sentenza 10 novembre 2004, n. 335 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 17 novembre 2004, n.45); Pres. Mezzanotte, Est. Vaccarella; Di Simone c. De Nuntiis e altro; interv. Pres. cons.ministri. Ord. Trib. L'Aquila 20 gennaio 2004 (G.U., 1 a s.s., n. 12 del 2004)Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 5 (MAGGIO 2006), pp. 1319/1320-1323/1324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23203218 .
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PARTE PRIMA
l'interesse del ricorrente a ottenere una decisione sulla spettanza delle attribuzioni in contestazione, che rappresenterebbe «l'og
getto principale del giudizio di questa corte, in base all'art. 38 1.
ii. 87 del 1953». Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art.
37, 3° e 4° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 (norme sulla costitu
zione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa corte è chiamata a decidere, con ordinanza, se il ricorso sia am
missibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se sussi
stano i requisiti soggettivi e oggettivi di un conflitto di attribu
zione tra poteri dello Stato;
che, in relazione alla sussistenza dei requisiti soggettivi, in
conformità alla costante giurisprudenza di questa corte, deve es
sere riconosciuta la legittimazione del procuratore della repub blica presso il Tribunale di Tempio Pausania a sollevare con
flitto di attribuzione, in quanto organo direttamente investito
delle funzioni previste dall'art. 112 Cost, e dunque gravato del
l'obbligo di esercitare l'azione penale e le attività di indagine a
questa finalizzate;
che, ancora, dal punto di vista soggettivo, nessun dubbio può sussistere sulla legittimazione del presidente del consiglio dei
ministri a resistere al conflitto, in quanto organo competente a
dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del
segreto di Stato, non solo sulla base della 1. n. 801 del 1977, ma,
come questa corte ha già più volte chiarito, anche alla stregua delle disposizioni costituzionali che ne delimitano le attribuzio
ni (sentenze n. 410 e n. 110 del 1998, n. 86 del 1977, citate; or
dinanza n. 426 del 1997, ibid., 955); che, con riferimento ai presupposti oggettivi, il ricorso, che
ha come oggetto l'asserita menomazione dei poteri dell'autorità
giudiziaria in conseguenza degli atti ministeriali impugnati, è
indirizzato alla garanzia della sfera dì attribuzioni determinata
da norme costituzionali, in quanto la lesione lamentata dal pro curatore della repubblica ricorrente concerne funzioni ricondu
cibili all'art. 112 Cost.;
che, peraltro, nelle more dell'attuale fase del giudizio, è in
tervenuta la nota del ministero dell'interno n. 1004/110-96314
del 13 maggio 2005, con la quale, rappresentandosi espressa mente la volontà del presidente del consiglio dei ministri, si è
consentito al procuratore della repubblica presso il Tribunale di
Tempio Pausania di accedere all'area già oggetto del provvedi mento di apposizione del segreto di Stato «ai fini di procedere
all'ispezione richiesta», e che tale ispezione è stata pienamente
effettuata, in attuazione del relativo decreto, nelle date 20, 22 e
23 giugno 2005, alla presenza del difensore dell'indagato e di
funzionari del Cesis;
che, su proposta degli stessi funzionari del Cesis, l'ispezione si è estesa anche a «siti non menzionati espressamente nel de
creto di ispezione datato 7 settembre 2004» ed in particolare alle
«opere di più recente realizzazione», nell'asserito «spirito di
leale collaborazione tra i poteri dello Stato e nell'ottica della
sempre più ampia collaborazione con l'autorità giudiziaria pro cedente» (secondo quanto risulta dal relativo verbale);
che, di conseguenza, il compimento dell'ispezione, ai sensi
dell'art. 244 ss. c.p.p., da parte dell'autorità giudiziaria ricor
rente ha rimosso l'ostacolo frapposto all'esercizio del potere
d'indagine spettante alla stessa autorità giudiziaria, così da far
venir meno, allo stato, l'oggetto del conflitto;
che, in relazione ai lamentati possibili effetti sui poteri del
l'autorità ricorrente derivanti dal trascorrere del tempo relativo
allo svolgimento della vicenda, si tratta di una mera situazione
di fatto, comunque non rimediabile anche a seguito di una ipo tetica pronuncia di questa corte sul merito del conflitto;
che questa corte, in sede di risoluzione dei conflitti di attribu
zione tra i poteri dello Stato, è chiamata a giudicare, come con
fermato dalla costante giurisprudenza (cfr., per tutte, la sentenza
n. 420 del 1995, id., 1996, I, 3307), su conflitti non astratti o
ipotetici, ma attuali e concreti;
che, conseguentemente, essendo venuta meno la materia del
contendere, il conflitto deve essere dichiarato inammissibile per difetto del requisito oggettivo.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi
bile il conflitto di attribuzione proposto dalla procura della re
pubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, in persona del
suo procuratore capo, con il ricorso indicato in epigrafe.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 10 novembre 2004, n.
335 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 17 novembre 2004,
n. 45); Pres. Mezzanotte, Est. Vaccarella; Di Simone c. De
Nuntiis e altro; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. L'A
quila 20 gennaio 2004 (G.U., la s.s., n. 12 del 2004).
Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Correzio
ne di errori materiali — Appello — Esclusione — Incosti
tuzionalità (Cost., art. 3, 24, 111; cod. proc. civ., art. 287,
288).
È incostituzionale l'art. 287 c.p.c., nella parte in cui sottrae al
procedimento di correzione, davanti al giudice che le ha pro nunciate, le sentenze contro le quali sia stato proposto ap
pello. (1)
Diritto. — 1. - Il Tribunale de L'Aquila dubita della legitti mità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost.,
dell'art. 287 c.p.c., nella parte in cui prevede che «le sentenze
contro le quali non sia stato proposto appello» possono essere
corrette con il procedimento di cui al successivo art. 288 «dallo
(1) La Corte costituzionale rileva come l'immediata esecutività della
sentenza di primo grado e la previsione secondo cui l'esecuzione della
sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione, ha modificato
profondamente il quadro normativo nel quale continua a collocarsi
l'art. 287 c.p.c. e la scelta legislativa con esso operata e ritiene che le
esigenze di economia processuale sono tali da tollerare la pendenza contestuale del procedimento di correzione e di quelli di impugnazione e persino del procedimento di appello quando questo sia posteriore a
quello di correzione, ma appare manifestamente irragionevole allorché
sottrae al procedimento di correzione, davanti al giudice che le ha pro nunciate, le sentenze contro le quali sia stato proposto appello.
Per l'affermazione secondo cui il riferimento dell'art. 287 c.p.c. alle
«sentenze contro le quali non sia stato proposto appello» deve ritenersi
comprensivo non solo delle decisioni appellabili ed in concreto non ap
pellate. ma anche, per analogia, di quelle inappellabili, e così di quelle
d'appello e di quelle emesse a seguito del ricorso per cassazione, v.
Cass., ord. 8 luglio 1983, n. 591, Foro it., 1984, I, 191. con nota di ri
chiami. la quale ha, di conseguenza, ritenuto che anche le pronunce della Suprema corte sono assoggettabili alla procedura di correzione
prevista dall'art. 287 c.p.c. In ordine ai rapporti tra il procedimento di correzione di errori mate
riali e il giudizio d'appello sulla decisione affetta da errore materiale, v.
Cass. 7 aprile 2005, n. 7301. id., Mass., 616, secondo cui il procedi mento di correzione di errore materiale della sentenza è precluso solo
dalla proposizione dell'appello ed è di competenza del giudice a quo
quando si tratti di sentenze non appellabili ma soggette solo al ricorso
per cassazione, non potendo il giudice di legittimità esaminare il merito e quindi procedere alle rettifiche in questione; 1° dicembre 2004, n.
22596, id.. Rep. 2004, voce Sentenza civile, n. 18, secondo cui. qualora la correzione di un errore materiale contenuto nella sentenza di primo
grado venga richiesta al giudice d'appello con uno specifico motivo di
impugnazione che, pur addebitando la giuridica erroneità della pronun cia all'errore predetto, contenga anche la richiesta subordinata di rifor ma della sentenza, il giudice d'appello deve riesaminare, comunque, anche il merito della statuizione impugnata (nei limiti in cui ciò sia consentito dai motivi dedotti a sostegno dell'impugnazione), acco
gliendo l'appello nel caso in cui, escluso l'errore materiale, abbia rico nosciuto il dedotto errore di giudizio; 8 agosto 2003. n. 11972, ibid., n.
87, secondo la quale, nel caso in cui la sentenza contro la quale è stato
proposto appello contenga un errore materiale emendabile mediante la
procedura di cui agli art. 287 ss. c.p.c., la relativa istanza di correzione non essendo funzionale ad una vera e propria riforma della decisione, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo
d'impugnazione; 16 maggio 2003, n. 7706, id.. 2004, I, 1229, con nota di richiami e osservazioni di Tombari Fabbrini, secondo cui l'istanza di
correzione, non essendo rivolta ad una vera e propria riforma della de
cisione, non deve formare oggetto di uno specifico motivo d'impugna zione, neppure in via incidentale, ma può essere proposta in qualsiasi forma e può essere anche implicita nel complesso delle deduzioni di
fensive in appello, con la conseguenza che, ove l'istanza di correzione sia stata espressa in un appello incidentale, la declaratoria d'inammis sibilità di tale appello non preclude la decisione in ordine alla suddetta istanza.
La questione di legittimità costituzionale dell'art. 287 c.p.c., relati vamente alla mancata inclusione del decreto ingiuntivo tra i provvedi menti soggetti a correzione, qualora contro il decreto sia stata già pro
posta opposizione, è stata dichiarata inammissibile, in quanto essendo
già in corso un riesame di tipo sostitutivo, il provvedimento non sareb be comunque assoggettabile al procedimento di correzione, da Corte cost. 17 novembre 1994, n. 393, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 96, com mentata da Guarnieri, in Corriere giur., 1995, 31.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
stesso giudice che le ha pronunciate», qualora questi sia incorso
in errori materiali, e quindi nella parte in cui limita la facoltà
della parte di avvalersi del procedimento di correzione degli er
rori materiali alle sole «sentenze contro le quali non sia stato
proposto appello», conseguentemente escludendo che quelle ap
pellate possano essere corrette «dallo stesso giudice che le ha
pronunciate» indipendentemente dalla decisione del mezzo di
gravame. 2. - L'eccezione d'inammissibilità della questione, per irrile
vanza, sollevata dall'avvocatura generale dello Stato, è infon
data.
Il problema dell'interpretazione dell'art. 653, 1° comma,
c.p.c. — e cioè se, in caso di rigetto dell'opposizione, il titolo
esecutivo sia costituito dal decreto ingiuntivo (come sostiene,
sulla base della lettera della norma, la giurisprudenza prevalen
te) ovvero dalla sentenza (come ritiene la dottrina maggioritaria) — non riveste rilievo di sorta nel presente giudizio una volta
che si convenga, con l'unanime dottrina e giurisprudenza, che è
la sentenza di rigetto dell'opposizione — senza necessità, dopo
la riforma dell'art. 282 c.p.c., che sia dichiarata provvisoria mente esecutiva — a consentire al creditore opposto di procede re esecutivamente (si utilizzi come titolo esecutivo il decreto
ovvero la sentenza stessa) nei confronti dell'ingiunto; così come
non riveste rilievo alcuno la qualificazione che voglia darsi, in
relazione al capo sulle spese, alla sentenza di rigetto dell'oppo sizione, chiaro essendo (come rende manifesto l'art. 653, 2°
comma, c.p.c.) che sotto nessun profilo la sentenza di rigetto
dell'opposizione (che segue, cioè, un provvedimento di condan
na, e ne conferma il contenuto) è equiparabile ad una sentenza
di rigetto della domanda.
Se quest'ultimo rilievo chiarisce l'estraneità, rispetto all'at
tuale questione, di quanto questa corte ha avuto modo di statuire
con la sentenza n. 232 del 2004 (Foro it., Rep. 2004, voce Ese
cuzione provvisoria, n. 6), il primo rilievo — la constatazione,
cioè, che la sentenza di rigetto dell'opposizione riveste un ruolo
costitutivo per l'azione esecutiva del creditore (vanamente) op
posto — vale a rendere palese la rilevanza della questione anche
se si ritiene che il titolo esecutivo è costituito dal decreto in
giuntivo: posto che «contemporaneamente (alla notifica della
citazione in opposizione) l'ufficiale giudiziario deve notificare avviso dell'opposizione al cancelliere affinché ne prenda nota
sull'originale del decreto» (art. 645, 1° comma, seconda parte,
c.p.c.), è del tutto ovvio che il decreto ingiuntivo acquista ese
cutorietà (cfr. art. 654, 1° comma, c.p.c.) solo ove la sentenza di
rigetto dell'opposizione risulti «coerente» con il decreto in
giuntivo opposto; così come è ovvio che la pendenza di un pro cedimento di correzione per inesatta identificazione del credito
re opposto vale ad impedire il conferimento dell'efficacia ese
cutiva al decreto stesso.
Nulla quaestio, è appena il caso di rilevare, ove si aderisse
alla tesi — preferita dal giudice a quo
— secondo la quale il ti
tolo esecutivo sarebbe costituito dalla sentenza di rigetto del
l'opposizione. 3. - La questione è fondata.
3.1. - È noto che la disciplina della correzione degli errori
materiali (o di calcolo e delle omissioni) è frutto di un processo
volto, in primo luogo, a distinguere tali errori da quelli rimedia
bili esclusivamente attraverso i mezzi di impugnazione; così
come è noto che tale distinzione è ben presto sfociata in un pro blema di rapporti tra procedimenti in quanto essa —
dapprima
operata attraverso la «non necessità» di percorrere «la via della
rivocazione» (art. 580 c.p.c. sardo del 1859) — successivamente
10 fu sancendo la «non necessità» di «alcuno dei mezzi indicati
nell'art. 465 per far emendare nelle sentenze omissioni, o errori,
che non ne producano la nullità ai termini dell'art. 361» (art.
473 c.p.c. del 1865). Tale «non necessità», intesa originariamente come mera pos
sibilità di non utilizzare uno strumento sproporzionato rispetto alla bisogna, pose come centrale il problema
— quando il citato
art. 473 disciplinò un procedimento ad hoc per la correzione —
del rapporto di tale procedimento speciale con quello d'impu
gnazione: se, cioè, la correzione potesse chiedersi esclusiva
mente utilizzando il procedimento speciale (ovvero anche con
l'«eccessivo», ma anch'esso idoneo mezzo d'impugnazione) e,
in caso di risposta affermativa, se il procedimento speciale do
vesse o potesse essere utilizzato pure nell'ipotesi di proposizio ne di un mezzo di impugnazione.
11 Foro Italiano — 2006.
È noto che prevalse nettamente, in dottrina ed in giurispru
denza, la tesi dell'obbligatorietà del procedimento speciale e,
nel contempo, quella della sua inutilizzabilità nel caso di propo sizione, purché anteriore al provvedimento di correzione, di un
mezzo di impugnazione ordinario (all'epoca, l'opposizione contumaciale e l'appellazione: art. 465, 2° comma, c.p.c. del
1865), in quanto la decisione finale si sostituiva integralmente a
quella (impugnata) da correggere. 3.2. - Il codice vigente
— separati nettamente nel libro II il
procedimento di correzione (titolo I) dalle impugnazioni (titolo
III) ed il loro oggetto (descritto, rispettivamente, negli art. 287 e
161, 1° comma, c.p.c.) — ha statuito che «le sentenze contro le
quali non sia stato proposto appello ... possono essere corrette,
su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronuncia te ...». La circostanza che tale locuzione fosse stata preceduta
dall'ampio dibattito, sopra sommariamente ricordato, ha fatto sì
che essa sia stata subito, e quasi unanimemente, intesa come
confermativa dell'orientamento dominante nella vigenza del co
dice del 1865: nel senso, cioè, che il procedimento di correzione
è «assorbito» in quello d'appello che lo renderebbe inutile (e
inammissibile), essendo l'appello un rimedio con devoluzione
illimitata, destinato a concludersi con una pronuncia sostitutiva
di quella bisognosa di correzione.
Le medesime norme sono state ritenute idonee a disciplinare la correzione sia delle sentenze d'appello sia (anteriormente alla
1. 26 novembre 1990 n. 353, art. 67) quelle di cassazione: nel
primo caso perché la proposizione di un mezzo d'impugnazione limitato, e per ciò stesso inidoneo come il ricorso per cassazione — cfr., per l'analoga situazione della «sentenza arbitrale», l'art.
826 c.p.c. nel testo ante 1. 5 gennaio 1994 n. 25 (nuove disposi zioni in materia di arbitrato e disciplina dell'arbitrato interna
zionale) —, non impediva al giudice d'appello di emendare la
propria sentenza; nel secondo caso perché la correzione da parte della Corte di cassazione dell'errore inficiante la propria sen
tenza non vulnerava, attesa l'ontologica diversità della corre
zione dall'impugnazione, il principio dell'inimpugnabilità delle sentenze della Suprema corte. Diversità, è il caso di ricordare,
ribadita da questa corte quando — avendo il legislatore equipa
rato (art. 391 bis c.p.c., introdotto dall'art. 67 1. n. 353 del 1990)
l'errore materiale a quello revocatorio sotto il profilo procedi mentale — ha censurato l'irragionevolezza, risolventesi anche
in violazione dell'art. 24 Cost., della pretesa di uniformare «due
istituti (correzione e revocazione) che sono eterogenei» (senten
za n. 119 del 1996, id., 1996,1, 2321). Le medesime norme, ancora, sostanzialmente disciplinano
—
dopo la profonda riforma dell'arbitrato operata dalla 1. n. 25 del
1994 — anche la correzione del lodo arbitrale; procedimento di
correzione insensibile alla proposizione dell'impugnazione per nullità (e per revocazione e opposizione di terzo: art. 831 c.p.c.), la cui competenza è distribuita tra arbitri e (dopo il deposito)
giudice dell' exequatur. 3.3. - Dal quadro normativo appena delineato emerge come la
regola per cui il procedimento di correzione è insensibile alla
proposizione dell'impugnazione ed è di competenza del giudice che ha emesso il provvedimento affetto da errore (lato sensu)
ostativo subisce l'unica eccezione della sentenza di primo grado
già investita dall'appello (sentenza di primo grado alla quale è,
ovviamente, equiparabile il decreto ingiuntivo: cfr. sentenza n.
393 del 1994, id., Rep. 1995, voce Sentenza civile, n. 96).
Come si è ricordato, tale eccezione è stata da sempre giustifi cata con la particolare natura — di mezzo di impugnazione illi
mitato e con effetto sostitutivo — dell'appello, la quale con
sente di «assorbire» in tale procedimento quello speciale di cor
rezione e di trasferire al giudice dell'appello il relativo potere: donde la conclusione che, «rientrando la correzione nei compiti di revisione conferiti al giudice del gravame», questi può di
sporla solo con la sentenza che, decidendo sull'appello, si so
stituisce a quella gravata. Il rimettente espone puntualmente gli inconvenienti che tale
soluzione produceva anche anteriormente alla novella del 1990,
e ricorda come non abbia riscosso apprezzabile seguito il tenta
tivo dottrinale di limitarli attraverso un'interpretazione dell'art.
287 c.p.c. che vi leggeva esclusivamente una disciplina della
competenza (del giudice a quo prima, e del giudice ad quem
dopo la proposizione dell'appello) a gestire il procedimento
speciale: inconvenienti che, come questa corte ha ripetutamente statuito (tra le tante, sentenze n. 204 e n. 32 del 2001, id., 2002,
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PARTE PRIMA 1324
I, 2540, e id.. Rep. 2001, voce Procedimento civile, n. 180), non
consentono di sindacare la discrezionalità del legislatore nel di
sciplinare il processo se non quando essi denotano una manife
sta irrazionalità della disciplina ovvero l'assenza di una valida
ragione giustificativa delle scelte legislative. 3.4. - Osserva la corte che le esigenze di economia proces
suale — la superfluità, cioè, dell'esperimento del procedimento
speciale in pendenza di un giudizio (d'appello) idoneo ad
emendare la sentenza dall'errore che la inficiava, trattandosi, come è stato detto, di «una correzione in pura perdita, quasi un
ornamento apposto a una casa destinata a crollare» — potevano
costituire una sufficiente giustificazione della scelta legislativa, e degli inconvenienti che essa comportava, quando la sentenza
di primo grado, sia pure con eccezioni sempre più frequenti, era
ancora normalmente priva di efficacia esecutiva in ragione della
sua appellabilità (art. 337, 1° comma, c.p.c., ante 1. n. 353 del
1990, art. 49). La sostituzione della norma da ultimo citata con quella se
condo cui «l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto
dell'impugnazione», unita all'espressa previsione dell'imme
diata esecutività della sentenza di primo grado (art. 282 c.p.c., come sostituito dall'art. 33 1. n. 353 del 1990), ha modificato
profondamente il quadro normativo nel quale continua a collo
carsi l'art. 287 e la scelta legislativa con esso operata: la senten
za appellata, affetta da errore correggibile, era sottoposta olim al
regime ordinario della sentenza di primo grado (quello c.d. della
sentenza soggetta a gravame), laddove, dopo la 1. n. 353 del
1990, ad essa continua ad essere riservato il medesimo tratta
mento che, però, è divenuto eccezionale e deteriore rispetto a
quello di cui gode, oggi, la sentenza di primo grado. 3.5. - Non soltanto, dunque, le ragioni di economia proces
suale, sulle quali si fondava la scelta legislativa di cui all'art.
287 c.p.c., risultano profondamente «indebolite» da ciò, che es
se diventano causa di assoggettamento della sentenza di primo
grado ad un regime eccezionale (laddove, in precedenza, esse
provocavano l'assoggettamento al regime ordinario anche delle
sentenze che, eccezionalmente, erano munite di efficacia esecu
tiva), ma l'intrinseca «debolezza» di quelle ragioni è testimo
niata dalla loro non costante applicazione: il sopravvenire del
l'appello in pendenza del procedimento di correzione non de
termina l'improcedibilità di quest'ultimo, così come qualsiasi altro mezzo di impugnazione
— anche se non limitato — non
comporta né l'inammissibilità né l'improcedibilità del procedi mento di correzione.
Le esigenze di economia processuale recepite dal legislatore con l'art. 287 c.p.c., in sintesi, sono tali da tollerare la pendenza contestuale del procedimento di correzione e dei procedimenti di impugnazione, e perfino del procedimento d'appello quando
questo sia posteriore a quello di correzione; in conclusione, esse
sono poste a fondamento di un'eccezionale disciplina dei rap
porti tra procedimento di correzione e procedimenti di impu gnazione.
3.6. - L'eccezionalità della disciplina del procedimento di
correzione nei suoi rapporti con la previa pendenza del proce dimento d'appello, e l'eccezionale regime della sentenza di
primo grado al quale esso dà luogo, determinano, con il loro
sommarsi e combinarsi, una manifesta irragionevolezza della
disciplina dettata dall'art. 287 c.p.c. allorché sottrae al procedi mento di correzione, davanti al giudice che le ha pronunciate, le
sentenze contro le quali sia stato proposto appello. Tale irragionevolezza si risolve altresì in una ingiustificabile
compressione del diritto di agire esecutivamente della parte vittoriosa, e pertanto
-— costituendo l'azione esecutiva stru
mento essenziale dell'effettività della tutela giurisdizionale —
in una violazione dell'art. 24 Cost, (sentenze n. 321 del 1998,
id.., 1998, I, 3048; n. 333 del 2001, id., 2001, I, 3017; n. 336, n. 444 e n. 522 del 2002, id., 2004, I, 41, id., 2002, I, 3261, e id., 2003,1, 1650; n. 155 del 2004, id., 2004,1, 1969).
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 287 c.p.c. limitatamente alle parole «contro le quali non sia stato proposto appello».
Il Foro Italiano — 2006.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 29 settembre 2003, n.
301 (Gazzetta ufficiale, T serie speciale, 8 ottobre 2003, n.
40); Pres. Chieppa, Est. Marini; Ristuccia (Avv. Ristuccia),
Compagnia di San Paolo (Avv. Benessia, Irti, Sanino), Adusbef (Avv. Cerniglia), Fondazione Monte dei Paschi di
Siena (Avv. Rescigno, Torchia), Fondazione Cassa di ri
sparmio di Roma (Avv. Clarizia, Carullo), Fondazione
Cassa di risparmio di Venezia e Fondazione Cassa di rispar mio di Pistoia e Pescia (Avv. Carbonetti), Ente Cassa di ri
sparmio di Firenze, Fondazione Cassa di risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, Fondazione Cassa di risparmio in
Bologna e Fondazione Cassa di risparmio di La Spezia (Avv.
Morbidelli), Associazione fra le Casse di risparmio italiane
(Avv. Gabrielli, Guarino, Vitucci, Morbidelli, Schlesin
ger. Cara vita di Toritto); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fa vara, Aiello). Ord. Tar Lazio 8 febbraio 2003
(dieci) (G.U., 1" s.s., n. 10 del 2003).
Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — «Settori ammessi» — Modifica con atto regolamen tare dell'autorità di vigilanza — Incostituzionalità (Cost., art. 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2002), art. 11). Banca, credito e risparmio
— Fondazioni di origine banca
ria — Organo di indirizzo — Composizione — Incostitu
zionalità (Cost., art. 114, 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n.
448, art. 11).
Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — Assetto organizzativo — Requisiti di onorabilità e
ipotesi di incompatibilità — Incostituzionalità (Cost., art.
117, 118; d.leg. 17 maggio 1999 n. 153, disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'art. 11, 1° comma,
d.leg. 20 novembre 1990 n. 356 e disciplina fiscale delle ope razioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'art. 1 1. 23
dicembre 1998 n. 461, art. 4, 10).
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ria — «Settori ammessi» — Elencazione e individuazione — Questione infondata di costituzionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18, 22, 41, 117, 118; 1. 28 di cembre 2001 n. 448, art. 11; 1. 1° agosto 2002 n. 166, disposi zioni in materia di infrastrutture e trasporti, art. 7).
Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — «Settori ammessi» — Criteri preferenziali nella
scelta dei settori — Questione infondata di costituzionalità
nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18, 22, 41, 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).
Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — Attività — Limiti — Questione infondata di costitu
zionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18,
22, 41, 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).
Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — Regime delle incompatibilità — Questione infonda
ta di costituzionalità nei sensi di cui in motivazione (Cost., art. 2, 18, 22; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).
Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — Società bancaria controllata — Nozione — Questio ne infondata di costituzionalità nei sensi di cui in motiva
zione (Cost., art. 2, 3, 18, 41; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art.
11). Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — Adeguamento degli statuti — Poteri degli organi in
carica — Questione infondata di costituzionalità nei sensi
di cui in motivazione (Cost., art. 2, 3, 18, 22, 41. 117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).
Banca, credito e risparmio — Fondazioni di origine banca
ria — «Settori rilevanti» — Nozione — Modifica — Que stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 18, 41,
117, 118; 1. 28 dicembre 2001 n. 448, art. 11).
E incostituzionale l'art. 11, 1° comma, ultimo perìodo, l. 28 di
cembre 2001 n. 448, nella parte in cui prevede che i «settori
ammessi» possono essere modificati dall'autorità di vigilanza
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