sentenza 10 maggio 1996, n. 156 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 12 maggio 1996, n. 20);Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Avv. Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv.Rossi) c. Pres. cons. ministri (Avv. Ferri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2297/2298-2303/2304Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190058 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
è stata individuata dal giudice a quo — in conformità delle sen
tenze nn. 903 e 1315 del 1995 delle sezioni unite della Corte
di cassazione — nell'art. 80, 3° comma, r.d. n. 1422 del 1924:
su questa norma, non sull'art. 2033 c.c., avrebbe dovuto ap
puntarsi la questione sollevata dal giudice a quo. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma
11 quinquies, d.l. 12 settembre 1983 n. 463 (misure urgenti in
materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa
pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica ammini
strazione e proroga di taluni termini), convertito in 1. 11 no
vembre 1983 n. 638, sollevata, in riferimento agli art. 3 e 38, 2° comma, Cost., dalla Corte di cassazione con le ordinanze
in epigrafe, iscritte in r.o. nn. 856, 857, 858/95; dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costitu zionale dell'art. 2033 c.c., sollevata, in riferimento agli art. 3
e 38, 2° comma, Cost., dalla medesima corte con le ordinanze
in epigrafe, iscritte in r.o. nn. 861, 862, 863, 864/95.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 maggio 1996, n. 156
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 maggio 1996, n. 20); Pres. Baldassarre, Est. Mengoni; Regione Lombardia (Aw.
Ferrari) e Regione Abruzzo (Avv. Rossi) c. Pres. cons, mi
nistri (Avv. Ferri).
Montagna — Espropriazione per p.i. — Usi civici — Cessazio
ne — Decreto di esproprio pronunciato da autorità statale — Parere della regione — Omessa previsione — Incostituzio
nalità (Cost., art. 3, 9, 32, 42, 97, 115, 117, 118; 1. 31 gen naio 1994 n. 97, nuove disposizioni per le zone montane, art.
12). Montagna — Espropriazione per p.i. — Usi civici — Cessazio
ne — Compenso — Determinazione da parte del commissario
agli usi civici — Incostituzionalità (Cost., art. 97, 117, 118;
1. 31 gennaio 1994 n. 97, art. 12).
È incostituzionale l'art. 12, 2° comma, l. 31 gennaio 1994 n.
97, nella parte in cui prevede nel caso di espropriazione per
p.i. di terreni montani promossa da un'autorità statale, la
cessazione degli usi civici gravanti su di essi senza che sia
sentito il parere della regione interessata. (1) È incostituzionale l'art. 12, 3° comma, l. 31 gennaio 1994 n.
97, nella parte in cui prevede che il compenso per la cessazio
ne degli usi civici su terreni montani a seguito di espropria
zione per p.i. sia determinato dal commissario agli usi civici,
anziché dalla regione. (2)
(1-2) I. - La Corte costituzionale introduce l'art. 12, 2° comma, 1.
97/94 (ove deve leggersi che sono i soggetti espropriami [e non gli «espro
priati», come pure recano sia il testo di legge che la decisione in rasse
gna] i soggetti che debbono previamente munirsi dell'autorizzazione di
cui all'art. 7 1497/39, e di quella del ministero dell'ambiente al fine
di dar corso all'esproprio), quale disposizione che — ampliando il di
sposto dell'art. 52 1. 25 giugno 1865 n. 2359, in tema di espropriabilità dei fondi gravati d'uso civico e di conversione dei relativi diritti nell'in
dennità d'esproprio — innova e semplifica in materia di espropriazione di terre gravate da usi civici per la realizzazione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia ed alla valorizzazione delle zone montane,
consentendola, prosegue la sentenza in rassegna, anche in difetto di
preventiva assegnazione a categoria o di sdemanializzazione (di cui agli art. 11 e 12, 2° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766) che, è però da
aggiungersi, sono tuttavia proprie delle terre civiche e non delle terre
private gravate da uso civico: il che crea subito un'incomprensione su
quali effettivamente siano i beni cui la 1. 97/94 si riferisce, se le terre
private gravate da uso civico e/o le stesse terre civiche.
Invero, la 1. 97/94, secondo la quale «nei comuni montani i decreti
Il Foro Italiano — 1996.
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 19 marzo 1996, n. 83
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 27 marzo 1996, n. 13); Pres. Ferri, Est. Mengoni; Filippeschi c. Comune di Sutri; Trasatti c. Comuni di Sutri. Ord. Commissario agli usi civici
di Toscana, Lazio e Umbria 25 e 27 marzo 1995, nn. 406
e 407 (G.U., la s.s., n. 27 del 1995).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lazio — Usi
civici — Terreni aventi carattere edificatorio — Canone di
liquidazione — Criterio di determinazione — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 42, 117; 1. 16 giu
gno 1927 n. 1766, riordinamento degli usi civici, art. 5, 7; 1. reg. Lazio 3 gennaio 1986 n. 1, regime urbanistico dei ter
reni di uso civico e relative norme transitorie, art. 4).
di espropriazione per opere pubbliche o di pubblica utilità . . . determi nano la cessazione degli usi civici eventualmente gravanti sui beni og
getto di espropriazione» (art. 12, 2° comma) e «il diritto ai compensi eventualmente spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropria ti ... è fatto valere sull'indennità di espropriazione» (art. 12, 3° com
ma), è lessicalmente e concettualmente costruita per dirsi riferibile alle
sole terre private. La stessa Corte costituzionale sembra confermare l'interpretazione,
allorché, esaminando la questione di legittimità del 3° comma, indica
che il compenso per la cessazione degli usi civici in esso stabilito corri
sponde a quello previsto dagli art. 5 e 6 1. 1766/27 per la liquidazione degli usi gravanti su terre private. La dichiarazione d'incostituzionalità del 3° comma, relativo al soggetto competente alla determinazione del l'indennità d'esproprio (se il commissario per gli usi civici o non piutto sto la regione) poggia infatti sulla ritenuta equivalenza di effetti tra
l'esproprio per pubblico interesse e la liquidazione dei diritti di uso
civico su terre private, nonché tra l'indennità di esproprio e (non la
quota che, a seguito dello scorporo, è acquisita al comune alla stregua del generale principio di cui agli art. 5 e 6 1. 16 giugno 1927 n. 1766, come reca con evidente lapsus la decisione, ma) il canone che, nelle
specifiche ipotesi di cui al successivo art. 7, è imposto quale corrispetti vo per la liberazione del fondo dai diritti che lo gravavano.
E le altre leggi che hanno previsto la cessazione degli usi civici quale effetto dell'espropriazione per p.i., con trasferimento (così come reca l'art. 52, 2° comma, 1. 2359/1865) dei diritti di uso civico, eventual mente su di essi gravanti, sulle indennità di espopriazione, sono state
sempre (interpretate come) relative ad usi civici su terre private: così, il r.d.l. 4 agosto 1933 n. 1071, istitutivo del comune di Sabaudia, art.
7 (Comm. usi civici Lazio, Umbria, Toscana 9 maggio 1989, Foro it.,
Rep. 1990, voce Usi civici, n. 31); il r.d.l. 11 novembre 1938 n. 1834, recante disposizioni sull'ordinamento e le funzioni dell'Opera nazionale
combattenti, art. 3; la 1. 12 maggio 1950 n. 230, recante provvedimenti per la colonizzazione dell'Altopiano della Sila, art. 2 e 9 (con conse
guente illegittimità costituzionale dei vari decreti presidenziali che inve
ce inclusero nell'esproprio terreni di qualità demaniale: v., ad es., Cor
te cost. 30 dicembre 1961, n. 78, id., 1962, I, 412, con osservazioni di V. Andrioli); la 1. 18 aprile 1962 n. 167, recante disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e po polare, art. 15 e la 1. 19 ottobre 1962 n. 1549, sulla costruzione del
canale navigabile Milano-Cremona-Po, art. 7. Circa la inespropriabilità dei beni civici, Corte cost. 25 maggio 1957,
n. 67, id., 1957, I, 921; Cass. 11 giugno 1973, n. 1671, id., Rep. 1973, voce cit., n. 10, che ben distingue gli espropriabili beni gravati da uso civico e appartenenti a privati, dai beni civici (in senso stretto), vicever sa insuscettibili di costituire oggetto d'esproprio per p.i. sino a sdema nializzazione. Nello stesso senso, le più recenti App. Roma 21 aprile 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 28, e Comm. usi civici Lazio 18
febbraio 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 36, secondo la quale ultima devono essere disapplicati, per carenza di potere ablatorio, i provvedi menti amministrativi che abbiano disposto l'espropriazione di terreni collettivi appartenenti al demanio comunale di Frascati, in esecuzione delle 1. 22 novembre 1972 n. 771 e 3 aprile 1973 n. 122 che, nel dichia
rare di pubblica utilità i terreni su cui doveva sorgere la seconda univer
sità di Roma, non hanno provveduto al mutamento di destinazione del
le terre di uso civico incluse nel comprensorio anzidetto, non potendo tale autonoma determinazione ritenersi implicita nella citata declarato
ria di pubblica utilità; contra, intendendo che l'espropriazione per pub blica utilità di un'area demaninale civica ne fa venir meno la demaniali
tà e, nel caso che comporti trasformazione del bene che lo renda in
compatibile con l'esercizio del diritto, implica l'estinzione del diritto
di uso civico, Comm. usi civici Venezia 23 marzo 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 41, e Giust. civ., 1993, I, 265, con nota critica, ma adesiva
sul principio della espropriabilità, di I. Caccia villani, Natura dema niale civica di beni ed espropriazioni per pubblica utilità.
In dottrina, circa l'espropriabilità, con conseguente trasferimento dei
diritti delle popolazioni sull'indennizzo, delle terre private gravate da
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2299 PARTE PRIMA 2300
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 4 l. reg. Lazio 3 gennaio 1986 n. 1, nella parte in cui prevede che nella determinazione
del canone di liquidazione dei diritti di uso civico — che per
gli art. 5 e 7 l. 16 giugno 1927 n. 1766, si quantifica alla
concorrente stregua del valore sia del fondo medesimo che
dei diritti estinti — va computato l'incremento di valore del
fondo derivante dalla sua sopravvenuta destinazione edifica
toria, in riferimento agli art. 3, 42 e 117 Cost. (3)
uso civico, v. L. Fulciniti, I beni d'uso civico, 1990, 54 s., che giudica
l'espropriazione per p.i., al pari della liquidazione per imposizione di
canone, come mezzo eccezionale di estinzione del diritto d'uso civico
su terra aliena, da prevedersi con leggi particolari, in relazione a casi
tassativi ed in vista di rilevanti interessi pubblici, per tali volta per volta
valutati; nonché V. Cerulli Irelli, Proprietà pubblica e diritti colletti
vi, 1983, 234. II. - La decisione in rassegna stabilisce però che deve spettare alla
regione, cui compete la cura amministrativa e la protezione degli usi
civici, partecipare al procedimento espropriativo quand'esso sia di com
petenza statale, rendendo il proprio parere in merito alla ponderazione tra gli opposti interessi tra il mantenimento degli usi civici e la realizza zione dell'opera pubblica; e cioè, precisa la corte, alla ponderazione tra tutela dell'ambiente attraverso la conservazione della forma origina ria del territorio e sviluppo economico del territorio montano.
Circa l'interesse a veder comparata la pubblica utilità dell'opera sot
tesa all'esproprio con quella della destinazione dei terreni all'uso civico, v. Tar Abruzzo 25 giugno 1986, n. 178, Foro it., Rep. 1987, voce Giu
stizia amministrativa, n. 555, che lo nega ai proprietari espropriandi. In generale, circa le competenze legislative ed amministrative regiona
li nella materia degli usi civici quale submateria di agricoltura e foreste, v. Corte cost. 25 maggio 1992, n. 221, id., Rep. 1992, voce Regione, n. 271; 30 dicembre 1991, n. 511, ibid., n. 270; 3 ottobre 1990, n.
430, id., 1991, I, 691; nonché, sul più specifico tema della gestione del territorio, richiamata dalla regione ricorrente, Corte cost. 19 otto bre 1992, n. 393, id., 1992, I, 3203, a proposito dei programmi comu nali integrati d'intervento, sui quali v. ora Corte cost. 12 febbraio 1996, n. 26, id., 1996, I, 1126.
(3) I. - L'art. 4 1. reg. Lazio 1/86 prescrive che, in sede di liquidazio ne di usi civici sulle terre private aventi carattere edificatorio, la stima del valore attuale di tali terre debba comprendere anche l'incremento risultante dalla conseguita destinazione, così implicando nel computo la considerazione del valore del fondo.
Poiché però la liquidazione può compiersi sia per scorporo (1. 1766/27, art. 5) che per imposizione di canone (1. 1766/27, art. 7), il commissa rio rimettente si interroga se sia costituzionalmente legittima la norma
regionale, nell'interpretazione risultante nella prassi amministrativa, se condo la quale, ove la liquidazione avvenga per imposizione di canone,
questo è determinato anche alla stregua del valore attuale del fondo
edificabilc, comprensivo dell'incremento prodotto dalla sua attitudine
edificatoria, e non piuttosto del solo valore dei diritti di uso civico og getto di liquidazione, come invece recherebbe l'art. 7 1. 1766/27.
La Consulta, con la odierna decisione, dichiara l'infondatezza della
questione di costituzionalità della norma regionale aderendo all'univo
ca, attuale interpretazione secondo la quale il corrispettivo della liqui dazione degli usi civici sulle terre private va determinato in misura equi valente, tanto in caso di divisione per scorporo quanto per imposizione di canone, sulla base dell'applicazione degli art. 5, 6, 7 e 10 1. 1766/27, che offrono un criterio unitario di quantificazione che si riferisce al valore sia del fondo quanto dei diritti d'uso civico. In caso di liquida zione per imposizione di canone, pertanto, questo va determinato in modo che la sua capitalizzazione corrisponda al valore della quota del fondo che sarebbe spettata al comune se si fosse proceduto alla divisio ne per scorporo. Con la conseguenza che la norma regionale, non inci dendo sul metodo di calcolo, soltanto introduce, equamente, tra gli elementi di valorizzazione del fondo, non conseguenti all'attività di mi
glioria del proprietario o dell'occupatore (eppertanto meritevoli di de duzione in favore di questi ultimi), il carattere edificatorio che even tualmente lo connota e che la liquidazione degli usi civici rende mone tizzabile.
L'interpretazione è quella unanimemente condivisa dalla dottrina, già sul solco dei principi indicati nella relazione alla legge. Andando a sot
tilizzare, la corte in particolare indica la liquidazione mediante compen so in canone come caso speciale che fa eccezione alla regola generale dello scorporo (così la stessa relazione alla legge, da ultimo, V. Cerulli
Irelli, Problemi della liquidazione degli usi civici mediante compenso in canone, in Nuovo dir. agr., 1981, 621, e Proprietà pubblica e diritti
collettivi, 1983, 223 ss.; M. Zaccagnini e A. Palatiello, Gli usi civici, 1984, 163), laddove altri (L. Fulciniti, I beni d'uso civico, 1990, 170
ss.), ponendo una questione puramente nominalistica, ritiene che la so stituzione della quota fondiaria con un canone esprima piuttosto la di versa via di divisione legislativamente imposta nei tassativi casi in cui
Il Foro Italiano — 1996.
I
Diritto. — 1. - Con ricorso depositato il 16 marzo 1994 la
regione Lombardia ha sollevato questione di legittimità costitu
zionale:
a) in riferimento agli art. 3, 9, 32, 97, 115, 117 e 118 Cost., dell'art. 12, 2° comma, 1. 31 gennaio 1994 n. 97, il quale preve de che «nei comuni montani i decreti di espropriazione per ope re pubbliche o di pubblica utilità, per i quali i soggetti espro
priati abbiano ottenuto, ove necessario, l'autorizzazione di cui
all'art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497, e quella del ministero del
è prevista, sicché non costituisce «eccezione» alla astrattamente «gene rale», ma invero nient'affatto praticata, liquidazione per scorporo (tan to che non è data opzione tra l'una o l'altra modalità di liquidazione: e a tal fine richiama Cass. 20 gennaio 1989, n. 297, Foro it., Rep. 1989, voce Usi civici, n. 45, secondo la quale, qualora il proprietario abbia apportato al terreno sostanziali e permanenti migliorie, il com
penso per la liquidazione di diritto di uso civico non può essere costitui to dall'assegnazione al comune di una porzione del fondo, come previ sto in via generale dall'art. 5 1. 16 giugno 1927 n. 1766, ma soltanto da un canone annuo a favore del comune, ai sensi dell'art. 7 1. cit., restando esclusa, in tale ipotesi, ogni facoltà discrezionale del commis sario regionale di optare per detta assegnazione).
La stessa dottrina sopra richiamata, infatti, andando in opposto av
viso, allo stesso modo della decisione che si riporta, di Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 1950, n. 232, (id., Rep. 1951, voce Diritti promiscui, demani comunali, usi civici e domini collettivi, n. 83, e per esteso in Riv. amm., 1951, 192, e Giur. Cass, civ., 1950, III, 820, con nota ade siva di D. Catenacci, Definitività dei provvedimenti amministrativi dei commissari liquidatori degli usi civici), secondo la quale il compenso in canone va determinato esclusivamente in relazione al valore dell'uso civico estinto e non già in relazione al valore della quota di terreno che sarebbe spettata al comune se si fosse proceduto a divisione, indica che nella quantificazione del canone, equivalente pecuniario della quo ta, occorre dapprima stimare sia il valore dei diritti, nella maggiore consistenza da loro storicamente raggiunta, sia il valore dei terreni sui
quali gravano, individuati per specie, qualità ed estensione, quindi oc corre formare nell'ambito dei minimi e massimi indicati dalla legge, con criterio di proporzionalità inversa («migliore il fondo, più piccola la quota, e viceversa»: Cerulli Irelli, Proprietà pubblica, cit., 242), la quota astratta del fondo di pertinenza del comune ed infine procede re alla quantificazione del canone sostitutivo della quota in natura, in
guisa che il suo valore monetario capitalizzato rappresenti il valore di
quella. Nello stesso senso la più recente giurisprudenza: Cons, giust. amm.
sic. 2 giugno 1992, n. 136, Foro it., Rep. 1992, voce Usi civici, nn.
39, 40, secondo la quale in caso di legittimazione con l'imposizione di un canone, questo va correlato al valore del fondo, e quindi corri
sponde non solo al valore dei diritti di uso civico, ma anche alle poten zialità edificatorie del fondo stesso; nonché Comm. usi civici Roma 24 maggio 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 39, con nota di Ramelli Di Celle, in Riv. dir. agr., 1984, II, 46, secondo la quale il canone deve consistere nella maggior somma fra l'importo pecuniario della me dia annua dei diritti ritraibili dall'esercizio degli usi e quello degli inte ressi legali sul prezzo della non attribuita quota in natura.
II. - Circa la non vincolatività, per il giudice, delle circolari ammini strative e della prassi amministrativa in genere che non costituisce fonte di diritto, né ha attitudine innovativa dell'ordinamento giuridico e può soltanto contribuire come elemento indiretto per l'interpretazione di un atto normativo o amministrativo al chiarimento di regole ambigue, ma non ha attitudine a travolgere il senso di disposizioni normalmente in
tellegibili, v. Corte cost. 10 maggio 1982, n. 86, Foro it., 1982, I, 1497, richiamata dalla decisione in rassegna, ove in motivazione si esclude che le circolari del Consiglio superiore della magistratura, ipoteticamen te espressione di una prassi e non producenti un 'diritto vivente', siano vincolanti nell'interpretazione delle norme. Nello stesso senso, Cass. 30 marzo 1983, n. 2290, id., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 933; Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 1988, n. 745, id., Rep. 1988, voce Giustizia amministrativa, n. 739; sez. V 22 settembre 1993, n. 927, id., Rep. 1994, voce Atto amministrativo, n. 314; 28 giugno 1988, n. 409, id., Rep. 1988, voce cit., n. Ili; 1° ottobre 1986, n. 460, id., Rep. 1987, voce cit., n. 123; 31 marzo 1987, n. 218, ibid., voce Legge, n.
70; Tar Sicilia, sez. II, 3 aprile 1991, n. 100, id., Rep. 1994, voce Im
piegato degli enti locali, n. 98; Tar Umbria 29 agosto 1980, n. 199, id., Rep. 1981, voce Atto amministrativo, n. 18. Nonché F. Piga, Pras si amministrativa, voce deìV Enciclopedia del diritto, 1985, XXXIV, 842.
Circa le implicazioni della dottrina del diritto vivente nel sindacato di costituzionalità, v., da ultimo, Corte cost., ord. 28 novembre 1994, n. 410, Foro it., 1995, I, 473, con nota di A. Pugiotto, La problemati ca del «diritto vivente» nella giurisprudenza costituzionale del 1994: uso e matrici. [F. Pietrosanti]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'ambiente, determinano la cessazione degli usi civici eventual
mente gravanti sui beni oggetto di espropriazione»;
b) in riferimento agli art. 42, 97, 115, 117 e 118 Cost., del l'art. 12, 3° comma, della legge medesima, il quale dispone che
«il diritto a compensi, eventualmente spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropriati, determinati dal commissario agli usi civici, è fatto valere sull'identità di espropriazione».
Il solo 3° comma dell'art. 12 è stato impugnato, in riferimen
to agli art. 117 e 118 Cost., anche dalla regione Abruzzo con
ricorso depositato il 21 marzo 1994.
2. - Considerato l'oggetto parzialmente identico, i due giudizi
possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
3.1. - La questione sub a) è fondata nei limiti appresso spiegati. Nel disporre che, nei casi e alle condizioni ivi previste, i de
creti di espropriazione determinano l'estinzione dei diritti di uso
ciVico eventualmente gravanti sui beni espropriati, l'art. 12, 2°
comma, della legge per le zone montane non si limita ad appli care il principio generale dell'art. 52, 2° comma, 1. 25 giugno 1865 n. 2359 (riferibile anche ai diritti di uso civico: arg. art. 3 r.d.l. 11 novembre 1938 n. 1834 e 9 1. 12 maggio 1950 n.
230), ma assume un significato più pregnante. L'espropriazione
per opere pubbliche o di pubblica utilità di terreni situati in
comuni montani e gravati da usi civici viene esonerata dal pre
supposto della preventiva assegnazione a categoria dei beni espro
priando ai sensi dell'art. 11 1. n. 1766 del 1927, e altresì — se si accede all'opinione, sostenuta dalla regione ricorrente, che
richiede anche per l'espropriazione per pubblica utilità la condi
zione della c.d. sdemanializzazione — dal requisito dell'autoriz
zazione regionale di cui al successivo art. 12, 2° comma.
Di questa riduzione delle proprie competenze la regione ricor
rente non può dolersi, né con riguardo all'art. 66 d.p.r. n. 616
del 1977, perché lo Stato conserva il potere di modificare, dero
gare o abrogare le fonti legislative statali delle funzioni trasferi
te alle regioni, né in riferimento al principio di ragionevolezza, dal momento che la norma impugnata è coerente con lo scopo fondamentale della legge in cui è inserita, provvedendo a sem
plificare e accelerare le procedure amministrative per la realiz
zazione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia e alla
valorizzazione delle zone montane, anche sotto il profilo delle
qualità ambientali a norma degli art. 1, 4° comma, e 7 1. n.
97. Né, infine — trattandosi di una legge quadro che detta nuo
vi principi fondamentali vincolanti per le regioni — la ricorren
te può trarre argomento di censura dal fatto di essere costretta
a rivedere in qualche misura la propria legislazione in materia.
3.2. - Giustamente, invece, la regione Lombardia lamenta di
essere «del tutto estromessa dalla valutazione dei motivi che
dovrebbero giustificare la cessazione degli usi civici». Tale esclu
sione non solo si discosta dal d.p.r. 18 aprile 1994 n. 383, che
tiene conto delle competenze regionali in materia urbanistica, ammettendo la regione a partecipare all'accertamento di con
formità dell'opera pubblica statale alle prescrizioni delle norme
e dei piani urbanistici ed edilizi, ma determina anche una irra
zionalità interna alla 1. n. 97 del 1994 contraddicendo l'art. 1, 5° comma, che chiama le regioni a concorrere alla tutela e alla
valorizzazione dei territori montani.
L'art. 12, 2° comma, implica una ponderazione dell'interesse
pubblico alla costruzione di un'opera ordinata allo sviluppo eco
nomico del territorio montano con l'opposto interesse al mante
nimento degli usi civici quali strumenti di conservazione della
forma originaria del territorio, e quindi strumenti di tutela del
l'ambiente. L'organo statale investito della domanda di espro
prio non può compiere tale valutazione con piena cognizione di causa senza avere sentito il parere della regione interessata,
così che la norma impugnata deve essere integrata con questo
requisito procedurale. 4. - È fondata anche la seconda questione. Poiché nel procedimento di espropriazione per pubblica utili
tà il decreto di esproprio produce gli effetti della procedura di
liquidazione disciplinata dalla legge sugli usi civici, è da ritenere che i compensi previsti dall'art. 12, 3° comma, 1. n. 97 del 1994
in favore dei titolari dei cessati diritti di uso civico corrisponda no al compenso in natura (c.d. scorporo) previsto dagli art.
5 e 6 1. n. 1766 del 1927 ed ora rientrante tra le funzioni trasfe
rite alle regioni. Dovendo farsi valere sull'indennità di espro
priazione, esso deve essere tradotto nel controvalore in denaro
e proporzionato all'entità dell'indennizzo.
Il Foro Italiano — 1996.
Perciò la sottrazione della determinazione dei compensi alla
competenza regionale appare contraria al principio di buon an
damento dell'amministrazione (art. 97, 1° comma, Cost.), con
siderato che su questo punto l'assetto delle competenze fissato
dall'art. 66 d.p.r. n. 616 del 1977, in attuazione degli art. 117
e 118 Cost., viene modificato limitatamente a un caso singolo, che non presenta peculiarità tali da giustificare una deroga al
criterio generale di attribuzione della funzione di valutazione
in denaro degli usi civici. Nessun parallelismo può instaurarsi con l'art. 11,5° comma,
1. 6 dicembre 1991 n. 394, sulle aree protette, concernente una
materia, i parchi nazionali, per la quale le funzioni relative agli usi civici esistenti su terreni inclusi nei parchi — soltanto dele
gate alle regioni ai sensi dell'art. 82 d.p.r. n. 616, modificato
dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431 — sono state restituite ai commis
sari ai fini del procedimento normale di liquidazione, senza al
cuna connessione con procedimenti di espropriazione per pub blica utilità.
Resta assorbita la censura riferita all'art. 42 Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 12, 2° comma, 1. 31 gennaio 1994
n. 97 (nuove disposizioni per le zone montane), nella parte in
cui, nel caso di espropriazione di terreni montani per opere pub bliche o di pubblica utilità, non prevede che sia sentito il parere della regione interessata in merito alla cessazione dei diritti di
uso civico esistenti sui beni espropriandi, quando il decreto di
esproprio sia pronunciato da una autorità statale; dichiara l'il
legittimità costituzionale dell'art. 12, 3° comma, della legge me
desima, nella parte in cui prevede che i compensi, eventualmen
te spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropriati, siano determinati dal commissario agli usi civici anziché dalla regione.
II
Diritto. — 1. - L'art. 4 1. reg. Lazio 3 gennaio 1986 n. 1
dispone: «Allorché si procede alla liquidazione degli usi civici, le zone gravate di uso civico che, per la destinazione del piano
regolatore generale o di altre norme urbanistiche oppure per la naturale espansione dell'abitato e per l'edificazione di fatto
che si sia su di esse verificata in mancanza di strumento urbani
stico generale, abbiano acquistato un carattere edificatorio, so
no stimate secondo il loro valore attuale, tenendo conto anche
dell'incremento di valore che esse hanno conseguito per effetto
della destinazione o delle aspettative edificatorie».
La disposizione è impugnata, con due ordinanze del medesi
mo tenore, dal commissario per la liquidazione degli usi civici
della Toscana, del Lazio e dell'Umbria, nel significato ad essa
attribuito dalla prassi amministrativa, secondo cui, nel caso —
ricorrente in entrambi i giudizi principali — di liquidazione me diante imposizione di canone, quest'ultimo si determina in pro
porzione al valore del terreno (tenuto conto della sopravvenuta destinazione edificatoria), mentre, secondo l'art. 7, 1° comma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766, avente valore di principio fondamen
tale, va commisurato «al valore dei diritti». Sarebbero così vio
lati il limite della competenza concorrente della regione indicato
nell'art. 117, 1° comma, Cost., nonché il principio di egua
glianza (art. 3 Cost.) e la tutela del diritto di proprietà di cui
all'art. 42, 3° comma.
2. -1 giudizi introdotti dalle due ordinanze, aventi ad oggetto la medesima questione, possono essere riuniti e decisi con unica
sentenza.
3. - La questione non è fondata nei sensi di seguito precisati. Il giudice rimettente muove da due premesse che non posso
no essere condivise:
a) il significato attribuito alla norma sotto esame dalla prassi amministrativa costituisce «diritto vivente», il quale preclude al giudice la possibilità di una diversa interpretazione «adegua
trice», o almeno autorizza a sottoporre senz'altro alla Corte
costituzionale la questione di legittimità del significato normati
vo applicato, indipendentemente dalla possibilità di un'altra in
terpretazione;
b) i due modi di liquidazione, previsti rispettivamente dagli art. 5 e 6 e dall'art. 7 1. n. 1766 del 1927, seguono metodi
distinti di calcolo del compenso, i quali si escludono reciproca
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2303 PARTE PRIMA 2304
mente: nel caso di liquidazione mediante divisione (o scorporo) si determina una porzione del fondo da assegnare al comune
sulla base del valore del terreno (art. 6), nei limiti delle quote, minima e massima, fissate dall'art. 5; nel caso di liquidazione mediante imposizione di canone (art. 7), unico referente di cal
colo è il valore dei diritti di uso civico estinti.
Alla premessa sub a) va obiettato che la prassi amministrati
va non è tale, né nella forma di regolamenti esecutivi o di circo
lari (cfr. sentenza n. 86 del 1982, Foro it., 1982, I, 1497), né, tanto meno, nella forma di singoli provvedimenti, da preclude re al giudice una interpretazione diversa. Essa può valere sol
tanto come dato fattuale concorrente con i dati linguistici del
testo normativo ad orientare l'interpretazione, sempreché si man
tenga nei limiti consentiti dal dettato della legge (cfr. sentenza
n. 177 del 1973, id., 1974, I, 1) e non trovi controindicazioni nella giurisprudenza.
La premessa sub ti) aderisce a una posizione del Consiglio di Stato (cfr. sez. VI n. 232 del 1950, id., Rep. 1951, voce Dirit ti promiscui, n. 83) che oggi può considerarsi superata. Poiché
l'affrancazione mediante imposizione di canone è un surrogato del modo di liquidazione previsto dall'art. 5 della legge del 1927
(rispetto al quale ha carattere di eccezione: arg. ex art. 12, 1°
comma, del regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 26
febbraio 1928 n. 332), il canone capitalizzato deve risultare pari al valore della quota del fondo che sarebbe spettata al comune
se si fosse proceduto all'affrancazione mediante divisione, di
guisa che pure nel caso dell'art. 7 1. n. 1766 è rilevante quale coefficiente di calcolo il valore del fondo, come si argomenta a chiare lettere dall'art. 10, relativo all'affrancazione di terre
di uso civico occupate. Viceversa del valore dei diritti estinti
dovrà tenersi conto in entrambi i casi quale criterio concorrente
di proporzionamento della quota o del capitale del canone tra
il minimo e il massimo indicati dall'art. 5. I due criteri di calco
lo non già si escludono, bensì si integrano a vicenda.
4. - Dopo queste precisazioni, l'interpretazione della norma
impugnata procede pianamente in termini scevri da ogni contra
sto con i parametri costituzionali evocati. La norma non incide
sul metodo di calcolo del compenso dell'affrancazione, ma si
limita a precisare che l'incremento di valore prodotto da una
sopravvenuta destinazione edificatoria, a differenza di quello
prodotto dalle migliorie apportate dal proprietario, non va de
dotto dal valore del fondo ai fini della determinazione del com
penso, la quale poi seguirà secondo le regole degli art. 5, 6
e 7 della legge statale.
La non deducibilità di questo tipo di incremento di valore
risponde a equità. L'affrancazione libera in favore del proprie tario un terreno non più agricolo o boschivo o pascolivo, ma
divenuto area fabbricabile, che non potrebbe essere sfruttato, secondo la nuova più lucrosa destinazione, senza l'estinzione
dei diritti di uso civico da cui è gravato: è giusto, perciò, che
della sopravvenienza profitti proporzionalmente anche la popo lazione titolare dei diritti estinti.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 4 1. reg. Lazio 3 gen naio 1986 n. 1 (regime urbanistico dei terreni di uso civico e
relative norme transitorie), sollevata, in riferimento agli art. 3, 1° comma, 42, 3° comma, e 117, 1° comma, Cost., dal com
missario per la liquidazione degli usi civici della Toscana, del
Lazio e dell'Umbria con le ordinanze in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 maggio 1996, n. 144
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 15 maggio 1996, n. 20); Pres. Ferri, Est. Ruperto; Calise c. Comune di Barano d'I
schia ed altri. Ord. Tar Campania 1° dicembre 1994 (perve nuta alla corte il 16 giugno 1995) (G.U., la s.s., n. 35 del 1995).
Elezioni — Elezioni comunali — Contenzioso — Notifica del
ricorso — Termine — Decorrenza — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24; d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministra
zioni comunali, art. 83/11; 1. 23 dicembre 1966 n. 1147, mo
dificazioni delle norme sul contenzioso elettorale amministra
tivo, art. 2).
È incostituzionale l'art. 83/11, 1° comma, d.p.r. 16 maggio 1960
n. 570, introdotto dall'art. 2 l. 23 dicembre 1966 n. 1147, nella parte in cui fa decorrere il termine di dieci giorni per la notificazione del ricorso (unitamente al decreto presiden ziale di fissazione d'udienza) dalla data del provvedimento
presidenziale, anziché dalla data di comunicazione di esso. (1)
Diritto. — 1. - Il Tar per la Campania dubita della legittimità costituzionale dell'art. 83/11, 1° comma, d.p.r. 16 maggio 1960
n. 570, nella parte in cui fa decorrere il termine di dieci giorni
per la notifica del ricorso (e del decreto di fissazione dell'udien
za) proposto avverso le operazioni per l'elezione dei consiglieri
comunali, dalla data di emanazione dell'anzidetto decreto presi denziale anziché dalla data in cui tale provvedimento dovrebbe
essere comunicato. A parere del giudice a quo, la norma risulte
rebbe lesiva degli art. 3 e 24 Cost., per la disparità di tratta
(1) La corte rileva come la decorrenza del termine dalla data del de creto di fissazione dell'udienza derivava dal fatto che la neo istituita sezione del contenzioso elettorale era priva di una segreteria, ragione quindi che ha oggi perduto di significato, dal momento che la compe tenza è passata al tribunale amministrativo regionale, dotato di un pro prio ufficio di segreteria.
Il giudice amministrativo aveva, in alcuni casi, ritenuto che, ai sensi dell'art. 83/11, 1° comma, d.p.r. 570/60, il termine per la notificazione del ricorso contro le operazioni elettorali decorresse dalla data di cono
scenza, o quanto meno di conoscibilità, da parte di chi lo ha proposto, del decreto di fissazione dell'udienza di discussione della causa e non dalla data della sua adozione, secondo quanto dispone letteralmente l'art. 83/11, 1° comma (v. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 1994, n.
410, Foro it., Rep. 1994, voce Elezioni, n. 241, e 22 gennaio 1987, n. 18, id., Rep. 1987, voce cit., n. 191). La Corte costituzionale ha
espressamente affermato che il puntuale ed univoco testo dalla disposi zione impugnata non consente tale interpretazione adeguatrice.
Per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costitu zionale dell'art. 83/11 d.p.r. 570/60, nella parte in cui fissa il termine di dieci giorni, decorrente dall'ultima notifica effettuata, per il deposito del ricorso elettorale, non pregiudicando detto termine l'esercizio del diritto di difesa e risultando esso giustificato dalla peculiarità degli inte ressi pubblici coinvolti, v. Cons. Stato, sez. V, 6 marzo 1991, n. 227, id., Rep. 1991, voce cit., n. 208.
Nel senso che la disposizione contenuta nell'art. 83/11 d.p.r. 579/60, nel testo di cui all'art. 2 1. 1147/66, non presenta alcun difetto di previ sione in ordine alle modalità di introduzione della causa in materia elet torale, in quanto stabilisce espressamente, tra l'altro, che il ricorrente deve depositare in segreteria, nel termine all'uopo fissato, copia del ricorso e del decreto, con la prova dell'avvenuta notificazione, insieme con gli atti e documenti del giudizio, v. Cons, giust. amm. sic. 14 giu gno 1986, n. 76, id., Rep. 1986, voce cit., n. 215.
Per la dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni analoghe a
quella adesso dichiarata illegittima attraverso l'impiego dì sentenze «so stitutive» di accoglimento, v. Corte cost. 7 maggio 1993, n. 223, id., 1993, I, 2779, con nota di richiami, che ha dichiarato l'incostituzionali tà dell'art. 183, ultimo comma, r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, nella
parte in cui prevedeva per il contumace la notifica della sentenza me diante inserzione nella Gazzetta ufficiale, anziché secondo la disciplina stabilita dagli art. 138 ss. c.p.c., e 29 aprile 1993, n. 201, id., 1994, I, 3577, con nota di richiami, la quale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 209, 2° comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui prevedeva, per la liquidazione coatta amministrativa, che il termine di
quindici giorni per proporre l'impugnazione dei crediti ammessi decorre dalla data del deposito in cancelleria, da parte del commissario liquida tore, dell'elenco dei crediti medesimi, anziché da quella di ricezione della lettera raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale lo stesso commissario deve dare notizia dell'avvenuto deposito ai singoli interessati.
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