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Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215; Pres. Paleologo, Est. Rizzi; Baglioni (Avv....

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Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215; Pres. Paleologo, Est. Rizzi; Baglioni (Avv. Migliorati) c. Comune di Pescara (Avv. Lupinetti) Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 29/30-37/38 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176886 . Accessed: 25/06/2014 01:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.20 on Wed, 25 Jun 2014 01:16:09 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215; Pres. Paleologo, Est. Rizzi; Baglioni (Avv.Migliorati) c. Comune di Pescara (Avv. Lupinetti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 29/30-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176886 .

Accessed: 25/06/2014 01:16

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

la Camera dei deputati e del Senato della repubblica, previa de

liberazione del consiglio dei ministri, alla emanazione delle di

sposizioni intese a regolare l'espletamento dei servizi di preven zione e di vigilanza antincendi, da assolversi dai vari organi del corpo nazionale dei vigili del fuoco ai sensi delle 1. 27 di cembre 1941 n. 1570, 13 maggio 1961 n. 469 e 26 luglio 1965 n. 966, nonché del d. pres. rep. 27 aprile 1955 n. 547 ».

Risulta dal tenore letterale dell'articolo sopra citato che la so la innovazione introdotta nell'iter procedimentale relativo all'ema nazione del nuovo regolamento è quella che riguarda la neces saria audizione « delle competenti commissioni della Camera dei

deputati e del Senato della repubblica». Un contrario significa to non può, infatti, attribuirsi al silenzio serbato del legislatore in ordine all'applicabilità delle disposizioni concernenti il pro cedimento di emanazione dei regolamenti, come quelle relative

al parere del Consiglio di Stato, al visto del ministro guardasi gilli, agli adempimenti preordinati ad assicurare l'autenticità dei

testi originali dei decreti, al controllo di legittimità della Corte

dei conti. Tali norme, atteso il loro carattere generale, non abbi

sognano, come è pacifico, di espresso richiamo per l'applicazio ne alle singole fattispecie in esse contemplate.

Né, sotto diverso profilo, può ritenersi che una specifica de

roga implicitamente discenda, per quanto riguarda l'audizione

del Consiglio di Stato, dal carattere assorbente del parere ob

bligatorio delle commissioni parlamentari. In contrario è da os

servare che diversi sono, nelle due ipotesi di consultazione, gli interessi pubblici perseguiti e che, correlativamente, il parere delle commissioni parlamentari non può considerarsi, di per se

stesso, sostitutivo dell'ausilio tecnico che il Consiglio di Stato

è chiamato a prestare al governo, in posizione disinteressata ed

a presidio della legittimità e convenienza dell'azione ammini

strativa.

Nessun valore derogatorio può venire, pertanto, attribuito al

l'innovazione procedurale disposta dall'art. 2 1. n. 406/1980, la

cui sola funzione è quella di assicurare, con la introduzione di

un ulteriore atto preparatorio nell'iter procedimentale, una più

ampia ponderazione degli interessi da perseguire. Discende da quanto precede che illegittimamente l'amministra

zione ha omesso di richiedere, sullo schema di regolamento in

esame, il parere del Consiglio di Stato, secondo quanto previ

sto dall'art. 16 r. d. 26 giugno 1924 n. 1054 e dall'art. 1 1. 31

gennaio 1926 n. 100.

preoccupazioni per il mantenimento di un ruolo incisivo di tale

funzione nei confronti di quella di amministrazione attiva: perché

questa, oltre gli interessi pubblici e privati, amministrativi e politici, tra i quali deve mediare, acquisisca al procedimento anche quello alla legittimità della sua attività (sulla funzione consultiva del Con

siglio di Stato v. anche Landi, in Studi per il centocinquantenario del

Consiglio di Stato, cit., Ili, 1267; V. Caianiello, Consiglio di Stato.

voce del Novissimo digesto, appendice, 1980, li, 449).

I

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A

BRUZZO; Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215;

Pres. Paleologo, Est. Rizzi; Baglioni (Avv. Migliorati) c. Co

mune di Pescara (Avv. Lupinetti).

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A

BRUZZO; Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 215;

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzioni ammi

nistrative — Prescrizione.

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzione ammi

nistrativa pecuniaria — Stima del valore venale — Data di ri

ferimento (L. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche e integrazioni al

la 1. urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 13).

È legittima la sanzione pecuniaria che il sindaco abbia inflitto

per la costruzione abusiva, entro dieci anni dalla diffida a

demolirla. (1)

(1,3) Sentenze innovative, che trovano un precedente solo nel

l'affermazione dell'effetto convalidante, in materia di repressione di abusi edilizi, del termine decennale previsto dall'art. 7 1. n. 765/ 67 per l'annullamento (allora governativo ed oggi regionale) dei prov vedimenti comunali, applicabile per analogia, sostenuta da T.A.R.

Toscana 12 giugno 1974, n. 23, Foro it., Rep. 1974, voce Edilizia e

urbanistica, n. 540, che ha anche tentato, con la sentenza 22 feb

braio 1978, n. 67, id., Rep. 1978, voce cit., n. 632, una diversa strada

per arrivare a limitare nel tempo l'esercizio dei poteri sindacali di

repressione di abusi edilizi: ha dichiarato viziato per eccesso di po

£ illegittima la sanzione pecuniaria per la costruzione abusiva,

rapportata al valore venale che questa aveva al momento del

la valutazione da parte dell'ufficio tecnico erariale, e non al

precedente momento nel quale il comune aveva accertato l'in

frazione. (2)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A

BRUZZO; Sede di Pescara; sentenza 31 luglio 1982, n. 214; Pres. Paleologo, Est. Ciminelli; Ciccarelli (Avv. De Medio) c. Comune di Francavilla al Mare, Scuccimarra.

Edilizia e urbanistica — Costruzione abusiva — Sanzioni ammi

nistrative — Prescrizione.

È illegittima la diffida a demolire la costruzione abusiva, che il sindaco abbia intimato al suo acquirente dopo più di dieci

anni dalla sua ultimazione. (3)

tere il provvedimento repressivo intervenuto oltre il termine di cin que anni previsto dall'art. 6 1. n. 765/67 per gli interventi sostitu tivi in caso di inerzia del sindaco, nei confronti di opere ese guite senza licenza, o in contrasto con essa, termine pur di per sé non applicabile ai poteri sindacali in via di interpretazione esten siva o analogica.

Per il resto, infatti è costante la giurisprudenza, a cui si è accostato lo stesso T.A.R. Toscana 10 aprile 1981, n. 171, id., Rep. 1981, voce cit., n. 659, secondo la quale il potere sanzionatorio dell'autorità co munale nei confronti di abusi adilizi non è soggetto a nessun ter mine di prescrizione o di decadenza: Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 1981, n. 359 (che in particolare ha affermato che la sanzione pecu niaria ha natura amministrativa e non contravvenzionale, con la con

seguenza che ad essa non è applicabile il termine triennale di pre scrizione previsto dall'art. 157, n. 5, c.p.; per qualche riferimento, sempre in relazione alle sanzioni pecuniarie, v. anche il parere di Cons. Stato, sez. II, n. 266/77, ibid., n. 802), ibid., n. 797, non ché 30 settembre 1980, n. 800, id., Rep. 1980, voce cit., n. 683; T.A.R. Liguria 7 febbraio 1980, n. 49 (che ha anche dichiarato manifestamente infondata la relativa questione di co stituzionalità), ibid., n. 682; ancora T.A.R. Toscana 9 febbraio 1979, n. 86, id.. Rep. 1979, voce cit., n. 634; T.A.R. Lazio, sez. 11, 23 mag gio 1979, n. 373, ibid., n. 635; Cons. Stato, sez. V, 1° dicembre 1978, nn. 1222 e 1244, ibid., nn. 636, 638; 17 marzo 1978, n. 327, id., Rep. 1976, voce cit., n. 633; T.A.R. Lazio, sez. Ili, 15 dicembre 1975, n. 502, id., Rep. 1976, voce cit., n. 1339; T.A.R. Emilia-Roma

gna 26 febbraio 1975, n. 69, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1100.

Conseguentemente, la giurisprudenza ritiene superabile l'ostacolo al l'esercizio dei poteri repressivi di costruzioni abusive da parte del sindaco costituito dal lungo periodo di tempo decorso, con una ade

guata motivazione basata sulla sussistenza di ragioni attuali di inte resse pubblico (come risulta anche indirettamente, dalle pronunce che altrimenti non ritengono necessaria una motivazione, o che an nullano la misura repressiva tardiva per difetto di motivazione): Cons. Stato, sez. V, 27 marzo e 28 aprile 1981, nn. 100 e 141, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 762, 774; 20 aprile 1979, n. 199, id., Rep. 1979, voce cit., n. 724; sez. V 24 luglio 1978, n. 888, id., Rep. 1978, voce

cit., n. 736; Il marzo 1977, n. 197, id., Rep. 1977, voce cit., n. 834; T.A.R. Lazio, sez. Il, 30 aprile 1975, n. 134, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1284, e 19 giugno 1974, n. 5, id.. Rep. 1974, voce cit., n.

597; Cons, giust. amm. sic. 30 luglio 1974, n. 328, ibid., n. 602; Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre 1973, n. 692, id., Rep. 1973, voce cit., n. 639; 21 novembre 1972, n. 926, id., 1973, 11, 47, con nota di richiami.

Quanto al richiamo fatto in motivazione della sentenza n. 214/82 alla giurisprudenza penalistica che qualifica i reati edilizi come per manenti, la cui permanenza cessa però con l'ultimazione della costru

zione, essa è costante: Cass. 16 gennaio 1981, Melilli, id., Rep. 1981, voce cit., n. 674; 20 febbraio 1980, Maimone, 16 maggio 1980, Dra

gone, 3 ottobre 1980, Scarpaci, e 18 novembre 1980. Bilotti, ibid., nn. 677, 672, 673, 671; 20 aprile 1979, Sansone, 29 maggio 1979, Giof

freda, 17 ottobre 1979, Martufi, 12 dicembre 1979, Serraino, id., Rep. 1980, voce cit., nn. 741-744; 12 gennaio 1979, Mattera, e 1° febbraio 1979, Duca, nonché 3 luglio 1978, Crupi, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 681,682, 679; Pret. Genova 16 marzo 1979, id., 1979, 11, 320, con nota di richiami. Pret. Menaggio 7 novembre 1979, id., Rep. 1980, voce cit.. n. 723, ha affermato, però, che la permanenza non cessa nel caso

nel quale l'opera non sia stata ultimata per spontanea sospensione dei lavori, con la conseguenza che non inizia a decorrere il termine

di prescrizione del reato. Da ultimo, nel senso che non è manifestamente infondata la que

stione di costituzionalità degli art. 28 1. 25 novembre 1962 n. 1684 e

20 1. 2 febbraio 1974 n. 64, nella parte in cui non prevedono la na

tura permanente dei reati consistenti nella inosservanza delle prescri zioni tecniche dirette a garantire la sicurezza delle costruzioni in

zone sismiche, in riferimento agli art. 2 e 32, 1° comma, Cost., Pret. Messina, ord. 3 marzo e 15 gennaio 1981, id., 1982, II, 174, con nota di richiami.

La giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso che il

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PARTE TERZA

I

Diritto. — 1. - Le censure prima, seconda e terza non vanno

condivise. La quarta è invece, per quanto di ragione, fondata. 2. - Si deduce con il primo mezzo che non può irrogarsi nel

1981 una sanzione pecuniaria per abusivismo edilizio relativo a

costruzione compiuta a seguito di licenza del 1971, quanto la

diffida a demolire sia stata emanata nel 1975, e non sia stata rinnovata in seguito.

Il motivo è inconsistente. Nel sistema introdotto dalla 1. 1957 n. 765, la sanzione conclusiva dell'abusivismo edilizio è non già facoltativa e semplicemente normale, come nel testo originario dell'art. 32 1. n. 115C/1942, per cui il sindaco poteva ordinare la demolizione. Tale sanzione è ora assolutamente vincolata. In

fatti, per l'art. 41 1. n. 765/1967 ove non sia possibile demolire

si applica la sanzione pecuniaria. Vi è dunque discrezione nella

scelta, ma non nell'emanazione di un provvedimento repressivo, a conclusione della vicenda.

La ricorrente non ha impugnato la diffida a demolire. E dopo d'allora il comune aveva il potere di determinare la sanzione.

In mancanza di espressa previsione di perennità, ed in con

formità con ciò che accade in casi analoghi, ed invero con i

principi generali, è da credere che anche nella materia delle

sanzioni urbanistiche il potere sia prescrittibile. In tal senso la sezione ha deciso con sentenza 31 luglio 1982,

n. 214; né sussistono ora ragioni per cambiare indirizzo. Sem bra anzi opportuno rinviare, sul punto, alla motivazione della

precedente pronunzia. È stato allora ritenuto che la prescrizione fosse, per ogni singolo provvedimento, decennale.

Nella specie, il decennio dall'emanazione della diffida non

era trascorso, sicché il comune poteva e doveva finalmente ema

nare la misura conclusiva; mentre doveva imputare a se stesso — come appresso si vedrà ;— le conseguenze per esso sfavore voli dell'avere, senza alcuna ragione nota a questo tribunale, tardato tanto a farlo. (Omissis)

5. - Con la quarta doglianza è dedotto che la stima UTE dei valori venali delle opere abusivamente costruite è troppo alta,

perché compiuta con riferimento ai prezzi correnti al tempo del sopralluogo UTE, e non a quelli del momento in cui il co mune accertò l'infrazione.

Il motivo è fondato. L'art. 13 1. n. 765/1967, che ha intro dotto la sanzione pecuniaria, come alternativa alla demolizione,

prevede che quella sia pari al valore venale delle opere abu sivamente eseguite, accertato dall'UTE. Ma non specifica a che data tale valore vada rapportato, punto questo d'evidente rilie vo in periodi di progressivo incremento del valore in termini monetari dei fabbricati, specie se le vicende dell'accertamento amministrativo si prolunghino nel tempo.

Va ancora aggiunto che nessun riferimento alla data dell'ac certamento del valore può rinvenirsi neppure nell'art. 15, comma

pagamento della sanzione pecuniaria non toglie il carattere abusivo della costruzione, almeno a fini diversi della sua demolizione: T.A.R. Campania 25 ottobre 1978, n. 945, id., Rep. 1979, voce cit., n. 776; T.A.R. Lombardia 8 giugno 1977, n. 596, id., Rep. 1978, voce cit., n. 651: Cons. Stato, ad. plen., 17 maggio 1974, n. 5, id., 1975, III, 106. con nota di richiami.

(2) La sentenza accoglie la soluzione adottata da T.A.R. Sicilia, sede di Catania, 23 gennaio 1980, n. 82, richiamata in motivazione, Foro it.. 1981, 111. 358, con ampia nota di richiami, che ha sostenuto che il valore venale della costruzione abusiva, al quale deve essere rapportato l'ammontare della sanzione pecuniaria, è quello del mo mento in cui il comune ha avuto la prima notizia della illegittimità, e non quello successivo della stima da parte dell'ufficio tecnico era riale.

Secondo il quadro della giurisprudenza che emerge da tale nota di richiami, questa soluzione era stata affermata solo sporadicamente; a parie alcune sentenze che hanno riferito la valutazione del valore ve nale della costruzione al momento della sua stima da parte dell'uffi cio tecnico erariale, l'orientamento giurisprudenziale di gran lunga dominante riferisce tale valutazione al momento dell'adozione del provvedimento sanzionatoriò; e, successivamente, questa tendenza si è ancora rafforzata: sez. V 16 aprile 1982, n. 283, Cons. Staio, 1982, I, 1452; 28 settembre 1981, n. 422, Foro it., Rep. 1981, voce Edilizia e 1452; 28 settembre 1981, n. 422, Foro it., Rep. 1981, voce Edilizia e urbanistica, n. 799.

Cons. Stato, sez. Il, 14 dicembre 1977, n. 266/77, ibid., n. 802, ha affermato, inoltre, che il comune il quale, scelta la strada di san zionare solo pecuniariamente la costruzione abusiva, abbia chiesto la stima dell'ufficio tecnico erariale del valore attuale di essa, non può. dopo una ingiustificata attività di anni, richiedere una nuova stima, nel tempo dal comune stesso ritenuto più ppportuno.

In dottrina. M. A. Sandulli, in Riv. giur. edilizia, 1979, II, 258.

9", 11° e 13°, 1. n. 10/1977, con riguardo alle sanzioni pecuniarie

previste da tale normativa. Spetta dunque all'interprete stabilire

quale sia la volontà della legge in materia.

Nessun aiuto può derivare per ciò dalla lettera della disposi zione. Che il valore debba venire accertato dall'UTE non vuol

dire che esso debba essere quello corrente al momento della

stima di tale ufficio, al quale possono ben richiedersi, a seconda

della natura dei vari affari, stime relative a tempi diversi. L'in

terpretazione delle norme deve dunque aver riguardo al fine

perseguito dal legislatore. In proposito, la giurisprudenza dominante della V sezione

del Consiglio di Stato è ora nel senso che debba tenersi conto

del valore del bene al tempo in cui è emanato l'ordine di paga mento del sindaco. In pratica, però, tale giurisprudenza si rife

risce proprio al momento della stima UTE. Perché è chiaro che

se valesse il tempo successivo dell'emanazione del provvedimen to sanzionatorio, questa stima dovrebbe essere sempre, od al

meno assai spesso, rivalutata; mentre è immancabilmente tenu

ta ferma.

Considerato attentamente l'importante argomento, e pur pren dendo atto dell'insegnamento del giudice superiore, il collegio non crede di potervisi adeguare, ritenendo invece che il tempo della determinazione del valore dell'opera abusiva debba risa

lire al momento della prima conoscenza del perseguito abusivi

smo, da parte dell'autorità comunale. E ciò per le ragioni che

seguono. Anzitutto, deve ammettersi che le sanzioni amministrative fi

nali dell'abusivismo edilizio (ordine di demolizione, ordine di

pagamento ed ora anche confisca) non abbiano carattere esclusi

vamente punitivo, ma invece o natura ripristinatoria, o natura

riparatoria. Che esse abbiano un certo carattere punitivo è imman

cabile, trattandosi di sanzioni in senso proprio, ossia di conse

guenze sfavorevoli per l'agente che il diritto fa derivare dalla

tenuta volontaria d'una condotta antigiuridica e colpevole, al

fine di scoraggiarne la ripetizione da parte del soggetto persegui to e da tutti gli altri.

Ma non sono esclusivamente punitive, perché non mirano so lo a restituire male per male, né esclusivamente a prevenire la volontaria tenuta di altre condotte simili.

Cosi le sanzioni urbanistiche pecuniarie non vogliono soltan

to privare il soggetto sanzionato della disponibilità di somme di

denaro, che verrebbero in tal senso attribuite allo Stato come al soggetto rappresentativo dell'ordinamento, ma che potrebbero con pari effetto essere semplicemente distrutte.

Sono invece attribuite ai comuni perché questi ultimi, che sentono conseguenze negative dell'infrazione, vedano in qualche modo riparato, attraverso l'arricchimento pecuniario, il loro pre giudizio.

Di conseguenza, le sanzioni amministrative dell'abusivismo non rientrano mai nelle prescrizioni della 1. 24 novembre 1981 n. 689, di modifiche al sistema penale mediante la depenalizzazione d'infrazioni. Cosi, non sono dovute per l'intiero da ciascuno, in

caso di concorso di persone (art. 5 1. ult. cit.) ; e non si estin

guono per morte dell'agente (art. 7). È invero da ritenere che il capo 1 (sulle sanzioni amministrative) di tale legge attenga in realtà alle sole sanzioni punitive.

In materia urbanistica, le sanzioni amministrative finali era no originariamente solo ripristinatorie. Si trattava di rimettere i luoghi, per quanto possibile, in pristino stato, e di soddisfare cosi — salvo l'incancellabilità dell'abuso per il tempo ormai trascorso — tutti i soggetti interessati alla punizione.

Essendosi riscontrate gravi resistenze alle remissioni in pri stino, soprattutto per gli affidamenti creati dalla lentezza ed inef ficienza delle amministrazioni comunali, la 1. n. 765/1967 intro dusse la sanzione alternativa del pagamento del valore dell'ope ra. Questa somma è, in senso lato, riparatoria per il comune,

facendogli conseguire un quid pro quo, anche se non lo è per i controinteressati, che restano tutelati da sanzioni civili (art. 872 c. c.). E pure quando le somme non possono andare al co mune — il quale abbia esso stesso violato la legge, sicché non

gli sia lecito lucrare della propria condotta biasimevole (art. 13, ult. comma, 1. n. 765/1967) — la sanzione irrogata all'abusivista non cessa d'essere riparatoria, almeno nel senso ch'essa è com misurata agli stessi parametri fissati in via generale. Mentre d'al tra parte la regione, allora destinataria del beneficio eroga per l'attività di vigilanza delle spese, in qualche modo compensate dall'introito in questione.

Pure riparatoria è la sanzione della confisca, di cui all'art. 15. comma 3°, della successiva 1. n. 10/1977; ed anche qui valgono, almeno in parte, le osservazioni sui limiti soggettivi della ripa

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

razione, e sulla connessione fra questi e le sanzioni civili pre viste dall'art. 872 c. c.

Ma il collegio deve subito osservare che le riparazioni in og

getto sono collegate dalla legge a parametri che non hanno di

retto rapporto con l'effettivo pregiudizio con ogni infrazione

arrecato al comune, trattandosi piuttosto — oltre che di rendere

non conveniente per l'abusivista la tenuta della condotta anti

giuridica — di assicurare che attraverso l'esito complessivo del

la sua attività di polizia urbanistica il comune sia, più o meno,

compensato degli svantaggi sentiti per opera dei costruttori abu

sivi. Cosi, una costruzione poco apprezzata condurrà a non altra

sanzione pecuniaria, ma pregiudicherà a volte un interesse pub

blico notevole; mentre un manufatto che darà luogo ad impo

nente sanzione contrasterà altre volte pochissimo gli interessi

del comune.

Per conseguenza, non è dato trarre dal carattere riparatorio della sanzione l'intento legislativo che essa sia necessariamente

la più alta fra le varie possibili, e preferire per ciò l'interpre

tazione più rigorosa della norma ora in esame. Non è dato, cioè,

ricavare da tale carattere un dato criterio ermeneutico.

La sezione non può neppure condividere l'insegnamento, al

tre volte autorevolmente espresso, che con la 1. n. 765/1967 il

legislatore abbia mirato a rendere indifferente per l'abusivista

la scelta, da parte dell'autorità amministrativa, fra sanzione ri

pristinatoria e riparatoria. Come dettagliatamente esposto da T.A.R. Sicilia - Catania 23

gennaio 1980, n. 82 (Foro it., 1981, III, 358), tale indifferenza

non ha mai luogo, e la difformità di risultato economico è anzi

immancabile, e può risultare assai ampia. Il rapporto di convenienza patrimoniale per l'abusivista fra

demolizione e pagamento del valore delle opere abusivamente

eseguite (dal quale non deve detrarsi la spesa a suo tempo soste

nuta per costruire) varia in funzione del costo di demolizione;

dell'ulteriore rapporto fra opera eseguita e diversa opera legit

timamente eseguibile sull'area di risulta, previo permesso ammi

nistrativo; delle previsioni di apprezzamento e deprezzamento

dei fabbricati della zona; e delle previsioni sui coefficienti di

costruibilità e sui costi di costruzione futuri. Né le varianti sono

queste soltanto.

L'art. 15 1. n. 10/1977 ha, del resto, definitivamente contrad

detto la tesi dell'indifferenza per il soggetto passivo della san

zione, dal momento che a volte la sanzione pecuniaria va ora

rapportata al doppio del valore della costruzione, mentre la de

molizione salva l'area ma costringe a sentire le spese relative,

e la confisca comprende l'area ma non implica spese. Né dev'es

servi indifferenza fra la posizione in cui l'abusivista si trove

rebbe se non avesse violato la norma, e quella in cui verserà

dopo la demolizione, o dopo il pagamento dell'indennizzo. Qui

il rapporto è collegato, per ogni singolo abusivista, alla data

della scoperta dell'infrazione ed allo svolgimento del procedi

mento repressivo, con riguardo soprattutto all'effettiva irroga

zione della sanzione stessa. E per il complesso degli abusivisti

anche alla comparazione fra quantità d'infrazioni lasciate im

punite e di sanzioni effettivamente represse; ossia al grado di

possibilità d'impunità del singolo agente.

Pure nella materia in esame, non è dunque tanto nella du

rezza della punizione, quanto nella sua immancabilità e cele

rità, ossia nel buon funzionamento dell'apparato repressivo, che

deve farsi affidamento per l'assicurazione della generale ottem

peranza alla normativa urbanistica. Anzi, può accadere in al

cune situazioni che l'alto grado di severità della sanzione favo

risca l'effetto della non applicazione di queste. Va inoltre os

servato come la norma che impone ai comuni il dovere di san

zionare gli abusivismi urbanistici impone loro anche quello di

risolversi a ciò con ordinaria diligenza. In particolare, i comuni

non potrebbero tenere in serbo le infrazioni di cui abbiano no

tizia per costituirsi una possibilità di pressione su dati cittadini,

od una massa creditizia da utilizzare in tempi di maggiori bi

sogni finanziari dell'ente o comunque da graduare secondo cri

teri discrezionali, idonei ad influire sulla quantificazione mone

taria delle singole pretese.

Ove i comuni abbiano notizia dell'esistenza dell'illecito, deb

bono subito emanare la diffida (rendendo cosi certi i connotati

di esso) e — se reputano di scegliere la via della sanzione pe

cuniaria — chiedere all'UTE la stima, ed emettere l'ordine di

pagamento. Tutto ciò può compiersi in poche settimane, e con

assai modesta spendita di attività amministrativa. Non si dice

qui che i comuni siano responsabili per la astuzie ed accortezze

degli amministrati, che celino i loro abusivismi. Questi ul

timi sono poi, a volte, di diffìcile riscontro, perché compiuti

all'interno di proprietà private, e lontano dalla vista del pub blico. E del resto, le modalità di svolgimento del servizio di po lizia amministrativa sono rimesse alla discrezione dei comuni.

Sicché la tardiva notizia dell'esistenza d'illecito non influisce

sul potere di diffidare, e di prescegliere la sanzione quantifican

dola, ove sia quella pecuniaria, con riferimento al tempo dell'ef

fettiva conoscenza dell'illecito. Ma una volta conosciuto l'abu

sivismo, non saprebbe vedersi perché i comuni possano, con

pregiudizio dell'abusivista, ritardarne la persecuzione.

Avviandosi alla fine del ragionamento, il collegio nota infatti

che il ritardo in cui l'amministrazione incorra nel determinare

l'importo dovuto non è talora, né il più delle volte, indifferente

per l'abusivista. Non è vero, in particolare, che pagando in ri

tardo una sanzione pecuniaria maggiore, perché rapportata al

valore nel tempo successivo dell'opera, quegli pagherebbe, in

termini reali, la stessa cosa.

Anche ad ammettere che in campo di sanzioni urbanistiche

pecuniarie l'obbligazione e la responsabilità facciano capo al

solo costruttore (e non agli aventi causa a titolo oneroso, per

i quali il ritardo nell'emanazione dell'ordine di pagamento po

trebbe altrimenti significare ritardo nella conoscenza dell'illeci

to, e difficoltà ad ottenere il rimborso da parte del dante causa,

per vizi occulti del bene), tutto sta ad intendersi sull'espressione

termini reali, usata qui addietro.

Gli unici termini che, secondo il collegio, rilevano nella spe

cie sono invero quelli costituiti dall'effettiva situazione di una

ragionevole parte degli abusivisti, come immaginabile alla stre

gua delle nozioni di comune conoscenza.

Ora, non è detto che l'abusivista per dir cosi medio abbia

in seguito l'identica possibilità di pagare un importo maggiore

di quello che avrebbe potuto essergli domandato prima, quando

tale nuovo importo sia ora come allora rapportato al crescente

valore dell'opera abusiva.

Se il privato paghi con somme non ricavate dalla vendita del

manufatto sanzionato, non è detto, cioè, né che l'apprezzamen

to di tali opere non sia maggiore di quello degli altri beni di

lui, né ch'egli abbia frattanto investito le proprie disponibilità

liquide in modo idoneo ad assicurarsi un incremento di esse,

in termini reali, simile all'apprezzamento dell'opera abusiva.

Né che le possibilità di vendere l'immobile abusivo per ot

tenere il valore in denaro siano sempre le stesse. D'altra parte,

la responsabilità del privato non è limitata, alla peggio, alla per

dita dell'opera sanzionata. Al contrario, egli risponde del debito

pecuniario con l'intiero suo patrimonio presente e futuro, ex

art. 2740 c. c.

Adesso, la sanzione può essere commisurata al doppio del

valore di comune commercio del bene. Ma anche prima il va

lore del bene suddetto era cosa assai diversa dal prezzo di es

so, conseguibile in una vendita necessariamente affrettata, e di

cosa conosciuta come abusiva e perseguita come tale, salvo fu

turo affrancamento per pagamento di sanzione riparatoria.

In definitiva, il privato può dunque avere il più grande inte

resse a che la sanzione pecuniaria gli sia quantificata al più

presto, e cioè in termini monetari meno elevati.

11 comune ha il dovere di far ciò, desumibile implicitamente

ma, a giudizio della sezione, chiaramente dal dovere ormai

tassativo di sanzionare l'illecito una volta che questo gli sia

noto. Né potrebbe riconoscere all'amministrazione un potere di rin

vio (o, salvo norme speciali, di rateizzazione) del pagamento, in

nessun luogo previsto, e che si traduce, in sostanza, in una ri

duzione di esso. Non sembra quindi ragionevole pensare che il

suddetto dovere, imposto dal legislatore, sia stato inteso come

privo d'effetti sul tempo della determinazione della sanzione pe

cuniaria.

Al contrario, è da credere che la volontà della legge sia quella

di far pagare subito e tutto e di quantificare il pagamento in

modo certo ed immediato, stabilendo che il valore dell'opera

abusiva sia quello (ed ora, a volte, un multiplo di quello) accer

tabile al tempo della scoperta dell'infrazione. Non invece quello

liberamente collegabile dall'ente pubblico al valore dell'opera in

un tempo qualunque, scelto dall'ente stesso.

È perciò che la sezione ritiene l'art. 13 1. n. 765/1967 debba

essere inteso nel senso che il valore venale delle opere — senza

contare il valore dell'area, ma senza detrarre il costo sostenuto

dall'abusivista per la costruzione delle opere stesse — cui va

commisurata la sanzione imponibile al costruttore, sia il valore

delle opere valutato al tempo della prima notizia della costru

zione abusiva, acquisita dal comune. Della prima notizia, cioè,

Il Foro Italiano — 1983 — Parte III-3.

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PARTE TERZA

del completamento della costruzione, come attualmente sanzio nata.

Non può invece essere consentito all'organo pubblico di di

lazionare per mesi ed anni la comunicazione della sanzione do

vuta, realizzando cosi una riparazione d'importo diverso e mag

giore rispetto a quello spettantegli, ov'egli avesse svolto la sua

attività con la diligenza necessaria.

Resta infatti stabilito che tale differente computo costituisce

peso diverso e spesso anche in termini reali più grave per il

soggetto sanzionato, ed una riparazione diversa per l'ente pub blico, di quanto non sia stato previsto dal legislatore.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il comune di

Pescara avrebbe dovuto richiedere all'UTE di valutare le opere de quibus alla data del primo rapporto esistente agli atti del

comune stesso, che identifichi l'intiero abusivismo ora persegui to. Il non aver fatto ciò costituisce illegittimità, a ragione la

mentata dalla ricorrente.

6. - Sicché, attesa la fondatezza dell'ultima censura esamina

ta, il ricorso deve essere accolto, salvi gli ulteriori provvedi menti. (Omissis)

II

Diritto. — È impugnata una diffida a demolire, emessa dal

sindaco di Francavilla al Mare ai sensi dell'art. 32, 3° com

ma, 1. urb. 1150/1942 e riguardante dei vani sottotetto resi

abitabili sebbene previsti dalla licenza come « ripostigli ». La

licenza edilizia risale al luglio 1967, la diffida al maggio 1979 ed

essa è rivolta ai proprietari attuali dell'appartamento, che nel

1971 l'acquistarono dall'intestatario della licenza.

Il ricorrente, proprietario dell'appartamento insieme alla mo

glie, deduce fra le altre censure la prescrizione del potere di

diffida in quanto superato il decennio dall'ultimazione dei la

vori, nonché dal permesso di abitabilità rilasciato nel marzo

1968 dallo stesso sindaco. La tesi al riguardo, invero, si fonda

sull'art. 1159 c. c. ed è volta a sostenere una sorta di prescrizio ne acquisitiva. Il lungo tempo trascorso — si afferma — e l'af

fidamento originato da tale attestato di abitabilità avrebbero

fatto maturare il diritto a mantenere indisturbato l'immobile che

ora l'amministrazione ritiene illegittimo. È indubbio però che,

comunque formulato, l'assunto chiama in campo il problema della prescrittibilità o meno del potere di « vigilanza » previsto dall'art. 32 della citata legge urbanistica, quando lo stesso venga esercitato oltre il decennio dal compimento delle opere edilizie, ovvero decorso il termine di prescrizione ordinaria fissato dal

l'art. 2946 c. c. Il ricorrente deduce in modo chiaro il vizio di

violazione delle norme di legge sulla prescrizione. Su tanto per ciò deve pronunciarsi il collegio per valutare la fondatezza o

meno della censura, e quindi la legittimità del provvedimento. Un aspetto della legge urbanistica del 1942 — come modificata

dalla 1. n. 765/1967 — è dato dalla mancata testuale previsione dell'estinzione del potere di perseguire in via amministrativa gli illeciti edilizi, quando notevoli tratti di tempo trascorrono dalla

loro esecuzione.

Ciò ha indotto la giurisprudenza del Consiglio di Stato ad esimere tale potere da limiti prescrizionali o di decadenza (sez. V 10 marzo 1970, n. 233, Foro it., Rep. 1970, voce Piano rego latore, n. 584; 14 dicembre 1971, n. 1508, id., Rep. 1972, voce Edilizia e urbanistica, n. 669; 17 marzo 1978, n. 327, id., Rep. 1978, voce cit., n. 633; 1° dicembre 1978, n. 1222, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 636, 637; 12 gennaio 1979, n. 9, ibid., n. 719; 30 settembre 1980, n. 800, id., Rep. 1980, voce cit., n. 683) e ad ammettere quindi l'azionabilità sine die del potere stesso, salvo a ritenere talora sussistente l'onere per l'amministrazione di motivare in ordine al pubblico interesse quando la diffida —

primo atto necessario del procedimento repressivo — segua tem

pi lunghi dagli illeciti che s'intendono perseguire (sez. V 20

aprile 1979, n. 199, id., Rep. 1979, voce cit., n. 724; 6 luglio 1979, n. 489, ibid., n. 737; 28 aprile 1981, n. 140, id., Rep. 1981, voce cit., n. 774). Giurisprudenze — l'una e l'altra — a cui

mano a mano si è pressoché allineata tutta quella proveniente dai T.A.R.

L'ultima tesi contrasta peraltro con la normativa successiva al testo originario dell'art. 32 1. n. 1150/1942. A partire dall'art.

13, cpv., 1. n. 765/1967 l'irrogazione d'una sanzione finale è

non una possibilità ma un dovere assoluto.

Ad ogni modo, non può sottacersi che il problema di regolare nel tempo detto potere sussiste perché, se da un lato non sem bra che una tale perpetuatio potestatis abbia costituito finora

minimo freno all'abusivismo edilizio, è altresì' indubbio che una

qualunque iniziativa sanzionatoria, intrapresa dall'amministrazio

ne assai dopo il perpetrarsi dell'illecito, incide sulla certezza dei

rapporti giuridici. E ciò pur quando — come vuole la citata

giurisprudenza — il provvedimento sia giustificato da concreti

interessi pubblici, dato che le ragioni che sottendono la cennata

esigenza di certezza sono comunque tali da non poter soggia cere a questi ultimi.

Non sembra possibile alla sezione ritenere che il legislatore abbia inteso — pur senza dirlo esplicitamente — sottoporre per decenni il costruttore o proprietario dell'immobile al rischio di

responsabilità sanzionatorie; né che tali responsabilità debbano

gravare per sempre sugli eredi o aventi causa del proprietario

originario. Man mano che le vicende progrediscono nel tempo, cambiamenti di titolarità dei beni ed acquisizione di diritti su

gli stessi sono non solo astrattamente concepibili, ma quasi im mancabili. Con la conseguenza — secondo l'ordine di idee che

qui si critica — che soggetti del tutto ignari, ed estranei al

l'illecito, possono essere chiamati a rispondere, o a sentirne gli effetti, in ogni tempo.

Non sarebbe agevole sostenere che mentre le sanzioni penali — di massima riferite ad attività antisociali, giudicate moral mente più riprovevoli e contrarie ad interessi essenziali della collettività — sono suscettibili di prescrizione (art. 157 ss. e 172 ss. c. p.), le sanzioni amministrative resterebbero imprescrit tibili.

Il passaggio del tempo non solo sopisce i rancori ed il senti mento della colpa ma cancella, altresì, le posizioni giuridiche attive e passive di cui non si sia potuto o voluto far uso. Ed anche quando — come nella specie — all'autorità pubblica non

spettino poteri discrezionali sull'applicazione delle sanzioni, la

lunga omissione dell'azione repressiva di regola conduce, nell'in teresse generale, alla dissoluzione della potestà di svolgerla: l'esi

genza di certezza, cui prima si è fatto cenno, è avvertita in ogni branca del nostro ordinamento a tutela degli affidamenti generati dal pacifico stato di fatto.

Ma non solo queste ragioni inducono a discostarsi dal predet to orientamento. Altre ancora — benché minori — portano a ritenere che la « vigilanza » del sindaco in materia edilizia sia

esposta ai termini prescrizionali: non vi osta la mancata rego lamentazione esplicita perché, a fronte delle argomentazioni che vanno esponendosi, tale dato meramente negativo non sembra indicare una effettiva volontà di esclusione della prescrizione, ma appare invece costituire una semplice lacuna, che va colma ta con ricorso alle norme espresse, attinenti a situazioni simili.

Anzitutto, l'efficacia solo mensile dell'ordine di sospensione previsto dall'art. 32 1. n. 1150/1942, la durata massima trime strale di quello previsto dagli art. 6 e 7 1. 765/1967 e la neces sità logica che tale ordine sia emanato nel corso dei lavori, sono

segni del fatto che la diffida a demolire non può essere adottata a qualunque distanza di tempo dalla conclusione delle trasfor

mazioni, né le sanzioni finali possono sopravvenire a qualunque distanza dalla diffida, né gli ordini di demolizione e di pagamen to di somme possono porsi in esecuzione in ogni tempo succes sivo al perfezionamento di tali atti. Si verte in un'attività pro cedimentale che, se pur complessa, poggia su naturali esigenze di concentrazione. Le quali, se non impongono l'immediatezza dei singoli interventi, certo non ne consentono l'adozione oltre

tempi imprevedibili.

Inoltre, l'attività sanzionatoria che s'intraprende con la dif fida a demolire, siccome vincolata, non può del tutto escludere un vincolo anche temporale, perché al contrario finisce col re

cepire elementi di discrezionalità tali, se non proprio da dissol vere il vincolo originario, certo da alterarne la portata, quan do il potere venga azionato dopo decenni.

Ancora, la normativa al 1967, ed entro certi limiti anche quel la al 1977, prevede la demolizione come sanzione primaria e l'ordine di pagamento come sanzione eventuale e subordinata

all'impossibile applicazione della prima: tale schema è imman cabilmente alterato se il comune si muove dopo decenni dalla costruzione. La conseguenza pratica è che alla demolizione —

quella veramente suscettibile di salvaguardare l'assetto edilizio

preordinato — non si può materialmente pervenire quando la situazione di fatto siasi a lungo andare consolidata. Lo schema sanzionatorio tipico ne risulta invertito.

In più la diffida ha una finalità — tra le altre — preventiva, e cioè quella di consentire in un certo senso al destinatario la scelta fra le due sanzioni future ed effettive: ben potrebbe l'in teressato ritenere più conveniente demolire da sé subito quanto è in via di realizzazione, ovvero quanto appena realizzato, on

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

de evitarle entrambe. L'inerzia del comune vanifica in pratica tale finalità quando la vigilanza — il termine è peraltro sinto

matico — sia oltre ogni ragionevole limite postuma. Infine, carattere specifico delle sanzioni in discorso è il loro

essere integrate dalle pene di cui all'art. 41, 1° comma, 1. 1150,

come sostituito dall'art. 13 1. n. 765/1967. Ciò significa che, mal

grado la diversa natura — ripristinatoria oppure riparatoria

l'una, punitiva l'altra — entrambe le specie di sanzioni concor

rono alla tutela dello stesso bene. Alla tutela, cioè, dell'ordine

urbanistico turbato da opere eseguite sine titulo o in difformità

del titolo. Se si considera che i due interventi sanzionatoti han

no in comune lo stesso fatto da cui hanno origine, non sembra

ragionevole — come in generale già accennato — che, al con

trario di quelle penali, le sanzioni amministrative siano sem

pre esperibili. Invero, l'indispensabilità della prescrizione è di

mostrata dall'assurdità della tesi opposta, quando essa sia por

tata alle conseguenze estreme.

A distanza di secoli, aventi causa di costruttori e modifica

tori abusivi il cui abusivismo non sia in alcun modo appurabile,

per essere sorta la costruzione al tempo in cui non esisteva li

cenza, o sia comunque accertabile con estrema difficoltà, per la

difficoltà di prender visione di tutti i disegni allegati alle varie

licenze e concessioni attinenti all'immobile ed ora anche con

nessi ai silenzi-assensi in proposito, risponderebbero dell'ope

ra dei loro autori, malgrado i pretesi responsabili abbiano acqui

stato il manufatto in buona fede, e con ordinaria diligenza.

Naturalmente, il ragionamento fin qui svolto si fonda su di

un dato che va considerato intuitivo, e sul quale è appena il caso

di fermarsi.

L'illecito urbanistico, che non è istantaneo, non è permanente

oltre il tempo dell'ultimazione dell'opera.

Dopo tale data, infatti, perfino la demolizione (se non auto

rizzata dalla relativa diffida) abbisognerebbe di un separato per

messo amministrativo.

Ciò che si persegue attraverso le norme di legge ora in esa

me è l'aver costruito, che si abiti o no; o lo star costruendo,

ancorché l'opera sia ancora inutilizzabile. L'eventuale utilizza

zione senza appositi permessi di abitazione o di agibilità è cosa

diversa, sanzionata da disposizioni differenti, che qui non ven

gono in considerazione.

La costruzione abusiva è dunque illecito a consumazione de

terminata, ancorché spesso ad effetti permanenti, perché il van

taggio dell'illecito è di regola sentito dal committente ben oltre

la consumazione. Cosi accade in molti altri illeciti penali: biga

mia, delitti di falso, delitti contro il patrimonio. Tutti reati non

permanenti, ancorché non necessariamente istantanei. Anche qui

l'agente può continuare a godere, dopo il compimento dell'azio

ne ed il verificarsi dell'evento, i vantaggi della sua condotta,

senza che per ciò l'illecito sia permanente (cosi T.A.R. Sicilia,

sez. Catania, 23 gennaio 1980, n. 82, id., 1981, III, 358); e sen

za che alcuno abbia mai dubitato della decorrenza della pre

scrizione.

Quando poi l'agente alieni il bene, non può dirsi sussistano

per l'avente causa neppure i vantaggi dell'illecito ormai esaurito,

tutte le volte che la cosa sia stata acquistata al prezzo di co

mune commercio. Nei casi intermedi, tali vantaggi si affievoli

scono. Né sussiste differenza, rispetto al normale verificarsi del

la prescrizione, per sanzioni principalmente punitive come quel

le penali, o quelle amministrative pecuniarie di cui all'art. 28

1. 24 novembre 1981 n. 689, e sanzioni riparatorie-ripristina

torie o riparatone pure e semplici come quelle civili, per esem

pio previste dalle due differenti ipotesi dell'art. 872, cpv., c. c.

Anche qui non potrebbe dubitarsi che la prescrizione abbia

luogo, conformemente alle esigenze dell'istituto, che attengono

all'inerzia rispetto al fatto compiuto; salvo a quantificare via

via differentemente la durata necessaria di tale inerzia. Va an

cora aggiunto che la tesi fin qui criticata è priva di plausibilità

psicologica, sempre importante perché le leggi siano riconosciu

te giuste dal cittadino.

Orbene, se le ragioni che inducono ad abbandonare l'orienta

mento finora seguito, anche da questo T.A.R., sono tali e tante,

d'altro canto si ravvisa attendibile la tesi del ricorrente, che pro

pone al riguardo l'ordinario termine prescrizionale. Né altri ter

mini sono rinvenibili: quello di cinque anni previsto dall'art. 6,

2" comma, 1. n. 765/1967 e l'altro decennale cui al successivo

art. 7, T comma, attengono a disposizioni eccezionali e speci

fiche, come tali non suscettibili di estensione per analogia (art.

14 preleggi). Il termine di dieci anni, dal compimento della tra

sformazione, sembra in effetti il meno inidoneo ad essere pre

scelto, onde colmare la lacuna di cui si discute. E ciò per la

sua generale adozione, benché in campo dissimile dal nostro,

qual'è quello delle prescrizioni cui all'art. 2946 c. c.; salvo ad

annotare, a meri fini terminologici, che rispetto alle potestà pub

bliche, e quindi a quella presente, l'azione dissolutiva del tempo andrebbe — contro la tradizione seguita in materia penale —

chiamata più propriamente decadenza che non prescrizione, avu

to riguardo alla natura degli interessi tutelabili in questa sede.

Né il termine sopra prescelto si presenta obiettivamente esiguo

se, per esempio, si considera il tipo di delitti che in esso si pre scrivono (tutti quelli punibili con la reclusione non inferiore a

cinque anni: art. 157 c. p.). Senza negare la difficoltà della scelta della disposizione ana

loga, la conclusione raggiunta appare dunque confermata dal

l'improbabilità di altre possibili. Nella specie il motivo di censura è altresì fondato in fatto:

la diffida a demolire è intervenuta oltre il decennio dalla fine

della costruzione sicché la doglianza va condivisa.

Deriva invero dal principio di diritto recepito dalla sezione

che la diffida a demolire è illegittima se emanata dopo un de

cennio dall'ultimazione della costruzione, o dalla cessazione dei

lavori; e che il provvedimento sanzionatorio finale (ordine di

demolizione, confisca, sanzione pecuniaria) è esso stesso illegit

timo se emanato dopo un decennio dalla diffida. Pertanto il ri

corso è fondato e va accolto, restando assorbite le altre censure

dedotte. (Omissis)

Rivista di giurisprudenza amministrativa Pensione — Domanda di pensione privilegiata ordinaria per le

sioni dipendenti da causa di servizio — Mancata richiesta en

tro il quinquennio dalla cessazione dal servizio — Decadenza — Questione non manifestamente infondata di costituzionalità

(Cost., art. 76; d. 1. 1° maggio 1916 n. 497, semplificazione del

le procedure per la liquidazione delle pensioni privilegiate di

guerra, art. 9; 1. 28 ottobre 1970 n. 775. modifiche ed integra

zioni alla I. 18 marzo 1968 n. 249. art. 6: d.p.r. 29 dicembre

1973 n. 1092, t. u. delle norme sul trattamento di quiescenza

dei dipendenti civili e militari dello Stato, art. 169).

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esa

me alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del

l'art. 169 d. p. r. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui

stabilisce la decadenza dal diritto a richiedere trattamento pen

sionistico privilegiato ordinario per lesioni, per coloro che ab

biano lasciato decorrere cinque anni dalla cessazione dal servi

zio senza chiedere l'accertamento della dipendenza della lesione

da causa di servizio, in relazione all'art. 6, 3° comma, 1. 28 ot

tobre 1970 n. 775, in riferimento all'art. 76 Cost. (1)

Corte dei conti; Sezione IV; ordinanza 25 marzo 1980 (perve

nuta alla Corte costituzionale il 26 marzo 1982; Gazz. ufj. 22

settembre 1982, n. 262); Pres. Cessari; ric. D'Amore.

(1) Ad avviso della Corte dei conti il governo, essendo stato de

legato unicamente alla raccolta in t. u. delle disposizioni in vigore, avrebbe ecceduto i limiti della delega nel prevedere che la deca

denza dal diritto a pensione entro cinque anni dalla cessazione dal

servizio operi non solo per le « infermità » (come previsto prece dentemente dall'art. 9 d. 1. 1° maggio 1916 n. 497), bensì' anche per

le « lesioni ». La questione di costituzionalità dell'art. 169 d.p.r. 1092/1973 era

stata ripetutamente ritenuta manifestamente infondata, con riguardo

però alla decadenza comminata per il riconoscimento di pensione

per « infermità », dalla Corte dei conti (v. sez. IV 1° febbraio 1980,

n. 56292, Foro it., Rep. 1981, voce Pensione, n. 73; 14 marzo 1979,

n. 54175, id., Rep. 1980, voce cit., n. 81; 30 gennaio 1978, n. 50775,

id., Rep. 1979, voce cit., n. 87; 14 novembre 1977, n. 265575, 28

marzo 1977, n. 47634 e 1° febbraio 1977, n. 48879, id., Rep. 1978,

voce cit., nn. 115, 112, 114; 1° febbraio 1977, n. 48879, 9 dicembre

1976, n. 46564, 17 febbraio 1976, n. 46648 e 1° dicembre 1975, n.

45744, id., Rep. 1977, voce cit., nn. 90-95). Corte cost. 14 dicembre 1979, n. 149, id., 1980, 1, 1, con nota

di richiami, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 165

d.p.r. 1092/1973, nella parte in cui non disponeva, nei confronti

dei minori e dei dementi, la sospensione del termine per l'accerta

mento della dipendenza delle infermità o lesioni da causa di servizio

finché durasse la loro incapacità di agire. In ordine alla individuazione degli atti capaci di impedire la deca

denza di cui all'art. 169 d.p.r. n. 1092 del 1973 cfr. C. conti, sez.

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