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Sentenza 1 settembre 1959; Pres. Del Giudice P., Est. Poggi; Maglioni (Avv. Zoli) c. Pucci (Avv....

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Sentenza 1 settembre 1959; Pres. Del Giudice P., Est. Poggi; Maglioni (Avv. Zoli) c. Pucci (Avv. Niccolai) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 301/302-303/304 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23150981 . Accessed: 28/06/2014 07:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.189 on Sat, 28 Jun 2014 07:57:34 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 1 settembre 1959; Pres. Del Giudice P., Est. Poggi; Maglioni (Avv. Zoli) c. Pucci (Avv.Niccolai)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 301/302-303/304Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150981 .

Accessed: 28/06/2014 07:57

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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301 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 302

e riservando all'organo di primo grado la emanazione del comando costitutivo della situazione di fallimento. Si richiede cioè l'attività di una pluralità di organi, ciascuno dei quali concorre con un proprio provvedimento a porre in essere una pronunzia soggettivamente complessa : il che vuol dire che, se al decreto della corte non può essere attribuito valore di sentenza, non è possibile però neanche

degradarlo a mero atto amministrativo interno, privandolo del suo intrinseco carattere di provvedimento. Nè alla revocabilità può opporsi il rilievo che, una volta emesso il

decreto della corte, la dichiarazione di fallimento debba aversi per virtualmente avvenuta : infatti, a prescindere dalla eventualità che sopravvengano fatti ostativi, la futura destinazione del provvedimento, cioè il fatto che esso è

destinato ad inserirsi in un più complesso procedimento ed a fondersi con il successivo provvedimento dell'altro organo, non ne sopprime la attuale autonomia ontologica.

Non è quindi possibile negare in Via di principio la re

vocabilità del decreto della corte di appello, anche nella

ipotesi di accoglimento del reclamo.

Con ciò, per altro, si è anche individuato il limite oltre il quale la revoca non è più ammissibile.

Infatti, quando si è perfezionata, con la emanazione

della sentenza che dichiara il fallimento, la fattispecie complessa legislativamente prevista, la disciplina, alla quale debbono sottostare i singoli atti che hanno contribuito a

realizzarla, non può essere tratta se non dalla regolamenta zione positiva dell'atto che di tale concorso di attività

plurime costituisce il risultato. Ora, è facile constatare che, nel sistema della legge, la emanazione del provvedimento finale rende applicabile uno speciale mezzo di impugna zione (art. 18 legge fall.), diretto specificamente contro tale provvedimento e presidiato da tutte le garanzie del

processo contenzioso, nel quale rimane attratta ogni con

testazione relativa alla legittimità del fallimento. Il che è

quanto dire che, con la dichiarazione di fallimento emessa

dal tribunale, il decreto della corte perde la propria auto

nomia e rimane privo di ogni rilevanza ai fini della deci sione sulla eventuale impugnazione : fino al punto che perfino la invalidità e la stessa inesistenza giuridica del decreto non

scalfirebbero la pronunzia di fallimento che risultasse in

trinsecamente giustificata ; così come la revoca del decreto

successiva alla dichiarazione di fallimento non esercite

rebbe alcuna influenza nel giudizio di opposizione. Si deve quindi concludere che il provvedimento in

esame è, come tutti i decreti emessi in camera di consiglio, suscettibile di revoca, ma tale possibilità viene meno quando

sopravviene la dichiarazione di fallimento.

Per questi motivi, dichiara inammissibile l'istanza di revoca di cui sopra.

CORTE D'APPELLO DI FIRENZE.

Sentenza 1 settembre 1959 ; Pres. Del Giudice P., Est.

Poggi ; Maglioni (Avv. Zoli) c. Pucci (Avv. Niccolai).

Successione — Successione testamentaria — Rap

presentazione — Discendenti del nipote « ex fra

tre » del defunto — Ammissibilità (Cod. civ. del

1865, art. 732, 890 ; cod. civ., art. 467, 468).

Nella successione testamentaria la rappresentazione ha luogo a favore dei discendenti del nipote ex fratre del testa

tore. (1)

(1) Vedi in conformità Gangi, Successione testamentaria, II, n. 640, e, sotto l'impero del codice abrogato, Cass. Roma 26 giugno 1911, Foro it., 1911, I, 1043 ; Cass. 1 luglio 1926, id., 1926, I, 756, con note di richiami.

Vedi in senso contrario Azzariti e Martinez, Successioni

per causa di morte, 3a ed., pag. 47, nota 3 ; Cass. 18 luglio 1946, Foro it., 1947, I, 781, con nota di richiami, e sostanzialmente Cass. 23 dicembre 1954, id., Rep. 1954, voce Successione, n. 60 :

la prima di tali sentenze è commentata dal Piras, in Giur. Cass.

La Corte, ecc. — La questione dibattuta nella presente causa venne più volte, sotto l'impero del codice abrogato, affrontata dalla giurisprudenza, la quale finì con l'orientarsi decisamente nel senso che, nelle successioni testamentarie, avesse luogo la rappresentazione anche nel caso in cui l'istituito fosse un nipote e non un fratello od una sorella del testatore (cfr. in tale senso Sez. unite 26 giugno 1911, Foro it., 1911, I, 1043; Cass. 11 uglio 1926, id., 1926, I, 756). La diversa conclusione, cui è pervenuta la sentenza

appellata, troverebbe invece conforto in altra, più recente

sentenza della Corte suprema (Cass. 18 luglio 1946, n. 911, id., 1947, I, 781), la quale ha escluso, nell'ipotesi ora ac

cennata, la possibilità della rappresentazione, considerando che le disposizioni del nuovo codice civile costituirebbero deviazione rispetto ai principi precedentemente affermati dalla giurisprudenza, e che oggi non sarebbe più il caso di « cercare adattamenti nel campo della successione testa

mentaria, avendo il nuovo codice, con l'art. 467, dato all'istituto una disciplina uniforme per le successioni legit time e per quelle testamentarie ».

Sembra, però, al Collegio che il problema esiga un ul

teriore approfondimento. Il raffronto dei testi non rivela in effetti (per la parte

che interessa) alcuna sostanziale diversità di disciplina tra le disposizioni del codice abrogato e quelle del codice vi

gente. L'art. 890 cod. 1865 dettava, quanto alle successioni

testamentarie, che « i discendenti. . . dell'erede o del lega tario premorto od incapace sottentrano nell'eredità o nel

legato nei casi in cui sarebbe ammessa a loro favore la rap presentazione se si trattasse di successione intestata ...» ; ed il precedente art. 732, a proposito della successione

intestata, stabiliva che « nella linea collaterale la rappre sentazione è amméssa in favore dei figli e discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto, sia che essi concorrano alla successione coi loro zii, e zie, sia che, essendo premorti tutti i fratelli e le sorelle, la successione sia devoluta ai

loro discendenti in gradi uguali od ineguali ».

Più sinteticamente, ma senza una sostanziale diversità

di contenuto, il vigente art. 468 dispone, sia per le succes

sioni legittime sia per le successioni testamentarie, che

« la rappresentazione ha luogo . . . nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del

defunto ».

L'opinione che la disciplina del codice vigente esprima un orientamento contrario a quello della giurisprudenza formatasi sotto l'impero del codice abrogato, si appoggia ad un passo della Relazione del Guardasigilli Solmi, ove si

chiariva che « la rappresentazione veniva mantenuta nei

limiti tradizionali e cioè nella linea retta discendente, e

nella collaterale soltanto a favore dei discendenti e dei

fratelli e delle sorelle del defunto ». Senonchè è sufficiente

un rapido accenno alle fasi, che han preceduto la formula

zione definitiva del vigente art. 468, per convincersi che

quelle dichiarazioni non hanno affatto il peso che si è

pensato di dovervi attribuire.

Occorre ricordare che con l'art. 281 del progetto preli minare ci si era proposti di formulare esplicitamente il

principio che la giurisprudenza, con indirizzo ormai costante, aveva affermato interpretando le disposizioni del codice

del 1865. A proposito della successione testamentaria,

disponeva infatti il detto articolo che, « se l'erede e il lega tario sostituito, che è premorto o incapace, è figlio, o discen

dente, o fratello o sorella, o discendente da fratello o so

rella del testatore, i discendenti di lui sottentrano nell'ere

dità o nel legato ... ». Ma nel progetto definitivo l'art. 281

non venue riprodotto e all'art. 11, 1° comma, venne sta

bilito che « la rappresentazione è ammessa nella linea retta

discendente e nella linea collaterale soltanto a favore dei

discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto ». A tale

articolo si riferiva appunto il Guardasigilli Solmi nel passo della sua Relazione ora ricordato. Ma nemmeno l'art. 11

del progetto definitivo rimase immutato, poiché nel testo

civ., 1946, II, 212 ; dal Pino, in Giur. it., 1947, I, 1, 323 e dal

I'Invrea, in Foro pad., 1948, I, 593.

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303 PARTE PRIMA 304

definitivo del codice (art. 468) si dispose « che la rappre sentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discen

denti legittimi, legittimati e adottiv", nonché dei discen

denti dei figli naturali del defunto, e, nella linea collate

rale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del

defunto ». In tale modo è stata soppressa quella netta di

stinzione (« soltanto ») tra la linea retta e la linea collate

rale ; ed è evidente che per interpretare il testo vigente non si possono trarre argomenti da quanto fu detto a chia

rimento di una disposizione del progetto che non è stata

trasfusa nella redazione definitiva dell'art. 468.

L'innovazione si risolve pertanto nell'avere riunito in

un'unica norma (art. 468) la disciplina della rappresenta zione nella legittima, che invece, sotto l'impero del codice

abrogato, risultava dal coordinamento di due distinte di

sposizioni (art. 732 e art. 890 citati). Il problema si ripresenta, quindi, negli stessi termini

in cui si presentava prima dell'entrata in vigore del nuovo

codice. Nell'affrontarlo, il primo rilievo da fare è che l'art.

468 del vigente codice (alla stessa guisa degli art. 732 e

890 cod. abrog.) non offre, dal punto di vista strettamente

letterale, alcuna esplicita indicazione. Esso è concepito in

termini tali da mettere in risalto i soggetti a favore dei

quali si attua la rappresentazione, ma non da chiarire

apertamente chi siano i soggetti dei quali è consentita la

rappresentazione. Per le successioni legittime dubbi tuttavia non possono

sorgere, perchè (quanto alla linea collaterale) a qualsiasi

grado della discendenza appartenga il « rappresentante », è ovvio che egli è sempre chiamato a rappresentare, diret

tamente o indirettamente (direttamente quando sia discen

dente di primo grado, indirettamente negli altri casi), un

fratello od una sorella del de cuius, nei quali appunto si

dovranno costantemente identificare i soggetti dei quali è ammessa la rappresentazione.

Ma nelle successioni testamentarie può sorgere il dub

bio se si abbia rappresentazione solo quando istituito sia

un fratello o una sorella del testatore, o anche quando l'istituito sia un discendente di un fratello o di una sorella

dello stesso testatore (nipote, pronipote). Il dubbio è sug

gerito dalla lettera stessa dell'articolo in esame, perchè, ammettendosi la rappresentazione anche nella seconda delle

due ipotesi formulate, è innegabile che, da un punto di

vista letterale, si avrebbe pur sempre, in armonia col testo,

rappresentazione a favore di un discendente del fratello o

della sorella del de cuius.

A giudizio del Collegio il dubbio deve essere risolto

nel senso che, solo in alcuni casi, può aversi rappresenta zione, anche se l'istituito sia, non il fratello o la sorella del

testatore, ma un discendente di essi ; e che si debba invece

escludere ogni aprioristica equiparazione, agli effetti del

diritto di rappresentazione, tra l'istituzione testamentaria

del fratello o della, sorella e quella di un loro discendente.

Questo convincimento è fondato sulla sostanziale unità

dell'istituto della rappresentazione, esteso, solo col codice del 1865, oltre l'ambito tradizionale della successione legit tima, a quello della successione testamentaria, mediante un dispositivo di rinvio (l'art. 890 disponeva, come si è

visto, che « i discendenti dell'erede o del legatario premorto o incapace sottentrano nell'eredità o nel legato nei casi in cui sarebbe stata ammessa a loro favore la rappresenta zione se si fosse trattato di successione intestata »).

Di questa unità si ha una nuova espressione nel codice

vigente che, senza attuare sostanziali mutamenti rispetto alla disciplina anteriore, ha trattato in un medesimo arti

colo (468) dei soggetti della rappresentazione nei due tipi di successione.

Tutto ciò induce a ritenere che, allargandosi il campo di applicazione dell'istituto, ne siano rimaste inalterate le strutture e le finalità sostanziali e che, di conseguenza, il diritto di rappresentazione non possa realizzarsi nella

successione testamentaria, con un contenuto diverso da

quello che lo caratterizza nelle successioni legittime. In questo principio sta il criterio discriminatore in base

al quale si deve decidere, di fronte all'istituzione di un

nipote ex fratre o ex sorore premorto al testatore, se ricorra

o meno il diritto di rappresentazione. In sostanza, potrà ammettersi la rappresentazione tutte le volte in cui essa

avrebbe potuto realizzarsi, e con analoghi effetti, nella

corrispondente ipotesi di successione legittima ; la si dovrà

escludere in ogni altro caso.

Esemplificando : allorché, un nipote sia stato istituito

erede o legatario, vivente il fratello o la sorella, ovvero

quando, premorto il fratello, sia stato istituito erede o le

gatario soltanto alcuno dei suoi discendenti, non si potrà ammettere rappresentazione del nipote istituito. Nel primo

caso, perchè nella corrispondente ipotesi di successione le

gittima la rappresentazione (vivente il fratello) non sarebbe

stata possibile ; nel secondo, perchè essa sarebbe stata pos

sibile, ma con effetti diversi, vale a dire estesi a tutta la

stirpe. Ma il caso sottoposto al giudizio della Corte rientra

indubbiamente tra quelli, nei quali l'istituzione testamen

taria di un nipote dà luogo al diritto di rappresentazione. È infatti pacifico che la nipote Jolanda Paccinelli, istituita

legataria della Maria Lucia Santini e premorta alla testa

trice, era figlia unica di un fratello della testatrice mede

sima, premorto ad essa. È chiaro pertanto che, anche nel

l'ipotesi di vocazione legittima del fratello premorto, si

sarebbe avuto diritto di rappresentazione a favore degli stessi soggetti e con effetti identici a quelli che si hanno, ammettendola nella concreta ipotesi di successione testa

mentaria. Il criterio obiettivo che sta alla base del convin

cimento della Corte dispensa da ogni indagine sulla volontà

della testatrice.

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI TORINO,

Sentenza 26 giugno 1959 ; Pres. ed est. Caprioglio P. ; Levis (Avv. Boggio) c. Fallimento Cassili (Avv. Pia

cenza).

Titoli di credito — Titoli nominativi — Azioni —

Trasferimento — Formalità necessarie (Cod. civ., art. 2022, 2023).

Il trasferimento della proprietà dei titoli nominativi, in rela

zione ad un contratto di riporto, può avvenire esclusiva

mente con l'osservanza delle formalità stabilite dagli art.

2022 e 2023 cod. civ. ; pertanto non è sufficiente, per tale

trasferimento, la consegna dei titoli girati in bianco al

riportatore. (1)

(1) Nella motivazione della sent. 6 giugno 1957, n. 2084 della Cassazione (Foro it., 1957, I, 1969, con nota di richiami) si legge : « Si sottopone così a questa Corte suprema la questione sull'esi

genza della forma solenne per il valido trasferimento di azioni

nominative, nei rapporti tra le parti. Al riguardo, la giurispru denza costante di questa Corte (sent. n. 82 del 22 gennaio 1949, Foro it., Rep. 1949, voce Società, nn. 209-211, e n. 750 del 31 marzo dello stesso anno, ibid., voce Titoli di credito, n. 8) è nel senso che ai titoli nominativi, compresi quelli azionari, è applicabile la

regola generale, secondo la quale l'alienazione dei beni mobili si perfeziona per effetto di semplice consenso ; tuttavia anche nei

rapporti tra le parti senza la doppia annotazione o la girata (art. 2022 e 2023 cod. civ.) la compravendita dei titoli stessi rimane un contratto puramente obbligatorio. Secondo una cor rente dottrinale, invece, le operazioni successive al negozio di trasmissione non hanno carattere costitutivo del diritto di pro prietà sul titolo e pertanto il nudo consenso è sufficiente al tras ferimento della proprietà. Nella fattispecie, però, non è rilevante la soluzione del quesito sull'efficacia reale o semplicemente obbli

gatoria della vendita di titoli non seguita dalla doppia annota zione o dalla girata, non essendo contestato che il trasferimento della proprietà dei titoli venduti fosse regolarmente intervenuto ».

Nella motivazione della senttenza 24 novembre 1956, n. 2084 della Cassazione (id., 1957, I, 1970, con nota di richiami) si legge :

« L'art. 1350 cod. civ. non comprende fra gli atti, per i

quali la forma scritta è richiesta ad substantiam, il trasferimento delle azioni o delle quote sociali : queste costituiscono beni mobili

(art. 812, comma 3°, cod. civ.), eia loro proprietà passa all'acqui

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