentare una materia vibrante, in cui l’utilizzo del colore acrilico riusciva a produrre una specie di superficie smaltata, con zone d’ombra, o di ripiegamento, di luci più smorzate, e con altre in cui una particolare brillantezza cromatica veniva ad esaltare il confronto delle campiture.Ormenese già si dimostrava interessato a scoprire, ed a evidenziare tutte le opportunità costruttive e, allo stesso tempo, tutte le potenzialità dinamiche, di vibrato e di turbolenza insite nella materia stessa, affascinato com’era dalle infinite occasioni e dalle e mille soluzioni alternative che il solo lavorarla, affrontarla, e plasmarla, gli concedeva. Lavorava con l’unico obiettivo di confrontare e coniugare in un unico, anche piccolo, brano pittorico la sua profonda esigenza di ordine, di architettura, di definizione formale, e le crescenti problematiche di natura dinamico-luministica, che assillavano la sua pittura, le sue idee, ed una sensibilità ormai assolutamente indirizzata verso le praterie dell’instabilità. L’unica diversità, rispetto alle prime prove del finire degli anni 50 e dei primissimi anni 60, era il cambiamento delle gamme, rischiarate da una nuova, solare, quasi dorata luminosità. La luce aveva fatto il suo ingresso in maniera definitiva e trionfante nel suo lavoro, ed anche il colore ne aveva profondamente risentito. A quel punto il passo obbligato diventava l’abbandono di qualsiasi riferimento alla cultura dell’Informale; anche perché le stesse affascinazioni per l’elemento materia derivavano soprattutto dalla sua personale sensibilità, di matrice lirico-artigianale, e dalla fideistica convinzione che ogni componente della realtà contenesse già in sé stessa gli strumenti e i meccanismi per venire compresa e posseduta: la sua era l’indole di un ricercatore, che aveva sostituito il laboratorio con la bottega dell’artista-artigiano. Ed infatti, nella seconda metà degli anni sessanta, egli inizia un percorso di ricerca sulle problematiche della percezione ottica, nel suo confronto con la fisicità della materia, anzi dei materiali, che di fatto non viene più abbandonato per tutti questi quarant’anni. Naturalmente

con periodi di più rilevante sottolineatura di una delle due componenti, senz’altro privilegiata a discapito dell’altra. Ma, anche quando sembra voler ritornare sui suoi passi, ricuperando perfino alcuni tracciati figurali, in una un po’ surreale e visionaria declinazione polimorfica, le valenze caratterizzanti la sua ricerca, profondamente debitrice di questo confronto fra materia e percezione ottica, come potremo vedere in seguito, non sono state per nulla accantonate.Dunque, in quei 1966/67, Ormenese comincia ad introdurre nei suoi lavori una sempre più nitida costruzione geometrica, ripulendo e definendo i piani, cercando equilibri formali sempre più solidi e marcati, levigando la superficie delle opere, generalmente eseguite con fogli di legno, fino a creare una patinatura ambrata e perfetta, capace di raccogliere gli stimoli e le interferenze di una gioiosa aggressione luministica. Il massimo di struttura e di limpido impianto architettonico doveva, nelle sue intenzioni, coniugarsi, e addirittura fondersi con le turbolenze, l’instabilità, la variabilità e soprattutto la meraviglia della luce, intesa e raccolta nei suoi aspetti fenomenologici, nel barbaglio di una transitoria apparizione. Ma questo incontro di contrari non doveva assolutamente condurre verso l’aleatorietà e verso la precarietà di una instabile identità formale: il piccolo miracolo di Ormenese era proprio rivolto a preservare l’unità, l’identità e la certezza dell’oggetto. Nonostante i rischi, le tentazioni, le prove a cui il sistema delle percezione ottica lo continuava a sottoporre. Per il Maestro il riconoscere le potenzialità del proprio campo di ricerca, indagandolo fino alle estreme latitudini, ed allo stesso tempo mantenendolo all’interno della propria sfera soggettiva, della propria personale partecipazione alla confezione di un oggetto artistico, confermando quel momento di simbiosi, di identificazione con la propria opera d’arte, continuava ad essere il motore di ogni attività creativa. Non si poteva permettere che gli esiti della pur meravigliosa e imprevedibile esplorazione sul fronte luministico della percezione, invece di arricchire le variabili interpretative della forma, ne prendessero il sopravvento, portandola verso il proprio dissolvimento. Ormenese era troppo innamorato dell’oggetto del proprio lavoro, per non continuare a considerarlo un unicum non confondibile; la variabilità percettiva non poteva insidiare le certezze raggiunte -anche attraverso gli stessi meccanismi della percezione- nell’opera realizzata dall’artista artigiano; non poteva sostituire la insuperabile bellezza di un dipinto o di una scultura da parete, o a tutto tondo, che, nei misteri ambigui dei propri materiali era stata capace di trovare la sintesi per ogni spinta centrifuga, per ogni disgregante raggio luminoso.Erano già nate le opere con le “lamelle”, autentiche incastonature di inserti lamellari di cartone in piani di legno levigato, naturale o dipinto, opere che andavano ad anticipare tutta la produzione della fine degli anni novanta, e che vedrà un Ormenese particolar mente sollecito a rispondere in termini oggettivisti ai quesiti proposti dalle teorie percettive.Sul finire degli anni sessanta, sono invece le problematiche relative alle linee di forza della struttura geometrica dell’opera che prendono il sopravvento, in questo continuo e mai sospeso oscillare fra il campo costruttivista e quello della percezione: linee di forza, però, che nella

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Sara Campesan è nata a Venezia-Mestre il 27 dicembre del 1924. Si è diplomata in decorazione all’Accademia di Venezia, nel 1948, con Bruno Saetti, dopo aver seguito i corsi di Afro Basaldella, Gastone Breddo e dello zio Alberto Viani. La sua attività artistica è iniziata nel 1950 come momento di sperimentazione e di ricerca pittorica, con opere dal tratto vigoroso che testimoniavano da subito l’intento di un allontanamento dalla figurazione.Spirito libero e intraprendente, all’inizio degli anni Sessanta presentava già una produzione matura, elaborata sul rapporto colore-materia. Il mare, la sabbia, le crepe dell’intonaco e i graffiti dei muri veneziani stimolavano la sua poetica che si traduceva sulla tela con stesure di “colore diluito nell’acqua ragia come fosse acqua di mare” — parole sue — e stesure di materia spessa, ottenuta da miscele di gesso, sabbia e vinavil, che poi scalfiva rafforzando la rappresentazione sostanzialmente informale, ma evocativa nei titoli, come le serie di Spaccature, Rilievi, Bassa marea del 1961-62. Nel frattempo a Venezia è stata presente per una decina d’anni in ogni collettiva della Fondazione Bevilacqua La Masa.Nel 1959 si era attivata per l’apertura di uno spazio espositivo veneziano tutto gestito da donne, la Galleria 3950, insieme a Bruna Gasparini, Luigina De Grandis, Gina Roma e Liliana Cossovel. E qualche anno dopo, nel 1965, ha partecipato alla formazione del gruppo Dialettica delle tendenze, che raccoglieva giovani artisti veneziani, intenzionati a diffondere il proprio lavoro organizzando mostre itineranti in varie città italiane; l’iniziativa era sostenuta dal critico d’arte e letterario Domenico Cara e dal critico d’arte Toni Toniato. L’anno seguente ha aderito al gruppo Set di Numero, che aveva come punto di riferimento la Galleria Numero di Fiamma Vigo a Firenze. Numero, con l’omonima rivista e le altre gallerie aperte a Roma, Milano e Venezia, rappresentò un fenomeno culturale di grande rilievo, molto importante per artisti e intellettuali, italiani e stranieri, protagonisti delle ricerche artistiche protese soprattutto a un astrattismo segnico e allo spazio-oggettuale. Risale al 1962 l’incontro con Bruno Munari, a Milano, con il quale ha stabilito un fertile rapporto,

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ELSA DEZUANNI

loro specularità aggettante, nel loro costruire forme nette , ma anche morbidamente ondulate, sembrano sottintendere volumetrie successive, alludere a ombre cinesi, offrire ipotesi di possibili soluzioni plastiche esterne al contorno, all’opera conclusa. Ormenese non rinuncia mai a qualcosa: privilegia il vuoto o sottolinea il pieno, ma non se ne disfa , non sceglie una strada definitivamente alternativa.Il suo mondo, quello con cui convive quotidianamente, e l’unico che realmente lo interessi, rimane quello della materia, della luce e della fantasia con cui perlustrarlo, percorrerlo e riplasmarlo, all’interno di un laboratorio che sembra davvero ricordare l’intimità e il segreto pudore dello studio di Morandi”.

Da Ben Ormenese, per un instabile equilibrio, catalogo mostra a cura di Giovanni Granzotto e Leonardo Conti, Sacile, Palazzo Ragazzoni-Flangini-Biglia, 2009

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continuato in occasione delle iniziative espositive del Centro Operativo Sincron di Brescia, fondato da Munari nel 1970 per sostenere il valore artistico, etico e di modernità del multiplo d’arte. Pronta al confronto e a nuovi incontri, si è spostata a Roma stabilendo contatti di lavoro dal 1969 al 1973.In quel periodo la sua indagine si è allontanata dal vincolo della bidimensionalità dell’opera procedendo gradualmente verso la tridimensionalità, creando strutture ottico-dinamiche il cui costrutto si basava sulla interazione colore-luce-movimento. Sono nate composizioni in cui gli elementi dovevano armonizzare tra loro producendo spostamenti minimi, e questo per ottenere effetti ritmici di movimento. In esse prevalevano le forme del disco e della spirale e, quale materiale più adatto per dare corpo a queste, che Sara sapeva tramutare in forme altre, il metacrilato in lastre, per la sua proprietà di accogliere la luce e di rifrangerla, rispondendo in ciò alle intenzioni dell’artista. Un processo che bene ha spiegato Bruno Munari: “Sara Campesan compie delle ricerche su due forme basilari: il disco e la spirale. Il disco come forma elementare ha la possibilità di trasformarsi in ellisse sempre più stretta, fino ad annullarsi in una linea, se è appeso ad un filo. La spirale, tagliata in una lastra di materiale plastico ha la proprietà di uscire dal piano bidimensionale ed entra nello spazio, conservando la propria struttura, ma adattandola alla terza dimensione” (nel 1976, nel catalogo della personale alla Galleria Fumagalli di Bergamo).Questa esperienza, vicina alle tarde espressioni dell’arte cinetica, ha segnato il passaggio alle Composizioni modulari del decennio successivo, ovvero alla serie di collage serigrafici, in cui una razionale disposizione dei moduli determinava movimenti ondulatori o rotatori. In parallelo nascevano le Sculture girevoli da cui sono derivati gli Oggetti semisferici; questi ultimi composti da una calotta trasparente di perspex dentro alla quale ruotano, dando vita a molteplici combinazioni, elementi lamellari di plastica colorata, infilati su un asse metallico fissato diametralmente. Tali Oggetti, riproposti nei decenni successivi (anche nella versione in alluminio), erano il seguito del primo esemplare, il Multiplo Sincron 250, nato in occasione della mostra di multipli organizzata da Bruno Munari nel 1970 a Brescia. La particolarità stava nelle componenti mobili, pensate per indurre il fruitore a farsi partecipe dell’opera configurandola egli stesso nelle sue possibili varianti.Al pari di altri artisti intenzionati ad allargare le loro sperimentazioni alla produzione industriale, si è dedicata al design entrando in collaborazione con la Cava SpA di Cava dei Tirreni, nel salernitano, che produceva strutture modulari componibili in ceramica e porcellana per realizzare pareti e installazioni. Nel 1978 ha fondato a Mestre il gruppo Verifica 8+1, che aveva fisicamente una sede nella quale per trent’anni consecutivi sono state organizzate mostre e che è diventata centro di documentazione e informazione, privilegiando altresì finalità didattiche, nonché luogo di incontro di artisti d’ogni dove impegnati nella ricerca di nuovi linguaggi. Gli “otto”, con Sara, erano Aldo Boschin, Franco Costalonga, Nadia Costantini, Maria Teresa Onofri, Nino Ovan, Maria Pia Fanna Roncoroni e Rolando Strati. Il “+ uno” era Sofia Gobbo con il ruolo di coordinatrice.

Iniziava per Sara un periodo ancor più intenso con spostamenti da Venezia, dove aveva il suo studio, a Milano e a Parigi; qui è entrata in frequentazione con la storica dell’arte Annette Malochet, e per molte estati si sono scambiate per un mese le rispettive case, così Sara nei suoi soggiorni parigini ha avuto modo di fare nuovi incontri; il più importante per lei fu quello con Sonia Delaunay. Anni dopo, nel catalogo della mostra del 2007 ai Molini di Portogruaro, Franca Battain scriverà: “nella sensibilità percettiva c’è un’affinità tra Sonia Delaunay e Sara Campesan per aver costruito il proprio immaginario sulla circolarità, l’una attraverso il colore e l’altra attraverso la forma, e per aver dato poeticità alla geometria e al pensiero concreto”. E l’artista toccherà vertici di alta poeticità con i dischi di perspex, che appesi con fili invisibili si librano nell’aria in andamenti ritmici, e che intercettano la luce in un divenire di trasparenze e riflessi madreperlacei, dialogando con lo spazio circostante anche attraverso le loro ombre. Un nuovo percorso è cominciato con la frammentazione del modulo nelle vibranti Scomposizioni, che comprendono anche oggetti mobili di perspex, come le straordinarie Frange del 1979, dove le linee spezzate si affidavano, nel pieno spirito progettuale dell’arte programmata, alla partecipazione attiva dell’osservatore per ricomporre la totalità dell’immagine. Da qui le Rotazioni, in materiale plastico e colore acrilico, dagli effetti luminosi specchianti, in cui le singole parti si combinavano in una scomposizione di vortici centrifughi, otticamente illusori per un’apparente tridimensionalità. Una produzione che si è protratta negli anni Novanta.Intanto, nel 1981, è stata chiamata a far parte della Commissione Culturale dell’Opera Bevilacqua La Masa di Venezia e ha ricevuto dalla Presidenza della Repubblica la medaglia d’argento destinata ai “Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte”. Nel 1982 Simone Viani pertinentemente scriveva: “l’esplorazione di Sara Campesan prosegue accurata entro le fibre significanti di vari territori espressivi; i delicati congegni che ne risultano, le opere (quali che siano i protocolli per l’approccio) si pongono come esseri viventi, che sono in grado di moltiplicare, come la musica e la poesia, la nostra esperienza di uomini, che è sempre un dare a noi sessi ed al mondo un senso di cui non sospettavamo l’esistenza” (catalogo mostra antologica, Villa Comunale ex Zasio, ad Abano).Nell’attività artistica di Sara dal 1971 si sono inseriti i libri oggetto, in parte rimasti pezzi unici e in parte editi; libri che sono un racconto grafico ottico-dinamico, dove la parola, quando c’è, resta in bilico tra segno e significato: libri intessuti di memorie e riflessioni in una sorta di diario-dialogo. Libri spesso modellati con pieni e vuoti elaborati pagina dopo pagina, in modo che ognuna dialoghi con la precedente e con la successiva, e porti a ottenere alla fine un sapiente tutt’uno. Il primo ad essere pubblicato, nel 1987, è Virginia Woolf, un itinerario (bio)grafico, nato nel 1982, fatto di rimandi che collegano le pagine (cm 30 x 30) ripiegate a fisarmonica, nel quale Sara, usando con rigore ed eleganza i mezzi propri del suo fare grafico, evoca allusivamente il suicidio per annegamento della scrittrice inglese, con accentuate variabili timbrico-cromatiche, razionalizzando la ricerca concettuale attraverso un proprio sentire. Continuava con quest’opera il suo impegno sulle problematiche della donna rispetto all’arte e alla vita, che l’ha portata nel 2009 a partecipare con un nuovo libro alla

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Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nell’evento Venezia Salva. Omaggio a Simone Weil.Tutta la produzione artistica di Sara Campesan è attraversata da un fil rouge che nel suo caso si identifica con la sperimentazione: continua, attenta, attuale e coraggiosa. Emblematiche in tal senso due opere, Omaggio a Fontana del 1970 e Omaggio a Tiepolo del 2007; se nell’una l’abbinamento dei materiali — il legno e il disco di perspex quale presenza per muovere la luce — erano una proposta al passo con i tempi, a distanza di quasi quarant’anni nell’altra a designare la luce è una composizione dinamica fatta di CD, i cui riflessi sembrano richiamare l’arcobaleno, pur esibendo le carateristiche proprie di luce-tecnologica: e siamo ancora al passo con i tempi. Nell’osservare le opere del suo lungo percorso sono la luminosità e le trasparenze i caratteri che più colpiscono. Ma la “trasparenza”, nel caso di Sara Campesan, ha sottolineato Maria Egizia Fiaschetti è anche un “imperativo etico e professionale, nel quale confluiscono arte e vita. Molteplici le finestre di senso aperte da questa espressione, ad hoc per una veneziana che si porta dentro i riflessi e i colori della Serenissima. Non a caso, l’artista fa risalire il suo interesse per il perspex ad un aneddoto lagunare: racconta, infatti, di aver smarrito la lente di un occhiale tra le onde; ripescandola, è folgorata dalla riflessione luminosa prodotta da uno strumento così semplice, che le ricorda il Paradiso dantesco” (in Sara Campesan, abissi e trasparenze, 2007).Intensa l’attività espositiva sin dagli inizi, cadenzata in questi ultimi anni da importanti appuntamenti e da pubblicazioni: nel 1986 la mostra antologica organizzata dall’Assessorato alla Cultura di Venezia nello spazio espositivo della Fondazione Bevilacqua La Masa a Mestre; nel 2000 la personale nella casa di Tiziano a Pieve di Cadore; nel 2001 la pubblicazione della tesi di laurea Sara Campesan. Essenza dello spazio e chiarezza delle forme. 1950-2000 di Raffaella Falomo, con un’introduzione di Assunta Cuozzo; nel 2002 un’altra personale, dal titolo Ombra e Luce, presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea (MLAC) dell’Università La Sapienza a Roma; nel 2007 la sua attività è stata analizzata nel volume Sara Campesan. Abissi e trasparenze, a cura di Maria Egizia Fiaschetti e Simonetta Lux. Infine, nel 2010 è uscito Come un diario. Io ho provato, un libro in cui racconta con un ritmo narrativo lieve e fluido tutta la sua vita. Tra gli altri hanno scritto di lei Franca Battain, Mirella Bentivoglio, Silvio Branzi, Gastone Breddo, Domenico Cara, Maria Egizia Fiaschetti, Giovanni Granzotto, Giuseppe Marchiori, Giuseppe Mazzariol, Leone Minassian, Dino Marangon, Bruno Munari, Ennio Pouchard, Toni Toniato, Simone Viani.

Ben Ormenese è nato a Prata di Pordenone il 3 marzo del 1930. Nei primi anni Sessanta ha deciso di abbandonare la facoltà di architettura per dedicarsi interamente alla pittura, trasferendosi a Milano. In quel periodo l’artista era imbevuto di influenze e atmosfere un po’ nordiche, con riferimenti espressionisti e simbolisti, e le sue opere oggi sembrano aver risentito di una specie di gelida visionarietà. In esse affluiva uno straniamento che le rendeva un po’ inquietanti, ma il tutto veniva a placarsi nella sontuosità della materia pittorica. Ormenese mescolava e faceva macerare colori naturali con vinavil e altre “stregonerie” per ottenere delle paste alte traslucide, che egli riusciva ad addomesticare fino a produrre certi squarci e certe ferite nella materia, nelle quali riversare lividi bagliori, lucentezze, brividi di colore. Questi dipinti della prima metà degli anni Sessanta presentavano una materia vibrante, in cui l’utilizzo del colore acrilico riusciva a riprodurre una superficie smaltata, con zone d’ombra o di ripiegamento, di luci più smorzate, e con altre in cui una singolare brillantezza cromatica veniva ad esaltare il confronto delle campiture. Sono questi gli anni di un’evoluzione pittorica precoce; ma la vocazione dell’artista friulano era legata alla costruzione, per cui già dal 1964 iniziava ad indagare le possibilità creative del legno, materiale cui dedicherà gran parte della sua arte. Abbandonerà per un breve periodo il pennello, iniziando le sue ricerche strutturali, considerando il quadro come un elemento che si fa nello spazio, quasi mosso da propulsioni dinamiche interne. Nel contempo prendeva avvio l’attività espositiva, con mostre di rilievo, in particolare nel 1964 alla galleria San Luca di Verona e nel 1966 alla Vinciana di Milano. Nella sua netta direzione oggettuale Ormenese sarà sempre attento alle condizioni percettive delle opere, allo scarto che si verifica tra la superficialità illusoria degli incastri delle sue forme e la plasticità tangibile di quelle stesse forme: le sue aggregazioni non solo si collocano sulla superficie e nello spazio, ma creano superficie e spazio. Le composizioni degli anni Sessanta presentavano sezioni lignee di forme geometriche pure, dipinte con colori primari, sopra lo stesso piano, coniugando le ricerche russe con le derivazioni della Minimal Art. Nella seconda metà della stessa decade nasceva il ciclo LAM (strutture lamellari), 1-8 LAM, 20-8 LAM, in cui emergeva l’interesse per gli effetti della luce (e delle conseguenti ombre) all’interno delle strutture, contemporaneamente alle più avanzate ricerche

BEN ORMENESECENNI BIOGRAFICI E PERCORSO ARTISTICO

GIOVANNI GRANZOTTO

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del cinetismo virtuale europeo. In questa fondamentale fase “ottica” si è occupato della luce, del colore e in parte del movimento percettivo, per la creazione di zone di ambiguità in cui è difficile distinguere tra ciò che è presente e ciò che è assente, ma che continua ad apparire. Contestualmente continuava la sperimentazione sul legno, che ha modellato, verniciato, persino bruciato, per costringerlo alla propria creatività, ben sapendo, come insegnava Dante Alighieri, che la forma s’accorderà “a l’intenzion de l’arte” solo se l’artista avrà conosciuto quanto la materia è “sorda”. Con questi cicli di opere è approdato alla Galleria Vismara nel 1968 e alla Galleria Falchi nel 1970, dopo la presenza ad una collettiva alla Galleria Blu, sempre a Milano. Ma è stato l’incontro con l’illuminante personalità del gallerista milanese Silvano Falchi, il momento determinante di questi anni, per dare fiducia ad una ricerca forse troppo rigorosa e solitaria. Nell’arco di pochi anni sono state organizzate mostre in Italia e all’estero, dalla Galleria Ravagnan di Venezia alla Teufel di Colonia e alla Royal Academy di Londra, nel 1978. Il giovane critico Luciano Caramel si è interessato al suo lavoro, intuendone le fondamentali potenzialità innovative, ma lo schivo Ormenese, improvvisamente, dopo una crisi creativa che lo portò a distruggere gran parte delle sue opere in un notturno e silenzioso falò, preferì ritirarsi nella natia Sacile, dove avrebbe continuato la ricerca in solitudine. Dal ’78 Ormenese si è occupato solo di scultura o meglio di lavori di veste e impianto architettonico, ma che si identificano e caratterizzano come presenze tridimensionali inserite in un ambiente. Per buona parte degli anni Ottanta ha costruito le sue Torri Struttura, raccogliendo la proposta di derivazione cinetica del modulo, ma stravolgendola sul piano esecutivo e dei materiali. Nei primi anni Novanta è avvenuta una svolta verso la scultura in senso proprio, infondendo vita ad un impegnativo ciclo plastico dalle molteplici sfaccettature. La scultura adesso assumeva di riflesso un aspetto dinamico e sorprendente che variava col mutare dell’illuminazione: pieni e vuoti acquisivano la potenzialità di apparire come tetri spazi neri o come superfici pienamente scintillanti, secondo la disposizione della fonte luminosa. I Totem sono stati progettati da Ormenese partendo da una macchinosa struttura geometrica che vede l’intersecarsi continuo e reciproco d’oscure forme, a partire dalla base verso il corpo della statua. Per vent’anni, fino al 1997, ha lavorato instancabilmente, con assoluta padronanza artigiana, e procedendo per aggregazione strutturale ha inseguito un tentativo folle e sublime insieme di cogliere la consustanzialità, contraddittoria ma certa, di presenza e assenza.Nel 1998 la Galleria PoliArt di Bologna gli ha organizzato un’antologica, in collaborazione con la Galleria Paolo Nanni. Ricominciava così l’attività espositiva, presenziando nel 1998 e 1999 all’Arte Fiera di Bologna. Negli ultimi anni del secolo andava esaurendosi la fase dedicata alle poche ma straordinarie sculture degli anni Novanta, nelle quali, mantenendo il metodo compositivo per aggregazione modulare, giunse prima ad esiti di violento espressionismo e poi all’inedito ossimoro visivo di un’astrazione iconica. È cominciato nel 2000 un momento di sintesi, nel quale sono confluite tutte le ricerche del maestro, utilizzate ora per le estreme indagini sulla costruzione con la luce. Nello stesso anno ha esposto allo Studio GR di Sacile, dove è avvenuto l’incontro con chi sta scrivendo, che comprendendo la

portata del lavoro di Ormenese, l’ha inserito in una serie di mostre museali dedicate al Cinetismo internazionale, quali nel 2002 la mostra Testimonianze del Cinetismo in Francia e in Italia, a fianco di Julio Le Parc, Horacio Garcia Rossi, François Morellet, Hugo Demarco, Francisco Sobrino, Alberto Biasi, Paolo Conti, Franco Costalonga e Jorrit Tornquist. Nel 2002 con i cicli delle Fluttuazioni e Levitazioni Ormenese ha ripreso il lavoro sull’identificazione di una luce strutturale, utilizzata per costruire i campi aperti delle sue opere: i due cicli sono stati esposti nel 2003 nel museo di Villa Pisani, a Stra, e l’anno dopo alla Galleria PoliArt di Milano; in quell’occasione la compositrice Paola Samoggia gli ha dedicato un fotogramma musicale intitolato Purpurea Melancolia. Nel 2005 alla mostra antologica all’Università di Innsbruck, sono stati esposti anche i Teatrini, le straordinarie opere della nuova fase, in cui la ricerca sulle possibilità di costruzione con la luce giungeva ai più alti esiti. Si tratta di un nucleo di lavori che riassume e contiene le indagini e le esperienze dei due cicli precedenti. Vi si distingue uno spazio scenico dove si propagano i volumi luminosi di forme geometriche irregolari, spezzate, frantumate e ribaltate dalla casualità del moto chiamato a intersecare e a sovrapporre. La luce vibra per i continui trapassi chiaroscurali, per gli spostamenti repentini originando effetti compositivi e dinamici. La composizione risulta netta, precisa; la costruzione suggerisce un passaggio di quinte teatrali, un susseguirsi di fondali scenici tesi a espandere lo spazio prospettico eludendo i possibili confini della rappresentazione. I giochi di luce, la tattilità e la corposità della materia oscillano tra scienza e geometria. L’attività espositiva è andata in crescere con mostre in spazi quali il Palazzo del Senato di Milano, la Galleria d’Arte Moderna Manes di Praga e il Museo Ermitage di San Pietroburgo, qui nella collettiva Testimonianza dell’arte cinetica in Italia e in Russia. Nel 2007 alla Galleria d’Arte Moderna di Lubiana, e poi al Loggiato di San Bartolomeo a Palermo, ha portato l’ultimo ciclo di Teatrini, nei quali venivano ulteriormente approfondite le stratificazioni percettive delle sue composizioni. Nel 2008 la galleria PoliArt gli ha dedicato la mostra La macchina estetica, presentando opere degli anni Sessanta e Settanta, realizzate prima della crisi del 1978. Nel 2008 ha lavorato alla serie dei Teatrini musicali, portati con altre opere nel 2009 alla mostra Ben Ormenese e la luce del nord est allestita all’Istituto Italiano di Cultura di Praga, e poi in Ben Ormenese per un instabile equilibrio, a Palazzo Ragazzoni-Flangini-Biglia di Sacile.Nei numerosi testi critici che ho scritto su Ben Ormenese sono stato affiancato da Giovanna Barbero, Luciano Caramel, Leonardo Conti, Carlo Franza, Lorena Gava, Dino Marangon, Alberto Pasini e Ennio Pouchard.

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foto Ennio Pouchard, 2010

Alberto Biasi

SARACAMPESAN

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RILIEVI1961

tecnica mista, sabbia e temperacm 80 x 100

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SPACCATURE E RILIEVI1962tecnica mista, sabbia e tempera su telacm 100 x 80

a destraAPERTURE1962tecnica mista gesso e sabbia su telacm 120 x 75

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IMMAGINE CIRCOLARE1965gesso su tela e perspexcm 80 x 80

MOBIL QUADRO1967

legno dipinto e perspexcm 60 x 60

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MOBIL QUADRATO1967perspex e legno dipintocm 93 x 93

MOBIL TONDI1967

perspex e legno dipintocm 90 x 90

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OMAGGIO A FONTANA1970legno dipinto e perspexcm 70 x 100

CERCHI1970

legno dipinto e perspexø cm 100

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SCOMPOSIZIONE PROGRAMMATA 1975acrilico su perspex montato su legnocm 75 x 25

a destraSCOMPOSIZIONE1976acrilico su materiale plasticocm 80 x 60

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SCOMPOSIZIONE LIBERA ROSSA1979acrilico su perspex montato su legnocm 85 x 20

SCOMPOSIZIONE LIBERA

SU PIANO ONDULATO1979

acrilico su perspex montato su legno

cm 90 x 25

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SCOMPOSIZIONI PROGRAMMATE1979

acrilico su perspex dipinto, in contenitore sagomato e trasparente su base di legno

cm 14 x 77

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SCOMPOSIZIONE IN SEMISFERA1995perspex colorato, asse metallicoø cm 34

SCOMPOSIZIONE IN SEMISFERA1995perspex colorato, asse metallicoø cm 30

a destraSCOMPOSIZIONE IN SEMISFERA1979perspex colorato, asse metallicoø cm 73

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SCOMPOSIZIONE DI UNA FIGURA BASE IN FASCE PROGRAMMATE1980 acrilico su perspex cm 70 x 70

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VIRGINIA WOOLF. PERCORSO (BIO)GRAFICO1982 (edito nel 1987)

collage e pittura su carta cm 30 x 630

a sinistra in bassoVIRGINIA WOOLF. RECUPERO

1993collage e pittura su carta

cm 30 x 510

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FRAMMENTAZIONE DI TRE SPIRALI 1987acrilico su perspex cm 50 x 50

SCOMPOSIZIONE SU CERCHIO1987

acrilico su perspexcm 90 x 90

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SCOMPOSIZIONE LIBERA1987acrilico su perspex e legno cm 80 x 80

SPIRALI E SOVRAPPOSIZIONI1988

acrilico su perspexcm 100 x 100

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LA SPIRALE ROTTA1988acrilico su perspexcm 80 x 80

TRASPARENZE (BOLLA D’ACQUA) 1997

materiali plastici, pastello e acrilico cm 100 x 100

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OMAGGIO ALLA RISAIA1997dischi di perspex colorati ad acrilico, montati su telo cm 240 x 240

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SPIRALI SOVRAPPOSTE2003materiale plastico e acrilico su legnocm 60 x 70

DAL ROMANZO DI SARAMAGO1999

tecnica mista su tavolacm 100 x 100

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STENDARDO2001sacchi di plastica su supporto di rete per recinzione cantieri edilicm 400 x 200

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OMBRALUCE2002serie di moduli di cm 30 x 80dischi di perspex sospesi con filo di nylon

SPOSTAMENTI DEL CERCHIO2006

perspex e legno dipintocm 80 x 80

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OMAGGIO A TIEPOLO2007tecnica mista e CD su telacm 110 x 70(l’opera, ispirata ai soffitti di Tiepolo, può essere vista sia in orizzontale sia in verticale)

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foto Giancarlo Gennaro, 2009

Alberto Biasi

BEN ORMENESE

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STUDIO LUCE1967tecnica mista su tavolacm 45 x 45

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COMPOSIZIONE U 21967tecnica mista su tavolacm 40 x 40

COMPOSIZIONE U 31967tecnica mista su tavolacm 40 x 40

COMPOSIZIONE IN BIANCO E NERO1969

legno dipintocm 150 x 150

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COMPOSIZIONE IN ROSSO1969tecnica mista su tavolacm 40 x 40

COMPOSIZIONE IN BIANCO1969

legno e lamelle dipinticm 120 x 120

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STUDIO CROMATICO1970legno verniciatocm 100 x 100

STRUTTURA1972

legno verniciatocm 70 x 70

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82 83

COMPOSIZIONE n. 161973legno verniciatocm 70 x 60

RICERCA DELLA LUCE1974

struttura in ferro e tecnica mista su tavolacm 35 x 35

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SENZA TITOLO1999-2000tecnica mista su tavolacm 90 x 90

SENZA TITOLO2000

tecnica mista su tavolacm 60 x 60

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VARIAZIONI MULTIPLE2003tecnica mista su tavolacm 90 x 90

SENZA TITOLO2003

tecnica mista su tavolacm 90 x 120

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LEVITAZIONE2004tecnica mista su tavolacm 125 x 180

SENZA TITOLO2004

tecnica mista su tavola cm 120 x 120

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90 91

SENZA TITOLO2004tecnica mista su tavolacm 180 x 180

SPAZIO E VUOTI2005

acrilico, smalto e tecnica mista su tavolacm 120 x 120

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SENZA TITOLO2006tecnica mista su tavolacm 90 x 120

SENZA TITOLO2007

tecnica mista su tavolacm 90 x 90

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SENZA TITOLO2007tecnica mista su tavolacm 60 x 90

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SENZA TITOLO2007tecnica mista su tavolacm 90 x 90

SENZA TITOLO2007

tecnica mista su tavolacm 90 x 90

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TEATRINO MUSICALE2008tecnica mista su tavolacm 60 x 60

TEATRINO MUSICALE2008

tecnica mista su tavolacm 60 x 60

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SENZA TITOLO2008tecnica mista su tavolacm 140 x 140

TEATRINO MUSICALE2008

tecnica mista su tavolacm 59 x 59

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SENZA TITOLO2007tecnica mista su tavolacm 30 x 120

SENZA TITOLO2009

tecnica mista su tavolacm 140 x 140

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DONNA2009tecnica mista su tavolacm 140 x 140

SENZA TITOLO2009

tecnica mista su tavolacm 140 x 140

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SENZA TITOLO2009tecnica mista su tavolacm 140 x 140

SENZA TITOLO2009

tecnica mista su tavolacm 140 x 140

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SENZA TITOLO2010tecnica mista su cartone di cotonecm 220 x 120

SENZA TITOLO2010

tecnica mista su cartone di cotonecm 60 x 100

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110 111

SENZA TITOLO2010tecnica mista su cartone di cotonecm 120 x 120

SENZA TITOLO2010

tecnica mista su cartone di cotonecm 120 x 120

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APPENDICE

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115Ben Ormenese, 2009(foto Giancarlo Gennaro)

1951Gastone Breddo, Sara Campesan e Laura Drudi, presentazione mostra Galleria Lo Scorpione, Trieste

“…Tutta controllo, la Campesan […] offre un’opera meditata, dove l’istinto è quasi sempre tenuto a bada da un pensiero sottile, dove il gusto per un calcolo amoroso delle forme, delle tonalità, dei colori, spira come un’ossessione dal dipinto”.

1954C. Millet, Expositions diverses – Art à l’étranger en Italie, in La revue moderne des arts et de la vie, febbraio

“…In tutte le composizioni [di Sara Campesan] si ritrova un gusto scelto per le belle forme, le armonie coloristiche più sottili e una sorta di meditazione poetica che le anima. Espressioni senza violenza, deformazione senza eccesso, ricerca d’uno stile dove i colori e le linee non si contraddicono mai, ma si continuano in una effusione di ritmi sapienti e di delicate armonie”.

1957Giuseppe Marchiori, presentazione personale Galleria L’Incontro, Roma

“…Da qualche anno abbiamo avuto modo di seguire lo sviluppo nell’arte di Sara Campesan, cioè da quando la giovane pittrice studiava all’Accademia di Venezia. E fin dalle prime apparizioni era evidente l’impegno della ricerca e del vero suo sentimento e il rifiuto di ogni gratuità manieristica. Si è costruita così, di anno in anno, e con esemplare modestia, una personalità di pittrice intimista, ma non crepuscolare, che può persino apparire in penombra tra i fuochi d’artificio e le eruzioni vulcaniche dell’arte contemporanea…”.

1961Leone Minassian, presentazione personale Galleria Vannucci, Pistoia

“Questa artista è pervenuta lentissimamente da un figurativo per nulla privo di originalità, a una visione non rappresentativa di apparenze esterne. Si può anzi notare che la sua pittura, da più di qualche anno a questa parte, tenda esclusivamente a produrre intimi stati d’animo. […] Il colore della Campesan è intenso e seppure talvolta cupo, si presenta trasparente e pulito. […] Attraverso gamme coloristiche piuttosto varie, non è fatica riconoscere le sue più autentiche inclinazioni. […] È oltre tutto nostra impressione che, col progresso del tempo e la costanza del lavoro, le sue immagini abbiano acquisito una fisionomia stilistica unitaria e che la sua evocazione si leghi all’altra, dal suo più lontano avvio, costruendo un tutto omogeneo che si è progressivamente sviluppato ed evoluto in ossequio ad una sincera necessità interiore”.

1962Umberto Eco, introduzione catalogo mostra Arte programmata, a cura di Bruno Munari, negozio Olivetti, Milano

“…Nelle vicende del caso può essere individuato a posteriori una sorta di programma e non sarà dunque impossibile programmare, con la lineare purezza di un programma matematico, ‘campi di accadimenti’ nei

ANTOLOGIA CRITICA

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quali possano verificarsi dei processi casuali. Avremo così una singolare dialettica tra caso e programma, tra matematica e azzardo, tra concezione pianificata e libera accettazione di quel che avverrà, comunque avvenga, dato che in fondo avverrà pur tuttavia secondo precise linee formative predisposte, che non negano la spontaneità, ma le pongono degli argini o delle direzioni possibili. Possiamo così parlare di arte programmata”.

Giuseppe Mazzariol, presentazione personale Galleria XXII Marzo, Venezia“…la pittrice va da anni osservando un mondo reale posto al limite tra la vita e il caos, una sorte di preistoria della natura, dove le forme appaiono provvisorie per disparire come ipotesi imprevedibili e immotivabili. Il progetto dell’artista consiste appunto nel recupero di questo aspetto labile del mondo, nell’assumerlo nel circuito di pensieri, sentimenti e previsioni che non sempre è possibile, o lecito, chiarire. Le facili e usuali qualificazioni linguistiche porrebbero l’opera di Sara Campesan nell’ambito dell’arte astratta o irrealistica solo perché l’immagine sfugge ad un riconoscimento immediato ed inequivocabile. Niente di più erroneo. Sara Campesan è ancora, e consapevolmente, inserita nell’ambito della rappresentazione ed ogni sua immagine pittorica si propone come oggetto di contemplazione visiva. Di qui discendono l’attento, quasi meticoloso, esame delle possibilità espressive della materia pittorica, la sottile e misteriosa dosatura della luce e l’acuta e penetrante accensione del simplegma lineare…”.

1968Domenico Cara, Sara Campesan, “L’Arte italiana contemporanea”

“Sara Campesan situa in un’ambientazione-luce la propria qualificazione visualistica, con un’esperienza formale e spaziocromatica molto aderente alla realtà comune, all’inserimento organico e direi geometrico di una puntualità che è esistenziale, di abbaglio, di invito a soffermarsi almeno per un attimo a contemplare un’essenziale specificazione stupita, i caratteri di una variazione o di una struttura, quasi a far prendere contatto con il mondo dinanzi a un oggetto di prima presenza o nel clima di ipotenuse striate dal vero”.

Luciano Caramel, Ormenese, catalogo personale Galleria Vismara, Milano“…Ormenese ha trovato il suo nuovo modo di contribuire ai bisogni della comunità. […] Stimolare percettivamente i riguardanti proponendo una condizione di tranquillità ed agio psicologico attraverso un disteso e tuttavia assai intenso rapporto di fruizione, che certamente tende ad esplicarsi in una dimensione meno ristretta di quella del quadro e certo più idonea — oltre che ad evitare il rischio della chiusura nell’eleganza artigianale dell’oggetto ben costruito — ad un’azione veramente viva e globale sull’ambiente dell’uomo.”

1969Luciano Caramel, Ormenese, catalogo personale Galleria Vismara, Milano

“…Tra i molti evidenti pregi delle opere di Ormenese, quello che per primo colpisce è la naturalezza. Le sue composizioni non mostrano infatti alcuna traccia della rigorosa ricerca di rapporti da cui sono nate: il loro equilibrio sembra il frutto spontaneo di una felice intuizione, piuttosto che l’esito preciso e faticato di un controllo della forma. Ed è questo il segno di una ormai raggiunta maturità espressiva, cui l’artista è pervenuto attraverso un lavoro puntiglioso, e tanto riservato…”.

1970Italo Mussa, Strutture grafico ambientali. Campesan, Costalonga, De Filippo, Lunari, Scarpa, catalogo mostra Galleria Studio Farnese, Roma

“…Campesan. Spirali trasparenti s’avvitano nello spazio. Nell’ambiente il loro ritmo, riflesso nei riquadri acrilico-luminosi e nelle superfici in polietilene bianco, appare come un mutevole disegno, che l’intensità della fonte luminosa proietta, con l’immagine dell’osservatore, ovunque. Nel contesto della struttura ambientale l’osservatore s’aggira, evitando le spirali trasparenti, come una presenza riflessa, un trompe-l’œil. Egli immediatamente non riconosce il profilo della sua presenza: lo impedisce la proiezione ritmica del disegno. Ciò procura smarrimento alla tensione emotiva”.

1976Bruno Munari, pieghevole personale Galleria Fumagalli, Bergamo

“Dal 1964 Sara Campesan compone delle ricerche su due forme basilari: il disco e la spirale. Il disco come forma elementare ha la possibilità di trasformarsi in ellisse sempre più stretta fino ad annullarsi in una linea, se è appeso con un filo. La spirale, tagliata in una lastra di materiale plastico, ha la proprietà di uscire dal piano bidimensionale ed entra nello spazio, conservando la propria struttura ma adattandola alla terza dimensione. Su questi due elementi basilari Sara Campesan opera con suddivisioni geometriche interne alla forma del disco o allo spessore della spirale, trovando altre forme e altre dimensioni. Connessa a questa scelta formale c’è anche una scelta materica. Quale materiale è adatto a dar corpo a queste forme, dato che l’autrice sente particolarmente il problema della luce? Il materiale scelto è quindi il metacrilato in lastre proprio per la sua proprietà di accogliere la luce nel suo interno e rivelarla nello spessore. Ecco quindi una serie variata di oggetti che nascono dalla combinazione e dalla trasformazione di queste forme basilari, dalla scelta del materiale che porta in sé la luce, falla disposizione nello spazio strutturato matematicamente. A questo punto sono le opere stesse della Campesan che daranno tutta l’informazione allo spettatore, sulla loro natura e sugli effetti luminosi, sulle mutazioni formali nello spazio e sulla situazione dello spettatore immerso nelle spirali luminescenti. Questa ricerca ha condotto l’autrice ad interessarsi anche di elementi modulari per l’edilizia, e della progettazione e realizzazione di libri con elementi circolari sezionati visti attraverso pagine forate con fori rotondi”.

Simone Viani, Spazi e strutture di Sara Campesan, pieghevole personale Venezia-Mestre“…nell’opera di Sara Campesan rileviamo la predominanza dell’elemento formativo su ogni elemento normativo, deduzione di alcunché di precostituito, che non sia la costruzione di una struttura visiva specifica, che demanda il suo esito alla conquista della forma. Di una forma, s’intende, che non si istalla su una dimensione vuota o puramente idealizzata (nel senso di un generico edonismo, come si diceva un tempo, decorativo, quando ciò aveva un senso nel sistema gerarchico delle arti) che si risolve in ritmo o motivo. Si tratta appunto di un processo formale che si articola e si declina sulla concretezza di un ambiente, di uno spazio di relazione ed un tempo di comunicazione, abitato ed esperito nella molteplicità delle varianti cinestetiche…”.

1980Eva Viani, Parola-Segno, presentazione personale Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, Sala espositiva di Mestre

“Segno Parola. Questi lavori di Sara Campesan nascono dall’applicazione di un elemento proprio della poesia — lo schema metrico — al campo della ricerca grafica. Praticata l’arbitraria scissione del testo dalla struttura compositiva, è proprio quest’ultima ad emergere a presentarsi per se stessa; liberata dal linguaggio può ora appropriarsi di un codice nuovo: quello della visione. Essa diviene perciò il registro secondo il quale si articolano segni — questa volta, e non parole — per comporre un’immagine che con la poesia conserva solo questo sottile legame: la ripetizione di determinati elementi, come nella poesia la rima. […] E qui interviene Sara Campesan, disponendo i suoi segni secondo i metri del discorso poetico: segni che derivano da un’elaborazione assolutamente personale […] di sigle nate tutte dalla spirale come forma madre, in una sorta di alfabeto modulare […] con la doppia versione di positivo e negativo, rapportabile allora […] alle maiuscole e minuscole che contraddistinguono, in metrica, i versi usati. Far rimare i segni, visualizzare il susseguirsi di un’immagine-verso: questa, in breve, l’operazione che compie Sara Campesan. Essa s’inserisce diagonalmente in un discorso diverso da quello che le è consueto per estrarne un segreto o una formula, e di là procede con i suoi mezzi, indipendentemente da troppi scapoli filologici od eruditi: prende a prestito dalla poesia una delle sue astuzie e la fa propria per ottenere un esito inedito e curioso: mettere un segno in rima, costruire un sonetto, una ballata, una canzone di segni e lasciare che siano queste forme a dire la loro poesia”.

1984Simone Viani, Percorso di Sara Campesan con appunti su l’arte cinetica, in Simone Viani, Sara Campesan. 1950-1984, Baglioni e Berner editori, Firenze

“…La vera grammatica della visibilità artistica — il motore in cui l’artista si riconosce — sta […] nella possibilità di generare e lavorare le immagini, non nel cosa, ma nel come esse possono esser offerte alla coscienza degli interlocutori o spettatori, culturalmente aggregati. […] Nelle tre opere […di Sara Campesan] La sedia, Ritratto, Alberi sul fiume, possiamo leggere le fasi di un processo di continua messa a fuoco

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dell’architettura simulata nella visibilità propria di una lingua pittorica che frequenta l’immagine, sentita sempre meno come vincolo, ma come occasione, valenza portatrice di significato poetico. Gli spessori cromatici, come le stesure, gli impasti delle combinazioni segniche corrodono però la certezza riproduttiva del percepito abituale, tanto da far emergere sempre più la volontà dell’artista di dispiegare venature, riflessi, apparizioni inedite nella stoffa del visibile […Ma,] abolita la somiglianza delle cose, l’unica ad essere reale è l’immanenza efficace dei segni, la conquista di una struttura formale che ha una autonoma significazione. […] L’opera è progettazione immaginaria di un vissuto che è fatto della stessa materia dei sogni, della stessa diafonia della cosa creduta oggettiva, è intreccio di visibile e di invisibile elaborati nel corpo delle forme. Negli anni successivi Sara Campesan amplia la gamma delle proprie vigilate ricerche espressive, si appropria di nuove tecniche e di nuove strutture esecutive alla conquista di nuovi territori visivi. V’è un momento ‘materico’, in cui la superficie della tela è messa alla prova con l’emergenza di tinte spesse, rugose, vibranti più per gli incontri della luce sui materiali che non per l’intrinseca valenza cromatica. L’ispezione del figurale è ormai terminata per l’artista.[…] Dopo una serie di concrete e compiute opere che lambiscono e ripercorrono con varia forza di penetrazione nell’ambito delle esperienza spaziali ed espressive (attraverso l’impiego di tecniche e materiali che si articolano da Burri a Fontana), nei primi anni sessanta Sara Campesan è sempre più attratta dalla ricerca di quella che complessivamente è stata definita l’Arte Cinetica, in tutte le sue forme e diramazioni esecutive o programmatiche. Peculiare è l’incontro con Bruno Munari […], patriarca di queste ricerche fin dalla fine degli anni trenta […]. negli anni sessanta lo svolgimento temporale del fare artistico sembra trovar luogo specifico anche nella cultura italiana, ormai sempre più agguerrita nel campo della comprensione artistica. […] Le ricerche di Sara Campesan alla metà del decennio si articolano in vari ambiti dei processi formali. […] Nelle ricerche di Sara Campesan […] impiegando alcuni termini desunti dalla linguistica potremo dividere […] tre momenti principali e prevalenti, che naturalmente si intrecciano e di continuo si manifestano l’uno nell’altro.a. Il livello della ricerca propriamente strutturale. L’autore cerca nell’ambito delle forme geometriche di selezionarne alcune basilari, da articolare come moduli espressivi non meccanici nel loro svolgimento, personalizzate nella consistenza sensibile.b. La ricerca di materiali in grado di divenire, integrati nella griglia strutturale predisposta e progettata, sostanze artistiche peculiari e connesse inscindibilmente da quei processi linguistici che via sono sperimentati con effetti estetici.c. A un ulteriore grado di elaborazione metodologica, v’è la ricerca più penetrante di inglobare i precedenti livelli entro la forma di espressione artistica realizzata, estendibile alle più svariate oggettività.Ed è in questa meditazione che si situano le possibilità di verifica delle forme poste a reagire con la luce, il movimento, le combinazioni cromatiche, ed i loro inserimenti in situazione ambientali, sia negli spazi abitativi, sia a dimensioni più ampie. Inevitabilmente, ciascun livello che così abbiamo didatticamente sezionato e cercato di descrivere, interagisce con tutti gli altri, nel contesto di una configurazione globale dei mezzi e degli effetti visivi ottenuti. […] Le ‘immagini’ che Sara Campesan persegue articolando spostamenti, ripetizioni, differenze di piani, di spessori e di superficie, non sono legate ad oggetti privilegiati che possano esser definiti ‘quadri’ o ‘sculture’. Sono nuove strutture intermediali che superano la partizione esteriore dei generi, ed irradiano fantastiche combinatorie del visibile, a partire da nuclei dinamici di espressione che si rinnovano e si producono secondo l’appassionato apporto poetico dell’autrice nel suo incessante approfondimento di un linguaggio sempre più aperto.

1985Luigi Serravalli, Campesan, presentazione personale Galleria L’Argentario, Trento

“Veneziana da sempre, Sara Campesan sopporta sollecitazioni retiniche del tipo proprio del suo habitat, dalla consuetudine con un ‘pavimento’ fatto di acqua ed il continuo inter-riflettersi del solido e del mobile nelle ore del giorno o nel variare delle luci e delle ombre. Fenomeno molteplice, ‘naturale’, al quale, negli anni Sessanta (ma aveva già iniziato Vasarely forse trent’anni prima, ma già Pevsner e Gabo avevano anticipato queste letture ottico-cinetiche), Bruno Munari, e poi una miriade di operatori, dedicarono entusiastiche ricerche, da nuove scoperte ottiche che contemporaneamente furono, in tutto il mondo, nuova sperimentazione. Una stagione di ‘oggetto esatti, realizzati nei più diversi materiali, colorati e coloratissimi dove, in fondo, si ritentava quel rapporto forma/movimento che già aveva, a suo tempo, partendo da un scienza assai diversa, intrigato i futuristi. Sara Campesan parte subito da un figurativo che, introno agli anni Cinquanta, la porta a dipingere sensibilissime tele di natura materica. Un decennio dopo siamo già ad Sara Campesan nel 1978 mentre lavora all’opera “Frange-Oggetto mobile”

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una nuova ricerca spazio-temporale fino a diventare musicale o simbiosi di musica e pittura, usando più tardi anche nuovi strumenti elettronici, come il sintetizzatore. Il plexiglas ed il perspex le offrono i materiali più confacenti ad una restituzione di quelle vibrazioni di luce/colore e movimento che l’occhio compie in brevissimi attimi, secondo i rapporto fra coni e bastoncelli, nervo ottico, retina e cellule del cervello. Questi fenomeni, di percezione cromatica nello spazio di microsecondi, siamo ancora ben lontani da averli compresi in pieno. Tuttavia Sara Campesan ha cercato, soprattutto, di ricostruirli con cascate e frange di stalattiti di plexiglas, coloratissime, mobili nell’aria, varie e di piacevolissima sensazione. Ma andando indietro, parte addirittura dal ‘disco di Newton’ nella più classica esperienza di ottica scolastica. Ricerche sempre supportate da una accelerazione creativa, sostenuta da una fantasia variabile che […], con le ultime opere, si distingue nelle Scomposizioni di figura base a fasce […] e nelle Rotazioni, nei Ritmi rotatori, nei Ritmi rotatori su corone circolari programmate (tutti lavori dagli inizi degli anni Ottanta ad oggi), in cui la figura base è l’occhio-diaframma (macchina fisiologica e macchina tecnica) che con accorte combinazioni cinetiche di ritagli di plexiglas o altri materiali, cercano vittoriosamente di raccontare lo stesso processo della visione (che è anche quello della ripresa fotografica, cinematografica e televisiva)…”.

1986Francesca Diano, Campesan 1950-1986, catalogo personale Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, Sala espositiva di Mestre

“Forse, nel nostro mondo disincantato, solo l’artista ha ancora la capacità di vedere oltre il velo che cela la realtà. Con quale occhio, se non con quello dell’immaginazione, della fantasia, potrà vedere il mondo nascosto delle forme? Eppure non si creda che sia facile mantenere intatta questa qualità così rara e fragile. Bersagliato da ogni parte, egli deve possedere una forza non comune per proteggere questo suo terzo occhio, che è un diretto legame con un’altra dimensione. Uno stretto e oscuro budello che conduce a quell’altrove, a quel mondo ‘poetico, a quell’Avalon luminosa dove, immobili, gli dei ci osservano. Sara Campesan, poiché nomen est omen, porta impresso nell’iniziale del suo nome il suo destino formale. La S, spirale che eternamente genera se stessa, la formula alchemica della vita. È questo un segno che nasce con lei e che da lei non è stato mai tradito […]. Sia essa segno pittorico, multiplo, scomposizione nello spazio, oggetto bi- o tridimensionale, essa le si rivela in tutta la sua ricchezza di proteiformi possibilità. Fino a giungere a quell’alfabeto grafico, che è forse la sua più straordinaria intuizione. […] Oggi l’arte sta imparando un linguaggio nuovo, non solo grammaticalmente e sintatticamente, ma pure foneticamente. Ha scoperto un nuovo abc, con cui creare nuove lingue. Questi sono tutti gli sperimentalismi, i tentativi caotici e confusi, i passi avanti e indietro a cui assistiamo. […] Arte figurative, musica, poesia sono unificate da questo criptoalfabeto, sorta di radicale, che sembra rimandare al numero dei Pitagorici. È la sfragys, il sigillo, della armonia che, nato da una ricerca necessaria perché rispondente al bisogno di trovare un’unità profonda nel differenziarsi delle espressioni di superficie, marchia, come nume, le opere di Sara Campesan. ”

1998Leonardo Conti, Il celato artefice, catalogo personale Galleria d’arte NP, PoliArt, Bologna

“…[Le sculture di Ben Ormenese degli anni novanta] …sono gli esiti della lunga ricerca solitaria e quasi ascetica, che il Maestro ha condotto dai primi anni ottanta ad oggi. Per più di venticinque anni […] l’artista ha continuato metodicamente la sua ricerca, seguendo le linee compositive che appaiono già dalle prime sue opere. Osservando le strutture alle pareti […] le caratteristiche che colpiscono di più sono l’equilibrio delle parti e la loro dinamica. I legni assemblati si incontrano e a poco a poco si intersecano, per formare dei sistemi autonomi, ma in continuo rapporto e confronto fra loro. […] Le forme risultanti sono spesso irregolari anche se tendono alla geometria più codificata: questo grazie al sapiente uso delle ‘mancanze’, degli spazi vuoti, che sono un altro modo di affermare la forma nello spazio, attraverso la sua assenza. […] Ne risulta un nuovo paesaggio interiore del fruitore, che sembra armonizzare le apparenti incongruenze dell’irrazionalità, verso un più proficuo scambio con le idee…”.

1999 Mirella Bentivoglio, Punti significanti, pieghevole personale Centro Verifica 8+1, Venezia Mestre

“…Forse non è casuale che il cerchio, questo simbolo della ricorrenza del cosmo, venga usato da artiste (per citare un nome a tutti noto: Sonja Delaunay), così come il quadrato e il reticolo furono privilegiati da artisti, vedi Malevich e Mondrian, con la loro precisa volontà di tornare alla radice ideogrammatica

Ben Ormenese con la famiglia all’inaugurazione della mostra antologica a Palazzo Ragazzoni-Flangini-Biglia, Sacile 2009

(foto Giancarlo Gennaro)

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del segno alfabetico. Quadrato e reticolo esprimono l’organizzazione della conoscenza, Logos; così come il cerchio sintetizza Mater, la fissità tempospaziale del ventre imperituro. Per Sara Campesan la varietà nasce dalla somma di cerchio e spirale, e dalla segmentazione di questi suoi prolifici semi. Nasce dal diversificato posizionamento dei segmenti così ottenuti e risulta in esiti di stimolante esteticità nei pannelli parietali, che arieggiano a scritture; mentre, allungati, quei segmenti stessi assumono dinamismo nelle frange mobili, dove continuamente si disfa e ricostituisce il cerchio-spirale che vi è campito. Fino alla costruzione di oggetti cinetici, e allo sconfinamento nel design e nell’architettura, in un’estensione virtualmente inarrestabile delle possibilità di articolazione. Il rigore che è all’origine di casualità e calcolo in queste operazioni sollecita l’occhio e la mano del fruitore, il quale, pur non riconoscendovi il segno originario, esperisce l’armonia di un ordine implicito, capace d’infinite variabilità…”.

2001Assunta Cuozzo, introduzione, in Raffaella Falomo, Sara Campesan. Essenza dello spazio e chiarezza delle forme, 1950 2000, Editrice Eidos, Mirano-Venezia

“…Intuire l’invisibile o possedere una seconda vista che vada oltre l’apparenza delle cose è prerogativa di pochi e Sara Campesan ha questa sensibilità, che lascia trasparire non solo una scelta espressiva, da quella tematica a quella stilistica, ma anche nella profondità di analisi speculativa e teorica.[…] Campesan nel manifestare oil suo mondo interiore risveglia nel nostro animo cose da noi stessi ignorate, ci dà il ricordo di qualche forma che noi non abbiamo mai vista ed è in fondo al voce della nostra coscienza profonda: è l’anima della nostra anima. […] Con il suo stile ha la potenza di dare la forma e la vita all’ideale sognato inteso come ‘una forma superiore’ del reale. La sua conoscenza della natura Le permette di creare sempre delle sensazioni nuove, di scoprire nuovi linguaggi visivi forse più limitati di quelli parlati, ma certamente più diretti …”.

Raffaella Falomo, 5 capitoli (La purezza delle forme, cerchio e spirale; La prima fase della sperimentazione; Strutture modulari ed esperienze ottico dinamiche; La promozione culturale; Nuove applicazioni), in R. Falomo, Sara Campesan. Essenza dello spazio e chiarezza delle forme, 1950 2000, Editrice Eidos, Mirano-Venezia

“…Le nuove esperienze sul campo del visibile portano Sara Campesan a sperimentazioni sempre più curiose ed originali. I mezzi con cui si esprime il fare artistico entrano attraverso un filtro per far scaturire opere di straordinaria novità. Lo spirito delle opere, soprattutto degli ultimi vent’anni, è quello di intersecarsi ed innestarsi con perfetta armonia nel vissuto dell’uomo con l’obiettivo di dare apporto non solo estetico, ma anche utilitario all’esistenza. In una concezione mutata della spazialità, intesa come contenitore di eventi, non solo comportamentali, ma anche visivi, l’occhio della Campesan si muove in tutte le direzioni possibili cercando il punto di vista migliore, per rappresentare, nella semplicità e purezza delle sue forme geometriche, concetti che da sempre richiedono elaborazione figurativa….

2002Giovanni Granzotto, Ormenese ritorna in Brianza dopo trent’anni, “I quaderni della Brianza” p. 176 (per la personale nella Galleria S.A., Seregno, MI)

“…Ormenese è, dunque, un isolato che ha toccato, forse senza saperlo, tutti i cardini e gli snodi della ricerca più avanzata, spesso proponendo soluzioni e risolvendo e dipanando impacci con un colpo d’ala, con un’intuizione geniale. E poi tornando a fare il mestiere meticoloso dell’artista-artigiano. Ha colloquiato, nel suo lungo percorso artistico, con il Surrealismo, con lo Strutturalismo, con l’Informale nella sua versione materico-costruttivista, con l’Arte programmata ed il Cinetismo (e questo è rimasto probabilmente il testimone più manifesto della sua vocazione), eppure mai è rimasto avvinghiato ad un movimento. Non v’è alcun sintomo di incoerenza e di velleitarismo nella sua arte; tutt’altro. Da subito si percepisce, osservando tutto lo svolgimento della sua opera, un tono personalissimo, originale, che trasuda coerenza ed allo stesso tempo, miracolosamente, fantasia; e che, appunto, gli ha permesso di frequentare tutti i movimenti e le avanguardie, penetrandoli e approfondendoli, senza comunque rimanerne coinvolto…”.

2003Leonardo Conti, Le dinamiche strutture di Ben Ormenese, in G. Granzotto (a cura di), D. Marangon, L. Conti, Silenzi e rumori della ricerca. Franco Costalonga, Ben Ormenese, catalogo mostra omonima, Museo di Villa Pisani, Stra, Verso l’Arte Edizioni, Roma

“…Nei primi anni Sessanta, quando Ormenese comincia a concepire il suo particolare metodo compositivo, è sicuramente la razionalità di Mondrian che osserva con più attenzione, ma anche gli equilibri di Ben Nicholson, o forse i superficiali volumi di Arturo Bonfanti. Tuttavia egli rifiuterà sempre, e intimamente, ogni tipo di influenza, di affiliazione, persino di confronto e le scelte future ne dimostreranno il rigore poetico e anche una sorta di sublime follia. Ma bisognerà attendere il 1978, e dunque una quindicina d’anni, per comprendere le radicali scelte d’arte e di vita che lentamente stava maturando quell’uomo schivo e di pochissime spiegazioni. […] …verso la metà degli anni Sessanta […] già concepisce i due grandi filoni che in tempi molto diversi e distanti tra loro ritorneranno come tratti indelebilmente suoi. Da un lato le opere con le lamelle, in cui si evidenzia, pur secondo metodiche strutturali, un interesse verso le condizioni percettive, e dall’altro le vere e proprie strutture a incastri, nelle quali l’artista sceglie già in modo pressoché definitivo il materiale che non abbandonerà più: il legno. Le lamelle, realizzate con cartone piegato, vengono ordinate secondo gruppi paralleli in rilievo, creando effetti di profondità e movimento percettivo, giocati più con le moltiplicazioni delle ombre che con i riverberi delle luci. […] Prima […] l’artista colloca le lamelle direttamente sulla superficie, o in vani di varia forma intagliati nel legno, […] poi monta delle teche radenti di plexiglas su cui dipinge piatte campiture che celano, evidenziano ed equilibrano lo spazio sottostante. […] Anche nelle prime strutture, denominate spesso semplicemente Composizioni, l’artista costruisce forme ondulate ad incastri di legno laccato, nelle quali il modello della quadratura è costantemente forzato in un’espansione plastica sia aggettante che debordante dai margini esterni. Sono le forze, generate dalle forme, il nuovo materiale che Ormenese viene plasmando. Anche i colori divengono campi di forze in tensione con i volumi e spesso alcuni di essi come il rosso, il giallo, il nero, hanno funzioni di veri e propri centri propulsori di energie, che sembrano incurvare e plasmare la materia circostante. […] Nella sua ricerca di un’emozione plastica, però, l’artista ha bisogno di sperimentare i suoi strumenti e la sua materia. È per questo che, abbandonate le laccature, […] passa a combustioni superficiali del legno, su cui appare una quasi ambrata e lucida fuliggine. […] Ormai non c’è quasi più distanza tra scultura e pittura nelle sue opere, perché dalla parete esse sembrano già muovere il primo passo verso lo spazio circostante, proprio qui in mezzo a noi. [Ma…] Ecco il 1978. Quando, improvvisamente, dopo una grave crisi che lo porta a bruciare gran parte del suo lavoro in un notturno e solitario falò. Ormenese abbandona Milano, città in cui aveva vissuto per una decina d’anni, e decide di ritornare definitivamente in Friuli.[…]; per tutti gli anni Ottanta l’artista continuerà ad assemblare i sui legni per costruire sculture. Nascono così, nei primi Novanta, le torri strutturate. Nel 1999 […] riprende in mano il suo zibaldone culturale…”.

Dino Marangon, Umanizzare la tecnologia attraverso l’arte. Percezioni e immagini di Franco Costalonga e Ben Ormenese, in G. Granzotto (a cura di), D. Marangon, L. Conti, Silenzi e rumori della ricerca. Franco Costalonga, Ben Ormenese, catalogo mostra omonima, Museo di Villa Pisani, Stra, Verso l’Arte Edizioni, Roma

“…Ben Ormenese […] esordirà, verso la fine degli anni Cinquanta, nell’ambito dell’allora dominante clima informale. In realtà poco rimarrà di quella primitiva stagione improntata alla più diretta e impregiudicata immediatezza espressiva, se non la tuttavia essenziale consapevolezza del valore delle materie chiamate a dar corpo alle proprie più profonde istanze creative, ben presto indirizzate a dar consistenza a impulsi di energica matrice costruttiva. La scelta […] cadrà sul legno, le cui caratteristiche di colore, di grana, di fibrosità e di venatura, assieme alla sua continua sensibilità e trasformabilità, costituiranno il fulcro attorno al quale verrà attivandosi la febbrile maestria dell’artista. Ormenese infatti lavorerà il legno con eccezionale padronanza e abilità, secondo le tecniche dell’incastro, del traforo e, in seguito, anche dell’intaglio e della modellazione, […] curandone quasi maniacalmente le superfici, lisce, verniciate oppure scabre, grezze, venate, ricorrendo talora persino alla bruciatura, quasi a voler far emergere ogni possibile aspetto di questo straordinario materiale. […] Le forme risultanti sono spesso irregolari anche se tendono alla geometria più codificata […], in un contrastato rapporto di luci e ombre, a testimonianza dell’attenzione posta da Ormenese al rapporto di stimolo conoscitivo, non privo di connotazioni didattiche e, quindi, in senso lato, sociali, che si viene creare tra l’autonomia dell’opera e le capacità critico-percettive del fruitore…”.

2005Christoph Bertsch, prefazione, catalogo personale Ben Ormenese, Sala delle esposizioni dell’Università di Innsbruck, Istituto di Storia dell’Arte, Verso l’Arte Edizioni, Roma

“…Con i lavori di Ben Ormenese possono presentare uno dei più importanti artisti italiani […].I suoi lavori […] si basano su strutture geometriche fondanti che in alcune opere si sollevano come un rilievo dalla base

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dell’immagine e possono diventare oggetti tridimensionali. Ormenese lavora volentieri con le strutture che trasportano la percezione in tensione che non suscita nell’osservatore immagini visive stabili. Egli punta ad un’organizzazione della superficie dell’immagine che minimizza i contenuti e le tecniche soggettive. Perciò si serve di strutture a scacchiera e della preferenza per il bianco e nero e dell’uso del plexiglas. Il ritmo delle strutture cinetiche fondanti è segno distintivo di molti lavori di Ormenese. Così l’artista fa della vista umana il suo tema centrale, il mezzo sostituisce la vera immagine e pone in discussione nuove abitudini visive. Superfici e profondità, spazio statico e dinamico, la continua instabilità della capacità visiva di conoscere toglie la sua creatività artistica da molte alter posizioni artistiche e le dà una particolare validità”.

Giovanni Granzotto, in Ben Ormenese, Sala delle esposizioni dell’Università di Innsbruck, Istituto di Storia dell’Arte, Verso l’Arte Edizioni, Roma

“…Il suo mondo, quello con cui convive quotidianamente, e l’unico che realmente lo interessi, rimane quello della materia, della luce e della fantasia con cui perlustrarlo, percorrerlo e riplasmarlo, all’interno di un laboratorio che sembra davvero ricordare l’intimità e il segreto pudore dello studio di Morandi…”.

2006Leonardo Conti, Ben Ormenese, in Sacile, catalogo mostra Ben Ormenese, Opere 1960-2006, Museo di San Salvatore in Lauro, Roma

“…prima dell’incredibile sparizione di Ormenese, come se avesse varcato un ‘orizzonte degli eventi’, ultima frontiera conosciuta di un buco nero, prima di cadere in una notte degna di un personaggio di Pessoa, molti avevano riflettuto sulle sue opere. Tra gli altri, un giovane Luciano Caramel ne aveva evidenziato le caratteristiche eminentemente ambientali, e importanti gallerie italiane ed estere gli avevano dedicato celebrative esposizioni. Eppure Ormenese svanì, nel nulla, in un punto biografico in grado d’inghiottirlo. Ogni esperienza artistica estrema contiene grandi rischi e lui, forse, aveva varcato sentieri troppo impervi nella ricerca di quel suo luogo immaginato. Al 1978 bisognava fermarsi, come di fronte all’Aleph di Borges, più popoloso della storia ma capace di consumare in uno sguardo fiammeggiante la vita intera della sua arte. Le opere di Ormenese bruciarono in un notturno falò […], sotto uno sguardo ormai troppo profondo per conoscerne il destino materiale. Si sono conservate soltanto quelle che il mercato e il collezionismo hanno salvato da quel potentissimo quanto esiziale luogo di spazio, di luce e di tempo. Lo aspettavano quasi venti anni di esilio solitario. Lontano da ogni dove, da ogni chi, da ogni quando e da ogni quanto che l’arte vede e riconosce, che incasella e storicizza e valuta e descrive. Lontano. Alla ricerca della follia di un luogo immaginario, in cui tutto finalmente potesse riconnettersi ed equilibrarsi in un incessante, sublime squilibrio. Se la vicenda biografica di Ormenese fosse stata diversa, forse anche quel luogo sarebbe rimasto inaccessibile come un assioma geometrico. Ma dal 1997 un’alba imprevista, con la sua luce radente, ha osato riaffacciarsi su un’epopea delle forme, e con il suo debole calore ha cominciato a sciogliere il ghiaccio d’innumerevoli luoghi sacri, revocando per editto artistico l’abdicazione degli dèi, già abituati ad essere trattenuti sull’orlo del loro nulla dalle opere dei grandi artisti. Ciò che da quel momento, finalmente, per noi conta, in questo nostro esserci di fronte a opere che nuovamente esistono e di fronte a una storia che teniamo in gran sospetto, è che l’arte di Ben Ormenese in qualche modo è riapparsa, nonostante tutto…”.

2007Franca Battain, La spirale: tempo ciclico lunare, in F. Battain, D. Marangon (a cura di), catalogo personale Sara Campesan, Galleria Comunale di Arte contemporanea ai Molini, Portogruaro

“Nell’opera artistica di Sara Campesan l’universo femminile come identità circolare si dispiega attraverso simboli geometrizzanti, concretizzazioni armoniche di un ordine naturale presente in noi e fuori di noi. L’unità di misura nella ricerca dell’artista è la spirale, un movimento curvilineo, fluttuante che appare fin dai primi studi […]. L’impegno di tracciare una cultura femminile sui registri di coerenza stilistica programmata è la scelta tematica dell’artista, confermata sia dalla fondazione di ‘Donnaarte’, come momento socio-aggregativo culturale, sia nel raccontare la vita nel libro d’arte dedicato a Virginia Woolf, dove la spirale è il segreto del movimento lunare nei suoi ritmi cosmici, è il desiderio di trovare l’ordine e la logica misteriosa di un codice, è forse il cordone ombelicale che ci lega all’universo”.

Sara Campesan (in primo piano a destra) con i colleghi del Gruppo Verifica 8 + 1 (Bandiera, Costalonga, Facchin, Fanna, Giunti, Gobbo, Ovan e Rizzardi)

nella sede di Venezia-Mestre, dicembre 1988

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Mirella Bentivoglio, I libri di Sara Campesan, in M.E. Fiaschetti, S. Lux (a cura di), Sara Campesan, abissi e trasparenze, Cangemi editore, Roma

“Sara Campesan ha una ricca produzione di libri d’artista; soprattutto, a differenza di alcuni tra coloro che praticano questo settore operativo, ha ‘capito’ il libro. Non ne ha fatto l’equivalente ridotto della sua produzione grafica e oggettuale; sono state, anzi, alcune delle soluzioni acquisite con la realizzazione dei volumi a suggerirle nuovi modi operativi per i suoi oggetti e per le opere a destinazione parietale. I suoi libri d’artista sono in gran parte ‘pezzi unici’ e non perché nascano con l’intenzione di porsi sul mercato come tali. Non sono stati da lei accuratamente registrati né, in alcuni casi, datati; rifuggono in genere da interventi di legatoria e possiedono la freschezza insieme impegnata e distratta del manufatto che non si pone il problema della propria unicità o ripetibilità. Quelli editi dimostrano l’adeguatezza dei suoi lavori al rigore tipografico e cartografico: nulla della saporita fruibilità dei prototipi si perde nei procedimenti di stampa. Ma l’artista non si preoccupa di dare ampia circolazione a questa sua produzione, appagata com’è dall’intimo piacere che trae dall’applicarvisi. Il libro è per sua natura un segreto; non si squaderna sulla parete o nello spazio; si chiude, come un pensiero a cui tornare…”.

Dino Marangon, Sara Campesan. Percorsi di ricerca: dalle immagini della natura alle luci tecnologiche, in F. Battain, D. Marangon (a cura di), catalogo personale Sara Campesan, Galleria Comunale di Arte contemporanea ai Molini, Portogruaro

“Chissà come si sarà trovata Sara Campesan, nell’immediato dopoguerra, all’Accademia di Belle Arti di Venezia, sotto la guida di Afro Basaldella e Alberto Viani — al quale era legata anche da vincoli di parentela — e soprattutto nell’aula di pittura, condotta allora da Bruno Saetti? […] Fin dalle prime opere, piuttosto che all’aspirazione ad una resa mimetica del reale, o, viceversa, al desiderio di una ricercata e spesso artificiosa e letteraria scelta ed elaborazione dei soggetti, Sara Campesan mostra di interessarsi alle proprietà ed alle modalità del dipingere. […] Agli inizi del nuovo decennio l’attenzione della pittrice va alle pareti delle case veneziane, ai graffiti che le coprono, alle impercettibili ricchezze delle spiagge, agli sconfinati universi del mare. […] Che l’attenzione dell’artista sia rivolta non tanto all’affioramento delle più intime segrete profondità dell’io, quanto piuttosto alle modalità di formazione del testo pittorico, appare comunque confermato anche dall’uso di mezzi inusuali, quali, ad esempio, l’utilizzo di getti d’acqua, più o meno impetuosi e mirati, sulla superficie ancora fresca del dipinto.[…] Ben presto, mentre la sua attività espositiva andrà facendosi più intensa, […] la riflessione sulle componenti basilari della pittura verrà facendosi sempre più serrata, concentrandosi sulle sue stesse componenti: tela, superficie, oggettualità e virtualità. Ecco allora nascere la serie delle Spaccature e dei Rilievi […]. Sulla superficie monocroma, realizzata con ripetute stesure di vinavil, bianco di zinco e gesso di Bologna, a cui si mescolano talora sabbie di fiume che catturano infiniti, preziosi frammenti di luce, si aprono allora ripetuti pungenti tagli, oppure si sovrappongono tondeggianti lacerti di tela, ugualmente trattata e con i bordi liberamente rialzati. […] Ma ben presto l’attenzione di Sara Campesan verrà incentrandosi con rinnovata vivacità sulle possibilità offerte dai nuovi materiali e, in particolare, dalla leggerezza e dalla trasparenza del perspex. […] Ciò che stupisce nella ricerca di Sara Campesan è, in ogni caso, una gradualità costante, pur nella ricchezza delle intuizioni e una rilevante consequenzialità delle indagini e delle scoperte, ormai orientate, con sempre maggior decisione, ad approfondire nuove ipotesi astratto-visuali …”.

Daniela Tortora, Letture di segni/Segni di letture, in M.E. Fiaschetti, S. Lux (a cura di), Sara Campesan, abissi e trasparenze, Cangemi editore, Roma

“L’opera grafica di Sara Campesan […] trae origine dal famoso quaderno di grafica commissionato […] nel ’71 dal critico Enrico Crispolti per le edizioni Il Foglio di Macerata. Fu in quella circostanza che l’artista immaginò una sequenza grafica di quindici pagine senza parole, tenute insieme dalla sua ricerca attorno alla figura della spirale: ogni pagina del quaderno era pensata in funzione di un foro circolare, variamente posizionato, che avrebbe rappresentato una sorta di finestra per accostarsi al contenuto della successiva. La stampa del quaderno non permise l’effettiva e differente dislocazione dei fori e così la Campesan pensò di realizzarli lei stessa e disegnò su altrettante figure circolari quello che si sarebbe potuto intravedere attraverso di essi. Quei fori, riempiti di segni e di colore, sono poi diventati autonomi ed hanno costituito una sorta di alfabeto dei cerchi, ‘l’alfabeto di Sara’, vale a dire i materiali che variamente elaborati (tagliati in striscioline, lavorati, scomposti e ricomposti), hanno determinato tra il ’75 e l’80 buona parte del contributo della Campesan all’arte programmata di quegli anni…”.

Ben Ormenese, 2009(foto Ennio Pouchard)

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2008Giovanna Barbero, Spazio, tempo, movimento, ossia cinetismo, in G. Barbero, G. Granzotto, P. Kolibal (a cura di), catalogo mostra Movement as a message, International Triennale of Contemporary Art, Národni Galerie, Praga, edizioni Verso l’Arte, Roma

“…Astrattismo, Futurismo, Dada, Costruttivismo pesano sensibilmente sull’emancipazione cinetica, in quanto esperienze storiche, artistiche e sociali che, per le loro formulazioni teoriche e per i risultati espressivi e linguistici, si pongono come matrici del Cinetismo. Tuttavia, […] il primo, conosciuto invito a dotare di movimento le opere d’arte fu il geniale Erone d’Alessandria, vissuto nel primo secolo a.C., inventore di meccanismi idraulici, a teorizzare l’applicazione dei suoi congegni all’arte e non solo agli oggetti d’uso comune, quindi anche al piacere, non solo all’utilità. Tuttavia la parola ‘cinetico’ non appare che nel 1860, ma riferita esclusivamente a fenomeni chimici e fisici. Nel 1914 Umberto Boccioni, nel suo discorso sul dinamismo delle forme, disse qualcosa che oggi appare come una profezia […]. Tuttavia il vocabolo è adottato dall’arte solo nel 1920 e appare ufficialmente nel ‘Manifesto Costruttivista’, dove Gabo e Pevsner usano l’espressione ‘ritmi cinetici’. […] Negli anni compresi tra le due guerre mondiali le ricerche artistiche si incrementano, malgrado le frequenti e pesanti imposizioni politiche […]. Il cinetismo è ben conosciuto e praticato dai maggiori esponenti delle diverse avanguardie artistiche: Duchamp e Calder negli Stati Uniti, Rodchenko e Gabo in Russia, Moholi-Nagy al Bauhaus e in Germania Hans Richter gira i primi film astratti prevalentemente cinetici; in Italia, Bruno Munari fin dal 1933 crea le sue ‘macchine inutili’ che precedono quelle di Tinguely, mentre, appena dopo la seconda guerra, l’ungherese inventa la scultura spazio-dinamica […]. Il cinetismo si configura progressivamente nel tempo e si individualizza concretamente verso la metà degli anni Cinquanta […]. L’epoca coincide con lo sviluppo della tecnica…”.

Leonardo Conti, Ben Ormenese, La macchina estetica, in E. Gennasi, Il libro di poesia. Orto fiorito, ediz. Poli Art/Quaderni Sorvoli

“…Il ciclo LAM (le opere con le lamelle). Le lamelle, realizzate con cartone piegato, vengono ordinate secondo gruppi paralleli in rilievo, creando effetti di profondità e movimento percettivo, giocati più con le moltiplicazioni delle ombre che con i riverberi delle luci […]. Ma al di là degli effetti ottico-cinetici presenti, per Ormenese il quadro delle ‘lamelle’ è in quegli anni un territorio di conquista da attraversare, scavare, sorvolare, oltrepassare. Contestualmente al raggiungimento di un generale equilibrio formale, è proprio interessante notare come l’artista abbia pensato alle ombre, anzi come le ombre siano state, sin dall’inizio, il vero obiettivo del suo lavoro. Esse, infatti, sono proiettate sul fondo e sulle lamelle dalle campiture dipinte su plexiglas che schermano la luce, realizzando lo stupefacente ossimoro visivo di una superficialità profonda, in cui le ombre stesse divengono un materiale da plasmare. […] Anche nelle prime strutture, […] denominate spesso semplicemente Composizioni, l’artista costruisce forme ondulate ad incastri di legno laccato, nelle quali il modello della quadratura è costantemente forzato in un’espansione plastica sia aggettante che debordante dai margini esterni. Sono le forze, generate dalle forme, il nuovo materiale che Ormenese viene plasmando. Anche i colori divengono campi di forze in tensione con i volumi e, spesso, alcuni di essi come il rosso, il giallo, il nero, hanno la funzione di veri e propri propulsori di energie, che sembrano incurvare e plasmare la materia circostante. […] Le strutture che, per una decina d’anni, fino al 1978, Ormenese viene costituendo, sono proprio caratterizzate dal progressivo inoltramento in un’architettura spaziale fatta di forze. C’è una solidità nelle opere di Ormenese, la solidità di Cézanne. […] Nella sua ricerca di una ‘emozione plastica’, però, l’artista ha bisogno di sperimentare i suoi strumenti e la sua materia. È per questo che, abbandonate le laccature, passa a combustioni superficiali del legno su cui appare una quasi ambrata e lucida fuliggine […]. Del resto, poi, è inesausto lo sperimentare altri materiali, specialmente i metalli più o meno riflettenti, in quasi prototipi di opere che entreranno a fare parte di una sorta di archivio creativo. Ma per più di trent’anni il materiale fondamentale sarà il legno, continuamente lavorato e trattato in ogni modo possibile, dalle laccature, agli scuri impregnanti, sin all’uso della fiamma modificatrice […]. Con il fuoco Ormenese vuole preparare una materia austera e brunita, da svelarsi nelle radenze di luce. Ormai non esiste più supporto su cui dipingere, perché il supporto nel suo farsi è la pittura stessa […]. Ecco il 1978. […] Passeranno vent’anni, prima che di nuovo si senta parlare del maestro di Sacile. Nel frattempo egli continuerà incessantemente una ricerca controversa, in cui sfiorerà persino la figurazione. Per vent’anni sarà solamente costruttore di sculture. […] Nascono così. Nei primi Novanta, le torri strutturate, nelle quali infinitesimi incastri di piccolissimi elementi, che lontanamente ricordano le originarie lamelle, erigono grattacieli che, via via, assumono forme totemiche sempre più umanizzate. Sara Campesan nel suo studio a Venezia, con l’opera “Progettazione ambientale”, 1973

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[…] Nel 1999 conclude la limitatissima produzione delle sculture degli ultimi anni e riprende in mano il suo zibaldone strutturale. Ricomincia così la ricerca da dove l’aveva interrotta, prima sperimentando prospettiche strutture graffiate su cartone e, poi, riprendendo una ricerca matura di trentacinque anni, con le lamelle, che lo porteranno ad utilizzare gli specchi, verso la nuova scommessa del costruire con la luce.[…] Con le opere recenti, Levitazioni, Fluttuazioni e Teatrini, Ormenese ha messo a punto una macchina estetica in grado di utilizzare la luce come elemento strutturale per costruire opere d’arte.

Elisabetta Gennasi, A Ormenese, in E. Gennasi, Il libro di poesia. Orto fiorito, ediz. Poli Art/Quaderni Sorvoli“Giorni bruciati / dall’ansia di scoprire / la forma rigorosa, / nell’anarchia spaziale / incastonata musa. // Del gesto estremo / solitario / a scardinare / di confini i territori, / in passi sordi, / serrati / d’omertà stagnante / e straniera. / Ma l’ombra anticipa / la mano e il movimento / e del vedere la fine incalza / oltre quel bordo / d’ogni limite / l’abbattimento. // D’ogni ostacolo / insofferente / indomita / è la spinta, / dei fuochi giovanili / illegittimi, / dei lunghi attimi / risorti / tersi di luna, / senza decoro, / senza illusione, / per sola luce / e pura / e audace.”

Giovanni Granzotto, La materia della scienza, in G. Barbero, G. Granzotto, P. Kolibal (a cura di), catalogo mostra Movement as a message, International Triennale of Contemporary Art, Národni Galerie, Praga, edizioni Verso l’Arte, Roma

“…Negli anni 1966/67, Ben Ormenese comincia ad introdurre nei suoi lavori una sempre più nitida costruzione geometrica, ripulendo e definendo i piani, cercando equilibri formali sempre più solidi e marcati, levigando la superficie delle opere, generalmente eseguite con fogli di legno, fino a creare una patinatura ambrata e perfetta, capace di raccogliere gli stimoli e le interferenze di una gioiosa aggressione luministica. Il massimo di struttura e di limpido impianto architettonico doveva, nelle sue intenzioni, coniugarsi e addirittura fondersi con le turbolenze, l’instabilità, la variabilità e soprattutto la meraviglia della luce, intesa e raccolta nei suoi aspetti fenomenologici, nel barbaglio di una transitoria apparizione. Ma questo incontro di contrari non doveva assolutamente condurre verso l’aleatorietà e verso la precarietà di una instabile identità formale: il piccolo miracolo di Ormenese era proprio rivolto a preservare l’unità, l’identità e la certezza dell’oggetto. Nonostante i rischi, le tentazioni, le prove a cui il sistema della percezione ottica lo continuava a sottoporre. Per il Maestro il riconoscere le potenzialità del proprio campo di ricerca, indagandolo fino alle estreme latitudini, e nello stesso tempo mantenendolo all’interno della propria sfera soggettiva, della propria personale partecipazione alla confezione di un oggetto artistico, confermando quel momento di simbiosi, di identificazione con la propria opera d’arte, continuava ad essere il motore di ogni attività creativa …”.

Tomás Vlcek, Pohib jako poseltví (Movimento come messaggio), in G. Barbero, G. Granzotto, P. Kolibal (a cura di), catalogo mostra Movement as a message, International Triennale of Contemporary Art, Národni Galerie, Praga, edizioni Verso l’Arte, Roma

“…L’importanza del cinetismo è di gran lunga maggiore rispetto alle sue presentazioni recenti e alle attenzioni critiche che ha ricevuto. Continuamente ci sfugge la comprensione del cambiamento delle arti figurative, che tramite il cinetismo si sono aperte alla comunicazione riguardante non solo le categorie percettive spaziali, ma anche quelle temporali. Nonostante la riflessione sullo spazio e sul movimento nel tempo faccia parte delle basi del pensiero europeo, le costanti storiche e gli stereotipi preferiscono la stabilità delle immagini a tal punto, che tuttora non riusciamo ad apprezzare pienamente le qualità dell’arte figurative legata al tempo. Tuttora percepiamo il cinetismo più come una propaggine dell’arte geometrica astratta, che come una manifestazione autonoma di quei cambiamenti fondamentali che ne determinano l’espressione. L’arte cinetica ha trovato una linea di congiunzione tra la tecnica e la percezione, linea che oggi non è più limitata dalla tecnica che ripete la sequela delle percezioni visuali, giacché con le nuove tecnologie si è aperta alle polarità dell’unicità dell’avvenimento e di un continuum infinitamente variabile di possibilità espressive. Oggi, proprio a partire da questo punto, il cinetismo si apre di più al futuro. In occasione della presente verifica della sua sorte, non dobbiamo dimenticare le opere nate, senza la speranza di ricevere attenzione da parte della critica internazionale, dietro la cortina di ferro.[…] La mostra sul cinetismo inserita nell’ambito della Triennale internazionale dell’arte moderna [marca] quindi l’apertura di un orizzonte più ampio […] come fenomeno significativo […] anche nelle espressioni alternative dell’Oriente totalitario…”.

Anselmo Villata, Introduzione, in G. Barbero, G. Granzotto, P. Kolibal (a cura di), catalogo mostra Movement as a message, International Triennale of Contemporary Art, Národni Galerie, Praga, edizioni Verso l’Arte, Roma

“…Oggi sono tanti in tutto il mondo gli artisti che si possono definire cinetici. Nella mostra presso la Galleria Nazionale di Praga, l’esemplificazione avviene attraverso le opere di maestri storici e con esponenti di varie generazioni cechi, italiani, francesi (di origine o di adozione) , spagnoli. Con ciò si ripropone l’universalità di un’espressione artistica già nata con tale carattere, soprattutto dato dal suo legame con il progresso scientifico e tecnologico. Un’arte, questa, che per le sue peculiarità e i suoi ideali ha il pieno diritto di inserirsi nelle strutture della società contemporanea. Tale era anche uno degli obiettivi preponderanti dei giovani artisti degli anni Sessanta del secolo scorso, quello di rendere ognuno partecipe dell’arte, ogni persona, senza distinzioni, di abbattere le barriere sia sociali che economiche che etniche…”.

2009Sara Campesan, quaderno per la mostra Venezia salva. Omaggio a Simone Weil, a cura di Vittoria Surian, un evento collaterale della 53° Biennale Internazionale d’Arte, Magazzini del Sale, Venezia

“La mia attività inizia quasi subito con la sperimentazione che si allarga nel campo della grafica. Dal ’67 la ricerca è incentrata sulla struttura colore-materiali e si realizza nel colore-luce-movimento: da forme rigorosamente disegnate a movimenti minimali con effetti ritmici, dai cerchi alle spirali e ai vortici otticamente illusori a suggerire apparenti tridimensionalità. Mi sono dedicata anche, dagli anni ’70, al libro d’artista, ispirandomi a testi poetici, traducendo la metrica poetica in metrica visiva”.

Giovanni Granzotto, Ben Ormenese e la luce del nord est, catalogo personale Istituto Italiano di Cultura di Praga

“…Ormenese non rinuncia mai a qualcosa: privilegia il vuoto o sottolinea il pieno, ma non se ne disfa, non sceglie una strada definitivamente alternativa. Il suo mondo, quello con cui convive quotidianamente, e l’unico che realmente lo interessi, rimane quello della materia, della luce e della fantasia con cui perlustrarlo, percorrerlo e riplasmarlo, all’interno di un laboratorio che sembra davvero ricordare l’intimità e il segreto pudore dello studio di Morandi. […] Se, nelle ‘Fluttuazioni’, tutto sembra accadere come in un grande specchio d’acqua, in una sorta di galleggiamento instabile delle immagini, pronte a diffondersi e a disperdersi, ma anche a ricompattarsi improvvisamente, proprio nel comune intento di salvare la propria identità, nelle ‘Levitazioni’ una massa sempre più plastica e affiorante sembra partecipare attivamente ad una crescente, concreta ed illusoria al tempo stesso, occupazione dello spazio, in cui viene ribaltato il normale rapporto tra pieni e vuoti e favore di una nuova alternanza: quella fra la massa e il dinamismo…”.

Giovanni Granzotto, Ben nella sua città, catalogo mostra Ben Ormenese, per un instabile equilibrio, Palazzo Ragazzoni-Flangini-Biglia, Sacile, Verso l’Arte Edizioni, Roma

“Ormenese è stato sempre un uomo in fuga: in fuga da una troppo celebrata realizzazione professionale, in fuga dai luoghi, in fuga dal successo, in fuga dai rapporti, a parte quelli strettamente familiari o profondamente amicali. In una certa maniera, un uomo in fuga da se stesso, sospinto da una continua, inesauribile tensione verso la precarietà, verso l’instabilità, non riuscendo a fermarsi, a sostare per un tempo consolidato e continuo su qualcosa che è già avvenuto, che è già stato confezionato, che, ahimè, ha già conosciuto una conclusione. Decisamente, a dispetto della apparenza pacata e rassicurante, un futurista dei nostri tempi. E senza ritornare sull’abusato ritornello dei falò delle opere, degli infiniti traslochi, delle improvvise sparizioni, basterebbe rivisitare, anche cronologicamente, il tumultuoso e incessante succedersi dei suoi cicli operativi, per comprendere, almeno per riconoscere quanto pesi nel suo fare, quanto determinante sia anche sul piano creativo questa divorante inquietudine. Credo che fra gli artisti italiani della seconda metà del secolo trascorso non vi sia un esempio di tale ricchezza e molteplicità di ricerche e proposte estetiche; anche se da sempre marchiate dal suo personalissimo timbro. […] Ormenese non è mai riuscito ad accontentarsi di quello che ha già raggiunto, innamorato del progetto ancora da realizzare più che dell’opera già compiuta. […] Per potere essere appagato di quello che fa deve cambiare continuamente. […] In verità questa mostra, questa grande antologica che la sua Sacile ha deciso di regalargli dopo tanti anni di irrequieto viaggiare, mostra da lui accettata con sorprendente entusiasmo, sembrerebbe quasi testimoniare un Ormenese finalmente quietato. Non è proprio così. […] Per lui, l’arte è ‘live’, rimane un filo diretto, una sorta di cordone ombelicale fra l’artista e l’opera: […] non certo una pagina definitiva, ma un passaggio, un ponte per la prossima, inevitabile avventura.”

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Alberto Pasini, I legni di Ben Ormenese: la geometria della natura, in catalogo mostra Ben Ormenese, per un instabile equilibrio, Palazzo Ragazzoni-Flangini-Biglia, Sacile, Verso l’Arte Edizioni, Roma

La materia lignea, sfruttata in ogni sua forma, applicazione e derivazione, è eletta a privilegiata protagonista dei primi quaranta anni della tormentata ricerca artistica del maestro sacilese. Ben Ormenese […] piega il legno alla propria fantasia […], dando origine a composizioni che sono allo stesso tempo profondamente rigorose e magicamente liriche. In questo modo le tavole, colorate, bruciate, curvate, strutturate, tornite, assemblate e, solo nell’ultimo periodo, anche scolpite, si trasformano in vibrante e meticoloso veicolo di significati enigmatici e contraddittori […]. Controcorrente rispetto alle tendenze generali di tutta la storia dell’arte, l’inquieto alchimista del legno, fino alla fine degli anni ’80, utilizza la materia prediletta per infondere vita a strutture bidimensionali, che trovano quasi esclusivamente nella parete la loro destinazione finale. A questo riguardo è necessario però puntualizzare che, con il termine “bidimensionali”, ci si riferisce comunque a creazioni inconfondibilmente dotate di rilievo plastico ma che, in qualche modo, trascurano la terza dimensione, che rimane pressoché livellata, al fine di esaltare la prominenza delle altre due. Ripercorrendo per sommi capi la storia di tale florida produzione, ricorrono per prime alla memoria le ieratiche Composizioni degli anni ’60. Cariche d’echi costruttivisti, queste opere d’arte uniscono sezioni lignee di forme geometriche pure, dipinte con colori primari (e non colori), sopra lo stesso piano, coniugando mirabilmente le rigorose ricerche russe d’inizio secolo con le più contemporanee derivazioni della Minimal Art. A cavallo tra questo periodo e il decennio successivo prendono forma i frastagliati Studi Cromatici. Una cassetta dallo spessore di pochi centimetri, aperta sul lato superiore, ospita una trama di linee ortogonali, a tratti sapientemente interrotta per dare origine a forme inaspettate, create dallo scontro di duplici elementi lignei; le figure geometriche determinate da tale fragile struttura custodiscono pigmenti dalle tonalità pure che infondono all’opera un tono concretamente neoplastico. Indimenticabili baluardi di questo peculiare percorso artistico sono poi i severi Legni che, nelle loro svariate diramazioni, impegnano quasi esclusivamente l’intera produzione di Ormenese durante tutti gli anni ’70 e parte degli ’80. La materia viva, unica protagonista, presentata nel suo aspetto più ordinario e crudo, assume ora ossimoriche caratteristiche anti-naturali e subisce un ridimensionamento rigoroso che la trasforma frattanto in sincero sentimento e rigida matematica, pur mantenendone inalterate le proprietà. Penso ai gravi e minacciosi Legni bruciati dove la sostanza annerita dal fuoco trasmette, in direzione espressionista, sensazioni d’opprimente angoscia e tragedia imminente […]. Nelle più composte Strutture o nei disciplinati Rilievi invece, il vivace fermento impulsivo è adombrato da una puntigliosa costruzione razionale che regola, sotto austeri principi scientifici, il significato ultimo dell’opera stessa. […] Negli anni ’90, dopo un lungo periodo di fondamentale assenza dal panorama artistico, Ben Ormenese riprende l’attività creativa dedicandosi per la prima volta alla scultura in senso proprio e infondendo vita ad un impegnativo ciclo plastico dalle molteplici sfaccettature. […] …fungono da privilegiati testimoni di una simile sperimentazione, la tetra composizione brunita intitolata Vele, risalente al 1976, oppure l’essenziale Struttura del 1985, dove si pongono le basi per la produzione successiva. […] A partire dalla fine dello scorso decennio, […] la sua linea creativa abbandona con fermezza ogni via esplorata in precedenza e si dedica al concepimento di una nuova gamma di lavori dalle caratteristiche imprevedibili (Teatrini, Fluttuazioni e Levitazioni) […]. Le sculture diventano dunque un imprescindibile punto di snodo, che permette al maestro di tracciare un sunto delle esperienze condotte […]. Fragili e leggere sezioni di legno naturale o dipinto di forma variabile […], sapientemente incollate una all’altra, vanno a formare una struttura che, in ogni sua derivazione, richiama alla memoria suggestivi echi distanti difficilmente riconoscibili. […] I Totem, […] ricchi di richiami tecnologici e meccanici, divengono contemporaneamente portatori di lontane ed arcaiche conoscenze apparentemente smarrite nel libro segreto del cosmo. Sul versante opposto, ma a questo complementare, si collocano invece le svettanti Strutture e Colonne che si ergono, nella loro veste bruna, esili ed aguzze verso il cielo. Il significato in questo caso è subordinato ad una costruzione basata sul puro calcolo matematico […]. Giunte ad un tale livello di perfezione formale nella definizione plastica del legno e ad un’altrettanto esemplare sintesi espressiva di ogni tematica e interesse trattato, le impeccabili Sculture Lignee sono da considerarsi come un punto di arrivo nella carriera dell’artista. Ben Ormenese però […] chiude questa parentesi per dedicarsi ad un’altra esperienza totalmente diversa che prova la sua grande capacità di rinnovarsi…”.

2010Sara Campesan, Come un diario, Campanotto Editore, Pasian di Prato, Udine

“…Quell’anno Saetti1 stava preparando i cartoni e i disegni per i mosaici della chiesa dell’autostrada, dei grandi angeli colorati avevano invaso una parte dell’aula. Io nel frattempo ho cominciato a preparare la tesi che avrei dovuto portare a termine per conseguire il diploma alla fine dell’anno successivo e dopo varie proposte e idee il professore mi ha consigliato la chiesa sconsacrata di Santa Caterina2 in Piazza del Grano3 a Treviso, per molto tempo usata come magazzino militare, dove con i bombardamenti era caduto l’intonaco ed erano ritornati alla luce gli affreschi. Ho lavorato con Valeria Carli che ritoccava gli affreschi strappati, un lavoro noioso che non avrei mai esercitato; non m’interessava la tecnica dell’affresco a differenza di Gina Roma e Gatti che invece lavoravano con entusiasmo. Alla fine del corso di decorazione ogni allievo doveva presentare una cartella di disegni, le opere con le varie tecniche pittoriche, un mosaico, le incisioni, un affresco e la tesi di storia dell’arte corredata di fotografie: il tutto veniva discusso il giorno dell’esame con tutta la commissione degli insegnanti. Nell’ottobre del 1948 mi sono diplomata con il punteggio di 100 su 110. Ricordo le parole di Saetti: ‘Io ti ho dato 10, hai tutte le qualità per diventare un’artista, farai più fatica dei tuoi colleghi perché sei una donna’ …e il commento di mio zio4: ‘Potevano darti di più’. Con il maestro ci siamo scambiati un disegno che conservo con profonda riconoscenza e tanti ricordi…”.

1 Il 1945.2 Annessa all’attuale ex-convento in cui ha sede il Museo civico, dove ha luogo la mostra Sara Campesan-Ben Ormenese, 2010.

3 Ora Piazza Matteotti, verso la quale la Chiesa di Santa Caterina volge l’abside, la parte frontale essendo nella Piazzetta Mario Botter, allora senza nome. 4 Lo scultore, in quegli anni docente, Alberto Viani.

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1890C. von Ehrenfels, Über Gestaltqualitäten, in Vierteljahresschrift für wissenschaftliche Philosophie, Vienna (trad. it. N. Stucchi, Forma ed esperienza, 1986, Angeli, Milano)

1937P. Guillame, La Psycologie de la forme, E. Flammarion, Paris (trad.it. G. Paoli, La Psicologia della forma, 1963, Editrice Universitaria, Firenze)

1946 U. Fasolo, Mostra collettiva di Pittrici, Botteghe d’Arte, Venezia

1951 G. Breddo, Sara Campesan e Laura Drudi, presentazione personali Galleria dello Scorpione, TriesteU. Fasolo, presentazione mostra 15 Pittrici, Galleria Sandri, Venezia

1954 R. Arnheim, Art and visual perception, a psicology of the creative eye, University of California Press, Berkeley, CA (trad. it., Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano, 1962)

1955W. Benjamin, Das Kunstwerk in Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkert, Francoforte (trad. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1966

1957G. Marchiori, Sara Campesan, catalogo personale Galleria dell’Incontro, RomaT. Sauvage, Pittura italiana del dopoguerra (1945-1957), Schwarz Editore, Milano

1960 C. Belloli, Animazione e moltiplicazione plastica, in Opere d’arte

animate e moltiplicate, catalogo mostra Galleria Danese, Milano

1961 G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi, Feltrinelli, Milano W. Kohler, La psicologia della Gestalt, Feltrinelli, Milano L. Minassian, Sara Campesan, catalogo personale Galleria Vannucci, Pistoia

1962 U. Eco, Opera aperta, Bompiani, MilanoG. Mazzariol (a cura di), Sara Campesan, catalogo personale Galleria XXII marzo, Venezia L. Minassian (a cura di), Sara Campesan, catalogo personale Galleria Vannucci, Pistoia B. Munari, G. Soavi (a cura di…), Arte programmata, arte cinetica, opere moltiplicate, opera aperta, catalogo mostra, presentazione U. Eco (impaginazione F. Popper, L’arte cinetica, Einaudi, Torino

1963 AA.VV., Atti del XII Convegno internazionale Artisti, critici e studiosi d’arte, RiminiAA. VV., Oltre la pittura - Oltre la scultura - Mostra di ricerca di arte visiva, catalogo mostra Galleria Cadario, MilanoAA. VV., Ricerche di arte visiva, catalogo mostra Galleria La Bussola, Torino U. Apollonio, Ipotesi su nuove modalità creative, “Quadrum” n. XIV E. Crispolti, Neoconcretismo. Arte programmata, Lavoro di Gruppo, “Il Verri” n. 12, MilanoG. Gatt, Ricerche gestaltiche e Realismo d’oggetto, in Pensiero ed Arte, Manifesto, Studio F, UlmF. Menna, Attualità ed utopia dell’arte programmata, “Film-selezione” n. 15-16 G. Montana, La polemica “Gestalt”, “La Fiera Letteraria”, Roma, 13 ottobreG.C. Politi, Le ragioni di un’inchiesta, “La Fiera Letteraria” n. 37 F. Popper, Art, Mouvement et Lumière, “Le Courrier”, settembre

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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1964 AA.VV., Art in motion – Arte programmata, catalogo mostra Royal College of Art, Londra AA.VV., Atti del Convegno Internazionale Artisti e critici e Studiosi dell’Arte, Rimini U. Apollonio, Strutturazione dinamica della percezione visiva, “Civiltà delle macchine”, anno XII, n. 4, Roma G. C. Argan, Aleatorio e programmatico, “Terzo Programma”, n. 1, Eri, Roma G. Ballo, La linea dell’arte moderna, in Dal simbolismo alle opere moltiplicate, II Vol. Mediterranea, Milano J. Cassou, Mouvement 2, catalogo mostra Galerie Denise René, Parigi B. Munari, Arte Programmata – Kinetic Art, catalogo mostra Loeb Student Center, New York

1965 U. Apollonio (a cura di), Proposte strutturali plastiche e sonore, catalogo mostra Galleria Il Punto, TorinoU. Apollonio, E. Crispolti, G. Dorfles, D. Micacchi, M. Venturoli, Arte d’oggi, Curcio, RomaG.C. Argan, Progetto e destino, Il Saggiatore, Milano G.C. Argan, Situazione e problemi dell’arte programmata, “Casabella” n. 297, MilanoP. Bonaiuto, M. Massironi, Ricerche sull’espressività. Qualità funzionali, intenzionali e relazione di casualità in assenza di movimento reale, in Atti del XIV Convegno Internazionale Artisti Critici Studiosi d’Arte, RiminiG. Brunazzi, G. Celant e al., Forme programmate, Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo, Torino P. Bucarelli, G. De Marchis (a cura di), Aspetti dell’arte italiana, catalogo mostra, De Luca, RomaL. Budigna, G. Dorfles, G. Marussi, Arte Cinetica, catalogo mostra Palazzo Costanti, Trieste G. Dorfles, Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Torino E.H. Gombrich, Arte e Illusione, Torino, Einaudi A. Hoffman, Methodik der Form und Bilgestaltung, TenfenB. G. Kepes, The nature and art of motion, Braziller, New YorkF. Menna (a cura di), Perpetuum mobile, Roma, catalogo mostra Galleria L’Obelisco, Roma W.C. Seitz (a cura di), The Responsive eye, catalogo mostra Museum of Modern Art, New York H. Szeeman e al., Licht und bewegung - Lumière et mouvement - Luce e movimento - Light and movement - Kinetische kunst, catalogo mostra Kunsthalle, Berna L. Vergine, La nuova tendenza è già in crisi, “La Fiera Letteraria”, n. 10, Roma L. Vinca Masini, Arte programmata-op art, “Domus”, n. 422, Milano L. Vinca Masini, All’Obelisco la mostra Perpetuum mobile, “Op.cit”, n. 4, Napoli

1966 AA.VV., Directions in Kinetic Sculpture, catalogo mostra University Art Gallery, Berkeley, University of California Roma U. Apollonio, L’arte programmata, “Siprauno” n. 3 R.G. Carraher, Optical illusion and the visual arts, London, Saqueline B. Thurston N.Y.V. Corbi, Arte gestaltica, “Linea-struttura” n. 1G. Dorfles (a cura di), Nuove Tendenze in Italia, catalogo mostra Galleria del Naviglio, Milano G. Dorfles, Preambolo dell’arte programmata, “Il Verri” n. 22, MilanoM. Fagiolo Dall’Arco, Rapporto 60 - Le arti oggi in Italia, Librarte, RomaG. Kaisserlian (a cura di), Nuove ricerche visive in Italia, catalogo mostra Galleria Milano, MilanoF. Menna, Perpetuum mobile, “Il Verri”, n. 20 F. Menna, Situazione delle esperienze cinetiche e visuali in Italia, “Il Verri”, n. 22 A. Morello (a cura di), Schemi luminosi variabili di Grazia Varisco, catalogo mostra Galleria Vismara, MilanoG. Rickey, La morfologia dei movimenti. Uno studio sull’arte cinetica, “Il Verri”, n. 22L. Vinca Masini, Arte programmata a Zagabria, “Domus”, n. 431 L. Vinca Masini, Set di Numero, presentazione mostra, ediz. Salentina, GalatinaW. Seitz, G. Rickey (a cura di), Direction in Kinetic sculpture, catalogo University Art Museum, Berkeley

1967 AA.VV., Arte cinetica e visuale, in L’Arte moderna, Correnti contemporanee, vol. XIII, Fabbri Editori, Milano G. Dorfles, Il divenire delle arti, Einaudi, TorinoG. Mazzariol, Bigolin, Campesan, Niero, catalogo mostra Fondazione Querini Stampalia, VeneziaF. Menna, Arte cinetica e visuale, “L’Arte moderna”, n. 13, Fratelli Fabbri, Milano M. Mestrovic e al., Nove Tendencije 4, catalogo mostra Galerija Suvremene Umjitnosti, ZagabriaF. Popper, Naissance de l’art cinétique. L’image du mouvement dans les arts plastiques depuis 1860, Paris, Gauthier-Villars (trad. it. L’arte cinetica, Einaudi, Torino,1970) F. Popper ed al., Lumière et mouvement, catalogo mostra, Musée de la Ville, Paris T. Toniato, Sara Campesan, Antonio Niero, catalogo mostra Galleria 3°, Lecce

1968 G. Brett, Kinetic Art, Studio Vista Books, LondraL. Caramel, Ormenese, catalogo personale Galleria Vismara, MilanoE. Crispolti, Ricerche dopo l’Informale, Officina Edizioni, Roma F. Menna, Arte cinetica e visuale, in L’Arte Moderna, Fabbri Editori, MilanoF. Popper, Cinétisme-Spectacle-Environnement, catalogo mostra Grenoble

1969 U. Apollonio, Occasioni del tempo, Studio Forma, TorinoL. Caramel, Ormenese, catalogo personale Galleria Vismara, Milano V. Kultermann, Neue Formen des Bildes, Tubingen, Ernst Wasmuth (trad.it. Nuove dimensioni della pittura, Feltrinelli, MilanoF. Menna, Arte cinetica e visuale, “L’Arte moderna”, n. 14, Fabbri Editori, MilanoR. Parola, Optical Art, Theory and Practice, New York, van Nostrand Reinhold Company

1970 AA.VV., Cinetisme – Spectacle – Evironnement, catalogo mostra Maison de la Culture, GrenobleG.C. Argan, L’arte moderna 1770-1979, Santoni Editore A. Bonito Oliva (a cura di), Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70, catalogo mostra, Palazzo delle Esposizioni, Roma 1971, Centro Di Edizioni, FirenzeL. Caramel, Ormenese, catalogo personale Galleria Vismara, MilanoI. Mussa, Strutture grafico-ambientali. Campesan, Costalonga, De Filippo, Lunari, Scarpa, catalogo mostra Studio Farnese, RomaF. Popper, L’arte cinetica. L’immagine del movimento nelle arti plastiche dopo il 1860, Einaudi, Torino L. Vergine, Les Groups “Gestaltiques”, “Opus international” n. 16, Parigi

1971 R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano C. Barret, An introduction to optical Art, Caia Publ., New YorkA. Marcolli, Teoria del campo, Sansoni, Firenze L. Vergine, Arte programmata, “Qui arte contemporanea” n. 7, Roma

1972 L. Caramel, Ben Ormenese, catalogo personale Galleria Falchi, Milano

1973 G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi, Feltrinelli, Milano L. Vergine, L’arte cinetica in Italia, conferenza per il ciclo delle attività didattiche alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, Soprintendenza Alle Gallerie II, Arte Contemporanea, RomaL. Vergine, Gli anni 60/70: l’arte programmata, “Notiziario d’arte contemporanea” n. 3, marzo, Ed. Dedalo, Bari

1974 R. Arnheim, Entropia e arte, Einaudi, Torino

1975 F. Menna, La linea analitica dell’arte moderna, Einaudi, Torino S. Viani, Tre ricerche grafiche, edizioni Numero, Venezia

1976 B. Munari, S. Viani, Spazi e strutture di Sara Campesan, pieghevole personale Venezia-Mestre

G. Mazzariol, Bigolini – Campesan – Niero, catalogo mostra Fond. Querini Stampalia, VeneziaB. Munari, Sara Campesan, catalogo personale Galleria Fumagalli, BergamoL. Vergine, L’Arte cinetica in Italia, in AA.VV., Situazioni dell’Arte contemporanea. Testi delle conferenze tenute alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, Edizioni Librarte, Roma

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1979 P. Serra Zanetti, Ricerche ottico-visive e cinetico-programmata in Italia negli anni ’60, in R. Barilli (a cura di), L’arte in Italia nel secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna

1981 (prob.)AA.VV, Il Museo Umbro Apollonio di S. Martino di Lupari

1981B. D’Amore, G. Segato (a cura di), Nel luogo del Palladio: tra Costruttivismo e Optical, catalogo mostra, Vicenza

1982 C. Tisdall, G. Ballo, U. Fagone, Arte italiana 1960-1982, Electa, Milano

1983 F. Popper, L’arte cinetica, Einaudi, Torino L. Vergine (a cura di), Arte Programmata e arte cinetica 1953/1963. L’ultima avanguardia, catalogo mostra Palazzo Reale, Milano, Mazzotta, Milano

1984 G.C. Argan, S. Ceccato, A. De Flora, G. Di Genova, I cento occhi di Argo, Arte e Scienza, catalogo mostra Galleria La Salerniana, Erice A.C. Quintavalle, Arte italiana 1960-1980, U. Allemandi, Torino S. Viani, Sara Campesan. Antologica, catalogo mostra Villa Comunale ex Zasio, Abano TermeS. Viani, Sara Campesan. 1950-1984, Baglioni e Berner editori, Firenze

1985 G. Dal Canton, voci Cinetica, Arte - Op Art - Programmata, Arte, in Appendice, III ediz. Grande Dizionario Encicpledico, UTET, TorinoL. Serravalli, Sara Campesan, catalogo personale Galleria Argentario, Trento

1986 F. Diano (a cura di), Campesan 1950-1986, catalogo personale Fondazione Bevilacqua La Masa, Mestre, Venezia

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1987 S. Campesan, Virginia Woolf, itinerario biografico, Ed. Eidos, MeranoE.L. Francalanci, Arte del Novecento, Istituto geografico De Agostini, NovaraG. Villa (a cura di), Forma, colore, segno, catalogo mostra Galleria Arti Visive, Cesenatico

1988 AA.VV., 8+1=10, dieci anni alla ricerca dell’arte, catalogo mostra Centro 8+1, Venezia MestreL. Vergine, L’arte in gioco, Garzanti, Milano

1989M. Apa, Cocci di luce, catalogo collettiva Bernardi, Campesan, Molrolin, Galleria Comunale d’Arte, CavarzereL. Vinca Masini, Arte Contemporanea: La linea del Modello, Gruppo Editoriale Giunti, Firenze

1990 M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano G. Di Genova, Storia dell’arte italiana del Novecento. Generazioni anni 20, Edizioni Bora, BolognaG. Kubler, La forma del tempo. La storia dell’arte e la storia delle cose, Einaudi, Torino

1991 A. Althofer, Il restauro delle opere d’arte moderne e contemporanee, Cardini Editore, FirenzeA. Polistina, La città interattiva, Ed. Arcadia, Milano

1992 N. Pigatto, Sara Campesan. Spazio mentale, Segni, Piani, Spirali, catalogo personale Centro Sociale, Mogliano (TV)

1993 AA.VV., Sara Campesan, catalogo personale Galleria La Piccola, Ghirignago (VE)

1995 C. Caritelli, Dialogo con Munari, arte e scienza, catalogo mostra Electronica, Casalecchio s/Reno, Grafis Edizioni, Bologna L. Correra, Alcune considerazioni sul rapporto arte-tecnologia, catalogo mostra Electronica, Casalecchio s/Reno, Grafis Edizioni, Bologna

1996 L. Vergine, L’arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche 1960-1990, Milano, Skira Editore, Milano

1997 M. Bentivoglio (a cura di), Festa mobile di Sara Campesan, Museo dell’Informazione, Senigallia (AN)L. Conti, Il celato artefice (Ben Ormenese), catalogo mostre Gallerie Paolo Nanni e PoliArt, Bologna, Verso l’Arte Edizioni, Roma

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1998 AA.VV., 8+2=20, vent’anni alla ricerca dell’arte, catalogo mostra Centro 8+1, Venezia Mestre U. Eco, Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano

1999A. Alberro, B. Stimson, Conceptual art, a critical antology. PaperbackM. Bentivoglio, Punti significanti, pieghevole personale Centro Verifica 8+1, Venezia MestreL. Bortolatto, V. Magno, Sara Campesan, presentazione personale Palazzo Foscolo, Oderzo (TV)G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi, Feltrinelli, Milano

2000/2003AA.VV., Dal cinetico al programmato: una storia italiana, catalogo mostra Arte programmata e cinetica in italia 1958-1968, Galleria d’arte Niccoli, Parma; Museo d’Arte, Nuoro; Ulmer Museum; Stadtische Kunsthalle Mannheim; Stadtisches Museum Gelsenkirchen; Stadtgalerie Kiel; Staatliches Museum Schwerin; Alpen-Adria Galerie, Klagenfurt

2001 R. Falomo, Sara Campesan. Essenza dello spazio e chiarezza delle forme, con prefazione di A. Cuozzo, monografia fuori commercio, Editrice Eidos, Mirano (Venezia)W. Feierabend, M. Meneguzzo (a cura di…), Luce, movimento & programmazione, Kinetische Kunst aus Italien 1958-68, catalogo mostre Ulm, Mannheim, Gelsenkirchen, Kiel, Schwerin, Klagenfurt, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI)

2002 G. Anceschi, Arte ottica, arte retinica, arte sinestesica, in Gli occhiali presi sul serio - Arte, storia, scienza e tecnologia della visione, catalogo mostra Palazzo dell’Arte La Triennale di Milano, Silvana Editoriale, MilanoG. Granzotto, Ormenese, presentazione mostra S.A.3 Art Gallery, Seregno (MI)G. Granzotto, Ormenese ritorna in Brianza dopo trent’anni, “I quaderni della Brianza” Seregno (MI)

2003 V. Baradel, E.L. Chiggio, R. Masiero (a cura di), La grande svolta anni ’60, catalogo mostra, Skira, Milano G. Granzotto (a cura di), D. Marangon, L. Conti, Franco Costalonga, Ben Ormenese. Silenzi e rumori della ricerca, catalogo mostra, Museo di Villa Pisani, Stra, Verso l’Arte Edizioni, RomaR. Manno Tolu, M.G. Messina, Fiamma Vigo e “Numero”, catalogo mostra Archivio di Stato, Firenze

2005B. Bertsch, G. Granzotto, catalogo personale Ben Ormenese, Università di Innsbruck, Verso l’Arte Edizioni, Roma

2004 M. Baldini, Hommage à Kandinsky, catalogo mostra Likovna Galerija “Pet Kula”, Montona d’IstriaF. Brandes, Futuro tascabile. Opere di Sara Campesan, catalogo personale Centro Culturale Candiani, Venezia Mestre G. Granzotto, catalogo Ben Ormenese, mostra antologica, Centro di Cultura “F. Fabbri”, Villa Brandolini, Solighetto (TV)

2005 P. Weibel, G. Jansen, Lichtkunst aus Kunstlicht, catalogo mostra Karslruhe

2006 L. Bauer, T. Hoffmann (a cura di), Die neuen Tendenzen. Eine Europäische Künstleberwegung 1961-1973, catalogo mostra, Edit. Braus, Ingolstadt L. Conti, Ben Ormenese, catalogo mostra Ben Ormenese, Opere 1960-2006, Museo di San Salvatore in Lauro, Roma, Il Cigno GG Edizioni, Roma

2007 F. Battain, D. Marangon, Sara Campesan, catalogo personale Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Portogruaro (VE)M. Bentivoglio, I libri di Sara Campesan, in M.E. Fiaschetti, S. Lux (a cura di), Sara Campesan, abissi e trasparenze, Cangemi editore, RomaM.E. Fiaschetti, Sara Campesan e l’esperienza dei gruppi autogestiti in Italia tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta e Appunti sulla trasparenza e Intervista a Lamberto Pignotti, in M.E. Fiaschetti,

S. Lux (a cura di), Sara Campesan, abissi e trasparenze, Cangemi editore, RomaL. Fulton, The name “op art” was coined in an article in Time magazine in 1964, which described the movement as an “attack on the eye”, “Wonderland Magazine”, Dec/Jan, London D. Tortora, Letture di segni/Segni di letture, in M.E. Fiaschetti, S. Lux (a cura di), Sara Campesan, abissi e trasparenze, Cangemi editore, Roma

2008 G. Barbero, G. Granzotto, P. Kolibal (a cura di), T. Vlcek, catalogo mostra Movement as a message, International Triennale of Contemporary Art, Národni Gelerie, PragaL. Conti, Ben Ormenese. La macchina estetica., in E. Gennasi, Il libro di poesia. Orto fiorito, ediz. Poli Art, Milano

2009 G. Granzotto (a cura di), Leonardo Conti, Ben Ormenese, per un instabile equilibrio, catalogo mostra Palazzo Ragazzoni-Fangini-Biglia, Sacile, Verso l’Arte Edizioni, RomaL. Meloni, Il Gruppo N. Oltre la pittura, oltre la scultura, l’arte programmata, Milano, Silvana EditoreV. Surian, Confluenze, Gabriella Oreffice, Sara Campesan, catalogo mostra Museo del Paesaggio, Torre di Mosto (VE)

2010 S. Campesan, Come un diario, Campanotto editore, Pasian di Prato (UD)E. Dezuanni, G. Granzotto, E. Pouchard, Arte, Scienza, Progetto, Colore. Sara Campesan e Ben Ormenese, catalogo mostra Museo S. Caterina, Treviso, GMV Libri, Treviso

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finito di stampare nel mese di novembre 2010 presso

Grafiche Marini Villorba 31020 Villorba (Treviso)

tel. 0422 918133 - fax 0422 910854


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