Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215; Pres. Paleologo, Est. Rizzi; Baglioni (Avv.Migliorati) c. Comune di Pescara (Avv. Lupinetti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 29/30-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176886 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
la Camera dei deputati e del Senato della repubblica, previa de
liberazione del consiglio dei ministri, alla emanazione delle di
sposizioni intese a regolare l'espletamento dei servizi di preven zione e di vigilanza antincendi, da assolversi dai vari organi del corpo nazionale dei vigili del fuoco ai sensi delle 1. 27 di cembre 1941 n. 1570, 13 maggio 1961 n. 469 e 26 luglio 1965 n. 966, nonché del d. pres. rep. 27 aprile 1955 n. 547 ».
Risulta dal tenore letterale dell'articolo sopra citato che la so la innovazione introdotta nell'iter procedimentale relativo all'ema nazione del nuovo regolamento è quella che riguarda la neces saria audizione « delle competenti commissioni della Camera dei
deputati e del Senato della repubblica». Un contrario significa to non può, infatti, attribuirsi al silenzio serbato del legislatore in ordine all'applicabilità delle disposizioni concernenti il pro cedimento di emanazione dei regolamenti, come quelle relative
al parere del Consiglio di Stato, al visto del ministro guardasi gilli, agli adempimenti preordinati ad assicurare l'autenticità dei
testi originali dei decreti, al controllo di legittimità della Corte
dei conti. Tali norme, atteso il loro carattere generale, non abbi
sognano, come è pacifico, di espresso richiamo per l'applicazio ne alle singole fattispecie in esse contemplate.
Né, sotto diverso profilo, può ritenersi che una specifica de
roga implicitamente discenda, per quanto riguarda l'audizione
del Consiglio di Stato, dal carattere assorbente del parere ob
bligatorio delle commissioni parlamentari. In contrario è da os
servare che diversi sono, nelle due ipotesi di consultazione, gli interessi pubblici perseguiti e che, correlativamente, il parere delle commissioni parlamentari non può considerarsi, di per se
stesso, sostitutivo dell'ausilio tecnico che il Consiglio di Stato
è chiamato a prestare al governo, in posizione disinteressata ed
a presidio della legittimità e convenienza dell'azione ammini
strativa.
Nessun valore derogatorio può venire, pertanto, attribuito al
l'innovazione procedurale disposta dall'art. 2 1. n. 406/1980, la
cui sola funzione è quella di assicurare, con la introduzione di
un ulteriore atto preparatorio nell'iter procedimentale, una più
ampia ponderazione degli interessi da perseguire. Discende da quanto precede che illegittimamente l'amministra
zione ha omesso di richiedere, sullo schema di regolamento in
esame, il parere del Consiglio di Stato, secondo quanto previ
sto dall'art. 16 r. d. 26 giugno 1924 n. 1054 e dall'art. 1 1. 31
gennaio 1926 n. 100.
preoccupazioni per il mantenimento di un ruolo incisivo di tale
funzione nei confronti di quella di amministrazione attiva: perché
questa, oltre gli interessi pubblici e privati, amministrativi e politici, tra i quali deve mediare, acquisisca al procedimento anche quello alla legittimità della sua attività (sulla funzione consultiva del Con
siglio di Stato v. anche Landi, in Studi per il centocinquantenario del
Consiglio di Stato, cit., Ili, 1267; V. Caianiello, Consiglio di Stato.
voce del Novissimo digesto, appendice, 1980, li, 449).
I
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A
BRUZZO; Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215;
Pres. Paleologo, Est. Rizzi; Baglioni (Avv. Migliorati) c. Co
mune di Pescara (Avv. Lupinetti).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A
BRUZZO; Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215;
Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzioni ammi
nistrative — Prescrizione.
Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzione ammi
nistrativa pecuniaria — Stima del valore venale — Data di ri
ferimento (L. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche e integrazioni al
la 1. urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 13).
È legittima la sanzione pecuniaria che il sindaco abbia inflitto
per la costruzione abusiva, entro dieci anni dalla diffida a
demolirla. (1)
(1,3) Sentenze innovative, che trovano un precedente solo nel
l'affermazione dell'effetto convalidante, in materia di repressione di abusi edilizi, del termine decennale previsto dall'art. 7 1. n. 765/ 67 per l'annullamento (allora governativo ed oggi regionale) dei prov vedimenti comunali, applicabile per analogia, sostenuta da T.A.R.
Toscana 12 giugno 1974, n. 23, Foro it., Rep. 1974, voce Edilizia e
urbanistica, n. 540, che ha anche tentato, con la sentenza 22 feb
braio 1978, n. 67, id., Rep. 1978, voce cit., n. 632, una diversa strada
per arrivare a limitare nel tempo l'esercizio dei poteri sindacali di
repressione di abusi edilizi: ha dichiarato viziato per eccesso di po
£ illegittima la sanzione pecuniaria per la costruzione abusiva,
rapportata al valore venale che questa aveva al momento del
la valutazione da parte dell'ufficio tecnico erariale, e non al
precedente momento nel quale il comune aveva accertato l'in
frazione. (2)
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A
BRUZZO; Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 214; Pres. Paleologo, Est. Ciminelli; Ciccarelli (Avv. De Medio) c. Comune di Francavilla al Mare, Scuccimarra.
Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzioni ammi
nistrative — Prescrizione.
È illegittima la diffida a demolire la costruzione abusiva, che il sindaco abbia intimato al suo acquirente dopo più di dieci
anni dalla sua ultimazione. (3)
tere il provvedimento repressivo intervenuto oltre il termine di cin que anni previsto dall'art. 6 1. n. 765/67 per gli interventi sostitu tivi in caso di inerzia del sindaco, nei confronti di opere ese guite senza licenza, o in contrasto con essa, termine pur di per sé non applicabile ai poteri sindacali in via di interpretazione esten siva o analogica.
Per il resto, infatti è costante la giurisprudenza, a cui si è accostato lo stesso T.A.R. Toscana 10 aprile 1981, n. 171, id., Rep. 1981, voce cit., n. 659, secondo la quale il potere sanzionatorio dell'autorità co munale nei confronti di abusi adilizi non è soggetto a nessun ter mine di prescrizione o di decadenza: Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 1981, n. 359 (che in particolare ha affermato che la sanzione pecu niaria ha natura amministrativa e non contravvenzionale, con la con
seguenza che ad essa non è applicabile il termine triennale di pre scrizione previsto dall'art. 157, n. 5, c.p.; per qualche riferimento, sempre in relazione alle sanzioni pecuniarie, v. anche il parere di Cons. Stato, sez. II, n. 266/77, ibid., n. 802), ibid., n. 797, non ché 30 settembre 1980, n. 800, id., Rep. 1980, voce cit., n. 683; T.A.R. Liguria 7 febbraio 1980, n. 49 (che ha anche dichiarato manifestamente infondata la relativa questione di co stituzionalità), ibid., n. 682; ancora T.A.R. Toscana 9 febbraio 1979, n. 86, id.. Rep. 1979, voce cit., n. 634; T.A.R. Lazio, sez. 11, 23 mag gio 1979, n. 373, ibid., n. 635; Cons. Stato, sez. V, 1° dicembre 1978, nn. 1222 e 1244, ibid., nn. 636, 638; 17 marzo 1978, n. 327, id., Rep. 1976, voce cit., n. 633; T.A.R. Lazio, sez. Ili, 15 dicembre 1975, n. 502, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1339; T.A.R. Emilia-Roma
gna 26 febbraio 1975, n. 69, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1100.
Conseguentemente, la giurisprudenza ritiene superabile l'ostacolo al l'esercizio dei poteri repressivi di costruzioni abusive da parte del sindaco costituito dal lungo periodo di tempo decorso, con una ade
guata motivazione basata sulla sussistenza di ragioni attuali di inte resse pubblico (come risulta anche indirettamente, dalle pronunce che altrimenti non ritengono necessaria una motivazione, o che an nullano la misura repressiva tardiva per difetto di motivazione): Cons. Stato, sez. V, 27 marzo e 28 aprile 1981, nn. 100 e 141, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 762, 774; 20 aprile 1979, n. 199, id., Rep. 1979, voce cit., n. 724; sez. V 24 luglio 1978, n. 888, id., Rep. 1978, voce
cit., n. 736; Il marzo 1977, n. 197, id., Rep. 1977, voce cit., n. 834; T.A.R. Lazio, sez. Il, 30 aprile 1975, n. 134, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1284, e 19 giugno 1974, n. 5, id.. Rep. 1974, voce cit., n.
597; Cons, giust. amm. sic. 30 luglio 1974, n. 328, ibid., n. 602; Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre 1973, n. 692, id., Rep. 1973, voce cit., n. 639; 21 novembre 1972, n. 926, id., 1973, 11, 47, con nota di richiami.
Quanto al richiamo fatto in motivazione della sentenza n. 214/82 alla giurisprudenza penalistica che qualifica i reati edilizi come per manenti, la cui permanenza cessa però con l'ultimazione della costru
zione, essa è costante: Cass. 16 gennaio 1981, Melilli, id., Rep. 1981, voce cit., n. 674; 20 febbraio 1980, Maimone, 16 maggio 1980, Dra
gone, 3 ottobre 1980, Scarpaci, e 18 novembre 1980. Bilotti, ibid., nn. 677, 672, 673, 671; 20 aprile 1979, Sansone, 29 maggio 1979, Giof
freda, 17 ottobre 1979, Martufi, 12 dicembre 1979, Serraino, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 741-744; 12 gennaio 1979, Mattera, e 1° febbraio 1979, Duca, nonché 3 luglio 1978, Crupi, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 681,682, 679; Pret. Genova 16 marzo 1979, id., 1979, 11, 320, con nota di richiami. Pret. Menaggio 7 novembre 1979, id., Rep. 1980, voce cit.. n. 723, ha affermato, però, che la permanenza non cessa nel caso
nel quale l'opera non sia stata ultimata per spontanea sospensione dei lavori, con la conseguenza che non inizia a decorrere il termine
di prescrizione del reato. Da ultimo, nel senso che non è manifestamente infondata la que
stione di costituzionalità degli art. 28 1. 25 novembre 1962 n. 1684 e
20 1. 2 febbraio 1974 n. 64, nella parte in cui non prevedono la na
tura permanente dei reati consistenti nella inosservanza delle prescri zioni tecniche dirette a garantire la sicurezza delle costruzioni in
zone sismiche, in riferimento agli art. 2 e 32, 1° comma, Cost., Pret. Messina, ord. 3 marzo e 15 gennaio 1981, id., 1982, II, 174, con nota di richiami.
La giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso che il
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PARTE TERZA
I
Diritto. — 1. - Le censure prima, seconda e terza non vanno
condivise. La quarta è invece, per quanto di ragione, fondata. 2. - Si deduce con il primo mezzo che non può irrogarsi nel
1981 una sanzione pecuniaria per abusivismo edilizio relativo a
costruzione compiuta a seguito di licenza del 1971, quanto la
diffida a demolire sia stata emanata nel 1975, e non sia stata rinnovata in seguito.
Il motivo è inconsistente. Nel sistema introdotto dalla 1. 1957 n. 765, la sanzione conclusiva dell'abusivismo edilizio è non già facoltativa e semplicemente normale, come nel testo originario dell'art. 32 1. n. 115C/1942, per cui il sindaco poteva ordinare la demolizione. Tale sanzione è ora assolutamente vincolata. In
fatti, per l'art. 41 1. n. 765/1967 ove non sia possibile demolire
si applica la sanzione pecuniaria. Vi è dunque discrezione nella
scelta, ma non nell'emanazione di un provvedimento repressivo, a conclusione della vicenda.
La ricorrente non ha impugnato la diffida a demolire. E dopo d'allora il comune aveva il potere di determinare la sanzione.
In mancanza di espressa previsione di perennità, ed in con
formità con ciò che accade in casi analoghi, ed invero con i
principi generali, è da credere che anche nella materia delle
sanzioni urbanistiche il potere sia prescrittibile. In tal senso la sezione ha deciso con sentenza 31 luglio 1982,
n. 214; né sussistono ora ragioni per cambiare indirizzo. Sem bra anzi opportuno rinviare, sul punto, alla motivazione della
precedente pronunzia. È stato allora ritenuto che la prescrizione fosse, per ogni singolo provvedimento, decennale.
Nella specie, il decennio dall'emanazione della diffida non
era trascorso, sicché il comune poteva e doveva finalmente ema
nare la misura conclusiva; mentre doveva imputare a se stesso — come appresso si vedrà ;— le conseguenze per esso sfavore voli dell'avere, senza alcuna ragione nota a questo tribunale, tardato tanto a farlo. (Omissis)
5. - Con la quarta doglianza è dedotto che la stima UTE dei valori venali delle opere abusivamente costruite è troppo alta,
perché compiuta con riferimento ai prezzi correnti al tempo del sopralluogo UTE, e non a quelli del momento in cui il co mune accertò l'infrazione.
Il motivo è fondato. L'art. 13 1. n. 765/1967, che ha intro dotto la sanzione pecuniaria, come alternativa alla demolizione,
prevede che quella sia pari al valore venale delle opere abu sivamente eseguite, accertato dall'UTE. Ma non specifica a che data tale valore vada rapportato, punto questo d'evidente rilie vo in periodi di progressivo incremento del valore in termini monetari dei fabbricati, specie se le vicende dell'accertamento amministrativo si prolunghino nel tempo.
Va ancora aggiunto che nessun riferimento alla data dell'ac certamento del valore può rinvenirsi neppure nell'art. 15, comma
pagamento della sanzione pecuniaria non toglie il carattere abusivo della costruzione, almeno a fini diversi della sua demolizione: T.A.R. Campania 25 ottobre 1978, n. 945, id., Rep. 1979, voce cit., n. 776; T.A.R. Lombardia 8 giugno 1977, n. 596, id., Rep. 1978, voce cit., n. 651: Cons. Stato, ad. plen., 17 maggio 1974, n. 5, id., 1975, III, 106. con nota di richiami.
(2) La sentenza accoglie la soluzione adottata da T.A.R. Sicilia, sede di Catania, 23 gennaio 1980, n. 82, richiamata in motivazione, Foro it.. 1981, 111. 358, con ampia nota di richiami, che ha sostenuto che il valore venale della costruzione abusiva, al quale deve essere rapportato l'ammontare della sanzione pecuniaria, è quello del mo mento in cui il comune ha avuto la prima notizia della illegittimità, e non quello successivo della stima da parte dell'ufficio tecnico era riale.
Secondo il quadro della giurisprudenza che emerge da tale nota di richiami, questa soluzione era stata affermata solo sporadicamente; a parie alcune sentenze che hanno riferito la valutazione del valore ve nale della costruzione al momento della sua stima da parte dell'uffi cio tecnico erariale, l'orientamento giurisprudenziale di gran lunga dominante riferisce tale valutazione al momento dell'adozione del provvedimento sanzionatoriò; e, successivamente, questa tendenza si è ancora rafforzata: sez. V 16 aprile 1982, n. 283, Cons. Staio, 1982, I, 1452; 28 settembre 1981, n. 422, Foro it., Rep. 1981, voce Edilizia e 1452; 28 settembre 1981, n. 422, Foro it., Rep. 1981, voce Edilizia e urbanistica, n. 799.
Cons. Stato, sez. Il, 14 dicembre 1977, n. 266/77, ibid., n. 802, ha affermato, inoltre, che il comune il quale, scelta la strada di san zionare solo pecuniariamente la costruzione abusiva, abbia chiesto la stima dell'ufficio tecnico erariale del valore attuale di essa, non può. dopo una ingiustificata attività di anni, richiedere una nuova stima, nel tempo dal comune stesso ritenuto più ppportuno.
In dottrina. M. A. Sandulli, in Riv. giur. edilizia, 1979, II, 258.
9", 11° e 13°, 1. n. 10/1977, con riguardo alle sanzioni pecuniarie
previste da tale normativa. Spetta dunque all'interprete stabilire
quale sia la volontà della legge in materia.
Nessun aiuto può derivare per ciò dalla lettera della disposi zione. Che il valore debba venire accertato dall'UTE non vuol
dire che esso debba essere quello corrente al momento della
stima di tale ufficio, al quale possono ben richiedersi, a seconda
della natura dei vari affari, stime relative a tempi diversi. L'in
terpretazione delle norme deve dunque aver riguardo al fine
perseguito dal legislatore. In proposito, la giurisprudenza dominante della V sezione
del Consiglio di Stato è ora nel senso che debba tenersi conto
del valore del bene al tempo in cui è emanato l'ordine di paga mento del sindaco. In pratica, però, tale giurisprudenza si rife
risce proprio al momento della stima UTE. Perché è chiaro che
se valesse il tempo successivo dell'emanazione del provvedimen to sanzionatorio, questa stima dovrebbe essere sempre, od al
meno assai spesso, rivalutata; mentre è immancabilmente tenu
ta ferma.
Considerato attentamente l'importante argomento, e pur pren dendo atto dell'insegnamento del giudice superiore, il collegio non crede di potervisi adeguare, ritenendo invece che il tempo della determinazione del valore dell'opera abusiva debba risa
lire al momento della prima conoscenza del perseguito abusivi
smo, da parte dell'autorità comunale. E ciò per le ragioni che
seguono. Anzitutto, deve ammettersi che le sanzioni amministrative fi
nali dell'abusivismo edilizio (ordine di demolizione, ordine di
pagamento ed ora anche confisca) non abbiano carattere esclusi
vamente punitivo, ma invece o natura ripristinatoria, o natura
riparatoria. Che esse abbiano un certo carattere punitivo è imman
cabile, trattandosi di sanzioni in senso proprio, ossia di conse
guenze sfavorevoli per l'agente che il diritto fa derivare dalla
tenuta volontaria d'una condotta antigiuridica e colpevole, al
fine di scoraggiarne la ripetizione da parte del soggetto persegui to e da tutti gli altri.
Ma non sono esclusivamente punitive, perché non mirano so lo a restituire male per male, né esclusivamente a prevenire la volontaria tenuta di altre condotte simili.
Cosi le sanzioni urbanistiche pecuniarie non vogliono soltan
to privare il soggetto sanzionato della disponibilità di somme di
denaro, che verrebbero in tal senso attribuite allo Stato come al soggetto rappresentativo dell'ordinamento, ma che potrebbero con pari effetto essere semplicemente distrutte.
Sono invece attribuite ai comuni perché questi ultimi, che sentono conseguenze negative dell'infrazione, vedano in qualche modo riparato, attraverso l'arricchimento pecuniario, il loro pre giudizio.
Di conseguenza, le sanzioni amministrative dell'abusivismo non rientrano mai nelle prescrizioni della 1. 24 novembre 1981 n. 689, di modifiche al sistema penale mediante la depenalizzazione d'infrazioni. Cosi, non sono dovute per l'intiero da ciascuno, in
caso di concorso di persone (art. 5 1. ult. cit.) ; e non si estin
guono per morte dell'agente (art. 7). È invero da ritenere che il capo 1 (sulle sanzioni amministrative) di tale legge attenga in realtà alle sole sanzioni punitive.
In materia urbanistica, le sanzioni amministrative finali era no originariamente solo ripristinatorie. Si trattava di rimettere i luoghi, per quanto possibile, in pristino stato, e di soddisfare cosi — salvo l'incancellabilità dell'abuso per il tempo ormai trascorso — tutti i soggetti interessati alla punizione.
Essendosi riscontrate gravi resistenze alle remissioni in pri stino, soprattutto per gli affidamenti creati dalla lentezza ed inef ficienza delle amministrazioni comunali, la 1. n. 765/1967 intro dusse la sanzione alternativa del pagamento del valore dell'ope ra. Questa somma è, in senso lato, riparatoria per il comune,
facendogli conseguire un quid pro quo, anche se non lo è per i controinteressati, che restano tutelati da sanzioni civili (art. 872 c. c.). E pure quando le somme non possono andare al co mune — il quale abbia esso stesso violato la legge, sicché non
gli sia lecito lucrare della propria condotta biasimevole (art. 13, ult. comma, 1. n. 765/1967) — la sanzione irrogata all'abusivista non cessa d'essere riparatoria, almeno nel senso ch'essa è com misurata agli stessi parametri fissati in via generale. Mentre d'al tra parte la regione, allora destinataria del beneficio eroga per l'attività di vigilanza delle spese, in qualche modo compensate dall'introito in questione.
Pure riparatoria è la sanzione della confisca, di cui all'art. 15. comma 3°, della successiva 1. n. 10/1977; ed anche qui valgono, almeno in parte, le osservazioni sui limiti soggettivi della ripa
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
razione, e sulla connessione fra questi e le sanzioni civili pre viste dall'art. 872 c. c.
Ma il collegio deve subito osservare che le riparazioni in og
getto sono collegate dalla legge a parametri che non hanno di
retto rapporto con l'effettivo pregiudizio con ogni infrazione
arrecato al comune, trattandosi piuttosto — oltre che di rendere
non conveniente per l'abusivista la tenuta della condotta anti
giuridica — di assicurare che attraverso l'esito complessivo del
la sua attività di polizia urbanistica il comune sia, più o meno,
compensato degli svantaggi sentiti per opera dei costruttori abu
sivi. Cosi, una costruzione poco apprezzata condurrà a non altra
sanzione pecuniaria, ma pregiudicherà a volte un interesse pub
blico notevole; mentre un manufatto che darà luogo ad impo
nente sanzione contrasterà altre volte pochissimo gli interessi
del comune.
Per conseguenza, non è dato trarre dal carattere riparatorio della sanzione l'intento legislativo che essa sia necessariamente
la più alta fra le varie possibili, e preferire per ciò l'interpre
tazione più rigorosa della norma ora in esame. Non è dato, cioè,
ricavare da tale carattere un dato criterio ermeneutico.
La sezione non può neppure condividere l'insegnamento, al
tre volte autorevolmente espresso, che con la 1. n. 765/1967 il
legislatore abbia mirato a rendere indifferente per l'abusivista
la scelta, da parte dell'autorità amministrativa, fra sanzione ri
pristinatoria e riparatoria. Come dettagliatamente esposto da T.A.R. Sicilia - Catania 23
gennaio 1980, n. 82 (Foro it., 1981, III, 358), tale indifferenza
non ha mai luogo, e la difformità di risultato economico è anzi
immancabile, e può risultare assai ampia. Il rapporto di convenienza patrimoniale per l'abusivista fra
demolizione e pagamento del valore delle opere abusivamente
eseguite (dal quale non deve detrarsi la spesa a suo tempo soste
nuta per costruire) varia in funzione del costo di demolizione;
dell'ulteriore rapporto fra opera eseguita e diversa opera legit
timamente eseguibile sull'area di risulta, previo permesso ammi
nistrativo; delle previsioni di apprezzamento e deprezzamento
dei fabbricati della zona; e delle previsioni sui coefficienti di
costruibilità e sui costi di costruzione futuri. Né le varianti sono
queste soltanto.
L'art. 15 1. n. 10/1977 ha, del resto, definitivamente contrad
detto la tesi dell'indifferenza per il soggetto passivo della san
zione, dal momento che a volte la sanzione pecuniaria va ora
rapportata al doppio del valore della costruzione, mentre la de
molizione salva l'area ma costringe a sentire le spese relative,
e la confisca comprende l'area ma non implica spese. Né dev'es
servi indifferenza fra la posizione in cui l'abusivista si trove
rebbe se non avesse violato la norma, e quella in cui verserà
dopo la demolizione, o dopo il pagamento dell'indennizzo. Qui
il rapporto è collegato, per ogni singolo abusivista, alla data
della scoperta dell'infrazione ed allo svolgimento del procedi
mento repressivo, con riguardo soprattutto all'effettiva irroga
zione della sanzione stessa. E per il complesso degli abusivisti
anche alla comparazione fra quantità d'infrazioni lasciate im
punite e di sanzioni effettivamente represse; ossia al grado di
possibilità d'impunità del singolo agente.
Pure nella materia in esame, non è dunque tanto nella du
rezza della punizione, quanto nella sua immancabilità e cele
rità, ossia nel buon funzionamento dell'apparato repressivo, che
deve farsi affidamento per l'assicurazione della generale ottem
peranza alla normativa urbanistica. Anzi, può accadere in al
cune situazioni che l'alto grado di severità della sanzione favo
risca l'effetto della non applicazione di queste. Va inoltre os
servato come la norma che impone ai comuni il dovere di san
zionare gli abusivismi urbanistici impone loro anche quello di
risolversi a ciò con ordinaria diligenza. In particolare, i comuni
non potrebbero tenere in serbo le infrazioni di cui abbiano no
tizia per costituirsi una possibilità di pressione su dati cittadini,
od una massa creditizia da utilizzare in tempi di maggiori bi
sogni finanziari dell'ente o comunque da graduare secondo cri
teri discrezionali, idonei ad influire sulla quantificazione mone
taria delle singole pretese.
Ove i comuni abbiano notizia dell'esistenza dell'illecito, deb
bono subito emanare la diffida (rendendo cosi certi i connotati
di esso) e — se reputano di scegliere la via della sanzione pe
cuniaria — chiedere all'UTE la stima, ed emettere l'ordine di
pagamento. Tutto ciò può compiersi in poche settimane, e con
assai modesta spendita di attività amministrativa. Non si dice
qui che i comuni siano responsabili per la astuzie ed accortezze
degli amministrati, che celino i loro abusivismi. Questi ul
timi sono poi, a volte, di diffìcile riscontro, perché compiuti
all'interno di proprietà private, e lontano dalla vista del pub blico. E del resto, le modalità di svolgimento del servizio di po lizia amministrativa sono rimesse alla discrezione dei comuni.
Sicché la tardiva notizia dell'esistenza d'illecito non influisce
sul potere di diffidare, e di prescegliere la sanzione quantifican
dola, ove sia quella pecuniaria, con riferimento al tempo dell'ef
fettiva conoscenza dell'illecito. Ma una volta conosciuto l'abu
sivismo, non saprebbe vedersi perché i comuni possano, con
pregiudizio dell'abusivista, ritardarne la persecuzione.
Avviandosi alla fine del ragionamento, il collegio nota infatti
che il ritardo in cui l'amministrazione incorra nel determinare
l'importo dovuto non è talora, né il più delle volte, indifferente
per l'abusivista. Non è vero, in particolare, che pagando in ri
tardo una sanzione pecuniaria maggiore, perché rapportata al
valore nel tempo successivo dell'opera, quegli pagherebbe, in
termini reali, la stessa cosa.
Anche ad ammettere che in campo di sanzioni urbanistiche
pecuniarie l'obbligazione e la responsabilità facciano capo al
solo costruttore (e non agli aventi causa a titolo oneroso, per
i quali il ritardo nell'emanazione dell'ordine di pagamento po
trebbe altrimenti significare ritardo nella conoscenza dell'illeci
to, e difficoltà ad ottenere il rimborso da parte del dante causa,
per vizi occulti del bene), tutto sta ad intendersi sull'espressione
termini reali, usata qui addietro.
Gli unici termini che, secondo il collegio, rilevano nella spe
cie sono invero quelli costituiti dall'effettiva situazione di una
ragionevole parte degli abusivisti, come immaginabile alla stre
gua delle nozioni di comune conoscenza.
Ora, non è detto che l'abusivista per dir cosi medio abbia
in seguito l'identica possibilità di pagare un importo maggiore
di quello che avrebbe potuto essergli domandato prima, quando
tale nuovo importo sia ora come allora rapportato al crescente
valore dell'opera abusiva.
Se il privato paghi con somme non ricavate dalla vendita del
manufatto sanzionato, non è detto, cioè, né che l'apprezzamen
to di tali opere non sia maggiore di quello degli altri beni di
lui, né ch'egli abbia frattanto investito le proprie disponibilità
liquide in modo idoneo ad assicurarsi un incremento di esse,
in termini reali, simile all'apprezzamento dell'opera abusiva.
Né che le possibilità di vendere l'immobile abusivo per ot
tenere il valore in denaro siano sempre le stesse. D'altra parte,
la responsabilità del privato non è limitata, alla peggio, alla per
dita dell'opera sanzionata. Al contrario, egli risponde del debito
pecuniario con l'intiero suo patrimonio presente e futuro, ex
art. 2740 c. c.
Adesso, la sanzione può essere commisurata al doppio del
valore di comune commercio del bene. Ma anche prima il va
lore del bene suddetto era cosa assai diversa dal prezzo di es
so, conseguibile in una vendita necessariamente affrettata, e di
cosa conosciuta come abusiva e perseguita come tale, salvo fu
turo affrancamento per pagamento di sanzione riparatoria.
In definitiva, il privato può dunque avere il più grande inte
resse a che la sanzione pecuniaria gli sia quantificata al più
presto, e cioè in termini monetari meno elevati.
11 comune ha il dovere di far ciò, desumibile implicitamente
ma, a giudizio della sezione, chiaramente dal dovere ormai
tassativo di sanzionare l'illecito una volta che questo gli sia
noto. Né potrebbe riconoscere all'amministrazione un potere di rin
vio (o, salvo norme speciali, di rateizzazione) del pagamento, in
nessun luogo previsto, e che si traduce, in sostanza, in una ri
duzione di esso. Non sembra quindi ragionevole pensare che il
suddetto dovere, imposto dal legislatore, sia stato inteso come
privo d'effetti sul tempo della determinazione della sanzione pe
cuniaria.
Al contrario, è da credere che la volontà della legge sia quella
di far pagare subito e tutto e di quantificare il pagamento in
modo certo ed immediato, stabilendo che il valore dell'opera
abusiva sia quello (ed ora, a volte, un multiplo di quello) accer
tabile al tempo della scoperta dell'infrazione. Non invece quello
liberamente collegabile dall'ente pubblico al valore dell'opera in
un tempo qualunque, scelto dall'ente stesso.
È perciò che la sezione ritiene l'art. 13 1. n. 765/1967 debba
essere inteso nel senso che il valore venale delle opere — senza
contare il valore dell'area, ma senza detrarre il costo sostenuto
dall'abusivista per la costruzione delle opere stesse — cui va
commisurata la sanzione imponibile al costruttore, sia il valore
delle opere valutato al tempo della prima notizia della costru
zione abusiva, acquisita dal comune. Della prima notizia, cioè,
Il Foro Italiano — 1983 — Parte III-3.
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PARTE TERZA
del completamento della costruzione, come attualmente sanzio nata.
Non può invece essere consentito all'organo pubblico di di
lazionare per mesi ed anni la comunicazione della sanzione do
vuta, realizzando cosi una riparazione d'importo diverso e mag
giore rispetto a quello spettantegli, ov'egli avesse svolto la sua
attività con la diligenza necessaria.
Resta infatti stabilito che tale differente computo costituisce
peso diverso e spesso anche in termini reali più grave per il
soggetto sanzionato, ed una riparazione diversa per l'ente pub blico, di quanto non sia stato previsto dal legislatore.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il comune di
Pescara avrebbe dovuto richiedere all'UTE di valutare le opere de quibus alla data del primo rapporto esistente agli atti del
comune stesso, che identifichi l'intiero abusivismo ora persegui to. Il non aver fatto ciò costituisce illegittimità, a ragione la
mentata dalla ricorrente.
6. - Sicché, attesa la fondatezza dell'ultima censura esamina
ta, il ricorso deve essere accolto, salvi gli ulteriori provvedi menti. (Omissis)
II
Diritto. — È impugnata una diffida a demolire, emessa dal
sindaco di Francavilla al Mare ai sensi dell'art. 32, 3° com
ma, 1. urb. 1150/1942 e riguardante dei vani sottotetto resi
abitabili sebbene previsti dalla licenza come « ripostigli ». La
licenza edilizia risale al luglio 1967, la diffida al maggio 1979 ed
essa è rivolta ai proprietari attuali dell'appartamento, che nel
1971 l'acquistarono dall'intestatario della licenza.
Il ricorrente, proprietario dell'appartamento insieme alla mo
glie, deduce fra le altre censure la prescrizione del potere di
diffida in quanto superato il decennio dall'ultimazione dei la
vori, nonché dal permesso di abitabilità rilasciato nel marzo
1968 dallo stesso sindaco. La tesi al riguardo, invero, si fonda
sull'art. 1159 c. c. ed è volta a sostenere una sorta di prescrizio ne acquisitiva. Il lungo tempo trascorso — si afferma — e l'af
fidamento originato da tale attestato di abitabilità avrebbero
fatto maturare il diritto a mantenere indisturbato l'immobile che
ora l'amministrazione ritiene illegittimo. È indubbio però che,
comunque formulato, l'assunto chiama in campo il problema della prescrittibilità o meno del potere di « vigilanza » previsto dall'art. 32 della citata legge urbanistica, quando lo stesso venga esercitato oltre il decennio dal compimento delle opere edilizie, ovvero decorso il termine di prescrizione ordinaria fissato dal
l'art. 2946 c. c. Il ricorrente deduce in modo chiaro il vizio di
violazione delle norme di legge sulla prescrizione. Su tanto per ciò deve pronunciarsi il collegio per valutare la fondatezza o
meno della censura, e quindi la legittimità del provvedimento. Un aspetto della legge urbanistica del 1942 — come modificata
dalla 1. n. 765/1967 — è dato dalla mancata testuale previsione dell'estinzione del potere di perseguire in via amministrativa gli illeciti edilizi, quando notevoli tratti di tempo trascorrono dalla
loro esecuzione.
Ciò ha indotto la giurisprudenza del Consiglio di Stato ad esimere tale potere da limiti prescrizionali o di decadenza (sez. V 10 marzo 1970, n. 233, Foro it., Rep. 1970, voce Piano rego latore, n. 584; 14 dicembre 1971, n. 1508, id., Rep. 1972, voce Edilizia e urbanistica, n. 669; 17 marzo 1978, n. 327, id., Rep. 1978, voce cit., n. 633; 1° dicembre 1978, n. 1222, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 636, 637; 12 gennaio 1979, n. 9, ibid., n. 719; 30 settembre 1980, n. 800, id., Rep. 1980, voce cit., n. 683) e ad ammettere quindi l'azionabilità sine die del potere stesso, salvo a ritenere talora sussistente l'onere per l'amministrazione di motivare in ordine al pubblico interesse quando la diffida —
primo atto necessario del procedimento repressivo — segua tem
pi lunghi dagli illeciti che s'intendono perseguire (sez. V 20
aprile 1979, n. 199, id., Rep. 1979, voce cit., n. 724; 6 luglio 1979, n. 489, ibid., n. 737; 28 aprile 1981, n. 140, id., Rep. 1981, voce cit., n. 774). Giurisprudenze — l'una e l'altra — a cui
mano a mano si è pressoché allineata tutta quella proveniente dai T.A.R.
L'ultima tesi contrasta peraltro con la normativa successiva al testo originario dell'art. 32 1. n. 1150/1942. A partire dall'art.
13, cpv., 1. n. 765/1967 l'irrogazione d'una sanzione finale è
non una possibilità ma un dovere assoluto.
Ad ogni modo, non può sottacersi che il problema di regolare nel tempo detto potere sussiste perché, se da un lato non sem bra che una tale perpetuatio potestatis abbia costituito finora
minimo freno all'abusivismo edilizio, è altresì' indubbio che una
qualunque iniziativa sanzionatoria, intrapresa dall'amministrazio
ne assai dopo il perpetrarsi dell'illecito, incide sulla certezza dei
rapporti giuridici. E ciò pur quando — come vuole la citata
giurisprudenza — il provvedimento sia giustificato da concreti
interessi pubblici, dato che le ragioni che sottendono la cennata
esigenza di certezza sono comunque tali da non poter soggia cere a questi ultimi.
Non sembra possibile alla sezione ritenere che il legislatore abbia inteso — pur senza dirlo esplicitamente — sottoporre per decenni il costruttore o proprietario dell'immobile al rischio di
responsabilità sanzionatorie; né che tali responsabilità debbano
gravare per sempre sugli eredi o aventi causa del proprietario
originario. Man mano che le vicende progrediscono nel tempo, cambiamenti di titolarità dei beni ed acquisizione di diritti su
gli stessi sono non solo astrattamente concepibili, ma quasi im mancabili. Con la conseguenza — secondo l'ordine di idee che
qui si critica — che soggetti del tutto ignari, ed estranei al
l'illecito, possono essere chiamati a rispondere, o a sentirne gli effetti, in ogni tempo.
Non sarebbe agevole sostenere che mentre le sanzioni penali — di massima riferite ad attività antisociali, giudicate moral mente più riprovevoli e contrarie ad interessi essenziali della collettività — sono suscettibili di prescrizione (art. 157 ss. e 172 ss. c. p.), le sanzioni amministrative resterebbero imprescrit tibili.
Il passaggio del tempo non solo sopisce i rancori ed il senti mento della colpa ma cancella, altresì, le posizioni giuridiche attive e passive di cui non si sia potuto o voluto far uso. Ed anche quando — come nella specie — all'autorità pubblica non
spettino poteri discrezionali sull'applicazione delle sanzioni, la
lunga omissione dell'azione repressiva di regola conduce, nell'in teresse generale, alla dissoluzione della potestà di svolgerla: l'esi
genza di certezza, cui prima si è fatto cenno, è avvertita in ogni branca del nostro ordinamento a tutela degli affidamenti generati dal pacifico stato di fatto.
Ma non solo queste ragioni inducono a discostarsi dal predet to orientamento. Altre ancora — benché minori — portano a ritenere che la « vigilanza » del sindaco in materia edilizia sia
esposta ai termini prescrizionali: non vi osta la mancata rego lamentazione esplicita perché, a fronte delle argomentazioni che vanno esponendosi, tale dato meramente negativo non sembra indicare una effettiva volontà di esclusione della prescrizione, ma appare invece costituire una semplice lacuna, che va colma ta con ricorso alle norme espresse, attinenti a situazioni simili.
Anzitutto, l'efficacia solo mensile dell'ordine di sospensione previsto dall'art. 32 1. n. 1150/1942, la durata massima trime strale di quello previsto dagli art. 6 e 7 1. 765/1967 e la neces sità logica che tale ordine sia emanato nel corso dei lavori, sono
segni del fatto che la diffida a demolire non può essere adottata a qualunque distanza di tempo dalla conclusione delle trasfor
mazioni, né le sanzioni finali possono sopravvenire a qualunque distanza dalla diffida, né gli ordini di demolizione e di pagamen to di somme possono porsi in esecuzione in ogni tempo succes sivo al perfezionamento di tali atti. Si verte in un'attività pro cedimentale che, se pur complessa, poggia su naturali esigenze di concentrazione. Le quali, se non impongono l'immediatezza dei singoli interventi, certo non ne consentono l'adozione oltre
tempi imprevedibili.
Inoltre, l'attività sanzionatoria che s'intraprende con la dif fida a demolire, siccome vincolata, non può del tutto escludere un vincolo anche temporale, perché al contrario finisce col re
cepire elementi di discrezionalità tali, se non proprio da dissol vere il vincolo originario, certo da alterarne la portata, quan do il potere venga azionato dopo decenni.
Ancora, la normativa al 1967, ed entro certi limiti anche quel la al 1977, prevede la demolizione come sanzione primaria e l'ordine di pagamento come sanzione eventuale e subordinata
all'impossibile applicazione della prima: tale schema è imman cabilmente alterato se il comune si muove dopo decenni dalla costruzione. La conseguenza pratica è che alla demolizione —
quella veramente suscettibile di salvaguardare l'assetto edilizio
preordinato — non si può materialmente pervenire quando la situazione di fatto siasi a lungo andare consolidata. Lo schema sanzionatorio tipico ne risulta invertito.
In più la diffida ha una finalità — tra le altre — preventiva, e cioè quella di consentire in un certo senso al destinatario la scelta fra le due sanzioni future ed effettive: ben potrebbe l'in teressato ritenere più conveniente demolire da sé subito quanto è in via di realizzazione, ovvero quanto appena realizzato, on
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
de evitarle entrambe. L'inerzia del comune vanifica in pratica tale finalità quando la vigilanza — il termine è peraltro sinto
matico — sia oltre ogni ragionevole limite postuma. Infine, carattere specifico delle sanzioni in discorso è il loro
essere integrate dalle pene di cui all'art. 41, 1° comma, 1. 1150,
come sostituito dall'art. 13 1. n. 765/1967. Ciò significa che, mal
grado la diversa natura — ripristinatoria oppure riparatoria
l'una, punitiva l'altra — entrambe le specie di sanzioni concor
rono alla tutela dello stesso bene. Alla tutela, cioè, dell'ordine
urbanistico turbato da opere eseguite sine titulo o in difformità
del titolo. Se si considera che i due interventi sanzionatoti han
no in comune lo stesso fatto da cui hanno origine, non sembra
ragionevole — come in generale già accennato — che, al con
trario di quelle penali, le sanzioni amministrative siano sem
pre esperibili. Invero, l'indispensabilità della prescrizione è di
mostrata dall'assurdità della tesi opposta, quando essa sia por
tata alle conseguenze estreme.
A distanza di secoli, aventi causa di costruttori e modifica
tori abusivi il cui abusivismo non sia in alcun modo appurabile,
per essere sorta la costruzione al tempo in cui non esisteva li
cenza, o sia comunque accertabile con estrema difficoltà, per la
difficoltà di prender visione di tutti i disegni allegati alle varie
licenze e concessioni attinenti all'immobile ed ora anche con
nessi ai silenzi-assensi in proposito, risponderebbero dell'ope
ra dei loro autori, malgrado i pretesi responsabili abbiano acqui
stato il manufatto in buona fede, e con ordinaria diligenza.
Naturalmente, il ragionamento fin qui svolto si fonda su di
un dato che va considerato intuitivo, e sul quale è appena il caso
di fermarsi.
L'illecito urbanistico, che non è istantaneo, non è permanente
oltre il tempo dell'ultimazione dell'opera.
Dopo tale data, infatti, perfino la demolizione (se non auto
rizzata dalla relativa diffida) abbisognerebbe di un separato per
messo amministrativo.
Ciò che si persegue attraverso le norme di legge ora in esa
me è l'aver costruito, che si abiti o no; o lo star costruendo,
ancorché l'opera sia ancora inutilizzabile. L'eventuale utilizza
zione senza appositi permessi di abitazione o di agibilità è cosa
diversa, sanzionata da disposizioni differenti, che qui non ven
gono in considerazione.
La costruzione abusiva è dunque illecito a consumazione de
terminata, ancorché spesso ad effetti permanenti, perché il van
taggio dell'illecito è di regola sentito dal committente ben oltre
la consumazione. Cosi accade in molti altri illeciti penali: biga
mia, delitti di falso, delitti contro il patrimonio. Tutti reati non
permanenti, ancorché non necessariamente istantanei. Anche qui
l'agente può continuare a godere, dopo il compimento dell'azio
ne ed il verificarsi dell'evento, i vantaggi della sua condotta,
senza che per ciò l'illecito sia permanente (cosi T.A.R. Sicilia,
sez. Catania, 23 gennaio 1980, n. 82, id., 1981, III, 358); e sen
za che alcuno abbia mai dubitato della decorrenza della pre
scrizione.
Quando poi l'agente alieni il bene, non può dirsi sussistano
per l'avente causa neppure i vantaggi dell'illecito ormai esaurito,
tutte le volte che la cosa sia stata acquistata al prezzo di co
mune commercio. Nei casi intermedi, tali vantaggi si affievoli
scono. Né sussiste differenza, rispetto al normale verificarsi del
la prescrizione, per sanzioni principalmente punitive come quel
le penali, o quelle amministrative pecuniarie di cui all'art. 28
1. 24 novembre 1981 n. 689, e sanzioni riparatorie-ripristina
torie o riparatone pure e semplici come quelle civili, per esem
pio previste dalle due differenti ipotesi dell'art. 872, cpv., c. c.
Anche qui non potrebbe dubitarsi che la prescrizione abbia
luogo, conformemente alle esigenze dell'istituto, che attengono
all'inerzia rispetto al fatto compiuto; salvo a quantificare via
via differentemente la durata necessaria di tale inerzia. Va an
cora aggiunto che la tesi fin qui criticata è priva di plausibilità
psicologica, sempre importante perché le leggi siano riconosciu
te giuste dal cittadino.
Orbene, se le ragioni che inducono ad abbandonare l'orienta
mento finora seguito, anche da questo T.A.R., sono tali e tante,
d'altro canto si ravvisa attendibile la tesi del ricorrente, che pro
pone al riguardo l'ordinario termine prescrizionale. Né altri ter
mini sono rinvenibili: quello di cinque anni previsto dall'art. 6,
2" comma, 1. n. 765/1967 e l'altro decennale cui al successivo
art. 7, T comma, attengono a disposizioni eccezionali e speci
fiche, come tali non suscettibili di estensione per analogia (art.
14 preleggi). Il termine di dieci anni, dal compimento della tra
sformazione, sembra in effetti il meno inidoneo ad essere pre
scelto, onde colmare la lacuna di cui si discute. E ciò per la
sua generale adozione, benché in campo dissimile dal nostro,
qual'è quello delle prescrizioni cui all'art. 2946 c. c.; salvo ad
annotare, a meri fini terminologici, che rispetto alle potestà pub
bliche, e quindi a quella presente, l'azione dissolutiva del tempo andrebbe — contro la tradizione seguita in materia penale —
chiamata più propriamente decadenza che non prescrizione, avu
to riguardo alla natura degli interessi tutelabili in questa sede.
Né il termine sopra prescelto si presenta obiettivamente esiguo
se, per esempio, si considera il tipo di delitti che in esso si pre scrivono (tutti quelli punibili con la reclusione non inferiore a
cinque anni: art. 157 c. p.). Senza negare la difficoltà della scelta della disposizione ana
loga, la conclusione raggiunta appare dunque confermata dal
l'improbabilità di altre possibili. Nella specie il motivo di censura è altresì fondato in fatto:
la diffida a demolire è intervenuta oltre il decennio dalla fine
della costruzione sicché la doglianza va condivisa.
Deriva invero dal principio di diritto recepito dalla sezione
che la diffida a demolire è illegittima se emanata dopo un de
cennio dall'ultimazione della costruzione, o dalla cessazione dei
lavori; e che il provvedimento sanzionatorio finale (ordine di
demolizione, confisca, sanzione pecuniaria) è esso stesso illegit
timo se emanato dopo un decennio dalla diffida. Pertanto il ri
corso è fondato e va accolto, restando assorbite le altre censure
dedotte. (Omissis)
Rivista di giurisprudenza amministrativa Pensione — Domanda di pensione privilegiata ordinaria per le
sioni dipendenti da causa di servizio — Mancata richiesta en
tro il quinquennio dalla cessazione dal servizio — Decadenza — Questione non manifestamente infondata di costituzionalità
(Cost., art. 76; d. 1. 1° maggio 1916 n. 497, semplificazione del
le procedure per la liquidazione delle pensioni privilegiate di
guerra, art. 9; 1. 28 ottobre 1970 n. 775. modifiche ed integra
zioni alla I. 18 marzo 1968 n. 249. art. 6: d.p.r. 29 dicembre
1973 n. 1092, t. u. delle norme sul trattamento di quiescenza
dei dipendenti civili e militari dello Stato, art. 169).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esa
me alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del
l'art. 169 d. p. r. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui
stabilisce la decadenza dal diritto a richiedere trattamento pen
sionistico privilegiato ordinario per lesioni, per coloro che ab
biano lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione dal servi
zio senza chiedere l'accertamento della dipendenza della lesione
da causa di servizio, in relazione all'art. 6, 3° comma, 1. 28 ot
tobre 1970 n. 775, in riferimento all'art. 76 Cost. (1)
Corte dei conti; Sezione IV; ordinanza 25 marzo 1980 (perve
nuta alla Corte costituzionale il 26 marzo 1982; Gazz. ufj. 22
settembre 1982, n. 262); Pres. Cessari; ric. D'Amore.
(1) Ad avviso della Corte dei conti il governo, essendo stato de
legato unicamente alla raccolta in t. u. delle disposizioni in vigore, avrebbe ecceduto i limiti della delega nel prevedere che la deca
denza dal diritto a pensione entro cinque anni dalla cessazione dal
servizio operi non solo per le « infermità » (come previsto prece dentemente dall'art. 9 d. 1. 1° maggio 1916 n. 497), bensì' anche per
le « lesioni ». La questione di costituzionalità dell'art. 169 d.p.r. 1092/1973 era
stata ripetutamente ritenuta manifestamente infondata, con riguardo
però alla decadenza comminata per il riconoscimento di pensione
per « infermità », dalla Corte dei conti (v. sez. IV 1° febbraio 1980,
n. 56292, Foro it., Rep. 1981, voce Pensione, n. 73; 14 marzo 1979,
n. 54175, id., Rep. 1980, voce cit., n. 81; 30 gennaio 1978, n. 50775,
id., Rep. 1979, voce cit., n. 87; 14 novembre 1977, n. 265575, 28
marzo 1977, n. 47634 e 1° febbraio 1977, n. 48879, id., Rep. 1978,
voce cit., nn. 115, 112, 114; 1° febbraio 1977, n. 48879, 9 dicembre
1976, n. 46564, 17 febbraio 1976, n. 46648 e 1° dicembre 1975, n.
45744, id., Rep. 1977, voce cit., nn. 90-95). Corte cost. 14 dicembre 1979, n. 149, id., 1980, 1, 1, con nota
di richiami, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 165
d.p.r. 1092/1973, nella parte in cui non disponeva, nei confronti
dei minori e dei dementi, la sospensione del termine per l'accerta
mento della dipendenza delle infermità o lesioni da causa di servizio
finché durasse la loro incapacità di agire. In ordine alla individuazione degli atti capaci di impedire la deca
denza di cui all'art. 169 d.p.r. n. 1092 del 1973 cfr. C. conti, sez.
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