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Sentenza 12 aprile 1960; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Nissim (Avv. Lacovara) c. Impresa...

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Page 1: Sentenza 12 aprile 1960; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Nissim (Avv. Lacovara) c. Impresa Battaglia (Avv. Cremonesi)

Sentenza 12 aprile 1960; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Nissim (Avv. Lacovara) c. ImpresaBattaglia (Avv. Cremonesi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 7 (1960), pp. 1221/1222-1225/1226Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151847 .

Accessed: 25/06/2014 01:19

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1221 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1222

concorsuale in atto, la soluzione del quesito giuridico non

potrebbe essere diversa. È noto che l'art. 912 del cessato cod. comm. prescriveva

la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento

mediante la sua affissione alla porta esterna del tribunale e in altri luoghi ove la sentenza stessa avrebbe potuto avere

notevole diffusione, oltre la inserzione per estratto nel

giornale degli annunzi giudiziari dei luoghi suddetti e, facol

tativamente, in altri giornali. Alla dubbia efficacia di tali adempimenti si volle ovviare

con la nuova legge, imponendo la comunicazione della sen

tenza per estratto a norma dell'art. 136 cod. proc. civ. (e cioè mediante biglietto di cancelleria consegnato dal can

celliere al destinatario, o rimesso per posta in piego racco

mandato, oppure a mezzo di ufficiale giudiziario) al debi

tore, al creditore richiedente ed al curatore non più tardi

del giorno successivo alla data della sentenza stessa. Altri

adempimenti coevi sono : 1) l'affissione di altro estratto alla

porta esterna del tribunale ; 2) la comunicazione al pubblico ministero, all'ufficio del registro delle imprese e alla cancel

leria del tribunale nella cui giurisdizione il debitore è nato

o la società fu costituita ; 3) la pubblicazione per estratto

della sentenza nel Foglio degli annunzi legali della pro vincia.

Contro questi mezzi di diffusione (sui quali sostanzial

mente si basa la motivazione del primo Giudice) vengono dirette le censure dell'appellante, che riecheggiano le obie

zioni mosse in dottrina all'impugnata sentenza.

Si sostiene infatti che nessuno dei mezzi suddetti è

idoneo ad assicurare una elevata probabilità di conoscenza

del provvedimento all'interessato, e quindi di consentirgli una ragionevole probabilità di difesa, con la conseguente violazione sostanziale della più volta richiamata norma della

Costituzione.

Si potrebbe aderire alla tesi dell'appellante per quanto concerne l'affissione alla porta esterna del tribunale e la

pubblicazione sul Foglio degli annunzi legali della pro

vincia, giacché, sebbene sia dubbio che tali mezzi, nella

loro incompiutezza, conducano direttamente ad una ille

gittimità costituzionale, si deve nondimeno riconoscere che

essi sono ben lontani dall'effettuare quella conoscenza del

provvedimento, che è necessaria per proporre una tem

pestiva opposizione. Senonchè un più diligente esame della norma fa risal

tare che i due adempimenti sopra descritti non sono diretti

a portare a conoscenza dell'interessato il provvedimento, ma a dare ad esso una notevole pubblicità affinchè possa venire appreso da coloro che, oltre il debitore, hanno inte

resse all'opposizione e che non essendo noti all'ufficio, non

potrebbero altrimenti essere informati.

Viene imposta anche la comunicazione diretta a vari

uffici per i provvedimenti di loro competenza.

L'adempimento più importante però, agli effetti della

eccezione sollevata dall'appellante, consiste nella comuni

cazione della sentenza dichiarativa di fallimento, per

estratto, al debitore, a norma dell'art. 136 cod. proc. civile.

Si sostiene anche l'inefficacia della comunicazione stessa, in quanto la sua esecuzione non possiede le garanzie della

notificazione e sussiste la possibilità, che non venga effet

tuata per irreperibilità del destinatario, senza che la legge

preveda la sostituzione di quest'ultimo almeno col difen

sore dell'ufficio, come nel processo penale. Tali argomentazioni, per quanto suggestive, non possono

incontrare il favore della Corte.

La comunicazione eseguita nelle forme suindicate pre senta le stesse garanzie della notificazione, potendo avve

nire in tre modi, i quali tutti offrono la sicurezza che il

provvedimento sia portato a conoscenza del debitore, e

cioè con la consegna del cancelliere al destinatario che ne

rilascia ricevuta, o per posta in piego raccomandato oppure,

infine, a mezzo di ufficiale giudiziario.

Quanto poi all'ipotesi della irreperibilità del debitore,

l'argomento giunge all'estrema ed inaccettabile conse

guenza di Volere addebitare al legislatore una negligenza

della parte.

Nessuno, e specialmente un imprenditore o persona

investita dal mandato di amministrare un'impresa, può essere negligente al punto di assentarsi per lungo periodo dal proprio domicilio, residenza o dimora, senza lasciare

tracce di sè, col pericolo d'impedire importanti comunica

zioni dalle quali può dipendere la vita economica propria o quella dell'impresa che amministra ; e se lo fa, non si

può certamente affermare clie tale evento, sommamente

dannoso, sia da ascriversi ad imperfezione o deficienza

legislativa. Meno ancora si può sostenere clie il suddetto inconve

niente si potrebbe ovviare con l'istituzione di un difensore

d'ufficio, anzitutto perchè questi non potrebbe reperire il

debitore, ed in secondo luogo perchè, in sua assenza, non

potrebbe agire, non essendo investito di mandato e non

essendo sicuro se il debitore intenda o meno proporre op

posizione. Sostanzialmente dunque, considerata la questione sotto

il duplice profilo si deve pervenire alla necessaria conclu

sione che il legislatore, con gli art. 17 e 18 legge fall, ha

posto il debitore in condizioni di poter proporre opposi zione nel termine di quindici giorni a decorrere dall'affis

sione della sentenza.

Pertanto l'eccezione d'illegittimità costituzionale solle.

vata dall'appellante si presenta manifestamente infondata, e la decisione del primo Giudice merita piena conferma

con la condanna dell'appellante a rimborsare all'appel lato le spese di questo giudizio.

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI MILANO.

Sentenza 12 aprile 1960; Pres. Benedicenti P., Est. Della

Valle ; Nissim (Avv. Lacovara) c. Impresa Battaglia

(Avv. Cremonesi).

Società — Società in accomandita semplice — Tras

formazione in società per azioni — Fallimento —

ltesponsahilit à dell'accomandatario per i pre esistenti debiti sociali (Cod. civ., art. 2499, 2304).

Trasformatasi un'accomandita semplice in società per azioni

il socio accomandatario resta responsabile per i debiti

sociali preesistenti alla trasformazione, se non prova il

consenso del creditore alla trasformazione, e non può invo

care il beneficio di escussione qualora la società sia nel

frattempo fallita. (1)

La Corte, ecc. — Muovendo dal duplice rilievo che la

illimitata responsabilità personale del Nissim quale socio

accomandatario della S.a.i.t.a. era rimasta del tutto integra ed impregiudicata, non essendo risultato in alcun modo che

la creditrice Ditta Battaglia avesse esplicitamente o taci

tamente prestato il proprio consenso alla trasformazione

della società debitrice da «accomandita semplice» a «so

cietà per azioni », e che d'altra parte a seguito del falli

mento della S.a.i.t.a. era divenuta praticamente impossi bile quella « preventiva escussione del patrimonio sociale »

che l'art. 2304 cod. civ. fa obbligo al creditore sociale di

esperire, prima di agire nei confronti del socio illimitata

mente responsabile, i primi Giudici, dato atto che sull'am

montare del credito azionato non era sorta alcuna seria

contestazione, accolsero la domanda attrice e condannarono

il convenuto Nissim al pagamento della somma chiesta

dalla Impresa Battaglia con la sola detrazione di L. 54.093,

portata dall'annualità di interessi relativa al periodo, durante il quale era rimasta pendente la procedura di con

cordato preventivo promossa dalla S.a.i.t.a.

Di tale decisione si duole ora il Nissim, sostenendo con

(1) Non risultano precedenti specifici. Sul beneficio di escussione in caso di fallimento della società,

v. Ferri, La società in nome collettivo, in Commentario a cura

di A. Scialoja e G. Branda, 1955, pag. 330,

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1223 PARTE PRIMA 1224

un primo motivo l'applicabilità, nella specie, (lei 1° comma

dell'art. 2499 cod. civ. e denunciando, con un secondo mo

tivo, la violazione da parte della Impresa creditrice del

l'obbligo, impostole dall'art. 2304, di escutere preventiva mente il « patrimonio sociale ».

Nè l'uno nè l'altro motivo regge però ad un'attenta

critica. Quanto al primo, premesso che lo stesso appellante con l'ammettere di non essere assolutamente in grado di

provare di avere a suo tempo informato la creditrice Bat

taglia, a mezzo di lettera raccomandata, che la S.a.i.t.a.

aveva intenzione di trasformarsi in società per azioni, ba

tolto di mezzo la possibilità di parlare di « consenso pre sunto », occorrendo a tal fine che la delibera di trasfor

mazione sia stata portata a conoscenza dei creditori sociali

a mezzo di lettera raccomandata, e che costoro non abbiano

negato espressamente la loro adesione nei trenta giorni dalla data di spedizione della lettera (art. 2499, capov.), sembra infatti indubbio alla Corte che nulla autorizzi a

ritenere nella specie che alla trasformazione della S.a.i.t.a.

abbia a suo tempo consentito l'appellata Impresa Battaglia.

Adeguandosi al sistema normale che richiede il consenso

espresso del creditore al mutamento della garanzia patri moniale (art. 1273), l'art. 2499 stabilisce invero che, perchè

possa ritenersi liberato dalla responsabilità illimitata e

personale derivantegli dalla particolare posizione tenuta in

seno o rispetto all'ente societario, il socio deve provare che, col dare il proprio assenso alla trasformazione della società

da un tipo all'altro (quando, ben s'intende, siffatta tras

formazione importa, come nella ipotesi dell'art. 2498, una riduzione delle garanzie patrimoniali offerte ai credi

tori sociali, e non anche quando queste rimangono inal

terate o subiscono un aumento), il creditore sociale ha

inteso operare di fatto tale « liberazione », nel senso che ha

cioè rinunciato alla conservazione della garanzia sussidiaria

dei soci, una specie di fideiussione ex lege, privandosi della

possibilità di avvalersi della responsabilità di questi ultimi

per le obbligazioni anteriori all'iscrizione nel registro delle

impreso della delibera di trasformazione.

Ma la prova di tale consenso (che, per quel che si è

detto, corrisponde in sostanza, a quel tal « consenso alla

liberazione » di cui parla l'art. 2560 in tema di debiti del

l'azienda ceduta), deve risultare in modo sicuro e tran

quillante, non potendosi ricorrere al criterio della « pre sunzione » se non nell'unico caso tassativamente ipotizzato nel capoverso di cui si è fatto dianzi cenno. E ciò per il

principio generale secondo il quale le rinunzie non si pre sumono. tranne che a denunciare l'esistenza non intervenga una congruente manifestazione negoziale.

Tenta bensì l'appellante di sostenere che, col proseguire in appello nei confronti della Società per azioni S.a.i.t.a.

il giudizio di merito, già in primo grado promosso nei con

fronti dell'accomandita, la Impresa Battaglia avrebbe

dimostrato implicitamente di consentire alla trasforma zione. Ma il rilievo è privo di consistenza giuridica, non

potendosi seriamente equiparare all'assenso richiesto dalla

legge, e consistente, com'è intuitivo, in una manifestazione

di volontà inequivocamente diretta, non soltanto ad ade

rire al proposito espresso dai fautori della trasformazione

dell'ente sociale da un tipo all'altro, ma anche e soprattutto a rinunciare alla garanzia dei patrimoni dei singoli soci per le obbligazioni conservate a norma dell'art. 2498, 3° comma, un semplice atto imposto dalla inderogabile esigenza di

adeguare la propria condotta, ai soli fini processuali, ad

un nuovo stato di fatto, che non si è in alcun modo con

corso a determinare, nè nella fase per così dire programma tica, nè in quella esecutiva.

Infondato al pari del primo è poi l'altro motivo che

poggia sulla interpretazione dell'art. 2304. Opponendosi alla tesi dell'appellata, secondo la quale, indipendente mente dagli effetti prodotti dalla dichiarazione di falli mento della S.a(i.t.a., sulla possibilità pratica e giuridica di

escutere previamente il patrimonio sociale, avrebbe dovuto il Nissim, per potere invocare il beneficio dell'escussione, « indicare i beni sui quali essa creditrice avrebbe potuto age volmente soddisfarsi», l'appellante sostiene, da una parte, che l'indicazione dei beni voluta dall'art. 2268 è imposta

unicamente ai soci delle società semplici e non anche ;i

quelli delle collettive, ai quali sono equiparati i soci acco

mandatari dell'accomandita semplice (art. 2318 e 2304),

e, dall'altra, che l'intervenuto fallimento della S.a.i.t.a.

soc. per az., come non poteva essere d'impedimento alla

escussione ex art. 2304, così non poteva dispensare l'Im

presa creditrice dall'osservanza del precetto di legge.

Ora, che l'obbligo stabilito dall'art. 2268 a carico dei

soci delle società semplici non riguardi nè i soci delle col

lettive nè, conseguentemente, gli accomandatari dell'acco

mandita semplice può senz'altro ammettersi con l'appel lante Nissim, profondamente diversa essendo la ratio cui

sono informate le due distinte norme dell'art. 2268 e del

l'art. 2304. Nel primo caso, infatti, la possibilità data al socio

di chiedere la preventiva escussione del patrimonio sociale si

atteggia a mera facoltà, in quanto è intesa, nel sistema della

legge, come eccezionale limitazione del generico diritto

spettante al creditore sociale di aggredire direttamente il

patrimonio del socio, ond'è che si comprende perfettamente come e perchè si sia voluto prescrivere quel determinato

adempimento, volto ad evitare che il creditore possa essere

costretto a procedure complicate o infruttuose ; mentre nel

secondo caso la preventiva escussione del patrimonio sociale è un dovere del creditore, un fatto costitutivo del

l'azione nei confronti del socio o, per essere più precisi, una vera e propria condicio iuris necessaria per il sorgere dell'azione creditoria contro i soci a responsabilità illimitata.

Senza dire poi che la necessità d'indicare i beni su cui agire

deriva, nella società semplice, dalla mancanza di una qual siasi pubblicità legale, sia per ciò che riguarda il patrimonio

sociale, le sue modificazioni ed i suoi mutamenti, sia per quel che concerne le persone e la solvibilità dei soci : il che

non ricorre, invece, nella collettiva e nell'accomandita sem

plice, dove l'esistenza di un atto costitutivo, sottoposto al

l'obbligo della registrazione, fornisce a tutti i creditori le

più ampie e particolareggiate notizie, oltre che sull'oggetto

sociale, sui conferimenti dei singoli soci nonché sul valore

ad essi attribuito e sul modo di valutazione (art. 2295, 2296, 2315 e 2316).

La non necessità di tale indicazione non porta però tuttavia a ritenere accettabili, nella specie, le conclusioni

tratte dall'appellante Nissim dal mancato esperimento, da

parte dell'Impresa creditrice, della preventiva escussione

del patrimonio della S.a.i.t.a.

A parte, infatti, che l'insinuazione al passivo del falli

mento costituisce pur sempre una forma di « escussione », la sola consentita nel sistema della procedura concorsuale, dimentica il Nissim, nel formulare le sue conclusioni, che

il fallimento della società, col presupporre l'insolvenza di

questa (art. 5 legge fall.) e col togliere alla stessa la dispo nibilità dei suoi beni (art. 42), pone ai creditori il tassativo

divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali

(art. 51) : il che vuol dire che il titolo esecutivo contro la

società diventa immediatamente eseguibile nei confronti

del socio, se questi (come è appunto accaduto eccezional

mente nella fattispecie in oggetto, costituente un vero e

proprio caso limite assai raro a verificarsi) riesce ad evitare

di essere a sua volta dichiarato fallito in conseguenza della

dichiarazione di fallimento della società (art. 147 legge fall.). Non essendo mai stato liberato dalla responsabilità

illimitata, derivantegli dalla sua veste di socio accoman

tario, il Nissim deve quindi rispondere del debito contratto

dalla S.a.i.t.a. anteriormente alla iscrizione della delibera

di trasformazione nel registro delle imprese. E che tale

debito sia riferibile all'accomandita e non al nuovo ente

risultato dalla trasformazione risulta inequivocamente, contro i dubbi sollevati in proposito dall'appellante, dal

fatto che l'obbligazione, sorta nel lontano 1949, epoca del

conferimento dell'appalto, venne accertata dal Tribunale

in contraddittorio dello stesso Nissim, quale socio acco

mandatario, quando la S.a.i.t.a. era ancora una accomandita.

Che l'appellata abbia ottenuto l'ammissione del pro

prio credito nel Fallimento S.a.i.t.a. non può poi d'a'tra

parte importare che si debba attendere l'esito di quella

procedura per poter stabilire la somma di cui il Nissim

deve rispondere in proprio.

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1225 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1226

Si verrebbe, così ragionando, ad imporre una gravosa ed arbitraria limitazione al diritto del creditore sociale,

del tutto ingiustificata così sul piano logico come su quello

giuridico. La sola conseguenza di quella ammissione è che se la

procedura fallimentare dovesse essere esaurita prima che

il Nissim abbia soddisfatto il credito dell'Impresa Batta

glia, la somma eventualmente riscossa da quest'ultima dovrà essere accreditata al Nissim, che avrà il diritto, a

pagamento effettuato, di percepire la percentuale even

tualmente assegnata alla creditrice Battaglia. Sul quantum dovuto dal Nissim si dovrà, in accogli

mento dell'appello incidentale, aggiungere alla somma

liquidata dal Tribunale in lire 1.959.474 l'ulteriore importo di lire 54.093, che, escluso dalla sentenza impugnata in

quanto costituente l'annualità di interessi relativa a!

periodo in cui rimase pendente il procedimento di con

cordato preventivo promosso dalla S.a.i.t.a., non può ora

non essere posto a carico di chi, come il Nissim, è da rite

nersi personalmente tenuto a rispondere verso l'Impresa

Battaglia dell'intera obbligazione. Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI ROMA.

Decreto 15 marzo 1960 ; Pres. Pelici P., Est. Giordano, P. M. Rubino (conci, diff.) ; Soc. Gallinari.

Società — Società per azioni — Assemblea — (tap

presentanza di soci da parte dei sindaci —■ Liceità

(Cod. civ., art. 2732).

Le limitazioni, sancite nell'art. 2372 cod. civ., sulla rappre sentanza in assemblea dei soci delle società per azioni, non sono applicabili ai sindaci. (1)

II

TRIBUNALE DI ROMA.

Decreto 28 gennaio 1960 ; Pres. ed est. Jannaccone P. ; Soc. Gallinari.

Società — Società per azioni — Assemblea — Rap

presentanza di soci da parte dei sindaci — Illiceità

(Cod. civ., art. 2372).

Deve ritenersi esteso anche ai sindaci il divieto, sancito

dall'art. 2372 cod. civ. per gli amministratori e i dipen denti, di rappresentare i soci nell'assemblea delle società

per azioni. (2) I

La Corte, ecc. — Letto il reclamo, esaminati gli atti e i documenti, sentito il P. m., udito il Consigliere delegato ;

ritenuto che il provvedimento impugnato del Tribu

nale di Poma, che ha negato l'omologazione della delibera

zione 17 dicembre 1959 dell'assemblea straordinaria degli azionisti della Soc. Fratelli Gallinari, deliberazione risul

tante dal verbale ricevuto dal notaio dott. Enrico Castel

lini (rogito n. 11348), non possa essere confermato perchè la legge, contrariamente all'interpretazione accolta dal

(1-2) In senso conforme alla prima massima, v. Trib. Milano 16 marzo 1956, Foro it., 1957, I, 1348, con nota di richiami, cui adde Giuliani, in Riv. notariato, 1953, 61.

Nello stesso senso, Ascareixi, Rappresentanza assembleare dell'azionista da parte della stessa società o di una banca, in Banca, borsa, ecc., 1956, II, 254 ; Comproprietà delle azioni e art. 2372

e 2373 cod. civ., in Foro it., 1949, I, 516 ; Trimakchi, Invalidità delle deliberazioni di assemblea di società per azioni, Milano, 1958, pag. 121.

Tribunale, non vieta ai sindaci di rappresentare i soci

nell'assemblea, sancendo l'art. 2372, 2° comma, cod. civ.

il divieto per gli amministratori e i dipendenti della società di rappresentare i soci nell'assemblea della società per azioni e non pure per i sindaci. Nè può l'interprete appli care analogicamente la norma limitativa della regola ge nerale enunciata nel 1° comma del citato articolo a casi non previsti, perchè a ciò osta la disposizione sulla legge in generale, contenuta nell'art. 14 cod. civ., secondo cui le norme cbe fanno eccezione a regole generali non si appli cano oltre i casi in esse previsti. Il Tribunale ha ravvisato

implicito e quindi rientrante nei limiti della norma ecce

zionale il divieto per i sindaci di rappresentare i soci nel l'assemblea. Ma questo opinamento non può condividersi dalla Corte perchè ovviamente i sindaci non possono rite nersi compresi nè fra gli amministratori nè fra i dipendenti della società, ed è perciò indubbio che la formula legisla tiva non considera i sindaci. Il che sta a dimostrare che la estensione ai sindaci della detta norma è risultato di una

interpretazione analogica, non consentita, della norma stessa e non già di un'interpretazione lata o meramente estensiva della formula legislativa, ammissibile anche in

presenza di una norma che fa eccezione ad una regola generale. L'interpretazione logica conferma il risultato di

quella letterale, nel senso che non vi sono ragioni sufficienti

per includere nei limiti della norma derogativa anche la

figura del sindaco, perchè fuori dell'ambito del divieto, così come delimitato dalla norma, è applicabile la regola generale secondo cui i soci possono farsi rappresentare nell'assemblea da persona di loro fiducia. Non sussistendo

pertanto un difetto di legittimazione, che dovrebbe aver base nella legge, per il sindaco a ricevere dal socio il conferimento del potere di rappresentanza nell'assemblea, sono applicabili alla procura conferita al sindaco, per il

compimento della detta attività giuridica nel nome e

nell'interesse del rappresentante, le norme generali sulla

rappresentanza volontaria e quelle particolari sulla rap presentanza di un socio nell' assemblea (art. 2372, 1° com

ma). Salva l'ipotesi di conflitto di interessi, da accertarsi caso per caso, non può ritenersi a priori incompatibile con la posizione del sindaco quella di rappresentante di un socio nell'assemblea. Siffatta incompatibilità è stata ravvisata dal Tribunale in base alla considerazione che il sindaco non ha soltanto una funzione di controllo nell'inte resse dei soci, in quanto la funzione di controllo è attri buita dalla legge all'organo sindacale anche nell'interesse dei creditori sociali, i quali possono avere interessi anti tetici con quelli dei soci (arg. art. 2407 cod. civ., posto in relazione anche con gli art. 2394 e 2408). Senonchè la funzione di controllo sull'operato dell'organo ammini strativo della società esclude che possa applicarsi al sin daco il divieto di rappresentare il socio nell'assemblea, che la legge sancisce per l'amministratore, per la ragione che un divieto posto per un ufficio o organo soggetto a controllo non può puramente e semplicemente estendersi

all'organo che esercita il controllo stesso. La qualifica di

rappresentante di un socio nell'assemblea non è di per sè

incompatibile con la funzione di controllo esercitata dal

sindaco, poiché l'interesse del socio come tale non può a priori considerarsi in conflitto con l'interesse sociale e dei terzi creditori sociali ; dovendo essere il conflitto accertato caso per caso.

Nè giova invocare la responsabilità dei sindaci sancita dall'ultimo comma dell'art. 2407 che richiama l'art. 2394. La norma dell'art. 2407 rende responsabili i sindaci solidal mente con gli amministratori per i danni arrecati dai fatti o dalle omissioni di questi ultimi, quando i danni non si sarebbero prodotti se avessero vigilato, in conformità

degli obblighi della loro carica, sull'attività degli ammini stratori. Pertanto la responsabilità dei sindaci ha fonda mento nel fatto proprio costituito dal difetto di vigilanza sull'attività degli amministratori, e non può perciò porsi sullo stesso piano della responsabilità degli amministra tori. Si può convenire che il sindaco non possa rappren tare i soci in una deliberazione di assemblea avente per oggetto un'azione di responsabilità contro gli ammini

Il Poro Italiano — Volume LXXXII1 — Parie I

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