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Sentenza 11 luglio 1967; Pres. Martino P., Est. Vercellone; Stoffel (Avv. Berutti) c. Finanze

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Sentenza 11 luglio 1967; Pres. Martino P., Est. Vercellone; Stoffel (Avv. Berutti) c. Finanze Source: Il Foro Italiano, Vol. 90, No. 12 (DICEMBRE 1967), pp. 2639/2640-2645/2646 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23158257 . Accessed: 28/06/2014 08:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.173 on Sat, 28 Jun 2014 08:21:33 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 11 luglio 1967; Pres. Martino P., Est. Vercellone; Stoffel (Avv. Berutti) c. FinanzeSource: Il Foro Italiano, Vol. 90, No. 12 (DICEMBRE 1967), pp. 2639/2640-2645/2646Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23158257 .

Accessed: 28/06/2014 08:21

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2639 PARTE PRIMA 2640

Chiodi Giuseppe di sospendere la procedura di componimento e di restituire alle parti tutta la documentazione rispettiva mente prodotta.

II

Il Giudice istruttore, ecc. — A scioglimento della ri

serva che precede; letto il ricorso della società convenuta

avverso il provvedimento di questo giudice emesso in data 18

luglio 1967; letta la memoria delle società attrici; letto il

verbale di comparizione delle parti di cui sopra; preso atto

che gli arbitri hanno messo a disposizione delle parti stesse

tutta la documentazione da esse rispettivamente prodotta;

premesso che non può sollevarsi alcun dubbio in ordine alla

legittimità del precitato ricorso in quanto il provvedimento de quo, emesso, peraltro, in corso di causa, è da conside

rarsi un'ordinanza che, come tale, può essere modificata o

revocata dal giudice che l'ha pronunciata ai sensi dell'art.

177 in relazione all'art. 178 cod. proc. civ.

Osserva: a) Il primo rilievo della ricorrente secondo cui, nella specie, non ricorrevano i presupposti di legge per farsi

luogo al provvedimento d'urgenza pronunciato da questo

giudice, non sembra accoglibile. A tale riguardo basti osservare che la minaccia di un

pregiudizio imminente e irreparabile si ricava, agevolmente, dall'ammissione della stessa ricorrente laddove afferma che

il procedimento arbitrale « già da anni in corso » era « quasi

giunto alla sua conclusione » e ciò nonostante che, fin dal

22 maggio 1967, le società attrici avessero comunicato al col

legio arbitrale copia dell'atto di citazione nei confronti della

società I.c.i.m. con il quale si eccepiva la incompetenza del

predetto collegio a proseguire nel giudizio e avessero richiesto

allo stesso collegio di dichiarare le proprie intenzioni (v. la

documentazione prodotta dalle società attrici e allegata al

ricorso ex art. 700 cod. proc. civ.). Non ha alcun pregio la

considerazione adottata dalla ricorrente secondo cui il pregiu dizio imminente e irreparabile dovrebbe ravvisarsi, esclusi

vamente, in fatti che si verifichino al di fuori del processo e non in un processo in corso davanti ad altro giudice, sia

pure speciale, in quanto tale considerazione è rimasta una

mera affermazione, non dimostrata. In effetti l'art. 700 cod.

proc. civ. non ha alcun contenuto limitativo e la minaccia di

un pregiudizio imminente ed irreparabile può bene intervenire

anche attraverso una pronuncia che può essere emessa in

un altro giudizio, anche speciale. Fondato quindi, da parte delle società attrici, era il ti

more che, durante il tempo necessario per accertare, nel giu dizio instaurato avanti al giudice ordinario, la competenza del

predetto giudice a decidere le questioni sottoposte in prece denza agli arbitri, costoro depositassero il lodo.

b) Il secondo rilievo della ricorrente secondo cui la ir

reparabilità del danno eventualmente derivante dal lodo, avrebbe potuto, comunque, essere evitata con lo specifico mezzo di tutela previsto dall'art. 830, 2° comma, cod. proc. civ. e cioè con l'ordinanza di sospensione dell'esecuzione

della sentenza impugnata, appare, parimenti, inaccoglfbile. Difatti la norma suddetta presuppone un lodo già pronun ciato per il che, logicamente, in tale caso, non vi sarebbe al

cun motivo di ricorrere all'art. 700 cod. proc. civ. dal mo

mento che la legge appresta un mezzo specifico per otte

nere la sospensione dell'esecuzione del lodo. Nella fattispecie, invece, in difetto di un lodo non ancora pronunciato dal col

legio arbitrale, altro rimedio non sussisteva all'infuori di

quello di ricorrere alla procedura di urgenza prevista dal

più volte citato art. 700.

c) La doglianza della ricorrente, poi, secondo cui il

provvedimento de quo sarebbe stato emesso inaudita altera

parte e « quasi che al contraddittorio della lite pendente

(art. 701 cod. proc. civ.) partecipassero anche i componenti del collegio arbitrale », non ha alcun fondamento.

Invero la pronuncia prevista dall'art. 700 non prevede una preventiva audizione delle parti e tende, nella sua obiet

tività, ad assicurare, provvisoriamente, gli effetti della deci

sione sul merito talché legittima appare la decisione di que sto giudice di ingiungere al collegio arbitrale la sospensione del procedimento di componimento onde assicurare provviso riamente i predetti effetti.

d) L'altro rilievo della ricorrente secondo cui questo giu dice non aveva alcun potere di sospendere il giudizio arbi

trale atteso che tale sospensione poteva essere disposta, sol

tanto, dal giudice avente, ex lege, la competenza specifica di

ordinare la sospensione stessa, va, ugualmente, respinto. Vero è che gli articoli richiamati dalla ricorrente (art.

295, 623 e 819 cod. proc. civ.) riguardano la competenza spe cifica del giudice per quanto attiene alla sospensione dei giu dizi di cognizione, di esecuzione ed arbitrali, ma è anche

vero che tali norme non escludono che, tra i provvedimenti

previsti dall'art. 700, possa rientrare la sospensione di un

procedimento anche speciale, il cui protrarsi o la cui conclu

sione possano venire a frustrare la tutela giurisdizionale dei

diritti delle parti interessate.

e) La richiesta « succedanea » della ricorrente di rimes

sione della causa di merito avanti al collegio durante il cor

rente periodo feriale, per la decisione sulla competenza del

giudice ordinario adito, non va accolta in primo luogo perché le parti stesse, sul punto, hanno chiesto di poter dedurre e

controdedurre, tanto che l'istruttore ha loro concesso dei ter mini a tal fine, in secondo luogo perché evidenti ragioni di

opportunità consigliano questo giudice di riservare la de

cisione al presidente istruttore. In base, pertanto, alle suesposte considerazioni il ricorso

va respinto. Per questi motivi, visto l'art. 177 cod. proc. civ., respinge

il ricorso proposto dalla società convenuta avverso il provve dimento di questo giudice del 18 luglio 1967.

Ili

Il Giudice designato, ecc. — A scioglimento della riserva

che precede, considerato che la reputata applicabilità del

l'art. 177 cod. proc. civ. non è subordinata, per testuale di

zione del citato articolo, 2° comma, a limiti temporali di

sorta; considerato che la facoltà o il potere-dovere di so

spendere il giudizio appartiene soltanto al giudice del pro cesso, ivi compreso quello arbitrale (si veda, fra l'altro, il

disposto dell'art. 819 cod. proc. civ.); che inoltre ogni giu dice adito è investito del potere di decidere sulla propria

competenza, salvo ovviamente il ricorso ai rimedi previsti

per la soluzione dei conflitti positivi o negativi, che la pen denza di procedimenti concernenti la stessa causa, o cause

in rapporto di continenza o connessione, dinanzi a giudici diversi non attribuisce ai singoli giudici, separatamente aditi,

poteri che vadano al di là e al di fuori dei limiti formali e

sostanziali segnati dal processo dinanzi ad essi pendente; che l'ambito dell'art. 700 cod. proc. civ. non può estendersi

sino a derogare ai principi sopra succintamente richiamati

per ovviare oltre a tutto a un preteso pregiudizio che, si

noti, non deriverebbe da attività svolte dal collegio arbitrale, tali da pregiudicare di fatto l'esito di altro giudizio o da

ostacolare l'attività di altro giudice, ma dalla pendenza stessa

dell'arbitrato rituale, cioè di un processo formalmente auto nomo che offre alle parti tutti i mezzi per far valere le loro

ragioni ed i rimedi conseguenti. Per questi motivi, revoca il provvedimento reso dal giu

dice istruttore ad hoc designato, emesso, ai sensi degli art. 700 e 701 cod. proc. civ. il 18 luglio 1967.

TRIBUNALE DI TORINO

Sentenza 11 luglio 1967; Pres. Martino P., Est. Vercellone; Stoffel (Avv. Berutti) c. Finanze.

Tassa sulle successioni — Attivo ereditario — Imposta di famiglia — Detraibilità (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3270,

legge tributaria sulle successioni art. 45). Tassa sulle successioni — Attivo ereditario — Imposta

complementare sul maggior valore — Detraibilità (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3270, art. 45).

Tassa sulle successioni — Attivo ereditario — Imposta complementare sul reddito — Detraibilità (R. d. 30 di cembre 1923 n. 3270, art. 45).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il debito verso il comune per imposta di famiglia è detrai

bile, ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle succes

sioni, dall'attivo ereditario. (1) Il debito per imposta complementare di registro sul maggior

valore accertato dopo la morte del de cuius è detraibile, ai fini dell'applicazione dell'imposta di successione, dal

l'attivo ereditario. (2)

(1) In senso contrario, Cass. 20 novembre 1964, n. 2768, citata in motivazione, che può leggersi in Foro it., 1965, I, 241, con ampia nota di richiami. Nel senso che il debito per imposta di famiglia sia un debito personale del capofamiglia e, come tale, detraibile, vedasi C. centrale 20 febbraio 1963, n. 95640, id., Rep. 1965, voce Tassa sulle successioni, n. 83.

La sentenza riportata respinge l'opinione secondo cui, in ordine al tributo comunale, debitore d'imposta possa considerarsi la famiglia intesa nel suo complesso e ricava dalle norme conte nute nel t. u. per la finanza locale la convinzione che il debito per l'imposta di famiglia sia un'obbligazione solidale che nasce a carico di ciascun membro della famiglia stessa.

Se tale affermazione può essere condivisa, non altrettanto accettabile appare la conclusione cui giunge il tribunale, e cioè che essendo l'obbligazione tributaria indubbiamente a carico del de cuius in quanto obbligato solidale, alla morte di lui resti un debito della eredità, che deve pertanto essere detratto dall'attivo. è vero che il comune, in caso di morte dell'intestatario del ruolo, può chiedere il pagamento dell'imposta agli eredi di lui, ma ciò non è sufficiente a determinarne la detraibilità dell'attivo eredi tario: è ovvio infatti che, tutte le volte in cui i componenti del nucleo familiare del de cuius siano chiamati all'eredità da quegli morendo dismessa, non possano invocare la detraibilità dall'attivo ereditario del debito per imposta di famiglia, in quanto privo dei

requisiti richiesti dalla legge tributaria sulle successioni, trattandosi di un debito proprio anche agli stessi chiamati all'eredità che ne

rispondono verso il comune non in qualità di eredi, ma quali conde bitori consolidali del defunto (cfr. in tal senso: F. Mondini, Sul l'indetraìbilità dall'attivo ereditario del debito per imposta di fa miglia, in Dir. e pratica trib., 1965, II, 437). Non pare superfluo ricordare che la giurisprudenza amministrativa, in una recente de cisione (C. centrale 18 gennaio 1964, n. 4061, Foro it., Rep. 1966, voce cit., n. 81), ha ritenuto non detraibili i debiti del de cuius

quando si riferiscono ad obbligazioni altrui cui il defunto abbia

partecipato sotto forma di surrogazione obbligatoria, per effetto di garanzia prestata.

Né a diversa soluzione può condurre la macchinosa costru zione del Gelletti (Sulla indetraibilità del debito per imposta di famiglia ai fini delle imposte successorie, in Riv. dir. fin., 1965, II, 373), secondo cui a seguito della morte del de cuius si

vengono a formate due diversi e distinti nuclei familiari, l'uno, che, in funzione di una determinata agiatezza, era tenuto a corri

spondere una certa imposta, l'altro nuovo, che, quale erede del

precedente, sarà tenuto al pagamento dell'imposta in quanto tito lare di una agiatezza determinatasi in funzione della successione, perché con tale assunto si viene a conferire rilevanza di soggetto giuridico autonomo alla famiglia, cosa che la dottrina nega (sull'ar gomento anche per un panorama della dottrina, F. Mondini, Il

soggetto passivo dell'imposta di famiglia, in Dir. e pratica trib., 1966, I, 562).

Secondo M. Pugliese (Istituzioni di diritto finanziario, 1937, pag. 57), la responsabilità per il pagamento, nel diritto tributario, può essere disgiunta dalla titolarità del debito, per modo che il de bito stesso oltre ad esistere nei confronti di colui che viene designato quale soggetto passivo d'imposta in ragione d'una reale capacità con tributiva si manifesta, anche in una terza persona dalla legge ritenuta responsabile del soddisfacimento dell'obbligazione, ma, in effetti, estranea al presupposto di fatto. Ma ad una tale esten

sione, tentata dal Gelletti (op. loc. cit., 366), si oppone la considerazione che l'erede, componente il nucleo familiare del de cuius, non è estraneo al presupposto di fatto dell'obbliga zione tributaria in quanto concorre a determinare, con riferimento all'unità economica creata dai componenti della famiglia, la base

imponibile. (2) In senso contrario, Cass. 2 novembre 1961, n. 2536, Foro

it., 1962, I, 216, con ampia nota di richiami, cui adde Trib. Firenze 21 novembre 1966, Giur. tose., 1967, 143, che ha ritenuto invece il debito per imposta complementare di registro non certo solo nella ipotesi che sia contestato in toto l'accertamento di maggior valore.

In dottrina si vedano anche: Serrano, Il debito verso le

pubbliche amministrazioni nella legge tributaria sulle successioni, in Dir. e pratica trib., 1966, I, 281; V. Ranieri, Brevi considera zioni in merito alla detrazione dell'imposta complementare di re

gistro dall'asse ereditario ai fini dell'imposta successoria, id., 1963, II, 209; Gagliardi, Sul concetto del debito certo d'imposta ai fini

Il debito per imposta complementare sul reddito, accertata

successivamente alla morte del de cuius per un reddito da

quello percepito in vita, è detraibile, ai fini dell'imposta sulle successioni, dall'attivo ereditario. (3)

Il Tribunale, ecc. — (Omissis). Questo tribunale deve decidere se sia detraibile quella parte di imposta di famiglia non ancora pagata quando morì il de cuius e successiva mente pagata dagli eredi, che, nella specie, erano anche con

giunti stretti e conviventi col de cuius.

Dispone l'art. 45 della legge fondamentale sull'imposta di successione che sono ammessi in deduzione i debiti verso le pubbliche amministrazioni certi al momento dell'apertura della successione. La Corte di cassazione, con sentenza n. 2768 del 20 novembre 1964 (Foro it., 1965, I, 241), ha escluso che il debito per imposta di famiglia sia da considerare pas sivo dell'eredità in quanto, a norma dell'art. 115 t. u. per la finanza locale, al pagamento di tale imposta sono obbli

gati in solido gli altri componenti del nucleo familiare, an

corché questi, prima della morte del de cuius, non fossero titolari di redditi propri. La questione è delicata ma pare a

questo tribunale che sia preferibile la opposta tesi.

Invero non può condividersi l'opinione per cui il debi tore d'imposta sarebbe la famiglia intesa nel suo complesso. La famiglia, per diritto italiano e per ogni forma di diritto

moderno, non è mai ritenuta soggetto autonomo di diritti

0 doveri a contenuto patrimoniale. La famiglia, in sé presa e nel suo complesso, non può essere né debitrice né credi

trice di alcunché.

Pertanto, dall'insieme delle norme contenute negli art.

Ili e seguenti del citato testo unico, da interpretarsi secondo

1 principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico,

può soltanto affermarsi che il debito per imposta di famiglia è obbligazione solidale che nasce a carico di ogni e ciascun

membro della famiglia: il pagamento da parte di uno di essi

estingue l'obbligazione anche degli altri, ed il creditore può chiedere il pagamento integrale a ciascuno dei condebitori.

Ciò indubbiamente significa che i congiunti del capo-famiglia sono personalmente obbligati a pagare l'imposta accertata

e posta a ruolo al nome di lui; debbono pagarla, quindi, ove egli muoia, non già perché eredi di lui, ma in quanto

congiunti, cioè appartenenti alla stessa famiglia; la dovreb

bero pagare anche se avessero rinunciato alla eredità.

Che è quanto dire che il relativo peso non viene a crearsi

a loro carico per la stessa vicenda successoria per cui ac

quistano l'attivo dell'eredità.

Ma questa considerazione non esclude che la medesima

obbligazione era indubbiamente a carico del de cuius, in

quanto obbligato solidale, e che quindi, alla morte di lui, resta un debito dell'eredità: ciò è tanto vero che, appunto nel caso di morte dell'intestatario del ruolo, il comune può chiedere il pagamento della imposta agli eredi di lui, anche

se non familiari o se familiari non conviventi, o proprio per ché eredi del debitore, non per altra ragione.

Ora, poiché, come si è detto, in forza dell'art. 45 della

legge sull'imposta di successione, sono da detrarsi i debiti

(del defunto) verso le pubbliche amministrazioni, e poiché il

debito dell'imposta di famiglia era un debito del defunto,

tale debito deve essere detratto.

Tale è la conseguenza logica che deriva dalla natura delle

obbligazioni solidali: che per la medesima obbligazione siano

debitori più persone non esclude che ciascuna di esse sia

debitrice per l'intero, perlomeno nei rapporti col creditore, nella specie appunto l'amministrazione pubblica.

Va quindi dichiarata l'illegittimità dell'ingiunzione op

posta, per le ragioni di merito, cioè perché non dovuta l'im

dell'applicazione dell'imposta sulle successioni, in Giust. civ., 1962, I, 233.

(3) In senso contrario, C. centrale 25 maggio 1962, n. 88793, Foro it., Rep. 1964, voce Tassa sulle successioni, n. 84. Nel senso che il debito d'imposta abbia 11 requisito della certezza quando siano certi ed incontrastati i presupposti, cioè quando siano note all'ufficio fonti di reddito in testa al de cuius anteriormente al

l'apertura della successione, si veda C. centrale 13 gennaio 1964, n. 4366, id., Rep. 1964, voce cit., n. 85, riportata anche in Riy. dir. fin., 1965, II, 256, con nota di G. A. Micheli,

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2643 PARTE PRIMA 2644

posta suppletiva in essa richiesta, senza che sia il caso di

soffermarsi sulle preliminari eccezioni di irritualità formale

di essa. (Omissis) Passando alla successiva vertenza, anche qui si tratta di

due problemi distinti. In ambo i casi si tratta di stabilire se

siano detraibili imposte a seguito di accertamento eseguito

dopo la morte del de cuius ma riferibili a fatti avvenuti prima della morte, ma nell'un caso l'imposta è complementare e ri

guarda il maggior valore di immobili compravenduti con

atto Teppati del 15 aprile 1956 (imposta dovuta e pagata lire 1.068.420), nell'altro caso si tratta di imposta complemen tare sul reddito (lire 7.792.038) relativa agli esercizi dal 1951

al 1958-59.

Sul primo punto già questo tribunale si è pronunciato, ade rendo alla tesi accolta dalla Suprema corte con la sentenza

n. 2536 del 2 novembre 1961 (Foro it., 1962, I, 216), sfavo revole al contribuente. Ma, approfondendo l'analisi del pro blema, ritiene il collegio di andare in contrario avviso, se

guendo in ciò l'opinione della prevalente e migliore dottrina, d'altronde condivisa anche dalla Commissione centrale delle

imposte con una decisione del 13 gennaio 1964 (id., Rep. 1964, voce Tassa sulle successioni, n. 85). Come si è già detto, per l'art. 45 della legge sulle imposte di successione « i debiti verso la pubblica amministrazione, certi al momento

dell'apertura della successione, sono ammessi in deduzione anche se liquidati posteriormente ». Si tratta quindi di sta bilire se possa considerarsi « certo » al momento dell'aper tura della successione il debito d'imposta di registro rela tivo ad atto già registrato prima della morte del de cuius

(e sul quale è già stata pagata l'imposta sul valore indicato

nell'atto), il cui ammontare sia stato concordato dopo la

morte.

Ritiene questo tribunale che l'aggettivo « certo », almeno nel senso usato nella citata disposizione di legge, sta a si

gnificare debito che già si sia costituito prima del momento della

morte, la cui esistenza, cioè, non dipenda da avvenimenti futuri ed incerti che possano sopravvenire dopo la morte. Certo è il debito che c'è già con certezza, prima che muoia il debitore. Ora, la certezza dell'esistenza di una obbliga zione è requisito che non dipende affatto dalla contesta

zione che di esso ne faccia l'obbligato o nella sua esistenza

o nel suo quantum. La contestazione produce altri effetti, che cioè sia necessario l'intervento di organi competenti per l'accertamento ma non rende meno certo il debito che poi si riconosce come in allora esistente. Nel caso dell'imposta di registro, il debito relativo, come dispone l'art. 91 del r. de creto 30 dicembre 1923 n. 3269, si costituisce al momento della registrazione. E tale debito non consiste già nel pa gare la cifra risultante dall'applicazione dell'aliquota sul valore denunciato, ma nell'importo risultante dal prodotto tra

aliquota e valore effettivamente convenuto del bene oggetto dell'atto registrato: ché infatti è addirittura prevista una pena pecuniaria a chi occulti, nella stipulazione dell'atto, una

parte del valore. Quando il valore denunciato è inferiore a quello reale, non può quindi dirsi che nasca soltanto l'ob

bligazione di pagare la minore imposta, ma soltanto che il

contribuente, attraverso la denuncia inferiore, cerca di sot trarsi alla sua obbligazione, cerca di far credere al suo cre

ditore, l'amministrazione finanziaria, che il suo debito è mi

nore di quanto sia in realtà. Le successive fasi, della notifi cazione che a norma dell'art. 33 l'amministrazione fa del va lore venale che essa reputa abbiano i beni oggetto dell'atto

registrato, del successivo ricorso del contribuente alle com

missioni, delle decisioni di queste, o del concordato tributario, non sono che procedimenti dettati a tutela sia dell'erario che del contribuente per assicurare che il valore definitivamente stabilito sia davvero quello reale e non inferiore o supe riore ad esso.

Attraverso tutte codeste fasi, cioè, si individua qual'era il debito di colui che registrò l'atto, qual'era nel momento

della sua registrazione, non si costituisce, invece, un debito

nuovo che prima non ci fosse.

Cosi come, nell'ipotesi di fatto lesivo produttivo di danni

ad altri, il debito di risarcimento sorge, pienamente ed in

tegralmente, per il fatto solo che il danno è stato arrecato:

la successiva fase, necessariamente lunga, che si impone per

accertare il quantum di esso, non influisce affatto sulla cer

tezza o no del debito di risarcimento: tanto che appunto si

usa, per identificare tale fase, il termine « liquidazione » che

non a caso ha usato il legislatore tributario, nel citato art.

45, in opposizione al termine «certezza».

Che di fatto, in quest'ultimo caso come in quello del

l'imposta di registro, nessuno ancora sappia, fino al mo

mento della determinazione concreta da parte dell'organo

competente o dell'accordo (negozio di accertamento), quanto sia l'ammontare del debito, è circostanza del tutto irrile

vante, che è effetto soltanto della limitatezza dei mezzi umani

di accertamento, per cui in caso di contestazione occorre

tempo per individuare tutti i fattori componenti un fatto pur

già avvenuto e realizzatosi proprio in tutti i suoi fattori.

Ciò che rileva è soltanto che, sia pure attraverso una inda

gine a posteriori, viene stabilito con certezza che proprio

quel fatto, con quelle conseguenze giuridicamente rilevanti, si era verificato in un determinato momento: stabilito ciò, si può dire che il fatto era « certo » in quel determinato mo

mento.

La tesi qui sostenuta pare poi confermata dalle stesse

disposizioni positive della legge tributaria. All'art. 7 del r.

decreto 30 dicembre 1923 n. 3269 si qualificano come com

plementari le tasse che al momento della liquidazione della

tassa principale non poterono essere liquidate integralmente

per mancanza od insufficienza degli elementi occorrenti per la liquidazione. Nella norma dunque non solo si mette in

evidenza come la tardività nella richiesta del pagamento è

dovuta soltanto alla difficoltà, nel caso singolo, di accertare

con esattezza quanto era il valore e quindi la imposta do

vuta; ma anche si usa, per individuare quest'operazione, il

termine « liquidazione », che, come si è detto, è usato nel

l'art. 45 della legge sulle imposte di successione per indi

care quell'operazione che può ben succedere alla morte del de

cuius senza per questo ostare alla detrazione del debito da li

quidare. Dal rapporto di queste due norme, pertanto, e do

vendosi ritenere che il legislatore abbia usato lo stesso ter

mine con lo stesso significato, già risulta che è considerato

certo il debito da imposta complementare di registro anche

se questa fu determinata, nel suo importo, successivamente alla morte del de cuius. Inoltre, in base alla legge 26 gen naio 1961 n. 29, come autenticamente interpretata dalla suc

cessiva 28 marzo 1962 n. 147, « gli interessi moratori do

vuti sulle somme da corrispondersi all'erario per i tributi

indiretti sugli affari di natura complementare, che non po terono essere liquidati integralmente al momento della li

quidazione principale per mancanza od insufficienza degli elementi occorrenti per la liquidazione, decorrono dallo stesso

giorno in cui, per essere sorto il rapporto tributario, è do

vuto il tributo principale». Statuizione legislativa, quest'ultima, che nitidamente con

ferma: a) il rapporto tributario, nella sua interezza, nasce

al momento in cui viene pagato il tributo inizialmente li

quidato; b) la procedura che porta ad un'imposta comple mentare di registro è procedura di liquidazione; c) il debito

relativo all'imposta complementare si ritiene esistere al mo

mento della registrazione, tanto che da quel giorno decor

rono gli interessi, qualificati, per di più, come « moratori »

e non già compensativi. Deve pertanto essere affermato che il debito risultante da

una imposta complementare di registro, liquidata successi

vamente alla morte del de cuius, a seguito di accertamento

concordato dopo tale morte, purché l'atto sia stato registrato

prima della morte del de cuius è debito « certo », anche se

non liquidato, ai sensi dell'art. 45 della legge sulle imposte di successione. Va accolta perciò la relativa domanda del

l'attrice.

Per gli stessi, od almeno analoghi motivi, va a'ccolta an

che la domanda relativa alla detrazione dell'imposta com

plementare sul reddito, accertata successivamente alla morte

del de cuius, ma per reddito percepito da quest'ultimo, nel

tempo della sua vita. Infatti, anche per questa seconda que

stione, può dirsi che certo era il debito al momento in cui

si verificarono i presupposti perché sorgesse il diritto del

l'amministrazione finanziaria a pretendere il tributo, nella

percentuale da liquidarsi sull'effettivo reddito; cioè nel mo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

mento in cui fu percepito il reddito, o almeno quando il Rossi dichiarò di avere percepito un reddito superiore al mi nimo imponibile. Non rileva se, come pare, prima della morte del sig. Rossi, ancora non fosse stato notificato l'av viso di accertamento, perché tale atto non è che l'inizio, l'atto introduttivo del procedimento diretto alla liquidazione, liquidazione che, come più volte ripetuto, non osta alla de

traibilità del debito poi liquidato. Il c. d. accertamento, in

fatti, non fa diventare certo un debito che prima non lo

fosse, ma semplicemente è affermazione, riconoscimento, di

una certezza che già esisteva. Non occorre, qui, prendere po sizione circa la vexata quaestio della natura della pretesa tributaria tra il momento in cui si verifica il fatto economico

cui la legge ricollega l'obbligo di pagare l'imposta ed il mo

mento in cui l'imposta viene richiesta. In effetti, anche la stessa dottrina che sostiene non esistere un obbligo at

tuale del contribuente fino al momento della richiesta di

pagamento, non contesta che almeno già esista, subito, un

diritto potestativo dell'erario a costituire l'obbligazione; ed

in particolare, ammette poi che, proprio ai fini delle de

trazione ex art. 45 legge sull'imposta di successione, debba

ritenersi debito certo al momento della morte anche quel

l'obbligazione che pur ancora non era attuale in quel mo

mento ma certamente si sarebbe costituita in seguito per l'esercizio da parte dell'erario del diritto potestativo (diritto

dovere, badisi) di esigere il tributo. In sostanza, infatti, se

più che alla lettera si deve badare alla ratio della norma, il

legislatore, attraverso la disposizione più volte citata, ha

voluto ammettere alla detrazione quei debiti verso la pub blica amministrazione che, senz'alcun dubbio, fossero debiti

dell'eredità, cioè debiti personali dell defunto. E, logicamente, si è limitato a richiedere la certezza sostanziale di tale requisito, senza imporre speciali e rigide formalità probatorie: ché, infatti, non aveva ragione di preoccuparsi di detrazioni fittizie, per ac

cordi con pretesi creditori, dato che il creditore era lo Stato od almeno amministrazioni pubbliche. Si è richiesto, cioè,

soltanto, che il debito si riferisse, con certezza, ad atti o

fatti che fossero da attribuire al contribuente defunto; in

particolare, per quanto riguarda le imposte, che esse fossero

dovute dal defunto che avrebbero dovuto essere pagate da

lui, e non da altri, se il contribuente avesse continuato a

vivere. Ora, nel caso di specie, non vi è alcun dubbio. Se

il Rossi fosse vissuto, le imposte ora liquidate sarebbero state

solo da lui dovute, proprio perché riguardano attività eco

nomica da lui compiuta, redditi da lui percepiti; morto il

Rossi, tali imposte sono dovute dai suoi eredi in quanto tali,

gli attuali attori non le avrebbero dovute pagare se avessero rinunciato all'eredità. Pertanto l'ammontare dell'imposta poi liquidata a seguito dell'accertamento deve ritenersi an

ch'essa debito certo al momento della morte del de cuius,

anch'esso, quindi debito detraibile. Cosi risolte le tre controversie che hanno dato luogo ai

due giudizi riuniti, risultando in toto soccombente l'ammi

nistrazione, questa va condannata al rimborso delle spese sostenute da parte attrice per il giudizio unico risultante dalla riunione.

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI ASCOSA

Sentenza 30 giugno 1967; Pres. Miconi P., Est. Interlenghi; Consorzio agr. prov. Ascoli Piceno (Aw. Tasini, Franchi) c. Finanze.

Registro — Decadenza dai benefici fiscali — Diritto della

finanza al recupero delle imposte ordinarie — Prescrizione

triennale (R. d. 30 dicembre 1923 n. 3269, legge del re

gistro, art. 136; cod. civ., art. 2946; legge 2 luglio 1949

n. 408, disposizioni per l'incremento delle costruzioni edi

lizie) .

Anteriormente all'entrata in vigore delle leggi 2 febbraio 1960

n. 35 e 6 ottobre 1962 n. 1493, il diritto dell'amministra

zione finanziaria al recupero delle imposte ordinarie do

vute per decadenza dai benefici fiscali previsti dalla leg

ge 2 luglio 1949 n. 408, si prescriveva nel termine di tre

anni dalla data di ultimazione dei lavori, ai sensi del

l'art. 136 legge organica di registro. (1)

Il Tribunale, ecc. — Non sembra al tribunale che il

primo motivo di opposizione possa dirsi fondato. Dato, in

fatti, il rigorismo formale cui è ispirata la legislazione spe ciale in subiecta materia (legge 14 aprile 1910 n. 639) e

poiché, cosa questa ammessa dallo stesso opponente, l'in

giunzione fiscale è al tempo stesso e titolo esecutivo e pre

cetto, consegue che l'ufficio del registro di Ascoli Piceno, ove avesse voluto notificare un nuovo atto di precetto per il

pagamento della stessa imposta, non aveva altra alternativa

che quella di notificare una nuova ingiunzione. Né vale poi

osservare, come si fa dal consorzio agrario, che quest'ul tima, non essendosi quella del 2 ottobre 1964 perenta come

precetto (in quanto il termine di 90 giorni era rimasto so

speso, a norma dell'art. 481, capov., cod. proc. civ. a seguito della proposta opposizione), oltre a tutto era inutile; giac

ché, la inutilità di un atto, non è sinonimo di illegittimità dello stesso. Né, infine, la pretesa illegittimità della seconda

ingiunzione può ravvisarsi nel fatto che l'ufficio, così agendo, si è costituito due distinti titoli esecutivi per la stessa pre tesa fiscale. Può, infatti, innanzi tutto rilevarsi che da sif

fatta situazione il consorzio agrario non corre alcun pericolo di dover pagare due volte la stessa imposta, dal momento

che la nuova ingiunzione indica chiaramente, attraverso la

enunciazione dell'atto tassato e dell'articolo di campione

iscritto, che il credito azionato è quello stesso che ha for

mato oggetto della prima ingiunzione. Non senza aggiun

gere, infine, che in materia di imposte indirette, come è

ormai consolidata giurisprudenza della Suprema corte (cfr.

da ultimo sent. n. 478 del 1965, Foro it., Rep. 1965, voce

Tasse in genere, n. 386) ben può aversi il concorso delle due

azioni (quella dinanzi alla commissione tributaria e quella davanti al giudice ordinario), in quanto, essendo esse del

tutto autonome, possono coesistere, sino a quando non si

sia formato il giudicato nel processo davanti all'autorità

(1) La questione è vivamente controversa. Si può dire che, in materia, siano state adottate tutte le

soluzioni possibili: a) applicabilità della prescrizione decennale ordinaria ai

sensi dell'art. 2946 cod. civ.: Cass. 11 luglio 1966, n. 1826, 10 no

vembre 1966, n. 2749, C. centrale 27 novembre 1964, n. 15666, Foro it., Rep. 1966, voce Registro, nn. 684-686; App. Genova

29 novembre 1963, id., Rep. 1964, voce cit., n. 635;

b) applicabilità dell'art. 136 legge di registro, con decor

renza dal momento in cui il diritto può esser fatto valere (riven dita dell'area, scadenza del biennio utile, ultimazione dei lavori,

ecc.): C. centrale 15 novembre 1965, n. 24281, 7 febbraio 1963, n. 95197, id., Rep. 1966, voce cit., nn. 691, 693; 18 febbraio 1963, n. 95671, App. Torino 1° dicembre 1962, id., Rep. 1963, voce cit., nn. 723, 726; in dottrina, Rastello, Prescrizione dei tributi ordi

nari per rivendita delle aree anteriormente alla costruzione, in

Dir. e pratica trib., 1964, II, 507; c) applicabilità dell'art. 136 legge di registro, ma con de

correnza dalla data di registrazione dell'atto agevolato: Trib. To rino 27 dicembre 1963, Foro it., Rep. 1964, voce cit., nn. 465-470;

d) applicabilità retroattiva del termine settennale previsto dalla legge 6 ottobre 1962 n. 1493: Trib. Firenze 9 marzo 1964,

ibid., n. 464; e) applicabilità del termine triennale previsto dall'art. 137

legge di registro, con decorrenza dall'atto di rivendita: App. Fi

renze 23 febbraio 1966, id., Rep. 1966, voce cit., n. 687; /) applicabilità del termine ventennale stabilito dall'art. 138

legge di registro: Rosapane, Incremento edilizio - Legge 2 luglio 1949 n. 408 e successive disposizioni - Prescrizioni del diritto della

finanza per richiedere il pagamento delle imposte ordinarie, in

Riv. fise., 1960, 4.

g) non manca infine chi ritiene non corretto il sistema di

tassazione praticato dagli uffici finanziari, dovendosi invece so

spendere ogni imposizione fiscale fino alla data di ultimazione dei

lavori: in questo momento, a seconda dei casi, dovrebbero essere concessi i benefici fiscali o applicate le imposte ordinarie; cosi

Cosentini, Agevolazioni fiscali della legge Tupini, sistema di

tassazione e prescrizione dell'azione della finanza per il ricupero delle imposte ordinarie di registro ed ipotecarie, in Mon. trib., 1966, 241,

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