sentenza 10 gennaio 2005; Giud. De Marzo; Nevini (Avv. Niccolai) c. Direzione provinciale dellavoro di PistoiaSource: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 553/554-555/556Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200557 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione della legge del luogo in cui si è verificato il fatto produtti vo del danno), dall'altro con la sopravvenuta disciplina del
l'immigrazione e sulla condizione dello straniero di cui al d.leg. 25 luglio 1998 n. 286 ed al d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 (rego lamento di attuazione), atteso che in base a tale nuova disciplina l'attribuzione dei diritti civili al cittadino straniero, regolar mente soggiornante in Italia, non è più soggetta alla condizione
di reciprocità (v. art. 2 citato d.leg., nonché l'art. 1 d.p.r. 394/99), determinandosi, sotto questo profilo, una palese abro
gazione tacita, in parte qua, per incompatibilità, della norma in
esame. Ma soprattutto le limitazioni previste dal medesimo art.
16 preleggi si rivelano inapplicabili ai cittadini dei paesi appar tenenti all'Unione europea, e dunque nella presente fattispecie (essendo l'attore cittadino austriaco), non potendosi ammettere
l'efficacia di una norma di diritto interno che consenta un trat
tamento differenziato quanto al godimento dei diritti civili nei
confronti di un cittadino comunitario, in contrasto con il fonda
mentale principio di non discriminazione nell'ambito dello spa zio giuridico dell'Unione, per tutti i cittadini degli Stati membri.
A ciò va aggiunto che il richiamo alla condizione di recipro cità nella specifica materia risarcitoria, con riferimento al danno
non patrimoniale in esame, non risulta nemmeno più appagante sotto il profilo dell'assenza, a livello costituzionale, di una pro tezione primaria del diritto leso, essendo ormai pacifica all'in
contrario la rilevanza costituzionale della tutela da assicurare al
diritto della persona danneggiata a causa dell'uccisione o della
menomazione di un congiunto, per la necessaria intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà che si svolge nell'ambito della famiglia, nonché per l'inviolabilità «della li
bera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della famiglia, la cui tutela è ricollegabile
agli art. 2, 29 e 30 Cost.» (così Cass. 31 maggio 2003, n. 8828, id., 2003, I, 2272; ed analogamente la coeva Cass. 31 maggio 2003, n. 8827, ibid., 2273).
Tale innovativo orientamento giurisprudenziale, che ha tro
vato immediata eco, quale vero e proprio diritto vivente, nella
sentenza della Corte costituzionale 11 luglio 2003, n. 233 (ibid.,
2201) e che raccorda direttamente la riparazione del danno de
quo alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, non può che comportare una rivisitazione dei limiti di operatività della
norma posta dall'art. 16 preleggi. Quest'ultima, in definitiva, ove possa ritenersi tuttora applicabile nei confronti di un citta
dino comunitario (ipotesi che come sopra visto non appare da
condividere), non può estendersi fino ad escludere la tutela dei
diritti primari ed inviolabili connessi alla sfera più intima della persona umana in quanto tale, per le conseguenze di natura non
patrimoniale derivanti dalla perdita di uno stretto congiunto. Solo per mera completezza va infine sottolineato che, come
ribadito dallo Schnapka, il danno morale non è affatto scono
sciuto all'ordinamento austriaco, essendo invero previsto dal
l'art. 1325 ABGB (Schmerzensgeld), senza che rilevino i limiti
rigorosi già seguiti in passato dalla giurisprudenza interna
quanto all'estensione del risarcimento ed alle difficoltà proba torie conseguenti, essendo sufficiente la previsione di un diritto
analogo, e senza alcuna discriminazione per i cittadini italiani
(v., ex plurimis, Cass. 19 giugno 1995, n. 6918, id., Rep. 1995, voce Giurisdizione civile, n. 30, nonché Cass. 1681/93, su ci
tata). E del resto a ben vedere l'Ufficio centrale italiano ha
contestato la risarcibilità del solo danno morale per la compo nente relativa all'uccisione della madre, convivente con il dan
neggiato, ma non anche per la (pur modesta) voce relativa al
l'ulteriore danno non patrimoniale (da identificare chiaramente
nel danno morale «soggettivo»), liquidato in una con il danno
biologico, e commisurata alla metà di quest'ultimo, a conferma
della non linearità delle critiche addotte a tal riguardo alla sen
tenza.
Questa, in definitiva, merita integrale conferma, sia pure con
la diversa motivazione sopra prospettata, con rigetto anche del
l'appello incidentale.
Il Foro Italiano — 2005.
TRIBUNALE DI PISTOIA; sentenza 10 gennaio 2005; Giud. De Marzo; Nevini (Avv. Niccolai) c. Direzione provinciale del lavoro di Pistoia.
TRIBUNALE DI PISTOIA;
Sanzioni amministrative e depenalizzazione — Dichiarazio
ne contenente i dati della registrazione nel libro matricola — Omessa consegna al lavoratore — Violazioni formali in
materia di collocamento — Abrogazione — Rilevanza —
Esclusione (D.l. 1° ottobre 1996 n. 510, disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, art. 9 bis; 1. 28 novem
bre 1996 n. 608, conversione in legge, con modificazioni, del
d.l. 1° ottobre 1996 n. 510, art. unico; 1. 23 dicembre 2000 n.
388, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001), art. 116; d.leg. 19 dicembre 2002 n. 297, disposizioni modificative e correttive del d.leg. 21 aprile 2000 n. 181, recante norme per
agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attua
zione dell'art. 45, 1° comma, lett. a, 1. 17 maggio 1999 n.
144, art. 6, 7; d.leg. 10 settembre 2003 n. 276, attuazione
delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla 1. 14 febbraio 2003 n. 30, art. 85).
L'illecito amministrativo consistente nella mancata consegna al
lavoratore della dichiarazione contenente i dati della regi strazione nel libro matricola non rientra nell'ambito del
l'abrogazione delle violazioni formali in materia di colloca
mento disposta dall'art. 116, 12° comma, l. 23 dicembre 2000
n. 388. (1)
Fatto e diritto. — Con ricorso depositato il 5 aprile 2004, Ne
vini Laura ha proposto opposizione avverso l'ordinanza
ingiunzione 27 febbraio 2003, n. 9291, lamentando la ritenuta,
persistente sussistenza della violazione di cui all'art. 9 bis, 3°
comma, 1. 608/96, nonostante l'abrogazione, operata dall'art.
116, 12° comma, 1. 388/00, di tutte le violazioni di norme sul
collocamento di carattere formale.
Nel costituirsi in giudizio, la direzione provinciale del lavoro
di Pistoia ha contestato il fondamento dell'opposizione.
L'opposizione è infondata.
L'art. 116, 12° comma, 1. 388/00 dispone testualmente:
«Ferme restando le sanzioni penali, sono abolite tutte le san
zioni amministrative relative a violazioni in materia di previ denza e assistenza obbligatorie consistenti nell'omissione totale
o parziale del versamento di contributi o premi o dalle quali
comunque derivi l'omissione totale o parziale del versamento di
contributi o premi, ai sensi dell'art. 35, 2° e 3° comma, 1. 24
novembre 1981 n. 689, nonché a violazioni di norme sul collo
camento di carattere formale».
Come reso palese dal tenore letterale della previsione, le vio
lazioni di norme sul collocamento sono considerate dal legisla tore su un piano logicamente equiordinato rispetto a quelle in
materia di previdenza e di assistenza obbligatorie comportanti omissioni contributive o connesse a queste ultime. In definitiva, non viene istituita una correlazione tra genus e species, ma ven
gono descritte ipotesi tra di loro autonome.
Ne discende che il carattere formale delle violazioni in mate ria di collocamento non può derivare dalle loro implicazioni contributive.
Al contrario, occorre andare alla ricerca della finalità delle
norme impositive degli obblighi in materia di collocamento, al
fine di comprendere se le correlate sanzioni puniscano meri ina
dempimenti o assumano un'efficacia repressiva e deterrente ri
spetto a condotte concretamente lesive dell'interesse protetto dal legislatore.
In tale prospettiva è agevole rilevare che la comunicazione
dell'assunzione e la consegna della dichiarazione di assunzione
rispondono ad esigenze sostanziali di controllo dei flussi di ma
nodopera e di trasparenza delle condizioni d'impiego. Si tratta
di finalità concorrenti, ma distinte.
Né può sostenersi che la consegna, all'atto dell'assunzione,
( 1 ) Non constano precedenti editi. La sentenza in rassegna valorizza, al fine di escludere che la mancata consegna della dichiarazione di as
sunzione rientri tra gli illeciti di natura formale oggetto dell'«aboli zione» disposta dall'art. 116, 12° comma, 1. 23 dicembre 2000 n. 388,
proprio l'art. 85 d.leg. 10 settembre 2003 n. 276, che ha abrogato la
violazione, con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto.
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PARTE PRIMA 556
della dichiarazione al lavoratore fosse slegata da tali finalità di
controllo, proprio in quanto essa costituiva un documento di
provenienza datoriale destinato a semplificare le questioni le
gate all'accertamento dell'esistenza e del contenuto del rappor to, anche nel lasso di tempo di cinque giorni nei quali doveva
intervenire la comunicazione dell'instaurazione del rapporto medesimo.
Riprova del fatto che l'art. 116, 12° comma, 1. 388/00 non ha
perseguito l'obiettivo di abrogare le sanzioni delle quali si di
scute si trae dal fatto che lo stesso legislatore è successivamente
intervenuto, non per introdurre nuove sanzioni in relazione alle
stesse omissioni, ma incidendo innovativamente, anche con
abrogazioni, sull'art. 9 bis d.l. 510/96 con il d.leg. 297/02, e non
ha affatto mostrato di diversamente orientarsi in ordine al di
svalore delle condotte di cui al 3° comma.
Riprova definitiva dell'esattezza delle superiori conclusioni si
trae dal fatto che l'art. 85 d.leg. 276/03 ha abrogato la norma in
esame, ma «dalla data di entrata in vigore del presente decreto
legislativo», confermando la vigenza della norma alla data del
l'accertamento (13 novembre 2002).
I
TRIBUNALE DI BARI; decreto 28 luglio 2004; Giud. Ruffi no; M.I. (Avv. Lorusso) c. L.L. e altro (Avv. Triggiani, Di
Benedetto).
TRIBUNALE DI BARI;
Famiglia in genere e abusi familiari — Ordini di protezione —
Presupposti —
Fattispecie (Cod. civ., art. 342 bis, 342
ter; cod. proc. civ., art. 736 bis; 1. 4 aprile 2001 n. 154, misure
contro la violenza nelle relazioni familiari, art. 2, 3, 5).
Non può essere concesso l'ordine di allontanamento dalla casa
familiare in presenza di una situazione di reciproca incomu
nicabilità ed intolleranza tra soggetti conviventi, di cui cia
scuna delle parti imputa all'altra la responsabilità, quante volte i litigi, ancorché aspri nei toni, non siano stati aggra vati da violenze fisiche o minacce in danno del ricorrente o
non si siano tradotti in un vulnus alla dignità dell' individuo
di entità non comune, vuoi per la particolare delicatezza dei
profili della dignità stessa concretamente incisi, vuoi per le
modalità «forti» dell'offesa arrecata, vuoi per la ripetitività o
la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dal
l'offeso. (1)
II
TRIBUNALE DI TERNI; decreto 26 settembre 2003; Giud.
Panariello; D.M. (Avv. Cherubini) c. R.D.C. (Avv. Bianco
fiori).
Famiglia in genere e abusi familiari — Ordini di protezione — Presupposti — Fattispecie (Cod. civ., art. 342 bis, 342 ter; cod. proc. civ., art. 736 bis; 1. 4 aprile 2001 n. 154, art. 2,
3).
Ricorrono i presupposti per ordinare l'allontanamento di un
coniuge dalla casa familiare, quante volte sia accertata l'esi
stenza di comportamenti violenti in ambito familiare, grave mente pregiudizievoli per l'integrità fisica o morale ovvero la
libertà dell'altro coniuge, a prescindere da qualsiasi indagi ne sulle cause di tali comportamenti e sulle rispettive colpe nella determinazione della situazione. (2)
(1-2) I due decreti che si riportano arricchiscono la casistica dei
provvedimenti attuativi della 1. 4 aprile 2001 n. 154 (tra le prime deci sioni in materia, v. Trib. Firenze 15 luglio 2002, 24 maggio 2002 e Trib. Bari 11 dicembre 2001, Foro it., 2003, I, 948, con nota di Maria
1l Foro Italiano —• 2005.
I
I. - Tralasciando la pur chiara incompletezza del contradditto
rio, imputabile esclusivamente a chi ha inteso agire nei con
fronti soltanto di alcune delle parti che hanno interesse e diritto
di contraddire (in particolare, nei confronti di L.L. e S.P. in pro
prio, e non anche dei figli minori C. e F., i quali, in quanto con
viventi con i genitori, sono titolari di una posizione giuridica mente autonoma rispetto a questi ultimi, atteso che inevitabil
mente subirebbero gli effetti dell'eventuale decisione di acco
glimento del ricorso), e concentrando l'esame della domanda
sugli aspetti di merito, va anzitutto evidenziato che, nei limiti
della sommaria cognizione imposta dalla natura e dal rito, la
soluzione della lite passa attraverso la valutazione se la condotta
della figlia resistente, che convive, unitamente al proprio nucleo
familiare (marito e due figli minori), con la madre ricorrente, costituisca causa di «grave pregiudizio all'integrità fisica o mo
rale ovvero alla libertà» dell'istante, sì da legittimare l'adozione
di uno o più degli ordini di protezione previsti dall'art. 342 ter
c.c., richiesti in ricorso.
II. - La presente sede di giudizio non consente certamente la
disamina dei numerosi aspetti problematici che si affacciano
nell'individuazione e nella definizione degli elementi costitutivi
del diritto alla protezione dagli abusi familiari configurato dalle
norme in questione. Tuttavia, per quanto qui è di strétto interesse, mette conto di
osservare che la legge non tipizza la condotta integrante «abuso
familiare», civilmente illecito ai sensi e per gli effetti dell'art.
342 bis c.c., e che ciò che rileva per la configurabilità dell'ille
cito de quo non è, secondo la formulazione della norma in og
getto, «la condotta» in sé del convivente nei cui confronti si ri
chiedono le misure di protezione (ancorché in ipotesi contraria,
per esempio, ai doveri, giuridici e morali, nascenti dal rapporto
familiare), bensì l'esistenza di un pregiudizio grave all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà, patito da un familiare convi
vente, imputabile in termini causali alla condotta dell'altro.
Se ne può ricavare che l'iter logico della decisione sulla fon
datezza della domanda di protezione dagli abusi familiari deve
basarsi sulla verifica, nell'ordine:
a) della sussistenza in capo ad uno dei soggetti protetti del
tipo di pregiudizio descritto dalla norma;
b) della derivazione in termini eziologici del predetto pregiu dizio dalla condotta del familiare convivente.
III. - Riferendo tale impostazione generale ed astratta del giudi zio de quo al caso di specie, può ritenersi che, all'esito dell'istru
zione sommaria svolta, non siano emersi elementi obiettivi idonei
ad integrare anzitutto il pregiudizio tipico ex art. 342 bis c.c.
ni Mazzotta; per altri riferimenti dottrinali e un primo esame delle no vità apportate dalla 1. 6 novembre 2003 n. 304, v. le osservazioni di De Marzo a Trib. Foggia 9 agosto 2002, id., 2004, I, 303, cui adde Pitta
ro, Limitata, ma incisiva modifica alla legge sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari, in Famiglia e dir., 2004, 5; in giuris prudenza, vanno inoltre segnalati Trib. Taranto 1° dicembre 2001, Fo ro it., Rep. 2002, voce Famiglia in genere e abusi familiari, n. 31, e,
per esteso, Famiglia e dir., 2002, 627, con nota di De Marzo; Trib. Genova 7 gennaio 2003, id., 2004, 387; mentre, in dottrina, si registra no i contributi di Petitti, Le misure contro la violenza nelle relazioni
familiari: modalità applicative e problemi procedurali, id., 2002, 398; Carrera, Violenza domestica e ordini di protezione contro abusi fami liari, id., 2004, 388; sul versante penalistico, v. Pittaro, id., 2003, 383).
La pronuncia del tribunale barese si impegna in un'opera di ricostru zione dei limiti oltre i quali la conflittualità endofamiliare legittima l'emanazione dell'ordine di protezione e affronta il tema del pregiudi zio all'integrità morale del convivente (per un'ipotesi di maltrattamenti indiretti perpetrati sulla persona di stretti congiunti del destinatario della protezione, intesi come maltrattamenti psicologici, v. Trib. min.
L'Aquila 19 luglio 2002, Foro it., Rep. 2003, voce Potestà dei genitori, n. 9, e, per esteso, Famiglia e dir., 2003, 482, con nota di Dolcini). Nel decreto del giudice pugliese si dà conto della necessità di accertare l'e sistenza di un nesso di causalità tra il pregiudizio lamentato e la con dotta del destinatario della richiesta di ordine di protezione. Il provve dimento del Tribunale di Terni, per il caso di offese reciproche, af fronta la questione dell'imputabilità, sottolineando la maggiore gravità delle violenze commesse dal marito, in quanto riscontrate dalla docu mentazione del pronto soccorso e denunciate dall'iniziativa giudiziaria della moglie.
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