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sentenza 1° febbraio 1985; Giud. Fuzio; imp. Gaffurini

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sentenza 1° febbraio 1985; Giud. Fuzio; imp. Gaffurini Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 357/358-361/362 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177839 . Accessed: 25/06/2014 05:04 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.73.86 on Wed, 25 Jun 2014 05:04:53 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 1° febbraio 1985; Giud. Fuzio; imp. Gaffurini

sentenza 1° febbraio 1985; Giud. Fuzio; imp. GaffuriniSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 357/358-361/362Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177839 .

Accessed: 25/06/2014 05:04

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA PENALE

onde corte (hf), che può raggiungere con stabile nesso una

lontana capitale (il che, in certi periodi storici, era ben più

pesantemente sanzionato...) ma, poiché la norma indica un

minimo di mesi tre ed un massimo di mesi sei e cosf per l'ammenda congiunta, esiste per il giudice ordinario la possibilità di una certa graduazione di pena, rispetto alla gravità del fatto, di talché esula anche per detto profilo il prospettato vizio di

incostituzionalità.

Resta invece compito del legislatore apportare, in via di mo

difica, una nuova e più articolata graduazione di sanzioni, tenen

do presenti che, nel caso, gli installatori erano camionisti che

hanno invocato l'utilità dell'apparato radiotelefonico C.B. per i

casi di intasamento autostradale, nebbia, pericoli notturni, ecc., il

che potrebbe valere per una previsione di pena soltanto pecunia ria, che soltanto una riforma legislativa potrebbe consentire.

È poi da escludersi che, nel caso di specie, ©i si trovi di fronte

ad « apparati di debole potenza », come sembra intendere la

citata sentenza pretorile, quando la « debole potenza » è soltanto

quella dell'ordine di pochi milliwatt, riconosciuta come tale in

sede di omologazione ministeriale, mentre invece gli apparati C.B.

con potenza di 3, 4, 5, watt o più di emissione in antenna sono

apparati « normali », le cui emissioni possono, in particolari condizioni ionosferiche, percorrere anche migliaia di chilometri.

Alla luce delle svolte considerazioni, e precisati gli esatti

termini tecnici e mormativi, che la questione comporta, questo

giudicante non può accogliere alcuna delle istanze ed argomenta zioni difensive in diritto, e pertanto tutte le respinge come

manifestamente infondate.

Cosf superata la questione di diritto preliminare, in fatto la

prova evidente della responsabilità si ricava dalla lettura stessa

degli atti e dalla diretta constatazione degli operanti.

Nella materia a nulla giova la eventuale limitata conoscenza

che il prevenuto poteva possedeire della legale disciplina della

concessione, né la dedotta circostanza dell'uso ormai generalizzato tra camionisti professionali dell'apparato radio, o la circostan

za che addirittura gli stessi apparati vengano ormai venduti lungo le autostrade, nei chioschi dei distributori di benzina e accessori ed installati senza il benché minimo avviso della necessità di

previa concessione.

Tali circostanze e l'uso di utilità e asserita sicurezza notturna

dell'apparato valgono tuttavia la concessione delle attenuanti

generiche sulla pena minima edittale, che si applica per la

modesta potenza dell'apparato e la qualità del lavoro compiuto dal prevenuto.

Pertanto si applica in concreto la pena di mesi due di arresto e

lire 200.000 di ammenda (cosi ridotta la pena di mesi tre e

300.000) oltre alle spese processuali. I benefici vengono concessi o

negati in stretto riferimento ai precedenti risultati.

Può concedersi il dissequestro dell'apparato, il cui uso futuro

dovrà essere rigorosamente condizionato all'osservanza di tutte le

formalità.

I

PRETURA DI SALÒ; sentenza 1° febbraio 1985; Giud. Fuzio;

imp. Gaffurini. PRETURA DI SALÒ;

Pena — Sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato — Viola

zione degli obblighi — Reato — Sussistenza — Fattispecie (L. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 77,

83).

Integra il reato di violazione degli obblighi di cui all'art. 83 l.

689/81 il fatto di colui il quale, dopo aver ottenuto in base

all'art. 77 della stessa legge la sostituzione della pena detentiva

con quella pecuniaria, non abbia volontariamente provveduto al

pagamento della somma dovuta. (1)

(1-2) Le due decisioni in epigrafe esemplificano alcune delle prime applicazioni della nuova figura di reato di violazione degli obblighi, introdotta dall'art. 83 1. 24 novembre 1981 n. 689: nel senso che non costituisce reato lo stato d'insolvenza successivo alla richiesta dell'im

putato dell'applicazione della pena sostitutiva v. già Pret. Cassano del

Grappa 20 gennaio 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Pena, n. 247. Secondo i primi commentatori (v. Giarda, in Dolcini, Giarda,

Il Foro Italiano — 1985 — Parte 11-21.

II

PRETURA DI SALO; sentenza 1° febbraio 1985; Giud. Fuzio;

imp. Passeri.

Pena — Sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato — Viola

zione degli obblighi — Reato — Insussistenza — Fattispecie (L. 24 novembre 1981 n. 689, art. 77, 83).

Non integra gli estremi del reato di violazione degli obblighi di

cui all'art. S3 l. 689/81, il fatto dell'imputato che, ottenuta su

sua richiesta la sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, dimostri che il suo stato d'insolvenza sia stato successivo alla

sentenza ex art. 77 della legge suddetta, ovvero non sia stato mes

so in condizione di adempiere nei termini (nella specie, il paga mento della pena pecuniaria sostitutiva della pena detentiva

non era stato richiesto immediatamente, né era stato posto un

termine di adempimento, né la richiesta di pagamento era stata

notificata all'imputato, stante la sua irreperibilità). (2)

Mucciarellt, Paliero, Riva Grugnola, Commentario delle modifiche al sistema penale, 1982, 408 s.) la fattispecie in questione, invero non esente da qualche aspetto problematico, presenterebbe comunque come caratteri certi: la sua autonomia rispetto ad altre fattispecie analoghe (ci si riferisce all'art. 388 ter c.p., introdotto ex novo dall'art. 109 1.

689/81 che incrimina la fraudolenta mancata esecuzione di pena pecuniaria); la sua qualificazione delittuosa e, dunque, la necessaria configurazione dolosa della condotta trasgressiva degli obblighi imposti con la sentenza emessa ex art. 77 I. 689/81 (v. in dottrina Giarda, op. cit., 408-409; Guarino, La richiesta dell'imputato di sanzioni sostituti

ve, in Giur. merito, 1983, 563 e, in giurisprudenza, Pret. Bassano del Grappa 20 gennaio 1984 cit.). Cionondimeno, interrogativi potrebbero sorgere circa l'individuazione delle condotte punibili ex art. 83 1.

689/81: lo stesso termine «obblighi», la cui violazione è incriminata, è ritenuto improprio (Guarino, op. loc. cit.; Giarda, op. cit., 408).

Tali obblighi, comunque, non possono che consistere nella volontaria esecuzione della sanzione sostitutiva applicata su richiesta dell'imputato (Guarino, op. cit., 563). Le sanzioni sostituibili sono solo ed esclusi vamente due: la libertà controllata e la pena pecuniaria. Si ritiene

perciò integrata la fattispecie de qua — come peraltro riconosce

l'organo giudicante — nei casi sia di condotta trasgressiva delle prescrizioni inerenti all'applicazione della libertà controllata, sia di volontario inadempimento della pena pecuniaria (v. Guarino, op. loc.

cit.-, Giarda, op cit., 410).

L'impossibilità di fare luogo, in caso di inosservanza degli obblighi relativi alla sanzione sostitutiva, ad ulteriore sostituzione di pena trova

ragione nella volontà, espressa dal legislatore, di dover negare fiducia a chi non si è reso « degno » già una prima volta del « beneficio » di cui all'art. 77 1. 689/81 (v. Giarda, op. cit., 411).

Non vi è concordia sulla possibilità, in caso di mancata esecuzione della pena sostitutiva (nella specie pena pecuniaria), di far luogo a « conversione » della stessa. Sembra, invero, prevalere la soluzione (accolta anche dalla prima delle due sentenze in epigrafe) che esclude tale possibilità: v. Pret. Roma 14 maggio 1983, Pastore, inedita, e, in dottrina Giarda, op. cit., 410; De Roberto, in Giur. it., 1984, II, 263; contra v. Pret. Bassano del Grappa 20 gennaio 1984, cit. e in dottrina Guarino, op. cit., 564. La convertibilità viene, infatti, esclusa non solo per la considerazione che l'art. 107 1. 689/81 si riferisce

sempre al « condannato » e non anche al « prosciolto », come è invece considerato colui che ottiene la sentenza ex art. 77 (v. in tal senso

Giarda, op. cit., 410), ma anche in base al rilievo che proprio con l'introduzione della nuova fattispecie di violazione degli obblighi il

legislatore avrebbe voluto espressamente separare l'istituto della sostitu zione di pena ad istanza dell'imputato dall'ambito della conversione (v. De Roberto, op. cit., 263). Infatti nel caso di applicazione di pena sostitutiva su richiesta dell'imputato il reato è dichiarato estinto (art. 77 1. 689/81), cosicché, mancando una sentenza di condanna vera e

propria, la pena originaria non può più rivivere né, a fortiori, essere convertita. Nella giurisprudenza della Cassazione si registra, però, una

tendenza a riconoscere carattere di sentenza di condanna alla pronun cia emessa ex art. 77 (v. sent. 11 luglio 1983, Meotto, Foro it., Rep.

1984, voce cit., n. 213; 25 marzo 1983, Sotgiu, ibid., n. 212; e in dottrina non ritiene che tale pronuncia possa estinguere tecnicamente il reato Boscarelli, Applicazione di pena sostitutiva a richiesta del reo ed « estinzione di reato », in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 1293; profili di illogicità sul punto denuncia Mencarelli, Considerazioni sulla recente legge di depenalizzazione, ibid., 627).

Per questioni di costituzionalità connesse all'art. 77 1. 689/81 cfr. Pret. Moncalieri 15 novembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n.

103; Pret. Foggia 22 giugno 1982, e Pret. Milano 14 maggio 1982, id., 1982, II, 539; Pret. Cuneo 26 marzo 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n.

91; Pret. Reggio Calabria 19 marzo 1982, ibid., n. 90, e, in dottrina

Morello, Le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, in Giust.

pen., 1982, III, 427; Lattanzi, Sospetti di incostituzionalità nel c.d.

patteggiamento, in Cass, pen., 1982, 1649; Bricola La depenalizzazio

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PARTE SECONDA

I

Fatto e diritto. — Con sentenza del 30 aprile 1982 a Gaffurini Fausto venne applicata, su sua richiesta, la sanzione della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva prevista per il

reato di furto a lui contestatogli. Il Gaffurini, nonostante continue richieste, non ha adempiuto

all'obbligo del pagamento ed è stato perciò tratto a giudizio per

rispondere del reato a lui ascrittogli in rubrica.

All'udienza odierna l'imputato dichiarava di non essere stato in

grado di assolvere al proprio debito per mancanza di denaro e

che aveva effettuato istanza di lavoro sostitutivo.

Dopo la discussione orale il rappresentante del p.m. e il

difensore dell'imputato concludevano come da verbale.

Innanzitutto va osservato che la istanza di lavoro sostitutivo non poteva essere accolta giacché quest'ultimo trova la sua

giustificazione e il suo fondamento in altri presupposti.

Il lavoro sostitutivo, infatti, presuppone a) una condanna

penale emessa a seguito di normale dibattimento; b) la natura

pecuniaria della sanzione; c) lo stato di insolvibilità del condan

nato. Sulla base di questi presupposti il lavoro sostitutivo si

inserisce nell'ambito dell'istituto della conversione della pena e

consente, ove richiesto dall'imputato, la possibilità di sostituire

alla libertà controllata la più mite, per certi versi, sanzione della

prestazione lavorativa coatta in favore della collettività.

Viceversa l'istituto del lavoro sostitutivo non può trovare

applicazione nella ipotesi di pena pecuniaria irrogata a seguito dell'istituto del patteggiamento vuoi per la espressa previsione dell'art. 83 che, tra l'altro, prescrive l'impossibilità di una ulterio

re sostituzione della pena, vuoi, soprattutto, perché diversi sono i

presupposti e cioè: a) una sentenza di estinzione del reato

emessa senza un normale dibattimento; b) una pena pecuniaria

irrogata in sostituzione di una pena detentiva; c) il teorico stato

di solvibilità del condannato che su una richiesta ha ottenuto una

condanna pecuniaria.

Consentire l'applicazione della procedura di conversione anche nelle ipotesi di pene pecuniarie irrogate con il patteggiamento

significherebbe, inoltre, da un lato inserire un tertium genus di

sanzione sostitutiva su richiesta (art. 77) non prevista e dall'altro

svilire lo stesso istituto del patteggiamento che presuppone un « accordo definitivo delle parti » con lo scopo di accelerare i

tempi di definizione del processo.

Dimostrazione della grande importanza attribuita dal legislatore alla sentenza di applicazione di sanzione sostitutiva su richiesta

(patteggiamento) è la enorme differenza con la quale è stata

sanzionata la inosservanza delle prescrizioni inerenti le sanzioni

sostitutive applicate d'ufficio (art. 66 1. 689/81) e la violazione

degli obblighi imposti con la sentenza pronunciata a norma dell'art. 77 (art. 83 1. 689/81).

Parimenti, nessuna rilevanza può assumere lo stato di insolvibi lità dell'imputato giacché, in mancanza della indicazione di un termine espresso entro cui provvedere al pagamento, l'obbligo della pena pecuniaria andava assolto contestualmente alla senten za e l'eventuale insolvibilità, sin da quel momento, comprova la mala fede del Gaffurini e la sua non legittimazione alla richiesta di patteggiamento.

Volendo usare termini civilistici può affermarsi che l'imputato ha agito con dolo usando raggiri senza dei quali il giudice non avrebbe irrogato la pena pecuniaria. Né l'imputato ha offerto

prova alcuna di una insolvibilità successiva alla sentenza.

Gaffurini Fausto è, pertanto, riconosciuto responsabile del reato

ascrittogli e si stima equo condannarlo alla pena di mesi quattro di reclusione con la concessione delle attenuanti generiche in considerazione delle novità dell'istituto.

Val la pena evidenziare che la sanzione prevista dall'art. 83 è,

giustificatamente, alta anche nel minimo in virtù del fatto che

essa assorbe anche la sanzione del reato base, vale a dire di quel reato per il quale è stata disposta l'applicazione della sanzione

sostitutiva non osservata. La mancanza di precedenti penali del condannato consente la

applicazione del beneficio della sospensione condizionale della

pena.

nella l. 24 novembre 1981 n. 689: una svolta « reale » nella politica criminale ?, in Politica del diritto, 1982, 559.

Per un quadro dei profili politico-criminali della 1. 689/81 v. Dolcini, Le « sanzioni sostitutive » applicate in sede di condanna, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 1390.

Il Foro Italiano — 1985.

II

Fatto e diritto. — Con sentenza del 30 aprile 1982 veniva

dichiarata la estinzione del reato di furto contestato a Passeri

Enrico in virtù della intervenuta applicazione, su sua richiesta,

della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria. Nonostante le formali richieste svolte dal funzionario del cam

pione penale di questa pretura, il Passeri non provvedeva al

pagamento della pena pecuniaria ed era perciò tratto a giudizio

per rispondere del reato di cui all'art. 83 1. 689/81. Alla odierna udienza dibattimentale l'imputato produceva rice

vuta di pagamento e dichiarava di non avere potuto provvedere

prima al pagamento perché gli avvisi erano stati effettuati nella

sua vecchia residenza ed a mani dei suoi genitori che non avevano

provveduto a comunicarglieli.

Dopo la discussione orale il rappresentante del p.m. e il

difensore dell'imputato concludevano come da verbale.

L'avvenuto pagamento della pena pecuniaria prima dell'apertura del dibattimento conduce alla assoluzione dell'imputato con formula

ampia.

Appare doveroso, peraltro, inquadrare la fattispecie delittuosa

in esame in considerazione della sua novità.

L'art. 83 1. 689/81 contiene la sanzione per la violazione degli

obblighi imposti con la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 77

della medesima legge. La dizione della legge è talmente chiara che davvero stupisce

la opinione espressa, in contrario, da dottrina e giurisprudenza e

secondo la quale la sanzione dell'art. 83 sarebbe applicabile unicamente alla ipotesi di violazione delle prescrizioni determina

te dal giudice di sorveglianza per la esecuzione della libertà

controllata applicata ex art. 77.

Attraverso l'indicata tesi si finisce per mutare completamente il

precetto sanzionato dall'art. 83 e che è identificato, espressamente, nella inosservanza della sentenza pronunciata a norma dell'art. 77

1. 689/81. L'opinione avversata dimentica la profonda divergenza esistente

tra le sanzioni sostitutive applicate d'ufficio e le sanzioni sostitu

tive applicate su richiesta e mostra di non tenere nel dovuto conto la enorme diversa gravità delle sanzioni conseguenti alla

inosservanza degli obblighi nascenti dalla sanzione sostitutiva

della libertà controllata, a seconda che essa sia stata applicata di

ufficio (art. 66) o su richiesta (art. 77).

La indicata disparità di trattamento in tanto è giustificata in

quanto corrisponde a situazioni giuridiche completamente diverse;

l'una, basata su una sentenza di condanna e l'altra fondata su una distinta procedura nel corso della quale l'estinzione del reato si è accompagnata ad un accordo sulla definizione anticipata del

processo con applicazione di sanzioni sostitutive. Nella prima ipotesi il procedimento ha avuto il suo naturale epilogo e si caratterizza solo per una variante di pena, nella seconda fattispe cie, invece, si è in presenza di un procedimento che, sull'accordo

delle parti, si è concluso senza una vera condanna e con una

pena atipica (basti pensare ai suoi effetti per il casellario giudizia le ex art. 81).

Chiarita la esattezza della contestazione elevata all'imputato e

rilevata la incongruità dei richiami (Pret. Bassano del Grappa 20

gennaio 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Pena, n. 247) agli art. 388

c.p. (che riguarda solo l'inosservanza di provvedimenti civili), 388

bis c.p. (reato proprio del custode), 388 ter c.p. (che presuppone l'esecuzione di atti fraudolenti) occorre determinare la rilevanza

della condotta dell'agente e, in particolare, l'efficacia e la rilevan

za del termine di pagamento della sanzione sostitutiva della pena

pecuniaria applicata su richiesta.

Orbene la struttura del meccanismo del patteggiamento è tale

che una volta determinatosi l'effetto estintivo del reato principale il mancato adempimento alle sanzioni sostitutive anziché far

rivivere l'azione penale originaria determina una nuova responsa bilità per il delitto di cui all'art. 83 1. 689/81. Se cosi è, può affermarsi che il comportamento dell'imputato inadempiente è

dominato da un dolus in re ipsa (nel senso che al momento della

richiesta egli era già consapevole della sua insolvibilità) e che la

sua condotta può essere scriminata solo ed unicamente da un

fatto successivo alla sentenza di applicazione della pena pecunia ria sostitutiva della pena detentiva. In questi limiti può avere

rilevanza l'eventuale termine di pagamento inserito in sentenza o,

successivamente, posto in sede esecutiva.

L'agente andrà esente da pena, ai sensi dell'art. 83, le volte in

cui dimostri che lo stato di insolvibilità sia stato successivo alla

sentenza emessa ex art. 77 o che non sia stato messo in

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GIURISPRUDENZA PENALE

condizione di adempiere nei termini mentre la sua responsabilità scatterà in tutti gli altri casi anche per il semplice ritardo nel

pagamento. Ciò posto e venendo alla fattispecie in oggetto, è emerso dagli

atti che il pagamento della pena pecuniaria, applicata in sostitu

zione della pena detentiva, non era stato richiesto immediatamen

te, né era stato posto un termine e che la richiesta di pagamento non era mai stata a lui notificata stante la sua irreperibilità.

Conseguentemente, Passeri Enrico va assolto dal reato ascrittogli

perché il fatto non sussiste.

PRETURA DI BOLOGNA; sentenza 7 novembre 1984; Giud.

Scarp ari; imp. Kelly ed altre.

PRETURA DI BOLOGNA;

Straniero — Espulsione dallo Stato — Rientro nel territorio —

Reato — Insussistenza — Fattispecie (R.d. 18 giugno 1931 n.

773, t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, art. 151).

Quando il provvedimento di espulsione dello straniero risulti

manifestamente illegittimo perché ancorato a norme inconferen ti (art. 150, 152, 142 t.u. leggi p.s. e 267 reg.), fondato su

presupposti non provati al tempo della emissione dello stesso e

in seguito risultati inesistenti, nonché privo di adeguata motiva

zione, non è configurabile il reato previsto dall'art. 151 t.u.

leggi p.s. (1)

<1) Per una certa analogia con la decisione che si riporta, cfr. T.A.R. Emilia-Romagna 7 dicembre 1977, n. 511, Foro it., 1978, III, 482; Pret. Como 21 gennaio 1969, id., Rep. 1969, voce Sicurezza

pubblica, n. 79 e in Mon. trib., 1969, 946, con nota di Cappiello; Pret. Roma 9 dicembre 1966, Foro it., Rep. 1967, voce Straniero, n. 4, tutte in relazione alla illegittimità del provvedimento emesso dal

prefetto, ex art. 152 t.u. leggi p.s., quando manchi l'urgenza, ovvero non ricorrano i presupposti richiesti.

La giurisprudenza ha ritenuto in ogni caso necessario che il provvedimento di espulsione sia adeguatamente motivato: Pret. Roma 5 maggio 1978, Riv. pen., 1979, 94, con nota di Favino; Trib. Livorno, senza data, Giust. pen., 1960, II, 726.

Opinione contraria è stata espressa da Cons. Stato, sez. IV, 27 febbraio 1952, n. 208 (Foro it., 1952, III, 107), che ha ritenuto non sussistere obbligo di motivazione per il provvedimento con cui la p.a. limiti il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, avendo la stessa amministrazione facoltà di agire secondo il proprio apprezzamen to delle esigenze di pubblico interesse.

Corte, cost. 23 luglio 1974, n. 244, (id., 1974, I, 2942) ha ritenuto legittimo l'art. 152 t.u. leggi p.s., in riferimento agli art. 3, 16, 24, 25, 102 Cost, ed ha affermato la possibilità di limitare la libertà di circolazione dello straniero a tutela di particolari interessi pubblici (motivi di sanità e di sicurezza pubblica); contro il provvedimento amministrativo, di cui si sottolinea la necessaria motivazione, che disponga in tal senso, è data — secondo la corte — tutela giurisdizio nale.

In dottrina, sulla sindacabilità del provvedimento di espulsione, in generale cfr. Sorrentino, L'espulsione dello straniero, in Giust. pen., 1980, I, 216; Galterio, Lo straniero nei confronti delia giurisdizione penale e i provvedimenti di polizia (in relazione anche ai cittadini comunitari), id., 1976, I, 260. Nel senso invece della insindacabilità del provvedimento di espulsione; Alessi, La responsabilità della p.a., Milano, 1951, 339 ss.

Sulla condizione giuridica degli stranieri in Italia, v. Corte cost. 23 aprile 1974, n. 109, Foro it., 1974, I, 1562, con nota di richiami, che ha sostenuto la impossibilità di negare l'autorizzazione del ministro dell'interno allo straniero espluso, che si trovi nella necessità di comparire dinanzi al giudice per difendersi da una imputazione.

In dottrina, Nascimbene, Soggiorno dello straniero in Italia e diritto comunitario, in Riv. dir. internaz., 1979, 353; Biscottini, Stabilimento (diritto di), voce del Novissimo digesto, 1971, XVI li;' 61; Sabatini, Stranieri, ibid., 543.

La vicenda di blocco stradale a fini dimostrativi, cui si allude nella decisione in epigrafe, è venuta al vaglio di Trib. Ragusa 14 apri le 1984, Foro it., 1985, II, 22, con nota di Rapisarda; anche l'Amtsgericht di Francoforte ha ritenuto che bloccare l'accesso delle basi dei missili non è reato perché l'installazione dei (Pershing 2 in Ger mania contrasta con in principi della Costituzione federale (cfr. l'arti colo di G. Ambrosino, ne II manifesto del 20 giugno 1985; sulle vi cende tedesche cfr. Foro it., 1985, IV, 21); per altro reato commesso da un gruppo di giovani al fine di manifestare contro l'installazione di missili nucleari in Italia, cfr. Assise Siracusa 28 gennaio 1985, ibid., II. 210.

Il Foro Italiano — 1985.

In data 11 marzo 1983 Kelly Veronica, Molenaar Mariyke, Barker Katherine, Ravesteyn Peggy Beatrice, Hoskyns Teresa, Boo ker Sara e Burgess Brigitte Margaret venivano arrestate con

l'accusa di blocco stradale per un sit-in effettuato sulla via di

accesso all'areoporto di Comiso al fine dichiarato di protestare contro l'installazione dei missili Cruise in quella base militare.

Con provvedimento 16 marzo 1983 il procuratore della repub blica di Ragusa concedeva alle imputate la libertà provvisoria ed

in quello stesso giorno il locale prefetto ne decretava l'espulsione dal territorio dello Stato.

Il 21 giugno 1984 le predette rientravano invece in Italia, scendevano all'aeroporto di Bologna e si recavano quindi presso la questura, asserendo di non riconoscere alcuna validità al

provvedimento di espulsione, a parer loro illegittimo e vessatorio. Non essendo risultate in possesso dell'autorizzazione ministeriale necessaria per il rientro, a tutte veniva contestato il reato di cui all'art. 151 t.u.l.p.s., ed il relativo rapporto veniva inoltrato a

questo ufficio, competente per materia e territorio. All'odierno pubblico dibattimento comparivano la Kelly, la

Hoskyns e la Ravesteyn, mentre le altre imputate venivano

processate in contumacia. Tutti e tre ribadivano di essersi recate

a Comiso dotate di adeguati mezzi di sostentamento, di aver

voluto partecipare alle manifestazioni contro l'installazione dei

missili perché da tempo impegnate contro il militarismo e di

avere dato vita al sit-in dell'I 1 marzo perché ritenuto un mezzo

significativo per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sul

pericolo mortale di una guerra nucleare. Veniva quindi espletata la istruttoria dibattimentale con l'escussione di testi e l'acquisi zione di copiosa documentazione, dopo di che di p.m. e la difesa

concludevano come da verbale di udienza.

Ritiene il pretore che tutte le imputate debbano andare assolte

dall'accusa contestata, essendo i provvedimenti di espulsione ma

nifestamente illegittimi, perché ancorati, da un lato, a norme

inconferenti e fondati, dall'altro, su presupposti di fatto allora

non provati e oggi risultati inesistenti.

Pretestuosi, innanzi tutto, appaiono i riferimenti agli art. 150, 142 e 267 reg. contenuti nei decreti emessi a carico di Booker,

Burges, Ravesteyn, Molenaar e Barker, in quanto tale normativa

configurava la legittimità dei conseguenti provvedimenti solo se

basati su determinati presupposti (le persone da espellere devono

aver riportato condanne per delitto o per la contravvenzione di

cui all'art. 142 t.u.l.p.s.: così l'art. 267 reg.; devono sussistere poi

comprovati motivi di ordine pubblico: cfr. art. 150 t.u.l.p.s.), e

solo se dotati di adeguate motivazioni, trattandosi di atti discre

zionali.

Orbene, nessuno dei decreti esaminati soddisfa minimamente

queste esigenze. Le imputate, alla data del 16 marzo 1983, non avevano riportato

alcuna condanna, né per il delitto oé per la contravvenzione su

indicata (ed anzi neanche della asserita denuncia ex art. 142

t.u.l.p.s. vi è traccia nei processo poi celebrato a loro carico per il

sit-in: cfr. sentenza 14 aprile 1984 del Tribunale di Ragusa, Foro

it., 1985, II, 22, prodotta in copia). Inoltre, nei vari provvedi

menti, neppure si tenta di indicare quali siano i motivi di ordine

pubblico valutati ai fini della decisione, né si giustificano con mo

tivazione adeguate, e cioè controllabili, le ragioni della scelta del

l'espulsione in alternativa alla semplice segnalazione al ministero

dell'interno, pure prevista dall'art. 267/reg.: la frase « Ritenuta l'op portunità che la medesima venga espulsa, ecc. » costituisce infatti

un'affermazione, non già una motivazione.

Né migliore fondamento sembra avere il richiamo all'art. 152

t.u.l.p.s contenuto nei decreti emessi a carico della Kelly e della

Hoskyns, in quanto se è vero che tale norma prevede la

possibilità per il prefetto di allontanare gli stranieri semplicemen te denunciati ai sensi dell'art. 142 t.ui.pjs. ciò è sempre condizio nato all'obbligo di motivazione (nella specie mancante), a ragioni di ordine pubblico (non indicate e, come vedremo, inesistenti) nonché ad una effettiva urgenza che impedisca la preventiva richiesta di autorizzazione del ministero dell'interno (e che questa urgenza non vi fosse si deduce dagli stessi provvedimenti esami

nati, nei quali si richiama proprio l'autorizzazione preventiva già ottenuta ai sensi dell'art. 267 reg. dal competente ministero).

Né infine può ritenersi appropriato il richiamo all'art. 271 reg. ed alla situazione di indigenza in cui avrebbero versato indiscri minatamente tutte le imputate, poiché da un lato non risulta sia stato all'epoca chiesto di dimostrare la sufficienza e la liceità dei mezzi di sostentamento e, dall'altro, è risultata oggi in dibatti mento che ognuna di loro godeva in Comiso di una indiscussa autonomia economica. Invero se la Burges e la Barker potevano

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