+ All Categories
Home > Documents > sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres....

sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: vodien
View: 213 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
5
sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv. Rossi) c. Pres. cons. ministri (Avv. Ferri) Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2297/2298-2303/2304 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190058 . Accessed: 28/06/2014 09:19 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.171 on Sat, 28 Jun 2014 09:19:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv.

sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 12 maggio 1996, n. 20);Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv.Rossi) c. Pres. cons. ministri (Avv. Ferri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2297/2298-2303/2304Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190058 .

Accessed: 28/06/2014 09:19

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 46.243.173.171 on Sat, 28 Jun 2014 09:19:58 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

è stata individuata dal giudice a quo — in conformità delle sen

tenze nn. 903 e 1315 del 1995 delle sezioni unite della Corte

di cassazione — nell'art. 80, 3° comma, r.d. n. 1422 del 1924:

su questa norma, non sull'art. 2033 c.c., avrebbe dovuto ap

puntarsi la questione sollevata dal giudice a quo. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma

11 quinquies, d.l. 12 settembre 1983 n. 463 (misure urgenti in

materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa

pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica ammini

strazione e proroga di taluni termini), convertito in 1. 11 no

vembre 1983 n. 638, sollevata, in riferimento agli art. 3 e 38, 2° comma, Cost., dalla Corte di cassazione con le ordinanze

in epigrafe, iscritte in r.o. nn. 856, 857, 858/95; dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costitu zionale dell'art. 2033 c.c., sollevata, in riferimento agli art. 3

e 38, 2° comma, Cost., dalla medesima corte con le ordinanze

in epigrafe, iscritte in r.o. nn. 861, 862, 863, 864/95.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 maggio 1996, n. 156

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Aw.

Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv. Rossi) c. Pres. cons, mi

nistri (Avv. Ferri).

Montagna — Espropriazione per p.i. — Usi civici — Cessazio

ne — Decreto di esproprio pronunciato da autorità statale — Parere della regione — Omessa previsione — Incostituzio

nalità (Cost., art. 3, 9, 32, 42, 97, 115, 117, 118; 1. 31 gen naio 1994 n. 97, nuove disposizioni per le zone montane, art.

12). Montagna — Espropriazione per p.i. — Usi civici — Cessazio

ne — Compenso — Determinazione da parte del commissario

agli usi civici — Incostituzionalità (Cost., art. 97, 117, 118;

1. 31 gennaio 1994 n. 97, art. 12).

È incostituzionale l'art. 12, 2° comma, l. 31 gennaio 1994 n.

97, nella parte in cui prevede nel caso di espropriazione per

p.i. di terreni montani promossa da un'autorità statale, la

cessazione degli usi civici gravanti su di essi senza che sia

sentito il parere della regione interessata. (1) È incostituzionale l'art. 12, 3° comma, l. 31 gennaio 1994 n.

97, nella parte in cui prevede che il compenso per la cessazio

ne degli usi civici su terreni montani a seguito di espropria

zione per p.i. sia determinato dal commissario agli usi civici,

anziché dalla regione. (2)

(1-2) I. - La Corte costituzionale introduce l'art. 12, 2° comma, 1.

97/94 (ove deve leggersi che sono i soggetti espropriami [e non gli «espro

priati», come pure recano sia il testo di legge che la decisione in rasse

gna] i soggetti che debbono previamente munirsi dell'autorizzazione di

cui all'art. 7 1497/39, e di quella del ministero dell'ambiente al fine

di dar corso all'esproprio), quale disposizione che — ampliando il di

sposto dell'art. 52 1. 25 giugno 1865 n. 2359, in tema di espropriabilità dei fondi gravati d'uso civico e di conversione dei relativi diritti nell'in

dennità d'esproprio — innova e semplifica in materia di espropriazione di terre gravate da usi civici per la realizzazione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia ed alla valorizzazione delle zone montane,

consentendola, prosegue la sentenza in rassegna, anche in difetto di

preventiva assegnazione a categoria o di sdemanializzazione (di cui agli art. 11 e 12, 2° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766) che, è però da

aggiungersi, sono tuttavia proprie delle terre civiche e non delle terre

private gravate da uso civico: il che crea subito un'incomprensione su

quali effettivamente siano i beni cui la 1. 97/94 si riferisce, se le terre

private gravate da uso civico e/o le stesse terre civiche.

Invero, la 1. 97/94, secondo la quale «nei comuni montani i decreti

Il Foro Italiano — 1996.

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 marzo 1996, n. 83

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 27 marzo 1996, n. 13); Pres. Ferri, Est. Mengoni; Filippeschi c. Comune di Sutri; Trasatti c. Comuni di Sutri. Ord. Commissario agli usi civici

di Toscana, Lazio e Umbria 25 e 27 marzo 1995, nn. 406

e 407 (G.U., la s.s., n. 27 del 1995).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lazio — Usi

civici — Terreni aventi carattere edificatorio — Canone di

liquidazione — Criterio di determinazione — Questione in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 42, 117; 1. 16 giu

gno 1927 n. 1766, riordinamento degli usi civici, art. 5, 7; 1. reg. Lazio 3 gennaio 1986 n. 1, regime urbanistico dei ter

reni di uso civico e relative norme transitorie, art. 4).

di espropriazione per opere pubbliche o di pubblica utilità . . . determi nano la cessazione degli usi civici eventualmente gravanti sui beni og

getto di espropriazione» (art. 12, 2° comma) e «il diritto ai compensi eventualmente spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropria ti ... è fatto valere sull'indennità di espropriazione» (art. 12, 3° com

ma), è lessicalmente e concettualmente costruita per dirsi riferibile alle

sole terre private. La stessa Corte costituzionale sembra confermare l'interpretazione,

allorché, esaminando la questione di legittimità del 3° comma, indica

che il compenso per la cessazione degli usi civici in esso stabilito corri

sponde a quello previsto dagli art. 5 e 6 1. 1766/27 per la liquidazione degli usi gravanti su terre private. La dichiarazione d'incostituzionalità del 3° comma, relativo al soggetto competente alla determinazione del l'indennità d'esproprio (se il commissario per gli usi civici o non piutto sto la regione) poggia infatti sulla ritenuta equivalenza di effetti tra

l'esproprio per pubblico interesse e la liquidazione dei diritti di uso

civico su terre private, nonché tra l'indennità di esproprio e (non la

quota che, a seguito dello scorporo, è acquisita al comune alla stregua del generale principio di cui agli art. 5 e 6 1. 16 giugno 1927 n. 1766, come reca con evidente lapsus la decisione, ma) il canone che, nelle

specifiche ipotesi di cui al successivo art. 7, è imposto quale corrispetti vo per la liberazione del fondo dai diritti che lo gravavano.

E le altre leggi che hanno previsto la cessazione degli usi civici quale effetto dell'espropriazione per p.i., con trasferimento (così come reca l'art. 52, 2° comma, 1. 2359/1865) dei diritti di uso civico, eventual mente su di essi gravanti, sulle indennità di espopriazione, sono state

sempre (interpretate come) relative ad usi civici su terre private: così, il r.d.l. 4 agosto 1933 n. 1071, istitutivo del comune di Sabaudia, art.

7 (Comm. usi civici Lazio, Umbria, Toscana 9 maggio 1989, Foro it.,

Rep. 1990, voce Usi civici, n. 31); il r.d.l. 11 novembre 1938 n. 1834, recante disposizioni sull'ordinamento e le funzioni dell'Opera nazionale

combattenti, art. 3; la 1. 12 maggio 1950 n. 230, recante provvedimenti per la colonizzazione dell'Altopiano della Sila, art. 2 e 9 (con conse

guente illegittimità costituzionale dei vari decreti presidenziali che inve

ce inclusero nell'esproprio terreni di qualità demaniale: v., ad es., Cor

te cost. 30 dicembre 1961, n. 78, id., 1962, I, 412, con osservazioni di V. Andrioli); la 1. 18 aprile 1962 n. 167, recante disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e po polare, art. 15 e la 1. 19 ottobre 1962 n. 1549, sulla costruzione del

canale navigabile Milano-Cremona-Po, art. 7. Circa la inespropriabilità dei beni civici, Corte cost. 25 maggio 1957,

n. 67, id., 1957, I, 921; Cass. 11 giugno 1973, n. 1671, id., Rep. 1973, voce cit., n. 10, che ben distingue gli espropriabili beni gravati da uso civico e appartenenti a privati, dai beni civici (in senso stretto), vicever sa insuscettibili di costituire oggetto d'esproprio per p.i. sino a sdema nializzazione. Nello stesso senso, le più recenti App. Roma 21 aprile 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 28, e Comm. usi civici Lazio 18

febbraio 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 36, secondo la quale ultima devono essere disapplicati, per carenza di potere ablatorio, i provvedi menti amministrativi che abbiano disposto l'espropriazione di terreni collettivi appartenenti al demanio comunale di Frascati, in esecuzione delle 1. 22 novembre 1972 n. 771 e 3 aprile 1973 n. 122 che, nel dichia

rare di pubblica utilità i terreni su cui doveva sorgere la seconda univer

sità di Roma, non hanno provveduto al mutamento di destinazione del

le terre di uso civico incluse nel comprensorio anzidetto, non potendo tale autonoma determinazione ritenersi implicita nella citata declarato

ria di pubblica utilità; contra, intendendo che l'espropriazione per pub blica utilità di un'area demaninale civica ne fa venir meno la demaniali

tà e, nel caso che comporti trasformazione del bene che lo renda in

compatibile con l'esercizio del diritto, implica l'estinzione del diritto

di uso civico, Comm. usi civici Venezia 23 marzo 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 41, e Giust. civ., 1993, I, 265, con nota critica, ma adesiva

sul principio della espropriabilità, di I. Caccia villani, Natura dema niale civica di beni ed espropriazioni per pubblica utilità.

In dottrina, circa l'espropriabilità, con conseguente trasferimento dei

diritti delle popolazioni sull'indennizzo, delle terre private gravate da

This content downloaded from 46.243.173.171 on Sat, 28 Jun 2014 09:19:58 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv.

2299 PARTE PRIMA 2300

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 4 l. reg. Lazio 3 gennaio 1986 n. 1, nella parte in cui prevede che nella determinazione

del canone di liquidazione dei diritti di uso civico — che per

gli art. 5 e 7 l. 16 giugno 1927 n. 1766, si quantifica alla

concorrente stregua del valore sia del fondo medesimo che

dei diritti estinti — va computato l'incremento di valore del

fondo derivante dalla sua sopravvenuta destinazione edifica

toria, in riferimento agli art. 3, 42 e 117 Cost. (3)

uso civico, v. L. Fulciniti, I beni d'uso civico, 1990, 54 s., che giudica

l'espropriazione per p.i., al pari della liquidazione per imposizione di

canone, come mezzo eccezionale di estinzione del diritto d'uso civico

su terra aliena, da prevedersi con leggi particolari, in relazione a casi

tassativi ed in vista di rilevanti interessi pubblici, per tali volta per volta

valutati; nonché V. Cerulli Irelli, Proprietà pubblica e diritti colletti

vi, 1983, 234. II. - La decisione in rassegna stabilisce però che deve spettare alla

regione, cui compete la cura amministrativa e la protezione degli usi

civici, partecipare al procedimento espropriativo quand'esso sia di com

petenza statale, rendendo il proprio parere in merito alla ponderazione tra gli opposti interessi tra il mantenimento degli usi civici e la realizza zione dell'opera pubblica; e cioè, precisa la corte, alla ponderazione tra tutela dell'ambiente attraverso la conservazione della forma origina ria del territorio e sviluppo economico del territorio montano.

Circa l'interesse a veder comparata la pubblica utilità dell'opera sot

tesa all'esproprio con quella della destinazione dei terreni all'uso civico, v. Tar Abruzzo 25 giugno 1986, n. 178, Foro it., Rep. 1987, voce Giu

stizia amministrativa, n. 555, che lo nega ai proprietari espropriandi. In generale, circa le competenze legislative ed amministrative regiona

li nella materia degli usi civici quale submateria di agricoltura e foreste, v. Corte cost. 25 maggio 1992, n. 221, id., Rep. 1992, voce Regione, n. 271; 30 dicembre 1991, n. 511, ibid., n. 270; 3 ottobre 1990, n.

430, id., 1991, I, 691; nonché, sul più specifico tema della gestione del territorio, richiamata dalla regione ricorrente, Corte cost. 19 otto bre 1992, n. 393, id., 1992, I, 3203, a proposito dei programmi comu nali integrati d'intervento, sui quali v. ora Corte cost. 12 febbraio 1996, n. 26, id., 1996, I, 1126.

(3) I. - L'art. 4 1. reg. Lazio 1/86 prescrive che, in sede di liquidazio ne di usi civici sulle terre private aventi carattere edificatorio, la stima del valore attuale di tali terre debba comprendere anche l'incremento risultante dalla conseguita destinazione, così implicando nel computo la considerazione del valore del fondo.

Poiché però la liquidazione può compiersi sia per scorporo (1. 1766/27, art. 5) che per imposizione di canone (1. 1766/27, art. 7), il commissa rio rimettente si interroga se sia costituzionalmente legittima la norma

regionale, nell'interpretazione risultante nella prassi amministrativa, se condo la quale, ove la liquidazione avvenga per imposizione di canone,

questo è determinato anche alla stregua del valore attuale del fondo

edificabilc, comprensivo dell'incremento prodotto dalla sua attitudine

edificatoria, e non piuttosto del solo valore dei diritti di uso civico og getto di liquidazione, come invece recherebbe l'art. 7 1. 1766/27.

La Consulta, con la odierna decisione, dichiara l'infondatezza della

questione di costituzionalità della norma regionale aderendo all'univo

ca, attuale interpretazione secondo la quale il corrispettivo della liqui dazione degli usi civici sulle terre private va determinato in misura equi valente, tanto in caso di divisione per scorporo quanto per imposizione di canone, sulla base dell'applicazione degli art. 5, 6, 7 e 10 1. 1766/27, che offrono un criterio unitario di quantificazione che si riferisce al valore sia del fondo quanto dei diritti d'uso civico. In caso di liquida zione per imposizione di canone, pertanto, questo va determinato in modo che la sua capitalizzazione corrisponda al valore della quota del fondo che sarebbe spettata al comune se si fosse proceduto alla divisio ne per scorporo. Con la conseguenza che la norma regionale, non inci dendo sul metodo di calcolo, soltanto introduce, equamente, tra gli elementi di valorizzazione del fondo, non conseguenti all'attività di mi

glioria del proprietario o dell'occupatore (eppertanto meritevoli di de duzione in favore di questi ultimi), il carattere edificatorio che even tualmente lo connota e che la liquidazione degli usi civici rende mone tizzabile.

L'interpretazione è quella unanimemente condivisa dalla dottrina, già sul solco dei principi indicati nella relazione alla legge. Andando a sot

tilizzare, la corte in particolare indica la liquidazione mediante compen so in canone come caso speciale che fa eccezione alla regola generale dello scorporo (così la stessa relazione alla legge, da ultimo, V. Cerulli

Irelli, Problemi della liquidazione degli usi civici mediante compenso in canone, in Nuovo dir. agr., 1981, 621, e Proprietà pubblica e diritti

collettivi, 1983, 223 ss.; M. Zaccagnini e A. Palatiello, Gli usi civici, 1984, 163), laddove altri (L. Fulciniti, I beni d'uso civico, 1990, 170

ss.), ponendo una questione puramente nominalistica, ritiene che la so stituzione della quota fondiaria con un canone esprima piuttosto la di versa via di divisione legislativamente imposta nei tassativi casi in cui

Il Foro Italiano — 1996.

I

Diritto. — 1. - Con ricorso depositato il 16 marzo 1994 la

regione Lombardia ha sollevato questione di legittimità costitu

zionale:

a) in riferimento agli art. 3, 9, 32, 97, 115, 117 e 118 Cost., dell'art. 12, 2° comma, 1. 31 gennaio 1994 n. 97, il quale preve de che «nei comuni montani i decreti di espropriazione per ope re pubbliche o di pubblica utilità, per i quali i soggetti espro

priati abbiano ottenuto, ove necessario, l'autorizzazione di cui

all'art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497, e quella del ministero del

è prevista, sicché non costituisce «eccezione» alla astrattamente «gene rale», ma invero nient'affatto praticata, liquidazione per scorporo (tan to che non è data opzione tra l'una o l'altra modalità di liquidazione: e a tal fine richiama Cass. 20 gennaio 1989, n. 297, Foro it., Rep. 1989, voce Usi civici, n. 45, secondo la quale, qualora il proprietario abbia apportato al terreno sostanziali e permanenti migliorie, il com

penso per la liquidazione di diritto di uso civico non può essere costitui to dall'assegnazione al comune di una porzione del fondo, come previ sto in via generale dall'art. 5 1. 16 giugno 1927 n. 1766, ma soltanto da un canone annuo a favore del comune, ai sensi dell'art. 7 1. cit., restando esclusa, in tale ipotesi, ogni facoltà discrezionale del commis sario regionale di optare per detta assegnazione).

La stessa dottrina sopra richiamata, infatti, andando in opposto av

viso, allo stesso modo della decisione che si riporta, di Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 1950, n. 232, (id., Rep. 1951, voce Diritti promiscui, demani comunali, usi civici e domini collettivi, n. 83, e per esteso in Riv. amm., 1951, 192, e Giur. Cass, civ., 1950, III, 820, con nota ade siva di D. Catenacci, Definitività dei provvedimenti amministrativi dei commissari liquidatori degli usi civici), secondo la quale il compenso in canone va determinato esclusivamente in relazione al valore dell'uso civico estinto e non già in relazione al valore della quota di terreno che sarebbe spettata al comune se si fosse proceduto a divisione, indica che nella quantificazione del canone, equivalente pecuniario della quo ta, occorre dapprima stimare sia il valore dei diritti, nella maggiore consistenza da loro storicamente raggiunta, sia il valore dei terreni sui

quali gravano, individuati per specie, qualità ed estensione, quindi oc corre formare nell'ambito dei minimi e massimi indicati dalla legge, con criterio di proporzionalità inversa («migliore il fondo, più piccola la quota, e viceversa»: Cerulli Irelli, Proprietà pubblica, cit., 242), la quota astratta del fondo di pertinenza del comune ed infine procede re alla quantificazione del canone sostitutivo della quota in natura, in

guisa che il suo valore monetario capitalizzato rappresenti il valore di

quella. Nello stesso senso la più recente giurisprudenza: Cons, giust. amm.

sic. 2 giugno 1992, n. 136, Foro it., Rep. 1992, voce Usi civici, nn.

39, 40, secondo la quale in caso di legittimazione con l'imposizione di un canone, questo va correlato al valore del fondo, e quindi corri

sponde non solo al valore dei diritti di uso civico, ma anche alle poten zialità edificatorie del fondo stesso; nonché Comm. usi civici Roma 24 maggio 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 39, con nota di Ramelli Di Celle, in Riv. dir. agr., 1984, II, 46, secondo la quale il canone deve consistere nella maggior somma fra l'importo pecuniario della me dia annua dei diritti ritraibili dall'esercizio degli usi e quello degli inte ressi legali sul prezzo della non attribuita quota in natura.

II. - Circa la non vincolatività, per il giudice, delle circolari ammini strative e della prassi amministrativa in genere che non costituisce fonte di diritto, né ha attitudine innovativa dell'ordinamento giuridico e può soltanto contribuire come elemento indiretto per l'interpretazione di un atto normativo o amministrativo al chiarimento di regole ambigue, ma non ha attitudine a travolgere il senso di disposizioni normalmente in

tellegibili, v. Corte cost. 10 maggio 1982, n. 86, Foro it., 1982, I, 1497, richiamata dalla decisione in rassegna, ove in motivazione si esclude che le circolari del Consiglio superiore della magistratura, ipoteticamen te espressione di una prassi e non producenti un 'diritto vivente', siano vincolanti nell'interpretazione delle norme. Nello stesso senso, Cass. 30 marzo 1983, n. 2290, id., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 933; Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 1988, n. 745, id., Rep. 1988, voce Giustizia amministrativa, n. 739; sez. V 22 settembre 1993, n. 927, id., Rep. 1994, voce Atto amministrativo, n. 314; 28 giugno 1988, n. 409, id., Rep. 1988, voce cit., n. Ili; 1° ottobre 1986, n. 460, id., Rep. 1987, voce cit., n. 123; 31 marzo 1987, n. 218, ibid., voce Legge, n.

70; Tar Sicilia, sez. II, 3 aprile 1991, n. 100, id., Rep. 1994, voce Im

piegato degli enti locali, n. 98; Tar Umbria 29 agosto 1980, n. 199, id., Rep. 1981, voce Atto amministrativo, n. 18. Nonché F. Piga, Pras si amministrativa, voce deìV Enciclopedia del diritto, 1985, XXXIV, 842.

Circa le implicazioni della dottrina del diritto vivente nel sindacato di costituzionalità, v., da ultimo, Corte cost., ord. 28 novembre 1994, n. 410, Foro it., 1995, I, 473, con nota di A. Pugiotto, La problemati ca del «diritto vivente» nella giurisprudenza costituzionale del 1994: uso e matrici. [F. Pietrosanti]

This content downloaded from 46.243.173.171 on Sat, 28 Jun 2014 09:19:58 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

l'ambiente, determinano la cessazione degli usi civici eventual

mente gravanti sui beni oggetto di espropriazione»;

b) in riferimento agli art. 42, 97, 115, 117 e 118 Cost., del l'art. 12, 3° comma, della legge medesima, il quale dispone che

«il diritto a compensi, eventualmente spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropriati, determinati dal commissario agli usi civici, è fatto valere sull'identità di espropriazione».

Il solo 3° comma dell'art. 12 è stato impugnato, in riferimen

to agli art. 117 e 118 Cost., anche dalla regione Abruzzo con

ricorso depositato il 21 marzo 1994.

2. - Considerato l'oggetto parzialmente identico, i due giudizi

possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

3.1. - La questione sub a) è fondata nei limiti appresso spiegati. Nel disporre che, nei casi e alle condizioni ivi previste, i de

creti di espropriazione determinano l'estinzione dei diritti di uso

ciVico eventualmente gravanti sui beni espropriati, l'art. 12, 2°

comma, della legge per le zone montane non si limita ad appli care il principio generale dell'art. 52, 2° comma, 1. 25 giugno 1865 n. 2359 (riferibile anche ai diritti di uso civico: arg. art. 3 r.d.l. 11 novembre 1938 n. 1834 e 9 1. 12 maggio 1950 n.

230), ma assume un significato più pregnante. L'espropriazione

per opere pubbliche o di pubblica utilità di terreni situati in

comuni montani e gravati da usi civici viene esonerata dal pre

supposto della preventiva assegnazione a categoria dei beni espro

priando ai sensi dell'art. 11 1. n. 1766 del 1927, e altresì — se si accede all'opinione, sostenuta dalla regione ricorrente, che

richiede anche per l'espropriazione per pubblica utilità la condi

zione della c.d. sdemanializzazione — dal requisito dell'autoriz

zazione regionale di cui al successivo art. 12, 2° comma.

Di questa riduzione delle proprie competenze la regione ricor

rente non può dolersi, né con riguardo all'art. 66 d.p.r. n. 616

del 1977, perché lo Stato conserva il potere di modificare, dero

gare o abrogare le fonti legislative statali delle funzioni trasferi

te alle regioni, né in riferimento al principio di ragionevolezza, dal momento che la norma impugnata è coerente con lo scopo fondamentale della legge in cui è inserita, provvedendo a sem

plificare e accelerare le procedure amministrative per la realiz

zazione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia e alla

valorizzazione delle zone montane, anche sotto il profilo delle

qualità ambientali a norma degli art. 1, 4° comma, e 7 1. n.

97. Né, infine — trattandosi di una legge quadro che detta nuo

vi principi fondamentali vincolanti per le regioni — la ricorren

te può trarre argomento di censura dal fatto di essere costretta

a rivedere in qualche misura la propria legislazione in materia.

3.2. - Giustamente, invece, la regione Lombardia lamenta di

essere «del tutto estromessa dalla valutazione dei motivi che

dovrebbero giustificare la cessazione degli usi civici». Tale esclu

sione non solo si discosta dal d.p.r. 18 aprile 1994 n. 383, che

tiene conto delle competenze regionali in materia urbanistica, ammettendo la regione a partecipare all'accertamento di con

formità dell'opera pubblica statale alle prescrizioni delle norme

e dei piani urbanistici ed edilizi, ma determina anche una irra

zionalità interna alla 1. n. 97 del 1994 contraddicendo l'art. 1, 5° comma, che chiama le regioni a concorrere alla tutela e alla

valorizzazione dei territori montani.

L'art. 12, 2° comma, implica una ponderazione dell'interesse

pubblico alla costruzione di un'opera ordinata allo sviluppo eco

nomico del territorio montano con l'opposto interesse al mante

nimento degli usi civici quali strumenti di conservazione della

forma originaria del territorio, e quindi strumenti di tutela del

l'ambiente. L'organo statale investito della domanda di espro

prio non può compiere tale valutazione con piena cognizione di causa senza avere sentito il parere della regione interessata,

così che la norma impugnata deve essere integrata con questo

requisito procedurale. 4. - È fondata anche la seconda questione. Poiché nel procedimento di espropriazione per pubblica utili

tà il decreto di esproprio produce gli effetti della procedura di

liquidazione disciplinata dalla legge sugli usi civici, è da ritenere che i compensi previsti dall'art. 12, 3° comma, 1. n. 97 del 1994

in favore dei titolari dei cessati diritti di uso civico corrisponda no al compenso in natura (c.d. scorporo) previsto dagli art.

5 e 6 1. n. 1766 del 1927 ed ora rientrante tra le funzioni trasfe

rite alle regioni. Dovendo farsi valere sull'indennità di espro

priazione, esso deve essere tradotto nel controvalore in denaro

e proporzionato all'entità dell'indennizzo.

Il Foro Italiano — 1996.

Perciò la sottrazione della determinazione dei compensi alla

competenza regionale appare contraria al principio di buon an

damento dell'amministrazione (art. 97, 1° comma, Cost.), con

siderato che su questo punto l'assetto delle competenze fissato

dall'art. 66 d.p.r. n. 616 del 1977, in attuazione degli art. 117

e 118 Cost., viene modificato limitatamente a un caso singolo, che non presenta peculiarità tali da giustificare una deroga al

criterio generale di attribuzione della funzione di valutazione

in denaro degli usi civici. Nessun parallelismo può instaurarsi con l'art. 11,5° comma,

1. 6 dicembre 1991 n. 394, sulle aree protette, concernente una

materia, i parchi nazionali, per la quale le funzioni relative agli usi civici esistenti su terreni inclusi nei parchi — soltanto dele

gate alle regioni ai sensi dell'art. 82 d.p.r. n. 616, modificato

dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431 — sono state restituite ai commis

sari ai fini del procedimento normale di liquidazione, senza al

cuna connessione con procedimenti di espropriazione per pub blica utilità.

Resta assorbita la censura riferita all'art. 42 Cost.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 12, 2° comma, 1. 31 gennaio 1994

n. 97 (nuove disposizioni per le zone montane), nella parte in

cui, nel caso di espropriazione di terreni montani per opere pub bliche o di pubblica utilità, non prevede che sia sentito il parere della regione interessata in merito alla cessazione dei diritti di

uso civico esistenti sui beni espropriandi, quando il decreto di

esproprio sia pronunciato da una autorità statale; dichiara l'il

legittimità costituzionale dell'art. 12, 3° comma, della legge me

desima, nella parte in cui prevede che i compensi, eventualmen

te spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropriati, siano determinati dal commissario agli usi civici anziché dalla regione.

II

Diritto. — 1. - L'art. 4 1. reg. Lazio 3 gennaio 1986 n. 1

dispone: «Allorché si procede alla liquidazione degli usi civici, le zone gravate di uso civico che, per la destinazione del piano

regolatore generale o di altre norme urbanistiche oppure per la naturale espansione dell'abitato e per l'edificazione di fatto

che si sia su di esse verificata in mancanza di strumento urbani

stico generale, abbiano acquistato un carattere edificatorio, so

no stimate secondo il loro valore attuale, tenendo conto anche

dell'incremento di valore che esse hanno conseguito per effetto

della destinazione o delle aspettative edificatorie».

La disposizione è impugnata, con due ordinanze del medesi

mo tenore, dal commissario per la liquidazione degli usi civici

della Toscana, del Lazio e dell'Umbria, nel significato ad essa

attribuito dalla prassi amministrativa, secondo cui, nel caso —

ricorrente in entrambi i giudizi principali — di liquidazione me diante imposizione di canone, quest'ultimo si determina in pro

porzione al valore del terreno (tenuto conto della sopravvenuta destinazione edificatoria), mentre, secondo l'art. 7, 1° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766, avente valore di principio fondamen

tale, va commisurato «al valore dei diritti». Sarebbero così vio

lati il limite della competenza concorrente della regione indicato

nell'art. 117, 1° comma, Cost., nonché il principio di egua

glianza (art. 3 Cost.) e la tutela del diritto di proprietà di cui

all'art. 42, 3° comma.

2. -1 giudizi introdotti dalle due ordinanze, aventi ad oggetto la medesima questione, possono essere riuniti e decisi con unica

sentenza.

3. - La questione non è fondata nei sensi di seguito precisati. Il giudice rimettente muove da due premesse che non posso

no essere condivise:

a) il significato attribuito alla norma sotto esame dalla prassi amministrativa costituisce «diritto vivente», il quale preclude al giudice la possibilità di una diversa interpretazione «adegua

trice», o almeno autorizza a sottoporre senz'altro alla Corte

costituzionale la questione di legittimità del significato normati

vo applicato, indipendentemente dalla possibilità di un'altra in

terpretazione;

b) i due modi di liquidazione, previsti rispettivamente dagli art. 5 e 6 e dall'art. 7 1. n. 1766 del 1927, seguono metodi

distinti di calcolo del compenso, i quali si escludono reciproca

This content downloaded from 46.243.173.171 on Sat, 28 Jun 2014 09:19:58 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv.

2303 PARTE PRIMA 2304

mente: nel caso di liquidazione mediante divisione (o scorporo) si determina una porzione del fondo da assegnare al comune

sulla base del valore del terreno (art. 6), nei limiti delle quote, minima e massima, fissate dall'art. 5; nel caso di liquidazione mediante imposizione di canone (art. 7), unico referente di cal

colo è il valore dei diritti di uso civico estinti.

Alla premessa sub a) va obiettato che la prassi amministrati

va non è tale, né nella forma di regolamenti esecutivi o di circo

lari (cfr. sentenza n. 86 del 1982, Foro it., 1982, I, 1497), né, tanto meno, nella forma di singoli provvedimenti, da preclude re al giudice una interpretazione diversa. Essa può valere sol

tanto come dato fattuale concorrente con i dati linguistici del

testo normativo ad orientare l'interpretazione, sempreché si man

tenga nei limiti consentiti dal dettato della legge (cfr. sentenza

n. 177 del 1973, id., 1974, I, 1) e non trovi controindicazioni nella giurisprudenza.

La premessa sub ti) aderisce a una posizione del Consiglio di Stato (cfr. sez. VI n. 232 del 1950, id., Rep. 1951, voce Dirit ti promiscui, n. 83) che oggi può considerarsi superata. Poiché

l'affrancazione mediante imposizione di canone è un surrogato del modo di liquidazione previsto dall'art. 5 della legge del 1927

(rispetto al quale ha carattere di eccezione: arg. ex art. 12, 1°

comma, del regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 26

febbraio 1928 n. 332), il canone capitalizzato deve risultare pari al valore della quota del fondo che sarebbe spettata al comune

se si fosse proceduto all'affrancazione mediante divisione, di

guisa che pure nel caso dell'art. 7 1. n. 1766 è rilevante quale coefficiente di calcolo il valore del fondo, come si argomenta a chiare lettere dall'art. 10, relativo all'affrancazione di terre

di uso civico occupate. Viceversa del valore dei diritti estinti

dovrà tenersi conto in entrambi i casi quale criterio concorrente

di proporzionamento della quota o del capitale del canone tra

il minimo e il massimo indicati dall'art. 5. I due criteri di calco

lo non già si escludono, bensì si integrano a vicenda.

4. - Dopo queste precisazioni, l'interpretazione della norma

impugnata procede pianamente in termini scevri da ogni contra

sto con i parametri costituzionali evocati. La norma non incide

sul metodo di calcolo del compenso dell'affrancazione, ma si

limita a precisare che l'incremento di valore prodotto da una

sopravvenuta destinazione edificatoria, a differenza di quello

prodotto dalle migliorie apportate dal proprietario, non va de

dotto dal valore del fondo ai fini della determinazione del com

penso, la quale poi seguirà secondo le regole degli art. 5, 6

e 7 della legge statale.

La non deducibilità di questo tipo di incremento di valore

risponde a equità. L'affrancazione libera in favore del proprie tario un terreno non più agricolo o boschivo o pascolivo, ma

divenuto area fabbricabile, che non potrebbe essere sfruttato, secondo la nuova più lucrosa destinazione, senza l'estinzione

dei diritti di uso civico da cui è gravato: è giusto, perciò, che

della sopravvenienza profitti proporzionalmente anche la popo lazione titolare dei diritti estinti.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 4 1. reg. Lazio 3 gen naio 1986 n. 1 (regime urbanistico dei terreni di uso civico e

relative norme transitorie), sollevata, in riferimento agli art. 3, 1° comma, 42, 3° comma, e 117, 1° comma, Cost., dal com

missario per la liquidazione degli usi civici della Toscana, del

Lazio e dell'Umbria con le ordinanze in epigrafe.

Il Foro Italiano — 1996.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 maggio 1996, n. 144

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 15 maggio 1996, n. 20); Pres. Ferri, Est. Ruperto; Calise c. Comune di Barano d'I

schia ed altri. Ord. Tar Campania 1° dicembre 1994 (perve nuta alla corte il 16 giugno 1995) (G.U., la s.s., n. 35 del 1995).

Elezioni — Elezioni comunali — Contenzioso — Notifica del

ricorso — Termine — Decorrenza — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24; d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministra

zioni comunali, art. 83/11; 1. 23 dicembre 1966 n. 1147, mo

dificazioni delle norme sul contenzioso elettorale amministra

tivo, art. 2).

È incostituzionale l'art. 83/11, 1° comma, d.p.r. 16 maggio 1960

n. 570, introdotto dall'art. 2 l. 23 dicembre 1966 n. 1147, nella parte in cui fa decorrere il termine di dieci giorni per la notificazione del ricorso (unitamente al decreto presiden ziale di fissazione d'udienza) dalla data del provvedimento

presidenziale, anziché dalla data di comunicazione di esso. (1)

Diritto. — 1. - Il Tar per la Campania dubita della legittimità costituzionale dell'art. 83/11, 1° comma, d.p.r. 16 maggio 1960

n. 570, nella parte in cui fa decorrere il termine di dieci giorni

per la notifica del ricorso (e del decreto di fissazione dell'udien

za) proposto avverso le operazioni per l'elezione dei consiglieri

comunali, dalla data di emanazione dell'anzidetto decreto presi denziale anziché dalla data in cui tale provvedimento dovrebbe

essere comunicato. A parere del giudice a quo, la norma risulte

rebbe lesiva degli art. 3 e 24 Cost., per la disparità di tratta

(1) La corte rileva come la decorrenza del termine dalla data del de creto di fissazione dell'udienza derivava dal fatto che la neo istituita sezione del contenzioso elettorale era priva di una segreteria, ragione quindi che ha oggi perduto di significato, dal momento che la compe tenza è passata al tribunale amministrativo regionale, dotato di un pro prio ufficio di segreteria.

Il giudice amministrativo aveva, in alcuni casi, ritenuto che, ai sensi dell'art. 83/11, 1° comma, d.p.r. 570/60, il termine per la notificazione del ricorso contro le operazioni elettorali decorresse dalla data di cono

scenza, o quanto meno di conoscibilità, da parte di chi lo ha proposto, del decreto di fissazione dell'udienza di discussione della causa e non dalla data della sua adozione, secondo quanto dispone letteralmente l'art. 83/11, 1° comma (v. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 1994, n.

410, Foro it., Rep. 1994, voce Elezioni, n. 241, e 22 gennaio 1987, n. 18, id., Rep. 1987, voce cit., n. 191). La Corte costituzionale ha

espressamente affermato che il puntuale ed univoco testo dalla disposi zione impugnata non consente tale interpretazione adeguatrice.

Per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costitu zionale dell'art. 83/11 d.p.r. 570/60, nella parte in cui fissa il termine di dieci giorni, decorrente dall'ultima notifica effettuata, per il deposito del ricorso elettorale, non pregiudicando detto termine l'esercizio del diritto di difesa e risultando esso giustificato dalla peculiarità degli inte ressi pubblici coinvolti, v. Cons. Stato, sez. V, 6 marzo 1991, n. 227, id., Rep. 1991, voce cit., n. 208.

Nel senso che la disposizione contenuta nell'art. 83/11 d.p.r. 579/60, nel testo di cui all'art. 2 1. 1147/66, non presenta alcun difetto di previ sione in ordine alle modalità di introduzione della causa in materia elet torale, in quanto stabilisce espressamente, tra l'altro, che il ricorrente deve depositare in segreteria, nel termine all'uopo fissato, copia del ricorso e del decreto, con la prova dell'avvenuta notificazione, insieme con gli atti e documenti del giudizio, v. Cons, giust. amm. sic. 14 giu gno 1986, n. 76, id., Rep. 1986, voce cit., n. 215.

Per la dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni analoghe a

quella adesso dichiarata illegittima attraverso l'impiego dì sentenze «so stitutive» di accoglimento, v. Corte cost. 7 maggio 1993, n. 223, id., 1993, I, 2779, con nota di richiami, che ha dichiarato l'incostituzionali tà dell'art. 183, ultimo comma, r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, nella

parte in cui prevedeva per il contumace la notifica della sentenza me diante inserzione nella Gazzetta ufficiale, anziché secondo la disciplina stabilita dagli art. 138 ss. c.p.c., e 29 aprile 1993, n. 201, id., 1994, I, 3577, con nota di richiami, la quale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 209, 2° comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui prevedeva, per la liquidazione coatta amministrativa, che il termine di

quindici giorni per proporre l'impugnazione dei crediti ammessi decorre dalla data del deposito in cancelleria, da parte del commissario liquida tore, dell'elenco dei crediti medesimi, anziché da quella di ricezione della lettera raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale lo stesso commissario deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai singoli interessati.

This content downloaded from 46.243.173.171 on Sat, 28 Jun 2014 09:19:58 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended