sentenza 11 luglio 1984; Giud. Ciocchetti; Albano (Avv. Formontici) c. Soc. Assicurazionigenerali (Avv. Bongioanni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 919/920-923/924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177468 .
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PARTE PRIMA
sionaria o di agenzia per affari di natura finanziaria e ... all'uopo
potrà promuovere o procacciare finanziamenti di qualsiasi natura
ed entità... Inoltre la società potrà finanziare privati, società ed
enti diversi, mediante concessione di prestiti, sovvenzioni, antici
pazioni, sconti, ecc... » (art. 4). Ove quindi si consideri che alla denominazione « Interbank »
non si accompagna alcuna circostanza tale da far escludere con
certezza che trattisi di società avente ad oggetto attività del tutto
corrispondenti a quella creditizia, ma che, anzi, trattasi esatta
mente di società la quale offre i propri servizi al pubblico in
tema di finanziamenti e di concessioni di credito, ovvero in una
delle materie di competenza delle banche, non appare dubitabile
che sussista il pericolo di confusione, tale cioè da indurre in
errore i terzi circa la natura « bancaria » dell'attività svolta dalla
ricorrente.
L'opposizione, pertanto, va respinta, mentre deve essere inte
gralmente confermata l'impugnata ordinanza-ingiunzione. (Omissis)
PRETURA DI TORINO; sentenza 11 luglio 1984; Giud.
Ciocchetti; Albano (Aw. Formontici) c. Soc. Assicurazioni
generali (Aw. Bongioanni).
PRETURA DI TORINO;
Lavoro (rapporto) — Parità di trattamento tra lavoratori di sesso
diverso — Direttiva comunitaria — Efficacia diretta — Li
cenziamento — Principio di parità — Applicabilità (L. 9 di
cembre 1977 n. 903, parità di trattamento tra uomini e donne
in materia di lavoro, art. 4; direttiva 9 febbraio 1976 n. 207 CEE
del consiglio, relativa all'attuazione del principio della parità di
trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'ac
cesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale
e le condizioni di lavoro, art. 1, 5).
Il principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso
diverso, per quanto riguarda le condizioni inerenti al licen
ziamento, stabilito da norma — direttamente efficace anche nei
rapporti tra privati — della direttiva CEE del consiglio n.
76/207 (art. 5), si applica, nonostante le disposizioni contrarie
della legge nazionale, anche all'età stabilita per il collocamento
a riposo. (1)
(1) Merita di essere segnalata l'attenzione di alcuni pretori del lavo
ro di Torino (oltre quella in epigrafe, cfr. sent. 29 ottobre 1984, in
questo fascicolo, I, 912, ed ivi riferimenti ulteriori) per il problema, inerente alla efficacia diretta della normativa comunitaria, problema che i giudici non potranno ulteriormente trascurare, specie dopo che
Corte cost. n. 170/84 (Foro it., 1984, I, 2062, con nota di A.
Tizzano, La Corte costituzionale e il diritto comunitario: ventanni
dopo... ) ne ha stabilito il potere-dovere di applicare immediatamente
la normazione (comunitaria) compiuta e direttamente applicabile, nonostante le eventuali statuizioni configgenti della legge nazionale
(anche) successiva (conforme alla sent. 170/84, cfr. Corte cost. 22 feb
braio 1985, n. 47, in questo fascicolo, I, 933, con nota di richiami). In senso conforme alla sentenza in epigrafe, Corte giust. 16 febbraio
1982, causa 19/81 (Foro it., 1983, IV, 8, con nota di richiami) ricono
sce, sia pure implicitamente, l'efficacia diretta « orizzontale » dello stes
so art. 5 della direttiva CEE del consiglio n. 76/207 (cfr. M. De Luc\, Discriminazioni fondate sul sesso in materia di lavoro e sistema
sanzionatorio: linee di tendenza e prospettive della giurisprudenza
comunitaria, nota a Corte giust. 10 aprile 1984, cause n. 79/83 e n.
14/83, id., 1985, IV, 59), propone l'ampio significato di cessazione del
rapporto di lavoro per la espressione licenziamento, cui la norma
comunitaria citata riferisce il principio di parità di trattamento tra
lavoratori di sesso diverso, e, inoltre, sottolinea la differenza concet
tuale tra tale nozione e quella, contigua ma diversa, di pensionamento
(cui ritiene applicabile la direttiva CEE del consiglio 19 dicembre 1978
n. 79/7, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di
trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale,
per la cui abrogazione, da parte degli Stati membri, è scaduto soltanto
nel dicembre 1984 il termine all'uopo fissato dalla stessa direttiva). In senso contrailo, quanto alla efficacia diretta della direttiva n.
76/207 ed alla prevalenza sul diritto interno, vedi Pret. Genova 4
giugno 1984, id., 1984, II, 523, con osservazioni, implicitamente critiche, di M. De Luca.
In generale, sulla efficacia diretta (anche) orizzontale, cioè sulla
idoneità a creare diritti soggettivi (anche) nei rapporti interprivati, delle direttive comunitarie, vedi De Luca, Discriminazioni, ecc., cit.
Il problema della efficacia diretta della direttiva n. 76/207 non
risulta invece affrontato, perché estraneo al thema decidendum, da
Corte giust. 26 ottobre 1983, causa 163/82 (id., 1984, IV, 119, con
nota di M. De Luca, La parità di trattamento tra lavoratori di sesso
diverso nell'ordinamento italiano: prime riflessioni su una sentenza
Il Foro Italiano — 1985.
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in cancel
leria il 20 dicembre 1983, Albano Clorinda, premesso : 1) di
essere nata il 7 aprile 1925 e di essere attualmente alle dipenden ze delle Assicurazioni generali; 2) che con lett. 17 dicembre 1979
(cioè quattro mesi prima di compiere i 55 anni di età) aveva chiesto al datore « di poter rimanere in servizio oltre il limite dei
55 anni », con ciò esercitando l'opzione di cui all'art. 4 1.9
dicembre 1977 n. 903; 3) che le Assic. generali, dopo aver preso atto di ciò (lett. 17 gennaio 1980), con successiva del 1° dicembre
1983 le avevano comunicato che il rapporto doveva intendersi risolto al 30 giugno 1984, per superato limite di età; 4) che
peraltro, avendo esercitato tempestiva opzione, aveva diritto alla conservazione del posto sino al compimento del 60° anno e cioè al 7 aprile 1985; 5) che inoltre, trovandosi nella condizione
ipotizzata al 3° comma dell'art. 6 d.l. 22 dicembre 1981 n. 791
(convert, nella 1. 26 febbraio 1982 n. 54), aveva diritto al mantenimento in servizio sino al 65° anno di età, senza necessità alcuna di comunicazione dell'opzione; 6) che comunque tale opzio ne veniva ora comunicata alla controparte e doveva ritenersi
tempestiva sia rispetto alla data di compimento del 60° anno sia
rispetto a quella di operatività dell'intimato licenziamento; ciò
premesso, conveniva in giudizio, davanti al pretore, sez. lavoro, le Assicurazioni generali. Concludeva come in epigrafe.
La parte evocata in giudizio si costituiva con memoria deposi tata il 9 febbraio 1984 ed osservava: 1) che la lett. 17 dicembre
1979 della ricorrente non poteva essere intesa come opzione ex
art. 4 1. 903/77, giacché avente ad oggetto richiesta di manteni
mento in servizio oltre il 55° anno di età, all'esclusivo fine di « poter raggiungere il minimo pensionistico stabilito dall'I.n.p.s. »;
2) che, conformemente sia al suo tenore sia al disposto di cui
all'art. 11, 1° comma, 1. 15 luglio 1966 n. 604, la lavoratrice diveniva licenziabile ad nutum con il 31 gennaio 1984, data di
completamento dei 15 anni di contribuzione; 3) che l'effetto sub
2) poteva essere paralizzato solo da una valida opzione; 4) che
quella contenuta nel ricorso (datato 19 dicembre 1983) era
tardiva sia in rapporto al disposto dell'art. 4 1. 903/77 (scadenza: 31 ottobre 1983) sia a quello dell'art. 6 d.l. 791/81 (scadenza: 31
luglio 1983); 5) che conseguentemente l'impugnato licenziamento
doveva ritenersi del tutto legittimo, giacché operante per data
successiva a quella di stabilità nel posto di lavoro. Concludeva come in epigrafe. (Omissis)
Motivi della decisione. — 1. - Direttiva CEE n. 76/207 ed ordinamento interno. - Si presenta fondamentale, nell'attuale
giudizio, l'indagine volta a stabilire — nel quadro dell'attività di ricerca del diritto applicabile alla fattispecie se la direttiva del
consiglio della CEE 9 febbraio 1976 n. 76/207 abbia, sul piano interno, diretta efficacia e, conseguentemente, se le eventuali contrarie disposizioni contenute nella legge italiana vadano di
sapplicate o rimosse. La direttiva in questione, che trae fondamento dagli art. 117 e
118 del trattato del 25 marzo 1957 istitutivo della CEE, laddove sanciscono la « parificazione » delle « condizioni di lavoro » della mano d'opera (cfr. l'implicito richiamo contenuto nel preambolo alla medesima), afferma infatti:
Art. 1: « 1. Scopo della presente direttiva è l'attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda (...) le condizioni di lavoro... ».
Art. 5: « 1. L'applicazione del principio della parità di tratta mento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le
condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discrimi nazioni fondate sul sesso. 2. A tal fine, gli Stati membri prendo no le misure necessarie affinché: a) siano soppresse le disposizio
« assolutoria » della Corte comunitaria, che ha escluso le inadempien ze, contestate alla repubblica italiana, di obblighi comunitari imposti agli Stati membri dalla menzionata direttiva.
Sull'art. 6 dj. 791/81, cosi come convertito, con modificazioni, in 1. 54/82, che consente ai lavoratori che non abbiano raggiunto l'età contributiva massima di optare, sei mesi prima del raggiungimento dell'età pensionabile, per la prosecuzione dell'attività fino al consegui mento di tale requisito e comunque non oltre il compimento del 65° anno di età, sempre che non richiedano o non abbiano ottenuto la liquidazione di una pensione, cfr., per un quadro dei contrasti manifestatisi tra gli interpreti, la nota di L. Di Lalla, Sull'opzione a continuare l'attività lavorativa dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, a Trib. Parma 18 febbraio 1984, Pret. Cosenza 29 novembre 1983, Pret. Parma 5 luglio 1983, Pret. Reggio Emilia 9 febbraio 1983, in questo fascicolo, 1, 874, spec. § li, sulla compatibilità o meno di tale disciplina con quella prevista dall'art. 4 1. n. 903/77, che consente alla lavoratrice di restare in servizio fino al 60° anno di età.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento ».
Essa si pone pertanto io diretto ed insanabile contrasto con il
combinato disposto degli art. 9 1. 6 luglio 1939 n. 1272 (come modi
ficato dall'art. 2 1. 4 aprile 1952 n. 218) e 11 1. 15 luglio 1966 n. 604,
a tenore dei quali la sfera di operatività della legislazione vincoli
stica sui licenziamenti rimane circoscritta al periodo antecedente
al perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia e cioè al
conseguimento di 15 anni di contribuzione e al compimento del
55° anno di età (se donna) o del 60° anno di età (se uomo).
Né tale contrasto può poi dirsi superato a seguito dell'entrata
in vigore: a) dell'art. 4 1. 9 dicembre 1977 n. 903; b) dell'art. 6
d.l. 22 dicembre 1981 n. 791 conv. nella 1. 26 febbraio 1982 n. 54,
i quali hanno escluso l'operatività dell'art. 11 1. 604/66 rispetti vamente: a') neii confronti delle lavoratrici che abbiano comunica
to l'opzione al mantenimento in servizio almeno tre mesi prima
del perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia; b') ned
confronti dei lavoratori o delle lavoratrici che abbiano comunica
to al datore l'opzione almeno sei mesi prima del conseguimento
del diritto a pensione. In ambo i casi, infatti, la lavoratrice è
posta in una situazione deteriore rispetto al lavoratore, giacché:
a") non gode di un diritto incondizionato al mantenimento in
servizio sino al 60° anno di età; b") pur godendo di un diritto,
condizionato, al mantenimento in servizio fino al 65° anno, deve
però esercitare l'opzione sei mesi prima di compiere i 55 anni
(anziché 60) ovvero, se matura i 15 anni di contribuzione dopo il
55° anno (anziché dopo il 60°), sei mesi prima di tale data.
Detto questo, si tratta ora di verificare come possa essere posto
rimedio all'accennato contrasto tra le fonti normative.
2. - L'orientamento della Corte di giustizia europea. - Secondo
la Corte di giustizia del Lussemburgo « il trasferimento effettuato
dagli Stati a favore dell'ordinamento giuridico comunitario (...)
implica una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani, di
fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile col
sistema della Comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia » (cosi
sent. 15 luglio 1964, Costa c. E.n.el., causa n. 6/64, Foro it., 1964,
IV, 137; 5 febbraio 1963, Van Gend en Loos c. Amm. olandese
imposte, causa n. 26/62, id., 1963, IV, 449).
La corte ha poi ripetutamente precisato che tale situazione si
verifica non solo a fronte di regolamento emanato ex art. 189, 2°
comma, del trattato CEE anche in tutti i casi in cui la direttiva
comunitaria (la quale, per principio contenuto nell'art. 189, 3°
comma, dovrebbe vincolare solo gli Stati, dando luogo a mera
obbligazione di « risultato », libera quanto alla « forma » e ai
« mezzi ») presenti « efficacia immediata » nei confronti degli
individui (sent. 4 dicembre 1974, Van Duyn c. Home Office,
causa n. 41/74, id., 1974, IV, 88); ovverossia in favore del
privato: a) sancisca un obbligo di non-fare (sent. 1° febbraio
1977, V.N.O. c. I.I.A., causa n. 51/76, id., 1977, IV, 311; 19
gennaio 1982, Ursula Becker, causa n. 8/81, id., 1983, IV, 132;
10 giugno 1982, Grendel, causa n. 255/81, ibid.); b) ribadisca un
obbligo previsto dai trattati (sent. 17 dicembre 1970, SACE c.
Min. finanze, causa n. 33/70, id., 1971, IV, 97; c) contenga
comunque prescrizioni dettagliate, che escludono ogni discreziona
lità degli Stati quanto alla loro attuazione (sent. 41/74 cit.; 26
febbraio 1975, Bonsignore, causa n. 67/74, id., 1975, IV, 141;
causa Ratti, n. 148/78, id., 1979, IV, 277). In tali casi infatti, al idi là dell'aspetto formale dell'atto
normativo che le contiene, ci si trova in presenza di disposizioni
analoghe — sotto il profilo degli effetti — a quelle regolamentari. Pertanto incombe ai giudici nazionali di dare attuazione e
tutela ai diritti soggettivi creati da tali tipi di direttive, a
preferenza di qualsiasi contraria norma di diritto interno (sent. 7
luglio 1976, Watson, causa n. 118/75, id., 1976, IV, 361; causa
148/78, cit.; 9 marzo 1978, Amm. finanze c. Simmenthal s.p.a., causa n. 106/77, id., 1978, IV, 201).
3. - L'orientamento dei giudici italiani. - La chiara posizione
espressa dalla corte del Lussemburgo ha finora trovato in Italia
scarso accoglimento (sono peraltro da segnalare: Trib. Brescia 22
luglio 1972, Dir. comunitario, 1972, 294; G.I. pen. Torino, 11
giugno 1977 (decr. archiv.), in Rass. dir. farmaceutico, 1977, 861;
Pret. Prato 31 maggio 1978, Dir. comunitario, 1978, 861; Pret.
Torino 20 gennaio 1984, Foro it., 1984, I, 2640); la giurispruden za di legittimità, dopo aver risolutamente negato l'efficacia diretta
di ogni disposizione comunitaria (sent. 22 luglio 1976, n. 863) ha
di recente imboccato strada contraria: cfr. sent. 14 dicembre
1979, n. 6523 (id., 1980, I, 642) e 9 novembre 1983, n. 6630 (id.,
1984, I, 76); e ciò in quanto ha notevolmente e negativamente
pesato sui giudici la sistemazione fornita dalla Corte costituziona
le al tema di rapporti tra fonti normative comunitarie e diritto
11 Foro Italiano — 1985 — Parte I- 59.
interno e cioè, in definitiva, la svalutazione che essa ha operato del principio di superiorità del diritto sovranazionale.
Dopo una prima sentenza (n. 14 del 24 febbraio 1964, id., 1964, I, 465) in cui aveva equiparato, quanto a efficacia, le norme del trattato CEE a quelle di legge ordinaria, la corte è pervenuta, nel corso del decennio successivo (cfr. sent. 27 dicembre 1973, n.
183, id., 1974, I, 314; 30 ottobre 1975, n. 232, id., 1975, I, 2661; 29 dicembre 1977, n. 163, id., 1978, I, 1), a riconoscere, in linea di principio, il diretto effetto interno delle norme comunitarie e
l'obbligo dello Stato italiano di uniformarvisi. Senonché, attraverso una singolarissima lettura dell'art. 11 Cost., ha poi sancito che
l'incompatibilità tra le due fonti dà luogo ad indiretta violazione del cit. art. (conoscibile ex art. 134 Cost, solo dal giudice delle
leggi) e, pertanto, che non si pone neppure il problema della
disapplicazione della fonte interna incompatibile, ad opera del
giudice ordinario. In tal modo però — per riprendere le parole della corte del Lussemburgo — essa ha « complicato notevolmente il procedimento », in sostanza decapitando il diritto comunitario della conclamata precettività immediata.
Tale posizione risulta poi, sul piano dell'ordinamento interno, totalmente priva di giustificazione, considerato che la riserva ex art. 134 Cost, copre solo una parte dei possibili conflitti inter normativi verificabili nel sistema; e precisamente solo quelli che
coinvolgono questioni di conformità degli atti di legislazione con i parametri costituzionali ovvero, in caso di reale e non apparen te interposizione di altra norma (ad es. legge-delega), problemi di conformità dell'atto di legislazione con il parametro costituzionale che impone a questo l'osservanza della norma interposta.
Da questa ultima ipotesi va invece tenuto distinto — contra riamente a quanto affermato dalla Corte costituzionale con le sentenza degli anni '73-'77 (giunge peraltro notizia, all'atto della stesura della presente, di un recentissimo ripensamento della corte, da tempo atteso) — il caso in cui si tratti semplicemente di comparare fonte inferiore (legge) a fonte superiore di rango non costituzionale (trattato o altro atto normativo internazionale), al fine di stabilire l'uniformità della prima alla seconda.
Un conflitto emergente in tale ambito va infatti risolto in'vk
interpretativa, utilizzando e combinando il principio logico di non contraddizione con quello di superiorità del diritto internazio nale (pacta sunt servanda); talché non risulta necessario alcun intervento del giudice delle leggi, per liberare quello ordinario della vis obligandi delle norme ordinarie dedotte in causa (in termini cfr. Conseil constitutionnel francese, dee. 15 gennaio 1975, id., Rep. 1975, voce Corte costituzionale, n. 20).
4. - Conclusione. - La direttiva comunitaria n. 76/207, nella
parte in cui esclude che siano ammissibili « discriminazioni fon date sul sesso » in materia di « condizioni inerenti al licenziamen to » garantendo anzi sul punto parità di trattamento, presenta indiscutibilmente i tratti delineati dalla corte del Lussemburgo per essere ritenuta direttamente operativa nell'ambito degli Stati ade renti alla CEE e idonea a creare diritti soggettivi tutelabili erga omnes.
Essa pertanto prevale sulla contraria legge italiana, laddove
questa, vulnerando il principio di parità uomo-donna, sancisce la licenziabilità ad nutum delle lavoratrici prima del 60° anno di età e attribuisce loro: a) un diritto al mantenimento in servizio lino a tale data, condizionato all'esercizio e alla comunicazione al datore dell'opzione (art. 4 1. 903/77); b) un diritto al manteni mento in servizio fino al 65° anno di età, bensì condizionato all'esercizio dell'opzione, ma con opzione da comunicarsi dal datore sei mesi prima del compimento del 55° anno ovvero della
posteriore data di perfezionamento del diritto a pensione (art. 6 1. 26 febbraio 1982 n. 54).
Né ad una diversa conclusione può pervenirsi — come ritenuto da parte convenuta nella memoria autorizzata — in base a
quanto statuito dalla Corte di giustizia con sent. 16 febbraio 1981
(Burton c. Britìsch Railways Board, causa n. 19/81, id., 1983, IV, 8), atteso che tale pronuncia concerne esclusivamente la diversa mate ria della previdenza sociale e, entro tale ambito (cfr. punto 2 del
dispositivo), il divario, ritenuto non in contrasto con la direttiva
79/7, tra lavoratori e lavoratrici in ordine all'età pensionabile mini
ma, non invece la possibilità (trascendente tale direttiva) di ancora re a tale parametro la caducazione del regime vincolistico dei
licenziamenti, con esiti temporalmente differenziati.
Del tutto irrilevante sarebbe infine il fatto che la ricorrente non abbia domandato al giudice di poter beneficiare del miglior trattamento scaturente dalla direttiva 76/207 (richiamata solo da
parte convenuta, sia pure per ritenerla inapplicabile alla fattispe cie). La questione infatti involge attività di ricerca del diritto
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PARTE PRIMA
applicabile, esplicabili d'ufficio, essendo del resto assicurata ex
art. 112 c.p.c. la corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Alla luce di quanto precede va quindi affermato che nessuna
opzione la lavoratrice doveva esercitare, al fine di essere mante
nuta in servizio fino al 60° anno, essendo questo invece suo
diritto incondizionato.
Avendo poi esercitato, con il ricorso, l'opzione ex art. 6 1.
54/82 nel termine di sei mesi antecedenti il compimento del 60°
anno (7 aprile 1985), ha ora diritto alla stabilità nel posto fino al
65° anno di età.
Ritenuta con ciò assorbita ogni altra questione proposta da
parte ricorrente, il licenziamento intimatole deve pertanto essere
dichiarato illegittimo. (Omissis)
PRETURA DI BARI; sentenza 8 giugno 1984; Giud. Buquic
chio; Ritorno (Avv. Morollo) c. Coronelli (Avv. Lombardi).
PRETURA DI BARI;
Locazione — Legge 392/78 — Contratto stipulato per uso pro miscuo — Destinazione ad uso abitativo — Disciplina appli cabile (L. 27 luglio 1978 n. 392 disciplina delle locazioni di
immobili urbani, art. 80).
Qualora l'immobile, locato per uso promiscuo, sia stato adibito
sin dall'inizio ad esclusivo uso abitativo, il conduttore è tenuto
a corrispondere il solo equo canone. (1)
Motivi della decisione. — La causa presenta in via preliminare il non lieve problema di verificare quale sia la disciplina applica bile ad un contratto di locazione stipulato per uso congiunto di
ufficio ed abitazione, nel quale poi l'immobile venga concretamente
adibito soltanto al secondo uso: come è dato di riscontrare
sovente nella pratica negoziale. Nel caso ricorre evidentemente l'ipotesi di un contratto misto,
cioè di una locazione avente ad oggetto un unico bene destinato ad usi diversi, ciascuno dei quali comporta una distinta regola mentazione giuridica: ipotesi che non trova espressa previsione
(1) Non constano precedenti negli esatti termini (v., comunque, nel senso di ravvisare un'ipotesi di mutamento di destinazione nel passag gio da un uso promiscuo — studio medico più abitazione — ad uno esclusivo, Cass. 22 dicembre 1983, n. 7554, Foro it., 1984, I, 2547, con nota di richiami). In margine ai contratti promiscui, ferma la direttiva secondo cui va applicata la disciplina corrispondente all'uso prevalente, si discute se a tale soluzione si debba approdare con ricorso analogico all'art. 80 1. 392/78 (Pret. Legnano 14 luglio 1982, id., Rep. 1982, voce Locazione, n. 941; Pret. Bassano del Grappa 9 febbraio 1980, ibid., n. 137; Pret. Ariano Irpino 7 febbraio 1980, id., Rep. 1981, voce cit, n. 941) o in forza dei principi generali (Calogero, In tema di destinazione promiscua dell'immobile locato, in Giur. it., 1980, I, 2, 719); e si propende a ritenere che la prevalenza dell'uso debba farsi discendere da criteri spaziali, temporali o di interesse del conduttore. Diverso avviso esprime Trib. Piacenza 15 gennaio 1982 (Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 848), a cui dire va sempre privilegiato l'uso abitativo, e Pret. Como 14 ottobre 1980 (id., Rep. 1981, voce cit., n.
127), che si direbbe far leva sulla comune volontà delle parti. E
proprio questo sembrerebbe essere il punto di partenza del Pretore di Bari: per invocare il mutamento (parziale) di destinazione (e la
conseguente applicabilità diretta dell'art. 80), occorre un parametro originario, rispetto al quale registrare la variazione; e, nemmeno a
dirlo, verrebbe fatto di cercarlo nella determinazione convenzionale.
Senonché, la motivazione mette in chiaro che il contratto non
specificava « alcuna prevalenza dell'uno o dell'altro uso »; e che, del
resto, gli indizi, desumibili dalla durata di sei anni e di un canone
libero, devono cedere alla rilevazione dell'effettività dell'uso (nella specie, abitativo).
C'è quanto basta per concludere che, sotto le mentite spoglie del mutamento di destinazione (rese, in punto di fatto, indifferenti dall'inu tile decorso dell'anno entro cui il locatore può chiedere la risoluzione), transita il vero problema della determinazione del regime cui sottopor re, ab origine, il rapporto. Sotto questo profilo perde di mordente
l'avallo implicitamente accordato all'idea che il regime corrispondente all'uso effettivo si applichi a far tempo dalla intervenuta modificazione
dell'uso (cosi, ad es., Villani, in Equo canone, Padova, 1980, sub art.
80, 782). Contro questa soluzione, punitiva per il locatore, si esprime
Bompiani (in Giust. civ., 1979, IV, 225), ad avviso del quale il
diverso regime dovrebbe trovare ingresso solo a partire dalla scadenza
del termine concesso al locatore per chiedere la risoluzione del contrat
to.
Sull'ambito di applicazione dell'art. 80 1. n. 392/78 v., da ultimo,
Cass. 7 marzo 1984, n. 1598, Foro it., 1984, I, 2546, con nota di
richiami.
Il Foro Italiano — 1985.
normativa, in quanto la 1. 27 luglio 1978 n. 392 non disciplina il
caso che un immobile locato sia destinato contemporaneamente a
più di uno degli usi che trovano ciascuno una disciplina tipica nella stessa legge.
Certo, se il contratto prevede che una parte dell'immobile sia
adibito ad uso abitativo e un'altra parte ad uso diverso, e
l'appartamento sia obiettivamente divisibile, potrà applicarsi al
rapporto locativo un doppio regime, in corrispondenza delle
diverse parti dell'immobile, in quanto in tal caso il contratto
di locazione è unico soltanto formalmente, ma in effetti si è in
presenza di due negozi distinti ed autonomi.
Se invece il contratto non prevede quale parte dell'immobile
sia destinata all'uno o all'altro uso, o se l'appartamento non è
divisibile, non sembra possibile applicare al rapporto che un
unico regime giuridico. Chi si domandi quale debba essere quest'unica disciplina, deve ri
cordare che la giurisprudenza, già sotto l'impero della vecchia
legislazione vincolistica, aveva ritenuto che, nel caso di uso
promiscuo dell'immobile, occorreva far capo, per individuarne il
regime giuridico, al criterio dell'uso prevalente (Cass. 5 agosto
1964, n. 2224, Foro it., Rep. 1964, voce Locazione, n. 228; 4
gennaio 1977, n. 19, id., Rep. 1977, voce cit., n. 107; 3 aprile 1980, n. 2205, id., Rep. 1980, voce cit., n. 251). Ed ha ribadito
tale orientamento dopo l'avvento della 1. 392/78, trovando
riscontro di tale criterio dell'uso prevalente nella disposizione dell'art. 80 della detta legge, che, in relazione all'ipotesi di
destinazione dell'immobile locato ad uso diverso da quello pattui to, fatta salva la facoltà del locatore di chiedere la risoluzione
del contratto entro il termine all'uopo fissato, dichiara applicabile il regime giuridico relativo al nuovo uso effettivo dell'immobile e
nel caso di mutamento parziale — che comporta in concreto più usi — quello corrispondente all'uso prevalente (Cass. 22 dicembre
1983, n. 7554, id., 1984, I, 2547; 13 marzo 1982, n. 1663, id.,
Rep. 1982, voce cit., n. 240; 3 luglio 1982, n. 3985, ibid., n. 840). Anche la dottrina ritiene che il valore normativo dell'ultima
parte del predetto art. 80 vada oltre l'ipotesi espressamente considerata e trovi applicazione anche al caso più generale che le
parti abbiano previsto un uso promiscuo dell'immobile.
Si ritiene generalmente, insomma, che il principio dell'uso
prevalente dell'art. 80, ult. comma, sia espressione di un criterio
generale e debba trovare applicazione pur quando la destinazione ad uso promiscuo sia già iniziale e consentita dalle parti.
A tali risultati può aderirsi, in quanto tra le due ipotesi sopramenzionate (uso promiscuo convenuto in contratto ed uso
promiscuo realizzato unilateralmente dal conduttore) corre l'ea dem ratio che giustifica Veadern dispositio.
Invero, la disposizione dell'art. 80 appare chiaramente ispirata alla finalità di evitare che i locatori siano indotti a simulare con tratti di locazione ad uso non abitativo, al fine di giovarsi del più favorevole regime previsto per tali rapporti, al fine quindi di evitare facili elusioni delle norme cogenti poste dalla legge dell'equo canone a tutela dei conduttori; ed a tal'uopo la
predetta disposizione attribuisce al locatario la possibilità di adibire l'immobile all'uso effettivamente necessario, determinando
l'applicazione del regime corrispondente, malgrado ogni diversa
pattuizione. E se pure la norma attribuisce al locatore il potere di reagire al mutamento di destinazione, chiedendo la risoluzione del contratto, la brevità dei termini concessigli per esercitare la relativa azione finisce per vanificare sostanzialmente tale possibili tà e vieppiù conferma come la norma tenda a tutelare gli interessi del conduttore abitativo contro le speculazioni dei pro prietari di immobili urbani.
Questa ragione di tutela del conduttore ricorre pure nel caso di
contratto misto, non essendovi motivo per un trattamento diffe renziato tra il caso in cui le parti convengono un unico uso ed il
conduttore adibisca l'immobile ad un uso totalmente o parzial mente diverso da quello pattuito (si pensi all'esempio classico dell'immobile locato ad uso ufficio, che venga adibito soltanto ad
abitazione ovvero anche ad abitazione) e quello in cui le parti
stipulino un uso misto ed il conduttore destini l'immobile ad uno
solo dei più usi (per esempio, adibendo solo ad uso abitativo un
appartamento locato ad uso di ufficio e di abitazione). Altrimenti
bisognerebbe ammettere che sarebbe sufficiente stipulare un con
tratto misto con indicazione generica di prevalenza dell'uso non
abitativo su quello abitativo per eludere la normativa cogente di
contenimento del canone prevista dagli art. 12 e 24 1. n. 392/78
per gli immobili urbani adibiti ad uso di abitazione.
Non vi sono quindi ragioni perché il principio dell'uso preva
lente, sancito dall'art. 80, non debba andar applicato pure al caso
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