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sent. n. 228/2012 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO … · 1 sent. n. 228/2012 IN NOME DEL POPOLO...

Date post: 04-Sep-2018
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1 sent. n. 228/2012 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO composta dai signori magistrati: Dott. Ignazio de MARCO Presidente relatore Dott. Angelo DE MARCO Presidente agg.to Dott. Fulvio Maria LONGAVITA Consigliere Dott. Leonardo VENTURINI Consigliere Dott. Bruno Domenico TRIDICO Consigliere pronuncia la seguente SENTENZA sui ricorsi d’appello, iscritti ai numeri del registro di segreteria: n. 31.794, proposto dal sig. Luigino SACCO PROILA - rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto SAVASTA e Giorgio DELLA VALLE, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in 00195 / ROMA, alla Piazza Mazzini n. 8; n. 31.796 incidentale promosso dalla PROCURA REGIONALE presso la Sez. Giur. della C.d.C. per la LOMBARDIA e n. 31.798 promosso dal sig. Lorenzino MARZOCCHI - rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo MANZONI e Vania ROMANO, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in 00195 / ROMA, al Viale Mazzini, n. 8 avverso la sentenza n. 414/07, depositata il 17 luglio 2007, della Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia; VISTA la predetta sentenza;
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sent. n. 228/2012

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai signori magistrati:

Dott. Ignazio de MARCO Presidente relatore

Dott. Angelo DE MARCO Presidente agg.to

Dott. Fulvio Maria LONGAVITA Consigliere

Dott. Leonardo VENTURINI Consigliere

Dott. Bruno Domenico TRIDICO Consigliere

pronuncia la seguente

SENTENZA

sui ricorsi d’appello, iscritti ai numeri del registro di segreteria: n. 31.794, proposto

dal sig. Luigino SACCO PROILA - rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto

SAVASTA e Giorgio DELLA VALLE, elettivamente domiciliato presso lo studio di

quest’ultimo in 00195 / ROMA, alla Piazza Mazzini n. 8; n. 31.796 incidentale

promosso dalla PROCURA REGIONALE presso la Sez. Giur. della C.d.C. per la

LOMBARDIA e n. 31.798 promosso dal sig. Lorenzino MARZOCCHI -

rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo MANZONI e Vania ROMANO,

elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in 00195 / ROMA, al Viale

Mazzini, n. 8

avverso

la sentenza n. 414/07, depositata il 17 luglio 2007, della Sezione giurisdizionale per la

regione Lombardia;

VISTA la predetta sentenza;

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VISTI gli appelli;

VISTI gli altri atti e i documenti tutti di causa;

UDITI alla pubblica udienza 19 ottobre 2011- con l’assistenza della segretaria

sig.ra Elisabetta BARRELLA - il relatore Pres. Ignazio de MARCO; l’avv.

PUCCIONI (delegato dall’avv. SAVASTA, per SACCO PROILA), l’avv. ROMANO (per

MARZOCCHI) e il P.M., nella persona del V.P.G. dott.ssa Maria Giovanna

GIORDANO.

F A T T O

Gli appelli in epigrafe attengono alla sentenza n. 414/07, depositata il 17

luglio 2007, della Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia che ha

condannato:

A) il Sig. SACCO PROILA al pagamento in favore di:

‐ SNAMPROGETTI S.p.A. per il danno da disservizio quantificato in euro

600.000,00,

‐ SNAMPROGETTI S.p.A., ENI S.p.A. e MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE per il danno all’immagine quantificato in euro 250.000,00;

B) il Sig. MARZOCCHI al pagamento in favore di:

‐ ENIPOWER S.p.A. per danno da disservizio quantificato in euro 1 (uno)

milione,

‐ ENIPOWER S.p.A, ENI S.p.A. e MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE per il danno all’immagine quantificato in euro 600.000,00 oltre a

interessi legali e spese processuali da parte di entrambi.

Giova premettere che, con atto di citazione depositato il 20 luglio 2006, la

Procura Regionale Lombardia conveniva innanzi a questa Sezione giurisdizionale i

sigg. Lorenzino MARZOCCHI, dirigente (project manager) della ENIPOWER S.p.A.,

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società controllata dalla ENI S.p.A., e Luigino SACCO PROILA, dipendente della

SNAMPROGETTI S.p.A., anch'essa controllata dalla stessa ENI S.p.A., esponendo

che: a) da risultanze penali (confessioni dei convenuti; ordinanze di custodia

cautelare in carcere, ecc.) presso il Tribunale ordinario di Milano, erano emerse

diverse vicende corruttive poste in essere dai due predetti convenuti in occasione

della gestione di gare e contratti presso le due società di appartenenza; b) il

MARZOCCHI, quale dirigente (project manager) della ENIPOWER S.p.A. - in

accordo con i sigg. Cozzi Luigi e Cartei Mauro (tutti imputati per associazione a

delinquere per compiere una serie indefinita di corruzioni aggravate nelle forniture di

ENIPOWER e nella esecuzione dei contratti) - aveva concordato la percezione

sistematica da imprese di percentuali sino al 5% dell'importo dei contratti per favorire

l'aggiudicazione degli stessi e agevolazioni nella successiva fase di esecuzione; c) le

tangenti, introitate con bonifici su conti esteri o tramite fatture fittizie che coprivano

l'uscita, emesse da società di comodo (Meteco, Icar 2000, Geobat e altre),

remuneravano la comunicazione da parte del MARZOCCHI al talune imprese di dati

riservati riguardanti le gare, o il mancato o affievolito controllo, da parte del project

manager, in sede di esecuzione del contratto (su varianti o aumenti di fornitura), in

modo da permettere il recupero alle imprese delle offerte molto ribassate che avevano

consentito loro l'aggiudicazione; d) i singoli episodi corruttivi, oggetto di ordinanza

di custodia cautelare e di interrogatorio in sede di indagini preliminari penali, erano

stati 13 (pp. 6-19 della citazione) con indicazione dei singoli importi percepiti a titolo

tangentizio; e) il MARZOCCHI, con i propri comportamenti, aveva originato l'esborso,

dalle imprese aggiudicatarie, della somma di euro 3.263.935,73, comportante danno

per ENIPOWER S.p.A., imputato in via equitativa al MARZOCCHI quale danno

all'immagine arrecato ad ENIPOWER, alla controllante ENI S.p.A. e al Ministero

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dell'economia e delle finanze, azioni dell'ENI S.p.A.; f) oltre a tale danno

all'immagine, il MARZOCCHI aveva arrecato anche un danno da disservizio ad

ENIPOWER S.p.A. di euro 3.035.553,71; g) pertanto al MARZOCCHI era imputabile il

danno complessivo di euro 6.929.436,60; h) dalle predette ordinanze cautelari penali

e da interrogatori resi (da SACCO PROILA e da Consorti), era emersa inoltre analoga

percezione tangentizia da parte di SACCO PROILA Luigino, destinatario di misure

cautelari in carcere, unitamente ai sigg.Bruni Antonio, Consorti Antonio, Banfi

Matteo, Barino Carlo, Pighi Piercarlo, Brassesco Gianluigi, Frizzo Daniele, per

essersi con detti soggetti associato per compiere una serie indefinita di corruzioni

aggravate e reati connessi (emissione di fatture fittizie per la copertura di pagamenti

illeciti) in occasione di procedure di gara presso la SNAMPROGETTI S.p.A.; i) il

SACCO PROILA aveva avuto il compito di fornire ai sigg. Bruni e Consorti

informazioni riservate di SNAMPROGETTI S.p.A. e di ENIPOWER sia di natura

tecnica (tabulazioni, specifiche, allineamenti etc.), sia di natura economica, sullo stato

di avanzamento delle offerte (prezzi di partenza, ribassi e sconti offerti dalle società

concorrenti), da comunicare alle imprese costruttrici quale corrispettivo di una quota-

parte delle tangenti complessivamente erogate al sodalizio predetto; l) i singoli

episodi corruttivi, oggetto di ordinanza di custodia cautelare e di interrogatorio in

sede di indagini preliminari penali, erano stati 10 (indicati alle pp. 24-31 della

citazione); m) il SACCO, con tali comportamenti tangentizi, a proprio favore o dei

restanti componenti della associazione a delinquere, aveva comportato l'esborso, dalle

imprese aggiudicatarie, della somma, allo stato quantificata, di euro 2.189.766,60 con

danno all’immagine e anche un danno da disservizio a SNAMPROGETTI S.p.A. di

euro 3.739.670,00; n) pertanto al SACCO era imputabile un danno complessivo di

euro 5.929.436,60.

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La Sezione Giurisdizionale per la Lombardia, con decreto presidenziale

30.3.2006 (confermato con ordinanza 5.6.2006 n. 183), aveva disposto il sequestro

conservativo di beni mobili ed immobili nonché di crediti dei convenuti fino alla

concorrenza di euro 2.810.418,00 per MARZOCCHI e di Euro 1.319.604,97 per SACCO

PROILA.

Le deduzioni fatte pervenire dai convenuti in riscontro al notificato invito a

dedurre non erano idonee ad escludere il danno erariale ipotizzato sicché la Procura

attrice chiedeva la condanna dei due convenuti al pagamento della somma di euro

6.299.489,44 per il MARZOCCHI e di euro 5.929.436,60 per il SACCO PROILA, oltre

interessi e rivalutazione e spese di giudizio.

E’ seguita la sentenza avverso cui si sono gravati, con tutti gli appelli innanzi

precisati, sia i condannati Lorenzino MARZOCCHI e Luigino SACCO PROILA sia, con

appello incidentale, il PROCURATORE REGIONALE presso la Sez. Giur. della C.d.C.

per la LOMBARDIA.

Detti appelli hanno avuto una lunga e complessa vicenda processuale atteso

che: a) in esito all’udienza del 15.4.2009, con sentenza non definitiva/ordinanza n.

329/09, depositata il 23 luglio 2009, furono rigettati i motivi concernenti la

giurisdizione di questa Corte avuto riguardo alla forma societaria di ENI S.p.A. e

delle sue controllate e fu ordinato alla GUARDIA DI FINANZA di acquisire presso le

competenti autorità penali requirenti e giudicanti, in Milano, ogni utile

documentazione per gli stessi fatti dopo l’avviso di conclusione delle indagini del 20

luglio 2006 e la richiesta di rinvio a giudizio del 27 luglio 2007; b) avverso tale

pronuncia il SACCO PROILA formulava ricorso per Cassazione, ivi rubricato al n.

25573/09, invocando il difetto di cognizione giuscontabile; c) nell’udienza del 17

marzo 2010 i predetti giudizi furono sospesi da questa Sezione, con ordinanza a

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verbale, in attesa della pronuncia della Corte di Cassazione; d) la Suprema Corte, con

ordinanza n. 16.287 in data 22.6.2010 ha devoluto a questa Sezione solo la

cognizione del danno all’immagine subìto dal MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE; e) i predetti giudizi furono tempestivamente riassunti dalla PROCURA

GENERALE di questa Corte con atto depositato il 22 settembre 2010; f) nell’udienza di

merito del 17 novembre 2010 (fissata con decreto presidenziale del 30 settembre

2010), la discussione degli appelli fu rinviata al 13 aprile 2011 e, poi, alla data

odierna, essendo pendente presso le SS. RR. di questa Corte la questione di massima

sul danno all’immagine.

Per completezza giova rammentare che il 17 novembre 2010, con ordinanza

camerale, fu respinta l’istanza di definizione agevolata (presentata dal SACCO

PROILA il 4.11.2010) tenuto conto del parere negativo della Procura Generale,

pervenuto il 10 novembre 2010, essendo l’elemento soggettivo connotato da dolo,

oltre che di quanto statuito dalle SS.RR. della Corte dei conti - con la pronuncia n.

3/2009/QM pubblicata il 25.5.2009 - trattandosi di contrapposte impugnative di parte

pubblica e privata.

Nelle more, l’avv. DELLA VALLE (codifensore del sig. SACCO PROILA) ha

depositato in data 05 novembre 2010 e 11 marzo 2001 memorie illustrative con cui,

riprendendo gli argomenti già svolti nell’appello e tenuto conto delle intervenute

vicende processuali che hanno limitato la trattazione al danno all’immagine,

soffermandosi a considerare quest’ultimo per i profili della prova e del quantum

chiede nel merito:

‐ 1) in via principale di assolvere il proprio assistito.

‐ 2) in via subordinata, di “ridurre la condanna al risarcimento del solo danno

all’immagine di SNAMPROGETTI S.P.A. in misura pari ad 1/3 del 10% di quanto

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egli ha confessato di avere percepito”.

Per il signor MARZOCCHI, gli avv.ti Vania ROMANO e Carlo MANZONI

hanno depositato in data 05 novembre 2010 memoria con cui :

a) preliminarmente eccepiscono l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, co. 30

ter, della legge n. 102/2009 - come modificata dall’art. 1, co. 12, lett. c) del d.l. n.

103/2009 (convertito con legge n. 141/2009) - qualora lo si ritenesse applicabile al

caso di specie, per contrasto con gli artt. 3 e 25, co.2 Cost.;

b) affermano l’inammissibilità ed improcedibilità delle domande del P.R. per

mancato espletamento del pregiudiziale “invito a formulare deduzioni, avendo

riguardo alla successiva domanda come concretamente azionata”;

c) nel merito, sostengono l’insussistenza del preteso danno conseguente alla

grave perdita di prestigio e al grave detrimento dell’immagine e della personalità

pubblica del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FInanze, ecc.

d) circa il quantum, chiedono che la globale liquidazione sia comunque ridotta e

riportata al preteso danno “proprio” del solo Ministero (al massimo = ¼ di quanto

liquidato);

La PROCURA GENERALE ha ripreso, sviluppandoli, gli argomenti svolti

nell’appello incidentale da parte della PROCURA REGIONALE PER LA LOMBARDIA e

con proprie ampie, corpose e articolate conclusioni depositate il 12.2.2009 – oltre ad

evidenziare, in particolare, l’irrazionale quanto estremamente ridotta quantificazione

del danno all’ immagine fatta dal Giudice territoriale – ha insistito nella richiesta di

rigetto dei gravami sia nella riforma della sentenza di prime cure con la condanna (2°

motivo) al risarcimento del danno all’immagine nella misura di euro: 2.189.766,60

per SACCO PROILA e 3.263.935,73 per MARZOCCHI oltre alla rivalutazione

monetaria, agli interessi legali e alle spese di giudizio nonché al pagamento in solido

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delle spese processuali. Ha chiesto, peraltro, nella denegata ipotesi di proscioglimento

degli appellanti, la compensazione delle spese di giustizia e del patrocinio legale per

la manifesta illiceità/irregolarità dell’attività esperita dai medesimi.

In atti si rinvengono:

1) la sentenza n. 879 depositata il 29.6.2009 emessa ex art.444 c.p.p. dal G.I.P. del

Tribunale ordinario di Milano nei confronti di Marzocchi e Sacco Proila, pervenuta il

16.11.2009 dalla Guardia di Finanza, Nucleo Polizia Tributaria Roma, Gruppo tutela

spesa pubblica – 1^ Sezione accertamento danni erariali, in esecuzione dell’ordinanza

di questa Sezione n. 329/09;

2) copia (depositata dall’avv. ROMANO, per MARZOCCHI) della sentenza n.

3612/2011 del Tribunale di Milano, Sez. Lavoro che – nella causa promossa da

ENIPOWER c/ MARZOCCHI – ha respinto la domanda della Società relativa al

risarcimento del danno patrimoniale e ha ritenuto invece fondata quella relativa al

danno all’immagine; di conseguenza, ha condannato il MARZOCCHI a corrispondere

alla soc. ENIPOWER, a titolo risarcitorio, l’importo di euro 900.000,00 oltre a euro

25.000,00 per le spese di lite.

Alla pubblica udienza odierna: il P.M. ha precisato che il punto nodale

attiene al quantum da risarcire. Al riguardo, poiché la condanna del giudice civile si

riferisce a 13 contratti, anche il danno deve essere rapportato a tutti essi tenendo

conto che, pur se il M.E.F. detiene una partecipazione azionaria percentuale in E.N.I.,

l’immagine dello Stato non può essere scissa in proporzione ma va salvaguardata

nella sua interezza; l’avv. PUCCIONI (delegato dall’avv. Savasta, per SACCO

PROILA), si è riportato all’atto scritto esprimendo perplessità circa il risarcimento

dello stesso danno nei confronti dello stesso soggetto; l’avv. ROMANO (per

MARZOCCHI) ha riproposto nell’an debeatur la questione di legittimità costituzionale

9

dell’art. 17 (per contrasto con gli artt. 3 e 25, co. 2 Cost.) trattandosi di sentenza di

patteggiamento. Per il quantum ha puntualizzato che, anche a evitare sconfinamenti di

giurisdizione, la sentenza della Sez. Lavoro del Tribunale di Milano ha riconosciuto il

danno all’immagine della soc. ENIPOWER – di cui il MARZOCCHI era dipendente – e

non dello Stato/M.E.F.; in subordine, infine, ha rammentato che il MINISTERO

partecipa nella misura del 21% ad ENI S.p.A. sicché la (eventuale) condanna

dovrebbe essere proporzionata a tale percentuale.

Dopo breve replica del P.M. (circa l’irrilevanza della questione di legittimità

costituzionale, essendo già intervenuta sentenza di primo grado) e dell’avv.

ROMANO (che si è richiamata alle sentenze n. 12/2011 e n. 13/2011 delle SS.RR. di

questa Corte), i giudizi sono passati in decisione.

D I R I T T O

1. Gli appelli in epigrafe devono essere riuniti, in base all’art. 335 c.p.c.,

essendo stati proposti avverso la stessa sentenza.

2. Come si desume dalla narrativa in fatto, a seguito dell’ordinanza n. 16.287

in data 22.6.2010 della Cassazione, risulta devoluta a questa Corte soltanto la

cognizione del danno all’immagine subìto dal MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE poiché partecipe (azionista di maggioranza) al capitale sociale dell’ENI

S.p.A., a sua volta, controllante le società SNAMPROGETTI e ENIPOWER. Al

proposito, la Suprema Corte non ha avuto esitazioni nel riconoscere l’esclusiva

giurisdizione del magistrato contabile - sulla base, peraltro, di consolidata

giurisprudenza (cfr., tra le ultime, le sentenze 15 febbraio 2007, n. 3367; 20 giugno

2006, n. 14101; 1° marzo 2006, n. 4511; 25 maggio 2005, n. 10973, ecc.) - in tutte le

controversie aventi a oggetto un danno da qualificare in rapporto alla natura pubblica

delle risorse usate e al tipo di attività svolta, in concreto, nell’attuale assetto

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normativo; il dato essenziale è stato, infatti, individuato nell’evento (dannoso)

verificatosi a carico della P.A. e non nel quadro di riferimento, pubblico o privato, in

cui si colloca la condotta produttiva del danno stesso.

2.1 Ciò premesso e di conseguenza, per il noto principio della “translatio

iudicii” - che il legislatore ha disciplinato con l’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n.

69 le cui disposizioni hanno valenza generale e sono pacificamente applicabili anche

al processo amministrativo - la cognizione degli (altri) aspetti dell'originario atto

introduttivo, attinenti al danno arrecato alle Società ENI, ENIPOWER e

SNAMPROGETTI, per effetto di condotte illecite degli amministratori e/o dei

dipendenti, è rimessa al competente Tribunale ordinario innanzi al quale il processo

dovrà proseguire (previa riassunzione) restando salvi gli effetti sostanziali e

processuali della domanda proposta innanzi a questo Giudice speciale.

3. Ai fini dell’esame dei motivi di appello concernenti la questione come

sopra circoscritta, si tratta di individuare la relazione tra i soggetti

condannati/appellanti - inseriti nell’organico della società partecipata ENI e/o nelle

società controllate SNAMPROGETTI ed ENIPOWER - e il MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE.

3.1 Val notare che, a differenza del passato - quando i limiti della

giurisdizione contabile erano più agevoli da tracciare per la più netta distinzione tra

l’area del pubblico e quella del privato -, con la più recente evoluzione

dell’ordinamento, anche per evitare il rischio di sostanziale svuotamento o di grave

indebolimento della giurisdizione della Corte dei conti, in punto di responsabilità, la

Suprema Corte ha privilegiato un approccio più "sostanzialistico" basato sul criterio

oggettivo che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni esercitate e delle risorse

finanziarie, a tal fine, adoperate. In particolare, ha precisato che occorre considerare il

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rapporto di servizio tra l’agente e la P.A. ma che, per tale, può intendersi anche una

relazione con la pubblica Amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un

soggetto (ad essa, altrimenti estraneo) del compito di realizzare, in sua vece,

un’attività senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura

(provvedimento, convenzione o contratto) né quella del soggetto che la riceve: una

persona giuridica o fisica, privata o pubblica (S.U. 3 luglio 2009, n. 15599; 31

gennaio 2008, n. 2289; 22 febbraio 2007, n. 4112; 20 ottobre 2006, n. 22513; 5

giugno 2000, n. 400; 30 marzo 1990, n. 2611 e altre conformi).

Inoltre, la stessa Cassazione con la sentenza S.U. 19.12.2009, n. 26806 (il cui

contenuto segna una tappa fondamentale nel riparto della giurisdizione tra Giudice

ordinario e Corte dei conti) puntualizza, tra l’altro, come: “L’affidamento, da parte di

un ente pubblico ad un soggetto esterno da esso controllato, della gestione di un

servizio pubblico integra una relazione funzionale incentrata sullo inserimento del

soggetto stesso nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico e ne implica,

conseguentemente lo assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per

danno erariale, a prescindere dalla natura privatistica dello stesso soggetto e dello

strumento contrattuale con il quale si sia costituito e attuato il rapporto (S.U. 1°

aprile 2008 n. 8409, 27 settembre 2006 n. 20886, 1 marzo 2006 n. 4511, 19 febbraio

2004 n. 3351), anche se l’estraneo venga investito solo di fatto dello svolgimento di

una data attività in favore della P.A. (S.U. 9 settembre 2008, n. 22652) e pure se

difetti di una gestione del danaro secondo moduli contabili di tipo pubblico o

secondo procedure di rendicontazione proprie della giurisdizione contabile in senso

stretto (S.U. 12 ottobre 2004, n. 20132)”.

In quest’ottica, già con la sentenza 22 dicembre 2003, n. 19667, le predette

Sezioni Unite avevano ritenuto spettare alla Corte dei conti - dopo l’entrata in vigore

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della legge n. 20 del 1994 (art. 1, co. 4) - la giurisdizione sulle controversie aventi ad

oggetto la responsabilità dei privati funzionari di enti pubblici economici anche per i

danni conseguenti allo svolgimento dell’ordinaria attività imprenditoriale e non

soltanto per quelli cagionati nell’espletamento di funzioni pubbliche o, comunque, di

poteri pubblicistici. Si affermava, al riguardo, che si espleta attività amministrativa

non solo quando si svolgono funzioni pubbliche e si esercitano poteri autoritativi ma

anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguono le finalità

istituzionali proprie dell’Amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata,

in tutto o in parte, dal diritto privato.

Alla stessa conclusione, sia pure entro determinati limiti, si è poi giunti nel

diverso caso della responsabilità di amministratori di società di diritto privato

partecipate, interamente o in maggioranza, dallo Stato o da altro ente pubblico per

perseguire, in tal modo, finalità di rilevanza pubblica: società che non perdono la

natura privatistica pur essendo il (loro) capitale alimentato anche dai suddetti

conferimenti.

Al proposito, la sentenza delle S.U. 26 febbraio 2004, n. 3899 - ribadito il

principio che una società per azioni costituita con capitale maggioritario pubblico, in

vista dello svolgimento di un servizio pubblico, ha una palese relazione funzionale

con l’ente che l’ha creata, caratterizzata dall’inserimento di essa nell’iter

procedimentale dello stesso ente e, dal conseguente rapporto di servizio così

determinatosi - ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti nelle

controversie in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale concernenti

gli amministratori e i dipendenti di tale società.

Ma non basta.

13

Altra sentenza delle predette S.U. (2 aprile 2007, n. 8098) dava atto della

costante giurisprudenza affermativa della giurisdizione della Corte dei conti anche per

il danno arrecato all'immagine dell'ente da pubblici dipendenti (o da soggetti,

comunque, inseriti nell'apparato organizzativo di una pubblica Amministrazione),

trattandosi di danno conseguente alla perdita di prestigio e al grave detrimento

dell'immagine e della personalità pubblica dello Stato che, pur se non comportante

una vera e propria diminuzione patrimoniale, é suscettibile di valutazione

patrimoniale sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso

(S.U. 20.6.2007, n. 14297; 02.04.2007, n. 8098; 27.9.2006, n. 20886; 15.7.2005, n.

14990; 12.11.2003, n. 17078; 25.10.1999, n. 744 e 25.6.1997, n. 5668). Ciò in

coerenza, peraltro, con l'orientamento già manifestatosi con la risalente pronuncia 2

aprile 1993, n. 3970 la quale non solo aveva escluso che tale tipologia di danno da

risarcire fosse esclusivamente ravvisabile in una diminuzione patrimoniale ma aveva,

altresì, precisato che doveva comprendere anche i maggiori costi eventualmente

sopportati dalla P.A.

La stessa Cassazione (sent. n. 26806 cit., ripresa dalla sent. 23.2.2010, n.

4309) ha puntualizzato, in seguito, che “il codice civile dedica alla società per azioni

a partecipazione pubblica solo alcune scarne disposizioni, oggi contenute nell’art.

2449 (come modificato dalla legge 25 febbraio 2008, n. 34, art. 13) (…) essendo stato

il successivo art. 2450 ormai abrogato dall’art. 3, co. 1 D.L. 15 febbraio 2007, n. 10

(convertito con modificazioni con L. 6 aprile 2007, n. 46). Siffatte residue

disposizioni del codice non valgono, dunque, a configurare uno statuto speciale per

dette società - salvo per taluni profili (nomina e revoca degli organi sociali) - né

investono, comunque, il tema della responsabilità di detti organi che resta

disciplinato dalle ordinarie norme previste dal codice civile a questo riguardo (art.

14

2449, co. 2)”.

3.2 Acclarato, quindi, che trattandosi di società a partecipazione pubblica, il

socio pubblico é di regola in grado di tutelare egli stesso i propri interessi sociali

mediante l’esercizio delle suindicate azioni civili e che se ciò non faccia é

sicuramente prospettabile l’azione del Procuratore contabile (cfr. S. U., ordinanza

15.01.2010, n. 519), sono comunque necessarie alcune notazioni.

3.2.1 In primo luogo, non sembra si possa prescindere dalla distinzione tra la

posizione della società partecipata - cui, eventualmente, fa capo il rapporto di servizio

instaurato con la P.A. tout court - e quella personale degli amministratori (nonché dei

sindaci e degli organi di controllo della stessa società) i quali, ovviamente, non si

identificano con la società stessa sicché nulla consente di riferire loro, sic et

simplicter, il rapporto di servizio di cui la società stessa sia parte.

Il problema si risolve considerando l’art. 16 bis della legge 28 febbraio 2008,

n. 31 (che ha convertito il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248) - applicabile alla

fattispecie, trattandosi di giudizio già promosso al momento di entrata in vigore della

normativa - secondo cui: "Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati,

con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti

pubblici, inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli

amministratori e dei dipendenti é regolata dalle norme del diritto civile e le relative

controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario".

“Tale norma (…) - sottolinea la Cassazione (sempre nella cit. sentenza n.

26806 del 2009) - assume significato retrospettivo, nella misura in cui lascia

intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società

a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale

diversa da quella ordinaria. Non si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il

15

legislatore ha inteso stabilire che, per l’avvenire, limitatamente alle società quotate o

loro controllate, con partecipazione pubblica al 50%, la giurisdizione spetta invece

in via esclusiva proprio al giudice ordinario”. Resta, però, da verificare entro quali

limiti, al di fuori del ristretto campo d’applicazione della disposizione citata da

ultimo, sia davvero configurabile la giurisdizione del giudice contabile, che il

legislatore ha in tal modo presupposto, in rapporto ad atti di mala gestio degli organi

di società a partecipazione pubblica. In difetto di norme esplicite in tal senso, é ai

principi generali e alle linee portanti del sistema che occorre riferirsi sicché assume

rilievo decisivo la accennata distinzione tra la responsabilità in cui gli organi sociali

possono incorrere nei confronti della società e quella che essi possono assumere

direttamente nei confronti di singoli soci o terzi.

“In tale ultimo caso di azione per danni al socio pubblico, - si legge nella

predetta sentenza - la configurabilità dell’azione del Procuratore presso la Corte dei

conti, tesa a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di

organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico quando questo sia

stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima, non incontra particolari

ostacoli (…)”.

Quel che appare certo è che la presenza dell'ente pubblico, all'interno della

compagine sociale, e il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al

perseguimento di finalità pubbliche ed abbia implicato l'impiego di pubbliche risorse

“(…) non può sfuggire agli organi della società e non può non comportare, per loro,

una peculiare cura nell'evitare comportamenti tali da compromettere la ragione

stessa di detta partecipazione sociale dell'ente pubblico o che possano, comunque,

direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest'ultimo (…)” (id., n.

26806 cit.).

16

3.2.2 Quale tipico esempio di questa situazione si cita il danno all’immagine

dell’ente pubblico (cfr. S.U. 20 giugno 2007, n. 14297) derivante da atti illegittimi

posti in essere dagli organi della società partecipata: danno che può, eventualmente,

prodursi immediatamente in capo a detto ente pubblico per il fatto stesso di essere

partecipe ad una società in cui quei comportamenti illegittimi si siano manifestati.

E’ agevole intendere che nell’ampia denominazione ente pubblico debba

rientrare (e non potrebbe essere altrimenti) in primis lo Stato azionista, nella sua

ramificata organizzazione amministrativa e, in quanto esponenziale delle finalità

pubbliche di interesse generale - e perciò partecipe al patrimonio di una società

(ancorché di diritto privato) creata per il perseguimento di dette finalità - da svolgere

anche mediante società da esso e/o da essa stessa controllate. Lo Stato e gli altri enti

pubblici (comprese le società pubbliche che erogano servizi) si caratterizzano, infatti,

in modo specifico per la tutela degli interessi fondamentali della comunità

amministrata e per il conseguimento di finalità che rinvengono la loro fonte nella

Costituzione.

In ragione di ciò è possibile configurare nei confronti di dette entità la lesione

al rispettivo prestigio.

3.3 Allo stesso modo, secondo il costante orientamento di questa Corte dei

conti (cfr. in particolare, Sez. III giur. c.le d’appello, sent. n. 143/2009; Sez. I^ giur.

c.le d’appello, sent. n. 16/2002, ecc.), “in base al principio di immedesimazione

organica, di rilievo sociologico ancora prima che giuridico”, il danno all’immagine

porta sempre ad identificare l’Amministrazione col soggetto che per essa ha agito così

da ricondurre all’Amministrazione stessa tanto gli sviluppi concreti di reale

attuazione dei valori di “legalità, buon andamento ed imparzialità” - intrinsecamente

connessi all’agire pubblico (ex art. 97 Cost.) - quanto i corrispondenti, opposti

17

disvalori legati alle forme più gravi di illecito amministrativo-contabile, con evidente

discredito delle istituzioni pubbliche. In quest’ottica finanche “la specificazione del

generale dovere che tutti i cittadini hanno di essere fedeli alla Repubblica e di

osservarne le leggi in quello, proprio dei soli dipendenti pubblici, di adempire le

pubbliche funzioni con disciplina e onore (ex art. 54 Cost.), in larga parte è

teleologicamente orientata alla tutela dell’immagine e del prestigio della P.A.” (cfr.,

Sez. Giur. Reg. UMBRIA, sent. n. 371-R/2004).

4. Date queste premesse, nel coordinamento sistematico tra l’azione di

responsabilità dinanzi al giudice contabile e l’esercizio delle azioni di responsabilità

(sociale e dei creditori sociali) contemplate dal codice civile, la Cassazione ha

riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti relativamente al risarcimento del

danno all'immagine anche di società partecipate quale “effetto del clamore

dell'illecito presso l'opinione pubblica sulla base delle notizie divulgate dai mezzi di

comunicazione di massa”.

4.1 Nella specie, l’evidente e innegabile collegamento tra la Capogruppo

partecipata ENI S.p.A. (e/o le sue controllate ENIPOWER e SNAMPROGETTI) con

la P.A. (leggasi, articolazione M.E.F.), titolare di quote della stessa società, porta a

concludere per l’attribuzione anche in capo al predetto Ministero del danno

all’immagine che ne occupa poiché direttamente danneggiato dall'azione illegittima di

organi delle predette società.

E’, al proposito, da tener presente che il M.E.F. è azionista della E.N.I. S.p.A.

di cui detiene - direttamente o indirettamente - buona parte del capitale sociale

(20,31% fino al 21 dicembre 2010, quando la misura percentuale è diminuita al

3,93%, a seguito della permuta di azioni con trasferimento a CASSA DEPOSITI E

PRESTITI S.p.A., in base al decreto M.E.F. del 30.11.2010); una partecipazione,

18

comunque, tale da consentirgli, come per altri casi (es. in ENEL S.p.A.), l’influenza

dominante nell’Assemblea ordinaria e, pertanto, il controllo della predetta Società

oltre ai poteri speciali (tra cui “Golden share”) riservati allo Stato.

4.2 Né può essere di ostacolo, al ragionamento fin qui seguito, la circostanza

della possibile concorrenza con l’azione in sede civile, ipotizzata dagli artt. 2395 e

2476, co. 6 c.c., nella supposizione che l'una e l'altra mirerebbero, in definitiva, allo

stesso risultato. Sul punto del ne bis in idem (rappresentato dalla difesa del SACCO

PROILA), è sempre la Cassazione a chiarire che la giurisdizione contabile e quella

(risarcitoria) del Giudice ordinario sono reciprocamente indipendenti nei profili

istituzionali, anche quando investono uno stesso fatto materiale, poiché l’interferenza

può avvenire tra giudizi e non tra giurisdizioni. L’unico limite potrebbe derivare dal

divieto di duplicazione di condanna ma questa circostanza è (eventualmente)

eccepibile in sede di opposizione all’esecuzione, ivi dimostrando l’intervenuto

(parziale) pagamento da scomputarsi dalla condanna in sede di giudizio di

responsabilità amministrativa (c.d. effetto decurtante della pretesa erariale).

Per quanto detto, questo motivo d’appello è da respingere poiché infondato.

5. Tornando al danno all’immagine dell'ente - arrecato da soggetti,

comunque, inseriti nell'apparato organizzativo di una P.A. - é noto che assume una

sua autonoma rilevanza, rispetto al cosiddetto "danno diretto" (o patrimoniale in

senso stretto), e può sussistere anche in assenza di quest'ultimo considerate le

connotazioni sue proprie, quale danno patrimoniale autonomo da altri danni erariali

con i quali può anche concorrere (es. danno da disservizio e/o da tangente, ecc.).

Nella sua concreta essenza patrimoniale, esso meglio sarebbe da indicare come

“danno da perdita di immagine pubblica” da cui consegue sempre una spesa

necessaria al suo ripristino (per una corretta interpretazione del danno all’immagine

19

vale richiamare l’impostazione seguita da questa Sezione con la sentenza 9 aprile

2009, n. 143 - condivisa anche dalla più recente giurisprudenza delle altre Sezioni di

appello: cfr. Sez. Giur. app. per la Regione siciliana, n. 103/2010 dell’11 marzo 2010;

Sez. II centr. app., n. 294 del 15 giugno 2009 e n. 106 del 29 gennaio 2008; Sez. I

centr. app., n. 494 del 2 ottobre 2009 - nonché, in sede nomofilattica, dalle SS.RR.

con la sentenza n. 1/QM/2011).

5.1 Sul punto è il caso di soffermarsi sugli argomenti degli appellanti e della

Procura Generale svolti nei rispettivi atti scritti:

A) il MARZOCCHI, rammentata la netta distinzione delineata dalla

Cassazione tra danno non patrimoniale e danno morale, rileva (pagg. 63-65

dell’appello e pag. 9 ss. della memoria pervenuta il 5.11.2010), in base alla sentenza

n. 10/QM del 23.4.2003 delle SS.RR. di questa Corte, che “non è data prova alcuna

del preteso danno” (…) ed indicazione degli eventuali “parametri” da considerarsi

per la quantificazione dell’eventuale addebito”. Non sono stati specificati né i

(pretesi) indici di “notorietà” dei fatti né l’entità dei (pretesi) rilievi da essi desunti -

al di là dell’eventuale singolo richiamo al singolo episodio - né gli (eventuali)

“interventi correttivi” assunti e/o deliberati né il rilievo e la delicatezza dell’attività

svolta da ENIPOWER S.p.A. né indicata alcuna negativa ricaduta socio/economica

sul sistema concessivo (limitativo dell’attività imprenditoriale) né considerata, infine,

la posizione funzionale del soggetto all’interno dell’impresa. Di conseguenza “è

assolutamente rigettata e inaccettabile la quantificazione”, prospettata in via

equitativa e in misura globale, tanto più che lo Stato partecipa in ENI (e sue

controllate) non in maniera totalitaria bensì in ridotta percentuale;

B) il SACCO PROILA - premesso il ruolo marginale ricoperto e la

scarsissima importanza degli importi percepiti - puntualizza (a pag. 54 segg.

20

dell’appello e nelle memorie illustrative pervenute in data 05 novembre 2010 e 11

marzo 2011) la natura non patrimoniale (ma esistenziale) del danno all’immagine,

come da giurisprudenza costituzionale e della Cassazione, e rappresenta che il suo

pensionamento, anteriore all’emersione dei fatti corruttivi, basterebbe a giustificare

l’assoluzione per tale voce. Ad ogni modo, ritiene “non provate” le spese per il

ripristino dell’immagine ed errata la quantificazione, peraltro estesa, di esso tanto più

che il suo arresto non ha avuto alcuna risonanza mediatica e che il valore delle azioni

ENI è cresciuto nel tempo. Osserva, infine, che il quantum andrebbe sia circoscritto ai

fatti che lo hanno visto protagonista sia rapportato alla quota parte riconducibile al

controllante M.E.F.;

C) la PROCURA GENERALE - riprendendo gli argomenti del secondo

motivo di appello addotti dalla Procura Regionale e soffermatasi sulla più recente

configurazione giurisprudenziale del danno in esame - rileva anzitutto la lesione di

rilevante gravità (strepitus fori, anche penale) che ha colpito globalmente, e non pro

quota, l’azionista pubblico (M.E.F.) e le Società facenti parte dello stesso Gruppo

ENI. Condivide che la quantificazione di esso danno è irrazionale e risulta

profondamente ingiusta, poiché estremamente ridotta, in rapporto a tutti i criteri di

valutazione formulati dal Requirente per definire l’ammontare concreto della lesione.

L’importo intascato dagli appellanti/condannati è solo uno (tra i tanti) parametri di

quantificazione sicché, la Procura, insiste per la condanna in misura non inferiore a

quanto (euro 3.263.935,73 per MARZOCCHI ed euro 2.189.766,60 per SACCO PROILA)

chiesto con l’atto di citazione in giudizio. Conclude, previa riunione in rito, per il

riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti e, in caso difforme, chiede

che gli atti processuali siano trasmessi (tramite la P.G.) al P.M. civile competente. Nel

merito, chiede il rigetto degli appelli con la condanna alle spese del doppio grado di

21

giudizio, e l’accoglimento del gravame incidentale; in subordine, prospetta la

compensazione delle spese di giudizio e, in via ulteriormente gradata, la pronuncia -

secondo le norme di legge - sulle spese di giustizia e legali.

5.2 In ordine a quanto precede é, anzitutto, da rammentare che la Cassazione

ha ravvisato, in più occasioni, la lesione dell’immagine degli enti pubblici nel “(…)

discredito sociale degli stessi nella considerazione collettiva in conseguenza della

violazione del bene giuridico, costituzionalmente tutelato, dell’imparzialità e del

buon andamento dell’amministrazione, leso da provvedimenti adottati per interessi

privati anziché della collettività, in violazione del doveri d’ufficio e di norme penali”

correlandola - quale danno non patrimoniale - “non alla condotta illecita ma al

clamor fori verificatosi” (Sez. 3^, sent. 16.2.20120, n. 3672). La stessa Sezione (sent.

4 giugno 2007, n. 12929) aveva, peraltro, già evidenziato che tra i diritti

costituzionalmente rilevanti rientra l'immagine della persona giuridica o dell'ente:

quando si verifichi la lesione di essa, è risarcibile anche il danno costituito dalla

diminuzione della considerazione, appunto, della persona giuridica o dell'ente (nel

che si esprime la sua immagine) sotto il profilo sia dell’incidenza negativa nell'agire

delle persone fisiche/organi (e, quindi, dell'ente) sia della minore reputazione da parte

dei consociati, in genere, ovvero di settori o categorie con cui la persona giuridica o

l'ente, di norma, interagisce.

5.2.1 Il danno in parola, in realtà, non investe soltanto i rapporti privati tra il

dipendente (autore dell’illecito) ed i cittadini con i quali ha avuto contatti, ma investe

il diverso e più ampio rapporto di diritto pubblico che lega la comunità degli

amministrati (l’intera comunità) alle istituzioni per le quali il dipendente medesimo

ha agito.

22

A fronte della intervenuta lesione dell’immagine pubblica negli amministrati

– o, se si vuole, nello Stato Comunità - si incrinano quei naturali sentimenti di

affidamento e di “appartenenza” alle istituzioni che giustifica la stessa collocazione

dello Stato Apparato e degli altri Enti tra “le più rilevanti formazioni sociali nelle

quali si svolge la personalità dell’uomo”, ex art. 2 Cost.

Il recupero di tali sentimenti, e con essi il recupero dell’immagine pubblica,

esige che si intervenga per ridurre, in via preventiva, e/o per eliminare, in via

successiva, i danni conseguenti alla lesione della dignità e del prestigio dell’Ente con

ovvie implicazioni anche di costi per l’Erario.

5.2.2 Trattasi, però, di danno da responsabilità contrattuale (e non già

extracontrattuale) da ricondurre perciò all’art. 1218 c.c. (e non già al 2043 c.c.) in

quanto, come chiarito dalla Suprema Corte (SS.UU. n. 744/1999 ma anche n.

26972/2008), interviene tra i medesimi “soggetti attivi e passivi” di un qualsivoglia

altro danno erariale, ed in “violazione dei medesimi doveri funzionali” di servizio.

5.3 Tale danno all'immagine ben può configurarsi in caso di percezione non

dovuta di somme da parte del pubblico dipendente (o del dipendente di s.p.a. a

partecipazione pubblica), anche non necessariamente in correlazione con fenomeni

tangentizi (corruzione o concussione), essendo socialmente disdicevole e

giuridicamente illecito che, nell'esercizio dei compiti istituzionali, egli percepisca

denaro o donativi da privati. Esso danno, però,non s’identifica col mero riflesso di un

pregiudizio arrecato al patrimonio sociale (indipendentemente dall’essere, o meno,

configurabile e risarcibile un autonomo e distinto danno all’immagine della società):

se ne trae conferma dall’art. 17, co. 30 ter della legge 3 agosto 2009, n. 102 (come

modificata dal D.L. n. 103, in pari data, convertito con ulteriori modificazioni nella

legge 3 ottobre 2009, n. 141) che - appunto in tal caso - disciplina e limita le modalità

23

dell’azione della magistratura contabile nelle ipotesi previste dall’art. 7 della legge 27

marzo 2001, n. 97 ossia in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna

pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nel (precedente) art. 3 compresi

quelli "di enti a prevalente partecipazione pubblica".

6. Orbene, nella fattispecie che ne occupa, è da condividere quanto affermato

dal Giudice territoriale circa la perdita di prestigio e il grave detrimento

dell’immagine e della personalità dello Stato (MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE) ma inteso nella vasta accezione idonea a ricomprendere, come si è detto,

anche s.p.a. a partecipazione pubblica, diretta o indiretta (es. controllate),

maggioritaria o minoritaria (v. Cass., SS.UU. sent. 25.6.1997, n. 5668; id.

25.10.1999, n. 744; id. 4.4.1998, n. 98; id. 28.12.2001, n.16215; id., 15 luglio 2005,

n. 14990; id. 27.9.2006, n. 20886; Sez. III, sent. 4 giugno 2007, n. 12929; C. conti,

SS.RR., sent. 28 maggio 1999, n. 16/99/QM; sez. I c.le d’appello, sent. 14 novembre

2003 n. 392, 6 giugno 2003 n. 187, 25 marzo 2002 n. 96, 28 aprile 1998 n. 10 e 7

marzo 1994 n. 55; sez. II c.le d’appello, sent. 27.4.1994, n. 114, ecc.).

Infatti, nella considerazione della comunità degli amministrati - ai quali ultimi

va rapportato il danno all’immagine - a causa della palese violazione dei più

elementari doveri di servizio, da parte del MARZOCCHI e del SACCO PROILA, la P.A

ha finito per identificarsi con l’istituzione pubblica M.E.F. alla quale rapportare, in

ultima analisi, la condotta illecita dei suoi dipendenti.

Considerata la risonanza che gli eventi corruttivi hanno avuto non solo sulla

pubblica opinione, per effetto delle notizie relative ai procedimenti penali diffuse dai

mass media (stampa, radio e TV), ma anche all’interno delle società di appartenenza

oltre che tra gli stessi azionisti (shareholders), grandi e piccoli, italiani e/o stranieri,

sono indubbi l’ampia diffusione e risalto di tutta l’incresciosa vicenda che ha

24

suscitato sconcerto e riprovevolezza per il comportamento antidoveroso e illecito

consumato dai convenuti/condannati (odierni appellanti) come anche riportato nella

sentenza n. 879, depositata il 29.6.2009, emessa ex art. 444 c.p.p. dal G.I.P. del

Tribunale ordinario di Milano ex se rilevante ai fini del danno in esame (cfr. Corte dei

conti, sez. II c.le d’appello, sent. 10/04/2000, n. 125).

Giustamente la gravata sentenza afferma che la violazione di questo diritto

all'immagine “intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al

riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica, è

economicamente valutabile. Essa, infatti, secondo le cennate SS.RR., si risolve in un

onere finanziario che si ripercuote sull'intera collettività, dando luogo ad una carente

utilizzazione delle risorse pubbliche ed a costi aggiuntivi per correggere gli effetti

distorsivi che, sull'organizzazione della pubblica amministrazione, si riflettono in

termini di minor credibilità e prestigio e di diminuzione di potenzialità operativa”.

7. Occorre ora soffermarsi sulla q.l.c. sollevata dalla difesa MARZOCCHI

(memoria del 5.11.2010, pagg. 15-17) circa l’an debeatur; al riguardo, é stata

eccepita l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, co. 30-ter del D.L. 1 luglio 2009, n.

78 (e succ. mod.) - per contrasto con gli artt. 3 e 25, co. 2 Cost. - sostenendo che, per

l’espresso richiamo fatto dalla norma all’art. 7 della legge 27 marzo 2011 n. 97,

avendo il legislatore limitato il danno all’immagine di una P.A. alle sole ipotesi di sua

connessione a delitti contro la stessa P.A. accertati con sentenza di condanna passata

in giudicato, il caso in esame non rientrerebbe nella previsione di detta disposizione

avendo il MARZOCCHI “patteggiato” avvalendosi dell’art. 444 c.p.p., come da

sentenza n. 879 depositata il 29.6.2009 del G.I.P. del Tribunale di Milano

7.1 Il Collegio rileva, anzitutto, che detta disposizione normativa non si

applica alla fattispecie in esame sia perché l’inizio dell’attività istruttoria da parte del

25

Pubblico Ministero è avvenuto sulla base di una “specifica e concreta” notizia di

danno sia perché il danno all’immagine rientra nei “casi e modi” previsti dall’art. 7

della legge 27 marzo 2001, n. 97.

Inoltre, le SS. RR. di questa Corte (sentt. n. 12/QM/2011 e n. 13/QM/2011,

depositate entrambe in data 03 agosto 2011) hanno precisato cosa intendere sia per

sentenza (circa la clausola di salvezza) sia per “fattispecie direttamente sanzionate

dalla legge”, hanno chiarito il significato da attribuire all’espressione “specifica e

concreta notizia di danno”, hanno escluso la rilevabilità di ufficio della questione di

nullità nel giudizio di responsabilità e dato risposta, infine, ad altri quesiti procedurali

(pluralità di convenuti, rimborso delle spese difensive, impugnabilità in appello della

pronunzia sulla questione di nullità, ecc.)

7.2 La sollevata questione appare, comunque, non rilevante ed è

manifestamente infondata se si considera quanto già chiarito dalla Corte

Costituzionale con la sentenza n. 355 del 15 dicembre 2010 - che ha dichiarato in

parte inammissibili e in parte non fondate le relative questioni, in riferimento alle

succitate disposizioni della Costituzione - secondo cui tale normativa incide sulla

configurabilità stessa del danno all’immagine ritenuto possibile solo se ricorrono

talune, specifiche fattispecie delittuose con limiti ben precisi al risarcimento (cfr.

punto 6 del considerato in diritto).

7.2.1 Se, invece, l’eccezione di fonda sulla sentenza non piena - poiché

“patteggiata” - giova richiamare la risalente, consolidata e pacifica giurisprudenza

della Cassazione circa il carattere di vera e propria sentenza della pronuncia ex art.

444 c.p.p. (ex multis e senza pretesa di completezza: cfr. SS.UU., sent. n. 10372 del

27/09/1995; sez. 1^, sent. n. 5441 del 31/10/1995; idem n. 3080 dell’08/07/1991;

idem, n. 2926 del 28/06/1991; idem, n. 9836 dell’11/06/1990; idem, n. 8609 del

26

17/05/1990; idem, n. 3415 del 19/02/1990; sez. 6^, sentenza n. 472 dell’ 11/11/1991;

idem, ordinanza n. 3043 del 14/11/1990, ecc.) pur riconoscendo e/o precisando che è

una pronuncia giurisdizionale "sui generis", atipica, non catalogabile secondo schemi

giuridici tradizionali che, però, va considerata come una sentenza di condanna a meno

che non vi siano disposizioni di legge che stabiliscano diversamente (cfr. Cass. sez.

1^, sent. n. 9358 del 05/05/2005, n. 9976 dell’08/10/1998, n. 3080 dell’08/07/1991;

sez. f, sent. n. 2667 del 06/09/1990; sez. 2^, sent. n. 36536 del 23/09/2003; sez. 4^,

sent. n. 9981 del 12/03/2001; sez. 5^, sent. n. 39345 del 20/10/2003; sez. 6^, sent. n.

32391 del 31/07/2003, ecc.).

Anche questa Corte – come noto – è certa che, dopo la novella legislativa

introdotta dalla l. n. 97/2001, “la sentenza di patteggiamento è stata parificata alla

sentenza penale di condanna sul piano del valore probatorio circa l'effettivo

compimento dei fatti costituenti reato (…)” (ex multis, sez. 1^ c.le d’appello, sent. n.

209 del 09/05/2008, n. 36 del 29/01/2003, n. 222 del 13/07/2001; sez. 2^ c.le

d’appello, sent. n. 32 del 23/10/1995; sez. 3^ c.le d’appello, sent. n. 192 del

06/06/2002, n. 274 del 16/10/2001, n. 266 dell’ 08/10/2001; ecc.).

8. Non resta, infine, che da esaminare i comuni motivi di appello concernenti

la mancata prova del danno all’immagine, arrecato al peculiare bene immateriale, e

l’inesatta relativa quantificazione di esso. Al riguardo val notare:

8.1 per la prova, a prescindere dalla contrapposizione tra la concezione

prevalentemente riparatoria o sanzionatoria del giudizio contabile, ormai ritenute

sostanzialmente coesistenti per quanto di rispettiva validità contenutistica, sembra

meglio configurarsi la finalità di ripristino dell'immagine indipendentemente dagli

eventuali costi sopportati dalla P.A. (cfr. C. conti, sez. I c.le d’appello, 9.4.2002

n.109/A, 25.3.2002 n. 96, 18.2.2002 n. 48/A, 11.2.2002 n. 45/A, 22.1.2002 n. 16/A,

27

ecc.) e/o da eventuali lesioni da perdita di chance (sviamento di clientela,

allontanamento di investitori dalla P.A., ecc.). Detto ripristino, infatti, stando alla

sentenza n. 10/SR/QM delle Sezioni Riunite di questa Corte, si risolve in un onere

finanziario che si ripercuote sull'intera collettività, dando luogo ad una carente

utilizzazione delle risorse pubbliche e a costi aggiuntivi per correggere gli effetti

distorsivi che, sull'organizzazione della P.A., si riflettono in termini di minor

credibilità e prestigio nonché di diminuzione di potenzialità operativa.

La qual cosa, se manca la prova di esso, non preclude il danno risarcibile

come pur vorrebbero taluni precedenti giurisprudenziali (es. Sez. I c.le d’appello,

sentt. n. 282 del 02/10/2001, n. 272 del 21/09/2001, n. 266 del 17/09/2001, n. 170 del

12/06/2001, n. 77 del 23/03/2001, ecc.).

L’esatta determinazione dei costi necessari al ripristino, e non alla mera

riparazione, del bene giuridico leso - perché l’immagine pubblica, a differenza di

quella del privato, va ripristinata e non riparata - mal si presta a una specifica prova

dovendosi ritenere, in astratto, che qualsiasi spesa sostenuta dall’Amministrazione, in

quanto funzionale al buon andamento e all’imparzialità, abbia ex se concorso al

mantenimento e all’elevazione dell’immagine di essa mentre gli oneri complessivi,

per la parte non sopportata dal responsabile, restano a carico della collettività (Sez. 3^

c.le d’appello, n. 143/2009, cit.).

Del resto, quand’anche fossero individuate e isolate spese specificamente

rivolte alla riparazione dell’immagine pubblica, non può realisticamente ritenersi che

esse - di per sé sole - siano sufficienti dipendendo il ripristino da spese molto più

consistenti, articolate e trasversali, volte non solo ad assicurare un’adeguata reazione

contro l’azione lesiva e contro il suo autore ma, altresì, ad intraprendere attività

promozionali, anche mediante apposite previsioni di bilancio, per ridare fiducia ai

28

consociati e per rilanciare il prestigio dell’ente coinvolto.

8.1.1 Orbene é, per vero, innegabile che la diffusione delle notizie

concernenti la vicenda in esame ha prodotto il clamore sociale e ha determinato,

secondo quanto comunemente percepito, l’immagine negativa e il discredito per

l'Amministrazione di appartenenza quale struttura gestita attraverso pratiche illecite.

Ed è al momento di tale diffusione e della conseguente diminuzione della

considerazione, da parte dei consociati (e non solo), sia della Società ENI sia delle

sue partecipate e/o controllate sia, in ultima analisi (ricordando quanto si è detto sub

4.1), del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (azionista di maggioranza)

che tale danno si è verificato e, almeno per questi profili, può ritenersi così stesso

provato.

Non v’è dubbio, ad ogni modo, che l’accusa ne abbia fornito piena prova

mediante la produzione dei numerosi articoli di stampa e il riferimento alle molteplici

informazioni televisive e/o radiofoniche (comprovanti un’ampia divulgazione della

notizia) che hanno reso edotta l’opinione pubblica dell’illecita condotta degli odierni

appellanti e, più in generale, della particolare gravità dei rilevantissimi e sistematici

fatti del consolidato sistema di corruzione da loro realizzato ed ai medesimi

imputabile.

8.2 Per la quantificazione e/o valutazione del danno allo Stato (M.E.F.) è,

anzitutto, da tener presente che questa Sezione d’appello – operando una

rivisitazione di sintesi, anche alla luce della giurisprudenza delle S.U. della

Cassazione (cfr. SS.UU. n. 26972 e n. 26975 dell’11 novembre 2008) intervenuta

dopo la sentenza di queste Sezioni riunite n. 10/QM/2003 – ha affermato, tra l’altro,

la necessità di evitare “(…) confusione tra il nucleo patrimoniale del danno

all’immagine, costituito dalla “spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso”

29

(ex SS.UU. Cass. n. 5668/1997 e seguenti) e le “spese sostenute” per il suo ripristino

(…)” (sentenza 9 aprile 2009, n. 143).

Peraltro - come precisato dalle Sezioni Riunite di questa Corte con la

sentenza 18 gennaio 2011, n. 1/QM - è la giurisprudenza della Cassazione (cfr.

SS.UU. n. 26972 e n. 26975 dell’11 novembre 2008) a evidenziare che il danno è

costituito “(…) dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o

dell’ente (…) sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei

consociati in genere o di settori di categorie di essi con le quali la persona giuridica

o l’ente di norma interagisca, e non “dalle spese necessarie al ripristino”.

Spese che, però, non esauriscono l’identità economico-patrimoniale del danno

in parola costituendo solo uno dei criteri per la sua quantificazione che può avvenire

facendo riferimento, oltre che alle spese di ripristino del prestigio leso già sostenute,

anche a quelle ancora da sostenere. “La verità – ha osservato questa Sezione (sent.

cit.) - è che l’immagine e il prestigio della Pubblica amministrazione sono beni-valori

coessenziali all’esercizio delle pubbliche funzioni, così che l’esatta determinazione

dei costi per il loro ripristino, in caso di lesione, sfugge ad una precisa

determinazione, dovendosi ritenere che, in tesi, qualsiasi spesa sostenuta

dall’Amministrazione, in quanto finalizzata al buon andamento ed all’imparzialità,

abbia perciò stesso concorso al mantenimento ed all’elevazione dell’immagine

dell’Amministrazione medesima. Di qui la giuridica necessità di determinare l’entità

del risarcimento con esclusivo riferimento alla dimensione della lesione (recte:

perdita) dell’immagine, quale individuabile in base ai criteri sopra indicati, e non

piuttosto (…) con riferimento a somme specificamente spese per il ripristino

dell’immagine pubblica e/o alle perdite reddituali conseguenti alla perdita

dell’immagine stessa”.

30

Essendo indiscussa la perdita di valore suscettibile di valutazione

patrimoniale (cfr. le risalenti sentenze della Cass. S. U. n. 5668/1997 e n. 744/1999

oltre al successivo consolidato indirizzo, per il quale v. S.U. n. 98/2000) è, perciò, da

convenire con la Sezione territoriale quando afferma (a pag. 31) che “le pretese spese

di ripristino del bene-immagine leso sono ormai un costo fisiologico per la P.A. dopo

l'entrata in vigore della legge 7.6.2000, n.150 (in materia di comunicazione pubblica)

e, comunque, un eventuale costo suppletivo potrebbe essere sostenuto solo dopo

l'introito del risarcimento del danno patito (e non certo prima) in quanto il danno

all'immagine della P.A. (e delle società da essa partecipate, configuranti organismi

di diritto pubblico) si sostanzia esclusivamente in una menomazione della

funzionalità della società partecipata e dell'amministrazione partecipante stessa che,

in base agli art. 97 e 98 Cost., deve agire in modo efficace, efficiente, economico e

imparziale. In altre parole, il danno all'immagine è un danno pubblico in quanto

lesione del buon andamento della P.A. che perde, per la condotta illecita di suoi

dipendenti, credibilità ed affidabilità all'esterno ed ingenera la convinzione che i

comportamenti patologici posti in essere dai propri lavoratori siano un connotato

usuale dell'azione dell'ente”.

8.2.1 Ciò premesso, giova considerare che la finalità di ripristino non implica,

comunque, necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio

danneggiato dalla cattiva gestione dell’amministratore e/o dall’omesso controllo

dell’organo di vigilanza.

Nella specie, il Giudice territoriale ha proceduto alla determinazione ex art.

1226 c.c. assumendo quali indicatori: la diffusività dell'episodio nella collettività, la

gravità oggettiva dei fatti tangentizi (desunta dalle modalità di perpetrazione, dalla

reiterazione degli stessi, dall'entità dell'arricchimento e, dunque, della rilevante

31

tangente percepita), la qualifica dei soggetti interessati e il loro ruolo istituzionale

nell'organizzazione societaria in cui operavano, il contributo causale e psicologico

dato da altri correi non evocati (o non evocabili) in giudizio, ecc. In altri termini, ha

utilizzato gli usuali criteri di riferimento (logici, oggettivi, soggettivi e sociali)

elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte tenendo conto, sopra tutto, del disdoro

patito a seguito della macroscopica vicenda in esame ex se emblematica di sperpero

(e non solo) delle risorse finanziarie della collettività nell’espletamento di un servizio

pubblico essenziale quale la produzione dell’energia.

8.2.2 La PROCURA REGIONALE, però, con l’appello incidentale (così come

quella GENERALE) ha(nno) ritenuto non congruo l’importo quantificato in prime cure

e, al riguardo, ha(nno) evidenziato altri elementi di supporto ai citati criteri di

valutazione: il valore del bene leso (personalità e immagine della P.A.), l’importanza

della Società danneggiata e delle funzioni pubbliche sacrificate (settore energetico), la

dolosità del comportamento dei dipendenti corrotti, la riprovevolezza sociale oltre

alla rilevanza penale della condotta, ecc .

Ad essi questo Collegio aggiunge anche, più specificamente: l’intuibile

perdita di fiducia, a tutto discapito tanto del rispetto quanto della considerazione che i

cittadini nutrono nei confronti dei singoli soggetti titolari di così delicate funzioni

nonché dell'intera istituzione; il venir meno sia all’osservanza dei doveri di lealtà e

fedeltà verso il datore di lavoro (Società di appartenenza) sia al rispetto dei valori

fondamentali dello Stato democratico sia al generale neminem laedere nei confronti

della collettività di appartenenza, in un determinato momento storico, con i negativi

riflessi derivanti da prassi corruttiva di estrema gravità per l’ordinato vivere sociale.

Neppure è possibile, inoltre, dimenticare quanto dichiarato in sede penale - circa la

consistenza anche numerica degli episodi tangentizi (Corte dei conti, Sez. 1^c.le

32

d’appello, sent. n. 531 del 19/12/2007): ben 13 (contestati al Marzocchi) e 10 (al

SACCO) con illecita percezione di somme - e non ritrattato e/o smentito in sede

giuscontabile; né, ancora, può ignorarsi la sentenza n. 3612/2011 del Tribunale di

Milano, Sez. Lavoro che – nella causa promossa da ENIPOWER c/ MARZOCCHI – ha

ritenuto fondata la domanda della Società relativa al danno all’immagine e, di

conseguenza, ha condannato il medesimo MARZOCCHI a corrispondere alla stessa, a

titolo risarcitorio, l’importo di euro 900.000,00 oltre a euro 25.000,00 per le spese di

lite.

In ultima analisi, il peso e la rilevanza “istituzionale” del M.E.F., il

comportamento degli autori del danno, assai deviante rispetto ai doveri di servizio

violati, il clamor fori e lo strepitus, la condanna in sede penale, il negativo riflesso

(della) conseguente perdita di stima del mondo imprenditoriale, ecc. inducono a

ritenere alquanto sottostimato il danno all’immagine così come determinato

dall’appellata sentenza (euro 600 mila per MARZOCCHI e 250 mila per SACCO

PROILA).

8.3 Nell’ampia discrezionalità consentita dall’art. 1226 c.c. il Giudice, pur

potendo fare riferimento alle prospettazioni del Requirente e pur dovendo attenersi ad

un ragionevole ambito (minimo e massimo) della valutazione, non può sic et

simpliciter optare per l’uno o l’altro estremo non solo perché è tenuto ad avvalersi

della “guida” fornita dagli artt. 1223, 1227 e 2056 c.c. ma perché deve, altresì,

esercitare il proprio potere con equilibrio e saggezza essendo investito di una

funzione di particolare rilievo che, nel dar conto del criterio seguito, sia adeguata alla

bisogna e non trascuri tutti gli interessi coinvolti. L'apprezzamento equitativo, infatti,

per quanto possibile, ha la funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'iter

della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno ed è sufficiente che il

33

Giudice - sia pure con l'elasticità propria dell'istituto - indichi congrue, anche se

sommarie, ragioni del processo logico concernente l'esercizio di questo potere

discrezionale in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso concreto e da

evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria oppure sottratta ad ogni

controllo.

E’ indubbio che il potere di liquidare il danno in via equitativa “costituisce

espressione del più generale potere di cui all'art. 115 cod. proc. civ. ed il suo

esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della

richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla

cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa (…)”(Cass., Sez. 3, sentenza n.

20990 del 12/10/2011); tale possibilità presuppone, peraltro, che sia provata

l'esistenza di danni risarcibili e che “risulti obiettivamente impossibile o

particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso

ammontare” (Sez. 6 - L, ordinanza n. 27447 del 19/12/2011; Sez. 3, sentenza n.

10607 del 30/04/2010; Sez. 2, sentenza n. 13288 del 07/06/2007 e n. 16202 del

18/11/2002. Arg. anche ex Sez. L, sentenza n. 517 del 13/01/2006; Sez. 2, sentenza

n. 16094 del 29/07/2005 e n. 8795 del 28/06/2000; Sez. 3, sentenza n. 10996 del

14/07/2003).

8.4 Pertanto, nella specie, proprio in considerazione di tutti gli elementi

innanzi enucleati caratterizzanti la vicenda, il Collegio è indotto a rivedere il quantum

come determinato in prime cure e - a fronte della richiesta di euro 3.263.935,73 per

MARZOCCHI e di euro 2.189.766,60 per SACCO PROILA – accoglie parzialmente

l’appello incidentale della PROCURA REGIONALE fissando più equamente, e in misura

più adeguata, il danno arrecato all’immagine del M.E.F. in euro:

34

‐ 1.200.000,00 (unmilioneduecentomila/00) per MARZOCCHI, scomputando dal dovuto

quanto eventualmente già versato alla “ENIPOWER S.P.A.” a titolo risarcitorio per

effetto della sentenza n. 3612/2011 del Tribunale di Milano, Sez. Lavoro;

‐ 500.000,00 (cinquecentomila/00) per SACCO PROILA.

8.5 Infine, circa le richieste degli appellanti di commisurare il danno in

proporzione alla quota di partecipazione finanziaria dell’azionista pubblico M.E.F.,

è esatta la puntualizzazione della sentenza appellata secondo cui - a prescindere

dall’impossibilità fisica, prima che giuridica, di segmentare una quota del pregiudizio

all’immagine (che è unitario per ogni entità pubblica danneggiata) - nella specie la

lesione è stata subita globalmente non solo dal predetto Dicastero ma anche dall’ENI

S.p.A. e dalle società controllate facenti parte dello stesso Gruppo: la circostanza

dell’espletamento di un servizio pubblico e la gestione finalistica delle risorse, li

rende pubblici integralmente e non solo pro quota sicché il risarcimento del danno

erariale loro prodotto non può che essere totale.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Terza Giurisdizionale centrale d’appello, riuniti i

ricorsi in epigrafe, definitivamente pronunciando:

a) respinge gli appelli n. 31.794, proposto dal sig. Luigino SACCO PROILA e n.

31.798 promosso dal sig. Lorenzino MARZOCCHI;

b) accoglie parzialmente l’appello n. 31.796 incidentale promosso dalla

PROCURA REGIONALE presso la Sez. Giur. della C.d.C. per la LOMBARDIA e,

per l’effetto, condanna i signori: - MARZOCCHI Lorenzino al pagamento a favore

del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE di euro 1.200.000,00

(unmilioneduecentomila/00), oltre interessi dal deposito della sentenza al saldo

effettivo, scomputando dal dovuto quanto eventualmente già versato alla “ENIPOWER

35

S.p.A.” a titolo risarcitorio in conseguenza della sentenza n. 3612/2011 del Tribunale

di Milano, Sez. Lavoro; - SACCO PROILA Luigino al pagamento di euro

500.000,00 (cinquecentomila/00), oltre interessi dal deposito della presente sentenza

al saldo effettivo.

Condanna, altresì, ciascun appellante al pagamento delle spese di lite che

quantifica in Euro 665,80 (seicentosessantacinque/80 centesimi) pro capite;

c) dispone la trasmissione degli atti – come di seguito indicati - al P.M. presso il

Tribunale ordinario di MILANO, innanzi al quale il processo dovrà proseguire,

restando salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi a

questo Giudice speciale:

1) copie degli appelli relativi ai giudizi nn.31794 – 31798 e 31796;

2) copia sentenza/ordinanza n. 329/2009 di questa Sezione;

3) copia del decreto presidenziale della Sezione giurisdizionale per la Lombardia in

data 30 marzo 2006 e copia dell’ordinanza di sequestro conservativo n. 183/2006;

4) copia del ricorso per Cassazione n. 25573/2009 del sig. Proila;

5) copia dell’ordinanza a verbale di questa Sezione in data 17 marzo 2010;

6) copia dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 16287 del 22 giugno 2012;

7) copia dell’atto di riassunzione del Procuratore Generale in data 22 settembre 2010;

8) copia delle memorie illustrative dell’Avv. Della Valle in data 5 novembre 2010 e

11 marzo 2011;

9) copia della memoria in data 5 novembre 2011 presentata dagli avv. Romano e

Manzoni per il sig. Marzocchi;

10) copia della sentenza del Tribunale di Milano n. 879/2009;

11) copia della sentenza del Tribunale di Milano – Sezione Lavoro n. 3612/2011;

d) ordina che, a cura della Segreteria, copia della presente sentenza sia trasmessa,

36

per quanto di rispettiva competenza, al MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE (Gabinetto), all’E.N.I. S.P.A., alla ENIPOWER S.P.A. e alla

SNAMPROGETTI S.P.A.

Roma, Camera di consiglio del 19 ottobre 2011 proseguita il 18 gennaio 2012

e il 22 febbraio 2012.

IL PRESIDENTE RELATORE ESTENSORE

F.to dott. Ignazio de Marco

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 14 marzo 2012

IL DIRIGENTE

F.TO DOTT. MICHELE LORENZELLI


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