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SEI_Storia Feltri_2012

Date post: 30-Mar-2016
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Chiaro Scuro storia casa editrice SEI restyling 2011
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Chiaro Scurostoria

casa editrice SEIrestyling 2011

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ullo sfondo delle origini del fascismo, sta il problema del-le masse. Entrate prepotentemente sulla scena politica, aseguito del processo di industrializzazione, ormai non ac-

cettavano più di starsene passivamente in disparte: anzi, l’esem-pio russo sembrava mostrare loro che i tempi erano maturi per unradicale mutamento sociale. Dopo la guerra, in Italia erano sem-pre meno a pensarla come Giolitti, convinto che la rivoluzione po-tesse essere arginata solo dando spazio a una politica di alti sala-ri e di dialogo con i sindacati. La maggior parte della classe diri-gente era di opinione opposta: riteneva che i rossi e i sovversivi do-vessero essere liquidati senza compromessi. Sostenute e finanzia-te dai grandi proprietari terrieri (terrorizzati dalle agitazioni socialiche nel 1920 avevano investito sia le campagne che le fabbriche)

le squadre d’azione fasciste attaccarono le organizzazioni sindacalisocialiste e cattoliche, distruggendo le Case del Popolo e aggredendole figure più in vista del movimento operaio.

Fu una rivoluzione, dunque, quella che portò il fascismoal potere, nel 1922?Assolutamente no. Il fascismo non conquistò il potere con uncolpo di Stato paragonabile all’assalto al Palazzo d’Inverno con-dotto dai bolscevichi, nel novembre 1917. Il fascismo, certo, uti-lizzò la violenza per farsi strada, ma tale violenza non fu in al-cun modo esercitata contro lo Stato e le sue istituzioni, per ab-batterle con la forza. Furono le autorità, all’opposto, che dap-prima tollerarono le brutalità fasciste contro i gruppi d’opposi-zione e poi, infine, concessero il potere a Mussolini. Nel giro diqualche anno, il fascismo chiuse ogni spazio al movimento ope-raio e distrusse tutti i caratteri fondamentali dello Stato libera-le: le libertà di parola, di stampa e di associazione furono can-

La mobilitazionedelle masse

Nel 1919, Benito Mussolini fondò il movimento deiFasci italiani di Combattimento, che nel giro di alcunianni assunse posizioni antisocialiste sempre più marcate.In Emilia Romagna e in altre regioni, i proprietariterrieri finanziarono le squadre d’azione fasciste, persconfiggere il movimento contadino. Esercito e forzedell’ordine, in genere, tollerarono le violenze.

Nel 1919, l’Italia, che era appena uscita vittoriosa dalla

Grande Guerra, dovette affrontare una situazione

economica e sociale gravissima. Molti operai avrebbero

voluto fare come in Russia, mentre l’inflazione pesava in

modo significativo sui salari e sui risparmi.

Democraziain Europa e

S

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UNITÀ IV

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cellate completamente, insieme alla separazione dei poteri.

Che tipo di dittatura fu quella fascista? Che cosa ladistingueva da altri regimi autoritari più tradizionali?Il fascismo volle essere una dittatura di tipo nuovo, adatta al se-colo delle masse. Pur nutrendo un profondo disprezzo per la verademocrazia, mobilitò continuamente le masse, cercò il consen-so degli Italiani e si sforzò di educarli a un nuovo sistema di va-lori, basato sull’obbedienza al “Duce” e sul senso di superioritàrazziale. Il fascismo non voleva dominare gli Italiani, ma coin-volgerli nel suo progetto di trasformazione del Paese in grandepotenza. Inoltre, il fascismo voleva per sé tutto l’individuo, chedoveva diventare interamente fascista, in tutte le sfere della suaattività. Sotto questo profilo, nel suo tentativo dominare inte-gralmente l’essere umano e trasformarlo in un uomo nuovo, ilprogetto del fascismo italiano non fu meno totalitario di quel-li del comunismo sovietico o del nazionalsocialismo tedesco.

TESTO1. L’Italia dopo la prima guerra mondiale2. Il movimento fascista3. Lo Stato totalitario4. Lo Stato corporativo

IPERTESTO1. Le origini dell’ideologia fascista2. La Chiesa e il fascismo3. Fascismo e identità di genere4. Andrà su Cd-Rom

PERCORSI DI STORIA LOCALELo squadrismo in Emilia-Romagna

online

Salito al potere nel 1922, Mussolini distrusse lo Stato

liberale e cercò di porsi al centro di un vasto rituale di

mobilitazione delle masse. Nel 1936, la conquista

dell’Etiopia fu accompagnata da una svolta razzista e

antisemita sempre più marcata, nella convinzione che

solo un popolo convinto della propria superiorità può

conservare un impero.

Il fascismo cancellò ogni spazio di azione per ilmovimento operaio, sostenendo che la lotta di classeandava abolita: i vari gruppi sociali avrebbero dovutocollaborare in vista dell’espansione della nazione.L’impero di Roma divenne il grande mito di riferimento.

e liberismonegli Stati Uniti

sommario

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Il congresso di BerlinoCome tutti gli eventi storici, la guerra che scoppiò nel 1914 non era affatto inevita-bile. Non era automatico che l’Europa sprofondasse nella catastrofe dello scontro ge-neralizzato. Eppure, da circa trent’anni, i governi avevano imboccato una strada pe-ricolosissima, che poteva avere quello sbocco e che alla fine, addirittura, parve nonavere alcuna via d’uscita diversa dal conflitto.A nostro parere, un’analisi delle cause che provocarono la Prima guerra mondiale deveiniziare nel 1875: nelle due province della Bosnia e della Erzegovina (ancora sottomesseall’Impero turco) i contadini cristiani si ribellarono contro i grandi proprietari terrierimusulmani. Due principati slavi, la Serbia e il Montenegro, intervennero a favore deiribelli; costituitisi nel 1856, dopo la guerra di Crimea, essi erano ancora sottomessiall’Impero turco. Nelle loro intenzioni, il sostegno offerto ai ribelli bosniaci era un ge-sto di autonomia, il primo passo verso l’affermazione della piena indipendenza.Serbia e Montenegro furono sconfitti dall’esercito turco. A quel punto, intervenne nelconflitto anche l’Impero zarista: col pretesto di sostenere le due nazioni slave, sorelledella Russia, sperava di allargare la propria influenza nella regione balcanica, cioè nel-l'Europa sud-orientale, a spese dell’Impero ottomano. L’esercito russo riuscì a sbara-gliare i Turchi, cosicché il sultano di Istanbul fu costretto ad accettare la pesante pacedi S. Stefano. Stipulato nel marzo 1878, il trattato prevedeva la nascita di un vastoStato di Bulgaria, che avrebbe compreso gran parte dei territori europei sotto domi-nazione ottomana e sarebbe stato un docile vassallo politico della Russia. In tal modo,però, l’equilibrio politico internazionale sarebbe cambiato in modo profondo, a tut-to vantaggio dell’impero zarista. Preoccupate per l’accaduto, Inghilterra e Austra-Un-gheria protestarono immediatamente e minacciarono di muovere guerra alla Russia.

Triplice Intesa

Imperi Centrali

Neutralità sinoal 1915

Alleati dell'Intesa

Alleati degliImperi Centrali

LondraBruxelles

Amsterdam

Parigi

MadridLisbona

Berna

Berlino Varsavia

ViennaBudapest

Sarajevo

TiranaSofia Istanbul

Atene

BucarestBelgrado

Mosca

StoccolmaOslo

CopenaghenINGHILTERRA

IRLANDA

FRANCIAAUSTRIA - UNGHERIA

GERMANIA

ITALIA

RUSSIA

NORVEGIASVEZIA

SPAGNAPORTOGALLO

SVIZZERA

BELGIO

OLANDA

MONTE-NEGRO

SERBIA

ALBANIA

ROMANIA

BULGARIA

GRECIA IMPEROOTTOMANO

LUSSEMBURGO

O C E A N OA T L A N T I C O

ISLANDA

MAREDEL

NORD

MAR NERO

MAR MEDITERRANEO

DANIMARCA

Roma

S. Pietroburgo

GLI SCHIERAMENTICONTRAPPOSTI

NELL’EUROPA DEL 1914

➔L’espansionismorusso nella penisola

balcanica

➔L’alleanzatra germania

e austro-ungheria152

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1 Le origini del conflittoCONTRASTIPOLITICI

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La crisi trovò pacifica composizione, nell’estate del 1878, per mezzo del cosiddettocongresso di Berlino, che vide riuniti nella capitale del Reich i ministri delle prin-cipali potenze. Alla Russia, in pratica, fu imposto di rinunciare alla grande Bulgariaprevista dalla pace di S. Stefano; in cambio dell’appoggio diplomatico fornito all’Imperoottomano, sia l’Austria-Ungheria che l’Inghilterra ottennero importanti concessioni:la prima poté occupare la Bosnia-Erzegovina, mentre la seconda richiese per sé l’iso-la di Cipro (nel cuore del Mediterraneo, di fronte all’imboccatura del canale di Suez).La Russia, dunque, dal congresso di Berlino uscì umiliata e sconfitta; in quella sede,cominciarono anche a delinearsi le alleanze che sarebbero poi scattate, nel 1914, pro-vocando lo scoppio della Prima guerra mondiale. Al congresso del 1878, timoroso diun eccessivo rafforzamento russo, Bismarck non agì da mediatore imparziale, ma so-stenne le posizioni e gli interessi dell’Austria-Ungheria e dell’Inghilterra. Temendo poiun ulteriore deterioramento dei rapporti tra Germania e Russia, nel 1879 Bismarckstipulò un’alleanza difensiva con l’Impero asburgico, che il Reich tedesco avrebbe so-stenuto, da quel momento, fino al novembre del 1918.

Il sistema delle alleanzeNel 1881, la Francia occupò la Tunisia e giustificò tale conquista coloniale come unlegittimo compenso, capace di pareggiare i vantaggi territoriali ottenuti a Berlino dal-l’Inghilterra e dall’Austria-Ungheria. L’Italia cercò di ostacolare il gesto compiuto dal-la Francia, ma le sue proteste non trovarono alcun ascolto presso le altre nazioni.In quell’occasione, risultò evidente la posizione di isolamento del nuovo Stato uni-tario: troppo debole per agire da solo, per farsi valere l’Italia doveva collegarsi stabil-mente e appoggiarsi a qualche grande potenza.Per il momento, i contrasti più forti erano di tipo coloniale, con la Francia, che pos-sedeva da tempo l’Algeria (1830), aveva appena occupato la Tunisia e non faceva mi-stero di voler dominare anche su Libia e Marocco, per giungere al completo controllo

CongressoNon era certo la prima volta che i ministri del-le principali potenze europee si riunivano acongresso, cioè partecipavano a una con-ferenza, sedendosi tutti, per così dire, allostesso tavolo. Per mezzo delle discussionie delle decisioni di un congresso, si tenta-va di costruire (per evitare uno scontro, o altermine di un conflitto) un assetto politicoeuropeo più equilibrato e rispondente alleaspirazioni delle diverse potenze. Questoequilibrio tra le potenze (o balance of powerinternazionale) fu sempre il principale obiet-tivo dell’Inghilterra, dopo il tentativo napo-leonico di sottomettere l’intero continenteall’egemonia francese. Il dato più interes-sante riguarda le città in cui, nell’Ottocen-to, i congressi più importanti furono con-vocati: Vienna (1815), Parigi (1856), Berlino(1878). In tutte queste circostanze, vennescelto come luogo la capitale della grandepotenza che in quel momento era la più for-te sul continente: l’Austria (dopo le guerrenapoleoniche); la Francia imperiale di Na-poleone III; il Reich tedesco, sorto nel 1871per opera diOtto von Bismarck. Dopo la pri-ma guerra mondiale, la conferenza di paceebbe luogo a Versailles; la grande novità diquesto congresso del 1919 fu la presenzadi un nuovo soggetto, destinato a esseresempre più influente nel XX secolo: gliStati Uniti.

Potenze

Austria-Ungheria

GranBretagna

Francia

Serbia

Italia

Russia

Vantaggi ottenuti Fallimenti politici

Occupazione dellaBosnia-Erzegovina

Controllo di Cipro

Occupazione dellaTunisia (1881)

Acquisto dellapiena indipendenza

Incapacitàdi contenere le mireespansionistiche

francesi in Nord Africa

Fallimentodell’espansione

in Bulgaria

Il mosaico jugoslavo(pag. 396)

link

le parolePOTENZE VINCITRICI E POTENZE SCONFITTE

AL CONGRESSO DI BERLINO (1878)

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CAPITOLO

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elconfl

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Guerra e identitàdi genereIl concetto borghese dirispettabilitàL’ideale virile neoclassicoIl movimento femminileall’inizio del XX secoloDonne e lavoro nellaprima guerra mondiale

pag.396IPERTESTO1

RIFERIMENTISTORIOGRAFICI|12|pag.138

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della costa mediterranea africana. L’Egitto però, con il canale di Suez, era saldamen-te in mano agli Inglesi.Nel 1882, l’Italia decise di avvicinarsi all’Impero tedesco (principale avversario con-tinentale della Francia) e di legarsi ad esso con una alleanza militare. Nacque così lacosiddetta Triplice Alleanza, che comprendeva Italia, Germania e Austria-Ungheria(queste ultime, già legate dall’accordo del 1879). Si trattava di un accordo puramentedifensivo, che prevedeva un sostegno reciproco dei tre Stati, qualora uno di essi fos-se stato aggredito da una potenza nemica.La Triplice Alleanza dava per scontato che questo eventuale avversario fosse la Fran-cia: con essa, la Germania era in tensione a seguito della conquista dell’Alsazia Lore-na (nel 1871), mentre l’Italia ne temeva l’ulteriore espansione nel Mediterraneo. È im-portante precisare che, stipulando la Triplice Alleanza, l’Italia di fatto rimandava a tem-po indeterminato l’annessione di Trento e Trieste, cioè il completamento della propriaunità nazionale: nell’immediato, la questione della liberazione di quelle due regioni ir-

redente (cioè, sottomesse al dominio asburgico) appariva decisa-mente secondaria, rispetto alla necessità di contenere, con l’aiu-to tedesco (e, quindi, austriaco), l’imperialismo francese nell’areamediterranea.La Francia, da parte sua, contro la Germania trovò infine unvalido sostegno nella Russia, con la quale venne ufficialmen-te stipulata un’alleanza difensiva nel 1892. Per certi aspetti, sitrattava di un legame decisamente anomalo, in quanto la Fran-cia era una repubblica parlamentare, fiera del proprio passatoilluminista e rivoluzionario, mentre l’Impero zarista era una mo-narchia assoluta e dispotica. Il terreno in direzione dell’allean-za era stato spianato dai banchieri francesi, che avevano forni-to alla Russia notevoli capitali, indispensabili per l’ammoder-namento e l’industrializzazione del Paese.

Gavrilo Principcatturato e arrestato

immediatamentedopo l’attentato. Lo

studente, cheapparteneva a

un'associazionenazionalista serba, fu

processato econdannato a

vent'anni di carcereduro in una fortezza

della Boemia,dove morì.

Guerra e identitàdi genereIl concetto borghese dirispettabilitàL’ideale virile neoclassicoIl movimento femminileall’inizio del XX secoloDonne e lavoro nellaprima guerra mondiale

www.seieditrice.com

Alsazia-LorenaL’Alsazia e la Lorena si trovano nella regio-ne del Reno. Nel 1871, la Germania se neimpossessò dopo la vittoria sulla Francia. Intal modo, riuscì ad allontanare la Francia dalgrande fiume tedesco. Per circa ottant’an-ni (tra il 1871 e il 1945) le due province sonostate il simbolo dell’ostilità franco-tedesca,della divisione politica dell’Europa e delle ca-tastrofi che lo scontro tra opposti naziona-lismi poteva scatenare. Proprio per questo,il capoluogo dell’Alsazia, Strasburgo, nel1949 fu scelto come sede del Parlamentodell’Unione Europea.

i luoghi

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Il piano SchlieffenA partire dalla metà degli anni Novanta dell’Ottocento, la Germania si sentì semprepiù accerchiata, cioè si trovò di fronte alla prospettiva di una guerra su due fronti: nelcaso in cui il conflitto con la Francia fosse ripreso, l’Impero tedesco sarebbe stato at-taccato anche a oriente, dall’esercito russo. Per lo Stato Maggiore tedesco, il principa-le problema strategico da risolvere divenne quello di come combattere contempora-neamente due avversari, senza procedere a una divisione delle proprie forze, operazioneche avrebbe notevolmente ridotto le probabilità di vittoria.La soluzione al dilemma venne trovata, nel 1905, dal generale Alfred von Schlieffen,il quale elaborò un piano al tempo stesso cinico e geniale. Il ragionamento di von Schlief-fen partiva dalla constatazione che, mentre le ferrovie tedescheerano modernissime ed efficienti, il sistema di trasporti russo (mal-grado i notevoli investimenti del governo, resi possibili dai ca-pitali francesi) era ancora carente e arretrato. L’Impero zarista,certo, possedeva enormi risorse umane, che gli avrebbero per-messo di mettere in campo l’esercito più numeroso d'Europa.Tuttavia, prima che tutte le forze russe potessero essere davve-ro portate al fronte e impiegate contro la Germania, sarebbe pas-sato un intervallo di tempo che l’Impero tedesco avrebbe po-tuto sfruttare per concentrare tutte le proprie energie a ovest,contro la Francia.Per sconfiggere in tempi brevi l’avversario occidentale, era ne-cessario compiere una mossa inattesa, che cogliesse di sorpre-sa i Francesi i quali, senza dubbio, avrebbero cercato innanzi tut-to di liberare l’Alsazia-Lorena. Von Schlieffen, pertanto, propo-se che l’esercito tedesco disponesse le proprie truppe nel modoseguente: sul fronte russo e in Alsazia-Lorena, secondo von Schlief-

Il disciplinatissimo esercito tedesco durante una parata militare.

➔L’Italia si alleacon gli ImperiCentrali

Walter RathenauA partire dal 1903, Walter Rathenau affian-cò il padre Emil nella direzione dell’Allge-meine Elektrizitaets Gesellschaft (AEG), chea quell’epoca era il complesso industriale piùpotente, a livello mondiale, nel campo del-la produzione dell’energia elettrica. Partendoda una simile posizione eccezionalmenteelevata, pur essendo di origine ebraica, Ra-thenau poté instaurare buoni rapporti per-sonali con il kaiser Guglielmo II. Malgradociò, a più riprese egli espresse apertamen-te le proprie critiche nei confronti della strut-tura sociale della Germania del suo tempo,rivendicando una maggiore democrazia e lafine del monopolio delle cariche pubbliche,detenuto dagli junker, i grandi proprietari ter-rieri prussiani. Soprattutto, Rathenau non sistancò di criticare la politica di riarmo na-

i personaggi

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Riferimentistoriografici|12|pag.138

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fen, bastava dislocare dei contingenti di piccola entità, con funzioni puramente difensive;la massa d’urto dell’esercito germanico, invece, avrebbe dovuto essere concentrata piùa nord e puntare direttamente su Parigi, dopo aver attraversato il Belgio. Dal momentoche quest’ultimo Paese era neutrale e pacifico, i Francesi sarebbero stati colti comple-tamente alla sprovvista da una simile offensiva sulla capitale, proveniente da nord. Se-condo le speranze del generale, in sei settimane la guerra sul fronte occidentale si sa-rebbe conclusa con una completa vittoria tedesca. A quel punto, infine, grazie al giàcitato efficientissimo sistema ferroviario del Reich, tutto l’esercito germanico avrebbepotuto essere trasferito verso est, per fronteggiare i Russi e sconfiggere anch’essi.

I poderosi cannoniche equipaggiavanouna Dreadnought(nave da guerra

tedesca): ogni navene aveva dieci, oltre a24 pezzi di artiglieria

leggera. Purrinforzata nella

corazza sino a unospessore centrale di28 cm per una stazza

di almeno 18 000tonnellate, la

Dreadnought era piùveloce delle altre navi

da guerra.

PPrriimmaa ffaassee Spostamento della maggior parte dell’esercito tedesco a ovest, contro laFrancia

SSeeccoonnddaa ffaassee Invasione del Belgio (neutrale), attacco contro Parigi e sconfitta dellaFrancia

TTeerrzzaa ffaassee Trasferimento, per mezzo delle ferrovie, di tutto l’esercito tedesco a est,contro la Russia

IL PIANO SCHLIEFFEN

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espressione secolo breve è stata coniata dallo storico inglese E. J. Hobsbawm,che nel 1994 pubblicò uno dei primi panorami completi del XX secolo. La prin-cipale novità del lavoro di Hobsbawm consisteva nel fatto di essere un quadroglobale di tutto il Novecento, come già ne erano stati disegnati diversi per l’Ot-tocento e per altri periodi storici. Fino a quel momento, la storiografia avevastudiato singole questioni e tematiche (la Prima guerra mondiale, il nazismo,la Rivoluzione russa, il fascismo italiano, la grande depressione...), ma solo po-chissimi autori si erano cimentati in un lavoro di sintesi per il secolo che sta-

va concludendosi.Il lavoro di Hobsbawm, però, non colpì soltanto per il suo taglio pionieristico. Lo stu-dioso inglese, infatti, avanzava anche l’ipotesi che il Novecento (in senso storiografico)non comprendesse tutto il XX secolo (in senso strettamente cronologico), ma solo i de-cenni centrali di tale periodo. In termini più semplici, potremmo dunque dire che men-tre il XX secolo comprende tutto l’arco di tempo compreso tra l’anno 1900 e l’anno 1999,il Novecento è più breve, nel senso che moltissimi problemi (quelli più tipicamente no-vecenteschi) iniziarono a presentarsi dopo l’inizio ufficiale del XX secolo e trovarono con-clusione e risoluzione prima dell’anno 1999.

Secondo Hobsbawm, il Novecento non iniziò prima del 1914. Al momento dello scop-pio della Prima guerra mondiale, le grandi potenze che scesero in campo erano le stessedel 1870: anzi, i veri protagonisti di gran parte del conflitto furono quattro sovrani ot-tocenteschi come il kaiser tedesco, lo zar russo, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppee il sultano turco. La guerra mondiale li avrebbe spazzati via tutti e quattro. Dunque, parecorretto far iniziare il Novecento nel 1917-1918, allorché emersero in tutta la loro radi-calità le conseguenze della prima guerramondiale, vera matrice del secolo breve.In particolare, dev’essere messo in risalto ilruolo della rivoluzione d’ottobre, che pro-vocò un vero terremoto politico e ideolo-gico in tutta l’Europa.Quanto alla fine, il Novecento può dirsi giàconcluso dieci anni prima della fine natu-rale del XX secolo, allorché, nel 1989-1990,si esaurisce proprio l’onda lunga della ri-voluzione leninista e il comunismo cessa diessere una forza storica vitale, cioè esauri-sce gran parte della sua funzione politica,legata com’era, indissolubilmente, alla po-tenza militare dell’Unione Sovietica.

L’approccio di Hobsbawm (ovviamenteassai più raffinato e complesso di quanto ab-biamo ora esposto in maniera schematica)è per molti versi assai convincente. Tutta-via, molti storici hanno giustamente se-gnalato che la maggior parte delle innova-zioni tecnologiche che segnarono l’econo-

NOVECENTO...secolo breve

che cosaè stato il

XXsecolo?

L’

Eric John Ernest HobsbawmQuesto non c’è nel testo base - per un errore dell'anagrafe il cogno-me fu alterato - è nato nel 1917 ad Alessandria d'Egitto da LeopoldPercy Hobsbaum e Nelly Grün, entrambi ebrei. Sebbene Eric sia cre-sciuto a Vienna e Berlino, i genitori utilizzarono con Eric e con la so-rella Nancy sempre la lingua inglese. All'età di soli quattordici anni di-venne orfano per la scomparsa prima del padre nel 1929 e poi dellamadre due anni più tardi. Nel 1933 lui, la sorella e i nuovi genitori adot-tivi, ovvero la zia materna Gretl e lo zio paterno Sidney, si trasferiro-no definitivamente a Londra. Hobsbawm proseguì i propri studi uni-versitari presso il King's College di Cambridge, ove fu ammesso nel-l'esclusivo circolo intellettuale degli "Apostoli" e conseguì il propriodottorato grazie ad una tesi sulla Fabian Society. Durante la Secon-da guerra mondiale militò nei Royal Engineers e nei Corpi d'Educa-zione Militare Reali. Nel 1947 ottenne l'incarico di Lettore presso il Bir-kbeck College di Londra.Hobsbawm si sposò due volte: prima con Muriel Seaman fino al 1951,e poi con Marlene Schwarz, da cui ebbe i due figli Julia e Joshua. Hainsegnato dal 1959 al Birkbeck College dell'Università di Londra e ne-gli anni '60 fu professore con incarichi limitati a Stanford. Nel 1970 funominato Professore ordinario; nel 1978 entrò a far parte della BritishAccademy ed esercitò la sua professione fino al 1982, seppur con al-cune nomine provvisorie, tra cui quella alla Nuova Scuola per la Ri-cerche Sociali (The New School for Social Research) di Manhattan.Nel 2003 gli è stato assegnato il Premio Balzan per la storia europeadal 1900. Attualmente è presidente del Birkbeck di Londra, nonchéprofessore emerito in scienze politiche a Manhattan.

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mia del Novecento sia stata introdotta diversi anni prima del 1914: e questo vale per l’ener-gia elettrica, per l’impiego del petrolio, per il motore a scoppio, per la radio... Sotto que-sto profilo, è altrettanto legittimo parlare di un Novecento lungo, che abbraccia comeminimo l’intero ultimo decennio del XIX secolo, vero momento di nascita della storia con-temporanea (G. Barraclough). Nel medesimo tempo, altri studiosi fanno notare che il con-cetto proposto da Hobsbawn non sottolinea in modo sufficientemente forte la grande ce-sura verificatasi nel 1945: mentre in passato (fino al 1939) le grandi decisioni vennero pre-se nelle principali capitali europee (Vienna, Berlino, Parigi, Londra), dopo la fine dellaseconda guerra mondiale gli Imperi coloniali di Francia e Inghilterra si sgretolarono. Dopoil 1945, le scelte decisive passarono ormai nelle mani esclusive dei governanti di Moscae di Washington: per non parlare della possibilità (assolutamente inedita) di una deva-stante guerra nucleare globale... Se teniamo presente questi ultimi fattori, siamo di fron-te a una specie di lunghissimo Ottocento (il tempo della centralità europea), conclu-sosi solo fra le macerie di Berlino e di Hiroshima.Se la si vuole assumere, quella di secolo breve dev’essere dunque utilizzata come una cate-goria storiografica elastica, da impiegare in modo tutt’altro che rigido. È uno strumento

interpretativo, che ci aiuta a comprendere come, effettivamente, il 1917-1918 e il 1989-1990 siano stati due punti di svolta fondamentali nella storia dell’Europa e del mondo.D’altra parte, come ogni altro paradigma scientifico, anche quello di secolo breve può edeve essere falsificato, cioè integrato, corretto e completato da ulteriori ricerche e semprenuove osservazioni.

La caduta dei regimicomunisti nei Paesidell’Europa orientale

(simboleggiata,nell’immagine,

dall’abbattimentodel muro di Berlino,avvenimento chestudieremo più

dettagliatamente inseguito) tra il 1989 eil 1990 è l’evento chesegna la conclusionedel Novecento per lo

storico ingleseHobsbawm.

che cosaè stato il XXsecolo?

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Rivolte e ammutinamentiMan mano che la guerra di logoramento esigeva costi sempre più elevati, il malcon-tento divenne sempre più acuto sia fra i soldati al fronte sia tra la popolazione, stan-ca dell’aumento dei prezzi, della carenza di beni di prima necessità e del razionamentodei generi alimentari. All’inizio, quando ognuna delle potenze coinvolte poteva seriamentepensare di vincere la guerra, questo malcontento non esplose apertamente, né riuscìa trovare una forza politica capace di organizzarlo e di trasformarlo in vera e propriarivolta. Gruppi minoritari, staccatisi dai vari Partiti socialisti dei diversi Paesi, si riu-nirono a congresso, nella neutrale Svizzera, a Zimmerwald (settembre 1915) e a Khien-thal (aprile 1916); ma i loro appelli alla pace, che rilanciavano il tradizionale inter-nazionalismo proletario marxista, non ebbero alcuna efficacia concreta. La situazione subì una repentina impennata nel 1917, che non a caso fu l’anno de-cisivo del conflitto. A Berlino, in aprile, circa 200 mila operai scesero in sciopero, chie-dendo per la prima volta, in modo esplicito, l’apertura delle trattative di pace. Il 27maggio 1917, 30 000 soldati francesi abbandonarono le trincee e si trasferirono di pro-pria iniziativa nelle retrovie. Il primo giugno, a Missy-aux-Bois, un reggimento di fan-teria si impadronì della città e proclamò di voler dare vita a una specie di contro-go-verno, che avrebbe posto fine alla guerra. Quando le autorità militari francesi si mossero per porre fine all’ammutinamento, siresero conto di dover dosare con estrema intelligenza repressione inflessibile e inter-venti finalizzati a migliorare le condizioni di vita dei soldati al fronte. Quattrocento

uomini furono condannati a morte: 50, di questi, furono effettivamente fucilati, men-tre gli altri vennero invece inviati ai lavori forzati. Nel medesimo tempo, però, furo-no concessi alle truppe periodi di riposo più lunghi, mentre tutti i progetti di offen-siva vennero rinviati, nella consapevolezza che nuovi e costosi assalti alle trincee te-desche avrebbero potuto provocare, invece dello sfondamento del fronte nemico, ilcompleto collasso, per ammutinamento, di quello francese.

Nel 1917, in tutti gliStati europei impegnatinel conflitto, aumentònotevolmente il prezzodi molti beni di primanecessità. Perprotestare contro irincari, iniziarono unaserie di scioperi deilavoratori, come quelloindetto da un gruppo disarte di Parigi emostrato nell’immagine.

Intervento americano e sconfitta tedesca

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che cosaè stato il XXsecolo?

espressione secolo breve è stata coniata dallo storico inglese E. J. Hobsbawm,che nel 1994 pubblicò uno dei primi panorami completi del XX secolo. La prin-cipale novità del lavoro di Hobsbawm consisteva nel fatto di essere un quadroglobale di tutto il Novecento, come già ne erano stati disegnati diversi per l’Ot-tocento e per altri periodi storici. Fino a quel momento, la storiografia avevastudiato singole questioni e tematiche (la Prima guerra mondiale, il nazismo,la Rivoluzione russa, il fascismo italiano, la grande depressione...), ma solo po-chissimi autori si erano cimentati in un lavoro di sintesi per il secolo che sta-

va concludendosi.Il lavoro di Hobsbawm, però, non colpì soltanto per il suo taglio pionieristico. Lo stu-dioso inglese, infatti, avanzava anche l’ipotesi che il Novecento (in senso storiografico)non comprendesse tutto il XX secolo (in senso strettamente cronologico), ma solo i de-cenni centrali di tale periodo. In termini più semplici, potremmo dunque dire che men-tre il XX secolo comprende tutto l’arco di tempo compreso tra l’anno 1900 e l’anno 1999,il Novecento è più breve, nel senso che moltissimi problemi (quelli più tipicamente no-vecenteschi) iniziarono a presentarsi dopo l’inizio ufficiale del XX secolo e trovarono con-clusione e risoluzione prima dell’anno 1999. Secondo Hobsbawm, il Novecento non iniziò prima del 1914. Al momento dello scop-pio della Prima guerra mondiale, le grandi potenze che scesero in campo erano le stessedel 1870: anzi, i veri protagonisti di gran parte del conflitto furono quattro sovrani ot-tocenteschi come il kaiser tedesco, lo zar russo, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppee il sultano turco. La guerra mondiale li avrebbe spazzati via tutti e quattro. Dunque, pare

corretto far iniziare il Novecento nel 1917-1918, allorché emersero in tutta la loro ra-dicalità le conseguenze della prima guer-ra mondiale, vera matrice del secolobreve. In particolare, dev’essere messo in ri-salto il ruolo della rivoluzione d’ottobre, cheprovocò un vero terremoto politico e ideo-logico in tutta l’Europa.Quanto alla fine, il Novecento può dirsi giàconcluso dieci anni prima della fine natu-rale del XX secolo, allorché, nel 1989-1990,si esaurisce proprio l’onda lunga della ri-voluzione leninista e il comunismo cessa diessere una forza storica vitale, cioè esauri-sce gran parte della sua funzione politica,legata com’era, indissolubilmente, alla po-tenza militare dell’Unione Sovietica.

L’approccio di Hobsbawm (ovviamente assai più raffinato e complesso di quanto abbia-mo ora esposto in maniera schematica) è per molti versi assai convincente. Tuttavia, mol-ti storici hanno giustamente segnalato che la maggior parte delle innovazioni tecnologi-che che segnarono l’economia del Novecento sia stata introdotta diversi anni prima del1914: e questo vale per l’energia elettrica, per l’impiego del petrolio, per il motore a scop-pio, per la radio... Sotto questo profilo, è altrettanto legittimo parlare di un Novecentolungo, che abbraccia come minimo l’intero ultimo decennio del XIX secolo, vero mo-mento di nascita della storia contemporanea (G. Barraclough). Nel medesimo tempo, al-

NOVECENTO...secolo breve

L’

La caduta dei regimicomunisti nei Paesidell’Europa orientale

(simboleggiata,nell’immagine,

dall’abbattimento delmuro di Berlino,avvenimento chestudieremo più

dettagliatamente inseguito) tra il 1989 e

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tri studiosi fanno notare che il concetto pro-posto da Hobsbawn non sottolinea inmodo sufficientemente forte la grande ce-sura verificatasi nel 1945: mentre in passato(fino al 1939) le grandi decisioni venneroprese nelle principali capitali europee (Vien-na, Berlino, Parigi, Londra), dopo la finedella seconda guerra mondiale gli Imperi co-loniali di Francia e Inghilterra si sgretola-rono. Dopo il 1945, le scelte decisive pas-sarono ormai nelle mani esclusive dei go-vernanti di Mosca e di Washington: per nonparlare della possibilità (assolutamente ine-dita) di una devastante guerra nucleare glo-bale... Se teniamo presente questi ultimi fat-tori, siamo di fronte a una specie di lun-ghissimo Ottocento (il tempo della centralità europea), conclusosi solo fra le maceriedi Berlino e di Hiroshima.Se la si vuole assumere, quella di secolo breve dev’essere dunque utilizzata come una cate-goria storiografica elastica, da impiegare in modo tutt’altro che rigido. È uno strumentointerpretativo, che ci aiuta a comprendere come, effettivamente, il 1917-1918 e il 1989-1990 siano stati due punti di svolta fondamentali nella storia dell’Europa e del mondo.D’altra parte, come ogni altro paradigma scientifico, anche quello di secolo breve può edeve essere falsificato, cioè integrato, corretto e completato da ulteriori ricerche e semprenuove osservazioni.

La caduta dei regimicomunisti nei Paesidell’Europaorientale(simboleggiata,nell’immagine,dall’abbattimentodel muro di Berlino,avvenimento chestudieremo piùdettagliatamente inseguito) tra il 1989 eil 1990 è l’eventoche segna laconclusione delNovecento per lostorico ingleseHobsbawm.

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Il 9 luglio 1917, il comandante delle truppe americane in Europa, John J. Pershing, inviò lettera alministro della Guerra degli Stati Uniti. Nel suo dispaccio, il generale si dichiarava molto preoccupato cir-ca le possibilità dell’esercito francese di reggere ancora il terribile peso della guerra di logoramento.

Signor Ministro,Sento il bisogno d’informarLa confidenzialmente sulla situazione generale francese

quale essa m’è apparsa al mio arrivo a Parigi, oggi. Qualche tempo prima del nostro arrivol’Esercito francese subì fieri colpi e il suo morale è sceso a un livello molto basso. Ne venneche tra la popolazione si fece strada lo scoramento, e critiche piuttosto severe comincia-rono a levarsi contro la direzione dell’Esercito. Il risultato di tutto questo fu che il generaleNivelle venne sostituito dalgenerale Pétain nella caricadi comandante in capo. Ildisagio nell’Esercito conti-nuò ad aumentare, proba-bilmente stimolato daglielementi socialisti senzadubbio influenzati dai so-cialisti tedeschi. È cosanota che parecchi casi diammutinamento si sonoverificati fra le truppe e chei caporioni sono stati giu-stiziati. Il numero delle fuci-lazioni varia, secondo levoci, da 30 a 120.Gli elementi socialisti

alla Camera dei Deputatihanno sottoposto l’Esercitoa critiche che sono valse adisorientare ancor più lapopolazione e ad aumen-tare il malcontento tra i sol-dati. In sostanza la Francia è stanchissima della guerra. La popolazione si lagna apertamentedella gravezza delle tasse, e protesta che la si spreme per arricchire i fornitori del Governoe gli alti funzionari dello Stato. I prezzi dei generi alimentari sono alti e il costo della vita op-prime fortemente il popolo. Il carbone costa da 80 a 90 dollari per tonnellata e la sua quan-tità è limitata. Le lagnanze che partono dalle famiglie influiscono sugli uomini sotto le armie l’efficienza combattiva della truppa può essere seriamente minacciata. Le autorità francesi mostrano di esserne gravemente impensierite: prova ne sia il fatto

che il generale Pétain la settimana scorsa mi fece chiedere un appuntamento in casa di uncomune amico per uno scambio di idee. in questo colloquio il generale Pétain mi disse fran-camente che le cose non andavano bene in Francia e che, se il Governo e il popolo non fian-cheggeranno l’Esercito, anziché minarne lo spirito con critiche e sentimenti fuori posto, nepotrà derivare qualche cosa di molto simile a una rivoluzione. E tale avvenimento – conti-nuò il generale – permetterebbe alla Germania di dettare essa i termini della pace in luogodegli Alleati. Egli, naturalmente, ammette che la nostra entrata in guerra ha infuso coraggioalla Nazione; ma, poiché non saremo in grado di recare un aiuto materiale prima della pros-sima primavera, è del parere che intanto possiamo esercitare una pressione esterna per tron-care gli intrighi politici fra le varie camarille [= gruppi di potere, contrapposti gli uni agli altri– n.d.r.] ed evitare una ulteriore perdita di fiducia tra la massa del popolo. [...]Secondo me l’Esercito, così come è oggi, può resistere fino a primavera contro ogni pos-

sibile sforzo del nemico; tuttavia la miseria e il malcontento, specie se su di essi soffierà lastampa socialista e se il Governo cesserà di sostenere l’Esercito, possono demoralizzarea tal punto la popolazione ed esercitare un’azione talmente perniciosa sulle truppe che essepotrebbero subire un collasso morale, al quale seguirebbe un inevitabile disastro. [...]Con alta stima personale e ossequi,

John J. Pershing (A. GIBELLI, La prima guerra mondiale, Loescher, Torino 1987, pp. 160-162)

Soldati dell’esercitofrancese in marcia.

Quali sono leprincipali ragioni deldisagio diffusosiall’internodell’esercitofrancese?

Quali strategiehanno adottato leautorità militari?

Quali sono leprincipali ragioni deldisagio diffusosiall’interno dellapopolazionefrancese?

Il malcontento delle truppe francesi

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Significato storico dell’intervento americanoL’8 gennaio 1918, il presidente americano Thomas Woodrow Wilson, in un messag-gio al Congresso, enunciò in 14 punti gli obiettivi politici che l’America si propone-va di ottenere dalla vittoria. In primo luogo, Wilson presentava gli Stati Uniti comei garanti della libera navigazione sui mari, che la guerra sottomarina tedesca aveva resoimpossibile, colpendo indiscriminatamente sia le imbarcazioni inglesi che i mercan-tili e i piroscafi (l’affondamento del transatlantico Lusitania, il 7 maggio 1915, com-portò la morte di 1198 persone, 128 delle quali erano cittadini americani) dei Paesineutrali.Inoltre, Wilson poneva il principio di nazionalità come criterio di soluzione di tuttii principali problemi politici europei: tradotto in pratica, ciò avrebbe significato la re-stituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, la nascita di uno Stato polacco indipendentee la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico. Per quanto riguardava la Russia, Wilson era consapevole del fatto che i lavoratori ditutte le nazioni del mondo guardavano al nuovo regime con simpatia, e pertanto simostrò, nel discorso dei 14 punti, estremamente conciliante. Il presidente, in effet-ti, non propose una specie di «crociata anticomunista», da condurre con ferma de-terminazione; al contrario, riteneva che alla Russia dovesse essere lasciata «l’occasio-ne opportuna di fissare, senza ostacoli né imbarazzi, in piena indipendenza, il suo svi-luppo politico e nazionale».Infine, nell’ultimo punto del suo programma, Wilson proponeva l’istituzione di unaSocietà Generale delle Nazioni, cioè di un organismo internazionale finalizzato a ga-rantire in futuro l’indipendenza politica e territoriali di tutti gli Stati. Sul piano storico, i 14 punti di Wilson segnano una svolta decisiva nel comportamento

Il presidente ThomasWoodrow Wilson, chefece uscire gli StatiUniti dal loroisolazionismo.Tuttavia Wilson, elettoper i democratici nel1913 e riconfermatonel 1916, non ottennedal Congresso il votofavorevoleall’ingresso nellaSocietà delle Nazioni.Il suo successore, ilrepubblicano Harding,riportò gli USA allapolitica isolazionistadel passato.

La copertina della«Domenica del Corriere»che illustral’affondamento deltransatlantico ingleseLusitania.

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degli Stati Uniti; fino ad allora, essi non erano mai intervenuti attivamente nelle vi-cende politiche e militari europee, se ne erano tenuti lontani, assumendo un atteg-giamento che, di solito, viene chiamato isolazionismo. L’intervento statunitense nel Primo conflitto mondiale ha interrotto questa tenden-za a restare isolati e in disparte; eppure va subito notato che, dopo la sconfitta dellaGermania, gli Stati Uniti persero ben presto interesse per le vicende europee, tant’èvero che, nel 1919, gli USA non entrarono a far parte della Società delle Nazioni, quan-do essa effettivamente venne istituita dalle potenze vincitrici. La Prima guerra mondiale fu vinta da Francesi e Inglesi solo con l’aiuto americano;questo intervento, tuttavia, non significò ancora il declino della centralità politica del-l’Europa e tanto meno una sua dipendenza militare post-bellica dagli Stati Uniti. Solodopo il 1945, cioè dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uni-ti avrebbero assunto, in Europa, un peso preponderante, in contrapposizione alla Rus-sia sovietica, l’altro grande Stato che, alla fine del primo conflitto, si ritirò dalla sce-na internazionale, a causa dei colossali problemi economici e sociali che dovette affrontaredopo la rivoluzione comunista.

Nel 1918, la macchina bellica americana fu seria-mente minacciata da un nemico molto più insidiosodei sottomarini tedeschi. In quell’anno, infatti, il mondointero fu flagellato da una terribile epidemia di in-fluenza, passata alla storia con il nome di spagnola.I primi segnali esplosero in primavera (febbraio-marzo); la malattia, a dire il vero, non toccò solo laSpagna né si può affermare che il contagio si diffusea partire da quel Paese. La Spagna, però, era unPaese neutrale: dunque i suoi giornali, non sottopo-sti a censura, potevano parlare liberamente di quellastrana febbre dei tre giorni che colpì anche il re Al-fonso XIII e che si segnalava per la sua estrema con-tagiosità.La situazione si normalizzò nei mesi seguenti. In

settembre, però, la malattia tornò a manifestarsi, inmodo assai più acuto e spesso mortale. Il decessonasceva in genere dalle complicanze polmonari, chela medicina del tempo, priva di antibiotici, non sapevaancora curare. Negli Stati Uniti, il primo importante fo-colaio divenne Boston; e poiché la spagnola, a diffe-renza delle consuete forme di influenza (che aggredi-scono in prevalenza i bambini e gli anziani), colpivasoprattutto i giovani adulti, le basi militari dell’esercitofurono paralizzate e decimate. Il 29 settembre 1918,un ufficiale medico di cui conosciamo solo il nome dibattesimo, Roy, scrisse a un amico una lettera terro-rizzata, che possiamo considerare uno dei primi gridid’allarme, di fronte alla gravità della faccenda: «CampDevens è vicino a Boston e accoglie 50 mila uomini,o li accoglieva prima che scoppiasse questa epide-mia. Ha colpito il campo quattro settimane fa e si èdiffusa così rapidamente che non solo qui tutti sonodemoralizzati, ma l’intero lavoro di routine è stato so-speso fino a tempi migliori. Tutte le adunate di soldatisono severamente vietate. […]. È orribile. Si può sop-portare di vedere uno, due, o anche venti uomini mo-rire, ma i nervi non ti reggono quando guardi questi

poveri diavoli venir falciati come mosche. In media re-gistriamo cento decessi al giorno, e la cifra continuaa salire».In ottobre, la spagnola aggredì Filadelfia; nel giro

di poche settimane, gli ammalati divennero centinaiadi migliaia in tutto il Paese: alla fine della crisi, le au-torità sanitarie stimarono che avesse contratto la ma-lattia oltre il 25% della popolazione e registrarono al-meno 500 000 morti. Nel solo 1918, si ammalaronoil 40% degli effettivi della marina e il 36% di quelli del-l’esercito degli Stati Uniti.Anche nei principali Paesi europei la spagnola

fece moltissime vittime, e anzi la situazione fu avolte aggravata dalla grave sottoalimentazione pro-vocata dalla guerra. Secondo le stime diffuse dalle au-torità sanitarie dei diversi Paesi, la mortalità si distri-buì nel modo seguente: Russia, 450 000; Italia, 350000; Inghilterra e Germania, 225 000 ciascuna; Spa-gna, 170 000; Francia, 166 000.Instancabile, il virus fece il giro dell’intero pianeta,

provocando dai 20 ai 100 milioni di morti (su un mi-liardo di contagiati).

La spagnola

Per combattere laspagnola furonoadottati moltistratagemmi, comequello, rivelatosi deltutto inefficace, dispruzzare uno sprayantinfluenzale sugliautobus e per le viedi Londra.

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CONDIZIONE DI POSSIBILITÀNel 1914, la Germania era la più grande potenzaindustriale d’Europa. Era capace di tener testa atutte le potenze del continente, alleate contro dilei, ma non all’unione delle forze della coalizionecontinentale con quelle degli Stati Uniti. Quindi,il ragionamento sull’eventuale possibilitàtedesca di vincere la guerra è sensato solo se lasvolta alternativa è ipotizzata prima dell’apriledel 1917. È vero che il crollo della Russia mise adisposizione dei comandanti tedeschi tutte ledivisioni fino ad allora impiegate sul fronteorientale; tuttavia, neppure questa importanteiniezione di forze permise alla Germania dichiudere la guerra. In vari settori, furono lanciateoffensive poderose, impensabili negli anniprecedenti: si ottennero dei successi importanti(come quello conseguente l’offensiva diCaporetto, sul fronte italiano) o soltantoapparenti (l’attacco in forze in Francia,nell’estate del 1918, venne infine respinto), main nessun caso decisivo. Dunque, la domandacorretta da porre è: vi fu un’opportunità che,prima del 1917, non venne sfruttata a dovere?Vi fu una strategia, tra quelle scartate, cheavrebbe potuto (forse) risultare vincente?Secondo alcuni studiosi, la carta giocata troppotardivamente fu la guerra sottomarina totale,che fu attuata nel 1917 e che, nei mesi centralidi quell’anno decisivo, rischiò seriamente dimettere in ginocchio l’economia bellica inglese.Nell’agosto 1916, il Reich aveva a disposizione111 sottomarini: SE avesse lanciato alloral’offensiva – con un anno di anticipo, eun’America ancora molto indietro nella suapreparazione bellica, FORSE la Germaniaavrebbe vinto la guerra.

SCENARIO ALTERMATIVO PLAUSIBILEI timori del cancelliere Theobald von Bethmann-Hollweg rinviarono questa decisione di un anno.Ma immaginiamo, per un istante, che cosasarebbe accaduto in Europa se l’Impero tedescoavesse trovato nel 1916 la strategia vincente efosse riuscita a obbligare i suoi avversari allaresa, da posizioni di forza. A occidente, èlegittimo pensare che la Germania avrebbeannesso il Belgio e si sarebbe impadronito delCongo, il vastissimo e ricchissimo possedimentocoloniale che re Leopoldo II si era costruito allafine del XIX secolo. L’Impero austro-ungarico,ovviamente, non si sarebbe disgregato, ma anzi– forse – si sarebbe ampliato nei Balcani, aspese della Serbia. Quanto alla Russia,possiamo affermare che l’espansione tedesca

sarebbe stata più o meno quella prevista dagliaccordi di Brest-Litovsk: Ucraina, Polonia ePaesi Baltici sarebbe passati sotto controlloeconomico e politico tedesco, con margini diautonomia amministrativa diversi, a secondadegli interessi germanici.Molto probabilmente, una Germania vittoriosaavrebbe poi tentato (come per altro fecero gliAlleati, a partire dal 1919) di spazzare via loStato sovietico, uscito dalla rivoluzioned’ottobre. Tutto sarebbe dipeso, naturalmente,dal momento in cui l’Impero tedesco fosseriuscito a imporre la pace; se l’armistizio fossescattato nella primavera del 1917, Lenin forsenon sarebbe mai rientrato in Russia (cosa che ineffetti fece nell’aprile 1917, grazie al consensotedesco) o non sarebbe neppure riuscito a farela rivoluzione. Niente Lenin al potere, ma neppure niente Hitler,che sarebbe rimasto un oscuro e sconosciutosoldato, in servizio a Monaco di Baviera. Unavittoria tedesca nel 1917, dunque, non avrebbeaperto alcuno scenario da incubo, e anziavrebbe evitato – forse – alcune tra le piùterribili tragedie del Novecento. È vero che ilReich era uno Stato semi-assoluto; ma èaltrettanto giusto precisare che ospitava il piùimportante Partito socialista d’Europa e che,quindi, col tempo avrebbe forse potuto evolversiin direzione di un parlamentarismo più maturo,simile a quello britannico. Del resto, non vadimenticato che in Germania già prima del 1914esisteva il suffragio universale maschile, mentrein Inghilterra esso fu introdotto solo dopo lavittoria, come riconoscimento dei sacrificisopportati dalle classi lavoratrici.

SLI ELEMENTI CHE ESCONO CONFERMATILa storia virtuale è un esercizio intellettuale, ungioco di ragionamento. Perché non sia priva diutilità, la controfattualità deve basarsi sui datireali. Sono sempre e solo essi, alla fine, quelliche contano. Porsi la domanda …e se laGermania avesse vinto la guerra? ci obbligainsomma a ribadire i seguenti elementi:- la guerra mondiale fu una guerra dilogoramento. Poteva essere vinta solo agendosulle strutture che si trovavano a monte delcampo di battaglia, cioè sulla produzioneindustriale e sulle condizioni di vita (lapossibilità di alimentarsi, in primo luogo) dellapopolazione civile. In Russia e in Germania, lemasse affamate obbligarono i propri governialla pace; l’Impero tedesco, al contrario, peruna ragione o per l’altra non riuscì mai a

Copertina della«Domenica delCorriere» cheraffigural’avvenimentodecisivo per le sortidella Prima guerramondiale, cioèl’ingresso nelconflitto degli StatiUniti a fianco diFrancia e Inghilterra.

“Vi fu unastrategia,tra quellescartate,che avrebbepotuto(forse)risultarevincente?”

E SE... la Germania avesse vinto la prima guerra mondiale?

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degli Stati Uniti; fino ad allora, essi non erano mai intervenuti attivamente nelle vi-cende politiche e militari europee, se ne erano tenuti lontani, assumendo un atteg-giamento che, di solito, viene chiamato isolazionismo. L’intervento statunitense nel Primo conflitto mondiale ha interrotto questa tenden-za a restare isolati e in disparte; eppure va subito notato che, dopo la sconfitta dellaGermania, gli Stati Uniti persero ben presto interesse per le vicende europee, tant’èvero che, nel 1919, gli USA non entrarono a far parte della Società delle Nazioni, quan-do essa effettivamente venne istituita dalle potenze vincitrici. La Prima guerra mondiale fu vinta da Francesi e Inglesi solo con l’aiuto americano;questo intervento, tuttavia, non significò ancora il declino della centralità politica del-l’Europa e tanto meno una sua dipendenza militare post-bellica dagli Stati Uniti. Solodopo il 1945, cioè dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uni-ti avrebbero assunto, in Europa, un peso preponderante, in contrapposizione alla Rus-sia sovietica, l’altro grande Stato che, alla fine del primo conflitto, si ritirò dalla sce-na internazionale, a causa dei colossali problemi economici e sociali che dovette affrontaredopo la rivoluzione comunista.

Nel 1918, la macchina bellica americana fu seria-mente minacciata da un nemico molto più insidiosodei sottomarini tedeschi. In quell’anno, infatti, il mondointero fu flagellato da una terribile epidemia di in-fluenza, passata alla storia con il nome di spagnola.I primi segnali esplosero in primavera (febbraio-marzo); la malattia, a dire il vero, non toccò solo laSpagna né si può affermare che il contagio si diffusea partire da quel Paese. La Spagna, però, era unPaese neutrale: dunque i suoi giornali, non sottopo-sti a censura, potevano parlare liberamente di quellastrana febbre dei tre giorni che colpì anche il re Al-fonso XIII e che si segnalava per la sua estrema con-tagiosità.La situazione si normalizzò nei mesi seguenti. In

settembre, però, la malattia tornò a manifestarsi, inmodo assai più acuto e spesso mortale. Il decessonasceva in genere dalle complicanze polmonari, chela medicina del tempo, priva di antibiotici, non sapevaancora curare. Negli Stati Uniti, il primo importante fo-colaio divenne Boston; e poiché la spagnola, a diffe-renza delle consuete forme di influenza (che aggredi-scono in prevalenza i bambini e gli anziani), colpivasoprattutto i giovani adulti, le basi militari dell’esercitofurono paralizzate e decimate. Il 29 settembre 1918,un ufficiale medico di cui conosciamo solo il nome dibattesimo, Roy, scrisse a un amico una lettera terro-rizzata, che possiamo considerare uno dei primi gridid’allarme, di fronte alla gravità della faccenda: «CampDevens è vicino a Boston e accoglie 50 mila uomini,o li accoglieva prima che scoppiasse questa epide-mia. Ha colpito il campo quattro settimane fa e si èdiffusa così rapidamente che non solo qui tutti sonodemoralizzati, ma l’intero lavoro di routine è stato so-speso fino a tempi migliori. Tutte le adunate di soldatisono severamente vietate. […]. È orribile. Si può sop-portare di vedere uno, due, o anche venti uomini mo-rire, ma i nervi non ti reggono quando guardi questi

poveri diavoli venir falciati come mosche. In media re-gistriamo cento decessi al giorno, e la cifra continuaa salire».In ottobre, la spagnola aggredì Filadelfia; nel giro

di poche settimane, gli ammalati divennero centinaiadi migliaia in tutto il Paese: alla fine della crisi, le au-torità sanitarie stimarono che avesse contratto la ma-lattia oltre il 25% della popolazione e registrarono al-meno 500 000 morti. Nel solo 1918, si ammalaronoil 40% degli effettivi della marina e il 36% di quelli del-l’esercito degli Stati Uniti.Anche nei principali Paesi europei la spagnola

fece moltissime vittime, e anzi la situazione fu avolte aggravata dalla grave sottoalimentazione pro-vocata dalla guerra. Secondo le stime diffuse dalle au-torità sanitarie dei diversi Paesi, la mortalità si distri-buì nel modo seguente: Russia, 450 000; Italia, 350000; Inghilterra e Germania, 225 000 ciascuna; Spa-gna, 170 000; Francia, 166 000.Instancabile, il virus fece il giro dell’intero pianeta,

provocando dai 20 ai 100 milioni di morti (su un mi-liardo di contagiati).

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Per combattere laspagnola furonoadottati moltistratagemmi, comequello, rivelatosi deltutto inefficace, dispruzzare uno sprayantinfluenzale sugliautobus e per le viedi Londra.

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CONDIZIONE DI POSSIBILITÀNel 1914, la Germania era la più grande potenzaindustriale d’Europa. Era capace di tener testa atutte le potenze del continente, alleate contro dilei, ma non all’unione delle forze della coalizionecontinentale con quelle degli Stati Uniti. Quindi,il ragionamento sull’eventuale possibilitàtedesca di vincere la guerra è sensato solo se lasvolta alternativa è ipotizzata prima dell’apriledel 1917. È vero che il crollo della Russia mise adisposizione dei comandanti tedeschi tutte ledivisioni fino ad allora impiegate sul fronteorientale; tuttavia, neppure questa importanteiniezione di forze permise alla Germania dichiudere la guerra. In vari settori, furono lanciateoffensive poderose, impensabili negli anniprecedenti: si ottennero dei successi importanti(come quello conseguente l’offensiva diCaporetto, sul fronte italiano) o soltantoapparenti (l’attacco in forze in Francia,nell’estate del 1918, venne infine respinto), main nessun caso decisivo. Dunque, la domandacorretta da porre è: vi fu un’opportunità che,prima del 1917, non venne sfruttata a dovere?Vi fu una strategia, tra quelle scartate, cheavrebbe potuto (forse) risultare vincente?Secondo alcuni studiosi, la carta giocata troppotardivamente fu la guerra sottomarina totale,che fu attuata nel 1917 e che, nei mesi centralidi quell’anno decisivo, rischiò seriamente dimettere in ginocchio l’economia bellica inglese.Nell’agosto 1916, il Reich aveva a disposizione111 sottomarini: SE avesse lanciato alloral’offensiva – con un anno di anticipo, eun’America ancora molto indietro nella suapreparazione bellica, FORSE la Germaniaavrebbe vinto la guerra.

SCENARIO ALTERMATIVO PLAUSIBILEI timori del cancelliere Theobald von Bethmann-Hollweg rinviarono questa decisione di un anno.Ma immaginiamo, per un istante, che cosasarebbe accaduto in Europa se l’Impero tedescoavesse trovato nel 1916 la strategia vincente efosse riuscita a obbligare i suoi avversari allaresa, da posizioni di forza. A occidente, èlegittimo pensare che la Germania avrebbeannesso il Belgio e si sarebbe impadronito delCongo, il vastissimo e ricchissimo possedimentocoloniale che re Leopoldo II si era costruito allafine del XIX secolo. L’Impero austro-ungarico,ovviamente, non si sarebbe disgregato, ma anzi– forse – si sarebbe ampliato nei Balcani, aspese della Serbia. Quanto alla Russia,possiamo affermare che l’espansione tedesca

sarebbe stata più o meno quella prevista dagliaccordi di Brest-Litovsk: Ucraina, Polonia ePaesi Baltici sarebbe passati sotto controlloeconomico e politico tedesco, con margini diautonomia amministrativa diversi, a secondadegli interessi germanici.Molto probabilmente, una Germania vittoriosaavrebbe poi tentato (come per altro fecero gliAlleati, a partire dal 1919) di spazzare via loStato sovietico, uscito dalla rivoluzioned’ottobre. Tutto sarebbe dipeso, naturalmente,dal momento in cui l’Impero tedesco fosseriuscito a imporre la pace; se l’armistizio fossescattato nella primavera del 1917, Lenin forsenon sarebbe mai rientrato in Russia (cosa che ineffetti fece nell’aprile 1917, grazie al consensotedesco) o non sarebbe neppure riuscito a farela rivoluzione. Niente Lenin al potere, ma neppure niente Hitler,che sarebbe rimasto un oscuro e sconosciutosoldato, in servizio a Monaco di Baviera. Unavittoria tedesca nel 1917, dunque, non avrebbeaperto alcuno scenario da incubo, e anziavrebbe evitato – forse – alcune tra le piùterribili tragedie del Novecento. È vero che ilReich era uno Stato semi-assoluto; ma èaltrettanto giusto precisare che ospitava il piùimportante Partito socialista d’Europa e che,quindi, col tempo avrebbe forse potuto evolversiin direzione di un parlamentarismo più maturo,simile a quello britannico. Del resto, non vadimenticato che in Germania già prima del 1914esisteva il suffragio universale maschile, mentrein Inghilterra esso fu introdotto solo dopo lavittoria, come riconoscimento dei sacrificisopportati dalle classi lavoratrici.

SLI ELEMENTI CHE ESCONO CONFERMATILa storia virtuale è un esercizio intellettuale, ungioco di ragionamento. Perché non sia priva diutilità, la controfattualità deve basarsi sui datireali. Sono sempre e solo essi, alla fine, quelliche contano. Porsi la domanda …e se laGermania avesse vinto la guerra? ci obbligainsomma a ribadire i seguenti elementi:- la guerra mondiale fu una guerra dilogoramento. Poteva essere vinta solo agendosulle strutture che si trovavano a monte delcampo di battaglia, cioè sulla produzioneindustriale e sulle condizioni di vita (lapossibilità di alimentarsi, in primo luogo) dellapopolazione civile. In Russia e in Germania, lemasse affamate obbligarono i propri governialla pace; l’Impero tedesco, al contrario, peruna ragione o per l’altra non riuscì mai a

Copertina della«Domenica delCorriere» cheraffigural’avvenimentodecisivo per le sortidella Prima guerramondiale, cioèl’ingresso nelconflitto degli StatiUniti a fianco diFrancia e Inghilterra.

“Vi fu unastrategia,tra quellescartate,che avrebbepotuto(forse)risultarevincente?”

E SE... la Germania avesse vinto la prima guerra mondiale?

RIFLESSIONI

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La svolta ideologica epolitica di Mussolini nel 1918

Nell’ultimo anno di guerra, Mussolini completò il processodi mutamento ideologico avviato dalla decisione di aderire alloschieramento interventista, nel 1915. L’abbandono del sociali-smo si fece sempre più chiaro; la ricerca di una personale li-nea politica alternativa, invece, fu più complessa e confusa, neltentativo di fondere idee di matrice nazionalista con altre po-sizioni, più disponibili a recepire le esigenze dei ceti popolari.

[Nell’ultimo anno di guerra] si colloca il voltafaccia piùclamoroso di Mussolini, il suo superamento del sociali-smo. Il primo chiaro accenno a questo superamento erastato fatto da Mussolini in un articolo del 15 dicembre1917, intitolato sintomaticamente Trincerocrazia. I trin-ceristi – aveva scritto – sono l’aristocrazia di domani: «Imiopi e gli idioti non la vedono. Eppure, questa aristo-crazia muove già i primi passi. Rivendica già la suaparte di mondo. Delinea già con sufficiente precisione isuoi tentativi di presa di possesso delle posizioni so-ciali… L’Italia va verso due grandi partiti: quelli che cisono stati e quelli che non ci sono stati; quelli chehanno combattuto e quelli che non hanno combattuto;quelli che hanno lavorato e i parassiti... I partiti vecchi,gli uomini vecchi che si accingono, come se nientefosse, all’exploitation [= gestione – n.d.r.] dell’Italia po-litica di domani saranno travolti. La musica di domaniavrà un altro tempo… È questa previsione che ci con-duce a guardare con un certo dispregio tutto ciò che sidice e si fa dagli otri vecchi, ripieni di presunzione, di sa-cre formule e di imbecillità senile».

Da questa constatazione egli aveva, come diceva inquello stesso articolo, ricavato la convinzione che i ter-mini di repubblica, di democrazia, di radicalismo, di li-beralismo e perfino di socialismo non avevano piùsenso: «Ne avranno uno domani, ma sarà quello che da-ranno loro i milioni di ritornati. E potrà essere tutt’altracosa… Potrà essere un socialismo anti-marxista, adesempio, e nazionale. I milioni di lavoratori che torne-ranno al solco dei campi, dopo essere stati nei solchidelle trincee, realizzeranno la sintesi dell’antitesi: classee nazione». A questa prima presa di posizione erano se-guite, durante le settimane successive, varie altre, più omeno esplicite, ma tutte nello stesso senso e via viasempre più caratterizzate nel senso di un produttivismo,attraverso il quale il proletariato doveva qualificarsi qua-litativamente e cooperare ad una nuova organizzazionedello Stato per assicurare il maggior benessere indivi-duale e collettivo. […]

Solo dopo aver preparato tutte le sue pedine, il 1°agosto [1918 – n.d.r.] Mussolini si sentì pronto a riassu-mere i fili del discorso che, come abbiamo visto, era ve-nuto svolgendo dalla metà del dicembre 1917 in poi, e atrarne le conseguenze. Il 1° agosto dalla testata del Po-

polo d’Italia scomparve il sottotitolo quotidiano socialistae al suo posto comparve quello di quotidiano dei com-battenti e dei produttori. Nello stesso numero, un brevefondo di Mussolini (Novità…) spiegava le ragioni del cam-biamento: «Oggi, dopo quattro anni, dalla testata di que-sto giornale scompare il sottotitolo di socialista. Un altrolo sostituisce che mi piace di più e che i lettori – io credo– apprezzeranno di più. D’ora innanzi questo giornalesarà il giornale dei combattenti e dei produttori… Quel so-cialista che figurava in testa del giornale aveva senso nel1914 e voleva dire che nel 1914 si poteva essere socia-listi – nel vecchio senso della parola – e nello stessotempo favorevoli alla guerra. Ma in seguito la parola so-cialista era diventata anacronistica. Non mi diceva piùniente. Offriva, anzi, tutti gli inconvenienti della possibileconfusione cogli altri… […] Combattenti e produttori. Mipropongo di sostenere i diritti e gli interessi degli uni e de-gli altri. Combattenti e produttori, il che è fondamental-mente diverso dal dire operai e soldati. Non tutti i soldatisono combattenti e non tutti i combattenti sono soldati.I combattenti vanno da Diaz all’ultimo fantaccino [= sol-dato semplice di fanteria – n.d.r.]. Produttori, cioè quelli

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che producono, che lavorano, ma non soltanto collebraccia… Difendere i produttori vuol dire combattere i pa-rassiti. I parassiti del sangue, fra i quali tengono il postoin prima fila i socialisti, e i parassiti del lavoro che possonoessere borghesi e socialisti… Difendere i produttori si-gnifica permettere alla borghesia di compiere la sua fun-zione storica – ci sono ancora due continenti quasi intattiche attendono di essere travolti nel turbine della civiltàmoderna capitalistica – e significa anche agevolare aglioperai il conseguimento del maggior benessere per ilmaggior numero e lo sviluppo di quelle capacità chepossono a un dato momento sprigionare dalla massa la-voratrice le nuove aristocrazie dirigenti delle nazioni. Nelsindacalismo operaio, quando sia rimasto immune dal-l’infezione del socialismo politico, nel sindacalismo checombatte e lavora, c’è un elemento e una ragione pro-fonda di vita». […]

[Il 18 agosto 1918, Mussolini] si accinse a spiegarechi fossero per lui i produttori e perché egli guardasseora ad essi e non più solo al proletariato. I produttori,scrisse in questa occasione, «non sono tutti necessa-riamente borghesi, non sono tutti necessariamente pro-letari». L’ingegnere, il meccanico, l’operaio – spiegò –sono tutti produttori. Tra i produttori esistono delle ge-rarchie, frutto dell’esperienza, dello studio, delle re-sponsabilità, che devono essere rispettate; tra essi nonesistono però dissidi: «C’è tra di loro una necessaria elogica divisione del lavoro. Si completano a vicenda».Per il momento il contrasto non poteva essere che coni parassiti, poiché tutti i produttori avevano in comunel’interesse di portare al massimo le loro capacità pro-duttive. […] «L’essenziale è produrre. Questo è il co-minciamento. In una nazione ad economia passiva, bi-sogna esaltare i produttori, quelli che lavorano, quelli checostruiscono, quelli che aumentano la ricchezza e quindiil benessere generale. Produrre, produrre con metodo,con diligenza, con pazienza, con passione, con esa-sperazione è soprattutto nell’interesse dei cosiddettiproletari. Solo quando la quantità dei beni in circolazionesia ingente, può toccare alla sterminata massa dei pro-letari una quota parte discreta».

(R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920,einaudi, Torino1965, pp. 403-407)

Quali sono i due grandi partiti che Mussolini prevede peril dopoguerra?Quale eloquente segnale, nell’estate 1918, mette inevidenza il distacco di Mussolini dal socialismo?Su quale terreno borghesia e proletariato potevanotrovare un accordo e scoprire interessi comuni?

I socialisti italiani e lavittoria del fascismo

Il trionfo del fascismo fu determinato da una serie di fattoriche si rafforzarono a vicenda. Al primo posto dobbiamo ricor-dare la disponibilità delle autorità e delle forze dell’ordine a tol-lerare le violenze degli squadristi, nei confronti dei sovversivirossi. I socialisti, da parte loro, commisero numerosi errori: so-prattutto, nel 1921-1922, non seppero opporre un fronte comune,all’offensiva fascista, decisa a spazzarli via con metodi milita-

ri e violenti.

Il movimento socialista si arrese quasi senza com-battere. Ogni tanto qualche squadrista veniva aggredito,provocando sanguinose rappresaglie, ma gli appelli co-munisti alla violenza in risposta alla violenza caddero nelvuoto. Le vittime delle squadre non erano, per la mag-gior parte, bolscevichi rivoluzionari, ma pacifici riformi-sti, con una visione municipale delle cose, che non sirendevano conto di che cosa stesse loro accadendo.«Restate nelle vostre case; non rispondete alle provo-cazioni. Anche il silenzio, anche la viltà sono talvoltaeroici», era il consiglio di uno dei loro dirigenti, GiacomoMatteotti. I socialisti avevano parlato per anni di rivolu-zione, ma quando si trovarono di fronte ad avversari cheagivano invece di parlare si dimostrarono impreparati eimpotenti: come disse Turati, era «una rivoluzione disangue contro una rivoluzione di parole». L’ambizione dimolti socialisti, particolarmente in Emilia, era stata di «co-struire il socialismo in una sola provincia» (A. Tasca), maora appariva evidente che «lo stato socialista entro lostato» era costruito sulla sabbia.

L’impotenza al livello locale fu enormemente aggra-vata dai crescenti contrasti in seno al partito. Dopo averaderito nell’ottobre 1919 alla Terza Internazionale, il Par-tito socialista si trovò di fronte ai 21 punti con cui Leninfissava le condizioni per continuare a far parte dell’In-ternazionale: i più duri da inghiottire erano l’articolo 17,che esigeva l’assunzione da parte del partito del nomedi comunista, e l’articolo 7, che chiedeva l’espulsioneimmediata dei riformisti, complici della borghesia, e ci-tava esplicitamente Turati e Modigliani tra gli oppurtini-sti notori. Su questo, persino i massimalisti più entusia-sti erano poco disposti ad obbedire a Mosca: Serrati,per esempio, che era direttore dell’Avanti!, provava unsenso di solidarietà nazionale persino con un socialde-mocratico impenitente come Turati, e tentò di far com-prendere a Lenin la differenza esistente fra l’Italia e laRussia. Ma molti erano favorevoli ad una accettazionesenza riserve delle condizioni dell’Internazionale e traquesti erano Bordiga, Gramsci e la Federazione giova-nile socialista. Nel settembre del 1920, la direzione delpartito accettò i 21 punti con 7 voti contro 5, ma decisedi deferire il problema delle espulsioni a un congressostraordinario, che si riunì a Livorno nel gennaio 1921. Fudiscusso un solo problema: l’unità del partito. I due de-legati dell’Internazionale, l’ungherese Rákosi e il bul-garo Kabakciev, misero in ridicolo l’idea stessa del-l’unità, «unità tra comunisti e nemici del comunismo»,mentre Serrati la difese. Due terzi dei delegati votaronoper l’accettazione con riserva dei 21 punti: un terzovotò per l’accettazione incondizionata, e quindi abban-donò il congresso e fondò il Partito comunista italiano.Bordiga ne divenne il primo segretario, e l’Ordine nuovodi Gramsci ne fu il primo quotidiano. Il punto fonda-mentale del programma del nuovo partito era l’ostilità in-transigente alla socialdemocrazia, considerata il nemicoprincipale. […]

Questi contrasti interni, tanto estranei alla specificacrisi italiana, demoralizzarono il movimento operaio pro-prio nel momento in cui le forze reazionarie stavano ac-quistando una forza schiacciante. Mussolina affermòsempre che il fascismo, nel 1919-20, aveva salvato

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l’Italia dal bolscevismo, e negli anni seguenti questavanteria divenne uno dei temi favoriti della propagandafascista: in realtà, il contributo fascista alla sconfittadella rivoluzione fu marginale. Il movimento fascista si af-fermò soltanto quando il bolscevismo era ormai in pienodeclino e incapace di condurre un’azione rivoluzionaria.All’epoca, lo stesso Mussolini, del resto, lo aveva rico-nosciuto, e infatti nel dicembre del 1920 aveva parlatodel «bolscevismo italiano, che rantola ormai per terra,colpito a morte» e del profondo cambiamento psicolo-gico intervenuto nella classe operaia dopo l’occupazionedelle fabbriche. Nel luglio del ’21 scrisse ancora: «Direche un pericolo bolscevico esiste ancora in Italia signi-fica scambiare per realtà certe ambigue paure. Il bol-scevismo è vinto». Ma in politica la paura è spesso piùpotente della realtà: il fascismo continuò a prosperaresulla paura del bolscevismo anche molti anni dopo cheil pericolo era scomparso.

Il movimento fascista non avrebbe potuto espandersitanto rapidamente senza avere almeno la tolleranzadelle autorità statali. Molti prefetti, commissari di poliziae comandanti militari non si limitavano alla tolleranza:nella Venezia Giulia le squadre fasciste avevano quasiuna posizione ufficiale, e altrove, particolarmente in To-scana, erano rifornite di autocarri e di armi; molti ufficialiin servizio si iscrissero ai Fasci con l’autorizzazione deisuperiori; a volte soldati e carabinieri scortavano lesquadre nelle loro spedizioni punitive, completamentearmati e in uniforme. Poliziotti e funzionari dello stato, in-

sofferenti dei lunghi anni di sottomissione forzata i capisocialisti locali, non nascosero il loro compiacimento peril rovesciamento della situazione. […] Per i prefetti erasempre più difficile ottenere obbedienza ai loro ordini:poliziotti e ufficiali dell’esercito rifiutavano di considerareil fascismo un’organizzazione sovversiva e ne giustifi-cavano l’illegalismo e le violenze con gli scopi patriotticiche esso si proponeva.

Lo stesso Giolitti, del resto, condivideva in partequesto atteggiamento: egli non drammatizzava gli ec-cessi fascisti più di quanto avesse fatto a proposito de-gli eccessi socialisti del 1910-11, convinto che essiavrebbero potuto essere eliminati con i suoi vecchi me-todi di governo. Come quasi tutti i dirigenti liberali, moltidei quali assai più giovani di lui, egli non comprese chela violenza costituiva l’essenza stessa del fascismo, nési rese conto che il movimento fascista già mirava a di-struggere lo stato liberale. Il suo atteggiamento tolleranteverso il fascismo non aveva una base ideologica, ma erapiuttosto «come di padre verso il figlio scapestrato»: eraconvinto di poter tenere a bada il fascismo, che il tempoe il logorio avrebbero spostato su posizioni più mode-rate; una volta addomesticati, portati in parlamento eforse a condividere le responsabilità del potere, i fasci-sti avrebbero potuto diventare alleati utili nella battagliaper la restaurazione della normalità. Gli eventi si incari-carono ben presto di dimostrare che questo fu un fataleerrore di calcolo.

(c. SeTON-WATSON, L'Italia dal liberalismo al fascismo1870-1925, laterza, Bari

1973, pp. 656-658.Traduzione di l. Trevisani)

È corretto affermare che lamaggior parte delle vittimedello squadrismo furonobolscevichi rivoluzionari ?

Spiega l’affermazionesecondo cui il contributofascista alla sconfitta dellarivoluzione fu marginale.

Che atteggiamento tennerole autorità e le forzedell’ordine, nei confrontidello squadrismo?

Congresso nazionaledella federazione giovanilesocialista, fotografiadel 1919.

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La svolta ideologica epolitica di Mussolini nel 1918

Nell’ultimo anno di guerra, Mussolini completò il processodi mutamento ideologico avviato dalla decisione di aderire alloschieramento interventista, nel 1915. L’abbandono del sociali-smo si fece sempre più chiaro; la ricerca di una personale li-nea politica alternativa, invece, fu più complessa e confusa, neltentativo di fondere idee di matrice nazionalista con altre po-sizioni, più disponibili a rece-pire le esigenze dei ceti po-polari.

[Nell’ultimo anno diguerra] si colloca il volta-faccia più clamoroso diMussolini, il suo supera-mento del socialismo. Ilprimo chiaro accenno aquesto superamento erastato fatto da Mussolini inun articolo del 15 dicem-bre 1917, intitolato sinto-maticamente Trincerocra-zia. I trinceristi – avevascritto – sono l’aristocra-zia di domani: «I miopi egli idioti non la vedono.Eppure, questa aristocra-zia muove già i primipassi. Rivendica già lasua parte di mondo. Deli-nea già con sufficienteprecisione i suoi tentatividi presa di possesso delleposizioni sociali… L’Italiava verso due grandi par-titi: quelli che ci sono statie quelli che non ci sonostati; quelli che hannocombattuto e quelli chenon hanno combattuto;quelli che hanno lavoratoe i parassiti... I partiti vec-chi, gli uomini vecchi chesi accingono, come se niente fosse, all’exploitation [=gestione – n.d.r.] dell’Italia politica di domani saranno tra-volti. La musica di domani avrà un altro tempo… Èquesta previsione che ci conduce a guardare con uncerto dispregio tutto ciò che si dice e si fa dagli otri vec-chi, ripieni di presunzione, di sacre formule e di imbe-cillità senile».

Da questa constatazione egli aveva, come diceva inquello stesso articolo, ricavato la convinzione che i ter-mini di repubblica, di democrazia, di radicalismo, di li-

beralismo e perfino di socialismo non avevano piùsenso: «Ne avranno uno domani, ma sarà quello che da-ranno loro i milioni di ritornati. E potrà essere tutt’altracosa… Potrà essere un socialismo anti-marxista, adesempio, e nazionale. I milioni di lavoratori che torne-ranno al solco dei campi, dopo essere stati nei solchidelle trincee, realizzeranno la sintesi dell’antitesi: classee nazione». A questa prima presa di posizione erano se-guite, durante le settimane successive, varie altre, più omeno esplicite, ma tutte nello stesso senso e via via

sempre più caratterizzatenel senso di un produttivi-smo, attraverso il quale ilproletariato doveva quali-ficarsi qualitativamente ecooperare ad una nuovaorganizzazione delloStato per assicurare ilmaggior benessere indi-viduale e collettivo. […]

Solo dopo aver pre-parato tutte le sue pedine,il 1° agosto [1918 – n.d.r.]Mussolini si sentì pronto ariassumere i fili del di-scorso che, come ab-biamo visto, era venutosvolgendo dalla metà deldicembre 1917 in poi, e atrarne le conseguenze. Il1° agosto dalla testata delPopolo d’Italia scomparveil sottotitolo quotidianosocialista e al suo postocomparve quello di quoti-diano dei combattenti edei produttori. Nellostesso numero, un brevefondo di Mussolini (No-vità…) spiegava le ragionidel cambiamento: «Oggi,dopo quattro anni, dallatestata di questo giornalescompare il sottotitolo disocialista. Un altro lo so-stituisce che mi piace di

più e che i lettori – io credo – apprezzeranno di più. D’orainnanzi questo giornale sarà il giornale dei combattentie dei produttori… Quel socialista che figurava in testa delgiornale aveva senso nel 1914 e voleva dire che nel1914 si poteva essere socialisti – nel vecchio senso dellaparola – e nello stesso tempo favorevoli alla guerra. Main seguito la parola socialista era diventata anacronistica.Non mi diceva più niente. Offriva, anzi, tutti gli inconve-nienti della possibile confusione cogli altri… […] Com-battenti e produttori. Mi propongo di sostenere i diritti e

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Il fascismo e la tradizione reazionariail iV congresso dell’internazionale comunista si tenne a Mosca nel novembre 1922, pocotempo dopo il successo della marcia su Roma. lenin conosceva poco la realtà italiana;pertanto, in quella sede, seppe dire solo che il fascismo italiano assomigliava al movimentorusso delle Centurie nere. Nata nel 1905, tale associazione aveva difeso a oltranza sia l’au-tocrazia, sia l’ortodossia russa, e la sua azione era stata dettata da motivazioni fortemen-

te religiose.Ricondurre il fascismo a questo tipo di mentalità, significava ri-sospingerlo nell’Ancien Régime, considerarlo un movimento di purareazione, senza riconoscergli alcun elemento di modernità. Que-sto modo di concepire il fascismo è stato recepito anche da vari sto-rici, non necessariamente marxisti, che di volta in volta hanno pro-posto charles Maurras o Joseph De Mastre come padri o precur-sori del movimento mussoliniano.De Mastre era un conte originario della Savoia, contemporaneo diNapoleone; nelle sue opere, si scagliò con estrema violenza con-tro l’illuminismo, la Rivoluzione francese e i principi del 1789. Maur-ras, invece, diede vita all’inizio del Novecento, in Francia, all’Ac-tion Française, un movimento che, inizialmente, era fortemente le-gato al mondo cattolico francese (solo nel 1926 il Vaticano vietòai cattolici di continuare a militare nel partito di Maurras). Pole-mica contro la repubblica laica e democratica, l’Action Française pro-poneva un ritorno alla monarchia assoluta e a una società cristia-na, gerarchicamente ordinata, che privasse di ogni possibilità di azio-ne e di espressione i socialisti e gli altri avversari della nazione.Sebbene tutti questi soggetti politici manifestino qualche punto incomune con il fascismo, e soprattutto abbiano combattuto con-tro i loro avversari con un impeto e una passione che assomiglia-no molto alla radicalità con cui Mussolini e i suoi seguaci si sca-gliarono contro le organizzazioni socialiste in periferia, e lo Statoliberale a livello centrale, in realtà gli elementi di diversità non sono

meno significativi. in particolare, va ricordato che, a differenza delle Centurie nere, di DeMastre e di Maurras, Mussolini non voleva salvare o difendere una società cristiana, gui-data da un sovrano che regnasse in nome di Dio. il fascismo cercò l’alleanza della chie-sa cattolica, ma si concepì – in ultima analisi – come movimento laico: o, semmai, comereligione politica alternativa al cristianesimo, concorrenziale rispetto a esso nella gui-da e nell’educazione delle masse, destinato a sostituirlo e a prenderne il posto quanto avalori e principi etici. All’inizio degli anni Trenta, Mussolini stesso, nella voce Dottrinadel fascismo, pubblicata nell’Enciclopedia Italiana, respinse il confronto con i pensatori rea-zionari: «le negazioni fasciste del socialismo, della democrazia, del liberalismo, non de-vono tuttavia far credere che il fascismo voglia respingere il mondo a quello che esso eraprima di quel 1789, che viene indicato come l’anno di apertura del secolo demo-libera-le. Non si torna indietro. la dottrina fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre».il terreno è un po’ più solido se prendiamo in considerazione l’influenza di Friedrich Nietz-sche. in questo caso, sappiamo infatti per certo che Mussolini ne lesse con molto inte-

Le origini dell’ideologiafascista

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Il filosofo tedescoFriedrich WilhelmNietzsche, di cuiMussolini fu unattento lettore.

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resse le opere principali, e che – nel 1908 – dedicò un lungo saggio proprio al pensierodel filosofo tedesco. Mentre la maggior parte dei socialisti guardava a Nietzsche con diffi-denza, per il suo provocatorio e aristocratico disprezzo dei deboli e dei mediocri, Mus-solini guardò al superuomo come a un simbolo del radicale rinnovamento di cui ave-vano bisogno la cultura e la società europee. inoltre, di Nietzsche, Mussolini assorbìl’esortazione appassionata a essere sempre in tensione verso il nuovo, verso qualcosa di piùalto. insomma, al giovane socialista dei primi anni del Novecento il messaggio di Nietz-sche infuse soprattutto un’ulteriore dose di estremismo, di desiderio di azione e di con-vinzione che – grazie all’azione stessa – fosse possibile raggiungere in tempi rapidi queirisultati rivoluzionari che i riformisti e gli altri socialisti proiettavano lontano, senza al-cuna prospettiva immediata.

Fiume: la festa della rivoluzioneL’avventura di D’Annunzio a Fiume viene giustamente ricordata, di solito, come il laboratorio in cui

furono sperimentate numerose tecniche e strategie di comunicazione tra il Capo e le masse, più tardiriprese dal fascismo. A Fiume, tuttavia, arrivarono anche moltissimi individui eccentrici, ciascuno deiquali voleva vivere in modo artistico e irripetibile, rifiutando gli schemi borghesi. Alla base di questi com-portamenti stava il superuomo di Friedrich Nietzsche, che in questo caso, tuttavia, non fu piegato in di-rezione razzista o violenta, ma letto come figura trasgressiva e libertaria, come simbolo di indipendenzaspirituale assoluta.

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Il disprezzo per il sistemaparlamentare

Nella cultura italiana dei primi del Novecento, numerosi intellettuali guar-davano con disgusto al parlamentarismo, accusato di essere solo uno stru-mento fasullo, che permetteva a un gruppo di potenti di controllare lo Statoe la società. Il passo seguente è tratto da Freghiamoci della politica, pubblicatoda Giovanni Papini nel 1913, sulla rivista Lacerba.

Il deputato compra i voti dei suoi elettori o a contanti o con pic-coli favori personali o con grossi favori locali a paesi, a società, aclassi; il ministro compra i voti dei deputati concedendo a questi imezzi necessari per comprare gli elettori (croci, impieghi, lavoripubblici ecc.) o con favori diretti; gli affaristi comprano i voti dei de-putati cointeressandoli nei loro affari o dando loro qualche canoni-cato segreto; comprano i pareri dei ministri minacciandoli di rap-presaglie o promettendo benefizi; comprano i cervelli della genteminuta dando loro per un soldo otto pagine di politica, di tele-grammi, di opinioni, di letteratura, d’incisioni e di varietà. Gli alti po-teri già nominativi (e che spesso stringono accordi col potere mas-simo di cui tutti hanno bisogno) si servono degli stessi mezzi,cosicché la famosa democrazia si riduce unicamente ai discorsi chesi fanno nei comizi, nei consigli comunali, nei giornali, a Montecito-rio, i quali cambiano ben poco la reale essenza delle cose – cioè ilfatto di una nazione di lavoratori e di consumatori spadroneggiatada poche centinaia di ricchi astuti e attivi e da qualche migliaio dichiacchieroni loro dipendenti.

(M. iSNeNghi, Il mito della grande guerra. Da Marinetti a Malaparte,laterza, Bari 1970, p. 85)

Una seduta del Senato durante ilgoverno Giolitti.

Riferimentistoriografici

Perché la democrazia è chiamata famosa?

Quale soluzione di fatto poteva essere proposta,sulla base della feroce analisi di Papini?

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PERCORSI DI STORIA LOCALE

Lo sciopero dei braccianti e i fatti di BolognaNell’estate del 1920, un lungo e durissimo sciopero agrario paralizzò le campagne dell’emiliaRomagna. la posta in gioco era il rinnovo dei patti agrari, tra proprietari terrieri, da unaparte, braccianti e mezzadri dall’altro. in emilia Romagna, l’organizzazione sindacale so-cialista Federterra, cui aderivano soprattutto i braccianti e i mezzadri più poveri, era unastruttura potentissima, cosicché lo scontro con i proprietari divenne frontale. già in apri-le, a Decima di Persiceto, si erano verificati duri scontri tra braccianti e contadini, conotto morti sul campo; altri tre morti si ebbero a Portonovo di Medicina, in agosto, tracrumiri e scioperanti. A quell’epoca, i lavoratori in sciopero stavano lasciando marcire in-teri raccolti nei campi, oppure raccoglievano solo la parte che spettava ai contadini, men-tre abbandonavano al suo destino la parte padronale. Andarono persi un terzo della pro-duzione di fieno, un quarto di quella dell’uva e un quinto di quella del grano. Alla fined’ottobre, i proprietari cedettero e accettarono gran parte delle richieste della Federterra,in tema di mercato del lavoro (quantitativo minimo di braccianti che un proprietario ter-riero doveva assumere) di salario e di orario di lavoro.Fu l’ultima vittoria del movimento socialista in emilia Romagna; subito dopo, infatti, ini-ziò la dura risposta degli agrari, che si allearono allo squadrismo fascista. A Bologna, ilmovimento era sorto nell’aprile del 1919, per opera di leandro Arpinati, che però rior-ganizzò il Fascio bolognese su basi nuove, decisamente più aggressive, a partire dall’ot-tobre 1920. «i fasci – si diceva nello statuto della nuova organizzazione – non predicanola violenza per la violenza, ma respingono ogni violenza passando al contrattacco». Al dilà del tono ambiguo, indicava una chiara volontà di rivalsa e di riscossa, dopo due annidi iniziativa socialista. il primo gesto clamoroso dello squadrismo bolognese avvenne il4 novembre 1920: la Camera del Lavoro fu assalita e incendiata, mentre il tentativosocialista di organizzare una difesa armata della sede sindacale bolognese fallì miseramente.Assai più grave, sotto ogni punto di vista, l’episodio che si verificò il 21 novembre, in oc-casione dell’insediamento a Palazzo D’Accursio del nuovo sindaco socialista ennio gnu-di, vincitore delle elezioni amministrative (con 18 170 voti, contro i 7985 del Blocco Na-

Lo squadrismo in Emilia Romagna

Gruppo di squadristiemiliani in posa,

fotografia del 1921

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zionale, formato da liberali, destre e fascisti, e 4697 del Partito Popolare). Tre giorni prima dell’insediamento della nuova giunta, sui muri di Bologna apparve unmanifesto minaccioso, dattiloscritto (poiché la questura non ne aveva autorizzato la stam-pa): «Domenica le donne e tutti coloro che amano la pace e la tranquillità restino a casae, se vogliono… espongano dalle loro finestre il tricolore italiano. Per le strade di Bolo-gna, domenica, debbono trovarsi, soli, i fascisti e i bolscevichi. Sarà la prova, la grandeprova in nome d’italia!». il giorno della cerimonia, rafforzati da 27 squadristi ferraresi, cir-ca 300 fascisti bolognesi irruppero in Piazza Maggiore. Quanto accadde a quel punto èoggetto di controversia e in gran parte confuso. Pare che un gruppo di guardie rosse delservizio d’ordine socialista abbia perso la testa e scagliato cinque bombe in piazza; nel caosche seguì, morirono 10 persone (tutte di sinistra): 7 furono uccise dai fascisti, 3 dalle guar-die rosse, per errore. intanto, anche all’interno del palazzo, il rumore delle esplosioni cheproveniva dall’esterno spaventò il servizio d’ordine socialista, che sparò contro i consiglieridell’opposizione, uccidendo l’avvocato giulio giordani (del partito democratico-radica-le) e ferendo cesare colliva (dell’Associazione ex combattenti). A seguito di questi fatti,gnudi e la nuova giunta rinunciarono all’insediamento: ad essi subentrò un commissa-rio prefettizio.le ricostruzioni dei fatti del 21 novembre 1920 a Bologna divergono spesso in numerosiparticolari. il senso complessivo della vicenda, invece, è fuori discussione: insieme all’incendiodell’hotel Balkan, sede a Trieste delle associazioni slavofile (13 luglio 1920) si tratta del-l’inizio dell’offensiva fascista su grande scala contro il movimento operaio.

Lo scontro sociale nelle campagneemiliane

All’inizio del Novecento, nelle campagne dell’Emilia il quadro complessivo è notevolmente miglio-rato rispetto al secolo precedente. Le tensioni sociali, però, sono altissime tra braccianti e proprietariterrieri, mentre i mezzadri erano schierati su posizioni diversificate. In tutte le aree rurali, la lega so-cialista occupava un ruolo importantissimo.

Nel 1919, Mussolini pensava che i Fasci non avrebbero potuto sorgere che nelle città;verso la fine del 1920 gli agrari scoprono il fascismo, lo adottano, lo improntano del loro spi-rito. Tutti i loro rancori e i loro furori vi sono immessi: «Nell’anima dell’agrario e del conta-dino arricchito – si è notato [da parte di Pietro Nenni – n.d.r.] – l’odio, questo sentimentoatavico di diffidenza verso chiunque aspiri a una nuova ripartizione della terra, si risveglia. Ilnemico è oggi il salariato organizzato, come ieri era il vagabondo. Contro di lui tutto divienelegittimo». Già in talune località gli agrari avevano costituito dei gruppi di combattimento, lecui tradizioni e l’esempio non sono senza influenza sui Fasci nascenti. Il conflitto raggiungeben presto un’asprezza estrema. È come un’ordalia barbara, che conclude vent’anni di lotte;dopo un tal giudizio di Dio, il vincitore si annette il vinto, corpo e beni.

La pianura del Po, dove si produsse l’urto, è una regione a coltura intensiva e ad altis-simo rendimento. Da secoli, le terre vi sono strappate alle acque stagnanti, ai canneti, allamalaria. Questo sforzo ammirevole si inensifica, verso la fine del XIX secolo, grazie ai nuoviprocessi tecnici, ai capitali accumulati dai singoli, al credito dello stato, alle nuove condizionidel mercato interno. Si drenano le acque, terre grasse e fertili emergono; sorgono le strade,le case, le piantagioni. La produzione per ettaro è molto elevata: 17 quintali di grano con-tro i 10 di media del regno, e, nelle terre ricostrutte, si arriva fino ai 25 e 30, a volte anchepiù. Altre colture si diffondono largamente: la canapa e soprattutto la barbabietola, a cui sonogarantiti alti profitti grazie alla protezione doganale sullo zucchero. L’economia rurale e l’at-tività industriale che da queste dipendono danno così un reddito considerevole: i proprie-tari da un lato e i lavoratori dall’altro cercano di accaparrarne il più possibile. Ma mentre perquelli non si tratta che di profitti, per questi è una questione di vita o di morte. La popola-zione è sovrabbondante e non vuole emigrare; dopo la guerra non lo potrà. Bisogna dun-que trovare del lavoro sul posto e, poiché nessuno riesce ad impiegarsi in media che per120 o 130 giorni l’anno, bisogna che i salari siano assai elevati per permettere di non mo-rire di fame il resto dell’anno. Attraverso lotte memorabili, che si rinnovano frequentementealla vigilia del raccolto, e che durano a volte dei mesi, le organizzazioni operaie hanno ot-

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Socialismo enazionalismonell’estate del 1914

La Prima guerra mondiale segnò il completo fal-limento della Seconda Internazionale: in ogni Paese,infatti, i socialisti scelsero di appoggiare lo sforzo bel-lico della propria nazione. Del resto, la dichiarazionedi guerra destò grande entusiasmo nell'opinione pub-blica di quasi tutti i Paesi europei. Per un attimo, lepersone dimenticarono le divisioni di classe e si per-cepirono come una comunità,unita dal fatto di con-dividere un unico destino nazionale.

Innanzi tutto, leggi attentamente i due brani se-guenti.

L’atteggiamento deisocialisti di fronte allaguerra

Dopo la morte di Marx, engels elaborò nuove teo-rie sulla natura della guerra moderna, e sui problemiche si ponevano ai socialisti. Rendendosi perfettamenteconto che le guerre future sarebbero state più distrut-tive e catastrofiche di tutte quelle passate, nel 1887 scris-se in un passo profetico assai noto:

«Dagli otto ai dieci milioni di soldati si anniente-ranno a vicenda e, così facendo, divoreranno l’europalasciandola più nuda di una nuvola di locuste. le de-vastazioni della guerra dei Trent’Anni ristrette nello spa-zio di tre o quattro anni ed estese all’intero continen-te; la carestia, la malattia, l’indigenza che abbrutisconol’esercito e le masse popolari; il caos irreversibile del-le nostre strutture commerciali, industriali e del credito,che termina nella bancarotta universale; il crollo dei vec-chi Stati e della loro sovranità tradizionale, per cui doz-zine di corone rotoleranno nella polvere senza che nes-suno tenti di raccoglierle; è assolutamente impossibi-le prevedere quale potrà essere lo sbocco di tutto ciò echi uscirà vincitore dalla lotta. Un solo risultato è as-solutamente certo: il collasso universale e l’avvento dicondizioni propizie al trionfo definitivo della classe la-voratrice».

Quest’analisi degli effetti della guerra postulava unnuovo dilemma, al quale il movimento socialista in-ternazionale non riuscì mai a sottrarsi. Se da un lato,infatti, la guerra sembrava destinata a svigorire le strut-ture della società capitalista, preparando la strada allarivoluzione, dall’altro era la classe lavoratrice – gli ope-rai e i contadini che costituivano la massa dei soldatinegli eserciti di leva del continente europeo – quelli cheavrebbero sopportato per primi gli orrori della guerramoderna. Di conseguenza, non fu mai risolto il dilemmase accettare la guerra come mezzo per accelerare la ri-voluzione ovvero tentare di prevenirla in quanto cau-sa delle sofferenze e delle devastazioni che ne sarebbe-ro derivate; il che spiega certe ambiguità e contraddi-zioni nel comportamento dei socialisti di fronte alla mi-naccia della guerra negli anni che precedettero il1914.

il movimento socialista internazionale sembrò fi-ducioso di poter prevenire il conflitto e sicuro che la for-za dei Partiti socialisti organizzati sarebbe bastata a im-pedire ai governi di entrare in guerra. «i governi ricordino– ammonì il congresso internazionale socialista che siriunì a Basilea durante la guerra balcanica del 1912 –che nella situazione in cui si trova oggi l’europa e a cau-sa dello stato d’animo della sua classe operaia, essi nonsono più in grado di scatenare una guerra senza correredei rischi». [...] [Ma] nello spazio di poche settimane

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o, meglio, giorni, la tanto millantata solidarietà in-ternazionale della classe lavoratrice si rivelò altrettan-to vana degli sforzi dei movimenti liberali per la pace.Allorché, il 29 luglio [del 1914: il giorno seguente ladichiarazione di guerra austriaca alla Serbia – n.d.r.] l’Uf-ficio della Seconda internazionale si riunì a Bruxelles,non poté che constatare la propria impotenza [...]. leragioni del collasso di quella che era considerata unagrande forza di opposizione, capace di impedire un con-flitto, vanno probabilmente cercate nella circostanza che,malgrado la retorica [= le solenni affermazioni pubbliche– n.d.r.] rivoluzionaria, anche i socialisti più estremi-sti erano in realtà totalmente integrati nelle rispettivesocietà nazionali.

Nel breve periodo, le autorità riuscirono facilmen-te a convincere la gente che i loro Paesi erano vittimedi un'aggressione, facendo appello al senso di pa-triottismo e di autoconservazione che si rivelò più for-te di qualsiasi fede internazionalista. ciò fu partico-larmente vero nel caso dei tedeschi; [...] il 2 agosto ilgoverno riuscì ad assicurarsi la collaborazione dei lea-der sindacali nella predisposizione dei provvedimentiper far fronte al caos e alla disoccupazione provocati dal-la mobilitazione; dal canto loro, le federazioni sinda-cali decisero di sospendere scioperi e rivendicazioni diaumenti salariali per tutta la durata del conflitto. Nelclima rapidamente crescente di odio e di paura versola Russia, l’appello alla solidarietà nazionale si rivelò vin-cente: il 4 agosto i membri socialdemocratici del Rei-chstag, dopo lunghe ed estenuanti discussioni, decise-ro di votare i crediti di guerra chiesti dal governo. Dopola proclamazione della mobilitazione e la partenza de-gli uomini per il fronte, ogni manifestazione contro laguerra assunse facilmente le caratteristiche di un attodi tradimento non tanto verso l’idea astratta di patria,quanto contro i propri compagni di partito. [...]

i socialisti austriaci vissero esperienze pressoché ana-loghe a Vienna, dove la folla, alla notizia della rotturadelle relazioni con la Serbia (scrisse l’ambasciatore in-glese), «è esplosa in grida di gioia, mentre la gente ma-nifestava per le strade cantando inni patriottici fino alleprime ore del mattino». il leader universalmente stimatodel Partito socialdemocratico, Victor Adler, scandaliz-zò i colleghi dichiarando alla riunione del Bureau [= Uf-ficio – n.d.r.] dell’internazionale Socialista: «il partitoè impotente. Manifestazioni in favore della guerra si stan-no svolgendo nelle strade. la nostra organizzazione ela nostra stampa sono in pericolo. corriamo il rischiodi veder distruggere trent'anni del nostro lavoro sen-za aver raggiunto alcun obiettivo politico». Date le cir-costanze, il partito austriaco rinunciò a qualsiasi spe-ranza di opporre resistenza alla guerra.

(J. JOll, Le origini della prima guerra mondiale, laterza, Bari1985, pp. 252-253. 257-259. Traduzione di M. Monicelli)

La «comunità nazionale»nell’agosto 1914

con la guerra la moltitudine era diventata una pre-senza morale, l’incarnazione della solidarietà naziona-le. la spesso citata descrizione di Zweig delle folle mo-bilitate dalla guerra riunisce molti particolari del sen-so comunitario dell'agosto 1914. «centinaia di mi-gliaia di persone sentivano allora come non mai quelche esse avrebbero dovuto sentire in pace, di apparte-nere cioè ad una grande unità. Una città [Vienna –n.d.r.] di due milioni di abitanti, un Paese [= l’impe-ro austro-ungarico – n.d.r.] di quasi cinquanta milio-ni, capirono in quell’ora di partecipare alla storia delmondo, di vivere un istante unico, nel quale ciascunindividuo era chiamato a gettare nella grande massa ar-dente il suo io piccolo e meschino per purificarsi da ogniegoismo. Tutte le differenze di classe, di lingua, di re-ligione erano in quel momento grandioso sommerse dal-la grande corrente della fraternità. estranei si rivolge-vano amichevolmente la parola per strada, gente che siera evitata per anni si porgeva la mano, dovunque nonsi vedevano che volti fervidamente animati. ciascun in-dividuo assisteva ad un ampliamento del proprio io,non era cioè più una persona isolata, ma si sapeva in-serito in una massa, faceva parte del popolo, e la suapersona trascurabile aveva acquisito una ragion d’essere».

Due particolari della descrizione di Zweig meritanodi essere sottolineati. Primo, tutte le «differenze di clas-se, di lingua, di religione», non furono né superate né abo-lite ma semplicemente messe a lato, poste momenta-neamente in sottordine dal dirompente sentimento difratellanza e dal dilagante nazionalismo. Nessuno, e tan-to meno Stefan Zweig, credeva che la struttura di clas-se [= la disuguaglianza sociale, l’articolazione della societàin varie classi sociali – n.d.r.] fosse in qualsiasi modo ri-definita grazie alla esplosione di sentimento che colpì gliabitanti di Vienna, permettendo loro di dimenticare i re-ciproci difetti e colpe e di stringersi la mano dopo annidi silenzio e indifferenza. il povero non diventava più ric-co, né il ricco più povero, grazie alla dichiarazione di guer-ra, anche se il sentimento comunitario fu nondimeno rea-le: quella struttura di differenti posizioni di classe che nor-malmente avrebbe indotto qualsiasi osservatore ad in-terpretare il dilagare delle folle come una minaccia al-l’ordine costituito, o ad una determinata minoranza, oraera semplicemente messa da parte.

Secondo, il momentaneo accantonamento delle dif-ferenze di classe permette a Zweig di abbandonare leproprie difese, il proprio ego [= io – n.d.r.], e il sensodi isolamento sociale; a Berlino Marianne Weber pro-va la stessa sensazione: «Non siamo più ciò che siamostati per tanto tempo: individui soli». [...] Una meta-fora ricorrente, e significativa, nelle descrizioni del-

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l’agosto è quella di fluidità e flusso. [...] Questa me-tafora idrodinamica viene impiegata con grande effi-cacia da carl Zuckmayer nella descrizione del suo ar-rivo in germania dopo che la crisi di luglio ebbe in-terrotto le sue vacanze sulla costa olandese. Qui la cor-rente che unifica i più disparati frammenti d’umani-tà – i viaggiatori nella stazione di colonia – è una verae propria scarica elettrica che dissipa la paura di Zuck-mayer per la guerra.

«Allora, sotto l'enorme stazione di colonia rim-bombante di canzoni, passi di marcia, grida dei viag-giatori accalcati nella fredda e tersa luce del mattino,fui attraversato da qualcosa, non proprio come un'al-terazione, ma come l'irradiazione di una corrente di elet-tricità cosmica che dissipò quel vago senso di nauseache avevo in gola e nello stomaco, salì al cervello e co-municò bagliori accecanti dalla testa al cuore. essa tra-spose [= trasportò – n.d.r.] tanto il mio corpo quantola mia anima in uno stato di trance, intensificando enor-memente il mio amore per la vita, in una gioia di par-tecipazione, di vivere-insieme-con, una sensazioneaddirittura di grazia».

Treni e stazioni ferroviarie furono luogo di moltis-sime conversioni all’entusiasmo d’agosto, conversioniinvariabilmente definite come una «resa» al flusso di sen-timento quasi palpabile. Questo luogo, al pari delle stra-de, simboleggiava per definizione la separazione dei viag-giatori, tutti presi dalla fretta delle loro ben diverse de-stinazioni; ma ora proprio i treni, le stazioni, le strade,rappresentavano i canali del movimento di tante esi-stenze individuali separate verso un'unica, unificata di-rezione, verso la guerra. [...]

l’entusiasmo era prodotto dalla consapevolezza cheuna società altamente segmentata, funzionalmen-te strutturata, e finalizzata alla soddisfazione di mol-teplici esigenze materiali veniva accantonata e rim-piazzata non da una serie di funzioni, status, ruoli, ben-sì da un progetto comune o, come preferivano dire icontemporanei, da un comune «destino» [...]. il pro-getto della guerra permise, nelle parole di Rilke, a «unintero popolo di sintonizzare le proprie emozioni», erealizzò un'inedita armonia dal «concerto di centina-ia di voci contraddittorie». [...] classi, età, sessi, nor-malmente mantenuti distinti, venivano riuniti, non dauna «nuova condizione» ma da una comune direzione.la guerra venne prefigurata come una sfera d’azione incui il comportamento collettivo organizzato non fos-se più contraddittorio o conflittuale, presentando unaserie di nuove esigenze che stornavano gli egoismi ela cura individuale per il proprio io. la dichiarazionedi guerra annunciò il perseguimento di uno scopo cherendesse la vita collettiva coerente e unidirezionale.

Operazione propedeutica diarricchimento del lessicoSpiega il significato delle espressioni evidenziate inrosso nel testo

Operazione di stesura del testoDi seguito vengono presentate una serie didomande. Dopo aver risposto a ognuna di esse,sarai in grado di costruire una scaletta, cheraccoglie le principali informazioni presenti nei duetesti. Seguendola, procedi alla stesura di un saggiobreve. Il testo non deve superare le due pagine difoglio protocollo.

Che cosa venne sommerso dalla grande ondata difraternità nazionale verificatasi nell’agosto 1914?

Quello che si verificò effettivamente nell’agosto1914 era stato previsto dai socialisti?

A quale bisogno collettivo rispose la guerra?

La profezia di Engels risultò assolutamentefalsificata? In che misura, invece, si verificò quantoil fondatore del socialismo aveva annunciato?

La guerra, in sostanza, diminuì o aumentò lepossibilità di attuare una rivoluzione socialista?

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MAPPA DI SINTESI

Sistema delle alleanze

GermaniaAustria-Ungheria

FranciaRussia

Assassinio di Sarajevo

Sostegno della Russia allaSerbia:

guerra generalizzata

Intervento dell’Inghilterra contro la GermaniaGuerra di trincea sul fronte occidentale

(battaglie di Verdun e della Somme – 1916)

Vittorie tedesche sul fronte russoDifficoltà russe a sostenere una guerra di

logoramento

Blocco navale inglese e guerra sottomarinatedesca

Intervento degli Stati Uniti contro la Germania

Rivoluzione contro lo zar (febbraio 1917)Rivoluzione comunista (ottobre 1917)

Sconfitta tedesca (novembre 1918) Trattato di Brest Litovsk (marzo 1918)

Guerra tedesca su due fronti:invasione del Belgio e guerra contro l’Impero

russo

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