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sentenza 10 novembre 2004, n. 335 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 17 novembre 2004, n. 45);...

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sentenza 10 novembre 2004, n. 335 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 17 novembre 2004, n. 45); Pres. Mezzanotte, Est. Vaccarella; Di Simone c. De Nuntiis e altro; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. L'Aquila 20 gennaio 2004 (G.U., 1 a s.s., n. 12 del 2004) Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 5 (MAGGIO 2006), pp. 1319/1320-1323/1324 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23203218 . Accessed: 25/06/2014 10:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.101 on Wed, 25 Jun 2014 10:17:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 10 novembre 2004, n. 335 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 17 novembre 2004, n.45); Pres. Mezzanotte, Est. Vaccarella; Di Simone c. De Nuntiis e altro; interv. Pres. cons.ministri. Ord. Trib. L'Aquila 20 gennaio 2004 (G.U., 1 a s.s., n. 12 del 2004)Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 5 (MAGGIO 2006), pp. 1319/1320-1323/1324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203218 .

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PARTE PRIMA

l'interesse del ricorrente a ottenere una decisione sulla spettanza delle attribuzioni in contestazione, che rappresenterebbe «l'og

getto principale del giudizio di questa corte, in base all'art. 38 1.

ii. 87 del 1953». Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art.

37, 3° e 4° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 (norme sulla costitu

zione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa corte è chiamata a decidere, con ordinanza, se il ricorso sia am

missibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se sussi

stano i requisiti soggettivi e oggettivi di un conflitto di attribu

zione tra poteri dello Stato;

che, in relazione alla sussistenza dei requisiti soggettivi, in

conformità alla costante giurisprudenza di questa corte, deve es

sere riconosciuta la legittimazione del procuratore della repub blica presso il Tribunale di Tempio Pausania a sollevare con

flitto di attribuzione, in quanto organo direttamente investito

delle funzioni previste dall'art. 112 Cost, e dunque gravato del

l'obbligo di esercitare l'azione penale e le attività di indagine a

questa finalizzate;

che, ancora, dal punto di vista soggettivo, nessun dubbio può sussistere sulla legittimazione del presidente del consiglio dei

ministri a resistere al conflitto, in quanto organo competente a

dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del

segreto di Stato, non solo sulla base della 1. n. 801 del 1977, ma,

come questa corte ha già più volte chiarito, anche alla stregua delle disposizioni costituzionali che ne delimitano le attribuzio

ni (sentenze n. 410 e n. 110 del 1998, n. 86 del 1977, citate; or

dinanza n. 426 del 1997, ibid., 955); che, con riferimento ai presupposti oggettivi, il ricorso, che

ha come oggetto l'asserita menomazione dei poteri dell'autorità

giudiziaria in conseguenza degli atti ministeriali impugnati, è

indirizzato alla garanzia della sfera dì attribuzioni determinata

da norme costituzionali, in quanto la lesione lamentata dal pro curatore della repubblica ricorrente concerne funzioni ricondu

cibili all'art. 112 Cost.;

che, peraltro, nelle more dell'attuale fase del giudizio, è in

tervenuta la nota del ministero dell'interno n. 1004/110-96314

del 13 maggio 2005, con la quale, rappresentandosi espressa mente la volontà del presidente del consiglio dei ministri, si è

consentito al procuratore della repubblica presso il Tribunale di

Tempio Pausania di accedere all'area già oggetto del provvedi mento di apposizione del segreto di Stato «ai fini di procedere

all'ispezione richiesta», e che tale ispezione è stata pienamente

effettuata, in attuazione del relativo decreto, nelle date 20, 22 e

23 giugno 2005, alla presenza del difensore dell'indagato e di

funzionari del Cesis;

che, su proposta degli stessi funzionari del Cesis, l'ispezione si è estesa anche a «siti non menzionati espressamente nel de

creto di ispezione datato 7 settembre 2004» ed in particolare alle

«opere di più recente realizzazione», nell'asserito «spirito di

leale collaborazione tra i poteri dello Stato e nell'ottica della

sempre più ampia collaborazione con l'autorità giudiziaria pro cedente» (secondo quanto risulta dal relativo verbale);

che, di conseguenza, il compimento dell'ispezione, ai sensi

dell'art. 244 ss. c.p.p., da parte dell'autorità giudiziaria ricor

rente ha rimosso l'ostacolo frapposto all'esercizio del potere

d'indagine spettante alla stessa autorità giudiziaria, così da far

venir meno, allo stato, l'oggetto del conflitto;

che, in relazione ai lamentati possibili effetti sui poteri del

l'autorità ricorrente derivanti dal trascorrere del tempo relativo

allo svolgimento della vicenda, si tratta di una mera situazione

di fatto, comunque non rimediabile anche a seguito di una ipo tetica pronuncia di questa corte sul merito del conflitto;

che questa corte, in sede di risoluzione dei conflitti di attribu

zione tra i poteri dello Stato, è chiamata a giudicare, come con

fermato dalla costante giurisprudenza (cfr., per tutte, la sentenza

n. 420 del 1995, id., 1996, I, 3307), su conflitti non astratti o

ipotetici, ma attuali e concreti;

che, conseguentemente, essendo venuta meno la materia del

contendere, il conflitto deve essere dichiarato inammissibile per difetto del requisito oggettivo.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi

bile il conflitto di attribuzione proposto dalla procura della re

pubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, in persona del

suo procuratore capo, con il ricorso indicato in epigrafe.

Il Foro Italiano — 2006.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 novembre 2004, n.

335 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 novembre 2004,

n. 45); Pres. Mezzanotte, Est. Vaccarella; Di Simone c. De

Nuntiis e altro; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. L'A

quila 20 gennaio 2004 (G.U., la s.s., n. 12 del 2004).

Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Correzio

ne di errori materiali — Appello — Esclusione — Incosti

tuzionalità (Cost., art. 3, 24, 111; cod. proc. civ., art. 287,

288).

È incostituzionale l'art. 287 c.p.c., nella parte in cui sottrae al

procedimento di correzione, davanti al giudice che le ha pro nunciate, le sentenze contro le quali sia stato proposto ap

pello. (1)

Diritto. — 1. - Il Tribunale de L'Aquila dubita della legitti mità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost.,

dell'art. 287 c.p.c., nella parte in cui prevede che «le sentenze

contro le quali non sia stato proposto appello» possono essere

corrette con il procedimento di cui al successivo art. 288 «dallo

(1) La Corte costituzionale rileva come l'immediata esecutività della

sentenza di primo grado e la previsione secondo cui l'esecuzione della

sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione, ha modificato

profondamente il quadro normativo nel quale continua a collocarsi

l'art. 287 c.p.c. e la scelta legislativa con esso operata e ritiene che le

esigenze di economia processuale sono tali da tollerare la pendenza contestuale del procedimento di correzione e di quelli di impugnazione e persino del procedimento di appello quando questo sia posteriore a

quello di correzione, ma appare manifestamente irragionevole allorché

sottrae al procedimento di correzione, davanti al giudice che le ha pro nunciate, le sentenze contro le quali sia stato proposto appello.

Per l'affermazione secondo cui il riferimento dell'art. 287 c.p.c. alle

«sentenze contro le quali non sia stato proposto appello» deve ritenersi

comprensivo non solo delle decisioni appellabili ed in concreto non ap

pellate. ma anche, per analogia, di quelle inappellabili, e così di quelle

d'appello e di quelle emesse a seguito del ricorso per cassazione, v.

Cass., ord. 8 luglio 1983, n. 591, Foro it., 1984, I, 191. con nota di ri

chiami. la quale ha, di conseguenza, ritenuto che anche le pronunce della Suprema corte sono assoggettabili alla procedura di correzione

prevista dall'art. 287 c.p.c. In ordine ai rapporti tra il procedimento di correzione di errori mate

riali e il giudizio d'appello sulla decisione affetta da errore materiale, v.

Cass. 7 aprile 2005, n. 7301. id., Mass., 616, secondo cui il procedi mento di correzione di errore materiale della sentenza è precluso solo

dalla proposizione dell'appello ed è di competenza del giudice a quo

quando si tratti di sentenze non appellabili ma soggette solo al ricorso

per cassazione, non potendo il giudice di legittimità esaminare il merito e quindi procedere alle rettifiche in questione; 1° dicembre 2004, n.

22596, id.. Rep. 2004, voce Sentenza civile, n. 18, secondo cui. qualora la correzione di un errore materiale contenuto nella sentenza di primo

grado venga richiesta al giudice d'appello con uno specifico motivo di

impugnazione che, pur addebitando la giuridica erroneità della pronun cia all'errore predetto, contenga anche la richiesta subordinata di rifor ma della sentenza, il giudice d'appello deve riesaminare, comunque, anche il merito della statuizione impugnata (nei limiti in cui ciò sia consentito dai motivi dedotti a sostegno dell'impugnazione), acco

gliendo l'appello nel caso in cui, escluso l'errore materiale, abbia rico nosciuto il dedotto errore di giudizio; 8 agosto 2003. n. 11972, ibid., n.

87, secondo la quale, nel caso in cui la sentenza contro la quale è stato

proposto appello contenga un errore materiale emendabile mediante la

procedura di cui agli art. 287 ss. c.p.c., la relativa istanza di correzione non essendo funzionale ad una vera e propria riforma della decisione, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo

d'impugnazione; 16 maggio 2003, n. 7706, id.. 2004, I, 1229, con nota di richiami e osservazioni di Tombari Fabbrini, secondo cui l'istanza di

correzione, non essendo rivolta ad una vera e propria riforma della de

cisione, non deve formare oggetto di uno specifico motivo d'impugna zione, neppure in via incidentale, ma può essere proposta in qualsiasi forma e può essere anche implicita nel complesso delle deduzioni di

fensive in appello, con la conseguenza che, ove l'istanza di correzione sia stata espressa in un appello incidentale, la declaratoria d'inammis sibilità di tale appello non preclude la decisione in ordine alla suddetta istanza.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 287 c.p.c., relati vamente alla mancata inclusione del decreto ingiuntivo tra i provvedi menti soggetti a correzione, qualora contro il decreto sia stata già pro

posta opposizione, è stata dichiarata inammissibile, in quanto essendo

già in corso un riesame di tipo sostitutivo, il provvedimento non sareb be comunque assoggettabile al procedimento di correzione, da Corte cost. 17 novembre 1994, n. 393, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 96, com mentata da Guarnieri, in Corriere giur., 1995, 31.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

stesso giudice che le ha pronunciate», qualora questi sia incorso

in errori materiali, e quindi nella parte in cui limita la facoltà

della parte di avvalersi del procedimento di correzione degli er

rori materiali alle sole «sentenze contro le quali non sia stato

proposto appello», conseguentemente escludendo che quelle ap

pellate possano essere corrette «dallo stesso giudice che le ha

pronunciate» indipendentemente dalla decisione del mezzo di

gravame. 2. - L'eccezione d'inammissibilità della questione, per irrile

vanza, sollevata dall'avvocatura generale dello Stato, è infon

data.

Il problema dell'interpretazione dell'art. 653, 1° comma,

c.p.c. — e cioè se, in caso di rigetto dell'opposizione, il titolo

esecutivo sia costituito dal decreto ingiuntivo (come sostiene,

sulla base della lettera della norma, la giurisprudenza prevalen

te) ovvero dalla sentenza (come ritiene la dottrina maggioritaria) — non riveste rilievo di sorta nel presente giudizio una volta

che si convenga, con l'unanime dottrina e giurisprudenza, che è

la sentenza di rigetto dell'opposizione — senza necessità, dopo

la riforma dell'art. 282 c.p.c., che sia dichiarata provvisoria mente esecutiva — a consentire al creditore opposto di procede re esecutivamente (si utilizzi come titolo esecutivo il decreto

ovvero la sentenza stessa) nei confronti dell'ingiunto; così come

non riveste rilievo alcuno la qualificazione che voglia darsi, in

relazione al capo sulle spese, alla sentenza di rigetto dell'oppo sizione, chiaro essendo (come rende manifesto l'art. 653, 2°

comma, c.p.c.) che sotto nessun profilo la sentenza di rigetto

dell'opposizione (che segue, cioè, un provvedimento di condan

na, e ne conferma il contenuto) è equiparabile ad una sentenza

di rigetto della domanda.

Se quest'ultimo rilievo chiarisce l'estraneità, rispetto all'at

tuale questione, di quanto questa corte ha avuto modo di statuire

con la sentenza n. 232 del 2004 (Foro it., Rep. 2004, voce Ese

cuzione provvisoria, n. 6), il primo rilievo — la constatazione,

cioè, che la sentenza di rigetto dell'opposizione riveste un ruolo

costitutivo per l'azione esecutiva del creditore (vanamente) op

posto — vale a rendere palese la rilevanza della questione anche

se si ritiene che il titolo esecutivo è costituito dal decreto in

giuntivo: posto che «contemporaneamente (alla notifica della

citazione in opposizione) l'ufficiale giudiziario deve notificare avviso dell'opposizione al cancelliere affinché ne prenda nota

sull'originale del decreto» (art. 645, 1° comma, seconda parte,

c.p.c.), è del tutto ovvio che il decreto ingiuntivo acquista ese

cutorietà (cfr. art. 654, 1° comma, c.p.c.) solo ove la sentenza di

rigetto dell'opposizione risulti «coerente» con il decreto in

giuntivo opposto; così come è ovvio che la pendenza di un pro cedimento di correzione per inesatta identificazione del credito

re opposto vale ad impedire il conferimento dell'efficacia ese

cutiva al decreto stesso.

Nulla quaestio, è appena il caso di rilevare, ove si aderisse

alla tesi — preferita dal giudice a quo

— secondo la quale il ti

tolo esecutivo sarebbe costituito dalla sentenza di rigetto del

l'opposizione. 3. - La questione è fondata.

3.1. - È noto che la disciplina della correzione degli errori

materiali (o di calcolo e delle omissioni) è frutto di un processo

volto, in primo luogo, a distinguere tali errori da quelli rimedia

bili esclusivamente attraverso i mezzi di impugnazione; così

come è noto che tale distinzione è ben presto sfociata in un pro blema di rapporti tra procedimenti in quanto essa —

dapprima

operata attraverso la «non necessità» di percorrere «la via della

rivocazione» (art. 580 c.p.c. sardo del 1859) — successivamente

10 fu sancendo la «non necessità» di «alcuno dei mezzi indicati

nell'art. 465 per far emendare nelle sentenze omissioni, o errori,

che non ne producano la nullità ai termini dell'art. 361» (art.

473 c.p.c. del 1865). Tale «non necessità», intesa originariamente come mera pos

sibilità di non utilizzare uno strumento sproporzionato rispetto alla bisogna, pose come centrale il problema

— quando il citato

art. 473 disciplinò un procedimento ad hoc per la correzione —

del rapporto di tale procedimento speciale con quello d'impu

gnazione: se, cioè, la correzione potesse chiedersi esclusiva

mente utilizzando il procedimento speciale (ovvero anche con

l'«eccessivo», ma anch'esso idoneo mezzo d'impugnazione) e,

in caso di risposta affermativa, se il procedimento speciale do

vesse o potesse essere utilizzato pure nell'ipotesi di proposizio ne di un mezzo di impugnazione.

11 Foro Italiano — 2006.

È noto che prevalse nettamente, in dottrina ed in giurispru

denza, la tesi dell'obbligatorietà del procedimento speciale e,

nel contempo, quella della sua inutilizzabilità nel caso di propo sizione, purché anteriore al provvedimento di correzione, di un

mezzo di impugnazione ordinario (all'epoca, l'opposizione contumaciale e l'appellazione: art. 465, 2° comma, c.p.c. del

1865), in quanto la decisione finale si sostituiva integralmente a

quella (impugnata) da correggere. 3.2. - Il codice vigente

— separati nettamente nel libro II il

procedimento di correzione (titolo I) dalle impugnazioni (titolo

III) ed il loro oggetto (descritto, rispettivamente, negli art. 287 e

161, 1° comma, c.p.c.) — ha statuito che «le sentenze contro le

quali non sia stato proposto appello ... possono essere corrette,

su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronuncia te ...». La circostanza che tale locuzione fosse stata preceduta

dall'ampio dibattito, sopra sommariamente ricordato, ha fatto sì

che essa sia stata subito, e quasi unanimemente, intesa come

confermativa dell'orientamento dominante nella vigenza del co

dice del 1865: nel senso, cioè, che il procedimento di correzione

è «assorbito» in quello d'appello che lo renderebbe inutile (e

inammissibile), essendo l'appello un rimedio con devoluzione

illimitata, destinato a concludersi con una pronuncia sostitutiva

di quella bisognosa di correzione.

Le medesime norme sono state ritenute idonee a disciplinare la correzione sia delle sentenze d'appello sia (anteriormente alla

1. 26 novembre 1990 n. 353, art. 67) quelle di cassazione: nel

primo caso perché la proposizione di un mezzo d'impugnazione limitato, e per ciò stesso inidoneo come il ricorso per cassazione — cfr., per l'analoga situazione della «sentenza arbitrale», l'art.

826 c.p.c. nel testo ante 1. 5 gennaio 1994 n. 25 (nuove disposi zioni in materia di arbitrato e disciplina dell'arbitrato interna

zionale) —, non impediva al giudice d'appello di emendare la

propria sentenza; nel secondo caso perché la correzione da parte della Corte di cassazione dell'errore inficiante la propria sen

tenza non vulnerava, attesa l'ontologica diversità della corre

zione dall'impugnazione, il principio dell'inimpugnabilità delle sentenze della Suprema corte. Diversità, è il caso di ricordare,

ribadita da questa corte quando — avendo il legislatore equipa

rato (art. 391 bis c.p.c., introdotto dall'art. 67 1. n. 353 del 1990)

l'errore materiale a quello revocatorio sotto il profilo procedi mentale — ha censurato l'irragionevolezza, risolventesi anche

in violazione dell'art. 24 Cost., della pretesa di uniformare «due

istituti (correzione e revocazione) che sono eterogenei» (senten

za n. 119 del 1996, id., 1996,1, 2321). Le medesime norme, ancora, sostanzialmente disciplinano

dopo la profonda riforma dell'arbitrato operata dalla 1. n. 25 del

1994 — anche la correzione del lodo arbitrale; procedimento di

correzione insensibile alla proposizione dell'impugnazione per nullità (e per revocazione e opposizione di terzo: art. 831 c.p.c.), la cui competenza è distribuita tra arbitri e (dopo il deposito)

giudice dell' exequatur. 3.3. - Dal quadro normativo appena delineato emerge come la

regola per cui il procedimento di correzione è insensibile alla

proposizione dell'impugnazione ed è di competenza del giudice che ha emesso il provvedimento affetto da errore (lato sensu)

ostativo subisce l'unica eccezione della sentenza di primo grado

già investita dall'appello (sentenza di primo grado alla quale è,

ovviamente, equiparabile il decreto ingiuntivo: cfr. sentenza n.

393 del 1994, id., Rep. 1995, voce Sentenza civile, n. 96).

Come si è ricordato, tale eccezione è stata da sempre giustifi cata con la particolare natura — di mezzo di impugnazione illi

mitato e con effetto sostitutivo — dell'appello, la quale con

sente di «assorbire» in tale procedimento quello speciale di cor

rezione e di trasferire al giudice dell'appello il relativo potere: donde la conclusione che, «rientrando la correzione nei compiti di revisione conferiti al giudice del gravame», questi può di

sporla solo con la sentenza che, decidendo sull'appello, si so

stituisce a quella gravata. Il rimettente espone puntualmente gli inconvenienti che tale

soluzione produceva anche anteriormente alla novella del 1990,

e ricorda come non abbia riscosso apprezzabile seguito il tenta

tivo dottrinale di limitarli attraverso un'interpretazione dell'art.

287 c.p.c. che vi leggeva esclusivamente una disciplina della

competenza (del giudice a quo prima, e del giudice ad quem

dopo la proposizione dell'appello) a gestire il procedimento

speciale: inconvenienti che, come questa corte ha ripetutamente statuito (tra le tante, sentenze n. 204 e n. 32 del 2001, id., 2002,

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PARTE PRIMA 1324

I, 2540, e id.. Rep. 2001, voce Procedimento civile, n. 180), non

consentono di sindacare la discrezionalità del legislatore nel di

sciplinare il processo se non quando essi denotano una manife

sta irrazionalità della disciplina ovvero l'assenza di una valida

ragione giustificativa delle scelte legislative. 3.4. - Osserva la corte che le esigenze di economia proces

suale — la superfluità, cioè, dell'esperimento del procedimento

speciale in pendenza di un giudizio (d'appello) idoneo ad

emendare la sentenza dall'errore che la inficiava, trattandosi, come è stato detto, di «una correzione in pura perdita, quasi un

ornamento apposto a una casa destinata a crollare» — potevano

costituire una sufficiente giustificazione della scelta legislativa, e degli inconvenienti che essa comportava, quando la sentenza

di primo grado, sia pure con eccezioni sempre più frequenti, era

ancora normalmente priva di efficacia esecutiva in ragione della

sua appellabilità (art. 337, 1° comma, c.p.c., ante 1. n. 353 del

1990, art. 49). La sostituzione della norma da ultimo citata con quella se

condo cui «l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto

dell'impugnazione», unita all'espressa previsione dell'imme

diata esecutività della sentenza di primo grado (art. 282 c.p.c., come sostituito dall'art. 33 1. n. 353 del 1990), ha modificato

profondamente il quadro normativo nel quale continua a collo

carsi l'art. 287 e la scelta legislativa con esso operata: la senten

za appellata, affetta da errore correggibile, era sottoposta olim al

regime ordinario della sentenza di primo grado (quello c.d. della

sentenza soggetta a gravame), laddove, dopo la 1. n. 353 del

1990, ad essa continua ad essere riservato il medesimo tratta

mento che, però, è divenuto eccezionale e deteriore rispetto a

quello di cui gode, oggi, la sentenza di primo grado. 3.5. - Non soltanto, dunque, le ragioni di economia proces

suale, sulle quali si fondava la scelta legislativa di cui all'art.

287 c.p.c., risultano profondamente «indebolite» da ciò, che es

se diventano causa di assoggettamento della sentenza di primo

grado ad un regime eccezionale (laddove, in precedenza, esse

provocavano l'assoggettamento al regime ordinario anche delle

sentenze che, eccezionalmente, erano munite di efficacia esecu

tiva), ma l'intrinseca «debolezza» di quelle ragioni è testimo

niata dalla loro non costante applicazione: il sopravvenire del

l'appello in pendenza del procedimento di correzione non de

termina l'improcedibilità di quest'ultimo, così come qualsiasi altro mezzo di impugnazione

— anche se non limitato — non

comporta né l'inammissibilità né l'improcedibilità del procedi mento di correzione.

Le esigenze di economia processuale recepite dal legislatore con l'art. 287 c.p.c., in sintesi, sono tali da tollerare la pendenza contestuale del procedimento di correzione e dei procedimenti di impugnazione, e perfino del procedimento d'appello quando

questo sia posteriore a quello di correzione; in conclusione, esse

sono poste a fondamento di un'eccezionale disciplina dei rap

porti tra procedimento di correzione e procedimenti di impu gnazione.

3.6. - L'eccezionalità della disciplina del procedimento di

correzione nei suoi rapporti con la previa pendenza del proce dimento d'appello, e l'eccezionale regime della sentenza di

primo grado al quale esso dà luogo, determinano, con il loro

sommarsi e combinarsi, una manifesta irragionevolezza della

disciplina dettata dall'art. 287 c.p.c. allorché sottrae al procedi mento di correzione, davanti al giudice che le ha pronunciate, le

sentenze contro le quali sia stato proposto appello. Tale irragionevolezza si risolve altresì in una ingiustificabile

compressione del diritto di agire esecutivamente della parte vittoriosa, e pertanto

-— costituendo l'azione esecutiva stru

mento essenziale dell'effettività della tutela giurisdizionale —

in una violazione dell'art. 24 Cost, (sentenze n. 321 del 1998,

id.., 1998, I, 3048; n. 333 del 2001, id., 2001, I, 3017; n. 336, n. 444 e n. 522 del 2002, id., 2004, I, 41, id., 2002, I, 3261, e id., 2003,1, 1650; n. 155 del 2004, id., 2004,1, 1969).

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 287 c.p.c. limitatamente alle parole «contro le quali non sia stato proposto appello».

Il Foro Italiano — 2006.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 29 settembre 2003, n.

301 (Gazzetta ufficiale, T serie speciale, 8 ottobre 2003, n.

40); Pres. Chieppa, Est. Marini; Ristuccia (Avv. Ristuccia),

Compagnia di San Paolo (Avv. Benessia, Irti, Sanino), Adusbef (Avv. Cerniglia), Fondazione Monte dei Paschi di

Siena (Avv. Rescigno, Torchia), Fondazione Cassa di ri

sparmio di Roma (Avv. Clarizia, Carullo), Fondazione

Cassa di risparmio di Venezia e Fondazione Cassa di rispar mio di Pistoia e Pescia (Avv. Carbonetti), Ente Cassa di ri

sparmio di Firenze, Fondazione Cassa di risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, Fondazione Cassa di risparmio in

Bologna e Fondazione Cassa di risparmio di La Spezia (Avv.

Morbidelli), Associazione fra le Casse di risparmio italiane

(Avv. Gabrielli, Guarino, Vitucci, Morbidelli, Schlesin

ger. Cara vita di Toritto); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fa vara, Aiello). Ord. Tar Lazio 8 febbraio 2003

(dieci) (G.U., 1" s.s., n. 10 del 2003).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — «Settori ammessi» — Modifica con atto regolamen tare dell'autorità di vigilanza — Incostituzionalità (Cost., art. 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato

(legge finanziaria 2002), art. 11). Banca, credito e risparmio

— Fondazioni di origine banca

ria — Organo di indirizzo — Composizione — Incostitu

zionalità (Cost., art. 114, 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n.

448, art. 11).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — Assetto organizzativo — Requisiti di onorabilità e

ipotesi di incompatibilità — Incostituzionalità (Cost., art.

117, 118; d.leg. 17 maggio 1999 n. 153, disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'art. 11, 1° comma,

d.leg. 20 novembre 1990 n. 356 e disciplina fiscale delle ope razioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'art. 1 1. 23

dicembre 1998 n. 461, art. 4, 10).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — «Settori ammessi» — Elencazione e individuazione — Questione infondata di costituzionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18, 22, 41, 117, 118; 1. 28 di cembre 2001 n. 448, art. 11; 1. 1° agosto 2002 n. 166, disposi zioni in materia di infrastrutture e trasporti, art. 7).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — «Settori ammessi» — Criteri preferenziali nella

scelta dei settori — Questione infondata di costituzionalità

nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18, 22, 41, 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — Attività — Limiti — Questione infondata di costitu

zionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18,

22, 41, 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — Regime delle incompatibilità — Questione infonda

ta di costituzionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 18, 22; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — Società bancaria controllata — Nozione — Questio ne infondata di costituzionalità nei sensi di cui in motiva

zione (Cost., art. 2, 3, 18, 41; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art.

11). Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — Adeguamento degli statuti — Poteri degli organi in

carica — Questione infondata di costituzionalità nei sensi

di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18, 22, 41. 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).

Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca

ria — «Settori rilevanti» — Nozione — Modifica — Que stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 18, 41,

117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).

E incostituzionale l'art. 11, 1° comma, ultimo perìodo, l. 28 di

cembre 2001 n. 448, nella parte in cui prevede che i «settori

ammessi» possono essere modificati dall'autorità di vigilanza

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