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sentenza 1° aprile 2003, n. 104 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 9 aprile 2003, n. 14); Pres....

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sentenza 1° aprile 2003, n. 104 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 9 aprile 2003, n. 14); Pres. Chieppa, Est. Amirante; Rigo (Avv. Berti) c. Regione Friuli-Venezia Giulia; Inps c. Bersano; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Trieste 9 ottobre 2001 e Trib. Ivrea 24 luglio 2001 (G.U., 1 a s.s., nn. 17 e 25 del 2002) Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2003), pp. 1959/1960-1965/1966 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198025 . Accessed: 25/06/2014 05:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.96 on Wed, 25 Jun 2014 05:37:52 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 1° aprile 2003, n. 104 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 9 aprile 2003, n. 14); Pres. Chieppa, Est. Amirante; Rigo (Avv. Berti) c. Regione Friuli-Venezia Giulia; Inps

sentenza 1° aprile 2003, n. 104 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 9 aprile 2003, n. 14); Pres.Chieppa, Est. Amirante; Rigo (Avv. Berti) c. Regione Friuli-Venezia Giulia; Inps c. Bersano;interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Trieste 9 ottobre 2001 e Trib.Ivrea 24 luglio 2001 (G.U., 1 a s.s., nn. 17 e 25 del 2002)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2003), pp. 1959/1960-1965/1966Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198025 .

Accessed: 25/06/2014 05:37

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1959 PARTE PRIMA 1960

che, ad avviso del rimettente, il calcolo continuativo del pe riodo di durata legale del corso universitario, effettuato a ritroso

dalla data del conseguimento della laurea, così come previsto dalla norma impugnata, comporterebbe di fatto un'arbitraria ri

duzione del suddetto periodo che venga temporalmente a coin

cidere con la prestazione del servizio militare; che, viceversa, l'art. 2, 2° comma, d.leg. 30 aprile 1997 n.

184 (attuazione della delega conferita dall'art. 1, 39° comma, 1.

8 agosto 1995 n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e

di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), emanato al fine

di riordinare, armonizzare e razionalizzare la disciplina dei di

versi regimi anche in materia di riscatto del corso di studi, non

porrebbe alcuna condizione o limitazione riguardo alle modalità

di calcolo degli anni del corso di laurea né richiederebbe, in

particolare, la continuatività del periodo considerato; che sussisterebbe, pertanto, disparità di trattamento — a pa

rità di ogni altra condizione — tra chi -abbia presentato domanda

di pensionamento nel vigore della vecchia normativa e chi, in

vece, l'abbia presentata dopo l'entrata in vigore del menzionato

d.leg. n. 184 del 1997; che analoga, ingiustificata, disparità di trattamento si verifi

cherebbe sia tra i dipendenti delle Asl e la generalità dei dipen denti statali, sia tra gli stessi dipendenti delle Asl, in relazione al

periodo in cui abbiano svolto il servizio militare; che è intervenuto in giudizio il presidente del consiglio dei

ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello

Stato, concludendo per la declaratoria di non fondatezza della

questione; che, ad avviso della parte pubblica, nessuna lesione del prin

cipio di eguaglianza potrebbe ravvisarsi nella diversità di disci

plina tra la vecchia e la nuova normativa in tema di riscatto del

corso legale di laurea, in quanto il fluire del tempo di per sé co

stituisce — secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale — elemento differenziatore delle situazioni giuridiche, tale da

escludere la loro comparabilità; che questa corte avrebbe, sotto altro aspetto, già affermato —

proprio in tema di riscatto — che non sono discriminatorie nor

me che, pur prevedendo criteri differenziati di computo del pe riodo di studio, assicurino comunque lo stesso beneficio;

che, in ogni caso, sia la norma impugnata sia il d.leg. n. 184 del 1997 prevederebbero la possibilità di riscatto dei periodi

corrispondenti alla durata legale dei corsi di laurea solo in quan to i medesimi periodi non siano già coperti da contribuzione.

Considerato che — ad avviso del rimettente — la norma im

pugnata sarebbe fonte di ingiustificata disparità di trattamento in danno dei dipendenti degli enti locali cessati dal servizio

prima dell'entrata in vigore del d.leg. n. 184 del 1997, ed insie me lesiva dell'art. 38 Cost., nella parte in cui prevede che la du

rata dei corsi universitari, ai fini del riscatto, si considera conti

nuativa risalendo dal conferimento della laurea, derivando da tale previsione la riduzione del periodo riscattabile, nel caso in

cui tale periodo venga a coincidere con la prestazione del servi zio militare;

che, per quanto riguarda il parametro di cui all'art. 38 Cost., è sufficiente osservare che, in materia di anzianità convenzionale,

quale è quella derivante dal riscatto degli anni di studio, deve riconoscersi al legislatore un'ampia discrezionalità, con il solo limite della non arbitrarietà, che sicuramente non può dirsi vio lato dalla previsione che il periodo utile ai fini del riscatto sia considerato continuativo;

che quanto, invece, alla denunciata disparità di trattamento ri

spetto all'art. 2, 2° comma, d.leg. n. 184 del 1997, non applica

novembre 1999, n. 864, ibid., n. 92, circa il corso di studi seguito nel l'istituto superiore di educazione fisica di Bologna per conseguire il relativo diploma; sez. giur. reg. Campania 14 marzo 1996, n. 34, id., Rep. 1997, voce cit., n. 122, circa il diploma di terapista della riabilita zione, purché conseguito al termine di un corso di livello universitario; sez. giur. reg. Emilia-Romagna 27 febbraio 1996, n. 84, id., Rep. 1996, voce cit.. n. 129, circa il diploma di abilitazione all'esercizio professio nale di ostetrica, conseguito presso la scuola universitaria di ostetricia di Bologna; sez. giur. reg. Lombardia 21 giugno 1994, n. 100, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 144, circa il diploma di ostetrica, rilasciato da scuola di tipo universitario.

Sulla riscattabilità dei periodi di studio necessari per l'immissione in ruolo o per l'ammissione a concorsi o per lo svolgimento di funzioni nell'ambito del pubblico impiego, v. Corte cost. 9 maggio 2001, n. 113, id., 2002,1, 657, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 2003.

bile ratione temporis nel giudizio a quo, va considerato che — a

prescindere da ogni valutazione circa l'esattezza dell'interpreta zione che di tale norma il rimettente prospetta

— secondo la co

stante giurisprudenza di questa corte, di per sé non può contra

stare con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento

applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi

nel tempo, perché lo stesso fluire di questo costituisce un ele

mento diversificatore delle situazioni giuridiche (ex multis, sentenze n. 376 del 2001, Foro it., 2002, I, 1648; n. 178 del

2000, id., Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 742; n. 126

del 2000, id., 2000,1, 3431); che la continuatività calcolata a ritroso risulti in un singolo

caso, come quello appunto sottoposto al giudice a quo, più

svantaggiosa di quella calcolata in avanti costituisce, poi, un in

conveniente di mero fatto in quanto tale irrilevante ai fini del

giudizio di costituzionalità; che la questione va pertanto dichiarata, sotto ogni profilo,

manifestamente infondata.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale

dell'art. 69, 3° comma, r.d.l. 3 marzo 1938 n. 680 (ordinamento della cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost., dalla

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Sardegna, con l'ordinanza in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° aprile 2003, n. 104 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 9 aprile 2003, n. 14); Pres. Chieppa, Est. Amirante; Rigo (Avv. Berti) c. Regione Friuli-Venezia Giulia; Inps c. Bersano; interv. Pres. cons, mi

nistri (Avv. dello Stato Zotta). Ord. Trib. Trieste 9 ottobre

2001 e Trib. Ivrea 24 luglio 2001 (G.U., la s.s., nn. 17 e 25

del 2002).

Lavoro (rapporto di) — Tutela della maternità — Adozione — Riposi giornalieri — Applicabilità limitata al primo anno di età del bambino — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 29, 30, 31, 37, 77; d.leg. 26 marzo 2001 n. 151, t.u. delle di

sposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 1. 8 marzo 2000 n.

53, art. 45). Lavoro (rapporto di) — Tutela della maternità —

Riposi giornalieri — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 37; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle la

voratrici madri, art. 10; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità di

trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, art. 6).

E incostituzionale l'art. 45, 1° comma, d.leg. 26 marzo 2001 n. 151 (t.u. delle disposizioni legislative in materia di tutela e

sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 l. 8

marzo 2000 n. 53), nella parte in cui prevede che i riposi di

cui agli art. 39, 40 e 41 si applichino, anche in caso di ado

zione e di affidamento, «entro il primo anno di vita del bam

bino», anziché «entro il primo anno dall 'ingresso del minore

nella famiglia». (1) E inammissibile la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 10 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 (tutela delle lavoratrici

madri) e dell'art. 6 l. 9 dicembre 1977 n. 903 (parità di trat

tamento tra uomini e donne in materia di lavoro), in riferi mento agli art. 3 e 37 Cost. (2)

(1-2) Con la pronuncia in epigrafe (in relazione alla quale, per un pri mo commento, cfr. M. Tatarelli, Una disciplina con l'obiettivo di fa vorire lo sviluppo armonico e sereno dei minori, in Guida al dir., 2003, fase. 15, 61-63), la Corte costituzionale ribadisce che gli istituti dell'a

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - Il Tribunale di Trieste ed il Tribunale di Ivrea

sottopongono all'esame della corte due questioni che, quantun

que aventi ad oggetto disposizioni diverse (ratione temporis), sono nella sostanza di identico contenuto.

In particolare, il Tribunale di Trieste dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3 e 37 Cost., dell'art. 10 1.

30 dicembre 1971 n. 1204 (tutela delle lavoratrici madri), e del

l'art. 6 1. 9 dicembre 1977 n. 903 (parità di trattamento tra uo

mini e donne in materia di lavoro); il Tribunale di Ivrea, invece, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 (1°

comma) d.leg. 26 marzo 2001 n. 151 (t.u. delle disposizioni le

gislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della

paternità, a norma dell'art. 15 1. 8 marzo 2000 n. 53), in riferi

mento agli art. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 Cost.

Fondamento di entrambe le questioni è il dubbio riguardante la fruizione dei permessi giornalieri in favore dei genitori adot

tivi e degli affidatari, che la legislazione vigente limita al primo anno di vita del bambino, così come per i figli biologici. Ad av

viso dei tribunali rimettenti, invece, in caso di adozione o di af

fidamento tali permessi dovrebbero essere fruibili a partire dalla

data di effettivo ingresso del minore nella famiglia, pur rima

nendo fermo l'attuale limite annuale, sussistendo altrimenti

violazione sotto vari profili dei menzionati parametri costituzio

nali.

2. - Le due questioni si differenziano sostanzialmente soltanto

da un punto di vista di cronologia delle norme impugnate, per ché le 1. n. 1204 del 1971 e n. 903 del 1977 sono state trasfuse, assieme a molte altre, nel testo unico di cui al d.leg. n. 151 del

2001; il Tribunale di Trieste ha impugnato le norme previgenti,

stensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, ora denominati congedi, e quello dei riposi giornalieri non hanno più l'originario necessario

collegamento con la maternità naturale e non hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della donna ed il soddisfacimento delle esigenze puramente fisiologiche del minore, ma sono diretti anche ad appagare i bisogni affettivi e relazionali del bambino per realizzare 11 pieno sviluppo della sua personalità. Conseguentemente, ai fini della fruizione dei congedi, la Consulta attribuisce rilievo, nei casi di ado zione e di affidamento, al momento dell'ingresso del minore nella fa

miglia e non già a quello di nascita dello stesso. Per l'affermazione secondo cui la concessione dei riposi si è ormai

venuta a sganciare dalla funzione di allattamento assolta dalla madre

naturale, mirando, invece, ad agevolare il processo di sviluppo del

bambino, Trib. Trieste 26 ottobre 1999, Foro it., Rep. 2000, voce Lavo ro (rapporto), n. 1197, nonché, richiamate in motivazione:

— Corte cost. 19 gennaio 1987, n. 1, id., 1987, I, 313, che ha dichia rato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 1. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui non prevedeva l'estensione al padre del diritto all'a stensione dal lavoro ed ai riposi concessi alla madre post partum, nel caso in cui questa fosse deceduta o gravemente ammalata, sia per l'ir

ragionevole disparità di trattamento dei minori rimasti privi della madre

rispetto agli altri, sia per la discriminazione, anch'essa irragionevole, fra i padri lavoratori e le madri adottive affidatarie, alle quali l'art. 6 1. 9 dicembre 1977 n. 903 ha esteso i diritti della madre post partum-,

— Corte cost. 24 marzo 1988, n. 332, id., 1989, I, 642, che ha di chiarato costituzionalmente illegittimi gli art. 4, 1° comma, lett. c), e 12 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, poiché non riconoscevano alla lavora trice affidataria in preadozione il diritto all'astensione obbligatoria dal lavoro ed il diritto alla corresponsione, in caso di dimissioni presentate in tale periodo, delle indennità dovute nel caso di licenziamento; ha di

chiarato, altresì, costituzionalmente illegittimi gli art. 7, 1° comma, e 15 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 nella parte in cui non prevedevano che il diritto della lavoratrice madre all'astensione facoltativa dal lavoro e alla relativa indennità spettasse, altresì, per il primo anno dall'ingresso nella famiglia affidataria, alla lavoratrice alla quale fosse stato affidato

provvisoriamente un minore ai sensi dell'art. 314 c.c.; ha dichiarato pu re illegittimo l'art. 17, 1° comma, 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, nella

parte in cui non escludeva dal computo dei sessanta giorni immediata mente precedenti l'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal la voro il periodo di assenza di cui la lavoratrice avesse usufruito per ac

cudire il minore affidatole in preadozione; — Corte cost. 15 luglio 1991, n. 341, id., 1991, I, 2297, che ha di

chiarato illegittimo l'art. 7, 1° comma, 1. n. 903 del 1977, nella parte in

cui non consentiva al lavoratore, affidatario di minore ai sensi dell'art.

10 1. n. 184 del 1983, l'astensione dal lavoro durante i primi tre mesi

successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famìglia affidataria, in alternativa alla moglie lavoratrice;

— Corte cost. 21 aprile 1993, n. 179, id., 1993, I, 1333, che ha di

chiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 7 1. 9 dicembre 1977 n.

903, nella parte in cui non estendeva, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il

11 Foro Italiano — 2003.

mentre quello di Ivrea ha impugnato l'art. 45 t.u. Le questioni,

pertanto, possono essere riunite e decise con una sola pronuncia. 3. - La questione proposta del Tribunale di Trieste è inammis

sibile per un duplice ordine di ragioni. Da un lato, infatti, il giudice a quo non ha descritto in modo

adeguato la fattispecie sottoposta al suo esame; in particolare, ha omesso di indicare una dato essenziale ai fini della rilevanza, ossia la data di effettivo ingresso nella famiglia della ricorrente

dei due bambini destinatari dell'affidamento preadottivo; d'al

tro canto, poi, egli, pur mostrando di conoscere la 1. n. 53 del

2000 ed il d.leg. n. 151 del 2001, non ha tuttavia fornito alcuna

motivazione sulla ragione che lo ha indotto a sottoporre al

l'esame della corte due norme espressamente abrogate dall'art.

86 del decreto da ultimo menzionato. In tal modo il giudice ri

mettente ha dimenticato che, secondo pacifica giurisprudenza di

questa corte (v., da ultimo, l'ordinanza n. 204 del 2002), lo

scrutinio di legittimità costituzionale avente ad oggetto norme

abrogate prima della rimessione della questione è possibile solo

a condizione che si dia conto delle ragioni per le quali tale scru

tinio mantiene la sua rilevanza nel giudizio principale. Né, d'altronde, per sopperire alle suddette lacune dell'ordi

nanza, è possibile fare ricorso alle allegazioni delle parti. 4. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal

Tribunale di Ivrea va esaminata, logicamente, innanzitutto sotto

il profilo preliminare dell'eccesso di delega; ad avviso del giu dice a quo, infatti, poiché il testo unico di cui al d.leg. n. 151

del 2001 non avrebbe potuto avere contenuto innovativo — in

forza dei criteri direttivi contenuti nell'art. 15, 1° comma, lett.

c), 1. delega n. 53 del 2000 — l'art. 45 impugnato, nello stabili

diritto ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 1. 30 dicembre 1971 n.

1204, per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita. In senso conforme alla sentenza della Consulta si erano già espressi,

nella giurisprudenza di merito, Trib. Ivrea 27 aprile 2001, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1059, e, per esteso, Riv. critica dir. lav., 2001, 683; Trib. Milano 6 giugno 2002, Lavoro giur., 2002, 771, con commento di Nunin. In entrambe le pronunce si sostiene che l'art. 45 d.leg. 26 marzo 2001 n. 151, nella parte in cui prevede la concessione alla lavoratrice madre dei periodi di riposo giornaliero per l'allattamento fino al primo anno di vita del bambino deve essere interpretato, relativamente alla

famiglia adottiva, nel senso che è ammessa la concessione dei periodi di riposo entro il primo anno d'inserimento del figlio adottivo nella fa

miglia stessa. In legislazione, sulla rilevanza del momento di ingresso del minore

nella famiglia, v. l'art. 6 1. 9 dicembre 1977 n. 903 (la cui applicabilità è stata estesa anche agli affidatari dall'art. 80 1. 4 maggio 1983 n. 184) che già riconosceva alle lavoratrici che avessero adottato bambini, o che li avessero ottenuti in affidamento preadottivo, di potersi avvalere dell'astensione obbligatoria dal lavoro durante i primi tre mesi succes sivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva, nonché di potersi avvalere dell'astensione facoltativa dal lavoro (possibilità ri conosciuta anche al padre lavoratore) entro un anno dall'effettivo in

gresso del bambino nella famiglia. La previsione è stata confermata dall'art. 36 (in cui è stata trasfusa la norma citata) d.leg. 26 marzo 2001 n. 151, che ha ammesso la possibilità di poter usufruire del congedo pa rentale anche per le adozioni e gli affidamenti, entro i primi tre anni

dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. Per le modifiche ed integrazioni da ultimo apportate al d.leg. n. 151

del 2001, v. il d.leg. 23 aprile 2003 n. 115 (Le leggi, 2003, I, 1788); nessun intervento si registra, tuttavia, sulla normativa relativa ai conge di, riposi e permessi in caso di adozione e affidamento di minori.

In ordine al diritto della lavoratrice, che avesse avuto in affidamento

preadottivo un neonato, di potersi astenere dal lavoro, per il periodo anteriore all'entrata in vigore della 1. 9 dicembre 1977 n. 903 e, dun

que, per i rapporti ricadenti nella disciplina della sola 1. 1204/71, v.

Cass., sez. un., ord. 24 giugno 1985, n. 327, Foro it., 1985, I, 1955, che ha composto il contrasto insorto in seno alla sezione lavoro fra le sent. 8 maggio 1984, n. 2811, id.. Rep. 1984, voce cit., n. 754; 17 ottobre

1983. n. 6087, id., 1984, I, 1035 (che avevano affermato l'estensibilità della tutela prevista per le lavoratrici madri anche ai rapporti di filia zione adottiva) e le sent. 1° febbraio 1984, n. 787, id., Rep. 1984, voce

cit., n. 755; 23 novembre 1984, n. 6051, id., 1985, I, 434 (che, invece, avevano negato tale estensibilità), ratificando l'interpretazione di que ste ultime ma sollevando, al contempo, questione di legittimità costitu

zionale, accolta dalla Consulta con la sentenza 332/88, sopra richiama ta.

In dottrina, sulla tematica, v. M. Cagarelli, 1 congedi parentali, To

rino, 2002; M. Miscione (a cura di), 1 congedi parentali: l. 53/00 (in t.u.

151/01), Milano, 2001; M. Miguidi, Congedi parentali, familiari e for mativi, Milano, 2001; F. Pirelli, La nuova disciplina dei congedi pa rentali, in Studium iuris, 2001, 1.

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1963 PARTE PRIMA 1964

re il limite del primo anno di vita del bambino anche per i ge nitori adottivi e per gli affidatari, avrebbe oltrepassato i limiti

della delega stessa.

Questa censura è inammissibile.

Il giudice rimettente prospetta infatti il vizio di eccesso di

delega nel convincimento che il limite di un anno dalla nascita

del bambino non fosse già previsto dall'art. 10 1. n. 1204 del

1971 e sia stato quindi introdotto ex novo illegittimamente dalla

norma censurata, ma di tale convincimento il Tribunale di Ivrea

non fornisce alcuna motivazione, con la conseguenza che la

questione, sotto il profilo qui esaminato, è inammissibile.

5. - La questione prospettata dal Tribunale di Ivrea è invece

fondata per violazione dell'art. 3 Cost, sia sotto il profilo del

l'eguaglianza, perché la norma censurata assoggetta a eguale trattamento situazioni diverse, sia sotto quello dell'intrinseca ir

ragionevolezza. Si premette che l'istituto dei riposi giornalieri, senza indugia

re sulla normativa anteriore alla Costituzione, aveva la sua ori

ginaria disciplina nell'art. 9 1. 26 aprile 1950 n. 860, ed era re golato come strumento finalizzato esclusivamente all'allatta

mento. La norma richiamata attribuiva il diritto a tali permessi soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri bambi

ni, prevedendo le pause in funzione di quell'unica necessità, tanto che la predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle

c.d. camere di allattamento e dell'asilo nido obbligava le lavo

ratrici ad allattare in sede, senza possibilità di uscire dai locali

aziendali.

I riposi giornalieri erano quindi concepiti come complementa ri alle altre misure dirette alla protezione della maternità biolo

gica oltre che parzialmente sostitutivi dell'astensione dal lavoro

posi partum. II successivo art. 10 1. n. 1204 del 1971 dimostra già un cam

biamento di prospettiva. Infatti, la fruizione dei riposi risulta

non più strettamente connessa all'esigenza puramente fisiologi ca dell'allattamento, tanto che la norma non obbliga più la lavo

ratrice ad utilizzare le strutture eventualmente predisposte dal

datore di lavoro, quali le camere di allattamento e gli asili nido, e comincia a dare rilievo all'aspetto affettivo e relazionale del

rapporto madre-figlio. E indubbio, quindi, che gli istituti a protezione della mater

nità nascono e vivono per un certo tempo in un contesto sociale

e ordinamentale nel quale da un canto l'adozione, ed in parti colare quella dei minorenni, ha scarsa applicazione e svolge una

funzione ben diversa da quella che avrebbe successivamente as

sunto, dall'altro il ruolo del padre nella società e nella famiglia è ancora concepito come del tutto secondario riguardo alla cre

scita e all'educazione dei figli nei primi anni della loro vita, sic

ché ciò che ha preminente rilievo è pur sempre la maternità

biologica. In tale periodo è soltanto la giurisprudenza ordinaria

che, non senza oscillazioni e contrasti, estende ai genitori adot

tivi i benefici previsti per i genitori naturali. 6. - Il quadro muta radicalmente a partire dagli anni settanta

per effetto di una serie di leggi di riforma (diritto di famiglia,

parità di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro, ado

zione dei minori) e di alcune decisioni di questa corte.

Limitando l'indagine a ciò che più specificamente riguarda la

questione in esame, l'art. 6 1. n. 903 del 1977 ha esteso alle ma

dri adottive o affidatarie gli istituti dell'astensione dal lavoro

obbligatoria e facoltativa e l'art. 7 ha attribuito anche al padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa, ma solo a deter

minate condizioni.

Ciò che occorre soprattutto sottolineare è che la legge, stabi

lendo che i benefici potevano essere goduti, in caso di adozione

o affidamento, nel primo anno d'ingresso del bambino nella fa

miglia dell'adottante o dell'affidatario, anche se limitatamente

all'ipotesi che il bambino non avesse superato i sei anni di età, ha attribuito rilievo alla diversità di esigenze del bambino adot

tato rispetto a quelle proprie del bambino che vive con i genitori naturali o con almeno uno di questi.

7. - Questa corte è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme disciplinanti gli istituti a protezione della maternità e dei minori, in particolare sotto il profilo della loro mancata o non totale estensione al pa dre lavoratore oppure ai genitori legali (adottanti o affidatari).

Per effetto di una serie di decisioni, tutte di accoglimento, il

diritto all'astensione obbligatoria ed ai riposi giornalieri, a de

terminate condizioni, è stato esteso al padre lavoratore (sentenza

Il Foro Italiano — 2003.

n. 1 del 1987, Foro it., 1987,1, 313); il diritto all'astensione fa

coltativa è stato riconosciuto alla madre affidataria provvisoria e

quello all'astensione obbligatoria alla madre affidataria in pre adozione (sentenza n. 332 del 1988, id., 1989, I, 642); il diritto all'astensione nei primi tre mesi dall'ingresso del bambino nella

famiglia è stato attribuito al padre lavoratore affidatario di mi

nore per i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino

nella famiglia in alternativa alla madre (sentenza n. 341 del

1991, id., 1991, I, 2297); il diritto ai riposi giornalieri, infine, è stato esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavorato

re in alternativa alla madre consenziente, per l'assistenza al fi

glio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993, id.,

1993,1, 1333). 8. - Da quanto sinteticamente esposto risulta che gli istituti

dell'astensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, ora deno

minati congedi, e quello dei riposi giornalieri oggi non hanno

più l'originario necessario collegamento con la maternità natu

rale e non hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della donna ed il soddisfacimento delle esigenze pu ramente fisiologiche del minore, ma sono diretti anche, come

questa corte ha già più volte affermato nelle motivazioni delle

sentenze suindicate, ad appagare i bisogni affettivi e relazionali

del bambino per realizzare il pieno sviluppo della sua persona lità.

Ciò che più rileva, ai fini della soluzione della presente que stione, è la piena coincidenza tra la ratio delle decisioni di que sta corte appena richiamate e l'attività del legislatore. Questi, nel momento in cui ha esteso misure previste in caso di filiazio

ne naturale alla filiazione adottiva ed all'affidamento ha avver

tito che l'età del minore diveniva un elemento, se non trascura

bile, certamente secondario, mentre veniva in primo piano il

momento dell'ingresso del minore nella famiglia adottiva o af

fidataria, in considerazione delle difficoltà che tale ingresso

comporta sia riguardo alla personalità in formazione del minore,

soggetta al trauma del distacco dalla madre naturale o a quello del soggiorno in istituto, sia per i componenti della famiglia adottante o affidataria.

9. - Il d.leg. n. 151 del 2001, il cui art. 45 è censurato dal Tri

bunale di Ivrea, ha coordinato e razionalizzato tutta la disciplina di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessa alla maternità

e paternità dei figli naturali, adottivi e in affidamento, non che

le misure di sostegno economico alla maternità e alla paternità

(art. 1), ribadendo, nei casi di adozione e di affidamento, la rile

vanza del momento dell'ingresso del minore nella famiglia per

quanto concerne la fruizione dei congedi (v. art. 26, 2° comma;

art. 31; art. 36, 2° comma, medesimo decreto). Le difese della presidenza del consiglio e dell'Inps, pur con

venendo sull'evoluzione e sul mutamento di funzioni che gli istituti a sostegno della maternità e della paternità hanno avuto

nel corso degli ultimi decenni, sostengono che quello dei riposi

giornalieri conserva pur sempre un collegamento con le neces

sità connesse alla prima età del minore, come sarebbe dimo

strato dall'art. 41 d.leg. n. 151 del 2001, secondo cui la durata

dei riposi è raddoppiata in caso di parto plurimo. Tale tesi non può essere accolta.

I riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo

con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione, come si è detto, di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazio

nali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua persona lità. Essi, pertanto, svolgono una funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, più specificamente, i congedi paren tali. Ora, per questi il legislatore ha ritenuto rilevante, in caso di

adozione o di affidamento, il momento dell'ingresso del minore

nella famiglia, considerando l'età del minore, peraltro diversa

mente disciplinata a seconda delle varie ipotesi di adozioni o af

fidamenti (per l'adozione internazionale, v. gli art. 27 e 37

d.leg. n. 151 del 2001), esclusivamente come un limite alla frui

zione dei benefici. Ne consegue che restringere il diritto ai ripo si per gli adottanti e gli affidatari al primo anno di vita del bam

bino non soltanto è intrinsecamente irragionevole, ma è anche in

contrasto con il principio di eguaglianza, perché l'applicazione

agli adottanti ed agli affidatari della stessa formale disciplina

prevista per i genitori naturali finisce per imporre ai primi ed ai

minori adottati o affidati un trattamento deteriore, attesa la pe culiarità della loro situazione.

Né può indurre a diversa conclusione la richiamata disposi zione sulla disciplina dei riposi in caso di parto plurimo, poiché

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Page 5: sentenza 1° aprile 2003, n. 104 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 9 aprile 2003, n. 14); Pres. Chieppa, Est. Amirante; Rigo (Avv. Berti) c. Regione Friuli-Venezia Giulia; Inps

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

non solo le esigenze fisiche ma anche quelle affettive richiedo

no un tempo maggiore quando debbono essere soddisfatte ri

guardo a più persone. Deve essere, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale

dell'art. 45 d.leg. n. 151 del 2001, per contrasto con l'art. 3

Cost., nella parte in cui non prevede che i riposi giornalieri di

cui agli art. 39, 40 e 41 stesso decreto si applichino, in caso di

adozione o di affidamento, entro il primo anno dall'ingresso ef

fettivo del minore nella famiglia. Rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire even

tualmente dei limiti alla fruizione dei riposi correlati all'età del

minore adottato o affidato.

Restano assorbiti gli altri profili di censura.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 45, 1° comma,

d.leg. 26 marzo 2001 n. 151 (t.u. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma

dell'art. 15 1. 8 marzo 2000 n. 53), nella parte in cui prevede che

i riposi di cui agli art. 39, 40 e 41 si applichino, anche in caso di adozione e di affidamento, «entro il primo anno di vita del bam bino» anziché «entro il primo anno dall'ingresso del minore

nella famiglia»; dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 10 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (tutela delle

lavoratrici madri), e dell'art. 6 1. 9 dicembre 1977 n. 903 (parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), solle

vata, in riferimento agli art. 3 e 37 Cost., dal Tribunale di Trie

ste con l'ordinanza di cui in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 marzo 2003, n. 95 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 2 aprile 2003, n. 13); Pres. Chieppa, Est. Bile; Regione Campania (Avv. Cocuzza) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Favara). Conflitto di

attribuzione.

Corte costituzionale — Conflitto tra enti — Oggetto —

«Vindicatio rei» — Inammissibilità — Fattispecie (Cost., art. 97, 117, 118, 119, 121; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme

sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzio

nale, art. 39; 1. 28 ottobre 1986 n. 730, disposizioni in materia

di calamità naturali, art. 12; 1. reg. Campania 21 aprile 1997 n.

12, rideterminazione dell'organico del ruolo della giunta re

gionale. Norme di adeguamento al d.leg. 3 febbraio 1993 n.

29, articoli 30 e 31, art. 3).

È inammissibile, in quanto avente ad oggetto una controversia

di natura esclusivamente economica che si risolve in una vin dicatio rei tutelabile mediante il ricorso agli ordinari rimedi

giurisdizionali, il conflitto di attribuzione proposto dalla re

gione Campania nei confronti della nota 1° agosto 2000 del

ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dipartimento della ragioneria generale dello

Stato, che dispone la cessazione del finanziamento statale

relativo al trattamento economico del personale già assunto

per le esigenze connesse ai terremoti in Campania ed in Ba

silicata de! novembre 1980 e febbraio 1981 e immesso in un

ruolo speciale ad esaurimento degli enti presso cui aveva

prestato servizio, attribuendo, a decorrere dal 6 maggio

1997, a carico del bilancio della regione il trattamento eco

nomico del suddetto personale. (1)

(1) La Corte costituzionale procede ad una ricostruzione della nor

mativa statale e regionale in materia, concludendo che il contrasto tra

quanto sostenuto dalla regione ricorrente e quanto ricavabile dalla nota

ministeriale impugnata si risolve nella diversa interpretazione di una

disposizione della legge regionale, per cui — essendo la stessa certa mente non preclusa, quanto a spettanza, agii organi statali — non si

realizzano i presupposti di un conflitto sulla spettanza di una compe

II Foro Italiano — 2003.

Diritto. — 1. - Il conflitto di attribuzione proposto dalla re

gione Campania nei confronti del presidente del consiglio dei

ministri, ha per oggetto: a) la nota del ministero del tesoro, del

bilancio e della programmazione economica - dipartimento della

ragioneria generale dello Stato, prot. 59064, datata 1° agosto 2000, che dispone la cessazione del finanziamento statale relati

vo al trattamento economico del personale già assunto a con

tratto per le esigenze connesse ai terremoti in Campania ed in

Basilicata, del novembre del 1980 e del febbraio 1981, e im messo in un ruolo speciale ad esaurimento degli enti presso cui

aveva prestato servizio, ai sensi dell'art. 12 della legge statale

28 ottobre 1986 n. 730 (disposizioni in materia di calamità natu

rali), attribuendo, a decorrere dal 6 maggio 1997 a carico del

bilancio della regione il trattamento economico del suddetto

personale; b) tutti i comportamenti — «anche omissivi» — dello

stesso ministero nella vicenda in esame (e, occorrendo, le pre cedenti note del 22 settembre 1997, del 17 febbraio 1998 e del 9

marzo 1999), nonché il parere del Consiglio di Stato, sez. Ili, in

data 9 maggio 2000, prot. 838/00, al quale la nota del 1° agosto 2000 si è conformata.

Secondo la regione, i provvedimenti ministeriali impugnati avrebbero erroneamente interpretato l'art. 3, 6° comma, 1. reg.

Campania 21 aprile 1997 n. 12 (rideterminazione dell'organico del ruolo della giunta regionale. Norme di adeguamento al d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, articoli 30 e 31), in quanto la norma non

avrebbe affatto inserito nei ruoli regionali ordinari il personale in questione, e quindi non si sarebbe verificato il presupposto

per la cessazione del relativo finanziamento statale previsto dal

5° comma del citato art. 12 1. n. 730 del 1986. Su questa pre messa, la ricorrente denuncia, in sintesi, la violazione delle pro

prie competenze costituzionalmente garantite, soprattutto in ri

ferimento alla sua autonomia finanziaria, di bilancio, ed in ma

teria di organizzazione degli uffici, nonché la lesione del princi

pio di leale collaborazione. E conclude chiedendo a questa corte

di «a) accertare e dichiarare che non spetta allo Stato e, per es

so, al ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica -

dipartimento della ragioneria generale dello Stato, con una, per di più, errata interpretazione della legge regionale, incidere, prevedendo la cessazione del finanziamento statale, sul

modo di esecuzione della legge regionale e disporre in contrasto

con la stessa, violando così le competenze costituzionalmente

garantite alla regione Campania, soprattutto in riferimento al

l'autonomia finanziaria e di bilancio e all'autonomia in materia

di organizzazione degli uffici; b) per effetto, annullare gli atti impugnati».

2. - Preliminarmente, l'avvocatura generale dello Stato ecce

pisce l'inammissibilità del conflitto, in ragione della dedotta

tenza, ma solo un problema interpretativo sul quale dovrà pronunciarsi il giudice comune.

Per la mancanza di «tono costituzionale», e quindi l'inammissibilità, di un conflitto tra enti, avente ad oggetto una controversia puramente economica che si risolve in una vindicatio rei, v. Corte cost. 4 luglio 2001, n. 213, Foro it., 2001,1, 3440, con nota di richiami.

In ordine all'art. 12 1. 730/86 che stabilisce per il personale ivi previ sto l'immissione in ruoli speciali ad esaurimento da istituirsi presso gli enti o le amministrazioni ove gli interessati prestano servizio nonché il relativo trattamento economico, v. Cons. Stato, comm. spec., 19 gen naio 1998, n. 393, id., Rep. 1999, voce Calamità pubbliche, n. 52, se condo cui tale disposizione non è applicabile in via analogica nei ri

guardi del personale inquadrato nei ruoli della presidenza del consiglio; sez. VI 10 giugno 1996, n. 807, id.. Rep. 1996, voce Croce rossa, n. 1, secondo cui i dipendenti della croce rossa italiana inquadrati nel ruolo

regionale ad esaurimento ai sensi dell'art. 12, 1° comma, 1. 730/86 han no diritto al riconoscimento, nella nuova posizione, dell'anzianità di servizio maturata presso l'ente di provenienza, ancorché con rapporto di tipo libero-professionale; Cons, giust. amm. sic. 14 maggio 1996, n.

125, ibid., voce Calamità pubbliche, n. 25, secondo cui esso non può che essere riferito a chi essendo, ovvero essendo stato legato all'ammi

nistrazione da un rapporto di lavoro precario (sorto in occasione del

l'emergenza sismica del 1968), non sia stato però ancora assunto sta

bilmente. Per applicazioni specifiche della 1. 730/86 nella regione Campania,

anche congiuntamente a quanto disposto con la 1. reg. 24 febbraio 1990

n. 8, v. Cons. Stato, sez. IV, 29 maggio 1995. n. 375, e 27 dicembre

1994, n. 1070, id., Rep. 1995, voce Regione, nn. 209 e 193; Tar Cam

pania, sez. IV, 29 novembre 1993, n. 550, id., Rep. 1994, voce cit., n.

214; Cons. Stato, sez. IV, 22 ottobre 1993, n. 917, id.. Rep. 1993, voce

Giustizia amministrativa, n. 431.

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