sentenza 1° aprile 1993, n. 133 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres.Casavola, Est. Mengoni; Comunità montana della Maielletta (Avv. Moscarini) c. Comune diRapino; Condominio Altair e altri c. Comune di Ovindoli; interv. Pres. cons. ministri (Avv.dello Stato Zotta). Ord. Cass. 19 dicembre 1991 e 23 gennaio 1992 (G.U., 1 a s.s., n. 29 del 1992)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2125/2126-2129/2130Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187528 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - La Corte d'appello di Palermo ha sollevato, in riferimento all'art. 42, 3° comma, Cost., questione di legitti mità costituzionale dell'art. 2, 2° e 3° comma, 1. 20 dicembre
1932 n. 1849, come sostituito dall'art. 1 1. 8 marzo 1968 n.
180, concernente l'indennizzo spettante ai proprietari di immo
bili colpiti da servitù militari, «in quanto non prevede, per la
determinazione dell'indennità, un criterio alternativo a quello automatico del riferimento ai valori della rendita catastale, lad
dove questo risulta inadeguato». 2. - Devono preliminarmente essere respinte le eccezioni di
inammissibilità sollevate dall'avvocatura dello Stato sotto il tri
plice profilo: a) che la questione è stata sollevata in sede di
giudizio di rinvio nei confronti della norma risultante dal prin
cipio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione; b) che, non
essendo citato nel dispositivo dell'ordinanza l'art. 14, 2° com
ma, 1. 24 dicembre 1976 n. 898, non sarebbe stato rispettato l'onere di individuare esattamente la disposizione da sottoporre a sindacato; c) che la sentenza additiva prospettata dal giudice a quo sarebbe invasiva delle scelte riservate alla discrezionalità
del legislatore. La prima eccezione è respinta dalla giurisprudenza costante
di questa corte (cfr., da ultimo, sent. nn. 289 del 1992, Foro
it., Rep. 1992, voce Ordinamento giudiziario, n. 154; 30 del
1990, id., 1992, I, 30 e qui richiamo delle pronunce anteriori), mentre alla seconda si oppone il rilievo che l'applicabilità nella
specie della 1. n. 180 del 1968 non dipende dall'art. 14, 2° com
ma, 1. n. 898 del 1976, che è norma di mero richiamo della
disciplina applicabile al periodo precedente la data di entrata
in vigore della nuova legge, e precisamente il periodo dal 6 apri le 1968 al 12 gennaio 1977. Pure la terza eccezione è infondata
perché l'alternativa formulata nel dispositivo dell'ordinanza, ret
tamente interpretata, prospetta una sentenza meramente cadu
catoria.
3. - Dal giudice rimettente il criterio di determinazione del
l'indennità di asservimento indicato dalla disposizione impugnata è ritenuto inadeguato a garantire un «serio ristoro» quando la
servitù militare colpisca un terreno dotato di «immediata attitu
dine edificatoria», come accade nel caso di specie, in cui —
secondo quanto si legge nella sentenza della Corte di cassazione
n. 1549 del 1986 {id., Rep. 1986, voce Servitù e zone militari
n. 2), pronunciata (con rinvio) nel processo a quo — «i vincoli
imposti dall'autorità militare vengono a incidere sulla già matu
rata appetibilità del terreno, sul mercato immobiliare, non co
me fondo agricolo, ma quale bene dotato di un più elevato va
lore di scambio perché destinato all'urbanizzazione». Se cosi
è — e lo dimostra il risultato del calcolo operato dal giudice
a quo — il detto criterio deve considerarsi inadeguato in gene
rale, potendo dirsi adeguato solo un criterio che, presupposta la correttezza delle stime che forniscono i coefficienti di calco
lo, determini in ogni caso un equo indennizzo della perdita pa
trimoniale subita dal proprietario. Perciò l'alternativa prospettata nell'ordinanza di rimessione,
senza alcuna specificazione di contenuto, non può essere intesa
nel senso di una disgiuntiva inclusiva, cioè in funzione di una
sentenza aggiuntiva al criterio previsto dalla legge di un altro
criterio, la scelta del quale sarebbe rimessa al giudice quando
il primo si rivelasse inadeguato. Essa va interpretata, piuttosto,
come disgiuntiva esclusiva rivolta a una sentenza caducatoria,
per effetto della quale si ripristinerebbe, per tutto il periodo
indicato dall'art. 14, 2° comma, 1. n. 898 del 1976, la regola
di indennizzo: il giudice costituzionale attribuisce al legislatore uno spa zio residuale al di fuori delle regole generali, nel quale elaborare criteri
più o meno automatici di determinazione dell'indennizzo, senza per questo travalicare il parametro del «giusto prezzo» di cui agli art. 39, 40 e
68 1. 2359/1865. L'esigenza insopprimibile del serio ristoro a favore
del soggetto che subisce l'espropriazione non deve necessariamente tra
dursi nell'attribuzione dell'integrale valore effettivo del bene (Corte cost.
19 aprile 1990, n. 216, id., 1990, I, 2735, con nota di R. Caso). E
l'esemplificazione, contenuta in chiusura, del criterio di liquidazione ancorato alla media, eventualmente corretta, del valore venale col red
dito dominicale rivalutato, assume il significato di una risposta antici
pata sulla questione di legittimità costituzionale relativamente ai nuovi
criteri di cui all'art. 5 bis 1. 8 agosto 1992 n. 359, questione ritenuta
infondata da Corte cost. 16 giugno 1993, n. 283, in questo fascicolo,
I, 2089, con nota di richiami di Gambaro, la cui motivazione più volte
cita la decisione in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1993.
di calcolo dell'indennizzo desumibile dalla legge generale del 1865, alla quale si è riferita la giurisprudenza dopo la sentenza n.
6 del 1966 (id., 1966, I, 203). 4. - Precisata nei termini ora detti, la questione è fondata.
Poiché l'imposizione di una servitù militare configura un ca
so analogo a quello dell'occupazione parziale e temporanea del
fondo, il giudizio di congruità dell'indennizzo non può prescin dere dal parametro del «giusto prezzo» risultante dagli art. 40
e 68 1. n. 2359 del 1865. Si tratta appunto di un parametro, non di un termine vincolante di esatta commisurazione (cfr. sen
tenze nn. 216 del 1990, id., 1990, I, 2735; 530 del 1988, id., 1991, I, 994; 1022 del 1988, id., 1989, I, 983; 138 del 1977, id., 1978, I, 25): il legislatore rimane libero di adottare criteri
più o meno automatici di determinazione dell'indennizzo, per
esempio rapportandolo al valore catastale dell'immobile (risul tante dalla moltiplicazione del reddito dominicale rivalutato per un certo coefficiente), oppure alla media, eventualmente corret
ta, del valore venale col reddito dominicale rivalutato (cfr. art.
5 bis d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella 1. 8 agosto 1992 n. 359), sempre che le tariffe d'estimo siano stabilite in
misura tale da produrre un risultato che, confrontato con quel
parametro e tenuto conto degli interessi generali sottesi al prov vedimento espropriativo, possa considerarsi equo.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 2, 2° e 3° comma, 1. 20 dicembre
1932 n. 1849 (riforma del testo unico delle leggi sulle servitù
militari), come sostituto dall'art. 1 1. 8 marzo 1968 n. 180 (mo dificazioni della 1. 20 dicembre 1932 n. 1849, concernente la
riforma del testo unico delle leggi sulle servitù militari).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° aprile 1993, n. 133
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres. Casavola, Est. Mengoni; Comunità montana della
Maielletta (Avv. Moscarini) c. Comune di Rapino; Condo
minio Altair e altri c. Comune di Ovindoli; interv. Pres. cons,
ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Cass. 19 dicembre
1991 e 23 gennaio 1992 (G.U., la s.s., n. 29 del 1992).
Usi civici — Giudizio commissariale — Procedibilità d'ufficio — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 24,
101, 118; 1. 16 giugno 1927 n. 1766, riordinamento degli usi
civici, art. 29).
È inammissibile, in quanto coinvolge scelte che rientrano nella
discrezionalità del legislatore, la questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 29, 1° comma, l. 16 giugno 1927 n. 1766,
nella parte in cui consente al commissario per gli usi civici
di procedere d'ufficio, in riferimento agli art. 24, 1° e 2°
comma, 101 e 118, 1° e 2° comma, Cost. (1)
(1) 1. - Cass., ord. 19 dicembre 1991-14 aprile 1992, n. 363, è massi
mata in Foro it., Rep. 1992, voce Usi civici, n. 15. La pronuncia che si riporta brevemente si sofferma in parte motiva
sulla circostanza che l'ordinanza sia stata emessa nell'ambito di un pro cedimento per regolamento preventivo di giurisdizione attivato sull'as
sunto che l'esercizio officioso commissariale implicasse eccesso di pote re giurisdizionale; e conclude col ritenerla propria di un procedimento correttamente instaurato poiché l'iniziativa officiosa, della cui legittimi tà il ricorrente ex art. 41 c.p.c. dubitava, è essa stessa un atto interno
alla funzione giurisdizionale. Circa l'inammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione se
relativo a questioni attinenti non al riparto della giurisdizione fra giudi ci di ordine diverso, ma ai limiti interni della giurisdizione del giudice
adito, v. però la costante giurisprudenza delle sezioni unite, su cui da
ultimo Cass. 29 novembre 1991, n. 12843, id., Rep. 1991, voce Giuri
sdizione civile, n. 227; ord. 27 novembre 1990, n. 964, id., 1991, I,
1499, con richiami ed osservazioni di M. Iozzo.
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2127 PARTE PRIMA 2128
Diritto. — 1. - Con due ordinanze pronunciate l'una (r.o.
353/92) in sede di regolamento di giurisdizione, l'altra in sede
di ricorso ex art. Ill Cost. (r.o. 354/92) le sezioni unite della
Corte di cassazione hanno sollevato questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 29, 1° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766, «nella parte in cui prevede che i giudizi davanti ai commissari
degli usi civici possano essere promossi anche di ufficio».
2. - L'avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilità della
questione sollevata con la prima ordinanza, sul rilievo che il
ricorso per regolamento di giurisdizione è uno strumento pro cessuale per individuare il giudice avente giurisdizione, «non an
che per giudicare della legittimazione o meno del soggetto (od
organo) attore o convenuto».
L'eccezione non può essere condivisa. Essa presuppone che
il commissario-giudice, quando esercita il potere di procedere ex officio, assuma anche la qualità di parte nel processo, il che
è sicuramente da escludere. L'iniziativa ufficiosa è, essa stessa, un atto interno alla funzione giurisdizionale, di guisa che la
questione se il commissario sia investito del potere di agire d'uf
ficio è legittimamente proposta col ricorso previsto dall'art. 41
c.p.c.
2. - La Corte costituzionale, facendo immediato seguito alle proprie precedenti pronunce 9 novembre 1992, n. 425 (ord.) e 19 ottobre 1992, n. 395, id., 1993, I, 4, con nota di F. Pietrosanti, Tutela giurisdizio nale d'ufficio dei diritti d'uso civico?, mette punto ai dubbi di costitu zionalità in tema di procedibilità officiosa del giudizio commissariale, dichiarando la relativa questione inammissibile sulla considerazione che una dichiarazione di incostituzionalità implicherebbe invasione della sfera delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore in tema di indivi duazione dei modi in cui trasferire il potere di iniziativa officiosa, per la tutela dell'interesse pubblico generale relativo agli usi civici, dal com missario ripartitore al p.m. che a lui si sostituisca nella relativa funzione.
La corte infatti individua nell'art. 1, lett. h, 1. 8 agosto 1985 n. 431, che ha sottoposto al vincolo paesaggistico le zone gravate da usi civici, il riconoscimento di un interesse pubblico generale relativo agli usi civi ci più ampio di quello locale, già trasferito alla cura delle regioni, la cui tutela giurisdizionale assegna all'iniziativa officiosa dello stesso com missario.
La succinta conclusione è tuttavia sconcertante. Certamente, l'assog gettamento delle zone gravate da usi civici alla 1. 1497/39, sulla prote zione delle bellezze naturali, determina il legislativo riconoscimento «del loro notevole interesse pubblico» (art. 1 1. cit.), la tutela del quale, però, è demandata dall'art. 82 d.p.r. 616/77, appunto alle regioni, che vedono a sé trasferite anche le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve ed i parchi naturali
(art. 83 stesso testo) e soprattutto acquisiscono la cura amministrativa delle problematiche in tema di usi civici, giusta l'antecedente art. 66.
Nulla induce a supporre che il potere dei commissari di provvedere d'ufficio alla tutela giurisdizionale degli usi civici resti conservato agli esclusivi fini alla tutela dell'interesse paesaggistico, immedesimato dalle terre d'uso civico, da proteggersi in quanto bellezze naturali.
Siffatto restyling della funzione commissariale è invero supposto pro prio sull'assunto che la cura dell'individuato interesse pubblico generale paesaggistico non possa essere consegnata — una volta che il commis sario sia privato della controversa attribuzione — né all'azione popola re né alle regioni, portatrici di interessi particolari, con la conseguenza che la titolarità della azione officiosa a tutela del detto interesse pubbli co non può essere tolta al commissario ripartitore (in quanto non più razionalmente giustificabile) senza essere nel contempo attribuita «ad un organo di giustizia diverso e precisamente al pubblico ministero, giusta il modello normalmente seguito dalla legge quando nell'oggetto della controversia è coinvolto, insieme con l'interesse privato, un inte resse pubblico generale».
Ma la supposizione sembra arbitraria per più ragioni. Innanzitutto perché è la stessa legge a ritenere l'interesse pubblico
a carattere paesaggistico correttamente protetto dalle regioni; in secon do luogo, perché è arbitrario supporre che l'interesse espresso dalle am ministrazioni regionali non coincide con l'interesse individuato da un
potere giurisdizionale statuale; infine perché la tutela degli innumeri interessi pubblici non è sempre demandata all'iniziativa officiosa di un
p.m. o di un giudice che ne assommi le funzioni. Ad esempio, e tanto
per restare nell'ambito di beni sottoposti a vincolo paesaggistico in vir tù del richiamato art. 1, lett. c, 1. 431/85, quali le acque pubbliche, le azioni ad esse relative (disciplinate dal t.u. 1775/33) sono rimesse all'esclusiva iniziativa dei soggetti interessati.
In generale, sulla figura del p.m. nel processo amministrativo, v., per la critica della relativa ipotesi, V. Caianiello, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, 92, e, nel processo civile, F. Cipriani, L'agonia del pubblico ministero nel processo civile, in Foro it., 1993, I, 12. [F. Pietrosanti]
Il Foro Italiano — 1993.
La questione sollevata con la seconda ordinanza sarebbe irri
levante, secondo l'avvocatura dello Stato, perché la natura de
maniale civica del terreno di cui si controverte è già stata accer
tata da una sentenza commissariale in data 21 novembre 1991
passata in giudicato. Anche questa eccezione va respinta perché la valutazione circa l'efficacia preclusiva di una sentenza prece
dente, pronunciata nei confronti delle stesse parti, appartiene alla competenza del giudice a quo.
3. - I giudizi di costituzionalità promossi dalle due ordinanze
hanno per oggetto la medesima questione e quindi se ne dispo ne la riunione perché siano definiti con unica sentenza.
4. - La questione è inammissibile per una ragione attinente
ai limiti dei poteri di questa corte. Ad avviso del giudice a quo, il potere di impulso processuale
attribuito dalla norma denunciata al commissario, mentre pote va giustificarsi nell'ordinamento originario degli usi civici, dove
«l'anomalia dell'attore-giudice era il riflesso dell'anomalia
amministratore-giudice», non è più giustificabile dopo il trasfe
rimento alle regioni di tutte le funzioni amministrative in questa
materia, attuato dal d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616: «il commissa
rio, oggi, è soltanto un giudice che, come tale, non può e non
deve essere portatore di alcun interesse particolare attinente alla
materia degli usi civici, la cui cura non gli è più attribuita».
Integrato con l'assunto che il commissario non è oggi porta tore di alcun interesse pubblico all'infuori dell'astratto interesse
alla corretta applicazione della legge, l'argomento dovrebbe in
durre a risolvere la questione sul piano esegetico, riconoscendo
non più sostenibile, conformemente all'opinione di una parte della dottrina, l'interpretazione che estende l'inciso «anche di
ufficio» contenuto nel 1° comma dell'art. 29 1. n. 1766 del 1927, conernente le funzioni amministrative del commissario, all'ac
certamento giurisdizionale dei diritti di uso civico e in genere alle funzioni giurisdizionali previste nel 2° comma. Nella giuris
prudenza anteriore al 1977 tale interpretazione e la conseguente natura prevalentemente inquisitoria del processo in materia di
usi civici erano affermate in ragione dell'incidentalità delle con
troversie di competenza del commissario nelle operazioni ammi
nistrative a lui stesso affidate.
La tradizionale interpretazione estensiva, tenuta ferma dalla
Corte di cassazione, può ancora sostenersi soltanto se si nega il detto carattere di incidentalità, cioè la perfetta corrisponden za delle funzioni giurisdizionali a quelle amministrative, e si am
mette, invece, che il trasferimento di queste alle regioni non
esaurisce il compito di cura degli interessi pubblici inerenti agli usi civici. Accanto agli interessi locali, di cui sono diventate
esponenti le regioni, emerge l'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici nella misura in cui essa contri
buisce alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio. II potere dei commissari di provvedere d'ufficio alla tutela giurisdiziona le non è riferibile se non a siffatto interesse — sancito dall'art. 1 1. 8 agosto 1985 n. 431, che ha assoggettato a vincolo paesag
gistico le zone gravate dai usi civici — e, con esso, indiretta
mente anche all'interesse delle popolazioni titolari dei diritti ci
vici, non sempre coincidente con gli interessi particolari portati dall'amministrazione regionale.
5. - Apprezzato alla stregua di questa precisazione, l'argo mento riferito nel numero precedente intacca il fondamento giu stificativo dell'attribuzione allo stesso commissario-giudice del
potere di promuovere d'ufficio i giudizi di sua competenza, ma
non conduce a una soluzione meramente caducatoria, che riser
verebbe il potere di azione alle popolazioni interessate e alle
regioni. In altre parole, dato l'interesse pubblico generale sopra
individuato, la cura del quale non può essere rimessa esclusiva
mente alle regioni, la questione di legittimità costituzionale del
la norma impugnata può porsi solo come dubbio se la deroga al principio della domanda, che garantisce l'imparzialità e l'og gettività del giudizio, sia tuttora razionalmente giustificabile op
pure, venuta meno la giustificazione legata all'originaria coesi
stenza in capo al commissario delle funzioni amministrative e
delle funzioni giurisdizionali, il potere di impulso ufficioso deb ba essere attribuito a un organo di giustizia diverso, e precisa mente al pubblico ministero giusta il modello normalmente se
guito dalla legge quando nell'oggetto di una controversia è coin
volto, insieme con l'interesse privato, un interesse pubblico
generale (cfr. art. 117, 119, 125, 848, 2098 c.c.; art. 78 r.d.
n. 1127 del 1939; art. 59 r.d. n. 929 del 1942, ecc.). Il dubbio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
è proponibile non solo in relazione all'art. 3 Cost., non esplici tamente richiamato nelle odierne ordinanze di rimessione (a dif
ferenza dalla precedente ordinanza n. 820 del 1991, che ha dato
luogo alla sentenza n. 395 del 1992, Foro it., 1993, I, 4), sebbe
ne il principio di ragionevolezza rimanga il referente implicito della prima parte della motivazione, ma anche con riguardo al
l'art. 24, 2° comma, Cost, coordinato con l'art. 3: nel nostro
caso la deroga alla regola di terzietà del giudice tocca il diritto
di difesa alterando la normale dialettica processuale, sia perché la domanda introduttiva del giudizio, formulata dallo stesso giu
dice, prefigura il contenuto della decisione, sia perché il con
traddittorio non si instaura in condizioni di parità tra le parti del rapporto sostanziale, bensì' tra queste, da un lato, e il giudi
ce, dall'altro.
Ma la questione, quale che ne sia il fondamento, è inammis
sibile in quanto implica una invasione della sfera delle scelte
riservate alla discrezionalità del legislatore. Invero, lo sposta mento del potere di azione in capo al pubblico ministero può avvenire secondo una pluralità di varianti, per esempio istituen
do l'ufficio del pubblico ministero presso il commissario agli usi civici e lasciando a quest'ultimo il solo compito di giudica
re, oppure — soluzione ritenuta dall'avvocatura dello Stato più coerente con l'art. 102, 2° comma, Cost, e con le esigenze pra tiche e di salvaguardia — abolendo la giurisdizione speciale del
commissario e lasciandogli soltanto il potere di iniziativa pro
cessuale, cioè trasformandolo in un organo specializzato del pub blico ministero presso il tribunale ordinario.
In ogni caso, indipendentemente dalle possibili varianti, si trat
ta di un intervento nell'organizzazione della giustizia manifesta
mente estraneo ai poteri di questa corte.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 29, 1° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766 (conversione in legge del r.d. 22 maggio 1924 n. 751, riguardante il riordina
mento degli usi civici nel regno, del r.d. 28 agosto 1924 n. 1484,
che modifica l'art. 26 del r.d. 22 maggio 1924 n. 751 e del
r.d. 16 maggio 1926 n. 895, che proroga i termini assegnati
dall'art. 2 r.d.l. 22 maggio 1924 n. 751), sollevata, in riferimen
to agli art. 24, 1° e 2° comma, 101 e 118, 1° e 2° comma,
Cost., dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con le ordi
nanze in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 marzo 1993, n. 99
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 24 marzo 1993, n. 13);
Pres. Casavola, Est. Guizzi; Soc. I.D.M. c. Napoli. Ord.
App. Roma 5 luglio 1989 (G.U., la s.s., n. 27 del 1992)
Impiegato dello Stato e pubblico — Indennità di fine rapporto — Impignorabilità
— Incostituzionalità (Cost., art. 3; cod.
proc. civ., art. 545; d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180, approvazio ne del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pi
gnoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni, art. 2).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 2, 1° com
ma, n. 3, d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180, nella parte in cui
esclude, per i dipendenti degli enti indicati nell'art. 1 dello stesso decreto, la sequestrabilità e la pignorabilità, entro i li
miti stabiliti dall'art. 545, 4° comma, c.p.c., anche per ogni
altro credito, delle indennità di fine rapporto di lavoro spet
tanti ai detti dipendenti. (1)
(1) La corte continua nell'opera di depurazione della normativa di
salvaguardia delle retribuzioni dei pubblici dipendenti dai privilegi non
coerenti con i precetti costituzionali: per ogni riferimento si rinvia al
l'ampia e completa ricostruzione dei precedenti in materia e della evolu
zione della natura dell'indennità di fine rapporto contenuta nella moti
vazione della sentenza in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1993.
Diritto. — 1. - Viene all'esame della corte, con riferimento
all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 2, 1° comma, n. 2 (rectius, n. 3), d.p.r. 5 gennaio 1950
n. 180, in relazione all'art. 545, 4° comma, c.p.c., nella parte in cui esclude, per i dipendenti degli enti indicati nell'art. 1 del
lo stesso decreto, la pignorabilità, anche per ogni altro credito, delle indennità di fine rapporto di lavoro spettanti ai detti di
pendenti. 2. - La questione è fondata.
L'art. 545 c.p.c. stabilisce, al 3° comma, che «le somme do
vute da privati a titolo di stipendio, di salario, o di altre inden
nità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal pretore». La di
sposizione prosegue, al 4° comma, stabilendo che «tali somme
possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi
dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura
per ogni altro credito». Le somme dovute dai privati datori di
lavoro a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relati
ve al rapporto di lavoro sono perciò pignorabili, nella misura
massima di un quinto, per ogni tipo di credito.
Da siffatto regime generale si discostava tutto il comparto
dell'impiego pubblico (Stato, province, comuni, istituzioni pub bliche di assistenza e beneficenza e «qualsiasi altro ente od isti
tuto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza del
l'amministrazione pubblica e le imprese concessionarie di un ser
vizio pubblico di comunicazione o di trasporto»), per il quale l'art. 1 d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180, stabiliva la regola della
normale insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità di sti
pendi, salari, pensioni ed altri emolumenti. Regola, questa, che
conosceva soltanto le eccezioni stabilite dagli art. 2 ss. del de
creto in esame.
3. - I limiti al pignoramento degli emolumenti percepiti dai
pubblici dipendenti hanno formato oggetto di numerose pro nunce da parte di questa corte che ha volutamente allargato, in danno dei dipendenti pubblici, l'area dei crediti pignorabili.
Una prima serie di interventi ha riguardato, in particolare,
le retribuzioni dei pubblici dipendenti. La sentenza n. 89 del
1987 (.Foro it., 1987, I, 1001) aveva aperto la breccia dichiaran
do l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 1° comma, n. 3, d.p.r. n. 180, che, fissando il regime di ordinaria impignorabilità e
insequestrabilità degli emolumenti dei dipendenti pubblici, pre vedeva l'aggredibilità dei crediti da lavoro «fino alla concorren
za di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti
allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fin dalla
loro origine, all'impiegato o salariato». E pertanto non consen
tiva — contrariamente a quanto dispone, per il settore privato, il 4° comma dell'art. 545 c.p.c. — la pignorabilità e la seque
strabilità, nella stessa misura, degli emolumenti dovuti da «altri
enti diversi dallo Stato» per ogni altra ragione creditoria diver
sa da quella fiscale. La successiva sentenza n. 878 del 1988 (id.,
1988, I, 2787) eliminava lo stesso privilegio ancora sussistente
per i dipendenti dello Stato. E la sentenza n. 115 del 1990 (id.,
1990. I, 2750) affermava l'illegittimità dell'art. 1, 3° comma, lett. tì), 1. 27 maggio 1959 n. 324, «nella parte in cui non preve
deva la pignorabilità, sequestrabilità e cedibilità dell'indennità
integrativa speciale istituita al 1° comma dell'articolo, fino alla
concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confron
ti del personale» interessato.
Una seconda serie di interventi (sentenze nn. 1401 del 1988,
ibid., 2138; 155 del 1987, id., 1987, I, 1651; 209 del 1984, id., 1984, I, 2415) ha avuto ad oggetto, in particolare, le pensioni.
In tale settore, d'indubbia peculiarità, la corte:
a) ha dichiarato l'illegittimità delle disposizioni che esclude vano la pignorabilità delle pensioni, ma limitatamente ai crediti
particolarmente qualificati, come quelli alimentari, il cui rico
noscimento discende dall'art. 29 Cost.,
b) ha tuttavia pienamente giustificato (sentenze nn. 55 del
1991, id., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata per obbligazioni
pecuniarie, nn. 23, 24, e 231 del 1989, id., Rep. 1989, voce
Impiegato dello Stato, n. 916) il regime generale dell'impigno
rabilità delle pensioni, in tutti i settori lavorativi, in ossequio alle finalità previdenziali che lo sorreggono.
4. - Chiamata ad affrontare per la prima volta la questione
della sequestrabilità e pignorabilità della cosiddetta indennità
di buonuscita, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 340
del 1990 (id., 1990, I, 2692), non ha potuto spingersi oltre i
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