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sentenza 1° aprile 1993, n. 133 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres....

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sentenza 1° aprile 1993, n. 133 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres. Casavola, Est. Mengoni; Comunità montana della Maielletta (Avv. Moscarini) c. Comune di Rapino; Condominio Altair e altri c. Comune di Ovindoli; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Cass. 19 dicembre 1991 e 23 gennaio 1992 (G.U., 1 a s.s., n. 29 del 1992) Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2125/2126-2129/2130 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187528 . Accessed: 25/06/2014 02:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 02:29:02 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 1° aprile 1993, n. 133 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres. Casavola, Est. Mengoni; Comunità montana della Maielletta (Avv. Moscarini) c.

sentenza 1° aprile 1993, n. 133 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres.Casavola, Est. Mengoni; Comunità montana della Maielletta (Avv. Moscarini) c. Comune diRapino; Condominio Altair e altri c. Comune di Ovindoli; interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Zotta). Ord. Cass. 19 dicembre 1991 e 23 gennaio 1992 (G.U., 1 a s.s., n. 29 del 1992)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2125/2126-2129/2130Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187528 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - La Corte d'appello di Palermo ha sollevato, in riferimento all'art. 42, 3° comma, Cost., questione di legitti mità costituzionale dell'art. 2, 2° e 3° comma, 1. 20 dicembre

1932 n. 1849, come sostituito dall'art. 1 1. 8 marzo 1968 n.

180, concernente l'indennizzo spettante ai proprietari di immo

bili colpiti da servitù militari, «in quanto non prevede, per la

determinazione dell'indennità, un criterio alternativo a quello automatico del riferimento ai valori della rendita catastale, lad

dove questo risulta inadeguato». 2. - Devono preliminarmente essere respinte le eccezioni di

inammissibilità sollevate dall'avvocatura dello Stato sotto il tri

plice profilo: a) che la questione è stata sollevata in sede di

giudizio di rinvio nei confronti della norma risultante dal prin

cipio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione; b) che, non

essendo citato nel dispositivo dell'ordinanza l'art. 14, 2° com

ma, 1. 24 dicembre 1976 n. 898, non sarebbe stato rispettato l'onere di individuare esattamente la disposizione da sottoporre a sindacato; c) che la sentenza additiva prospettata dal giudice a quo sarebbe invasiva delle scelte riservate alla discrezionalità

del legislatore. La prima eccezione è respinta dalla giurisprudenza costante

di questa corte (cfr., da ultimo, sent. nn. 289 del 1992, Foro

it., Rep. 1992, voce Ordinamento giudiziario, n. 154; 30 del

1990, id., 1992, I, 30 e qui richiamo delle pronunce anteriori), mentre alla seconda si oppone il rilievo che l'applicabilità nella

specie della 1. n. 180 del 1968 non dipende dall'art. 14, 2° com

ma, 1. n. 898 del 1976, che è norma di mero richiamo della

disciplina applicabile al periodo precedente la data di entrata

in vigore della nuova legge, e precisamente il periodo dal 6 apri le 1968 al 12 gennaio 1977. Pure la terza eccezione è infondata

perché l'alternativa formulata nel dispositivo dell'ordinanza, ret

tamente interpretata, prospetta una sentenza meramente cadu

catoria.

3. - Dal giudice rimettente il criterio di determinazione del

l'indennità di asservimento indicato dalla disposizione impugnata è ritenuto inadeguato a garantire un «serio ristoro» quando la

servitù militare colpisca un terreno dotato di «immediata attitu

dine edificatoria», come accade nel caso di specie, in cui —

secondo quanto si legge nella sentenza della Corte di cassazione

n. 1549 del 1986 {id., Rep. 1986, voce Servitù e zone militari

n. 2), pronunciata (con rinvio) nel processo a quo — «i vincoli

imposti dall'autorità militare vengono a incidere sulla già matu

rata appetibilità del terreno, sul mercato immobiliare, non co

me fondo agricolo, ma quale bene dotato di un più elevato va

lore di scambio perché destinato all'urbanizzazione». Se cosi

è — e lo dimostra il risultato del calcolo operato dal giudice

a quo — il detto criterio deve considerarsi inadeguato in gene

rale, potendo dirsi adeguato solo un criterio che, presupposta la correttezza delle stime che forniscono i coefficienti di calco

lo, determini in ogni caso un equo indennizzo della perdita pa

trimoniale subita dal proprietario. Perciò l'alternativa prospettata nell'ordinanza di rimessione,

senza alcuna specificazione di contenuto, non può essere intesa

nel senso di una disgiuntiva inclusiva, cioè in funzione di una

sentenza aggiuntiva al criterio previsto dalla legge di un altro

criterio, la scelta del quale sarebbe rimessa al giudice quando

il primo si rivelasse inadeguato. Essa va interpretata, piuttosto,

come disgiuntiva esclusiva rivolta a una sentenza caducatoria,

per effetto della quale si ripristinerebbe, per tutto il periodo

indicato dall'art. 14, 2° comma, 1. n. 898 del 1976, la regola

di indennizzo: il giudice costituzionale attribuisce al legislatore uno spa zio residuale al di fuori delle regole generali, nel quale elaborare criteri

più o meno automatici di determinazione dell'indennizzo, senza per questo travalicare il parametro del «giusto prezzo» di cui agli art. 39, 40 e

68 1. 2359/1865. L'esigenza insopprimibile del serio ristoro a favore

del soggetto che subisce l'espropriazione non deve necessariamente tra

dursi nell'attribuzione dell'integrale valore effettivo del bene (Corte cost.

19 aprile 1990, n. 216, id., 1990, I, 2735, con nota di R. Caso). E

l'esemplificazione, contenuta in chiusura, del criterio di liquidazione ancorato alla media, eventualmente corretta, del valore venale col red

dito dominicale rivalutato, assume il significato di una risposta antici

pata sulla questione di legittimità costituzionale relativamente ai nuovi

criteri di cui all'art. 5 bis 1. 8 agosto 1992 n. 359, questione ritenuta

infondata da Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283, in questo fascicolo,

I, 2089, con nota di richiami di Gambaro, la cui motivazione più volte

cita la decisione in epigrafe.

Il Foro Italiano — 1993.

di calcolo dell'indennizzo desumibile dalla legge generale del 1865, alla quale si è riferita la giurisprudenza dopo la sentenza n.

6 del 1966 (id., 1966, I, 203). 4. - Precisata nei termini ora detti, la questione è fondata.

Poiché l'imposizione di una servitù militare configura un ca

so analogo a quello dell'occupazione parziale e temporanea del

fondo, il giudizio di congruità dell'indennizzo non può prescin dere dal parametro del «giusto prezzo» risultante dagli art. 40

e 68 1. n. 2359 del 1865. Si tratta appunto di un parametro, non di un termine vincolante di esatta commisurazione (cfr. sen

tenze nn. 216 del 1990, id., 1990, I, 2735; 530 del 1988, id., 1991, I, 994; 1022 del 1988, id., 1989, I, 983; 138 del 1977, id., 1978, I, 25): il legislatore rimane libero di adottare criteri

più o meno automatici di determinazione dell'indennizzo, per

esempio rapportandolo al valore catastale dell'immobile (risul tante dalla moltiplicazione del reddito dominicale rivalutato per un certo coefficiente), oppure alla media, eventualmente corret

ta, del valore venale col reddito dominicale rivalutato (cfr. art.

5 bis d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella 1. 8 agosto 1992 n. 359), sempre che le tariffe d'estimo siano stabilite in

misura tale da produrre un risultato che, confrontato con quel

parametro e tenuto conto degli interessi generali sottesi al prov vedimento espropriativo, possa considerarsi equo.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 2, 2° e 3° comma, 1. 20 dicembre

1932 n. 1849 (riforma del testo unico delle leggi sulle servitù

militari), come sostituto dall'art. 1 1. 8 marzo 1968 n. 180 (mo dificazioni della 1. 20 dicembre 1932 n. 1849, concernente la

riforma del testo unico delle leggi sulle servitù militari).

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° aprile 1993, n. 133

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres. Casavola, Est. Mengoni; Comunità montana della

Maielletta (Avv. Moscarini) c. Comune di Rapino; Condo

minio Altair e altri c. Comune di Ovindoli; interv. Pres. cons,

ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Cass. 19 dicembre

1991 e 23 gennaio 1992 (G.U., la s.s., n. 29 del 1992).

Usi civici — Giudizio commissariale — Procedibilità d'ufficio — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 24,

101, 118; 1. 16 giugno 1927 n. 1766, riordinamento degli usi

civici, art. 29).

È inammissibile, in quanto coinvolge scelte che rientrano nella

discrezionalità del legislatore, la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 29, 1° comma, l. 16 giugno 1927 n. 1766,

nella parte in cui consente al commissario per gli usi civici

di procedere d'ufficio, in riferimento agli art. 24, 1° e 2°

comma, 101 e 118, 1° e 2° comma, Cost. (1)

(1) 1. - Cass., ord. 19 dicembre 1991-14 aprile 1992, n. 363, è massi

mata in Foro it., Rep. 1992, voce Usi civici, n. 15. La pronuncia che si riporta brevemente si sofferma in parte motiva

sulla circostanza che l'ordinanza sia stata emessa nell'ambito di un pro cedimento per regolamento preventivo di giurisdizione attivato sull'as

sunto che l'esercizio officioso commissariale implicasse eccesso di pote re giurisdizionale; e conclude col ritenerla propria di un procedimento correttamente instaurato poiché l'iniziativa officiosa, della cui legittimi tà il ricorrente ex art. 41 c.p.c. dubitava, è essa stessa un atto interno

alla funzione giurisdizionale. Circa l'inammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione se

relativo a questioni attinenti non al riparto della giurisdizione fra giudi ci di ordine diverso, ma ai limiti interni della giurisdizione del giudice

adito, v. però la costante giurisprudenza delle sezioni unite, su cui da

ultimo Cass. 29 novembre 1991, n. 12843, id., Rep. 1991, voce Giuri

sdizione civile, n. 227; ord. 27 novembre 1990, n. 964, id., 1991, I,

1499, con richiami ed osservazioni di M. Iozzo.

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2127 PARTE PRIMA 2128

Diritto. — 1. - Con due ordinanze pronunciate l'una (r.o.

353/92) in sede di regolamento di giurisdizione, l'altra in sede

di ricorso ex art. Ill Cost. (r.o. 354/92) le sezioni unite della

Corte di cassazione hanno sollevato questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 29, 1° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766, «nella parte in cui prevede che i giudizi davanti ai commissari

degli usi civici possano essere promossi anche di ufficio».

2. - L'avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità della

questione sollevata con la prima ordinanza, sul rilievo che il

ricorso per regolamento di giurisdizione è uno strumento pro cessuale per individuare il giudice avente giurisdizione, «non an

che per giudicare della legittimazione o meno del soggetto (od

organo) attore o convenuto».

L'eccezione non può essere condivisa. Essa presuppone che

il commissario-giudice, quando esercita il potere di procedere ex officio, assuma anche la qualità di parte nel processo, il che

è sicuramente da escludere. L'iniziativa ufficiosa è, essa stessa, un atto interno alla funzione giurisdizionale, di guisa che la

questione se il commissario sia investito del potere di agire d'uf

ficio è legittimamente proposta col ricorso previsto dall'art. 41

c.p.c.

2. - La Corte costituzionale, facendo immediato seguito alle proprie precedenti pronunce 9 novembre 1992, n. 425 (ord.) e 19 ottobre 1992, n. 395, id., 1993, I, 4, con nota di F. Pietrosanti, Tutela giurisdizio nale d'ufficio dei diritti d'uso civico?, mette punto ai dubbi di costitu zionalità in tema di procedibilità officiosa del giudizio commissariale, dichiarando la relativa questione inammissibile sulla considerazione che una dichiarazione di incostituzionalità implicherebbe invasione della sfera delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore in tema di indivi duazione dei modi in cui trasferire il potere di iniziativa officiosa, per la tutela dell'interesse pubblico generale relativo agli usi civici, dal com missario ripartitore al p.m. che a lui si sostituisca nella relativa funzione.

La corte infatti individua nell'art. 1, lett. h, 1. 8 agosto 1985 n. 431, che ha sottoposto al vincolo paesaggistico le zone gravate da usi civici, il riconoscimento di un interesse pubblico generale relativo agli usi civi ci più ampio di quello locale, già trasferito alla cura delle regioni, la cui tutela giurisdizionale assegna all'iniziativa officiosa dello stesso com missario.

La succinta conclusione è tuttavia sconcertante. Certamente, l'assog gettamento delle zone gravate da usi civici alla 1. 1497/39, sulla prote zione delle bellezze naturali, determina il legislativo riconoscimento «del loro notevole interesse pubblico» (art. 1 1. cit.), la tutela del quale, però, è demandata dall'art. 82 d.p.r. 616/77, appunto alle regioni, che vedono a sé trasferite anche le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali

(art. 83 stesso testo) e soprattutto acquisiscono la cura amministrativa delle problematiche in tema di usi civici, giusta l'antecedente art. 66.

Nulla induce a supporre che il potere dei commissari di provvedere d'ufficio alla tutela giurisdizionale degli usi civici resti conservato agli esclusivi fini alla tutela dell'interesse paesaggistico, immedesimato dalle terre d'uso civico, da proteggersi in quanto bellezze naturali.

Siffatto restyling della funzione commissariale è invero supposto pro prio sull'assunto che la cura dell'individuato interesse pubblico generale paesaggistico non possa essere consegnata — una volta che il commis sario sia privato della controversa attribuzione — né all'azione popola re né alle regioni, portatrici di interessi particolari, con la conseguenza che la titolarità della azione officiosa a tutela del detto interesse pubbli co non può essere tolta al commissario ripartitore (in quanto non più razionalmente giustificabile) senza essere nel contempo attribuita «ad un organo di giustizia diverso e precisamente al pubblico ministero, giusta il modello normalmente seguito dalla legge quando nell'oggetto della controversia è coinvolto, insieme con l'interesse privato, un inte resse pubblico generale».

Ma la supposizione sembra arbitraria per più ragioni. Innanzitutto perché è la stessa legge a ritenere l'interesse pubblico

a carattere paesaggistico correttamente protetto dalle regioni; in secon do luogo, perché è arbitrario supporre che l'interesse espresso dalle am ministrazioni regionali non coincide con l'interesse individuato da un

potere giurisdizionale statuale; infine perché la tutela degli innumeri interessi pubblici non è sempre demandata all'iniziativa officiosa di un

p.m. o di un giudice che ne assommi le funzioni. Ad esempio, e tanto

per restare nell'ambito di beni sottoposti a vincolo paesaggistico in vir tù del richiamato art. 1, lett. c, 1. 431/85, quali le acque pubbliche, le azioni ad esse relative (disciplinate dal t.u. 1775/33) sono rimesse all'esclusiva iniziativa dei soggetti interessati.

In generale, sulla figura del p.m. nel processo amministrativo, v., per la critica della relativa ipotesi, V. Caianiello, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, 92, e, nel processo civile, F. Cipriani, L'agonia del pubblico ministero nel processo civile, in Foro it., 1993, I, 12. [F. Pietrosanti]

Il Foro Italiano — 1993.

La questione sollevata con la seconda ordinanza sarebbe irri

levante, secondo l'avvocatura dello Stato, perché la natura de

maniale civica del terreno di cui si controverte è già stata accer

tata da una sentenza commissariale in data 21 novembre 1991

passata in giudicato. Anche questa eccezione va respinta perché la valutazione circa l'efficacia preclusiva di una sentenza prece

dente, pronunciata nei confronti delle stesse parti, appartiene alla competenza del giudice a quo.

3. - I giudizi di costituzionalità promossi dalle due ordinanze

hanno per oggetto la medesima questione e quindi se ne dispo ne la riunione perché siano definiti con unica sentenza.

4. - La questione è inammissibile per una ragione attinente

ai limiti dei poteri di questa corte. Ad avviso del giudice a quo, il potere di impulso processuale

attribuito dalla norma denunciata al commissario, mentre pote va giustificarsi nell'ordinamento originario degli usi civici, dove

«l'anomalia dell'attore-giudice era il riflesso dell'anomalia

amministratore-giudice», non è più giustificabile dopo il trasfe

rimento alle regioni di tutte le funzioni amministrative in questa

materia, attuato dal d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616: «il commissa

rio, oggi, è soltanto un giudice che, come tale, non può e non

deve essere portatore di alcun interesse particolare attinente alla

materia degli usi civici, la cui cura non gli è più attribuita».

Integrato con l'assunto che il commissario non è oggi porta tore di alcun interesse pubblico all'infuori dell'astratto interesse

alla corretta applicazione della legge, l'argomento dovrebbe in

durre a risolvere la questione sul piano esegetico, riconoscendo

non più sostenibile, conformemente all'opinione di una parte della dottrina, l'interpretazione che estende l'inciso «anche di

ufficio» contenuto nel 1° comma dell'art. 29 1. n. 1766 del 1927, conernente le funzioni amministrative del commissario, all'ac

certamento giurisdizionale dei diritti di uso civico e in genere alle funzioni giurisdizionali previste nel 2° comma. Nella giuris

prudenza anteriore al 1977 tale interpretazione e la conseguente natura prevalentemente inquisitoria del processo in materia di

usi civici erano affermate in ragione dell'incidentalità delle con

troversie di competenza del commissario nelle operazioni ammi

nistrative a lui stesso affidate.

La tradizionale interpretazione estensiva, tenuta ferma dalla

Corte di cassazione, può ancora sostenersi soltanto se si nega il detto carattere di incidentalità, cioè la perfetta corrisponden za delle funzioni giurisdizionali a quelle amministrative, e si am

mette, invece, che il trasferimento di queste alle regioni non

esaurisce il compito di cura degli interessi pubblici inerenti agli usi civici. Accanto agli interessi locali, di cui sono diventate

esponenti le regioni, emerge l'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici nella misura in cui essa contri

buisce alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio. II potere dei commissari di provvedere d'ufficio alla tutela giurisdiziona le non è riferibile se non a siffatto interesse — sancito dall'art. 1 1. 8 agosto 1985 n. 431, che ha assoggettato a vincolo paesag

gistico le zone gravate dai usi civici — e, con esso, indiretta

mente anche all'interesse delle popolazioni titolari dei diritti ci

vici, non sempre coincidente con gli interessi particolari portati dall'amministrazione regionale.

5. - Apprezzato alla stregua di questa precisazione, l'argo mento riferito nel numero precedente intacca il fondamento giu stificativo dell'attribuzione allo stesso commissario-giudice del

potere di promuovere d'ufficio i giudizi di sua competenza, ma

non conduce a una soluzione meramente caducatoria, che riser

verebbe il potere di azione alle popolazioni interessate e alle

regioni. In altre parole, dato l'interesse pubblico generale sopra

individuato, la cura del quale non può essere rimessa esclusiva

mente alle regioni, la questione di legittimità costituzionale del

la norma impugnata può porsi solo come dubbio se la deroga al principio della domanda, che garantisce l'imparzialità e l'og gettività del giudizio, sia tuttora razionalmente giustificabile op

pure, venuta meno la giustificazione legata all'originaria coesi

stenza in capo al commissario delle funzioni amministrative e

delle funzioni giurisdizionali, il potere di impulso ufficioso deb ba essere attribuito a un organo di giustizia diverso, e precisa mente al pubblico ministero giusta il modello normalmente se

guito dalla legge quando nell'oggetto di una controversia è coin

volto, insieme con l'interesse privato, un interesse pubblico

generale (cfr. art. 117, 119, 125, 848, 2098 c.c.; art. 78 r.d.

n. 1127 del 1939; art. 59 r.d. n. 929 del 1942, ecc.). Il dubbio

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

è proponibile non solo in relazione all'art. 3 Cost., non esplici tamente richiamato nelle odierne ordinanze di rimessione (a dif

ferenza dalla precedente ordinanza n. 820 del 1991, che ha dato

luogo alla sentenza n. 395 del 1992, Foro it., 1993, I, 4), sebbe

ne il principio di ragionevolezza rimanga il referente implicito della prima parte della motivazione, ma anche con riguardo al

l'art. 24, 2° comma, Cost, coordinato con l'art. 3: nel nostro

caso la deroga alla regola di terzietà del giudice tocca il diritto

di difesa alterando la normale dialettica processuale, sia perché la domanda introduttiva del giudizio, formulata dallo stesso giu

dice, prefigura il contenuto della decisione, sia perché il con

traddittorio non si instaura in condizioni di parità tra le parti del rapporto sostanziale, bensì' tra queste, da un lato, e il giudi

ce, dall'altro.

Ma la questione, quale che ne sia il fondamento, è inammis

sibile in quanto implica una invasione della sfera delle scelte

riservate alla discrezionalità del legislatore. Invero, lo sposta mento del potere di azione in capo al pubblico ministero può avvenire secondo una pluralità di varianti, per esempio istituen

do l'ufficio del pubblico ministero presso il commissario agli usi civici e lasciando a quest'ultimo il solo compito di giudica

re, oppure — soluzione ritenuta dall'avvocatura dello Stato più coerente con l'art. 102, 2° comma, Cost, e con le esigenze pra tiche e di salvaguardia — abolendo la giurisdizione speciale del

commissario e lasciandogli soltanto il potere di iniziativa pro

cessuale, cioè trasformandolo in un organo specializzato del pub blico ministero presso il tribunale ordinario.

In ogni caso, indipendentemente dalle possibili varianti, si trat

ta di un intervento nell'organizzazione della giustizia manifesta

mente estraneo ai poteri di questa corte.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale

dell'art. 29, 1° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766 (conversione in legge del r.d. 22 maggio 1924 n. 751, riguardante il riordina

mento degli usi civici nel regno, del r.d. 28 agosto 1924 n. 1484,

che modifica l'art. 26 del r.d. 22 maggio 1924 n. 751 e del

r.d. 16 maggio 1926 n. 895, che proroga i termini assegnati

dall'art. 2 r.d.l. 22 maggio 1924 n. 751), sollevata, in riferimen

to agli art. 24, 1° e 2° comma, 101 e 118, 1° e 2° comma,

Cost., dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con le ordi

nanze in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 marzo 1993, n. 99

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 marzo 1993, n. 13);

Pres. Casavola, Est. Guizzi; Soc. I.D.M. c. Napoli. Ord.

App. Roma 5 luglio 1989 (G.U., la s.s., n. 27 del 1992)

Impiegato dello Stato e pubblico — Indennità di fine rapporto — Impignorabilità

— Incostituzionalità (Cost., art. 3; cod.

proc. civ., art. 545; d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180, approvazio ne del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pi

gnoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei

dipendenti delle pubbliche amministrazioni, art. 2).

È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 2, 1° com

ma, n. 3, d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180, nella parte in cui

esclude, per i dipendenti degli enti indicati nell'art. 1 dello stesso decreto, la sequestrabilità e la pignorabilità, entro i li

miti stabiliti dall'art. 545, 4° comma, c.p.c., anche per ogni

altro credito, delle indennità di fine rapporto di lavoro spet

tanti ai detti dipendenti. (1)

(1) La corte continua nell'opera di depurazione della normativa di

salvaguardia delle retribuzioni dei pubblici dipendenti dai privilegi non

coerenti con i precetti costituzionali: per ogni riferimento si rinvia al

l'ampia e completa ricostruzione dei precedenti in materia e della evolu

zione della natura dell'indennità di fine rapporto contenuta nella moti

vazione della sentenza in epigrafe.

Il Foro Italiano — 1993.

Diritto. — 1. - Viene all'esame della corte, con riferimento

all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 2, 1° comma, n. 2 (rectius, n. 3), d.p.r. 5 gennaio 1950

n. 180, in relazione all'art. 545, 4° comma, c.p.c., nella parte in cui esclude, per i dipendenti degli enti indicati nell'art. 1 del

lo stesso decreto, la pignorabilità, anche per ogni altro credito, delle indennità di fine rapporto di lavoro spettanti ai detti di

pendenti. 2. - La questione è fondata.

L'art. 545 c.p.c. stabilisce, al 3° comma, che «le somme do

vute da privati a titolo di stipendio, di salario, o di altre inden

nità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal pretore». La di

sposizione prosegue, al 4° comma, stabilendo che «tali somme

possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi

dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura

per ogni altro credito». Le somme dovute dai privati datori di

lavoro a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relati

ve al rapporto di lavoro sono perciò pignorabili, nella misura

massima di un quinto, per ogni tipo di credito.

Da siffatto regime generale si discostava tutto il comparto

dell'impiego pubblico (Stato, province, comuni, istituzioni pub bliche di assistenza e beneficenza e «qualsiasi altro ente od isti

tuto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza del

l'amministrazione pubblica e le imprese concessionarie di un ser

vizio pubblico di comunicazione o di trasporto»), per il quale l'art. 1 d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180, stabiliva la regola della

normale insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità di sti

pendi, salari, pensioni ed altri emolumenti. Regola, questa, che

conosceva soltanto le eccezioni stabilite dagli art. 2 ss. del de

creto in esame.

3. - I limiti al pignoramento degli emolumenti percepiti dai

pubblici dipendenti hanno formato oggetto di numerose pro nunce da parte di questa corte che ha volutamente allargato, in danno dei dipendenti pubblici, l'area dei crediti pignorabili.

Una prima serie di interventi ha riguardato, in particolare,

le retribuzioni dei pubblici dipendenti. La sentenza n. 89 del

1987 (.Foro it., 1987, I, 1001) aveva aperto la breccia dichiaran

do l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, n. 3, d.p.r. n. 180, che, fissando il regime di ordinaria impignorabilità e

insequestrabilità degli emolumenti dei dipendenti pubblici, pre vedeva l'aggredibilità dei crediti da lavoro «fino alla concorren

za di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti

allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fin dalla

loro origine, all'impiegato o salariato». E pertanto non consen

tiva — contrariamente a quanto dispone, per il settore privato, il 4° comma dell'art. 545 c.p.c. — la pignorabilità e la seque

strabilità, nella stessa misura, degli emolumenti dovuti da «altri

enti diversi dallo Stato» per ogni altra ragione creditoria diver

sa da quella fiscale. La successiva sentenza n. 878 del 1988 (id.,

1988, I, 2787) eliminava lo stesso privilegio ancora sussistente

per i dipendenti dello Stato. E la sentenza n. 115 del 1990 (id.,

1990. I, 2750) affermava l'illegittimità dell'art. 1, 3° comma, lett. tì), 1. 27 maggio 1959 n. 324, «nella parte in cui non preve

deva la pignorabilità, sequestrabilità e cedibilità dell'indennità

integrativa speciale istituita al 1° comma dell'articolo, fino alla

concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confron

ti del personale» interessato.

Una seconda serie di interventi (sentenze nn. 1401 del 1988,

ibid., 2138; 155 del 1987, id., 1987, I, 1651; 209 del 1984, id., 1984, I, 2415) ha avuto ad oggetto, in particolare, le pensioni.

In tale settore, d'indubbia peculiarità, la corte:

a) ha dichiarato l'illegittimità delle disposizioni che esclude vano la pignorabilità delle pensioni, ma limitatamente ai crediti

particolarmente qualificati, come quelli alimentari, il cui rico

noscimento discende dall'art. 29 Cost.,

b) ha tuttavia pienamente giustificato (sentenze nn. 55 del

1991, id., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata per obbligazioni

pecuniarie, nn. 23, 24, e 231 del 1989, id., Rep. 1989, voce

Impiegato dello Stato, n. 916) il regime generale dell'impigno

rabilità delle pensioni, in tutti i settori lavorativi, in ossequio alle finalità previdenziali che lo sorreggono.

4. - Chiamata ad affrontare per la prima volta la questione

della sequestrabilità e pignorabilità della cosiddetta indennità

di buonuscita, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 340

del 1990 (id., 1990, I, 2692), non ha potuto spingersi oltre i

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