Click here to load reader
Click here to load reader
Sentenza 1° ottobre 1963; Pres. Toma P., Est. Panzuto; Veronese (Avv. Pavanini) c. Min. p. i.Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 3 (1964), pp. 631/632-635/636Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23153741 .
Accessed: 25/06/2014 00:55
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.2.32.141 on Wed, 25 Jun 2014 00:55:55 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
631 PARTE PRIMA 632
probabile che nella maggior parte dei oasi se ne possa
individuare, con un buon grado di certezza, l'autore ;
conseguenza inevitabile, questa non solo della già accen
nata ristrettezza del corpo elettorale, ma soprattutto del
fatto che nessun professionista si trova come il notaio
nella situazione di redigere di proprio pugno un elevato
numero di documenti autentici. Perfino l'uso di caratteri
a stampatello, al quale hanno fatto lodevolmente ricorso
diciassette elettori, non elimina del tutto l'inconveniente, essendo ben noto che anche nel tracciare tali segni una
persona di cultura elevata non riesce a sottrarsi a mani
festazioni grafiche rivelatrici, che possono consentire al
redattore di offrire al candidato votato, è questa invero
l'ipotesi più temibile in simili casi, la prova dell'adem
pimento dell'eventuale accordo illecito.
Nè la legge consente di usare un altro mezzo che
possa legittimamente essere imposto agli elettori (l'uso della macchina da scrivere, ad esempio, potrebbe essere
tutt'al più raccomandato, così come lo si è reso possibile nella specie ; la previa presentazione di candidatura, allo
scopo di predisporre schede con liste stampate, non è
prevista dall'ordinamento nè dal regolamento, ecc.) al
contrario l'obbligo della distruzione delle schede dopo lo spoglio, sancito dal 4° comma dell'art. 95 del regola mento per la prima elezione ma estensibile per necessità
logica alla seconda, rileva il limite della garanzia insin
dacabilmente ritenuta sufficiente dal legislatore. Ciò posto, si deve constatare che la possibilità di
individuare il voto attraverso la fuggevole e opinabile
percezione di un segno lievissimo rivelatore dei caratteri
di stampa esistenti in qualche scheda non è certamente
più pregiudizievole per la segretezza del suffragio più di
quanto non lo sia la riconoscibilità della grafia, agevolata dalla possibilità di un esame ben più efficace, consentito
a tutti i presenti, sia pure nei limiti di tempo tracciati
dalla norma ora ricordata.
Indubbiamente sarebbe stato auspicabile che venisse
eliminato ogni possibilità di contestazione evitando di
predisporre mezzi suscettibili di addebiti di minore lealtà.
Ma in punto di validità degli atti del procedimento elet
torale, deriva da quanto si è osservato che l'uso delle
schede stampate, verificatosi nel caso corrente, non può ritenersi lesivo della idoneità degli atti medesimi a pro durre gli effetti tipici, e non può quindi dichiararsi la
chiesta nullità.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI VENEZIA.
Sentenza 1° ottobre 1963 ; Pres. Toma P., Est. Pan zuto ; Veronese (Avv. Pavanini) c. Min. p. i.
Impiegalo dello Stato e pubblico in genere Inse
«filanto elementare — Infortunio « in itinere » —
Responsabilità dell'amministrazione — Esclu sione (Cod. civ.. art. 2043 ; r. d. 17 agosto 1935 n. 1765, assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro, art. 2).
Appello in materia civile Domanda nuova —
Insussistenza — Condizioni (Cod. proc. civ., art. 345).
Impiegato dello Stalo e pubblico in genere — Inse
gnante elementare Infortunio non coperto da assicurazione — Diritto'ad indennizzo — Esclu sione (Costituzione, art. 38 ; cod. civ., art. 2110).
Il ministero della pubblica istruzione non è responsabile dell'infortunio occorso ad una insegnante elementare nel percorrere in bicicletta il tragitto per raggiungere dalla casa d'abitazione la scuola, non servito da pubblici trasporti. (1)
(1) Nei precisi termini della massima non si rinvengono precedenti.
Non innova alla domanda di primo grado Vappellante che, mantenendone fermo Voggetto, si limiti ad invocare a sostegno della propria pretesa norme giuridiche diverse
da quelle fatte valere in prime cure. (2)
L'insegnante elementare non di ruolo, esclusa dal tratta
mento previdenziale della legislazione infortunistica, non
ha diritto ad alcun indennizzo per l'infortunio subito
La giurisprudenza è generalmente orientata nel senso di ritenere indennizzabile l'infortunio in itinere se concorre il rischio specifico del lavoro, configurabile quando il lavoratore sia stato costretto a valersi di mezzi di trasporto forniti o pre scritti dall'imprenditore ovvero abbia dovuto percorrere una strada determinata che, conducendo esclusivamente al luogo di lavoro, presenti rischi maggiori di quelli delle ordinarie vie di comunicazione (fra le più recenti : Cass. 22 maggio n. 1335 e 29 marzo n. 786 del 1963, Foro it., Mass., 396, 223 ; 20 agosto 1962, n. 2602, id., Rep, 1962, voce Infortuni sul lavoro, n. 56) ; non mancano tuttavia sentenze nelle quali il principio viene deli mitato con riferimento alla comunissima ipotesi del lavoratore che si serva di un proprio mezzo di trasporto (bicicletta, moto cicletta e simili) per raggiungere il luogo nel quale deve prestare la sua opera, su cui specie i giudici di merito hanno manifestato opposte tendenze. Si è ritenuto, così, indennizzabile l'infortunio occorso all'operaio che deve servirsi della motocicletta per rag giungere il cantiere distante dalla propria abitazione, data la mancanza di alloggi sul posto di lavoro e di altri mezzi normali di trasporto (Trib. Enna 15 giugno 1960, ibid., n. 51 e 7 febbraio 1958, id., Rep. 1959, voce cit., n. 273), mentre si è discono sciuto l'indennizzo per l'infortunio subito dal lavoratore nel recarsi al lavoro con una motoleggera di sua proprietà, seb bene percepisse un compenso forfettario per il consumo di car burante (Trib. Perugia 23 novembre 1960, id., Rep. 1962, voce cit., n. 63). In numerose pronunce, poi, l'indennizzabilità del l'infortunio in itinere è stata esclusa sul riflesso che l'operaio percorreva una strada aperta al pubblico transito (Trib. Salerno 29 novembre 1960, id., Rep. 1961, voce cit., n. 95 ; Trib. Matera 28 luglio 1960, ibid., n. 98 ; Cass. 14 luglio 1959, n. 2283, id., Rep. 1959, voce cit., n. 125 ; Trib. Avellino 22 maggio 1959, ibid., n. 142 ; Cass. 29 gennaio 1941, n. 310, id., 1941, I, 296, con nota di richiami).
Si discosta, invece, da tutte le pronunce finora ricordate Trib. Enna 30 giugno 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 115, secondo cui è indennizzabile l'infortunio occorso al lavoratore nel recarsi in bicicletta sul luogo del lavoro, quando la distanza di questo dall'abitazione di esso giustifichi l'uso del mezzo di locomozione e ciò anche se l'imprenditore abbia predisposto per i propri dipendenti un mezzo (autocarro) per trasportarli alle loro case il sabato.
In dottrina sull'infortunio in itinere, cons, da ultimo Pa lermo, Legislazione sociale del lavoro, 1962, pag. 349 e segg. ; nonché, per un riesame sistematico dei precedenti giurispru denziali, la rassegna dello stesso A., Le assicurazioni sociali, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, diretta da W. Bigtavi, 1963, II, pag. 362 e segg.
Sulla nozione di occasione di lavoro, cui pure si riferisce nella parte motiva l'annotata sentenza, cons. Cass. 20 settembre 1963, n. 2599, Foro it., Mass., 740 ; in motivazione, Cass. 5 set tembre 1962, n. 2744, id., 1963, I, 56, con nota di richiami.
Per qualche riferimento, nel senso che il dipendente statale infortunato in servizio o in occasione del servizio può pretendere dallo Stato solo il trattamento economico previsto dalle norme che regolano il rapporto di servizio e la quiescenza, e non anche il risarcimento del danno, cons. Trib. Brescia 5 ottobre 1949, id., 1950, I, 632, con nota di A. M. Sandulli.
Cass. 10 gennaio 1953, n. 28, richiamata in motivazione, è riassunta nel Rep. 1953, voce Impiegato gov. e pubbl., n. 40.
(2) La massima è conforme al consolidato orientamento della Suprema corte che, ritenendo valido il mutamento della causa petendi in appello purché questo non implichi modifica della situazione di fatto posta a base della domanda di primo grado (Cass. 30 maggio n. 1456 e 19 aprile n. 953 del 1963, Foro it., Mass., 426, 277 ; 24 luglio 1962, n. 2087, id., Rep. 1962, voce Appello civ., n. 128 ; in motivazione 17 ottobre 1959, n. 2924, id., 1959, I, 1832, con nota di richiami) consente pure alle parti, fermi restando naturalmente gli elementi di fatto dedotti in primo grado, di avvalersi in appello di altri argomenti o mezzi giuridici a sostegno della propria pretesa (Cass. 14 marzo n. 498 e 27 luglio n. 2167 del 1962, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 120, 125 ; 10 marzo 1960, n. 457, id., Rep. 1960, voce cit., n. 127 ; 21 set tembre 1957, n. 3509, id., Rep. 1957, voce cit., n. 149 ; 26 giugno 1954, n. 2208, id., Rep. 1954, voce cit., n. 204).
This content downloaded from 185.2.32.141 on Wed, 25 Jun 2014 00:55:55 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nel recarsi a scuola e non imputabile all'amministra zione. (3)
La Corte, ecc. — L'appellante insiste nella domanda
di risarcimento riproponendo, anzitutto, la tesi già svolta
senza successo in primo grado ; infatti seguita a soste nere che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale,
l'obbligazione del ministero della pubblica istruzione di
indennizzarla dei danni relativi all'infortunio discende
dall'art. 2043 cod. civ. Subordinatamente, tuttavia,
aggiunge una nuova tesi sostenendo che, ove non discen
desse dal fatto illecito, l'obbligazione suddetta discen
derebbe da un principio di diritto riconducibile all'art. 38
della Costituzione e, più immediatamente ancora, al
l'art. 2110 c.od. civile.
La tesi principale è articolata in questi termini :
l'impiegata, non avendo potuto trovare abitazione sul
luogo del lavoro e non essendoci servizi pubblici di tra
sporto, fu indotta a percorrere in bicicletta giornalmente un lungo tratto di strada di campagna accidentata : fu
costretta, quindi, a correre un rischio che, rispetto a
quello degli altri utenti della strada, era aggravato in
quanto doveva essere affrontato necessariamente per la
esigenza del lavoro ; il ministero della p. i., da cui dipen deva, era consapevole del rischio suddetto ; pertanto, secondo le norme della comune prudenza e diligenza, avrebbe dovuto prendere le cautele idonee ad evitare
la necessità del percorso in bicicletta : o istituendo alloggi di servizio, o curando sicuri mezzi di trasporto o adot
tando altre misure a sua discrezione, non esclusa la siste
mazione della sede scolastica in zona più facilmente
raggiungibile ; non avendo fatto nulla di questo, non
avendo, cioè, rimosso una situazione che poteva recare, come in effetti recò, pregiudizio all'integrità fisica della
dipendente, violò le norme suddette, di fronte alle quali la sua discrezione tecnica non poteva non trovare un
limite ; si rese perciò colpevole di illecito e deve subire
la responsabilità dell'evento dannoso a norma dell'art.
2043 cod. civile.
La tesi non può essere accolta.
Senza dubbio il datore di lavoro è obbligato a far
di tutto affinchè il proprio dipendente, nell'esplicazione dell'attività lavorativa, possa evitare i rischi di lavoro :
lo prescrive l'art. 2087 cod. civ. E indipendentemente da qualsiasi disposizione di legge o di regolamento, deve
ammettersi che un siffatto dovere incomba anche alla
pubblica amministrazione, giacché il suo potere discre
zionale nell'organizzazione dei mezzi di lavoro trova ap
punto un limite nelle richiamate norme di comune pru denza e diligenza. Perciò, la violazione di tale dovere
da parte della pubblica amministrazione, in quanto
produttiva di danno all'integrità fisica del pubblico dipen
dente, cade sotto la sanzione dell'art. 2043 cod. civ.
Yale all'uopo l'insegnamento della Suprema corte di
cui alla sentenza 10 gennaio 1953, n. 28 (Foro it., Rep.
1953, voce Impiegato gov. e pwbbl., n. 40) citata dall'ap
pellante. Ma il rischio che, secondo le norme di comune
ed elementare prudenza, la pubblica amministrazione è
tenuta ad evitare per non incorrere in responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 cod. civ., è solo quello stretta
mente inerente all'attività lavorativa e cioè eziologica mente a questa collegata ; solo rispetto a tale rischio,
infatti, si spiega giuridicamente un generico dovere di
prudenza e diligenza. Quando il rischio non è inerente
all'esplicazione della vera e propria attività di lavoro
e viene corso, invece, al di fuori di tale attività e addirit
tura fuori del luogo di lavoro, un dovere generico della
pubblica amministrazione di predisporre i mezzi per evitarlo non è ipotizzabile in nome delle semplici norme
di comune prudenza ed esperienza. In tal caso, invero, il
rischio non è dipendente dalle condizioni ambientali
di lavoro, ma è connesso a circostanze estranee, rispetto alle quali, non essendoci un potere di controllo della
(3) Questione nuova a quanto consta.
pubblica amministrazione e tanto meno un potere di
disposizione, non si può concepire neppure un dovere di
provvidenza e di cautela. A ben guardare, un dovere di cautela esteso fuori dell'ambito di esplicazione dell'atti vità lavorativa non è dall'art. 2087 cod. civ. imposto neanche al datore di lavoro imprenditore ; a maggior ragione deve eseludersi che, sulla semplice base delle norme di comune prudenza e diligenza, sia imposta alla
pubblica amministrazione cui l'art. 2087 cod. civ. è
inapplicabile a norma del successivo art. 2093. Nè vale
richiamare, come l'appellante fa, il concetto di infortunio in occasione di lavoro e quello correlativo di infortunio
in itinere elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Agli effetti dell'ordinaria responsabilità per fatto ille
cito, che presuppone un rapporto di causalità reale, l'infortunio in itinere non può essere equiparato a quello in occasione di lavoro ; difatti i concetti di infortunio
in occasione di lavoro e di infortunio in itinere sono con
cetti di diritto infortunistico, e cioè di diritto speciale, il quale prescinde dall'imputabilità del fatto ai soggetti del rapporto di lavoro ; essi si spiegano con il criterio di
larghezza cui è ispirata la legislazione previdenziale e
che trova ragione anche nella contribuzione assicurativa
la quale fa da controprestazione : quindi non possono essere trasportati nel campo del diritto comune, dove, in tema di fatto illecito, dominano, salvo casi speciali determinati, i principi tradizionali dell'imputabilità e
della causalità materiale.
Senza fondamento di ragione, dunque, l'appellante
imputa al ministero della p. i.. come fatto illecito, il
non aver predisposto misure per evitare che essa corresse
il rischio del viaggio in bicicletta dal luogo di residenza a
quello di lavoro.
La tesi subordinata e nuova è questa : essendo l'ap
pellante un'insegnante elementare non di ruolo, è esclusa
dal trattamento d'infortunio stabilito dalla legislazione
speciale di previdenza ed assistenza ; tuttavia l'inden
nizzo per l'infortunio subito non può esserle negato, costi
tuendo un diritto garantito dall'art. 38 della Costituzione ; mancando un istituto assicurativo, l'indennizzo deve
porsi a carico della pubblica amministrazione a favore
della quale prestava servizio al tempo dell'infortunio :
questo per un principio di diritto desumibile dall'art.
2110 cod. civ. che tra l'altro regola proprio il caso dell'in
fortunio rispetto a cui la legge o altra norma non sta
bilisca forme equivalenti di previdenza o di assistenza ; da ciò, dunque, l'obbligo del ministero della p. i. di risar
cirle i danni richiesti.
Su tale punto, però, la controparte solleva una que stione pregiudiziale, e cioè deduce che con la tesi suddetta
viene in sostanza introdotta una domanda nuova, la
quale è quindi improponibile in appello : sarebbe una
domanda nuova in quanto la pretesa postulerebbe pre
supposti e situazioni giuridiche non prospettati in primo
grado sicché resterebbero alterati l'oggetto sostanziale
dell'azione e i termini dell'originaria controversia. Al
che l'appellante obietta che la nuova tesi involge soltanto
una diversa qualificazione della diversa fattispecie, lasciando questa immutata e lasciando immutato l'og
getto dell'originaria domanda : in altri termini l'appel lante precisa che seguita a domandare il danno derivato
dallo stesso infortunio, solo che a fondamento di esso
invoca norme diverse ossia, oltre quella che prevede la
responsabilità per colpa, anche quella che prevede una
responsabilità obiettiva.
Ora, non si può non tenere conto della suddetta
precisazione fatta dall'appellante, secondo cui l'oggetto della pretesa deve intendersi rimasto fermo in quello costituito dai danni derivati dall'infortunio ; invero, im
portando l'identificazione della domanda giudiziale una
quaestio voluntatis, la precisazione fatta dalla parte inte
ressata ha valóre conclusivo sul punto. D'altro canto
è da rilevare che le conclusioni di primo grado, o meglio le conclusioni della citazione introduttiva del giudizio, non sono state mutate in questo grado, sicché il conte
nuto intrinseco della domanda resta quello stesso rappre
This content downloaded from 185.2.32.141 on Wed, 25 Jun 2014 00:55:55 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
635 PATATE PRIMA 636
sentato dalle particolari voci di danno indicate fin dal
l'origine, ossia dalle spese di malattia, dall'invalidità
permanente e dalla mancata nomina ad insegnante effet
tiva. Tenuto conto di ciò, deve escludersi che l'appel
lante, pur fondando la nuova tesi sugli art. 38 della
Costituzione e 2110 cod. civ., faccia valere una domanda
nuova. La tesi infatti non viene svolta in funzione del
conseguimento della speciale assistenza che il 2° comma
dell'art. 38 della Costituzione ha inteso assicurare al
lavoratore in caso di infortunio, ossia dei « mezzi ade
guati alle esigenze di vita ». Così pure non viene svolta
in funzione del conseguimento delle particolari provvi denze stabilite dall'art. 2110 cod. civ., che si identi
ficano nella conservazione della retribuzione o della
relativa indennità costitutiva, nella computabilità del
periodo di malattia nel calcolo dell'indennità di anzianità
e nella conservazione del posto. Questo, del resto, non
sarebbe stato neanche possibile innanzi al giudice ordi
nario, perchè una richiesta del genere avrebbe riguardato diritti immediatamente derivanti dal rapporto di pubblico
impiego formanti perciò materia di competenza esclusiva
del giudice amministrativo. La tesi viene svolta invece
come semplice argomentazione giuridica al limitato scopo di indicare una nuova norma a cui ricondurre la fonte
dell'obbligazione risarcitoria fatta valere fin dall'origine ma su base di diritto diverso.
Ciò posto però, posto cioè che la domanda rimane
immutata da quella dei danni di cui alle voci più sopra
elencate, senza essere estesa ad altri oggetti e in parti colare senza essere estesa alla corresponsione dello sti
pendio per un tempo determinato o all'indennità sosti
tutiva di esso, ne viene di leggieri che la tesi non è valida
a fondare la domanda suddetta. Il 2° comma dell'art. 38
della Costituzione è lungi dal sancire il principio del
diritto del lavoratore al risarcimento del danno verso il
datore di lavoro nel caso d'infortunio non coperto da
assicurazione o altre forme di previdenza e non impu tabile al datore di lavoro ; infatti si tratta di norma
programmatica e comunque diretta agli organi dello
Stato, assolutamente inidonea quindi a fondare un prin
cipio di diritto di tanta portata ; il 4° comma dispone
espressamente che ai compiti previsti dall'articolo « prov vedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo
Stato ». D'altro canto l'art. 2110 cod. civ. fissa in so
stanza la regola della continuità del rapporto di lavoro
durante l'assenza del lavoratore determinata dalle parti colari cause in esso previste, ricollegandovi inoltre il
diritto alla corresponsione della retribuzione o dell'in
dennità sostitutiva ; perciò, è a sua volta parimenti
lungi dal creare il principio di diritto preteso dall'ap
pellante. Può ammettersi che tale articolo addossi al
datore di lavoro, compresa la pubblica amministrazione
(arg. ex art. 2129 stesso codice e art. 98 disp. att.), il rischio della sospensione o interruzione del lavoro ; può anche ammettersi che ponga in essere una sua responsa bilità obiettiva ; ma tutto ciò vale ai fini ristretti delle
provvidenze in esso indicate, non eerto al fine di addos sare al datore di lavoro il risarcimento integrale del danno derivato da un infortunio non assicurato e a lui non imputabile.
La tesi subordinata quindi è assolutamente inaccet tabile.
Giova aggiungere che dalle informazioni dell'I.n.p.s. è risultato che il ministero della p. i. ha regolarmente adempiuto agli obblighi assicurativi quanto alla disoccu
pazione, all'invalidità e vecchiaia e alla tubercolosi. Perciò non è ipotizzabile una sua responsabilità neppure sotto il profilo dell'omissione agli obblighi suddetti.
Deve concludersi dunque che. l'appello è infondato # che la sentenza impugnata merita piena conferma.
Per questi motivi, eoe.
TRIBUNALE DI MILANO.
Sentenza 2 marzo 1964 ; Pres. ed est. Usai P. ; Grumelli
(Avv. Bagnoli, Casella, Messine*}) c. Soc. L'assi
curatrice italiana (Avv. Dalmartello, Nicolò, Tino,
Tumedei).
Società — Società per azioni — Trasierimento di
azioni — Clausola di <j radi mento — Invalidità — Limiti (Cod. civ., art. 2345, 2355, 2461 ; legge 29 dicembre 1962 n. 1745, istituzione di una ritenuta
d'acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle
società e modificazioni della disciplina della nomina
tività obbligatoria dei titoli azionari, art. 4, 5, 7,
13, 20).
A seguito dell'entrata in vigore della legge 29 dicembre
1962 n. 1745, sono da ritenere nulle le clausole statu
tarie che subordinano gli effetti dell'alienazione delle
azioni, compiuta mediante girata, nei confronti della
società al gradimento della società stessa, mentre sono
da considerare ancora valide le clausole, per le quali le
azioni non possono essere in alcun modo alienate senza
il preventivo o contemporaneo consenso della società. (1)
Il Tribunale, ecc. — In questa causa si deve giudicare se sia valida o nulla la seguente clausola, contenuta
nell'art. 6 dello statuto dell'Assicuratrice italiana : « Ec
cetto i casi in cui la legge dispone diversamente, il trasfe
rimento di azioni per atto tra vivi si opera con la sola
girata ed è efficace di fronte alla società soltanto quando sia stato approvato dal comitato esecutivo e ne sia stata
eseguita l'annotazione sul libro dei soci. Il comitato può rifiutare l'approvazione a suo giudizio insindacabile e
senza indicarne il motivo ».
Questo tribunale si è già pronunciato per la validità
di tale clausola di gradimento con la sentenza 11 novem
bre 1960-2 gennaio 1961 (Foro it., 1961, i, 355), emessa
nelle cause riunite promosse dalla società Liquigas ed
altri contro l'Assicuratrice italiana e la Riunione adria
tica di sicurtà. Tale sentenza non è stata impugnata ed in
conseguenza è passata in giudicato. Tutta.via non fa stato
nel presente processo perchè il rag. Grumelli, attuale
attore, non era parte nel detto precedente giudizio. Il rag. Grumelli invoca, con l'aggiunta di altri argo
menti, tutte le numerose ragioni di nullità della clausola
sopra riportata già fatte valere dagli attori nell'altro
processo e confuta la motivazione della sentenza con la
quale esso è stato definito. Inoltre adduce un motivo
completamente nuovo, fondato sulla legge 29 dicembre
1962 n. 1745, frattanto intervenuta.
Tale motivo, al quale anche l'attore attribuisce valore
preminente, deve essere affrontato per primo perchè appare risolutivo.
Infatti è esatto, come sostiene il Grumelli, che la
clausola di gradimento contenuta nello statuto della
Assicuratrice italiana è in assoluto contrasto con le dispo sizioni fondamentali di detta legge e con la ratio della
stessa.
La genesi di tale legge n. 1745 del 1962 è nota. Essa
era stata preceduta da un complesso di altre leggi (delle
(1) Questione nuova, per quanto consta. Come risulta dalla motivazione, il Tribunale di Milano, con
sentenza 2 gennaio 1901, est. Usai (Foro it., 1901, i, 355, con nota di richiami), aveva, in base alle norme del codice civile, dichiarato incondizionatamente valida la medesima clausola statutaria.
Sulle clausole di gradimento, in relazione al codice civile, vedi da ultimo M. Stolfi, negli Studi in memoria di Vassalli, IX, pag. 1540 e seg. ; Asquint, in Riv. soc., 1901, 725 e seg. ; in Riv. dir. comm., 1901, ii, 302 seg. ; De Ferra, in Riv. soc., 1901, 05 e seg. ; Francéschelli, ibid., 430 e seg. ; Rodotà, ibid., 740 e seg. ; Messineo, id., 1902, 533 e segg.
Sul significato da attribuirsi all'art. 20 della legge 29 dicem bre 1902 n. 1745, vedi Ferri, in Riv. dir. comm., 1903, i, 311 e seg.
This content downloaded from 185.2.32.141 on Wed, 25 Jun 2014 00:55:55 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions