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3 editoriale Gli italiani di oggi sanno poco o nulla degli oltre 800 mila nostri connaziona- li (militari e civili) che, dall’8 settembre 1943 all’8 maggio 1945, furono deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’econo- mia di guerra del Terzo Reich. Uomini e donne che “macerarono la loro esistenza dietro i fili spinati, quando stanchi e affamati trascinavano i loro corpi, disposti meglio a morire che a vivere”. Seneca insegna che, chi è “pronto a morire non è disposto a servire”. Di essi, 50 mila morirono durante la detenzione nei lager e 50 mila nei primi anni dal rientro. Il tempo vola e si offuscano i ricordi del passato: in ciascuno di loro, nei loro figli, nei loro nipoti, che non molto conoscono in genere della storia patria, poiché anche la Scuola ha taciuto o mistificato il vero per ragion politica. Poche decine di migliaia di superstiti, tra quanti sono stati costretti a trascorrere 20 mesi nei lager, attendono ancora dopo sessant’anni, giustizia. Nel 2000, essi videro nei provvedimenti di indennizzo deliberati dal Parlamento tedesco un nobile avvio al superamento dei più tristi ricordi, quale quello del maggiore torto che era stato loro infer- to: la privazione dello stato di prigioniero di guerra. Dopo tanti anni di distanza, si sente ancora la necessità di chiarire chi erano queste vittime. Non prigionieri, protetti da convenzioni più o meno rispettate, non rei di qualche misfatto codificato o comunque ripugnante alla coscienza umana, e infine nemmeno cittadini di uno Stato qualsiasi: amico, nemico, neutrale. Il Governo germanico, il quale sembrava desideroso di realizzare un’operazione di catarsi destinata a chiudere un capitolo di una triste vicenda storica, pur riconoscendo loro la dura e pesante condizione di prigionieri senza tutela, li escludeva di fatto da ogni forma risarcitoria e faceva appello alla com- prensione del Governo italiano per la posizione assunta e il convincimento raggiunto. La nostra Associazione, con onestà di intenti a far tempo dalla sua nascita “embrionale” nei campi di prigionia, d’internamento e della formazione dei gruppi di combattimento, ha cercato di rivendi- care il merito dei propri iscritti, di aver combattuto con onore e lealtà sino all’8 settembre 1943, di aver pagato un prezzo di sangue e di sacrifici per la fedeltà al giuramento prestato, di aver resistito in ogni luogo, dopo l’armistizio, con o senza le armi, fino alla completa liberazione d’Italia. La Legge finanziaria per il 2007, ai commi 1271-1276 (con un testo che non si discosta molto dal disegno di legge d’iniziativa del sen. Armando Cossutta), ha autorizzato la concessione di una “medaglia d’onore” ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti e desti- nati al lavoro coatto. L’ANRP, pur insoddisfatta per il mancato indennizzo – per ottenere il quale proseguirà la sua batta- glia giudiziaria, da tempo intrapresa – ha apprezzato la concessione di questo “minimum”, nella spe- ranza che dal riconoscimento possa prendere avvio nella società italiana, e soprattutto nelle scuole, una nuova coscienza di come sia possibile che masse di esseri umani possano, in conseguenza di conflitti armati, cadere sotto il più totale arbitrio di una delle parti, senza possibilità di appello ad un principio o ad un potere che facciano da freno o da correttivo. Comprendere le vicende e le circostanze che coinvolsero in quel momento i nostri connazionali, è un’opportunità non solo per considerare le responsabilità di quanto è già accaduto, ma anche per riflettere su quanto sta accadendo ai nostri giorni o potrebbe accadere nel futuro. Il mutare delle cir- costanze non deve farsi velo alle permanenti esigenze dei rapporti tra gli uomini, né ogni altro moti- vo di oblio deve fare dimenticare che l’esperienza di ciascun uomo entra nel circuito della sorte di tutti gli altri uomini. Questo numero di rassegna è dedicato quasi completamente alla “nuova” vicenda dei deportati e inter- nati italiani nel sistema concetrazionario nazista, rimandiamo qualsiasi commento agli articoli a segui- re che offriranno al lettore la possibilità di confronto tra diversi punti di vista e vasti approfondimenti. Gli ulteriori impegni da assolvere, così come prescrive la legge, ci lasciano timorosi e rischiano di rendere inutile, o quanto meno non congruo, l’impegno assunto e da portare a termine. Le pre- occupazioni derivano dalla convinzione che, purtroppo, le leggi della natura sono inesorabili e i diret- ti beneficiari sono ormai ottuagenari! Essi attendono un atto di giustizia e di verità storica da oltre ses- sant’anni. Dobbiamo pertanto chiedere, in considerazione dell’urgenza della situazione, che il Presidente del Consiglio dei Ministri impartisca disposizioni affinché la fase attuativa parta al più pre- sto, nel migliore dei modi, e possa giungere a conclusione nel più breve tempo, e nel modo più efficace e giusto possibile. L’ANRP, per quanto gli compete, è pronta a dare la piena collaborazione e in questo senso è già attiva da tempo. Si attende soltanto di essere convocati. LEGGE 27 dicembr e 2006, n. 296. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2007). 1271. La Repubblica italiana riconosce a titolo di risarcimento soprattutto mora- le il sacrificio dei propri cittadini depor- tati ed internati nei lager nazisti nell’ul- timo conflitto mondiale. 1272. E’autorizzata la concessione di una medaglia d’onore ai cittadini italia- ni militari e civili deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra, ai quali, se militari, è stato negato lo sta- tus di prigionieri di guerra, secondo la Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra fatta a Ginevra il 27 luglio 1929 dall’allora governo nazista, e ai familiari dei deceduti, che abbiano titolo per presentare l’istanza di riconoscimento dello status di lavo- ratore coatto. 1273. Le domande di riconoscimento dello status di lavoratore coatto, even- tualmente già presentate dagli interes- sati alla Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), sono ricono- sciute valide a tutti gli effetti della pre- sente legge. A tal fine l’OIM, tramite la sua missione di Roma, trasmette al comitato di cui al comma 1274 le istan- ze di riconoscimento sinora pervenute in uno alla documentazione eventual- mente allegata. 1274. E’ istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un comitato, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un suo delegato, costi- tuito da un rappresentante dei Ministeri della difesa, degli affari esteri, dell’in- terno e dell’economia e delle finanze, nominati dai rispettivi Ministri, nonchè da un rappre- sentante dell’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall’internamento e dalla guerra di liberazione (ANRP) e da un rappresentante dell’Associazione nazionale ex internati (ANEI), nonché da un rappresentante dell’OIM. 1275. Il comitato provvede alla indivi- duazione degli aventi diritto. 1276. All’onere complessivo di 250.000 euro derivante dall’attuazione del pre- sente articolo, ivi comprese le spese per il funzionamento del comitato di cui al comma 1274, stabilite in euro 50.000 per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, si provvede mediante l’utilizza- zione di quota parte degli importi del fondo di cui al comma 343 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266. schiavi di Hitler UNA MEDAGLIA D’ONORE di Enzo Orlanducci
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3editoriale

Gli italiani di oggi sanno poco o nulla degli oltre 800 mila nostri connaziona-li (militari e civili) che, dall’8 settembre 1943 all’8 maggio 1945, furonodeportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’econo-mia di guerra del Terzo Reich.Uomini e donne che “macerarono la loro esistenza dietro i fili spinati, quandostanchi e affamati trascinavano i loro corpi, disposti meglio a morire che avivere”. Seneca insegna che, chi è “pronto a morire non è disposto a servire”. Di essi, 50 mila morirono durante la detenzione nei lager e 50 mila nei primianni dal rientro. Il tempo vola e si offuscano i ricordi del passato: in ciascunodi loro, nei loro figli, nei loro nipoti, che non molto conoscono in genere della

storia patria, poiché anche la Scuola ha taciuto o mistificato il vero per ragion politica. Poche decine di migliaia di superstiti, tra quanti sono stati costretti a trascorrere 20 mesi nei lager,attendono ancora dopo sessant’anni, giustizia.Nel 2000, essi videro nei provvedimenti di indennizzo deliberati dal Parlamento tedesco un nobileavvio al superamento dei più tristi ricordi, quale quello del maggiore torto che era stato loro infer-to: la privazione dello stato di prigioniero di guerra. Dopo tanti anni di distanza, si sente ancora lanecessità di chiarire chi erano queste vittime. Non prigionieri, protetti da convenzioni più o menorispettate, non rei di qualche misfatto codificato o comunque ripugnante alla coscienza umana, einfine nemmeno cittadini di uno Stato qualsiasi: amico, nemico, neutrale.Il Governo germanico, il quale sembrava desideroso di realizzare un’operazione di catarsi destinata achiudere un capitolo di una triste vicenda storica, pur riconoscendo loro la dura e pesante condizionedi prigionieri senza tutela, li escludeva di fatto da ogni forma risarcitoria e faceva appello alla com-prensione del Governo italiano per la posizione assunta e il convincimento raggiunto. La nostra Associazione, con onestà di intenti a far tempo dalla sua nascita “embrionale” nei campidi prigionia, d’internamento e della formazione dei gruppi di combattimento, ha cercato di rivendi-care il merito dei propri iscritti, di aver combattuto con onore e lealtà sino all’8 settembre 1943, diaver pagato un prezzo di sangue e di sacrifici per la fedeltà al giuramento prestato, di aver resistitoin ogni luogo, dopo l’armistizio, con o senza le armi, fino alla completa liberazione d’Italia.La Legge finanziaria per il 2007, ai commi 1271-1276 (con un testo che non si discosta molto daldisegno di legge d’iniziativa del sen. Armando Cossutta), ha autorizzato la concessione di una“medaglia d’onore” ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti e desti-nati al lavoro coatto.L’ANRP, pur insoddisfatta per il mancato indennizzo – per ottenere il quale proseguirà la sua batta-glia giudiziaria, da tempo intrapresa – ha apprezzato la concessione di questo “minimum”, nella spe-ranza che dal riconoscimento possa prendere avvio nella società italiana, e soprattutto nelle scuole,una nuova coscienza di come sia possibile che masse di esseri umani possano, in conseguenza diconflitti armati, cadere sotto il più totale arbitrio di una delle parti, senza possibilità di appello ad unprincipio o ad un potere che facciano da freno o da correttivo.Comprendere le vicende e le circostanze che coinvolsero in quel momento i nostri connazionali, èun’opportunità non solo per considerare le responsabilità di quanto è già accaduto, ma anche perriflettere su quanto sta accadendo ai nostri giorni o potrebbe accadere nel futuro. Il mutare delle cir-costanze non deve farsi velo alle permanenti esigenze dei rapporti tra gli uomini, né ogni altro moti-vo di oblio deve fare dimenticare che l’esperienza di ciascun uomo entra nel circuito della sorte ditutti gli altri uomini. Questo numero di rassegna è dedicato quasi completamente alla “nuova” vicenda dei deportati e inter-nati italiani nel sistema concetrazionario nazista, rimandiamo qualsiasi commento agli articoli a segui-re che offriranno al lettore la possibilità di confronto tra diversi punti di vista e vasti approfondimenti.Gli ulteriori impegni da assolvere, così come prescrive la legge, ci lasciano timorosi e rischianodi rendere inutile, o quanto meno non congruo, l’impegno assunto e da portare a termine. Le pre-occupazioni derivano dalla convinzione che, purtroppo, le leggi della natura sono inesorabili e i diret-ti beneficiari sono ormai ottuagenari! Essi attendono un atto di giustizia e di verità storica da oltre ses-sant’anni. Dobbiamo pertanto chiedere, in considerazione dell’urgenza della situazione, che il Presidentedel Consiglio dei Ministri impartisca disposizioni affinché la fase attuativa parta al più pre-sto, nel migliore dei modi, e possa giungere a conclusione nel più breve tempo, e nel modo piùefficace e giusto possibile.L’ANRP, per quanto gli compete, è pronta a dare la piena collaborazione e in questo senso ègià attiva da tempo. Si attende soltanto di essere convocati.

LEGGE 27 dicembre 2006, n. 296.Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2007).

1271. La Repubblica italiana riconoscea titolo di risarcimento soprattutto mora-le il sacrificio dei propri cittadini depor-tati ed internati nei lager nazisti nell’ul-timo conflitto mondiale.1272. E’autorizzata la concessione diuna medaglia d’onore ai cittadini italia-ni militari e civili deportati ed internatinei lager nazisti e destinati al lavorocoatto per l’economia di guerra, aiquali, se militari, è stato negato lo sta-tus di prigionieri di guerra, secondo laConvenzione relativa al trattamento deiprigionieri di guerra fatta a Ginevra il27 luglio 1929 dall’allora governonazista, e ai familiari dei deceduti, cheabbiano titolo per presentare l’istanzadi riconoscimento dello status di lavo-ratore coatto.1273. Le domande di riconoscimentodello status di lavoratore coatto, even-tualmente già presentate dagli interes-sati alla Organizzazione internazionaleper le migrazioni (OIM), sono ricono-sciute valide a tutti gli effetti della pre-sente legge. A tal fine l’OIM, tramite lasua missione di Roma, trasmette alcomitato di cui al comma 1274 le istan-ze di riconoscimento sinora pervenutein uno alla documentazione eventual-mente allegata.1274. E’ istituito presso la Presidenzadel Consiglio dei ministri un comitato,presieduto dal Presidente del Consigliodei ministri o da un suo delegato, costi-tuito da un rappresentante dei Ministeridella difesa, degli affari esteri, dell’in-terno e dell’economia e delle finanze,nominati dairispettivi Ministri, nonchè da un rappre-sentante dell’Associazione nazionalereduci dalla prigionia, dall’internamentoe dalla guerra di liberazione (ANRP) eda un rappresentante dell’Associazionenazionale ex internati (ANEI), nonchéda un rappresentante dell’OIM.1275. Il comitato provvede alla indivi-duazione degli aventi diritto.1276. All’onere complessivo di 250.000euro derivante dall’attuazione del pre-sente articolo, ivi comprese le spese peril funzionamento del comitato di cui alcomma 1274, stabilite in euro 50.000per ciascuno degli anni 2007, 2008 e2009, si provvede mediante l’utilizza-zione di quota parte degli importi delfondo di cui al comma 343 dell’articolo1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

schiavi di Hitler

UNA MEDAGLIA D’ONOREdi Enzo Orlanducci

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È arrivata la Befana e col carbone dolcedella Finanziaria 2007 ha portato agliultimi ultra ottuagenari ex schiavi diHitler, la promessa di una Medagliad’Onore a ricordo della loro gioventùbruciata per aver detto NO… e conso-larli dei successivi tormentoni dellaGermania e dell’Italia.“ Meglio 60 anni di ritardo che mai… –mi sono detto – … ma non sarà la soli-ta bufala di ogni legislatura?”, quandoci facevano luccicare medaglie, cavalie-rati (perfino di Vittorio Veneto!) eindennizzi rimasti in aria e, perché no,estesi anche ai “ragazzi di Salò”!A dire il vero, dai 65 miliardi di lire diindennizzi tedeschi del ‘63 agli exdeportati e dal vitalizio italiano dell’ ‘80agli stessi, lo Stato italiano, per rabboni-re noi IMI, troppo numerosi ed esclusi inblocco, ci concesse la “Croce al Meritodi Guerra”, il “Distintivo d’Onore deiPatrioti Volontari della Libertà” e un“Diploma d’Onore al Combattente perla Libertà d’Italia”, poi l’inden-nità–combattenti e la PromozioneOnorifica al grado superiore. Ma solo aiviventi, sempre meno numerosi e conminori oneri per l’Erario!Ma ci siamo commossi quando ilPresidente Scalfaro nel 1998 concesse,motu proprio e con una bella motivazio-ne, la Medaglia d’Oro V.M. all’In-ternato Ignoto del Tempio di Terranegradi Padova: un riconoscimento a tutti noima ignorato dagli italiani!

Dopo il lager: i tormentoni dallaGermania e dall’Italia!Ho letto e riletto incredulo i commi1271/1276 della Finanziaria, ho sentitoqualche avanzo di schiavo di Hitler, chesenso ha oramai una medaglia, mi sonochiesto e mi sono ripassato 60 anni epassa di delusioni nel timore di nuoveillusioni. E’ bene ogni tanto risvegliarela storia perché non si abbiocchi!Nel 1945, rimpatriammo dai lager in600.000 (arrotondo le cifre a ordini digrandezze) lasciandoci alle spalle un“NO!” lungo 50 milioni di secondi e

50.000 caduti, ma non ci sentivamo eroi,perché questi sono eccezioni e noi erava-mo massa, però eravamo fieri del doverecompiuto allo stremo, coerenti coi “valo-ri” in uso e nei quali credevamo!E la Patria ci accolse con fastidio, diffi-denza e ingratitudine. Preoccupato loStato: cosa avremmo rivendicato e comeavremmo votato? Per la traballantemonarchia eravamo i testimoni imbaraz-zanti dell’ “8 settembre”, per i repubbli-chini i traditori, per i repubblicani, parti-giani, i fratelli più numerosi dell’ ”altraresistenza”, ma anche i relitti di unRegio Esercito compromesso da guerreperse fasciste, ma poi promotore dellaResistenza e della Guerra di Liberazionecoi 700.000 “NO!”, le armi a Cefaloniae altri 12 campi di battaglia, nei Balcanicon l’invitta Regia Divisione Partigiana“Garibaldi” e, in Italia, addestrando inmontagna i primi partigiani civili e poicol CIL. In altre parole eravamo le radi-ci monarchiche imbarazzanti dellaResistenza repubblicana! Per gli attendi-sti poi, quelli della ”non scelta” in atte-sa di un vincitore e della fine dei bom-bardamenti, noi eravamo quelli della

“scelta a oltranza”, e per quelli chevolevano salpare verso un futuro miglio-re, eravamo la remora di un passato dadimenticare! In poche parole stavamosullo stomaco a tutti e per di più c’era laguerra fredda con la ragion di stato: guaidir male dei tedeschi nostri partner ! Nel1946, il Ministero della Guerra riassunsein servizio addirittura molti ufficiali dicarriera già optanti per il Reich e la RSI:come i generali Rosi e Dalmazzo chedisarmarono le loro armate nei Balcani eil 17 settembre abbracciarono Mussolinia Berlino e offrirono alla nascente repub-blica di Salò un esercito… per fortunafantasma, che “disertò” in massa con lamarea dei NO! E’emblematica, dei colpidi spugna, la storia delle famose casse didocumenti dell’Of. 83 di Wietzendorf,misteriosamente scomparse, viste perl’ultima volta nel ‘65 da Carmine Lopsin un sottoscala del Ministero dellaDifesa e contenenti prove di crimininazisti ed elenchi “scomodi” di collabo-ratori !Deluso, il 90% degli IMI rimosse lamemoria dei lager, gli altri si ghettizza-rono in associazioni chiuse, mentre

4schiavi di Hitler

UNA MEDAGLIA DI CONSOLAZIONE

di Claudio Sommaruga

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l’Italia affossava la loro storia! Un ricor-do personale: al rimpatrio, i compagnid’università laureati sotto Salò mi accol-sero con un: “Bel fesso, se firmavi nonfacevi piangere mamma e morosa, man-giavi, ti laureavi, impiegavi, sposavi epoi magari te ne andavi in montagna!Ma chi te l’ha fatto fare?” … e tacquiper 35 anni!Fin dagli anni ’50, i ministri Andreotti,Taviani (confesso nel 2000!), Martinosenior e altri insabbiarono le denuncedelle fosse di Chelm, Leopoli …, le mat-tanze di Cefalonia, Corfù, Lero e di tantestragi naziste, mentre l’“armadio dellavergogna” della Procura Militare, voltatocon le ante contro un muro, eclissava idossier dei criminali di guerra!Ma non finisce qui il tormentone degliIMI: dal 1980 la Commissione KZ dellaPresidenza del Consiglio bocciò sistema-ticamente le domande di vitalizio degliIMI deportati negli Straflager (v. legge791/80), perdendo poi tutti i ricorsi pre-sentati alla Corte dei Conti! Per finire, inquesti giorni l’INPS sta revocando ai“perseguitati razziali e agli internati neicampi di sterminio”, le pensioni socialiperché non cumulabili coi loro assegni dibenemerenza considerati ”fonti di reddi-to” (sic! Grazie Hitler!)! Lo Stato italiano poi si è sempre tenutoalla larga dalle cause giudiziarie intenta-te in Germania dai familiari di vittimeitaliane ai criminali nazisti, tutte conclu-se con archiviazioni o assoluzioni!Come nel processo di Mannheim all’as-sassino del gen. Alberto Trionfi nella“marcia della morte” di Shelkow(28.1.45), rintracciato da Wiesenthal,citato in giudizio nel ‘75 dalla figlia delgenerale e impunito nell’‘82 per archi-viazione, essendosi rifiutato il nostroMinistero della Difesa di trasmettere ladocumentazione di servizio richiesta

perché “riservata”! Nel‘55, sotto il governoTambroni, l’inumazionedella salma del generale,nella tomba di famiglia inAncona, fu ritardata per tremesi e poi autorizzata ma informa privata! Ma nonbasta: il Ministero dellaDifesa nel‘98 informava lafiglia del generale chel’Ufficio Storico SME nonaveva documenti dell’Of.64/Z, dove era stato depor-tato suo padre con altri 208generali (di cui ben 18

caduti!), benché oggetto di varie pubbli-cazioni, perfino dello SM Aeronautica!(cfr. C. Sommaruga, “Per non dimenti-care”, ANEI Brescia, 2001, p. 20). E iverbali al rimpatrio dei generali super-stiti dove sono finiti? Nel 1985, il gen.L. Bertinaria dichiarava al Convegno diFirenze, che l’Ufficio Storico SMEdisponeva solo di “una documentazioneassai scarsa, per non dire quasi nulla”riguardante gli IMI! Anche il recente processo di Monacodel 2006 al carnefice di Cefalonia, conla figlia del giustiziato cap. FrancescoDe Negri come parte civile e latitante loStato italiano, si è concluso con l’asso-luzione del criminale perché “gli italia-ni catturati erano traditori e disertoridei tedeschi e non prigionieri di guer-ra”, contraddicendo il TribunaleInternazionale di Norimberga (1946) elo stesso governo tedesco nel 2000, laCorte Costituzionale Tedesca nel 2004 ela successiva decisione del TribunaleAmministrativo di Berlino, che riclassi-ficava gli internati militari italiani comeprigionieri di guerra per escluderli pre-testuosamente dagli indennizzi agli“schiavi di Hitler”. Ma lo Stato italianosarà assente anche nel prossimo proces-so di appello? Eppure la sentenza diMonaco offende i martiri di Cefalonia esmentisce i nostri Presidenti Pertini,Scalfaro e Ciampi che li hanno onorati! Dulcis in fundo, nel 2005 i nostri mini-steri della Giustizia e degli Esteri bloc-carono la causa intentata alla Germania,presso il tribunale di Torino, da 14 IMIbocciati come “schiavi di Hitler”. Oggilo Stato italiano ignora i ricorsi contro laGermania presentati alla Corte deiDiritti dell’Uomo di Strasburgo da altri250 “schiavi” bocciati! E qui mi fermo, per carità di patria eordine del medico!

5schiavi di Hitler

DOMANDEPRESENTATE PER ILPROGRAMMATEDESCO DIINDENNIZZO PERGLI EX LAVORATORIFORZATI SOTTO ILREGIME NAZISTA:(fonte OIM)

• 110.000 ExInternati MilitariItaliani (IMI)

•• 99.000 Viventi al 31/12/2001•• 11.000 Eredi

• 7.000 Ex InternatiCivili

•• 6.500 Viventi al 31/12/2001•• 500 Eredi

•2.050 Exlavoratoriin condizioni di schiavitù (KZ)

•• 1.770 Vivential 31/12/2001•• 280Eredi

• 320 Ex Internati di origine slava

••305 Vivential 31/12/2001•• 15 Eredi

TOTALE: 119.370

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6schiavi di Hitler

Gli aventi dirittoNoi IMI, prendiamo atto dellebuone intenzioni dei promotoridel tardivo riconoscimento sim-bolico del sacrifico degli IMI,che vorrebbe riparare 60 anni ditorti dell’Italia e consolarli, manon esplicitamente per ragionidiplomatiche, della recente beffadella Germania che non li rico-nosce “schiavi”, nella totaleindifferenza del nostro governo!Il comma 1271 della Finanziariaprecisa: “risarcimento soprat-tutto morale”. Per carità, non siparli di risarcimento perché nonc’è risarcimento che tenga peruna schiavitù! Quel “soprattuttomorale” poi presuppone in sottordine unquid materiale riscontrabile solo nellamedaglietta di un costo offensivo (meda-glia più consegna) da 0,15 a 2-3 eurosecondo i conteggi degli aventi diritto(oltre 700.000) e le probabili richieste(meno di 50.000). La Finanziaria infatti,per riabilitare gli IMI, stanzia solo250.000 euro (sic!), dei quali 150.000 perla Commissione triennale ad hoc ed irestanti 100.000 per le medaglie: maquante? Il comma 1272 indica come aventi dirit-to “i cittadini italiani militari e civilidestinati al lavoro coatto per l’economiadi guerra /…/ e i familiari dei decedu-ti…”: quindi tutti i lavoratori generica-mente “coatti”, cioè obbligati: operai,artigiani e contadini, morti e vivi, Più pre-cisamente: oltre 600.000 IMI, dei qualimeno di 50.000 viventi, 50.000 caduti edispersi e 500.000 deceduti dopo il lager.Poi ci sono 50.000 deportati in KZ, AEL

e Straflager - militari, ex-IMI, civili(politici e razziali) - e alcune svariatedecine di migliaia di emigrati civili,cosiddetti “liberi” ma di fatto obbligati,precettati o rastrellati in Italia nel 1944 efacenti parte dei 150.000 lavoratori civiliemigrati prima e dopo l’ 8 settembre. A scanso di equivoci, bisognerebbeanche intendersi sul termine “coatto”che in senso stretto si addice ai verideportati ai lavori forzati in schiavitù,sotto scorta armata e fame, dei KZ,AEL, Straflager (come i deportati dellaCajenna e di S.Quintino!) e anche gliIMI prima della “civilizzazione” (ago-sto 1944), obbligati a lavorare sottoscorta e senza le tutele dei prigionieri diguerra. Ma nella memorialistica i termi-ni ”coatto” e “deportato” vengonospesso abusato per indicare anche uninternato e un lavoratore genericamenteobbligato, senza scorta armata, precet-tato come uno scioperante, o cosiddetto

volontario ma ricattato conminacce e fame.

Gli esclusiNon riceverebbero ingiusta-mente la medaglia, perché nonlavoravano nell’ economia diguerra ma direttamente per laWehrmacht, Luftwaffe, Kriegs-marine o la Todt (ai fronti, aero-porti, batterie costiere, ferrovieo nelle città bombardate), forse70.000 IMI e assimilabili“obbligati” (frammisti anche avolontari) dei quali 28.000 (allaliberazione) nei Bau-Btl edili,24.000 KGF prigionieri senzatutele (ai fronti balcanico e

russo e in buona parte reimprigionatidall’Armata Rossa e dai titini), più di3.000 nei battaglioni di disciplina (ritar-datari della “leva Graziani”), un numeroimprecisato nella TODT (militari e civi-li). nonché 15.000 IMI non lavoratori,liberati nei lager: 10.000 ufficiali reni-tenti al lavoro, anziani, inabili, ospeda-lizzati, sanitari, cappellani e 1.000 ordi-nanze.

Le domande prevedibiliI commi 1273-4 prevedono un Comitatoad hoc della Presidenza del Consigliocomprendente due delegati delle asso-ciazioni degli ex IMI (ANRP e ANEI),un delegato dell’OIM (che centra? Giàavverso agli IMI !) e una maggioranzadi delegati di vari ministeri, che ci augu-riamo con adeguata conoscenza dei fatti(cosa di cui ho fondati motivi di dubita-re). Questo Comitato dovrebbe vagliareuna ad una le domande documentate e

MEDAGLIEE MONETEdi Alvaro Riccardi

Secondo l’autorevole “World BookDictionary” che si pubblica in USA

(Chicago), la parola medaglia derivereb-be dal latino metallus.Più accettabile appare, tuttavia, l’ipotesiavanzata da Dante Olivieri (in DizionarioEtimologico, ediz. Ceschina, Milano), cheattribuisce a detta parola una derivazionedal tardo latino medalia (plurale di meda-lie), che significa “mezzo denaro”.

Il termine “moneta” fa, invece, riferimen-to al nome della dea Giunone Moneta(=ammonitrice), il cui tempio si trovavasul colle Capitolino, accanto alla Zecca.Presso gli antichi e, in particolare, pressoi romani le medaglie come tali non esiste-vano, mentre per gli imperatori si conia-vano speciali medaglioni. I militi valoro-si, invece, venivano premiati con denaroo si concedeva loro l’uso e la proprietà diterre confiscate ai nemici vinti (comeavvenne, per esempio, in occasione dellaconquista della Dacia).Erano molto diffuse, specie in oriente,monete provviste di anellino e gancetto daportare indosso come ornamento: usanzache le donne sarde, indossando i loro ric-chi costumi in occasione di particolariricorrenze e solennità, seguono tuttora,

così come le fanciulle nomadi (senzadimenticare le danzatrici del mondo arabo,che se ne fregiano usualmente).A partire dal secolo XV, col risorgeredegli studi classici, si diffuse in Italia ealtrove (specie in Francia) l’uso dellemonete per scopi commemorativi; ed èinteressante notare che a Bologna,Cremona, Firenze, Malta, Roma e Pisa sidiffuse un tipo di moneta del valore dimezzo denaro che aveva il nome di“medaglia”: dal che si deduce che i duetermini avevano, ormai, assunto un signi-ficato del tutto simile tra loro.È da ricordare, con riferimento agli avve-nimenti storici di inizio ‘800, l’emissionedel “marengo”, moneta d’oro del valoredi venti franchi emessa in memoria dellabattaglia del 14 giugno 1800 che i france-

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conta che l’ OIM gli trasmetta le doman-de di risarcimento (con allegati) ricevu-te dall’anno 2000 da 120.000 militari ecivili viventi o deceduti da poco e dellequali appena 3.000 accolte e le altre pre-testuosamente bocciate o inammissibili.Ma sulla collaborazione dell’OIM hoforti dubbi, perché consentirebbe di sin-dacarne l’operato, gli abusi e gli errori edi riaprirebbe rivendicazioni! Il progetto della Finanziaria interessereb-be una platea potenziale di richiedenti,sette volte maggiore di quella dell’OIM esi può immaginare, dalla passata espe-rienza dell’OIM, a quale impegno imma-ne sarà chiamato il Comitato, ma è preve-dibile che le domande della Medagliasaranno solo poche diecine di migliaia eper ovvie ragioni.Gli aventi diritto ancora viventi si sonoridotti forse a 35/50.000 ed è impensa-bile che centinaia di migliaia di figli enipoti dei defunti, col solo miraggiodella Memoria del padre e del nonno esenza quello degli euro, cerchino dopo60 anni prove del lavoro coatto delcongiunto (che non ha parlato!) pressoimprese tedesche per lo più scomparsee eredi di Bauer.Le certificazioni sarebbero invece sem-plificate se le medaglie fossero equamen-te concesse non solo ai lavoratori del-l’economia di guerra, ma a tutti gli IMI,anche a quelli al servizio diretto delleFF.AA del Reich. Per documentare il lorostatus, gli IMI non possono contare sugliarchivi istituzionali italiani e tedeschi,lacunosi e inaccessibili, per origini, buro-crazia e privacy. Quello di Arolsen dellaCroce Rossa (CICR) contiene 180.000“Demandes de capture” non distinte di

IMI e optanti; il Wast di Berlino ha365.000 schede di IMI, casualmente sco-perte da alcuni anni e inesplorate!. Percomprovare lo status di IMI basterebberoi fogli matricolari della truppa e gli statidi servizio degli ufficiali, in possesso deireduci e ora altrimenti indisponibili. Sipotrebbero consultare anche le anagraficomunali e pensionistiche, le associazio-ni di reduci (70.000 IMI iscritti in 60anni), associazioni d’Arma e circoli dianziani e lavoratori… Ci sono anchealcune migliaia di testimonianze registra-te o pubblicate, sparse qua e là.

ConclusioniCome nelle passate legislature, gli ultimiIMI, ancora e per poco in vita, preso attodelle buone intenzioni dei promotori,anche se utopiche e retoriche, sono certiche anche questa volta succederà poco onulla, anche perché il progetto“Medaglia” è irrealizzabile coi finanzia-menti e tempi previsti, ed ha ancora unsenso, mi domando, dopo più di 60 anni?

Forse tra qualche anno, l’ultimo IMI rice-verà senza oneri di stato, gli onori negatiai compagni di reticolato che hanno solola colpa di essere “andati avanti”! E se oggi, oltre a poche effimere meda-glie ad personam, Italia e Germaniainaugurassero congiuntamente duememoriali, a Roma e a Berlino, a peren-ne memoria del sacrificio degli IMI?Sarebbe finalmente un gesto di pace e lafine di un brutto contenzioso! Perché noi IMI, non vogliamo obolipersonali ipocriti e offensivi e più che“parole, parole e parole…” vogliamo“fatti, fatti e fatti!” e di non essere piùpresi in giro nei nostri ultimi giorni eche lo Stato italiano si faccia finalmen-te sentire nelle sedi internazionali(italo-tedesche ed europee), giudizia-rie (come parte civile e assistenza airicorrenti) e nazionali (alla gente,media e scuole) e dissotterri finalmen-te la storia dei nonni, colpevolmentetaciuta ai nipoti che hanno pieno dirit-to di conoscerla! l

7schiavi di Hitler

si vinsero appunto nella città di Marengosugli austro-piemontesi.Emissione di medaglie commemorative edevozionali di notevole pregio artistico siebbero già nel passato e se ne conianotuttora. Soprattutto importanti sono lemedaglie al valore; ed è interessantericordare che nel latino adottato dagliscrittori moderni fino agli ultimi decennidell’800 si riscontra la voce aggettivatamilitare decus che significa “medaglia alvalor militare”: dove decus vuole inten-dere “dignità, valore, gloria”.Medaglie commemorative e devozionalidi notevole pregio artistico si ebbero nelpassato; e se ne coniano tuttora in circo-stanze speciali.Genericamente parlando, la medaglia èuna piastrina di metallo rotonda, recante

su una e su entrambe le facce un’effige eornamenti allegorici, motti, ecc. e si dà apersone resesi meritevoli di onore. Sihanno, così, le medaglie d’oro, d’argentoe di bronzo.Soprattutto importanti sono le prime, isti-tuite in Italia fin dal 1793 da VittorioAmedeo II, poi abolite durante l’occupa-zione francese e, infine, ripristinate daCarlo Alberto con R.D. del 26 marzo1833. Erano accompagnate da assegni indenaro, trasferibili parzialmente, in casodi morte, al coniuge superstite.Fino a oggi, in Italia era prevista la con-cessione di medaglie al valor militare, almerito della Resistenza, al valore civile,nonché al merito sportivo.Ora si è voluto, finalmente, estenderequesto riconoscimento ai reduci deportati

e internati nei lager nazisti.L’attribuzione della medaglia d’onoredecisa dal governo italiano costituisceun riconoscimento simbolico e, tutta-via, di alto valore morale da parte delloStato, specie nei confronti di coloroche, avendo giurato di servire fedel-mente la Patria in armi con tutte le for-ze, fino al supremo sacrificio della vita,intesero affermare con ciò che, anchecadendo in prigionia per cause ad essinon imputabili e quand’anche le con-venzioni internazionali non venisseroapplicate nei loro confronti, quel giura-mento di fedeltà sarebbe stato rispettatoad onta delle minacce e delle intimida-zioni del nemico miranti a renderlischiavi dell’oppressione.

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6schiavi di Hitler

Gli aventi dirittoNoi IMI, prendiamo atto dellebuone intenzioni dei promotoridel tardivo riconoscimento sim-bolico del sacrifico degli IMI,che vorrebbe riparare 60 anni ditorti dell’Italia e consolarli, manon esplicitamente per ragionidiplomatiche, della recente beffadella Germania che non li rico-nosce “schiavi”, nella totaleindifferenza del nostro governo!Il comma 1271 della Finanziariaprecisa: “risarcimento soprat-tutto morale”. Per carità, non siparli di risarcimento perché nonc’è risarcimento che tenga peruna schiavitù! Quel “soprattuttomorale” poi presuppone in sottordine unquid materiale riscontrabile solo nellamedaglietta di un costo offensivo (meda-glia più consegna) da 0,15 a 2-3 eurosecondo i conteggi degli aventi diritto(oltre 700.000) e le probabili richieste(meno di 50.000). La Finanziaria infatti,per riabilitare gli IMI, stanzia solo250.000 euro (sic!), dei quali 150.000 perla Commissione triennale ad hoc ed irestanti 100.000 per le medaglie: maquante? Il comma 1272 indica come aventi dirit-to “i cittadini italiani militari e civilidestinati al lavoro coatto per l’economiadi guerra /…/ e i familiari dei decedu-ti…”: quindi tutti i lavoratori generica-mente “coatti”, cioè obbligati: operai,artigiani e contadini, morti e vivi, Più pre-cisamente: oltre 600.000 IMI, dei qualimeno di 50.000 viventi, 50.000 caduti edispersi e 500.000 deceduti dopo il lager.Poi ci sono 50.000 deportati in KZ, AEL

e Straflager - militari, ex-IMI, civili(politici e razziali) - e alcune svariatedecine di migliaia di emigrati civili,cosiddetti “liberi” ma di fatto obbligati,precettati o rastrellati in Italia nel 1944 efacenti parte dei 150.000 lavoratori civiliemigrati prima e dopo l’ 8 settembre. A scanso di equivoci, bisognerebbeanche intendersi sul termine “coatto”che in senso stretto si addice ai verideportati ai lavori forzati in schiavitù,sotto scorta armata e fame, dei KZ,AEL, Straflager (come i deportati dellaCajenna e di S.Quintino!) e anche gliIMI prima della “civilizzazione” (ago-sto 1944), obbligati a lavorare sottoscorta e senza le tutele dei prigionieri diguerra. Ma nella memorialistica i termi-ni ”coatto” e “deportato” vengonospesso abusato per indicare anche uninternato e un lavoratore genericamenteobbligato, senza scorta armata, precet-tato come uno scioperante, o cosiddetto

volontario ma ricattato conminacce e fame.

Gli esclusiNon riceverebbero ingiusta-mente la medaglia, perché nonlavoravano nell’ economia diguerra ma direttamente per laWehrmacht, Luftwaffe, Kriegs-marine o la Todt (ai fronti, aero-porti, batterie costiere, ferrovieo nelle città bombardate), forse70.000 IMI e assimilabili“obbligati” (frammisti anche avolontari) dei quali 28.000 (allaliberazione) nei Bau-Btl edili,24.000 KGF prigionieri senzatutele (ai fronti balcanico e

russo e in buona parte reimprigionatidall’Armata Rossa e dai titini), più di3.000 nei battaglioni di disciplina (ritar-datari della “leva Graziani”), un numeroimprecisato nella TODT (militari e civi-li). nonché 15.000 IMI non lavoratori,liberati nei lager: 10.000 ufficiali reni-tenti al lavoro, anziani, inabili, ospeda-lizzati, sanitari, cappellani e 1.000 ordi-nanze.

Le domande prevedibiliI commi 1273-4 prevedono un Comitatoad hoc della Presidenza del Consigliocomprendente due delegati delle asso-ciazioni degli ex IMI (ANRP e ANEI),un delegato dell’OIM (che centra? Giàavverso agli IMI !) e una maggioranzadi delegati di vari ministeri, che ci augu-riamo con adeguata conoscenza dei fatti(cosa di cui ho fondati motivi di dubita-re). Questo Comitato dovrebbe vagliareuna ad una le domande documentate e

MEDAGLIEE MONETEdi Alvaro Riccardi

Secondo l’autorevole “World BookDictionary” che si pubblica in USA

(Chicago), la parola medaglia derivereb-be dal latino metallus.Più accettabile appare, tuttavia, l’ipotesiavanzata da Dante Olivieri (in DizionarioEtimologico, ediz. Ceschina, Milano), cheattribuisce a detta parola una derivazionedal tardo latino medalia (plurale di meda-lie), che significa “mezzo denaro”.

Il termine “moneta” fa, invece, riferimen-to al nome della dea Giunone Moneta(=ammonitrice), il cui tempio si trovavasul colle Capitolino, accanto alla Zecca.Presso gli antichi e, in particolare, pressoi romani le medaglie come tali non esiste-vano, mentre per gli imperatori si conia-vano speciali medaglioni. I militi valoro-si, invece, venivano premiati con denaroo si concedeva loro l’uso e la proprietà diterre confiscate ai nemici vinti (comeavvenne, per esempio, in occasione dellaconquista della Dacia).Erano molto diffuse, specie in oriente,monete provviste di anellino e gancetto daportare indosso come ornamento: usanzache le donne sarde, indossando i loro ric-chi costumi in occasione di particolariricorrenze e solennità, seguono tuttora,

così come le fanciulle nomadi (senzadimenticare le danzatrici del mondo arabo,che se ne fregiano usualmente).A partire dal secolo XV, col risorgeredegli studi classici, si diffuse in Italia ealtrove (specie in Francia) l’uso dellemonete per scopi commemorativi; ed èinteressante notare che a Bologna,Cremona, Firenze, Malta, Roma e Pisa sidiffuse un tipo di moneta del valore dimezzo denaro che aveva il nome di“medaglia”: dal che si deduce che i duetermini avevano, ormai, assunto un signi-ficato del tutto simile tra loro.È da ricordare, con riferimento agli avve-nimenti storici di inizio ‘800, l’emissionedel “marengo”, moneta d’oro del valoredi venti franchi emessa in memoria dellabattaglia del 14 giugno 1800 che i france-

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conta che l’ OIM gli trasmetta le doman-de di risarcimento (con allegati) ricevu-te dall’anno 2000 da 120.000 militari ecivili viventi o deceduti da poco e dellequali appena 3.000 accolte e le altre pre-testuosamente bocciate o inammissibili.Ma sulla collaborazione dell’OIM hoforti dubbi, perché consentirebbe di sin-dacarne l’operato, gli abusi e gli errori edi riaprirebbe rivendicazioni! Il progetto della Finanziaria interessereb-be una platea potenziale di richiedenti,sette volte maggiore di quella dell’OIM esi può immaginare, dalla passata espe-rienza dell’OIM, a quale impegno imma-ne sarà chiamato il Comitato, ma è preve-dibile che le domande della Medagliasaranno solo poche diecine di migliaia eper ovvie ragioni.Gli aventi diritto ancora viventi si sonoridotti forse a 35/50.000 ed è impensa-bile che centinaia di migliaia di figli enipoti dei defunti, col solo miraggiodella Memoria del padre e del nonno esenza quello degli euro, cerchino dopo60 anni prove del lavoro coatto delcongiunto (che non ha parlato!) pressoimprese tedesche per lo più scomparsee eredi di Bauer.Le certificazioni sarebbero invece sem-plificate se le medaglie fossero equamen-te concesse non solo ai lavoratori del-l’economia di guerra, ma a tutti gli IMI,anche a quelli al servizio diretto delleFF.AA del Reich. Per documentare il lorostatus, gli IMI non possono contare sugliarchivi istituzionali italiani e tedeschi,lacunosi e inaccessibili, per origini, buro-crazia e privacy. Quello di Arolsen dellaCroce Rossa (CICR) contiene 180.000“Demandes de capture” non distinte di

IMI e optanti; il Wast di Berlino ha365.000 schede di IMI, casualmente sco-perte da alcuni anni e inesplorate!. Percomprovare lo status di IMI basterebberoi fogli matricolari della truppa e gli statidi servizio degli ufficiali, in possesso deireduci e ora altrimenti indisponibili. Sipotrebbero consultare anche le anagraficomunali e pensionistiche, le associazio-ni di reduci (70.000 IMI iscritti in 60anni), associazioni d’Arma e circoli dianziani e lavoratori… Ci sono anchealcune migliaia di testimonianze registra-te o pubblicate, sparse qua e là.

ConclusioniCome nelle passate legislature, gli ultimiIMI, ancora e per poco in vita, preso attodelle buone intenzioni dei promotori,anche se utopiche e retoriche, sono certiche anche questa volta succederà poco onulla, anche perché il progetto“Medaglia” è irrealizzabile coi finanzia-menti e tempi previsti, ed ha ancora unsenso, mi domando, dopo più di 60 anni?

Forse tra qualche anno, l’ultimo IMI rice-verà senza oneri di stato, gli onori negatiai compagni di reticolato che hanno solola colpa di essere “andati avanti”! E se oggi, oltre a poche effimere meda-glie ad personam, Italia e Germaniainaugurassero congiuntamente duememoriali, a Roma e a Berlino, a peren-ne memoria del sacrificio degli IMI?Sarebbe finalmente un gesto di pace e lafine di un brutto contenzioso! Perché noi IMI, non vogliamo obolipersonali ipocriti e offensivi e più che“parole, parole e parole…” vogliamo“fatti, fatti e fatti!” e di non essere piùpresi in giro nei nostri ultimi giorni eche lo Stato italiano si faccia finalmen-te sentire nelle sedi internazionali(italo-tedesche ed europee), giudizia-rie (come parte civile e assistenza airicorrenti) e nazionali (alla gente,media e scuole) e dissotterri finalmen-te la storia dei nonni, colpevolmentetaciuta ai nipoti che hanno pieno dirit-to di conoscerla! l

7schiavi di Hitler

si vinsero appunto nella città di Marengosugli austro-piemontesi.Emissione di medaglie commemorative edevozionali di notevole pregio artistico siebbero già nel passato e se ne conianotuttora. Soprattutto importanti sono lemedaglie al valore; ed è interessantericordare che nel latino adottato dagliscrittori moderni fino agli ultimi decennidell’800 si riscontra la voce aggettivatamilitare decus che significa “medaglia alvalor militare”: dove decus vuole inten-dere “dignità, valore, gloria”.Medaglie commemorative e devozionalidi notevole pregio artistico si ebbero nelpassato; e se ne coniano tuttora in circo-stanze speciali.Genericamente parlando, la medaglia èuna piastrina di metallo rotonda, recante

su una e su entrambe le facce un’effige eornamenti allegorici, motti, ecc. e si dà apersone resesi meritevoli di onore. Sihanno, così, le medaglie d’oro, d’argentoe di bronzo.Soprattutto importanti sono le prime, isti-tuite in Italia fin dal 1793 da VittorioAmedeo II, poi abolite durante l’occupa-zione francese e, infine, ripristinate daCarlo Alberto con R.D. del 26 marzo1833. Erano accompagnate da assegni indenaro, trasferibili parzialmente, in casodi morte, al coniuge superstite.Fino a oggi, in Italia era prevista la con-cessione di medaglie al valor militare, almerito della Resistenza, al valore civile,nonché al merito sportivo.Ora si è voluto, finalmente, estenderequesto riconoscimento ai reduci deportati

e internati nei lager nazisti.L’attribuzione della medaglia d’onoredecisa dal governo italiano costituisceun riconoscimento simbolico e, tutta-via, di alto valore morale da parte delloStato, specie nei confronti di coloroche, avendo giurato di servire fedel-mente la Patria in armi con tutte le for-ze, fino al supremo sacrificio della vita,intesero affermare con ciò che, anchecadendo in prigionia per cause ad essinon imputabili e quand’anche le con-venzioni internazionali non venisseroapplicate nei loro confronti, quel giura-mento di fedeltà sarebbe stato rispettatoad onta delle minacce e delle intimida-zioni del nemico miranti a renderlischiavi dell’oppressione.

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Il provvedimento, contenuto nella Legge finanziaria 2007, diconcessione di una medaglia d’onore «ai cittadini italianimilitari e civili deportati e internati nei lager nazisti e destina-ti al lavoro coatto per l’economia di guerra», contribuisce cer-tamente, seppure in parte, a colmare il debito di attenzione daparte dello Stato nei confrontidi un sacrificio troppo spessomarginalizzato o addiritturaignorato. È un provvedimentoancora parziale – secondo ilmio punto di vista – e nonadeguato al sacrificio effetti-vamente sopportato dai nostrideportati militari, ma è unprovvedimento che dimostra aogni modo un rinnovato impe-gno e un sicuro interesse, non-ché una disponibilità al dialo-go che deve essere colta daparte dell’associazionismo,sviluppata e condotta a ulte-riori evoluzioni. Inoltre esso –quand’anche con i limiti che vedremo – costituisce un contri-buto diretto alla “memoria”, sia perché è rivolto anche aglieredi dei deportati ed internati già defunti, sia perché destina-to ad avere incidenza sulla divulgazione della storia delledeportazioni presso il grande pubblico. Anche per quest’ulti-ma ragione terrei a esprimere qui – a titolo del tutto persona-le – alcune valutazioni relative all’incidenza del provvedi-mento sulla memoria dell’internamento militare.È innegabile che la vicenda degli internati militari italianioggi non può essere disgiunta dalle altre diverse forme dideportazione di cui si rese responsabile il terzo Reich in tuttal’Europa, e che riguardarono persone di tutti i sessi e di tuttele età fermate e deportate per motivi politici, religiosi, “raz-ziali” e biologici. Il primo provvedimento statale importanteche accomunò diversi percorsi di sofferenza fu la concessionedella Medaglia d’oro al Valore Militare all’Internato Ignoto,con provvedimento del 19 novembre 1997. Si trattò di unevento importante per il superamento di ogni visione “parti-colaristica”, nonostante il testo della motivazione della ricom-pensa resti ancora oggi un esempio non positivo di approssi-mazione e disordine: difatti la troppa enfasi sulle «torture diogni sorta» non poteva essere ragionevolmente attribuita agliIMI, la cui sofferenza fu in linea di massima molto diversa daquella degli ospiti di Auschwitz, Dachau e Mauthausen; men-tre di contro la “scelta” della strada della sofferenza comeforma di resistenza alle “lusinghe” tedesche finalizzate a otte-nere la collaborazione militare, nella motivazione attribuitaindiscriminatamente a tutti, poteva invece legittimamenteadattarsi appieno soltanto ai deportati militari, e non ad altri.Le possibilità di divulgare il sacrificio degli IMI aumentarononotevolmente dopo l’entrata in vigore della Legge n.211/2000 istitutiva del Giorno della Memoria, e di pari passo

si sono fatti sempre più stretti, nel corso del tempo, i legamicon le associazioni e le istituzioni ebraiche, portandoci a chia-rire meglio il concetto che per molti IMI (soprattutto per quel-li provenienti dai fronti di guerra) il no detto alle propostetedesche di collaborazione valeva anche come un rifiuto pre-

ciso e consapevole del sistemaperverso che pretendeva losterminio degli ebrei e la sot-tomissione violenta dei popoliinferiori alla “razza eletta”.L’autore che ha espressomeglio di tutti il senso di sod-disfazione provato nel trovarsiimprovvisamente dalla partedegli oppressi dal nazismo èstato forse Mario RigoniStern, nel racconto Aspet-tando l’alba, dove narra deirussi con cui aveva fatto ami-cizia, che alla sua partenzaintonano una canzone: «Erauna canzone di saluto per me,

che contro di loro avevo combattuto ma che adesso, per nonessere ancora dalla parte del torto, stavo con loro rinchiusonel Lager I/B»1.Occorre però, a mio parere, che la memoria degli IMI non siconfonda in una mescolanza disordinata di vicende che sol-tanto parzialmente possono considerarsi analoghe, e che maipossono essere sovrapposte alla rinfusa. Mi preme perciò sol-lecitare una riflessione piantando ben fermi due paletti sualtrettanti punti nodali che ritengo importanti sotto i profili siamorale che storiografico.Il primo “paletto” da fissare riguarda il fatto che la vicendadegli internati militari italiani ha caratteristiche peculiari chedebbono essere evidenziate, salvaguardate e valorizzate. Lapiù importante di queste peculiarità è la “volontarietà”, che fadell’internamento dei nostri militari “resistenti” il risultato diuna scelta il più delle volte compiuta già al momento dellacattura, confermata nel lager e poi – è il caso degli ufficiali –reiterata più volte alle successive richieste e sollecitazioni. Cisono ex-Imi ancora oggi in grado di “contare” tutte le volteche hanno opposto un rifiuto di fronte alla prospettiva di libe-razione dal lager. Questa è una specificità che non può essereconguagliata sulla lunghezza d’onda di nessun’altra esperien-za concentrazionaria, e va coltivata come la dote più preziosache i nostri IMI hanno lasciato all’Italia, alle Forze Armate ealle nuove generazioni. Il secondo “paletto” da piantare riguarda la valorizzazionedella resistenza al lavoro. Si tratta di un fenomeno che inve-ste essenzialmente gli ufficiali, quantificabile in 20.000 uomi-ni circa, tolti gli optanti2, e già ampiamente indagato dalla sto-riografia, il cui riferimento cardine è ancora oggi costituito dallibro-relazione del tenente colonnello Pietro Testa3. È appenail caso di ricordare che una delle più accanite battaglie mora-

8schiavi di Hitler

UN CONTRIBUTO ALLA MEMORIA di Alessandro Ferioli

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9schiavi di Hitler

li degli intellettuali internati,combattuta nei Campi degliufficiali con le armi della cul-tura, dell’umorismo e dellafede, fu proprio quella indiriz-zata a confermare i compagnidi prigionia nella decisione dinon cedere alle richieste deitedeschi. Questa battagliaebbe il suo interprete più notoe indimenticabile in Giovan-nino Guareschi4, e il suo“notaio” più inflessibile nelcolonnello Testa, che anchedopo la liberazione, assuntoufficialmente il comando delCampo 83, condusse unaintensissima attività di discri-minazione per rendere notiall’autorità militare i nomina-tivi di coloro che avevano col-laborato attraverso il lavorovolontario (per i quali auspi-cava una punizione) e quellidi coloro che avevano inveceresistito sino in fondo o eranostati avviati al lavoro coattononostante tutte le rimostran-ze possibili, allo scopo di sal-vaguardare l’onore dei singolie, assieme, la verità storica.I provvedimenti contenuti nella Finanziaria 2007 non preve-dono però nulla a riguardo, e ciò rappresenta purtroppo unalacuna piuttosto grave, poiché rischia (se non correttamenteinterpretate ndr) di avere come effetto la divisione dellamemoria degli IMI: da una parte coloro che hanno lavorato(perché costretti o perché volontari, accomunati senza distin-zione) e dall’altra coloro che, potendo esercitare la proprialibertà di scelta anche se a rischio di rappresaglie, non hannoaccettato di servire il Reich; gli uni insigniti della medagliad’onore, gli altri no. Ecco, dimenticare o non porre nel giustorisalto, oggi, queste peculiarità dell’internamento dei militarisarebbe un po’ come un tradimento della memoria. Questa,perché sia davvero utile, deve essere conforme ai risultatidella storiografia più matura, e deve essere completa. Io per-sonalmente confido nel Ministro della Difesa Arturo Parisi, lacui sensibilità nei confronti degli ex-combattenti ci è già bennota, affinché possa interpretare il desiderio degli ex-IMI digodere di una “memoria pubblica” esatta, precisa, unitaria,integra e con tutti i tasselli collocati al posto giusto.Io spero anche – come augurio per il 2007 ai veterani,all’ANRP e a me stesso – che da queste premesse possa pren-dere avvio nella società italiana, e soprattutto nelle scuole,una nuova coscienza della funzione sociale dei veterani,magari non più visti come simpatici anziani, bianchi per anti-co pelo, già liquidati dallo Stato con Croci-di-Guerra-in-seriee miseri pesudo-riconoscimenti pensionistici, ma piuttostocome concittadini più esperti e più saggi; come uomini chehanno “viaggiato” più degli altri nella vita e hanno veduto ilVolto della guerra; come uomini sopravvissuti all’iniziazione

bellica e ritornati con un far-dello di morti infilati di forzanelle loro vite, e come taliportatori oggi d’un valoreaggiunto (purtroppo inascolta-to) nelle politiche di pace, ditolleranza e fratellanza tra ipopoli. È la memoria – cheanche la nostra associazioneporta avanti con tanta fatica esacrificio personale dei diri-genti “meno giovani” – a faredel Veterano un documento eun monumento vivente aiCaduti, e a farci comprenderemeglio l’assurdità di una logi-ca di guerra che trasforma gliesseri umani in pezzi diricambio provocando la mortedei sentimenti prima ancorache delle persone.Quale sia il senso profondodella memoria me lo ha fattocapire meglio la lettura deldiario inedito di FrancescoFerruccio Frisone (1909-1973), caporale dell’Esercitodegente nel lazzaretto diFullen, il quale essendo bravoa disegnare e dipingere si

occupò, nonostante l’infermità, della realizzazione delle iscri-zioni sulle croci del cimitero. Per lui, internato-pittore, lamemoria consisteva allora nel “fare le croci” e fotografare concarta e matita ciò che vedeva, perché anche noi potessimovedere. Il 23 gennaio 1945 però il caporale Frisone improvvi-samente non ha più lavoro, e ne annota sul diario il motivo:«Non ho piú nomi perché non si fanno le croci per mancanzadi legname (non é vero; ho constatato che é per malavolontáe disinteressamento). Le tombe sono spoglie, senza una croce,senza un nome; é ormai la tomba di tutti gli IMI, ognuno diloro ci rappresenta, i nomi non contano piú». I suoi disegni amatita riproducono scene del lager, o ritraggono i compagnisofferenti. In un disegno del 15 marzo 1944 Frisone ritrae ilmarinaio Ascione, malato irrecuperabile di Tbc: lo sguardo èormai spento di vita, rivolto verso il basso, quasi in attesadella morte ineludibile. In un disegno del 2 marzo, a Meppen,aveva ritratto il suo vicino di baracca sofferente, cogliendonesoprattutto gli occhi enormi, quasi guizzanti da un fisichinoormai ridotto a pelle e ossa. Ecco, la memoria interpretata dalpittore Frisone è memoria della sofferenza e del sacrificio, masoprattutto è monumento e voce di chi non è ritornato a casa.Così sia anche per noi. l

1 M. Rigoni Stern, Aspettando l’alba e altri racconti, Einaudi, Torino, 2004,p. 19.2 C. Sommaruga, “Dati numerici sugli ufficiali internati”, in: I militari italia-ni internati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, Giunti, Firenze, 1986, p.164.3 P. Testa, Wietzendorf, Leonardo, Roma, 1947.4 A. Ferioli, «I militari italiani internati nei lager del III Reich: GiovanninoGuareschi e la “resistenza senz’armi”», Nuova Storia Contemporanea, A. X,n. 2 (2006), pp. 23-56.

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Il Governo ha proposto, e il Parlamento ha approvato, la Leggefinanziaria 2007 nella quale, tra l’altro, si afferma che laRepubblica italiana riconosce a titolo di risarcimento soprattuttomorale il sacrificio dei propri cittadini deportati nei lager nazistinell’ultimo conflitto mondiale.La notizia è della fine dell’anno 2006 e ci arriva quasi come rega-lo di Natale a 63 anni dai fatti cui la legge si riferisce.È tardi? È troppo tardi? Non è tardi per un riconoscimento mora-le? La questione non può essere posta in questi termini e se oggi loStato italiano ritiene, a distanza di 63 anni dalla fine della guer-ra, di esprimere a titolo di risarcimento soprattutto morale, laconcessione di una medaglia d’onore a ricordo, non ci sembrache oggi l’intervento dello Stato abbia potuto trovare il giustotempo per far battere ad onore di chi ha servito la Patria, la cam-pana del soldato.Non è così che gli internati militari e civili, ridotti ormai ad unnumero che neppure può tenere un confronto con quello iniziale,può ricordare al Paese il comportamento di coloro che lo difese-ro con un sacrificio personale, che da decenni doveva essere ono-rato pubblicamente in tutto il Paese, così come si è onorata laResistenza partigiana.I militari italiani internati in Germania sono stati per tutti que-sti decenni lo strumento politico occulto per trattare, concorda-re, discutere, rinviare, accreditare intese di ogni genere chehanno avuto come moneta di scambio l’accantonamento nontanto di un problema, quanto di un fatto bellico di inaudita fero-cia che dal martirio dei soldati di Cefalonia arriva al tradimen-to della consegna di una parte del nostro Esercito allo Statotedesco, per farne uso per il proprio strumento bellico, contro lavolontà dei nostri soldati, dimenticati allora da chi aveva l’ob-bligo legittimo della loro tutela, ricercati e oppressi da chi vole-va e non otteneva la conferma di un’ideologia fascista, portataagli eccessi della violenza e dellailliceità costante.Qual è la ragione per cui dal 1945in poi gli internati militari italiani,che costituirono il primo attodella vera resistenza contro ilnazismo, non hanno ottenuto dalParlamento, malgrado ripetutiinutili tentativi, un pubblico rico-noscimento?Perché, come detto, moneta discambio “occulta” nei rapportipolitici fra i due Paesi per evitar-ne rotture definite pericolose. Nesanno qualcosa, e ce lo dicono idocumenti, i ministri Martino,Pacciardi, Taviani e con loroancora direttamente, potrebbedirci qualcosa, più degli armadidel procuratore Santacroce con leante riverse al muro, il presidenteAndreotti per molti anni alla dife-sa ed agli esteri.Al Governo Berlusconi si fecesapere della costituzione di un

Comitato (su iniziativa dell’ANRP e presieduto dall’avv. EnricoCiantelli n.d.r), per la costruzione di un Monumento Memorialeper gli internati militari italiani nei lager tedeschi, (atto notaioCerini di Roma del 20.7.2005), ed il Presidente Ciampi tramite ilproprio consulente diplomatico Ambasciatore Antonio PuriPurini, oggi nostro rappresentante a Berlino, ci fece conoscere ilproprio diretto interessamento, ma nel corso del suo ultimo viag-gio di Stato in Germania fu sconsigliato di parlarne.L’atto costitutivo del Comitato testualmente dice che è costituitotra i comparenti un Comitato per promuovere la tutela dellaMemoria degli internati militari italiani (IMI) in Germania e neiterritori del Terzo Reich, sacrificati alla barbarie nazista allaquale autonomamente, ma fermamente, contrapposero con il“NO” la più valorosa resistenza anche se colpiti da sevizie disu-mane. Questo lo scopo, e di tanto si è informato anche la Germania,per darle la possibilità di trovare d’intesa con l’Italia il mododi chiudere onorevolmente mediante la costruzione di unMemoriale denominato “Monumento Memoriale agli Internatimilitari italiani nei lager nazisti”, da erigersi sia in Italia chein Germania per ricordare, onorare e riassumere per il futuro,la strada delle antiche tradizioni onorevolmente richiamate,anche se da parte tedesca attendono venga espressa la condan-na di quegli atti efferati che non furono soltanto del partito diHitler, ma anche dell’esercito tedesco.La ragione del Comitato per il monumento agli internati è quel-la di far conoscere ai vari ministeri le varie proposte di leggeper la liquidazione di un indennizzo agli IMI, anche perché labuona volontà del Presidente della Commissione difesa non fumai sufficiente neppure nell’ultima legislazione a portare inaula la proposta di legge che vedeva maggioranza ed opposizio-ne d’accordo nel concordare una decisione che fosse finalmen-te espressione della gratitudine del Paese e la condanna irrever-

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I RICORDI NEL DIMENTICATOIO di Enrico Ciantelli

Elaborazione a cura dell’Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta”

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sibile di fatti a cui circa un milione di italianifurono interessati.A chiusura della precedente legislatura chi scriveindirizzò una lunga lettera alla neo nominata can-celliere federale, dott. Angela Merkel che risposedichiarando di voler trovare una decorosa soluzio-ne ad “un fatto”che sensibilmente l’addolorava eche sapeva doveva essere riparato nei termini piùadeguati.Ella invitava pertanto l’ambasciatore tedesco aRoma ad iniziare queste trattative direttamente epersonalmente con chi le aveva scritto, tanto cheil 27 marzo del 2005 avemmo all’ambasciata diGermania una cordialissima quanto intensa con-versazione che sembrava auspicasse a breve lapossibilità del reperimento di una soluzione cherientrasse nelle previsioni del cancelliere Merkel.Di tutto ciò fu informato immediatamente ilMinistero degli esteri, il Ministero della difesa, nonché ilQuirinale; tutti apprezzarono e tutti promisero di iniziare solleci-tamente gli incontri per una soluzione proficua.A distanza di oltre un anno nulla è stato fatto e adesso vi è la stra-ordinaria iniziativa di un segno da parte dello Stato italiano che atitolo di risarcimento dopo 63 anni vuol concedere una medagliad’onore agli internati.Non è che viene concessa una ricompensa a titolo di onorificen-za, ma il “saldo del riconoscimento del Paese”, cioè il risarcimen-to! Da noi mai chiesto all’Italia in quei termini.Al proponente di questa legge possiamo dire che siamo grati diquesto ricordo, anche se ci arriva dopo 63 anni!!Noi però lo respingiamo, perché è nostro dovere di cittadinirespingerlo, in quanto l’Italia non ha da risarcirci, perché il nostroè stato un comportamento di riscatto nei confronti della barbarienazista; riscatto a favore della ricostituzione della democrazia,alla quale attribuire i poteri della responsabilità dello Stato, nellapresunzione si capisse che, se si serve lo Stato o si assumono ini-ziative a favore dello Stato o del Paese, lo si fa non tanto peravere dopo quasi un secolo una medaglia di riconoscimento,quanto per modificare la storia del Paese. In 60 anni nulla è statoancora ricordato nei libri scolastici di questo straordinario e spa-ventoso episodio, dove oltre 800 mila italiani dimenticati da chidi loro aveva responsabilità diretta, autonomamente, senzadimenticare la legittimità del Paese e i suoi governanti, ha contri-buito al suo consolidamento ed alla sua ripresa, senza ovviamen-te andare a pretendere, o chiedere risarcimenti di sorta, al di la diquelli che erano gli obblighi naturali.Ed oggi i militari italiani internati in Germania dicono alloStato e al Paese che il risarcimento che lo Stato pensa di doverdare non può esprimersi né attuarsi nei termini proposti nellalegge, perché sarebbe come disperdere definitivamente un epi-sodio storico che incide nella storicità dei comportamentinazionali che non vanno dispersi. La medaglia a titolo onorifi-co, infatti, segue le sorti dell’assegnatario o del destinatariodella medaglia, mentre un monumento che sia un memoriale diquello che è accaduto, può essere capito anche tra 100 anni. IlGoverno deve capire che con la Germania deve necessariamen-te ottenersi una dichiarazione, proposta ad iniziativa dellaGermania ed accolta dall’Italia in una comune dichiarazione,che costituirà riappacificazione per una ripresa anche etica,oltre che storica, dei rapporti tra i due Paesi.Ecco perché gli italiani debbono avere, come ad El Alamein, nontanto un cimitero in cui vengano raccolti i nostri caduti, (non liritrovammo sono stati bruciati) quanto un Memoriale che sial’elemento di riflessione, di attenzione, di considerazione, di

valutazione storica, di profonda meditazione, per trovare gli ele-menti occorrenti nell’educazione di questa umanità europea che,se ha superato ormai il tempo delle sue guerre, vi è arrivata attra-verso episodi bellici di inaudita crudeltà. E quindi si “chiudano”con un atto significativo gli episodi di atrocità di cui l’Europa siè macchiata.Questo è il significato del Memoriale, questo il suo riconosci-mento anche a titolo di risarcimento nei confronti dei sopravvis-suti, ai quali sarà probabilmente difficile poter arrivare a vederloe partecipare alla sua inaugurazione.Questo è quello che deve essere fatto e questo è il provvedimen-to di legge che gli internati si attendono, che nel giorno della suainaugurazione potranno anche ricevere una medaglia di ricono-scimento.Ed allora capiterà che lo Stato, dal grande cesto del dimentica-toio italiano, raccoglierà un ricordo antico da porre all’atten-zione del Paese: il munifico riconoscimento di una medagliad’onore, a 65 anni dai fatti, da consegnare a chi ancora possaessere in vita o agli eredi di quelli che possano ancora avereconservati i titoli per poter acquisire il grande onore di unamedaglia che ricordi fatti che il Paese non ha ignorato, ma hatenuto evidenti e presenti nelle trattative, nelle transazioni,negli accordi, nei protocolli che nei molti decenni sono inter-venuti tra Italia e Germania.Gli IMI hanno giocato un ruolo determinante nelle decisioni chesono state prese con modalità che la presenza di un problema cosìevidente, grave, indiscutibile, costituiva nelle trattative un prez-zo ed un valore inestimabile.La politica degli accordi e delle intese, mentre si consolidavail Patto atlantico, mentre la Germania veniva ammessaall’ONU e otteneva consensi e autorizzazioni sul piano pretta-mente civile e commerciale in virtù delle intese del Mercatocomune ed altrettanto succedeva pure per il nostro Paese, rela-tivamente a posizioni politicamente di comodo, il problemadegli internati rimaneva irrisolto, malgrado gli affidamenti,malgrado le celebrazioni, ricorsi i richiami e i ricordi. Il van-taggio non era indifferente per chi avrebbe dovuto indennizza-re, visto che il decorso del tempo e le regole della natura face-vano giustizia, riducendo annualmente il numero degli aventidiritto, che uscivano dal Paese silenziosamente, con il saluto diqualche commilitone e con le bandiere delle associazioni ripe-tutamente listate a lutto, ma senza che vi fosse mai una cele-brazione di natura nazionale sino a quando da poco auspice ilPresidente Ciampi, siamo arrivati al Giorno della Memoria.Una celebrazione che tuttavia non concedeva agli IMI se nonqualche riga degli spazi rilasciati dai media.

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Dopo che a oltre sessanta anni, lo Statoriconosce a titolo di risarcimento soprattut-to morale il sacrificio degli ex militari ita-liani internati e pertanto concede loro unamedaglia d’onore, ma non assume contem-poraneamente e una volta per tutte l’impe-gno che ha proposto spontaneamente lasignora Merkel, peraltro proponendo a chiscrive queste note l’impegno di avviare unatrattativa che nulla può aver prescritto e chei responsabili dello Stato tedesco dichiaranodi voler indennizzare adeguatamente alsacrificio di chi fu internato.Non riteniamo che una medaglia di ricono-scimento che sia a titolo risarcitorio e i cuieffetti sono sempre concreti e mai soltanto etici e morali possaoggi chiudere il discorso degli internati.Il problema degli internati militari non sarà mai prescritto enon sarà mai sanato neppure con un risarcimento da partedell’Italia o della Germania; ambedue gli Stati ormai sonouniti in una solidale responsabilità per il fatto che il problemagiuridico che si costituì nel momento stesso in cui gli italianimilitari venivano internati è rimasto irrisolto, tanto dall’unaquanto dall’altra parte, con violazioni di una gravità eccezio-nale e che obbligano tanto l’uno quanto l’altro Stato a provve-dere ad un risarcimento.Il Presidente del Parlamento di Bonn dott. Gerstenmaier, allorchéfu presentato l’accordo del 1962 per i perseguitati civili politici,razziali e religiosi, protocollo sottoscritto dallo scrivente assiemeall’Ambasciatore Quadroni, ebbe a dichiarare:

“Mi permetto ricordarvi che la prima assem-blea federale, nella sua ultima sessione aColonia, si era impegnata concordi tutti i par-titi a portare la questione delle riparazioniinnanzi alla seconda assemblea federale inmaniera da esaminarla nuovamente alloscopo di portarci ad una risoluzione miglioredi quella cui pervenne la prima assemblea.Presentandola oggi io penso che abbiamomantenuto il nostro impegno e cioè chel’avremmo effettivamente mantenuto dopoche voi avrete riformato questa legge.Quando questa legge sarà stata riformatacon o senza emendamenti l’assemblea delpopolo tedesco avrà fatto atto di buona

volontà: tuttavia sarà sempre particolarmente doloroso per noiperché noi saremo sempre in debito di qualcosa di irreparabile chenon può essere reintegrato, che non si rettifica con dei pagamenti,con delle riparazioni in natura o con dei testi legislativi. E poichésiamo uomini di coscienza noi non potremo mai rimanere insensi-bili a questi problemi anche dopo che li avremo risolti: nessunodovrà dirsi questo affare è finalmente finito con un indennizzo for-fettario, in quanto abbiamo adempiuto alle nostre obbligazioni.Questo varrebbe da un punto di vista finanziario e giuridico, manoi avremo sempre un debito da pagare pel nostro passato”.Una medaglia è un riconoscimento, il riconoscimento di un fattoche non può essere ricordato con la concessione per il risarci-mento con una medaglia d’onore, la medaglia d’onore si conce-de a chi del fatto si è reso partecipe entro limiti di tempo quindiragionevoli. l

E’ facile riandare con la memoria aquell’episodio della storia sarda chevide un sovrano di Spagna ringraziareper le ovazioni la popolazione di unacittà dell’isola, creando cavalieri tutti gliabitanti, ma quel cavalierato era propriociò che si aspettavano? L’antico fattarel-lo ci propone un parallelo con l’idea cheha avuto una commissione parlamentaredi soddisfare con un’apposita medaglia ideportati in Germania e in Polonia, inconsiderazione dei lavori forzati cuifurono adibiti dai tedeschi.In primo luogo perchè un numero limi-tato di essi non venne adibito a tali lavo-ri, ma soprattutto perchè l’idea di unriconoscimento era nata dal propositodel nuovo Stato tedesco di sdebitarsidalle prestazioni coatte ricevute durantela guerra da masse di cittadini europei e,fra essi –si pensava- anche degli italiani.Poi la Corte Suprema di Giustizia tede-

sca ritornò sulla decisione con l’improv-visa constatazione che gli italiani dove-vano essere considerati dei prigionieri diguerra e non dei comuni lavoratori.Pertanto come prigionieri essi, ai sensidelle convenzioni ginevrine, erano tenu-ti al lavoro, del resto ben remunerato (!)dai pasti e dai soggiorni nei lager!Quando il “Summum Jus” diventa“Summa Injuria”!Si è ritorto in questo modo contro di noiil rifiuto tedesco di considerarci prigio-nieri di guerra, a seguito dell’accordointervenuto fra Hitler e Mussolini diconsiderare i giovani italiani deportati interra tedesca dai Balcani, dall’Egeo,dalla Francia e dalla stessa Italia, noncome prigionieri di guerra ma come“internati militari”.Questa pattuizione con il regime di Salòportò all’esclusione di 600.000 militariitaliani dalle competenze della Croce

Rossa Internazionale, e i bianchi camionprovenienti da Ginevra con medicinali equalche po’ di cibo restarono per noi unfenomeno di illusoria aurora boreale,senza che nulla venisse concesso per lenostre malattie e la nostra fame.Peggio ancora: il non chiaro stato giuri-dico fece sì che le masse dei soldati edei sottufficiali inviati al lavoro coattosubissero un trattamento assimilabilesoltanto a quello cui erano sottoposti iprigionieri russi, priva di protezioniinternazionali. Adesso quello stratagem-ma giuridico viene usato dalla Cortetedesca per rifiutare quel modesto com-penso del lavoro svolto nelle officine,sulle linee ferrate, nello sgombro dellemacerie dei bombardamenti e alle stalledelle campagne tedesche, per affermareche gli italiani debbono starsene conten-ti di uno status di prigionieri che si èrisolto in una pura illusione!

TUTTI CAVALIERI PER FORZAdi Armando Ravaglioli

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12schiavi di Hitler

Dopo che a oltre sessanta anni, lo Statoriconosce a titolo di risarcimento soprattut-to morale il sacrificio degli ex militari ita-liani internati e pertanto concede loro unamedaglia d’onore, ma non assume contem-poraneamente e una volta per tutte l’impe-gno che ha proposto spontaneamente lasignora Merkel, peraltro proponendo a chiscrive queste note l’impegno di avviare unatrattativa che nulla può aver prescritto e chei responsabili dello Stato tedesco dichiaranodi voler indennizzare adeguatamente alsacrificio di chi fu internato.Non riteniamo che una medaglia di ricono-scimento che sia a titolo risarcitorio e i cuieffetti sono sempre concreti e mai soltanto etici e morali possaoggi chiudere il discorso degli internati.Il problema degli internati militari non sarà mai prescritto enon sarà mai sanato neppure con un risarcimento da partedell’Italia o della Germania; ambedue gli Stati ormai sonouniti in una solidale responsabilità per il fatto che il problemagiuridico che si costituì nel momento stesso in cui gli italianimilitari venivano internati è rimasto irrisolto, tanto dall’unaquanto dall’altra parte, con violazioni di una gravità eccezio-nale e che obbligano tanto l’uno quanto l’altro Stato a provve-dere ad un risarcimento.Il Presidente del Parlamento di Bonn dott. Gerstenmaier, allorchéfu presentato l’accordo del 1962 per i perseguitati civili politici,razziali e religiosi, protocollo sottoscritto dallo scrivente assiemeall’Ambasciatore Quadroni, ebbe a dichiarare:

“Mi permetto ricordarvi che la prima assem-blea federale, nella sua ultima sessione aColonia, si era impegnata concordi tutti i par-titi a portare la questione delle riparazioniinnanzi alla seconda assemblea federale inmaniera da esaminarla nuovamente alloscopo di portarci ad una risoluzione miglioredi quella cui pervenne la prima assemblea.Presentandola oggi io penso che abbiamomantenuto il nostro impegno e cioè chel’avremmo effettivamente mantenuto dopoche voi avrete riformato questa legge.Quando questa legge sarà stata riformatacon o senza emendamenti l’assemblea delpopolo tedesco avrà fatto atto di buona

volontà: tuttavia sarà sempre particolarmente doloroso per noiperché noi saremo sempre in debito di qualcosa di irreparabile chenon può essere reintegrato, che non si rettifica con dei pagamenti,con delle riparazioni in natura o con dei testi legislativi. E poichésiamo uomini di coscienza noi non potremo mai rimanere insensi-bili a questi problemi anche dopo che li avremo risolti: nessunodovrà dirsi questo affare è finalmente finito con un indennizzo for-fettario, in quanto abbiamo adempiuto alle nostre obbligazioni.Questo varrebbe da un punto di vista finanziario e giuridico, manoi avremo sempre un debito da pagare pel nostro passato”.Una medaglia è un riconoscimento, il riconoscimento di un fattoche non può essere ricordato con la concessione per il risarci-mento con una medaglia d’onore, la medaglia d’onore si conce-de a chi del fatto si è reso partecipe entro limiti di tempo quindiragionevoli. l

E’ facile riandare con la memoria aquell’episodio della storia sarda chevide un sovrano di Spagna ringraziareper le ovazioni la popolazione di unacittà dell’isola, creando cavalieri tutti gliabitanti, ma quel cavalierato era propriociò che si aspettavano? L’antico fattarel-lo ci propone un parallelo con l’idea cheha avuto una commissione parlamentaredi soddisfare con un’apposita medaglia ideportati in Germania e in Polonia, inconsiderazione dei lavori forzati cuifurono adibiti dai tedeschi.In primo luogo perchè un numero limi-tato di essi non venne adibito a tali lavo-ri, ma soprattutto perchè l’idea di unriconoscimento era nata dal propositodel nuovo Stato tedesco di sdebitarsidalle prestazioni coatte ricevute durantela guerra da masse di cittadini europei e,fra essi –si pensava- anche degli italiani.Poi la Corte Suprema di Giustizia tede-

sca ritornò sulla decisione con l’improv-visa constatazione che gli italiani dove-vano essere considerati dei prigionieri diguerra e non dei comuni lavoratori.Pertanto come prigionieri essi, ai sensidelle convenzioni ginevrine, erano tenu-ti al lavoro, del resto ben remunerato (!)dai pasti e dai soggiorni nei lager!Quando il “Summum Jus” diventa“Summa Injuria”!Si è ritorto in questo modo contro di noiil rifiuto tedesco di considerarci prigio-nieri di guerra, a seguito dell’accordointervenuto fra Hitler e Mussolini diconsiderare i giovani italiani deportati interra tedesca dai Balcani, dall’Egeo,dalla Francia e dalla stessa Italia, noncome prigionieri di guerra ma come“internati militari”.Questa pattuizione con il regime di Salòportò all’esclusione di 600.000 militariitaliani dalle competenze della Croce

Rossa Internazionale, e i bianchi camionprovenienti da Ginevra con medicinali equalche po’ di cibo restarono per noi unfenomeno di illusoria aurora boreale,senza che nulla venisse concesso per lenostre malattie e la nostra fame.Peggio ancora: il non chiaro stato giuri-dico fece sì che le masse dei soldati edei sottufficiali inviati al lavoro coattosubissero un trattamento assimilabilesoltanto a quello cui erano sottoposti iprigionieri russi, priva di protezioniinternazionali. Adesso quello stratagem-ma giuridico viene usato dalla Cortetedesca per rifiutare quel modesto com-penso del lavoro svolto nelle officine,sulle linee ferrate, nello sgombro dellemacerie dei bombardamenti e alle stalledelle campagne tedesche, per affermareche gli italiani debbono starsene conten-ti di uno status di prigionieri che si èrisolto in una pura illusione!

TUTTI CAVALIERI PER FORZAdi Armando Ravaglioli

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E merita considerazione il propositodello Stato italiano di indennizzare ipropri cittadini mortificati dall’atteg-giamento tedesco: ma l’indennizzoidoneo non potrebbe essere altro chequello messo in atto dalle aziendetedesche che avevano avuto ai loroordini la forza lavoro italiana. L’unicoindennizzo possibile sarebbe stato,cioè, di natura economica, l’unico apotersi porre sul piano di quei fatti cuiappartennero il duro lavoro, lo sfrutta-mento e le angherie di ogni genere chesubirono quei lavoratori. Non serveinfatti un riconoscimento ideale, giàcontenuto nella speciale Croce a meri-ti di guerra concessa a tutti i reclusi nei

lager che tennero fede all’impegno dinon collaborare con il nemico.Oltretutto, come ho già detto, il rico-noscimento per le prestazioni coatte dilavoro non sarebbe attribuibile in ognicaso a coloro che, invocando la lorocondizione di ufficiali e quindi nonassoggettabili -secondo Ginevra- allavoro a vantaggio del nemico, riusci-rono a sfuggire alla destinazione per illavoro forzato.Gli ordini erano già dati, e dal dicembredel ’44 assistemmo alla partenza daicampi di tanti colleghi inviati d’obbligoa spalare neve e macerie dalle strade diAmburgo o di Brema, mentre fioccava-no le bombe. Non c’è dubbio che, nel

corso di un altro poco di tempo tecnicooccorrente per inviarci alle nuove desti-nazioni, avremmo anche noi seguitoquella sorte. Ma le armate angloameri-cane furono più sollecite nell’investire inostri campi della Westfallia, e fummorestituiti alla libertà prima che quel-l’evento si verificasse. Quindi, perchè gratificarci con unamedaglia non meritata? In ogni caso seproprio quelle medaglie, inadeguatoriconoscimento di un lavoro da schiavi,si dovessero concedere, per favore nerestino esenti coloro che con orgogliohanno sempre vantato di non aver pre-stato lavoro per i detentori. “Todoscaballeros”!. Ma senza di noi. l

NON È MOLTO MA PUR SEMPRE QUALCOSA

Caro Orlanducci, non potrò partecipare alla riunione del18 gennaio, in quanto a Gubbio perimpegni precedenti. Ho potuto leggere,da uno scritto di Armando Cossutta,quanto in Finanziaria si è potuto ottene-re. Non è molto ma pur sempre qualcosa.Ci sono alcuni punti che non mi sonochiari:1) l’OIM cosa c’entra? Se non per forni-re il materiale in sue mani. Materiale chenon era in grado di capire e valutareallora e che non è certo in grado di capi-re e valutare ora. Sappiamo bene che sequalche lavoratore coatto ha potutoavere un indennizzo, seppur non deporta-to in KZ, non è stato certo per meritodell’OIM. Anzi.2) L’OIM trasmette le istanze di ricono-scimento. Di che? Visto che ha ricono-sciuto solo i deportati nei KZ o in altriluoghi di detenzione a questi assimilati.Altra cosa è se consegna tutte ledomande pervenute alla propria sederomana, semplificando il lavoro dellaapposita commissione che dovrà soloprendere atto e trascrivere dati anagra-fici e indirizzi. Tre anni per questo lavo-ro sembrano essere eccessivi, a menoche altro e più importante si vogliafare. In caso contrario è ancor più inu-tile la sua presenza. Salvo poter parte-cipare alla ripartizione dei 150.000Euro previsti al comma n. 1276. Nonmale per una prestazione nominale.

3) Quando si parla di deportati o inter-nati, cosa si intende? E cosa si intendeper lavoro coatto? E i lavoratori “schia-vi”, cioè quelli che hanno beneficiatodell’indennizzo tedesco sono esclusi daquesto provvedimento italiano?4) Quanti ministeri nella commissione.Nonché qualche esclusione tra le asso-ciazioni storiche, che tuttavia non mimeraviglia.Grazie per l’attenzione e un cordialesaluto.

Aldo Pavia Segretario generale dell’ANED

NESSUNO SFUGGÌ ALLA BRUTALITÀ NAZISTA

Caro Enzo, negli oltre 60 anni decorsi dalla fine delsecondo conflitto mondiale tutta una let-teratura, specializzata e non, si è cimen-tata nella descrizione delle brutaliangherie che i nazisti riservarono agliIMI, cioè a quei 640.000 italiani, irrego-lari secondo i nazisti, accusati ingiusta-mente di tradimento verso l’alleato tede-sco, che, per rivalsa, li deportò e internònei lager del 3° Reich.Nessuno di quei 640.000 IMI sfuggì allabrutalità nazista, ovunque fosse capita-to, cioè: nei lager, negli Straflager, onei Konzentrations-Lager, elencati nel-l’ordine progressivo dei maltrattamentisubiti.In sede internazionale i Konzenntrations-Lager erano veri e propri “campi di ster-

minio” e non dei semplici “campi di con-centramento”, come la traduzione lette-rale dal tedesco li definisce. Chi scrive fu“ospite” di ben dieci lager, in Germaniae Polonia, tre dei quali ubicati rispettiva-mente in Vestfalia, Renania e BassaSassonia, oggi ufficialmente riconosciutiquali veri e propri “campi di sterminio”.Con la legge finanziaria 2007 lo stato ita-liano non intende garantire, come dovreb-be, un adeguato risarcimento economicoai pochissimi IMI ancora in vita, senzasottoporli ad ulteriori gravami burocrati-ci, ma si limita a concedere una purapprezzabile medaglia d’onore a quanti,non importa se militari o civili, in gradodi dimostrare che catturati e deportati dainazisti nei territori controllati dal 3°Reich, furono impiegati nel lavoro coatto.Ciò che preoccupa maggiormente è comeottenere il formale riconoscimento dellostatus di lavoratore coatto.Ancora più gravoso sarebbe ottenere ilsuddetto titolo per i tanti IMI, nemmenoristretti nei lager, ma ugualmente costrettial lavoro. A tal proposito mi limito a con-statare che, se una parte degli ufficiali ita-liani, pur non tenuti ad aderire al lavorovi fu obbligata, anche gran parte dei sot-tufficiali e della truppa che, secondoGinevra, potevano essere impiegati soltan-to in lavori non a carattere bellico, furonoillegalmente e brutalmente destinati:1) al lavoro forzato nelle miniere del 3°Reich;2) alla rimozione delle macerie, sotto lebombe alleate, durante le incursioni nellecittà tedesche.

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PUNTUALIZZAZIONI

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Quale formale, burocratica documenta-zione si può pretendere da costoro, chenon possono nemmeno dimostrare diessere stati ristretti in uno qualsiasi deilager sopra rammentati?Chi scrive è un ex-IMI e in particolare,uno dei 360 Ufficiali costretti al lavoroforzato nello Straflager di Köln Merheim.Nell’estate del 1944, assistette giornodopo giorno, al transito per quel lager,dei militari italiani, morenti, illegalmenteimpiegati nelle miniere della Renania.Erano anch’essi IMI che confessavano anoi, coatti come loro, di preferire lamorte al lavoro nelle miniere…Come negare agli ultimi superstiti – uffi-ciali o soldati che siano – reduci dailager nazisti, persino un riconoscimentosimbolico come la medaglia d’onore?Non sarebbe sufficiente richiedere aipochissimi IMI ancora in vita, o ai lorofamiliari superstiti, una semplice dichia-razione giurata (accompagnata o menodal foglio matricolare militare) in presen-za di un pubblico Ufficiale, civile o mili-tare, per ottenere la suddetta “simboli-ca” medaglia, senza ulteriori, inutili…tribolazioni burocratiche?

Olindo OrlandiEx IMI - Consigliere Nazionale dell’ANRP

RICONOSCIMENTOESCLUSIVAMENTE MORALE

Caro Enzo,Ti ringrazio per l’informazione che mihai mandato su quanto riportato dallalegge finanziaria 2007.Ovviamente non si tratta di un “risarci-mento soprattutto morale” ma esclusiva-mente morale, non penso che possa con-siderarsi un risarcimento materiale lamedaglia d’onore prevista. Si tratta quin-di di poca cosa e come risarcimento èmisero e tardivo.Mi sembra che vi sia un po’ di confusione.Entrando nel merito i paragrafi 1272-1273 parla di riconoscimento dello statusdi lavoratore coatto. Ora per i militarisottufficiali e truppa, la Convenzione diGinevra prevede il lavoro obbligatorio,anche se con alcune limitazioni, relative alavorazioni belliche. Secondo quanto pre-visto al paragrafo 1272, la concessionedella medaglia d’onore sembrerebbe riser-vata ai soli “…militari e civili internatinei lager nazisti e destinati al lavoro coat-to per l’economia di guerra”. Gli internatimilitari che hanno rifiutato il lavoro,subendo, in conseguenza pesanti ripercus-sioni, sembrerebbero esclusi! Occorre chequalcuno intervenga per chiarire.

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FATICOSO PERCORSO DI CRESCITA CIVILE E STORICA

di Valter Merazzi*

La legge pubblicata sulla Gazzetta ufficiale lo scorso 22 dicembre, che riconosce ilsacrificio di chi venne deportato e internato nei lager nazisti, destinato ad esseresfruttato come lavoratore coatto nelle imprese del Reich, è un passaggio importantenel faticoso percorso di crescita della coscienza civile e storica dell’Italia repubbli-cana.Un passaggio indiscutibilmente tardivo, ma tale da costituire un punto fermo. Unalegge sofferta sulla quale gravano la distanza, le dimensioni e articolazioni deglieventi, i ritardi della storiografia, le difficoltà del Paese a fare i conti con la sua sto-ria. Questo anche nella considerazione che nessuno Stato e nessuna forma di risar-cimento ripagherà gli schiavi di Hitler del furto di vita e delle sofferenze patite.Personalmente ritengo che la legge sia importante per due motivi. Il primo è chemette al centro la categoria del lavoro coatto, decisiva per guardare senza retorica alcuore di avvenimenti così drammatici, in grado di comporre in un unico quadro leesperienze individuali di militari, civili, prigionieri politici.Il secondo motivo è che riscatta la memoria rimossa dei reduci della Germania, lalibera dall’isolamento di sessant’anni, coniugando l’esperienza “storica” di unagenerazione mandata al macello dal fascismo e poi tradita e consegnata in manotedesca, con la “storia condivisa” del Paese.Sono soprattutto le voci di operai, impiegati, contadini, manovali, studenti che silevano da questa vicenda. Le voci della generazione che nel silenzio del dopoguer-ra ha saputo rico-struire l’Italia.Questo riconosci-mento morale serve acolmare un debitostorico della Nazio-ne, cogliendo lo spi-rito che ha animato,in tutti questi annil’attività delle asso-ciazioni dei reduci e,a partire dal 2000, lacampagna in difesadegli schiavi di Hitlera seguito della leggetedesca per il risarci-mento del lavorocoatto e schiavistico.Va reso merito al Parlamento, che ha approvato un testo condiviso da tutti i gruppipolitici, e al Presidente del consiglio Romano Prodi per aver creduto in questo prov-vedimento, dando così sollecito seguito alle promesse fatte in campagna elettorale.Sono comunque convinto che la mancanza di un risarcimento monetario, seppurminimo, lasci nei reduci l’amaro in bocca, non ricompensabile col fatto che questoriconoscimento riguardi tutti gli 800.000 deportati italiani, civili e militari, un deci-mo dei quali ancora viventi. Di una cosa siamo certi: i reduci che abbiamo incontrato in questi sette anni non sisono mai illusi di ricevere alcunché, ma non hanno mai rinunciato a chiedere alloStato italiano il giusto riconoscimento delle sofferenze e il ricordo delle vite consu-mate nei lager.Lo spirito di questa legge nell’incontrare queste richieste, costituisce un risultatodunque importante.È necessario chiedersi perché siano occorsi così tanti anni per riconoscere la dimen-

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Per quanto riguarda il sistema da adotta-re, Ti consiglio di vedere quanto è già incorso per le vittime delle foibe, riducendoal minimo la burocrazia. Per esempio ionon ho alcun documento ufficiale relativoa mio padre, so solo quello che mi haraccontato.Tanti cari saluti

Giuliano Manzari Figlio di ex IMI

PER NON DIMENTICARE

Egregio Prof. Orlanducci,Le voglio esprimere il mio personalecompiacimento circa il lavoro svoltodalla nostra Associazione e l’incessantesforzo da Lei direttamente compiuto peril legittimo riconoscimento, da parte delnostro Governo, del sacrificio dei propricittadini deportati ed internati nei lagernazisti.Resta, ovviamente, l’amarezza per nonaver ancora ottenuto dalle autorità tede-sche il tanto auspicato e più che legittimoriconoscimento di quel sacrificio, moraleancorché economico, che comunquequelle autorità avrebbero dovuto accor-dare. Ma devo altresì ammettere che l’at-tenzione e la sensibilità del nostroGoverno oggi attraverso quel riconosci-mento morale riempiono di dignitosagioia ed orgoglio nazionale il mio spiritodi cittadino che servì la Patria.Pertanto mi auguro, unendomi al coro ditutti i nostri associati, che questo atto delnostro Governo costituisca pietra miliaredi quel riconoscimento tanto atteso etanto voluto per non dimenticare il sacri-ficio di quanti, deportati e internati, nonpossono più testimoniare oggi con il lorocoraggio, l’orgoglio di questo atto.

Giuseppe de CamelisEx IMI

POI VENNE L’OIM

Caro Enzo,… Poi venne l’O.I.M. per risolvere il pro-blema tramite il concorso delle industrietedesche, ma le difficoltà aumentarono enon diminuirono e tutti sanno delle discus-sioni sul lodo Tomuschat. Per la granmassa dei lavoratori ugualmente costrettinei campi di lavoro forzato, l’O.I.M. harigettato ogni istanza, per cui allo stato ladisputa continua, pur essendo tutti ancorain attesa di conoscere dove sono andati afinire i soldi versati dalla RepubblicaFederale tedesca in base all’Accordo diBonn del 2 giugno 1961.

sione di una vicenda drammatica che ha coinvolto nel profondo un numero cosìampio di cittadini e di famiglie.Molteplici sono i motivi che una storiografia, restia ad occuparsi a fondo della sto-ria repubblicana, non ha, sino ad oggi, illuminato sufficientemente. Motivi derivan-ti dalla difficoltà a far fronte a un milione e mezzo di reduci delle diverse prigionie,dalle opportunità e rigidità della guerra fredda, dagli “imbarazzi” di settori signifi-cativi del paese nei confronti del fascismo e dell’otto settembre ‘43, dalla monumen-

talizzazione dellastessa Resistenza,dall’uso politico edalla banalizzazione,anche istituzionale,della riflessione sullamemoria.Sin dalla liberazionedal lager, i deportatiitaliani in Germaniasono stati discrimina-ti, trattati come unoggetto ingombrante,di difficile colloca-zione nei delicati ecomplessi equilibridel dopoguerra.

Gli accordi bilaterali italo tedeschi del 1961 relativi alle riparazioni di guerra esclu-sero da qualsiasi indennizzo la grande maggioranza dei reduci dalla Germania, rico-noscendo responsabilità solo verso i deportati politici e razziali, cui lo Stato conces-se nel 1980 un vitalizio. Va qui ricordato che nel 1998 per iniziativa diretta delPresidente Oscar Luigi Scalfaro venne concessa la Medaglia d’Oro V.M.all’Internato Ignoto del Tempio di Terranegra di Padova.Le cifre della deportazione degli italiani sono impressionanti e articolate.Oltre 600.000 militari rifiutarono l’arruolamento nelle forze nazi-fasciste: procla-mando e reiterando il loro NO! alla guerra, subirono lager e schiavitù del lavoro incondizioni spesso pesantissime, come confermano le fonti tedesche stesse.Nell’ordine dei 40-50.000 il numero dei militari deceduti; approssimativo come tuttii dati relativi a questa tragica vicenda. Il No alla guerra da parte della quasi totalitàdegli IMI, il rifiuto degli ufficiali alla costrizione al lavoro, onorano la storia degliitaliani e appartengono a pieno titolo alla sua Resistenza.Questo ha riconosciuto nel 1977 lo Stato italiano parificando gli IMI ai “Volontaridella libertà”.La legge del dicembre 2006 nel denunciare il lavoro coatto riconosce implicitamen-te il valore di coloro che, non certamente in nome di un interesse personale, rifiuta-rono le lusinghe che li avrebbero strappati al lager. In questo senso la legge rafforzal’idea di una Resistenza al nazifascismo ampia e diffusa quale quella espressa inmolteplici forme dal popolo italiano, sinora non sufficientemente riconosciuta dallastoriografia e dal pensare comune.Da 100 a 200.000 civili “prede di guerra”, catturati come pesci in una rete dai tede-schi e dai complici repubblichini nelle zone del fronte e partigiane, come nelle città,ebbero uguale sorte dei militari.Circa 40.000 antifascisti, resistenti e operai in sciopero, considerati nemici delReich, furono consegnati alle SS. Solo il 10% di loro sopravvisse alle condizionibestiali dei KZ.Oltre 7.000 ebrei italiani, braccati come animali, finirono nel mostruoso girone dellasoluzione finale.Si deve all’opera dell’Aned e del Centro di documentazione ebraica contemporanealo studio della deportazione politica e razziale. Nessuna ricerca istituzionale è stata mai avviata in Italia per quantificare, censire,ricostruire dinamiche e responsabilità della deportazione degli italiani nellaGermania nazista. Le uniche opere organiche sui militari sono state scritte dagli sto-rici tedeschi Gerhard Schreiber e Gabriele Hammermann. Per quanto riguarda i civi-

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16schiavi di Hitler

Adesso si parla della sola medaglia, mail riconoscimento anche morale dellanazione che ha esteso il beneficio ancheai familiari di quelli precedentementedeceduti: è una cosa importante.Ben venga la medaglia e di ciò bisognadare atto all’ANRP, sperando che primache l’ultimo ex-internato lavoratore coattoraggiunga i suoi compagni in Paradiso,“qualcosa di consistente si vedrà”.Partorì la montagna e fece un topolino?Si, ma è un topolino d’oro?

Antonio SanseverinoEx IMI - Consigliere Nazionale dell’ANRP

BENEFICIO MERAMENTEMORALE E METALLICO

Carissimo Enzo,… In risposta alla tua lettera dell’8 c. m.,apprezzo il contenuto dei nn. 1271/1276della Finanziaria 2007, frutto tangibile eincontestabile del tuo ben noto “lavoroassociativo” presso le competenti, anchese alquanto tirate, Autorità.Da quanto ritengo di poter interpretare, il“beneficio”, meramente morale e metalli-co, ma non per questo meno apprezzabile,che dopo oltre 60 anni la “Patria ricono-scente” ha finalmente deliberato di conce-dere, spetterebbe – oltre che ai familiari deiDeceduti – ai cittadini italiani militari ecivili deportati e internati nei lager tedeschie “destinati” al lavoro coatto per l’econo-mia di guerra… che abbiano titolo per pre-sentare l’istanza di riconoscimento dellostatus di lavoratore coatto. Nulla, invece,per i militari che, fedeli al giuramento pre-stato, sono rimasti a marcire nei lager, per-manenza, in molti casi, dovuta a particolaricontingenze: ad esempio, il mio “blocco”del campo venne sgombrato e i colleghiufficiali inviati al lavoro, mentre mi trovavoricoverato nell’infermeria del lager perl’infermità per la quale mi fu concessad’ufficio, nell’anno 1946, la pensione diguerra. All’atto della dimissione dalla c.d.infermeria, non trovai nessuno dei vecchicommilitoni, e venni assegnato a unabaracca dove, peraltro, dopo un inizialeperiodo di ambientamento, riuscii a inserir-mi molto bene, in virtù anche del passatobellico: erano alpini, e io ho partecipato alciclo invernale 1942-43 con il secondogruppo dei lancieri di Novara, operanteappiedato di supporto al 5° Alpini dellaTridentina, e questo mi accreditò adeguata-mente, anche perché…parlavo in veneto…Alla fin fine, tutto si è risolto in modoaccettabile: non potrò aggiungere unadecima medaglia, e quindi mi accontente-rò delle nove, tra militari e civili, che vir-

li, purtroppo, le ricerche hanno avuto soloun ambito locale.Solo nell’anno 2000, con l’avvio di unprogetto internazionale che intendevachiudere le “pendenze storiche” dellaseconda guerra mondiale (alla cui elabora-zione l’Italia non ha partecipato), venivaavviata nel nostro paese una commissioneparlamentare sui beni ebraici e istituitacon legge del luglio 2000 la Giornata dellaMemoria (27 gennaio). In tale occasione ilParlamento riconosceva, unitamente allosterminio del popolo ebraico nei campinazisti, le sofferenze e il sacrificio dei“deportati militari e politici italiani”.Nello stesso periodo l’attenzione alladeportazione degli italiani, sollecitatadalla legge tedesca e dalla nascita del“Coordinamento tra associazioni storiche,sindacati e patronati per il risarcimentodelle vittime italiane del nazismo”, porta-vano ai primi incontri presso il Ministerodegli Esteri, all’interessamento delPresidente Amato; alla elaborazione delleprime proposte al Parlamento e al sostegno per il lavoro di coordinamento.A questo proposito è doveroso ricordare che determinante è stata l’opera, serena einstancabile durante la sua legislatura e dopo, del senatore Luciano Manzi, promo-tore della legge in collaborazione con il senatore Luigi Marino, che ha saputo man-tenere vivo il rapporto tra Istituzioni e società civile.Il Coordinamento creatosi a Roma sotto la guida del segretario generale dell’Anrp,Enzo Orlanducci, ha visto la partecipazione di associazioni storiche dei reduci, sin-dacati dei pensionati, patronati e l’Istituto di storia Contemporanea di Como, ed èstato lo strumento che ha saputo sostenere la richiesta di giustizia dei reduci e dailoro famigliari con iniziative in campo istituzionale, giudiziario e storico che hannoispirato probabilmente l’approvazione di questa legge.Merito del Coordinamento è stato quello di valorizzare l’opera di quei sopravvissu-ti al lager e al tempo che non hanno mai smesso in tutti questi anni di fare sentire laloro voce, e soprattutto di aver sollecitato i testimoni che non avevano mai parlato araccontare la loro esperienza.Negli ultimi anni il bisogno di storia delle nuove generazioni, sollecitato dalla cele-brazione della Giornata della memoria, ha trovato rispondenza nelle testimonianzedegli schiavi di Hitler. È stato molto bello verificare quanto spesso per la prima voltai nonni abbiano parlato ai nipoti.Lavorando quotidianamente sul vissuto dei deportati italiani abbiamo potuto coglie-re quanto la rimozione sia stata profonda.L’impossibilità di arrivare ad una elaborazione condivisa, parte integrante dellamemoria collettiva del Paese ha molteplici cause che vanno oltre il silenzio istituzio-nale sulle vicende.Nell’ Italia liberata i deportati si dispersero: l’esperienza del lager e del lavoro coat-to ne aveva fatto un soggetto collettivo. Al rientro ognuno tornò alla sua realtà fami-gliare nei mille paesi d’Italia. Il bisogno di guardare avanti e di dimenticare la guer-ra e i suoi disastri non diede spazio ai reduci dalla Germania: il silenzio individualesi accompagnò al silenzio istituzionale che chiamava in causa troppe responsabilità.La creazione della Fondazione “Memoria Responsabilità Futuro” voluta dalParlamento tedesco nel 2001, le oltre 130.000 domande di reduci presentateall’OIM, costituiscono gli elementi di una vicenda che si intreccia fortemente con lalegge approvata oggi dal governo italiano.La legge tedesca ha avuto il pregio di mettere al centro dell’attenzione la questionedel “lavoro” come asse portante del fenomeno “deportazione”, e ha riconosciuto ildiritto degli individui ad un indennizzo per lo sfruttamento coatto da parte di Aeg,

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tualmente sono cucite sulla mia pelle…Ricevi un ben meritato abbraccio dal tuoaff.mo

Adalberto ZoccaEx IMI - Presidente Collegio Nazionale Probiviri

dell’ANRP

P.S. – Nel rileggere la lettera, mi accorgo cheforse non ho risposto puntualmente al quesitopostomi, di esternare il mio pensiero sulsignificato della “concessione” di cui tratta-si: il mio pensiero, facilmente intuibile, è che– malgrado il commendevole lavorodell’ANRP – i nostri legislatori hanno persoun’occasione per onorare adeguatamente chiha tanto sofferto, negli anni 1943-45, in ter-ritorio germanico e d’occupazione, trattaticome bestie da macello. Lesinare un giustoriconoscimento a coloro che più hanno sof-ferto è una volgarità morale, che noi nonpossiamo dimenticare!Ma (ecco che qui riaffiora il mio ottimismodi bolognese doc) prendiamo il soffertoobolo come primo round della battaglia chel’ANRP combatte ormai da tanti anni.Speriamo in miglioramenti futuri, affidatiall’insistita iniziativa e intraprendenza dellanostra nomenclatura associativa, il mottodella Scuola di Cavalleria di Pinerolo, fuci-na di eroici combattenti, sia il nostro: Nonristare!Perdonami l’indiretto richiamo allo status diColonnello T.O.

UNA GRANDE FAMIGLIA

Caro prof. Orlanducciè stata una sorpresa ricevere oggi lanotizia della concessione della “medagliad’onore” in memoria anche del mioamato padre: l’8 gennaio sono trascorsi59 anni dal suo decesso , ma nel miocuore il suo sorriso e la sua penna bian-ca sono sempre presenti! Il ricordo delletraversie passate dall’8 settembre 1943al termine della guerra da lui e dai suoicompagni ha lasciato una traccia incan-cellabile nella mia vita: la dignità e laforza d’animo con cui ha affrontato ogniavversità ricevono solo oggi questo, siapur modesto e simbolico, riconoscimento;in tempi di accentuato revisionismo que-sto semplice atto rende un riconoscimen-to alle sofferenze morali e materiali subi-te da chi ha dedicato la vita all’Italia.La Tua lettera mi ha anche fatto sentireparte di una grande famiglia: gli anni tra-scorsi hanno cancellato i contatti esistentie sapere che qualcuno si interessa e si pre-occupa ancora oggi delle problematicherelative agli internati nei lager nazistisuscita in me commozione e riconoscenza.Con molti cordiali saluti,

Anna Maria CamangiFiglia di ex IMI

Krupp, Siemens, Bmw, Daimler Benz, Opel, Claas, Degussa, Auto Union, Volkswagen, I.G. Farben , Bayer, e di mille altre imprese e miniere e aziende agricole e raf-finerie etc., la maggior parte delle quali lavorava per la produzione di guerra.Il mancato riconoscimento dei deceduti prima del 16 febbraio 1999 e dei deportaticivili occidentali, l’esclusione degli IMI con una perizia successiva alla legge stes-sa, sono gravemente lesivi della dignità e del diritto. Per l’ennesima volta in nomedella “real politik” e di calcoli economici, si è calpestata la verità storica. La promulgazione della legge italiana rafforza la convinzione che un risarcimentoeconomico spetti alla Germania e alle sue imprese, che sul lavoro forzato hannolucrato.Ci auguriamo che l’Italia, attraverso i suoi organi istituzionali, sappia far megliovalere, di quanto è stato fatto in sessant’anni, le ragioni dei suoi cittadini presso laRepubblica Federale Tedesca.La deportazione e il lavoro coatto, le stragi sugli Appennini, Cefalonia (come mostrauna recente sentenza del tribunale di Monaco), sono ancora oggi ferite non rimargi-nate, ostacoli non banali alla costruzione di un comune orizzonte europeo.Desta speranza il fatto che talvolta la società civile, con iniziative dal basso chevedono affiancati gruppi di ricercatori e intellettuali italiani e tedeschi, riesca a sti-molare soluzioni istituzionali in grado di coniugare memoria e storia. È il caso dellelapidi al cimitero militare tedesco di Costermano, oppure quello del professorLehmann e dei suoi studenti che costruiscono ponti di riconciliazione.Ci preme sottolineare, per concludere, l’importanza della riflessione sulla memoria.Quella memoria che abbiamo sollecitato attraverso i contatti quotidiani, che conti-

nuiamo a raccogliere su cartae in video, convinti della ric-chezza, necessità, urgenza diquesto lavoro.In questo senso la legge rap-presenta una opportunità evi-dente. Riteniamo che debbaessere cura dei legislatorisostenere una politica dellamemoria in grado di far sìche il messaggio dei deporta-ti italiani diventi patrimoniocollettivo.Questa crediamo sia l’unicastrada per evitare le insidiedella ritualità.La legge approvata dalParlamento italiano chiudeun capitolo e apre una nuovafase carica di prospettive e diimpegni. La sua complessità,i numeri che mette in campo,il suo significato simbolico,

il carico di sofferenza che si porta dietro richiedono attenzione, condivisione, colla-borazione.È quanto dobbiamo - istituzioni, associazioni, storici, cittadini - agli schiavi diHitler. l

* responsabile “centro di ricerca “Schiavi di Hitler / fondo IMI Claudio Sommaruga” direttore Istituto di storia Contemporanea “P.A. Perretta”.

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Il dramma vissuto da centinaia di migliaia di italiani depor-tati o internati nei lager nazisti oppure costretti al lavorocoatto nelle fabbriche tedesche durante la seconda guerramondiale, non può essere in alcun modo risarcito o ricom-pensato. Né per chi è riuscito a sopravvivere a quella barba-rie e a far ritorno a casa, né tanto meno per chi ha pagato conla propria vita o quella dei propri cari.Conservare la memoria storica di quegli eventi è tuttaviadoveroso per uno Stato che si professi libero e democratico.Sia nei confronti di coloro che all’epoca ne sono stati vitti-me, sia come insegnamento e come monito per le nuovegenerazioni, affinché la storia sia davvero “maestra di vita”e la piena conoscenza e consapevolezza di quella tragediapossa contribuire, in futuro, a scongiurare il ripetersi di cri-mini anche solo lontanamente paragonabili a quelli commes-si dai nazisti. Per questo motivo, il “risarcimento morale”per le vittime della deportazione e dell’internamento previ-sto dalla Legge finanziaria recentemente varata, è un prov-vedimento utile e importante, che va ben al di là del gesto diuno Stato verso singoli cittadini – cosa che pure è di grandesignificato – e che in questo senso assume un valore “stori-co”. Esso, infatti, contribuisce in maniera concreta e simbo-licamente forte all’opera di recupero, salvaguardia e conser-vazione della memoria e alla diffusione della conoscenza diquegli avvenimenti.Il provvedimento in questione è contenuto in una serie dicommi della Finanziaria 2007, approvata in via definitivadal Parlamento il 21 dicembre 2006. Il comma 1.271, infat-ti, recita così: “La Repubblica italiana riconosce a titolo dirisarcimento soprattutto morale il sacrificio dei propri citta-dini deportati ed internati nei lager nazisti nell’ultimo con-flitto mondiale”. Tale risarcimento – spiega il comma suc-cessivo – consiste nella “concessione di una medagliad’onore ai cittadini italiani militari e civili deportati ed inter-nati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’econo-mia di guerra, ai quali, se militari, è stato negato lo status diprigionieri di guerra, secondo la Convenzione relativa altrattamento dei prigionieri di guerra fatta a Ginevra il 27luglio 1929 dall’allora governo nazista, e ai familiari deideceduti, che abbiano titolo per presentare l’istanza di rico-noscimento dello status di lavoratore coatto”. Per la conces-sione dell’onorificenza, presso la Presidenza del Consigliodei Ministri viene istituito un apposito Comitato che saràpresieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da unsuo delegato e sarà composto da un rappresentante deiMinisteri della difesa, degli affari esteri, dell’interno e del-l’economia, nonché da un rappresentante dell’Associazionenazionale reduci dalla prigionia, dall’internamento e dallaguerra di liberazione (ANRP) e da un rappresentantedell’Associazione nazionale ex internati (ANEI).Alla legittima domanda, che in molti ora si pongono, se asessant’anni di distanza questo “riconoscimento soprattuttomorale” abbia ancora un senso, abbiamo di fatto già datouna risposta, sottolineandone l’importante e positivo signifi-

cato, soprattutto simbolico. Al di là del valore personale eindividuale che il conferimento di una medaglia può assu-mere per i singoli, ai quali nessuno potrà mai restituire lalibertà negata nei giorni trascorsi dietro al filo spinato deilager o al lavoro coatto per sostenere forzatamente l’econo-mia di guerra nazista, il reale valore del provvedimento anostro modo di vedere sta nella capacità di un Paese e dellesue Istituzioni di non dimenticare la propria storia, le proprieradici, i piccoli grandi atti di eroismo individuale che hannocostruito la nostra libertà e la nostra democrazia. A tal pro-posito, l’auspicio è che alla fase di esecuzione del provvedi-mento venga data adeguata pubblicità, nel senso che si tra-sformi in un’occasione per ricordare quella tragedia, con unamiriade di iniziative a livello nazionale e a livello locale.Altra questione, è il tanto cammino che c’è ancora da farelungo la strada dello studio, della conservazione e della dif-fusione della memoria e della conoscenza storica delladeportazione e dell’internamento dei civili e dei militari ita-liani durante il secondo conflitto mondiale. Infatti, mentre lamemorialistica ha avuto una costante diffusione sin daglianni immediatamente successivi alla fine della guerra, macon una diffusione poco più che locale o familiare, o comun-que nella ristretta nicchia delle associazioni dei reduci edegli istituti storici italiani, una vera e propria opera di siste-mazione storiografica complessiva della deportazione e del-l’internamento ha preso il via solo in anni recenti. Basti pen-sare che ancora oggi, a più di mezzo secolo di distanza, nonesistono dati quantitativi certi sul numero di militari e civilicatturati e deportati dai nazisti ma solo stime approssimati-ve (anche se ormai sono abbastanza aderenti alla realtà), eche una gran quantità di fonti d’archivio sono andate perse,volutamente distrutte o rimaste per anni inaccessibili nell’in-differenza generale. Per avere un quadro d’insieme appro-fondito e dettagliato della vicenda degli IMI, il pubblico ita-liano ha dovuto attendere, a partire dagli anni novanta, latraduzione dal tedesco dei ponderosi studi di GerardSchreiber e, più di recente, di Gabriele Hammermann, men-tre la produzione “nostrana” si limita solo agli atti di alcuniconvegni lodevolmente promossi dalle associazioni deireduci e dagli istituti storici. Per i civili, invece, ricerche dicosì ampio respiro, generali e complessive, ancora non sonostate compiute.Queste lacune in sede storiografica hanno finito per contri-buire a creare quel “vuoto di memoria” intorno alle vicendedella deportazione civile e dell’internamento militare neldopoguerra, insieme al desiderio del Paese e della sua opi-nione pubblica di voltare pagina rispetto alla guerra e alnazifascismo, o alla scelta del silenzio da parte degli stessiprotagonisti per delusione o disillusione. Oggi, però, qualco-sa si sta muovendo. Nuove iniziative fioriscono. Nuovi studie ricerche sul tema vedono la luce con sempre maggiore fre-quenza. Nuovi orizzonti di ricerca si aprono, come quelloche abbiamo sperimentato di recente nel volume“Generazione ribelle”, edito da Einaudi lo scorso anno, che

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LA STORIA MAESTRA DI VITA di Mario Avagliano e Marco Palmieri

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raccoglie diari e lettere di internati militari italiani e dideportati civili in una visione a trecentosessanta gradi dellaResistenza e della Guerra di liberazione dal nazifascismo inItalia e in Europa.Ed è in questo solco, dunque, che vanno inserite e valutatele iniziative prese dalle Istituzioni, come quella varata dalGoverno Prodi nella Finanziaria 2007 ed altre precedenti,come la legge del 2000 cha ha istituito il “Giorno dellaMemoria”. Tali testimonianze di attenzione – arricchite inquesta circostanza anche da un significativo e giusto ricono-scimento individuale per chi ha vissuto sulla propria pellequelle drammatiche esperienze – vanno accolte positiva-mente, in quanto parte di un circolo virtuoso di stimolo sem-pre maggiore per storici, ricercatori e opinione pubblica atenere sempre viva l’attenzione e la memoria di questopezzo così rilevante della storia recente d’Italia, dell’Europae dell’umanità tutta.Un percorso, questo, che ora deve proseguire. Tenendo peròben presente una esigenza vitale, e cioè il coinvolgimento intutte le prossime tappe sempre più da vicino – anzi, “da den-tro” – delle scuole. Solo così, infatti, si potrà far sì che sianole generazioni più giovani, quelle via via anagraficamentepiù lontane da quei terribili anni, gli scrigni più forti per laconservazione duratura di questa memoria, nonché dell’ulte-riore sviluppo futuro degli studi e delle ricerche sulla storiaindividuale e collettiva della deportazione e dell’interna-mento. l

CIFRE DELL’INTERNAMENTO

(valori arrotondati)

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Premetto da subito che ritengo un primo passo non indifferen-te l’avvenuto riconoscimento, per quanto solo di natura mora-le, in favore degli internati militari e civili nei lager nazisti,approvato con la recente Legge finanziaria 2007. Aver accor-dato agli ex internati militari italiani (IMI) un riconoscimentoonorifico per le loro sofferenze che hanno dovuto subire sullapropria pelle, potrebbe far ben sperare per le battaglie future. Le istanze portate avanti in questi ultimi anni dalle associazio-ni combattentistiche, che hanno visto in prima fila l’azionedell’ARNP, affiancate dalle iniziative legislative condotte inParlamento nelle ultime legislature, ci consegnano evidente-mente alcuni frutti. Come per la legislatura passata, anche durante l’attuale legi-slatura, la XV, sono state presentate sia al Senato che allaCamera numerose proposte di legge in favore dei cittadini ita-liani militari e civili deportati e internati costretti al lavorocoatto nei territori del Terzo Reich. Di particolare rilievo misembra il testo recentemente presentato alla Camera (AC n.1987, del 28 novembre 2006, a prima firma dei deputatiPiscitello-Lusetti), in quanto ha ricevuto adesioni ben oltre leaspettative, più di 70 parlamentari, anche di diversa apparte-nenza politica, evidenziando una rincuorante e diffusa sensi-bilità sul tema. Ciò ha costituito senz’altro uno sprone decisi-vo affinché venisse accolto, con la recente Legge finanziaria,un riconoscimento morale per gli internati nei lager nazisti. Alcune disposizioni della Legge finanziaria 2007 sanciscono,infatti, il riconoscimento onorifico da parte della Repubblicaitaliana del sacrificio dei propri cittadini deportati ed interna-ti nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economiadi guerra nell’ultimo conflitto mondiale. Tali norme accolgo-no in parte il contenuto delle molte proposte di legge parla-mentari, laddove concedono una medaglia d’onore, ai cittadi-ni italiani militari e civili deportati e internati e ai familiari deideceduti. La rilevanza delle previsioni sta, come anzi detto,nell’aver ricompreso nel riconoscimento anche i militari, aiquali fu negato dalla Germania lo status di prigionieri di guer-ra (secondo la già citata Convenzione di Ginevra relativa altrattamento dei prigionieri di guerra del 27 luglio 1929). LaLegge finanziaria 2007, inoltre, ha accolto un’altra delle pro-poste contenute nei testi parlamentari, ossia l’istituzione di unComitato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri cheha la funzione di provvedere all’individuazione degli aventidiritto al riconoscimento onorifico. Il Comitato è costituito daun rappresentante dei Ministeri della Difesa, degli Esteri,dell’Interno, dell’Economia e delle Finanze e da un rappre-sentante rispettivamente dell’ANRP (Associazione NazionaleReduci dalla Prigionia, dall’internamento della guerra di libe-razione), dell’ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati) edell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

NON C’È FUTUROSENZA GIUSTIZIA E VERITÀ STORICA

di Patrizia De Vita

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Meglio tardi che mai, ma il ritardo questa volta è particolar-mente grave. Sono sorpreso ed esterrefatto. La concessione diuna “medaglia d’onore” agli ex internati in Germania, duran-te la seconda guerra mondiale, mi sembra una beffa, una presain giro. Un gesto certamente nobile, encomiabile, di cui si puòessere orgogliosi, ma arriva dopo oltre sessant’anni quando lagenerazione degli ex internati si è praticamente estinta, pochisono quelli rimasti (io, classe 1922, sono uno degli ultimi).Che senso ha dunque un tale riconoscimento? Cui prodest?Dato ora, ha tutta l’aria di un palliativo per salvare la faccia.Il fatto è che la categoria degli IMI, come eravamo burocrati-camente chiamati, è stata trattata in Patria in modo pessimo,ignorata, tra l’indifferenza generale, come se, tra il 1943 e il1945, fosse capitata in Germania per caso. Più che i tedeschiche non hanno voluto riconoscere nessun risarcimento econo-mico (in fondo hanno tutelato i loro interessi), la peggiorecolpa è del nostro Paese che ha fatto finta di niente. Una real-tà del tutto trascurata come se non lo riguardasse. Si è parlatomolto in questi anni di Resistenza e di fascisti di Salò maidegli ex internati, quasi un mondo a parte, di cui non valevala pena di occuparsi poiché giuridicamente non riconoscibili,peraltro fuori dalla Croce Rossa internazionale. Gli italianideportati in Germania non sono andati là per una villeggiatu-

ra ma portati a forza e costretti, per quasi due anni, nei campidi concentramento, impiegati inoltre in lavori pesanti e peri-colosi. Ho l’impressione che il gran parlare (molto giustamen-te) che si è fatto dei campi di sterminio contro gli ebrei abbiapreso il sopravvento oscurando così tutto il resto. E’ come segli internati militari deportati fossero di serie B, mentre glialtri, quelli di Auschwitz e Mathausen, fossero di sere A. Nonnego che la distinzione possa esserci, ma essa non sempre cor-risponde alla realtà perché i militari italiani in terra tedescahanno egualmente sofferto, hanno affrontato inferni estenuan-ti, e molti ci hanno lasciato la pelle. Non le camere a gas, perfortuna, ma vicissitudini da ultimo respiro. Assai da pressoalla cosiddetta “soluzione finale”. Da una parte, per fare unesempio, si è parlato solo di Primo Levi, emblema di una con-dizione estrema; certamente degna di considerazione, dall’al-tra, invece, si è avuto soltanto un cattivo giornalismo, piutto-sto limitato, che si è divertito, a proposito di “internati”, aricordare a lungo soltanto di Giovannino Guareschi, figura discrittore, quasi un prigioniero di lusso, che nei campi si diver-tiva a fare battute sui tedeschi e a redigere persino un giorna-lino murale intitolato, dati i tempi, “Il pane bianco”. Tuttoquesto è stato assolutamente riduttivo e offensivo nei confron-ti di centinaia di migliaia di italiani catturati e trasportati a

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Se l’accoglimento della previsione legislativa in favore di unristoro morale ai deportati internati civili e militari italianirappresenta un traguardo importante, tuttavia, ciò non devefar arrestare la battaglia in favore dei sopravvissuti e dei fami-liari delle vittime decedute degli ex IMI. Non sfugge, infatti,il limite delle recenti disposizioni normative, in quanto il soloriconoscimento morale tralascia un aspetto importante, ossiala concessione di un indennizzo, che pure da sempre è statorichiesto ed è contenuto nelle numerose proposte di legge pre-sentate in Parlamento, seppure in misura simbolica. Nonostante sia pacifica la considerazione secondo cui qual-siasi liquidazione non possa mai ristorare pienamente coloroche hanno visto le proprie vite travolte e che hanno patitodolorose ingiustizie, tuttavia, ritengo che il nostro Paese abbiail dovere di dare un riconoscimento anche di natura economi-ca, soprattutto in considerazione della mancanza, a tutt’oggi,del dovuto riconoscimento degli ex IMI, da parte delle autori-tà tedesche, riconoscendo ad essi ora per allora lo stato di“prigionieri di guerra”. Il diritto al risarcimento, sotto formadi indennizzo, oltre a dare tangibilità al riconoscimento mora-le, costituirebbe in sé un importante valore simbolico.Occorre dunque proseguire la battaglia per ottenere un inden-nizzo di natura finanziaria, chiedendo anche al nostro Governoche se ne faccia carico; agire affinché lo Stato tedesco ricono-sca come vittime del lavoro coatto anche gli ex IMI per le atro-cità subite e le conseguenze del lavoro coatto nei campi del

Terzo Reich dell’allora governo nazista; evitare che i cittadiniitaliani debbano trovarsi in una condizione di odiosa discrimi-nazione rispetto ad altri cittadini di altri paesi europei chehanno vissuto la stessa condizione di schiavitù. Per tutte questeragioni risulta evidente come la questione debba trovare unospazio e una sua rilevanza anche a livello comunitario. La conclusione più calzante su un’ingiustizia non ancora piena-mente sanata, mi pare si possa rintracciare nelle semplici maefficaci parole di Simon Wiesenthal (Dokumentationszentrum –Wien):“Chiunque sia stato (o sia) sfruttato nel lavoro coatto hadiritto ad una giusta ricompensa”. l

UNA MEDAGLIA CHE RIFIUTO. TROPPO TARDI!

di Ettore Zocaro

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Meglio tardi che mai, ma il ritardo questa volta è particolar-mente grave. Sono sorpreso ed esterrefatto. La concessione diuna “medaglia d’onore” agli ex internati in Germania, duran-te la seconda guerra mondiale, mi sembra una beffa, una presain giro. Un gesto certamente nobile, encomiabile, di cui si puòessere orgogliosi, ma arriva dopo oltre sessant’anni quando lagenerazione degli ex internati si è praticamente estinta, pochisono quelli rimasti (io, classe 1922, sono uno degli ultimi).Che senso ha dunque un tale riconoscimento? Cui prodest?Dato ora, ha tutta l’aria di un palliativo per salvare la faccia.Il fatto è che la categoria degli IMI, come eravamo burocrati-camente chiamati, è stata trattata in Patria in modo pessimo,ignorata, tra l’indifferenza generale, come se, tra il 1943 e il1945, fosse capitata in Germania per caso. Più che i tedeschiche non hanno voluto riconoscere nessun risarcimento econo-mico (in fondo hanno tutelato i loro interessi), la peggiorecolpa è del nostro Paese che ha fatto finta di niente. Una real-tà del tutto trascurata come se non lo riguardasse. Si è parlatomolto in questi anni di Resistenza e di fascisti di Salò maidegli ex internati, quasi un mondo a parte, di cui non valevala pena di occuparsi poiché giuridicamente non riconoscibili,peraltro fuori dalla Croce Rossa internazionale. Gli italianideportati in Germania non sono andati là per una villeggiatu-

ra ma portati a forza e costretti, per quasi due anni, nei campidi concentramento, impiegati inoltre in lavori pesanti e peri-colosi. Ho l’impressione che il gran parlare (molto giustamen-te) che si è fatto dei campi di sterminio contro gli ebrei abbiapreso il sopravvento oscurando così tutto il resto. E’ come segli internati militari deportati fossero di serie B, mentre glialtri, quelli di Auschwitz e Mathausen, fossero di sere A. Nonnego che la distinzione possa esserci, ma essa non sempre cor-risponde alla realtà perché i militari italiani in terra tedescahanno egualmente sofferto, hanno affrontato inferni estenuan-ti, e molti ci hanno lasciato la pelle. Non le camere a gas, perfortuna, ma vicissitudini da ultimo respiro. Assai da pressoalla cosiddetta “soluzione finale”. Da una parte, per fare unesempio, si è parlato solo di Primo Levi, emblema di una con-dizione estrema; certamente degna di considerazione, dall’al-tra, invece, si è avuto soltanto un cattivo giornalismo, piutto-sto limitato, che si è divertito, a proposito di “internati”, aricordare a lungo soltanto di Giovannino Guareschi, figura discrittore, quasi un prigioniero di lusso, che nei campi si diver-tiva a fare battute sui tedeschi e a redigere persino un giorna-lino murale intitolato, dati i tempi, “Il pane bianco”. Tuttoquesto è stato assolutamente riduttivo e offensivo nei confron-ti di centinaia di migliaia di italiani catturati e trasportati a

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Se l’accoglimento della previsione legislativa in favore di unristoro morale ai deportati internati civili e militari italianirappresenta un traguardo importante, tuttavia, ciò non devefar arrestare la battaglia in favore dei sopravvissuti e dei fami-liari delle vittime decedute degli ex IMI. Non sfugge, infatti,il limite delle recenti disposizioni normative, in quanto il soloriconoscimento morale tralascia un aspetto importante, ossiala concessione di un indennizzo, che pure da sempre è statorichiesto ed è contenuto nelle numerose proposte di legge pre-sentate in Parlamento, seppure in misura simbolica. Nonostante sia pacifica la considerazione secondo cui qual-siasi liquidazione non possa mai ristorare pienamente coloroche hanno visto le proprie vite travolte e che hanno patitodolorose ingiustizie, tuttavia, ritengo che il nostro Paese abbiail dovere di dare un riconoscimento anche di natura economi-ca, soprattutto in considerazione della mancanza, a tutt’oggi,del dovuto riconoscimento degli ex IMI, da parte delle autori-tà tedesche, riconoscendo ad essi ora per allora lo stato di“prigionieri di guerra”. Il diritto al risarcimento, sotto formadi indennizzo, oltre a dare tangibilità al riconoscimento mora-le, costituirebbe in sé un importante valore simbolico.Occorre dunque proseguire la battaglia per ottenere un inden-nizzo di natura finanziaria, chiedendo anche al nostro Governoche se ne faccia carico; agire affinché lo Stato tedesco ricono-sca come vittime del lavoro coatto anche gli ex IMI per le atro-cità subite e le conseguenze del lavoro coatto nei campi del

Terzo Reich dell’allora governo nazista; evitare che i cittadiniitaliani debbano trovarsi in una condizione di odiosa discrimi-nazione rispetto ad altri cittadini di altri paesi europei chehanno vissuto la stessa condizione di schiavitù. Per tutte questeragioni risulta evidente come la questione debba trovare unospazio e una sua rilevanza anche a livello comunitario. La conclusione più calzante su un’ingiustizia non ancora piena-mente sanata, mi pare si possa rintracciare nelle semplici maefficaci parole di Simon Wiesenthal (Dokumentationszentrum –Wien):“Chiunque sia stato (o sia) sfruttato nel lavoro coatto hadiritto ad una giusta ricompensa”. l

UNA MEDAGLIA CHE RIFIUTO. TROPPO TARDI!

di Ettore Zocaro

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forza nei lager nazisti. Certo che c’è stata differenza fra icampi di sterminio e quelli degli ex internati, tuttavia il campodi Witzendorf, nei pressi di Hannover, dove mi sono trovatorinchiuso dopo un allucinante viaggio in carro bestiame dallaGrecia (dove ero stato catapultato per il servizio militare) nonè stato da meno. E’ vero, non è stato facile raccontarlo,descriverne le torture, le narrazioni letterarie nostrane nonhanno avuto il peso che hanno avuto alcune narrazioni france-si (si ricordi “L’universo concentrazionario”) – niente all’al-tezza di un Rigoni Stern con il suo magnifico “Il sergentenella neve” che però ha trattato della ritirata in Russia – ; altempo stesso, neppure il cinema (le cui finanze sono in manoagli ebrei) ha avuto la forza di occuparsene preferendo esclu-sivamente le tematiche legate alla Shoah. Rifletto su queste cose per denunciare una situazione ingiustae incomprensibile che ha accompagnato gli ex internati, oggiin gran parte (per ragioni anagrafiche) scomparsa, amareggia-ti non poco dopo aver sacrificato la loro gioventù nella folleguerra fascista. Oggi in epoca di revisionismo storico la bus-sola è stata smarrita, affogata in equivoci storici, allora va puredetto che gli ex internati diventarono tali per una scelta assaiprecisa, antifascista e antitedesca. Nell’autunno del’43, in quelgrigio e disperato momento che seguì l’8 settembre, la sceltafu irrevocabile e perentoria. Numerose le pressioni che ci furo-no affinchè tornassimo in Italia allo scopo di combattere alfianco dei “camerati” di Salò: i tedeschi usarono tutti i mezziper convincerci, cercarono di essere seduttivi per poi minac-ciarci di tenerci prigionieri anche dopo il conflitto, a guerravinta, con intimidazioni del seguente tenore: “Non rivedretemai più le vostre famiglie! Lavorerete con noi a ricostruire la

Germania!”. Non dimenticherò mai quel giorno fra il filo spi-nato di Witzendorf quando ci ritrovammo in centomila, invita-ti a dire si o no. Arrivarono vestiti di orbace i funzionari del-l’ambasciata italiana a Berlino, arrivarono su potenti automo-bili ufficiali dello stato maggiore tedesco, tutti impegnati alanciare promesse, da un lato, e minacce categoriche, dall’al-tro. Soltanto un dieci per cento decise di tornare in Patria sottole ali della Repubblica sociale, tutti gli altri, al contrario, deci-sero di restare in prigione, pronti ad affrontare un destino fra ipiù oscuri mentre infierivano i bombardieri statunitensi chemettevano a ferro e fuoco l’intero territorio germanico.Cominciò da quel netto rifiuto un calvario infinito, una perse-cuzione assillante che in ogni occasione era accompagnata daimilitari e dalla popolazione da frasi dispregiative quali“Traditori”, “Italiani merda”, “Truppe di Badoglio”, “Cani dagettare nelle fogne”, “Zingari”, e via di questo passo. A que-sto punto, non starò a ricordare le personali vicende adAmburgo sotto i terribili bombardamenti (dove fummo tra-sportati per lavorare nel porto), a Stettino, rinchiusi in unagrande fabbrica di carburante alimentatrice del fronteOrientale, continuamente sottoposta agli attacchi aerei, aMagdeburgo, nelle vicinanze dell’Elba, dove negli ultimi gior-ni, molti di noi vennero decimati e fucilati come “bestie” cheostacolavano la ritirata tedesca. Sarebbe inutile ormai abban-donarsi ai ricordi, tra cui la mattanza che seguì nelle prime set-timane dell’occupazione. E’ troppo tardi, bisognava pensarciprima, distribuire medaglie non appena avemmo modo final-mente di riattraversare il Brennero, alla ricerca dei familiari dicui per anni non avevamo saputo più niente. La generazionedegli IMI oggi non esiste più, ha sciupato la propria vita acalci in c... dai posti dove si trovava per la guerra e a calci inc... è stata sottoposta nelle fetide baracche della prigionia, inun atroce campo di concentramento della Pomerania doveogni giorno un gerarca delle SS si divertiva a schernirci men-tre stremati riparavamo danni causati da un bombardamento. Itedeschi sghignazzavano tutte le volte che venivano a metter-ci in fila, armati fino ai denti, ci lanciavano patate per sfamar-ci e ridevano da matti nel vederci come ci azzuffavamo fra noiper prenderne a volo qualcuna. Orami, lo ripeto, è troppo tardi,Come dice il poeta, “Ed è subito sera”. l

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Guardo sorpresa e commossa i giovani che si muovono in unluogo per me inconsueto, una splendida birreria, nel centro diuna Monaco piena di sole in questo mattino dell’8 dicembre2006. Si danno da fare, i giovani tedeschi, salutano, posiziona-no i microfoni, accolgono gli ultimi venuti in una sala che nonha nulla da invidiare a molti luoghi Istituzionali e che reca leforme della cultura tedesca. Stanno mettendo a punto la confe-renza stampa promossa per rendere noto al mondo tedesco imotivi della manifestazione che si terrà tra poco davanti alPalazzo di giustizia di Monaco, per protestare contro una sen-tenza sui fatti di Cefalonia nel 1943, inaccettabile per gli italia-ni ma anche per i tedeschi democratici, per quei figli dellaGermania che reclamano la cesura netta tra la trazione nazistae la repubblica democratica. “Gruppo di lavoro italotedescocontro la tradizione nazista” questo il nome della loro organiz-zazione, e ancora “Lega antifascista e perseguitati dal regimefascista” questo il nome di altri partecipanti, tutti attivi anzitut-to contro il raduno annuale degli alpini tedeschi, compresi imassacratori degli italiani, che si tiene ogni anno in Germaniasenza alcun approccio critico rispetto al passato. Dietro loro invito un pullman si è mosso da Milano con la prota-gonista di questa vicenda: Marcella De Negri, figlia di un capita-no fucilato a Cefalonia che, senza l’aiuto di nessuno se non deisuoi avvocati, si è costituita parte civile (con un nipote che portail nome di suo padre, Francesco De Negri, ma vive in Brasile) nelprocedimento contro il sottotenente Muelhauser. Il 24 settembre1943, al comando di un plotone di esecuzione, Muelhauser fecefucilare 136 ufficiali italiani ed il gen. Gandin, comandante dellaDivisione Acqui. A luglio 2006 il PM generale di Monaco diBaviera ha disposto con un’ordinanza l’archiviazione del proces-so, con una motivazione sorprendente: i 5.000 italiani massacratisu quell’isola dello Jonio non sarebbero stati “normali” prigionie-ri di guerra, ma “traditori”.Con lei da Milano il fratello Enzo, l’avvocato Gilberto Pagani, isenatori Claudio Grassi e José Luis Del Roio, Primarosa Pia,responsabile dell’ANED di Torino, l’associazione degli ex depor-

tati, col marito Beppe, Costantino Ruscigno, dell’Associazionedei familiari della Divisione Acqui, figlio di un reduce, PinoLandonio, consigliere del Comune di Milano ed alcuni amici.Da Roma sono partiti Orietta Coltellacci dell’ANPI, l’autrice diquesto articolo in nome e per conto dell’ANRP e quale presi-dente dell’Associazione Storia e Memoria.Da Reggio Emilia sono arrivati alcuni rappresentantidell’Istituto Storico della Resistenza, tutti giovani storici mili-tanti antifascisti, guidati da uno degli organizzatori della confe-renza stampa e della manifestazione, Matthias Durchfeld.Siede al tavolo dei relatori anche l’avv. Hofmann, l’avvocatotedesco che con Gilberto Pagani assiste Marcella De Negri nelprocedimento giudiziario.Le riflessioni che sono esposte dai relatori della conferenzavertono essenzialmente su due punti. Il primo punto indica chela sentenza di Monaco, dopo tanto revisionismo storico, è ilprimo caso di revisionismo giuridico perché è in contrasto con

25storia e cronaca

MONACO DI BAVIERAIN ATTESA DI GIUSTIZIA

di Maria Laura Angioni

Caro Segretario Generale,la tua opportuna puntualizzazione, comparsa su “rassegna” diottobre-dicembre, sull’articolo di Massimo Filippini, terminacon la perentoria affermazione: “Questa è storia, non fantasia”.Con queste parole hai giustamente difeso il diritto-dovere deimilitari italiani di obbedire al messaggio di Badoglio di reagiread eventuali attacchi da qualunque altra provenienza, quindianche da parte dei tedeschi.Sostenere, invece, che solo una dichiarazione di guerra, pur-troppo giunta in ritardo, poteva giustificare di opporsi agli exalleati, è, a mio avviso, pretestuosa e mette in dubbio la liceitàdi eseguire un ordine emesso da un governo legittimo.Un umile esempio da chi scrive, all’epoca dei fatti semplice sot-totenente, appena uscito da Modena, ma perfettamente in condi-zione di interpretare il messaggio badogliano, che certamentesottintendeva la necessità di tutelare l’onore militare, di frontealla tracotanza dei tedeschi che, anche ricorrendo ad un turpeinganno, ci volevano tutti imbelli e disarmati. Il nove settembredi quell’infausto mese, di fronte alla ingiustificata resa dellamunitissima base di Selenico ed in presenza dell’ordine di ungenerale pusillanime di non sparare ai tedeschi, che stavanovenendo incontro al mio fortino, decisi di obbedire, ma con ilcuore a pezzi, per dover sottostare ad una ignobile resa. Da quila mia scelta partigiana, non come decisione ideologica, fral’altro contraria alle mie convinzioni, ma come una giusta sceltadi ufficiale e di italiano. Così hanno fatto le migliaia di ufficialie di soldati a Cefalonia e altrove, che ora si vorrebbero qualifi-care con l’indegno titolo di “traditori”.Massimo Filippini, figlio di un ufficiale trucidato alla Casettarossa, può affermare quello che vuole, compreso il fatto che itempi stanno cambiando, anche se non spiega come e perché.Perciò, caro Segretario generale, ribadisco, con te, che la sceltadi Cefalonia e delle mille altre località dove è stata Resistenza,non è fantasia, e pertanto è degna del massimo rispetto.Un abbraccio Ilio Muraca

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26storia e cronaca

un atto giudiziario che è alla base della nostra civiltà democra-tica, il processo di Norimberga.Durante il processo di Norimberga fu esaminato in manieraapprofondita anche il caso di Cefalonia e il tribunale militareche giudicò il generale Lanz affermò che i soldati di un eserci-to regolare, una volta arresi, erano prigionieri di guerra. Euccidere i prigionieri di guerra è un atto tra i più aberranti chepuò accadere durante la guerra, di per sé cosa aberrante.Il secondo punto mette in rilievo che l’ordinanza Stern non è unaffare di singoli, non riguarda i figli o i nipoti delle vittime diCefalonia ma è un affare di stato anzi “di stati” come affermaMarcella De Negri, che chiede di non essere più lasciata sola,che il suo ricorso contro l’ordinanza Stern sia sostenuto dalgoverno italiano.I senatori Grassi e Del Rojo ribadiscono questi concetti, questerichieste, e gli avvocati Pagani ed Hofmann ricordano la loroappartenenza all’Associazione degli avvocati democraticieuropei: i diritti di Cefalonia sono i diritti di tutti, i diritti dellalibertà, della verità e devono essere difesi non solo nelle auledei tribunali ma anche all’interno della società.La voce di Ernst Grube, della Lega perseguitati antinazisti dellaBaviera, scampato giovanissimo ai campi di sterminio nazista,dove era stato rinchiuso in quanto ebreo, ricorda l’importanzache anche la Germania conosca più diffusamente la verità sullestragi naziste durante la seconda guerra mondiale.La Conferenza stampa si conclude con un appuntamento ravvi-cinato, la manifestazione che si terrà nella stessa mattinadavanti al Palazzo di giustizia di Monaco. E qui nel vasto spazio antistante al Palazzo di giustizia si rico-stituisce un palco, salgono gli oratori, si attivano i microfoniper comunicare a tutti i presenti, ai giornalisti, agli italiani e aitedeschi che hanno saputo dell’ordinanza di archiviazione conquella indecente motivazione, la volontà di proseguire la lottaper il riconoscimento della verità storica. Non stupisce cheHitler considerasse «tradimento» la resistenza opposta da sol-dati che agli ordini di Mussolini avevano sino allora seguito iltragico disegno di un’Europa asservita e schiavizzata.Incomprensibile è invece ritrovare la tesi nazista del «tradi-mento» italiano nell’ordinanza con cui il procuratore AugustStern ha disposto il 27 luglio 2006 l’archiviazione. La fucilazione di prigionieri è sempre un crimine. Ma per ildiritto tedesco è decisivo stabilire se si sia trattato di un omici-dio aggravato da «vili motivi», che non si prescrive. Se leaggravanti non ricorrono – e questa è la tesi del procuratore –l’omicidio cade in prescrizione dopo vent’anni.Nell’ordinanza Stern scrive: «I militari italiani non erano nor-mali prigionieri di guerra. Da alleati divennero acerrimi nemi-ci e quindi, secondo la terminologia militare, “traditori”. Il casoè sostanzialmente analogo a quello di truppe tedesche cheabbiano disertato e si siano unite al nemico. Un’esecuzione pertale comportamento non potrebbe essere considerata comeomicidio per vili motivi».Che questi soldati indossassero una regolare uniforme, portas-sero le proprie armi apertamente e seguendo le regole e le usan-ze di guerra, guidati da capi responsabili che prendevano ordi-ni dal maresciallo Badoglio, loro comandante in capo legitti-mo, tutto questo non ha alcun peso nell’ordinanza.Contro questa motivazione gli italiani e i tedeschi presenti aMonaco in quella straordinaria mattina dell’8 dicembre 2006ma anche tutti gli italiani e i tedeschi e gli europei, che in que-sti sessanta anni hanno creduto nella necessità e nel valorepositivo della resistenza al nazismo, attendono giustizia. l

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E merita considerazione il propositodello Stato italiano di indennizzare ipropri cittadini mortificati dall’atteg-giamento tedesco: ma l’indennizzoidoneo non potrebbe essere altro chequello messo in atto dalle aziendetedesche che avevano avuto ai loroordini la forza lavoro italiana. L’unicoindennizzo possibile sarebbe stato,cioè, di natura economica, l’unico apotersi porre sul piano di quei fatti cuiappartennero il duro lavoro, lo sfrutta-mento e le angherie di ogni genere chesubirono quei lavoratori. Non serveinfatti un riconoscimento ideale, giàcontenuto nella speciale Croce a meri-ti di guerra concessa a tutti i reclusi nei

lager che tennero fede all’impegno dinon collaborare con il nemico.Oltretutto, come ho già detto, il rico-noscimento per le prestazioni coatte dilavoro non sarebbe attribuibile in ognicaso a coloro che, invocando la lorocondizione di ufficiali e quindi nonassoggettabili -secondo Ginevra- allavoro a vantaggio del nemico, riusci-rono a sfuggire alla destinazione per illavoro forzato.Gli ordini erano già dati, e dal dicembredel ’44 assistemmo alla partenza daicampi di tanti colleghi inviati d’obbligoa spalare neve e macerie dalle strade diAmburgo o di Brema, mentre fioccava-no le bombe. Non c’è dubbio che, nel

corso di un altro poco di tempo tecnicooccorrente per inviarci alle nuove desti-nazioni, avremmo anche noi seguitoquella sorte. Ma le armate angloameri-cane furono più sollecite nell’investire inostri campi della Westfallia, e fummorestituiti alla libertà prima che quel-l’evento si verificasse. Quindi, perchè gratificarci con unamedaglia non meritata? In ogni caso seproprio quelle medaglie, inadeguatoriconoscimento di un lavoro da schiavi,si dovessero concedere, per favore nerestino esenti coloro che con orgogliohanno sempre vantato di non aver pre-stato lavoro per i detentori. “Todoscaballeros”!. Ma senza di noi. l

NON È MOLTO MA PUR SEMPRE QUALCOSA

Caro Orlanducci, non potrò partecipare alla riunione del18 gennaio, in quanto a Gubbio perimpegni precedenti. Ho potuto leggere,da uno scritto di Armando Cossutta,quanto in Finanziaria si è potuto ottene-re. Non è molto ma pur sempre qualcosa.Ci sono alcuni punti che non mi sonochiari:1) l’OIM cosa c’entra? Se non per forni-re il materiale in sue mani. Materiale chenon era in grado di capire e valutareallora e che non è certo in grado di capi-re e valutare ora. Sappiamo bene che sequalche lavoratore coatto ha potutoavere un indennizzo, seppur non deporta-to in KZ, non è stato certo per meritodell’OIM. Anzi.2) L’OIM trasmette le istanze di ricono-scimento. Di che? Visto che ha ricono-sciuto solo i deportati nei KZ o in altriluoghi di detenzione a questi assimilati.Altra cosa è se consegna tutte ledomande pervenute alla propria sederomana, semplificando il lavoro dellaapposita commissione che dovrà soloprendere atto e trascrivere dati anagra-fici e indirizzi. Tre anni per questo lavo-ro sembrano essere eccessivi, a menoche altro e più importante si vogliafare. In caso contrario è ancor più inu-tile la sua presenza. Salvo poter parte-cipare alla ripartizione dei 150.000Euro previsti al comma n. 1276. Nonmale per una prestazione nominale.

3) Quando si parla di deportati o inter-nati, cosa si intende? E cosa si intendeper lavoro coatto? E i lavoratori “schia-vi”, cioè quelli che hanno beneficiatodell’indennizzo tedesco sono esclusi daquesto provvedimento italiano?4) Quanti ministeri nella commissione.Nonché qualche esclusione tra le asso-ciazioni storiche, che tuttavia non mimeraviglia.Grazie per l’attenzione e un cordialesaluto.

Aldo Pavia Segretario generale dell’ANED

NESSUNO SFUGGÌ ALLA BRUTALITÀ NAZISTA

Caro Enzo, negli oltre 60 anni decorsi dalla fine delsecondo conflitto mondiale tutta una let-teratura, specializzata e non, si è cimen-tata nella descrizione delle brutaliangherie che i nazisti riservarono agliIMI, cioè a quei 640.000 italiani, irrego-lari secondo i nazisti, accusati ingiusta-mente di tradimento verso l’alleato tede-sco, che, per rivalsa, li deportò e internònei lager del 3° Reich.Nessuno di quei 640.000 IMI sfuggì allabrutalità nazista, ovunque fosse capita-to, cioè: nei lager, negli Straflager, onei Konzentrations-Lager, elencati nel-l’ordine progressivo dei maltrattamentisubiti.In sede internazionale i Konzenntrations-Lager erano veri e propri “campi di ster-

minio” e non dei semplici “campi di con-centramento”, come la traduzione lette-rale dal tedesco li definisce. Chi scrive fu“ospite” di ben dieci lager, in Germaniae Polonia, tre dei quali ubicati rispettiva-mente in Vestfalia, Renania e BassaSassonia, oggi ufficialmente riconosciutiquali veri e propri “campi di sterminio”.Con la legge finanziaria 2007 lo stato ita-liano non intende garantire, come dovreb-be, un adeguato risarcimento economicoai pochissimi IMI ancora in vita, senzasottoporli ad ulteriori gravami burocrati-ci, ma si limita a concedere una purapprezzabile medaglia d’onore a quanti,non importa se militari o civili, in gradodi dimostrare che catturati e deportati dainazisti nei territori controllati dal 3°Reich, furono impiegati nel lavoro coatto.Ciò che preoccupa maggiormente è comeottenere il formale riconoscimento dellostatus di lavoratore coatto.Ancora più gravoso sarebbe ottenere ilsuddetto titolo per i tanti IMI, nemmenoristretti nei lager, ma ugualmente costrettial lavoro. A tal proposito mi limito a con-statare che, se una parte degli ufficiali ita-liani, pur non tenuti ad aderire al lavorovi fu obbligata, anche gran parte dei sot-tufficiali e della truppa che, secondoGinevra, potevano essere impiegati soltan-to in lavori non a carattere bellico, furonoillegalmente e brutalmente destinati:1) al lavoro forzato nelle miniere del 3°Reich;2) alla rimozione delle macerie, sotto lebombe alleate, durante le incursioni nellecittà tedesche.

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PUNTUALIZZAZIONI

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Quale formale, burocratica documenta-zione si può pretendere da costoro, chenon possono nemmeno dimostrare diessere stati ristretti in uno qualsiasi deilager sopra rammentati?Chi scrive è un ex-IMI e in particolare,uno dei 360 Ufficiali costretti al lavoroforzato nello Straflager di Köln Merheim.Nell’estate del 1944, assistette giornodopo giorno, al transito per quel lager,dei militari italiani, morenti, illegalmenteimpiegati nelle miniere della Renania.Erano anch’essi IMI che confessavano anoi, coatti come loro, di preferire lamorte al lavoro nelle miniere…Come negare agli ultimi superstiti – uffi-ciali o soldati che siano – reduci dailager nazisti, persino un riconoscimentosimbolico come la medaglia d’onore?Non sarebbe sufficiente richiedere aipochissimi IMI ancora in vita, o ai lorofamiliari superstiti, una semplice dichia-razione giurata (accompagnata o menodal foglio matricolare militare) in presen-za di un pubblico Ufficiale, civile o mili-tare, per ottenere la suddetta “simboli-ca” medaglia, senza ulteriori, inutili…tribolazioni burocratiche?

Olindo OrlandiEx IMI - Consigliere Nazionale dell’ANRP

RICONOSCIMENTOESCLUSIVAMENTE MORALE

Caro Enzo,Ti ringrazio per l’informazione che mihai mandato su quanto riportato dallalegge finanziaria 2007.Ovviamente non si tratta di un “risarci-mento soprattutto morale” ma esclusiva-mente morale, non penso che possa con-siderarsi un risarcimento materiale lamedaglia d’onore prevista. Si tratta quin-di di poca cosa e come risarcimento èmisero e tardivo.Mi sembra che vi sia un po’ di confusione.Entrando nel merito i paragrafi 1272-1273 parla di riconoscimento dello statusdi lavoratore coatto. Ora per i militarisottufficiali e truppa, la Convenzione diGinevra prevede il lavoro obbligatorio,anche se con alcune limitazioni, relative alavorazioni belliche. Secondo quanto pre-visto al paragrafo 1272, la concessionedella medaglia d’onore sembrerebbe riser-vata ai soli “…militari e civili internatinei lager nazisti e destinati al lavoro coat-to per l’economia di guerra”. Gli internatimilitari che hanno rifiutato il lavoro,subendo, in conseguenza pesanti ripercus-sioni, sembrerebbero esclusi! Occorre chequalcuno intervenga per chiarire.

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FATICOSO PERCORSO DI CRESCITA CIVILE E STORICA

di Valter Merazzi*

La legge pubblicata sulla Gazzetta ufficiale lo scorso 22 dicembre, che riconosce ilsacrificio di chi venne deportato e internato nei lager nazisti, destinato ad esseresfruttato come lavoratore coatto nelle imprese del Reich, è un passaggio importantenel faticoso percorso di crescita della coscienza civile e storica dell’Italia repubbli-cana.Un passaggio indiscutibilmente tardivo, ma tale da costituire un punto fermo. Unalegge sofferta sulla quale gravano la distanza, le dimensioni e articolazioni deglieventi, i ritardi della storiografia, le difficoltà del Paese a fare i conti con la sua sto-ria. Questo anche nella considerazione che nessuno Stato e nessuna forma di risar-cimento ripagherà gli schiavi di Hitler del furto di vita e delle sofferenze patite.Personalmente ritengo che la legge sia importante per due motivi. Il primo è chemette al centro la categoria del lavoro coatto, decisiva per guardare senza retorica alcuore di avvenimenti così drammatici, in grado di comporre in un unico quadro leesperienze individuali di militari, civili, prigionieri politici.Il secondo motivo è che riscatta la memoria rimossa dei reduci della Germania, lalibera dall’isolamento di sessant’anni, coniugando l’esperienza “storica” di unagenerazione mandata al macello dal fascismo e poi tradita e consegnata in manotedesca, con la “storia condivisa” del Paese.Sono soprattutto le voci di operai, impiegati, contadini, manovali, studenti che silevano da questa vicenda. Le voci della generazione che nel silenzio del dopoguer-ra ha saputo rico-struire l’Italia.Questo riconosci-mento morale serve acolmare un debitostorico della Nazio-ne, cogliendo lo spi-rito che ha animato,in tutti questi annil’attività delle asso-ciazioni dei reduci e,a partire dal 2000, lacampagna in difesadegli schiavi di Hitlera seguito della leggetedesca per il risarci-mento del lavorocoatto e schiavistico.Va reso merito al Parlamento, che ha approvato un testo condiviso da tutti i gruppipolitici, e al Presidente del consiglio Romano Prodi per aver creduto in questo prov-vedimento, dando così sollecito seguito alle promesse fatte in campagna elettorale.Sono comunque convinto che la mancanza di un risarcimento monetario, seppurminimo, lasci nei reduci l’amaro in bocca, non ricompensabile col fatto che questoriconoscimento riguardi tutti gli 800.000 deportati italiani, civili e militari, un deci-mo dei quali ancora viventi. Di una cosa siamo certi: i reduci che abbiamo incontrato in questi sette anni non sisono mai illusi di ricevere alcunché, ma non hanno mai rinunciato a chiedere alloStato italiano il giusto riconoscimento delle sofferenze e il ricordo delle vite consu-mate nei lager.Lo spirito di questa legge nell’incontrare queste richieste, costituisce un risultatodunque importante.È necessario chiedersi perché siano occorsi così tanti anni per riconoscere la dimen-

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Per quanto riguarda il sistema da adotta-re, Ti consiglio di vedere quanto è già incorso per le vittime delle foibe, riducendoal minimo la burocrazia. Per esempio ionon ho alcun documento ufficiale relativoa mio padre, so solo quello che mi haraccontato.Tanti cari saluti

Giuliano Manzari Figlio di ex IMI

PER NON DIMENTICARE

Egregio Prof. Orlanducci,Le voglio esprimere il mio personalecompiacimento circa il lavoro svoltodalla nostra Associazione e l’incessantesforzo da Lei direttamente compiuto peril legittimo riconoscimento, da parte delnostro Governo, del sacrificio dei propricittadini deportati ed internati nei lagernazisti.Resta, ovviamente, l’amarezza per nonaver ancora ottenuto dalle autorità tede-sche il tanto auspicato e più che legittimoriconoscimento di quel sacrificio, moraleancorché economico, che comunquequelle autorità avrebbero dovuto accor-dare. Ma devo altresì ammettere che l’at-tenzione e la sensibilità del nostroGoverno oggi attraverso quel riconosci-mento morale riempiono di dignitosagioia ed orgoglio nazionale il mio spiritodi cittadino che servì la Patria.Pertanto mi auguro, unendomi al coro ditutti i nostri associati, che questo atto delnostro Governo costituisca pietra miliaredi quel riconoscimento tanto atteso etanto voluto per non dimenticare il sacri-ficio di quanti, deportati e internati, nonpossono più testimoniare oggi con il lorocoraggio, l’orgoglio di questo atto.

Giuseppe de CamelisEx IMI

POI VENNE L’OIM

Caro Enzo,… Poi venne l’O.I.M. per risolvere il pro-blema tramite il concorso delle industrietedesche, ma le difficoltà aumentarono enon diminuirono e tutti sanno delle discus-sioni sul lodo Tomuschat. Per la granmassa dei lavoratori ugualmente costrettinei campi di lavoro forzato, l’O.I.M. harigettato ogni istanza, per cui allo stato ladisputa continua, pur essendo tutti ancorain attesa di conoscere dove sono andati afinire i soldi versati dalla RepubblicaFederale tedesca in base all’Accordo diBonn del 2 giugno 1961.

sione di una vicenda drammatica che ha coinvolto nel profondo un numero cosìampio di cittadini e di famiglie.Molteplici sono i motivi che una storiografia, restia ad occuparsi a fondo della sto-ria repubblicana, non ha, sino ad oggi, illuminato sufficientemente. Motivi derivan-ti dalla difficoltà a far fronte a un milione e mezzo di reduci delle diverse prigionie,dalle opportunità e rigidità della guerra fredda, dagli “imbarazzi” di settori signifi-cativi del paese nei confronti del fascismo e dell’otto settembre ‘43, dalla monumen-

talizzazione dellastessa Resistenza,dall’uso politico edalla banalizzazione,anche istituzionale,della riflessione sullamemoria.Sin dalla liberazionedal lager, i deportatiitaliani in Germaniasono stati discrimina-ti, trattati come unoggetto ingombrante,di difficile colloca-zione nei delicati ecomplessi equilibridel dopoguerra.

Gli accordi bilaterali italo tedeschi del 1961 relativi alle riparazioni di guerra esclu-sero da qualsiasi indennizzo la grande maggioranza dei reduci dalla Germania, rico-noscendo responsabilità solo verso i deportati politici e razziali, cui lo Stato conces-se nel 1980 un vitalizio. Va qui ricordato che nel 1998 per iniziativa diretta delPresidente Oscar Luigi Scalfaro venne concessa la Medaglia d’Oro V.M.all’Internato Ignoto del Tempio di Terranegra di Padova.Le cifre della deportazione degli italiani sono impressionanti e articolate.Oltre 600.000 militari rifiutarono l’arruolamento nelle forze nazi-fasciste: procla-mando e reiterando il loro NO! alla guerra, subirono lager e schiavitù del lavoro incondizioni spesso pesantissime, come confermano le fonti tedesche stesse.Nell’ordine dei 40-50.000 il numero dei militari deceduti; approssimativo come tuttii dati relativi a questa tragica vicenda. Il No alla guerra da parte della quasi totalitàdegli IMI, il rifiuto degli ufficiali alla costrizione al lavoro, onorano la storia degliitaliani e appartengono a pieno titolo alla sua Resistenza.Questo ha riconosciuto nel 1977 lo Stato italiano parificando gli IMI ai “Volontaridella libertà”.La legge del dicembre 2006 nel denunciare il lavoro coatto riconosce implicitamen-te il valore di coloro che, non certamente in nome di un interesse personale, rifiuta-rono le lusinghe che li avrebbero strappati al lager. In questo senso la legge rafforzal’idea di una Resistenza al nazifascismo ampia e diffusa quale quella espressa inmolteplici forme dal popolo italiano, sinora non sufficientemente riconosciuta dallastoriografia e dal pensare comune.Da 100 a 200.000 civili “prede di guerra”, catturati come pesci in una rete dai tede-schi e dai complici repubblichini nelle zone del fronte e partigiane, come nelle città,ebbero uguale sorte dei militari.Circa 40.000 antifascisti, resistenti e operai in sciopero, considerati nemici delReich, furono consegnati alle SS. Solo il 10% di loro sopravvisse alle condizionibestiali dei KZ.Oltre 7.000 ebrei italiani, braccati come animali, finirono nel mostruoso girone dellasoluzione finale.Si deve all’opera dell’Aned e del Centro di documentazione ebraica contemporanealo studio della deportazione politica e razziale. Nessuna ricerca istituzionale è stata mai avviata in Italia per quantificare, censire,ricostruire dinamiche e responsabilità della deportazione degli italiani nellaGermania nazista. Le uniche opere organiche sui militari sono state scritte dagli sto-rici tedeschi Gerhard Schreiber e Gabriele Hammermann. Per quanto riguarda i civi-

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16schiavi di Hitler

Adesso si parla della sola medaglia, mail riconoscimento anche morale dellanazione che ha esteso il beneficio ancheai familiari di quelli precedentementedeceduti: è una cosa importante.Ben venga la medaglia e di ciò bisognadare atto all’ANRP, sperando che primache l’ultimo ex-internato lavoratore coattoraggiunga i suoi compagni in Paradiso,“qualcosa di consistente si vedrà”.Partorì la montagna e fece un topolino?Si, ma è un topolino d’oro?

Antonio SanseverinoEx IMI - Consigliere Nazionale dell’ANRP

BENEFICIO MERAMENTEMORALE E METALLICO

Carissimo Enzo,… In risposta alla tua lettera dell’8 c. m.,apprezzo il contenuto dei nn. 1271/1276della Finanziaria 2007, frutto tangibile eincontestabile del tuo ben noto “lavoroassociativo” presso le competenti, anchese alquanto tirate, Autorità.Da quanto ritengo di poter interpretare, il“beneficio”, meramente morale e metalli-co, ma non per questo meno apprezzabile,che dopo oltre 60 anni la “Patria ricono-scente” ha finalmente deliberato di conce-dere, spetterebbe – oltre che ai familiari deiDeceduti – ai cittadini italiani militari ecivili deportati e internati nei lager tedeschie “destinati” al lavoro coatto per l’econo-mia di guerra… che abbiano titolo per pre-sentare l’istanza di riconoscimento dellostatus di lavoratore coatto. Nulla, invece,per i militari che, fedeli al giuramento pre-stato, sono rimasti a marcire nei lager, per-manenza, in molti casi, dovuta a particolaricontingenze: ad esempio, il mio “blocco”del campo venne sgombrato e i colleghiufficiali inviati al lavoro, mentre mi trovavoricoverato nell’infermeria del lager perl’infermità per la quale mi fu concessad’ufficio, nell’anno 1946, la pensione diguerra. All’atto della dimissione dalla c.d.infermeria, non trovai nessuno dei vecchicommilitoni, e venni assegnato a unabaracca dove, peraltro, dopo un inizialeperiodo di ambientamento, riuscii a inserir-mi molto bene, in virtù anche del passatobellico: erano alpini, e io ho partecipato alciclo invernale 1942-43 con il secondogruppo dei lancieri di Novara, operanteappiedato di supporto al 5° Alpini dellaTridentina, e questo mi accreditò adeguata-mente, anche perché…parlavo in veneto…Alla fin fine, tutto si è risolto in modoaccettabile: non potrò aggiungere unadecima medaglia, e quindi mi accontente-rò delle nove, tra militari e civili, che vir-

li, purtroppo, le ricerche hanno avuto soloun ambito locale.Solo nell’anno 2000, con l’avvio di unprogetto internazionale che intendevachiudere le “pendenze storiche” dellaseconda guerra mondiale (alla cui elabora-zione l’Italia non ha partecipato), venivaavviata nel nostro paese una commissioneparlamentare sui beni ebraici e istituitacon legge del luglio 2000 la Giornata dellaMemoria (27 gennaio). In tale occasione ilParlamento riconosceva, unitamente allosterminio del popolo ebraico nei campinazisti, le sofferenze e il sacrificio dei“deportati militari e politici italiani”.Nello stesso periodo l’attenzione alladeportazione degli italiani, sollecitatadalla legge tedesca e dalla nascita del“Coordinamento tra associazioni storiche,sindacati e patronati per il risarcimentodelle vittime italiane del nazismo”, porta-vano ai primi incontri presso il Ministerodegli Esteri, all’interessamento delPresidente Amato; alla elaborazione delleprime proposte al Parlamento e al sostegno per il lavoro di coordinamento.A questo proposito è doveroso ricordare che determinante è stata l’opera, serena einstancabile durante la sua legislatura e dopo, del senatore Luciano Manzi, promo-tore della legge in collaborazione con il senatore Luigi Marino, che ha saputo man-tenere vivo il rapporto tra Istituzioni e società civile.Il Coordinamento creatosi a Roma sotto la guida del segretario generale dell’Anrp,Enzo Orlanducci, ha visto la partecipazione di associazioni storiche dei reduci, sin-dacati dei pensionati, patronati e l’Istituto di storia Contemporanea di Como, ed èstato lo strumento che ha saputo sostenere la richiesta di giustizia dei reduci e dailoro famigliari con iniziative in campo istituzionale, giudiziario e storico che hannoispirato probabilmente l’approvazione di questa legge.Merito del Coordinamento è stato quello di valorizzare l’opera di quei sopravvissu-ti al lager e al tempo che non hanno mai smesso in tutti questi anni di fare sentire laloro voce, e soprattutto di aver sollecitato i testimoni che non avevano mai parlato araccontare la loro esperienza.Negli ultimi anni il bisogno di storia delle nuove generazioni, sollecitato dalla cele-brazione della Giornata della memoria, ha trovato rispondenza nelle testimonianzedegli schiavi di Hitler. È stato molto bello verificare quanto spesso per la prima voltai nonni abbiano parlato ai nipoti.Lavorando quotidianamente sul vissuto dei deportati italiani abbiamo potuto coglie-re quanto la rimozione sia stata profonda.L’impossibilità di arrivare ad una elaborazione condivisa, parte integrante dellamemoria collettiva del Paese ha molteplici cause che vanno oltre il silenzio istituzio-nale sulle vicende.Nell’ Italia liberata i deportati si dispersero: l’esperienza del lager e del lavoro coat-to ne aveva fatto un soggetto collettivo. Al rientro ognuno tornò alla sua realtà fami-gliare nei mille paesi d’Italia. Il bisogno di guardare avanti e di dimenticare la guer-ra e i suoi disastri non diede spazio ai reduci dalla Germania: il silenzio individualesi accompagnò al silenzio istituzionale che chiamava in causa troppe responsabilità.La creazione della Fondazione “Memoria Responsabilità Futuro” voluta dalParlamento tedesco nel 2001, le oltre 130.000 domande di reduci presentateall’OIM, costituiscono gli elementi di una vicenda che si intreccia fortemente con lalegge approvata oggi dal governo italiano.La legge tedesca ha avuto il pregio di mettere al centro dell’attenzione la questionedel “lavoro” come asse portante del fenomeno “deportazione”, e ha riconosciuto ildiritto degli individui ad un indennizzo per lo sfruttamento coatto da parte di Aeg,

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17schiavi di Hitler

tualmente sono cucite sulla mia pelle…Ricevi un ben meritato abbraccio dal tuoaff.mo

Adalberto ZoccaEx IMI - Presidente Collegio Nazionale Probiviri

dell’ANRP

P.S. – Nel rileggere la lettera, mi accorgo cheforse non ho risposto puntualmente al quesitopostomi, di esternare il mio pensiero sulsignificato della “concessione” di cui tratta-si: il mio pensiero, facilmente intuibile, è che– malgrado il commendevole lavorodell’ANRP – i nostri legislatori hanno persoun’occasione per onorare adeguatamente chiha tanto sofferto, negli anni 1943-45, in ter-ritorio germanico e d’occupazione, trattaticome bestie da macello. Lesinare un giustoriconoscimento a coloro che più hanno sof-ferto è una volgarità morale, che noi nonpossiamo dimenticare!Ma (ecco che qui riaffiora il mio ottimismodi bolognese doc) prendiamo il soffertoobolo come primo round della battaglia chel’ANRP combatte ormai da tanti anni.Speriamo in miglioramenti futuri, affidatiall’insistita iniziativa e intraprendenza dellanostra nomenclatura associativa, il mottodella Scuola di Cavalleria di Pinerolo, fuci-na di eroici combattenti, sia il nostro: Nonristare!Perdonami l’indiretto richiamo allo status diColonnello T.O.

UNA GRANDE FAMIGLIA

Caro prof. Orlanducciè stata una sorpresa ricevere oggi lanotizia della concessione della “medagliad’onore” in memoria anche del mioamato padre: l’8 gennaio sono trascorsi59 anni dal suo decesso , ma nel miocuore il suo sorriso e la sua penna bian-ca sono sempre presenti! Il ricordo delletraversie passate dall’8 settembre 1943al termine della guerra da lui e dai suoicompagni ha lasciato una traccia incan-cellabile nella mia vita: la dignità e laforza d’animo con cui ha affrontato ogniavversità ricevono solo oggi questo, siapur modesto e simbolico, riconoscimento;in tempi di accentuato revisionismo que-sto semplice atto rende un riconoscimen-to alle sofferenze morali e materiali subi-te da chi ha dedicato la vita all’Italia.La Tua lettera mi ha anche fatto sentireparte di una grande famiglia: gli anni tra-scorsi hanno cancellato i contatti esistentie sapere che qualcuno si interessa e si pre-occupa ancora oggi delle problematicherelative agli internati nei lager nazistisuscita in me commozione e riconoscenza.Con molti cordiali saluti,

Anna Maria CamangiFiglia di ex IMI

Krupp, Siemens, Bmw, Daimler Benz, Opel, Claas, Degussa, Auto Union, Volkswagen, I.G. Farben , Bayer, e di mille altre imprese e miniere e aziende agricole e raf-finerie etc., la maggior parte delle quali lavorava per la produzione di guerra.Il mancato riconoscimento dei deceduti prima del 16 febbraio 1999 e dei deportaticivili occidentali, l’esclusione degli IMI con una perizia successiva alla legge stes-sa, sono gravemente lesivi della dignità e del diritto. Per l’ennesima volta in nomedella “real politik” e di calcoli economici, si è calpestata la verità storica. La promulgazione della legge italiana rafforza la convinzione che un risarcimentoeconomico spetti alla Germania e alle sue imprese, che sul lavoro forzato hannolucrato.Ci auguriamo che l’Italia, attraverso i suoi organi istituzionali, sappia far megliovalere, di quanto è stato fatto in sessant’anni, le ragioni dei suoi cittadini presso laRepubblica Federale Tedesca.La deportazione e il lavoro coatto, le stragi sugli Appennini, Cefalonia (come mostrauna recente sentenza del tribunale di Monaco), sono ancora oggi ferite non rimargi-nate, ostacoli non banali alla costruzione di un comune orizzonte europeo.Desta speranza il fatto che talvolta la società civile, con iniziative dal basso chevedono affiancati gruppi di ricercatori e intellettuali italiani e tedeschi, riesca a sti-molare soluzioni istituzionali in grado di coniugare memoria e storia. È il caso dellelapidi al cimitero militare tedesco di Costermano, oppure quello del professorLehmann e dei suoi studenti che costruiscono ponti di riconciliazione.Ci preme sottolineare, per concludere, l’importanza della riflessione sulla memoria.Quella memoria che abbiamo sollecitato attraverso i contatti quotidiani, che conti-

nuiamo a raccogliere su cartae in video, convinti della ric-chezza, necessità, urgenza diquesto lavoro.In questo senso la legge rap-presenta una opportunità evi-dente. Riteniamo che debbaessere cura dei legislatorisostenere una politica dellamemoria in grado di far sìche il messaggio dei deporta-ti italiani diventi patrimoniocollettivo.Questa crediamo sia l’unicastrada per evitare le insidiedella ritualità.La legge approvata dalParlamento italiano chiudeun capitolo e apre una nuovafase carica di prospettive e diimpegni. La sua complessità,i numeri che mette in campo,il suo significato simbolico,

il carico di sofferenza che si porta dietro richiedono attenzione, condivisione, colla-borazione.È quanto dobbiamo - istituzioni, associazioni, storici, cittadini - agli schiavi diHitler. l

* responsabile “centro di ricerca “Schiavi di Hitler / fondo IMI Claudio Sommaruga” direttore Istituto di storia Contemporanea “P.A. Perretta”.


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