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sentenza 12 gennaio 2000, n. 5 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 gennaio 2000, n. 3);Pres. Vassalli, Est. Vari; Soc. Enichem (Avv. L. Spagnuolo Vigorita) c. Billi (Avv. Miscione);Mazzonetto c. Soc. Fervet; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Stipo). Ord. Trib.Ravenna 30 aprile 1998 e Pret. Vicenza 24 settembre 1998 (G.U., 1 a s.s., nn. 28 e 50 del 1998)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1493/1494-1499/1500Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196164 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Rep. 1999, voce cit., n. 1419; n. 322 del 1992, id., Rep. 1992, voce Riscossione delle imposte, n. 72; n. 108 del 1990, id.,
1990,1,3083). 5. - La limitazione probatoria stabilita dall'art. 7, 4° comma,
d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, non comporta poi — diversa
mente da quanto la Commissione tributaria provinciale di Chieti
mostra di ritenere nell'ordinanza del 22 gennaio 1999 — l'inu
tilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi
eventualmente raccolte dall'amministrazione nella fase proce dimentale.
Va infatti considerato che le dichiarazioni di cui si tratta —
rese al di fuori e prima del processo — sono essenzialmente di
verse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale e di
solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici
capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguen
temente, un particolare valore probatorio. La norma denunciata
non può perciò essere interpretata nel senso di ricomprendere nella sua previsione anche l'inammissibilità di tali dichiarazio
ni.
La possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell'amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del
contribuente, in un processo nel quale quest'ultimo non può av
valersi, per contestarne l'efficacia probatoria, della prova testi
moniale, non è d'altro canto in contrasto né con il principio di
eguaglianza né con il diritto di difesa del contribuente medesi
mo.
Il valore probatorio delle dichiarazioni raccolte dall'ammini
strazione finanziaria nella fase dell'accertamento è, infatti, so
lamente quello proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre
possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non
sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione.
Si tratta, dunque, di un'efficacia ben diversa da quella che deve
riconoscersi alla prova testimoniale e tale rilievo è sufficiente ad
escludere che l'ammissione di un mezzo di prova (le dichiara
zioni di terzi) e l'esclusione dell'altro (la prova testimoniale)
possa comportare la violazione del principio di «parità delle ar
mi».
Ciò non vuol dire, peraltro, che il contribuente non possa, nell'esercizio del proprio diritto di difesa, contestare la veridi
cità delle dichiarazioni di terzi raccolte dall'amministrazione
nella fase procedimentale. Allorché ciò avvenga, il giudice tri
butario — ove non ritenga che l'accertamento sia adeguata mente sorretto da altri mezzi di prova, anche a prescindere dun
que dalle dichiarazioni di terzi — potrà e dovrà far uso degli
ampi poteri inquisitori riconosciutigli dal 1° comma dell'art. 7
d.leg. n. 546 del 1992, rinnovando e, eventualmente, integrando — secondo le indicazioni delle parti e con garanzia d'imparzia lità — l'attività istruttoria svolta dall'ufficio. E non è dubbio
che, in presenza di una specifica richiesta di parte, le ragioni del
mancato esercizio di tale potere-dovere restino soggette al gene rale sindacato di congruità e sufficienza della motivazione pro
prio delle decisioni giurisdizionali. 6. - La questione di legittimità costituzionale degli art. 2 bis,
2° comma, e 3 d.l. 30 settembre 1994 n. 564 (disposizioni ur
genti in materia fiscale), convertito con modificazioni nella 1. 30
novembre 1994 n. 656, sollevata dalla Commissione tributaria
provinciale di Chieti in riferimento agli art. 3 e 27 Cost., è inve
ce inammissibile.
La commissione rimettente dubita infatti della legittimità co
stituzionale della norma nella parte in cui non prevede che la
causa ostativa del concordato di massa, rappresentata dalla rile
vanza penale, relativa a determinati reati, della condotta del
contribuente, venga meno in caso di successiva archiviazione
del procedimento penale ovvero di definizione dello stesso con
sentenza di proscioglimento o di assoluzione. Nell'ordinanza,
tuttavia, non vi è alcuna motivazione sulla rilevanza della que stione nel giudizio a quo ed anzi dalla comparsa di costituzione
della parte privata è agevole desumerne la sicura irrilevanza at
tuale, essendo ancora in corso il procedimento penale a suo
tempo promosso a carico dell'amministratore della società.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi:
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costitu
zionale degli art. 2 bis, 2° comma, e 3 d.l. 30 settembre 1994 n.
564 (disposizioni urgenti in materia fiscale), convertito, con
modificazioni, nella 1. 30 novembre 1994 n. 656, sollevata, in ri
ferimento agli art. 3 e 27 Cost., dalla Commissione tributaria
provinciale di Chieti con l'ordinanza in epigrafe;
Il Foro Italiano — 2001.
b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzio
nale dell'art. 7, 1° e 4° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546
(disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al
governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413), sol
levate, in riferimento agli art. 3, 24 e 53 Cost., dalla Commis
sione tributaria provinciale di Chieti e dalla Commissione tri
butaria provinciale di Torino con le ordinanze in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 12 gennaio 2000, n. 5 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 gennaio 2000, n. 3); Pres. Vassalli, Est. Vari; Soc. Enichem (Avv. L. Spagnuolo
Vigorita) c. Billi (Avv. Miscione); Mazzonetto c. Soc. Fer
vet; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Stipo). Ord.
Trib. Ravenna 30 aprile 1998 e Pret. Vicenza 24 settembre
1998 (G.U., la s.s., nn. 28 e 50 del 1998).
Previdenza e assistenza sociale — Esposizione ultradecen
nale all'amianto — Rivalutazione dei periodi assicurativi — Questioni infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 81; 1. 27 marzo 1992 n. 257, norme relative alla cessazione del
l'impiego dell'amianto, art. 13; d.l. 5 giugno 1993 n. 169, di sposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto, art.
1; 1. 4 agosto 1993 n. 271, conversione in legge, con modifi
cazioni, del d.l. 5 giugno 1993 n. 169).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
13, 8° comma, l. 27 marzo 1992 n. 257, come modificato dal
l'art. 1,1° comma, d.l. 5 giugno 1993 n. 169, convertito in
legge, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 1993 n. 271, nella
parte in cui attribuisce il beneficio della rivalutazione dei pe riodi assicurati dall'Inail, attraverso la moltiplicazione per il
coefficiente 1,5, da far valere ai fini delle prestazioni pensio
nistiche, a tutti i lavoratori che in detti periodi sono risultati
esposti all'amianto, con l'unico presupposto che l'esposizio ne abbia avuto durata ultradecennale e prescindendo dal
grado di esposizione al rischio, in riferimento agli art. 3 e 81
v Cost. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
13, 8° comma, l. 27 marzo 1992 n. 257, come modificato dal
l'art. 1, 1° comma, d.l. 5 giugno 1993 n. 169, convertito in
legge, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 1993 n. 271, nella
parte in cui attribuisce il beneficio della rivalutazione dei pe riodi assicurati dall'Inail, attraverso la moltiplicazione per il
coefficiente 1,5, da far valere ai fini delle prestazioni pensio nistiche, a tutti i lavoratori che in detti periodi sono risultati
esposti all'amianto, con l'unico presupposto che l'esposizio ne abbia avuto durata ultradecennale, non indicando un li
mite quantitativo o qualitativo dell'esposizione all'amianto,
in riferimento all'art. 3 Cost. (2)
(1-2) Delle ordinanze di rimessione, cfr. Trib. Ravenna 4 maggio 1998, Foro it., Rep. 1998, voce Infortuni sul lavoro, n. 237.
Hanno invece ritenuto manifestamente infondate le questioni di co
stituzionalità della norma, con riferimento agli art. 3, 41 e 81 Cost., Pret. Pistoia 31 dicembre 1998, id., Rep. 1999, voce Previdenza socia
le, n. 307, e 30 dicembre 1998, ibid., n. 309, che hanno sottolineato
come il requisito richiesto dall'art. 13, 8° comma, 1. 257/92 è unica
mente l'esposizione ultradecennale al rischio, senza alcuna specifica zione di limiti quantitativi e qualitativi ulteriori. In tal senso, v. anche
Pret. Firenze 13 gennaio 1999, ibid., n. 305, e Riv. critica dir. lav.,
1999, 730, con nota di Monaco. Mentre, per l'affermazione che l'espo sizione ultradecennale non deve necessariamente essere continuativa, v.
Trib. Milano 12 dicembre 1998, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 298.
Nel senso che il beneficio previsto dall'art. 13, 8° comma, 1. 257/92, non è applicabile ai lavoratori già pensionati al momento della sua en
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1495 PARTE PRIMA 1496
Diritto. — 1. - Le ordinanze in epigrafe dubitano della legit timità costituzionale dell'art. 13, 8° comma, 1. 27 marzo 1992 n. 257 (norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), come modificato dall'art. 1, 1° comma, d.l. 5 giugno 1993 n.
169 (disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'a
mianto), convertito, con modificazioni, nella 1. 4 agosto 1993 n.
271. La disposizione denunciata concede, ai «lavoratori che siano
stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni», il beneficio, da far valere «ai fini delle prestazioni pensionisti che», di una rivalutazione dei periodi assicurativi e ciò attraver
so il meccanismo della moltiplicazione, «per il coefficiente di
1,5», dell'«intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'espo sizione all'amianto, gestita dall'Inail».
1.1. - Il Tribunale di Ravenna (r.o. n. 501 del 1998), reputan do che «l'unica interpretazione tecnicamente corretta» del cen
surato art. 13, 8° comma, sia quella che «attribuisce il beneficio
a tutti i lavoratori dei quali sia stata provata una qualunque
esposizione ultradecennale all'amianto, a prescindere dal grado di essa», denuncia, anzitutto, il contrasto della disposizione in
parola con l'art 3 Cost., giacché, in assenza di «qualunque pa rametro predeterminato», di «specificazioni tecniche» e di
«standard di riferimento», la stessa risulterebbe applicabile, in
sede giudiziaria, in termini «tali da consentire uguali decisioni
per casi di diversa pericolosità o decisioni diverse per casi so
stanzialmente uguali». Ciò, peraltro, non senza rilevare la «po tenziale lesione del principio d'imparzialità» derivante dalla
circostanza che l'esecuzione della menzionata norma in sede
amministrativa è affidata «alla mera discrezionalità della pub blica amministrazione».
Inoltre, secondo il giudice a quo, il censurato art. 13, 8°
comma, pretermettendo ogni riferimento «a categorie di lavora
zioni» e «al tipo di contatto con le fibre», allarga «a dismisura la
possibile platea degli interessati»: sicché, proprio «a causa del
l'indeterminabilità» di tutti i potenziali destinatari del beneficio, verrebbe meno «la possibilità stessa di indicare la copertura fi
nanziaria della legge», con conseguente violazione anche del
l'art. 81, 4° comma, Cost.
1.2. - Dal suo canto, il Pretore di Vicenza (r.o. n. 873 del
1998), muovendo dall'«interpretazione letterale della disposi zione denunciata», reputa che sia sufficiente, per l'accesso al
beneficio della rivalutazione dei periodi assicurativi, «qualsiasi esposizione all'amianto», a prescindere da ogni «parametro di
potenziale rischio di malattia»; in tal modo, l'art. 13, 8° comma, «nella parte in cui non indicando un limite quantitativo o quali tativo dell'esposizione all'amianto consente l'applicazione del
predetto beneficio previdenziale ad una serie indeterminata di
destinatari», verrebbe a provocare — ad avviso del rimettente
— un possibile vulnus all'art. 3 Cost., a causa dell'irragionevole
equiparazione di «situazioni di fatto assolutamente non omoge nee» e cioè quelle «di possibile rischio da esposizione all'a
mianto» e quelle «di probabile o di sicuro rischio» di esposizio ne alla stessa sostanza morbigena, purché ultradecennale.
trata in vigore, v. Cass. 19 aprile 2001, n. 5764, id., Mass.; 10 agosto 2000, n. 10557, ibid., 997; 19 settembre 1998, n. 9407, id., Rep. 1999, voce cit., n. 475, e Riv. giur. lav., 1999, II, 165, con nota di Cocuzza; 28 luglio 1998, n. 7407, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 476; 7 luglio 1998, n. 6620, ibid., n. 477, e Dir. lav., 1999, II, 55, con nota di Casuc cio. In senso contrario, v. Trib. Pistoia 17 novembre 1998, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 299, e Pret. Napoli 20 febbraio 1997, id., Rep. 1998, voce Infortuni sul lavoro, n. 240.
Cass., sez. un., 1° aprile 1999, n. 207/SU, id., Rep. 1999, voce Pen sione, n. 40, ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario, e non della Corte dei conti, sulla controversia promossa dai dipendenti di azienda municipale per il riconoscimento del beneficio in discorso. Trib. Torino 16 agosto 1999, ibid., voce Previdenza sociale, n. 826, e Lavoro e prev. oggi, 1999, 2145, con nota di Casuccio, ha affermato la
giurisdizione del giudice del lavoro, in luogo della Corte dei conti, per le controversie aventi ad oggetto l'applicazione della norma citata pro mosse da soggetti il cui trattamento previdenziale sia gestito dal
l'Inpdap. Per ulteriori riferimenti, in tema di tutela assicurativa di malattia pro
fessionale non tabellata connessa a dispersione di fibre di amianto, v. Cass. 13 dicembre 1999, n. 13986, Foro it., 2000, I, 1210, con nota di richiami, e, sulla responsabilità penale derivante dall'esposizione al l'amianto, cfr. Cass. 5 ottobre 1999, Angele, e 2 luglio 1999, Gianni
trapani, ibid., II, 259, con nota di Guariniello, nonché Cass. 30 marzo
2000, Camposano, in questo fascicolo, II, 278, con nota di Guariniello.
Il Foro Italiano — 2001.
2.-1 giudizi, avendo ad oggetto la medesima disposizione, ri
spetto alla quale vengono formulate censure in parte analoghe o
comunque connesse, vanno riuniti per essere decisi con un'uni
ca sentenza.
3. - Preliminarmente deve essere rilevata la tardività della co
stituzione dell'Inps nel giudizio di cui all'ordinanza di rimes
sione del Tribunale di Ravenna (r.o. n. 501 del 1998, pubblicata in G.U., la s.s., n. 28 del 1998), effettuata con memoria deposi tata oltre il termine stabilito dagli art. 25, 2° comma, 1. n. 87 del
1953, e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale; onde l'inammissibilità della costituzione stessa.
4. - Ancora in via preliminare, va esaminata l'eccezione d'i
nammissibilità che l'Inail ha formulato avverso la questione
proposta dal menzionato tribunale, evidenziando, in particolare, che «tutti gli interessati risulterebbero ancora lavoratori dipen denti e quindi non in posizione tale da poter far valere diritti
pensionistici», con conseguente difetto di rilevanza della que stione nel processo pendente dinanzi al rimettente.
Tale eccezione non può essere accolta, essendo sufficiente
rilevare che — come emerge dall'ordinanza di rimessione — il
giudizio a quo ha per oggetto una domanda di accertamento del
diritto al beneficio previdenziale contemplato dalla denunciata
disposizione, il cui eventuale riconoscimento verrebbe ad inci
dere attualmente sulla posizione pensionistica degli interessati, in guisa di incremento della contribuzione utile ai fini di un fu
turo trattamento pensionistico. 5. - Occorre, infine, delibare, sempre preliminarmente, l'ecce
zione d'inammissibilità avanzata dall'intervenuto presidente del
consiglio dei ministri avverso l'ordinanza di rimessione del
Pretore di Vicenza (r.o. n. 873 del 1998), in ordine alla quale si
assume la carenza di congrua motivazione sulla rilevanza della
proposta questione, per non aver il giudice a quo verificato «se
la domanda dei ricorrenti fosse o meno coperta da giudicato che
stabiliva il loro diritto solo nei periodi in cui era stata superata la soglia minima determinata a norma del d.leg. n. 277 del
1991». Anche a prescindere dal fatto che la difesa erariale non chia
risce quale sia il giudicato che, nel pendente giudizio di primo
grado, ostacola l'eventuale riconoscimento del diritto vantato
dai ricorrenti, l'eccezione non può trovare, in ogni caso, acco
glimento, dovendosi a tal fine rilevare, in modo assorbente, che il giudice a quo
— alla stregua di quanto è dato evincere dalla
stessa ordinanza di rimessione — ha adeguatamente esplicitato i
fatti e le ragioni del contendere, che fanno leva sulla necessaria
applicazione della disposizione censurata, e ciò tramite una
plausibile motivazione che consente di apprezzare la sussistenza del requisito della pregiudizialità tra incidente di costituzionalità
e giudizio principale. 6. - Nel merito le questioni non sono fondate.
Onde valutarne compiutamente la portata, conviene muovere
dal contesto normativo in cui esse si collocano, e cioè dalla 1. 27
marzo 1992 n. 257, la quale, preceduta da una disciplina comu
nitaria, già da tempo consapevole della necessità di protezione contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto sul luogo di
lavoro (direttiva del consiglio n. 477 del 1983, modificata dalla direttiva n. 382 del 1991), ha dettato «norme relative alla cessa zione dell'impiego» di tale sostanza, esplicitando, tra le proprie finalità, quelle della dismissione dalla produzione e dal com mercio dell'amianto medesimo e dei relativi prodotti, nonché della decontaminazione e della bonifica (art. 1).
Il medesimo provvedimento legislativo ha individuato, altre
sì, i «valori limite» di concentrazione di fibre di amianto respi rabili nei luoghi di lavoro, rinviando a tal fine a quelli fissati
dall'art. 31 d.leg. 15 agosto 1991 n. 277, che ha provveduto essa
stessa a modificare tramite l'art. 3, 4° comma, a sua volta re
centemente sostituito dall'art. 16 1. 24 aprile 1998 n. 128.
Nella stessa 1. n. 257 del 1992 si rinvengono, inoltre, talune
«misure di sostegno per i lavoratori» (capo IV, art. 13), costi tuite da una diversificata gamma di benefici previdenziali, tra i
quali sono da rammentare, segnatamente, quelli: 1) dell'accesso, per i lavoratori occupati in imprese che uti
lizzano o estraggono amianto, impegnate in processi di ristruttu razione e riconversione produttiva, al pensionamento anticipato in costanza di determinati requisiti contributivi, beneficiando di una maggiorazione dell'anzianità assicurativa e contributiva (2° comma);
2) della rivalutazione, ai fini del conseguimento delle presta zioni pensionistiche da parte dei lavoratori delle miniere e cave
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di amianto, del numero di settimane coperto da contribuzione
obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa (6°
comma);
3) di analoga rivalutazione per il periodo di provata esposi zione all'amianto in favore dei lavoratori che abbiano contratto, a causa di detta esposizione, malattie professionali documentate
dall'Inail (7° comma);
4) della rivalutazione, altresì, dei periodi assicurativi in favo
re dei lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un perio do superiore a dieci anni (8° comma).
Proprio in riferimento a quest'ultimo beneficio va, peraltro,
segnalato che la norma che lo contemplava —
prevedendo che
«ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche i pe riodi di lavoro soggetti all'assicurazione obbligatoria contro le
malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto ge stita dall'Inail», quando superavano i dieci anni, fossero «molti
plicati per il coefficiente di 1,5» — aveva dato luogo ad incer
tezze interpretative in ordine all'entità delle agevolazioni accor
date dal legislatore; incertezze risolte attraverso una disposizio ne, contenuta nell'art. 1, 1° comma, d.l. 5 giugno 1993 n. 169, la quale, in sostituzione dell'8° comma dell'art. 13 1. 27 marzo
1992 n. 257, stabiliva che «per i lavoratori dipendenti dalle im
prese che estraggono amianto o utilizzano amianto come mate
ria prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a proce dure fallimentari o fallite o dismesse, che siano stati esposti al
l'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le ma
lattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, ge stita dall'Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensioni stiche, per il coefficiente 1,5».
In sede di conversione del predetto provvedimento d'urgenza, la 1. 4 agosto 1993 n. 271 ha soppresso la locuzione «dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto co
me materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse», così intendendo
soddisfare — secondo quanto si evince dai lavori preparatori —
l'esigenza di attribuire centralità, ai fini dell'applicazione del
beneficio previdenziale, all'assoggettamento dei lavoratori al
l'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali de
rivanti dall'amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione
che potesse derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività
produttiva del datore di lavoro.
Ne è derivata la disposizione oggetto del presente scrutinio di
costituzionalità, alla quale fa riscontro, sotto il profilo finanzia
rio (2° comma del già menzionato art. 1 d.l. n. 169 del 1993, nel
testo risultante dalle modifiche adottate in sede di conversione), uno specifico stanziamento di trentacinque miliardi di lire per il
1994 e di trentasette miliardi di lire per il 1995, aggiuntivo di
quello a suo tempo previsto dal 12° comma dell'originario art.
13 1. n. 257 del 1992 (sei miliardi di lire per il 1992, sessanta miliardi di lire per il 1993 e quarantaquattro miliardi di lire per il 1994).
7. - Così ricostruite le vicende legislative che sono alla base
della denunciata disposizione, va rilevato che i rimettenti muo
vono entrambi dall'assunto che il censurato art. 13, 8° comma, delinei una fattispecie legale attributiva di un beneficio previ denziale, la quale, concentrandosi sull'unico dato dell'esposi zione ultradecennale all'amianto, sarebbe di per sé insufficiente
per una congrua selezione degli aventi diritto. Donde il denun
ciato contrasto della disposizione stessa con l'art. 3 Cost.
Secondo il Tribunale di Ravenna, a causa dell'indeterminabi
lità di tutti i potenziali destinatari della norma, risulterebbe, al
tresì, violato l'art. 81, 4° comma, Cost., mancando «la possibi lità stessa di indicare la copertura finanziaria della legge».
8. - In relazione al primo degli accennati profili di censura, occorre rilevare che, trattandosi di stabilire se la disposizione sia tale da determinare la irragionevole equiparazione di situa
zioni non tutte meritevoli di eguale tutela, il giudizio richiesto
alla corte si incentra, così come altra volta rilevato (v., in parti
colare, sentenza n. 89 del 1996, Foro it., Rep. 1996, voce Corte
costituzionale, nn. 72, 73), sul «perché» una determinata disci
plina operi, all'interno del tessuto egualitario dell'ordinamento,
quella specifica equiparazione (oppure, a seconda dei casi,
quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite con
clusioni in punto di corretto uso del potere normativo. Solo nel
caso in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza
di causa o ragione della disciplina introdotta potrà dirsi realiz
zato un vizio di legittimità costituzionale della norma, proprio
Il Foro Italiano — 2001 — Parte I-28.
perché fondato sulla irragionevole omologazione di situazioni
diverse. Va da sé, al tempo stesso, che, non essendo consentito
al controllo di costituzionalità di travalicare in apprezzamenti che sconfinino nel merito delle opzioni legislative, non può ov
viamente venire in considerazione, agli effetti di un ipotetico contrasto con il canone dell'eguaglianza, qualsiasi incoerenza, disarmonia o contraddittorietà che una determinata previsione normativa possa, sotto alcuni profili o per talune conseguenze, lasciar trasparire.
9. - Ciò posto, è da escludere che la disposizione denunciata
si configuri, contrariamente a quanto ritengono i giudici a qui bus, in guisa tale da inibire, in virtù della latitudine del suo det
tato, ogni possibilità di sua ragionevole interpretazione ed ap
plicazione, sì da risultare portatrice di una ingiustificata omolo
gazione di situazioni tra loro diverse.
È da ritenere infatti che il censurato art. 13, 8° comma, possa trovare, attraverso la convergenza degli ordinari criteri erme
neutici (letterale, sistematico e teleologico), congrua definizione
nella sua portata, in vista della sua piana e puntuale applicazio ne.
Lo scopo della disposizione censurata, secondo quanto si
evince dall'accennata ricostruzione della relativa vicenda nor
mativa, va rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno dieci
anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante
di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità
morbigene. Il criterio dell'esposizione decennale costituisce un
dato di riferimento tutt'altro che indeterminato, specie se si con
sidera il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, 8°
comma, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro
le malattie professionali derivanti dall'amianto, gestita dall'I
nail. Nell'ambito di tale correlazione, il concetto di esposizione
ultradecennale, coniugando l'elemento temporale con quello di
attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previ denziale (art. 1 e 3 d.p.r. n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio
morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l'a
mianto è capace di generare per la sua presenza nell'ambiente di
lavoro; evenienza, questa, tanto pregiudizievole da indurre il le
gislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore mas
simo di concentrazione di amianto nell'ambiente lavorativo, che
segna la soglia limite del rischio di esposizione (d.leg. 15 agosto 1991 n. 277 e successive modifiche).
La disposizione denunciata poggia, quindi, su un sicuro fon
damento, rappresentato sia dal dato di riferimento temporale sia
da quella nozione di rischio che, come è noto, caratterizza il si
stema delle assicurazioni sociali.
Ne consegue che la norma censurata, esprimendo, nella sua
effettiva portata, un precetto adeguatamente definito negli ele
menti costitutivi della fattispecie che ne è oggetto e congrua mente correlato allo scopo che il legislatore si è prefisso, non
vulnera, in conclusione, il parametro dell'art. 3 Cost, evocato da
entrambi i rimettenti.
10. - Anche l'ulteriore doglianza, avanzata dal Tribunale di
Ravenna, facendo leva sulla pretesa violazione dell'art. 81, 4°
comma, Cost., non merita accoglimento. Una volta accertata l'infondatezza della prima censura esa
minata, non possono non cadere automaticamente anche le ulte
riori implicazioni che detto tribunale tende a trarne, sul piano della supposta indeterminabilità dei destinatari e della conse
guente impossibilità di stabilire l'entità degli oneri finanziari
connessi alla norma denunciata. E questo a tacer del fatto che la
censura di mancato rispetto dell'art. 81, 4° comma, Cost., si ri
chiama a dati privi di adeguato riscontro (in quanto desunti dalla
relazione ad un disegno di legge di gran lunga successivo all'e
poca di emanazione della disposizione censurata, il quale, a sua
volta, attinge ad ulteriori fonti). Si tratta perciò di elementi non
utili per quel giudizio di attendibilità che, in tema di copertura
degli oneri finanziari pluriennali, questa corte è chiamata qui a
svolgere (v., tra le altre, sentenze n. 25 del 1993, id., 1993, I,
1030, e n. 384 del 1991, id., 1991,1, 2960); giudizio in vista del quale, stando ai termini in cui la censura viene prospettata, si è
portati piuttosto a considerare, a smentita dell'assunto del ri
mettente, sia il fatto che non manca nella legge una specifica di
sposizione di copertura finanziaria delle spese derivanti dal de
nunciato art. 13, 8° comma, sia, infine, che la copertura stessa è
stata a suo tempo ritenuta adeguata anche dalla Corte dei conti,
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1499 PARTE PRIMA 1500
nell'esercizio della funzione di referto quadrimestrale al parla mento sulle leggi di spesa (v. delibera n. 6/REF/93 del 5 no
vembre 1993). Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di
chiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del
l'art. 13, 8° comma, 1. 27 marzo 1992 n. 257 (norme relative
alla cessazione dell'impiego dell'amianto), come modificato
dall'art. 1, 1° comma, d.l. 5 giugno 1993 n. 169 (disposizioni
urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con
modificazioni, nella 1. 4 agosto 1993 n. 271, sollevate, in riferi
mento agli art. 3 e 81, 4° comma, Cost., dal Tribunale di Ra
venna, e, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Vicenza, con le ordinanze indicate in epigrafe.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 30
marzo 2001, n. 4706; Pres. Pontorieri, Est. Mazziotti Dì
Celso, P.M. Golia (conci, conf.); Santoro (Avv. Sculco) c.
Rossi e altro. Conferma App. Genova 3 marzo 1998.
CORTE DI CASSAZIONE;
Comunione e condominio — Condominio negli edifìci —
Amministratore — Nomina e revoca giudiziaria —
Spese del procedimento — Rimborso — Esclusione —
Fattispe cie (Cost., art. Ill; cod. civ., art. 1105, 1129; disp. att. cod.
civ., art. 64; cod. proc. civ., art. 91).
Le spese del procedimento di volontaria giurisdizione relativo
alla nomina o alla revoca dell'amministratore di condominio
ex art. 1129 c.c. o, comunque, promosso ai sensi dell'art.
1105, 4° comma, c.c., non possono essere liquidate dal giudi ce adito ai sensi degli art. 91 ss. c.p.c., ma devono rimanere a
carico del soggetto che le abbia anticipate assumendo l'ini
ziativa giudiziaria o interloquendo nel procedimento, il quale non può chiederne il rimborso neppure in separato giudizio (la Suprema corte, confermando la sentenza impugnata, ne ha
corretto la motivazione ai sensi dell'art. 384, 2° comma,
c.p.c., nella parte in cui aveva ritenuto che l'omessa pronun zia sulle spese potesse essere fatta valere mediante ricorso
per cassazione, ex art. Ill Cost., avverso il provvedimento di
nomina o di revoca dell'amministratore). (1)
(1-3) Entrambe le pronunzie si fondano sulla natura di volontaria
giurisdizione (e, quindi, non contenziosa in senso tecnico) del procedi mento di nomina o di revoca dell'amministratore di condominio da
parte dell'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1129 c.c., pressoché co stantemente riconosciuta dalla giurisprudenza, se si esclude (quanto al
procedimento di revoca) Cass. 18 maggio 1996, n. 4620, Foro it., 1996, I, 2376, con nota di richiami: v., da ultimo, Cass. 23 febbraio 1999, n.
1493, id., 1999, I, 1462 (riportata anche in Giust. civ., 1999, I, 3018, con osservazioni di R. Triola), e 15 maggio 2000, n. 6249, Foro it., Mass., 591, ambedue nel senso della non ricorribilità per cassazione del decreto emesso in sede di reclamo dalla corte d'appello in ordine alla revoca dell'amministratore per sospetto di gravi irregolarità nel
l'espletamento del mandato. Sulla natura di volontaria giurisdizione del procedimento ex art.
1105, 4° comma, c.c., v., da ultimo, Cass. 8 settembre 1998, n. 8876, id., Rep. 1999, voce Comunione e condominio, n. 71; 14 agosto 1997, n. 7613, id., 1998, I, 1579, con nota di richiami. Riguardo alla nomina dell'amministratore di condominio da parte dell'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1129, 1° comma, c.c., tuttavia, Cass. 13 novembre 1996, n. 9942, id., Rep. 1997, voce cit., n. 171, si esprime nel senso che (a differenza di quello di revoca ex art. 1129, 3° comma, c.c.) il decreto del tribunale non è reclamabile innanzi alla corte d'appello, trattandosi
II. Foro Italiano — 2001.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 21 feb
braio 2001, n. 2517; Pres. Iannotta, Est. Mazziotti Di Cel
so, P.M. Palmieri (conci, conf.); Leonardi (Avv. Rebuffat) c. Amendolagine e altri (Avv. Modica). Cassa App. Roma, decr. 28 maggio 1998.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici —
Amministratore giudiziario — Nomina — Ricorso per cassazione — Inammissibilità — Statuizione sulle spese —
Ammissibilità — Fattispecie (Cost., art. Ill; cod. civ., art.
1129; disp. att. cod. civ., art. 64; cod. proc. civ., art. 91, 742).
Il provvedimento con cui la corte d'appello provvede in sede di
reclamo sul decreto di nomina di un amministratore giudizia rio del condominio, emesso dal tribunale a norma dell'art.
1129, 1° comma, c.c., non è impugnabile per cassazione ai
sensi dell'art. Ill Cost., neppure nel caso in cui vengano de
nunciati vizi in procedendo o difetti di giurisdizione o di com
petenza (nella specie, la corte d'appello aveva ritenuto non
suscettibile di reclamo il decreto emesso dal tribunale, in
quanto esplicazione di attività non giurisdizionale, ma ammi
nistrativa). (2) La statuizione giudiziale relativa alla condanna alle spese pro
cessuali, ancorché accedente a provvedimento reso dalla
corte d'appello in sede di reclamo avverso il decreto di no
mina di un amministratore giudiziario del condominio a nor
ma dell'art. 1129, 1° comma, c.c., può essere impugnata per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost. (3)
I
Svolgimento del processo. — Con atto notificato nel novem
bre 1992 Santoro Rosa conveniva in giudizio il condominio
«Residenza del mare» di Bordighera e Rossi Emilio esponendo: che, con ricorso ex art. 1129 c.c., essa istante aveva chiesto al
Tribunale di Sanremo la revoca dell'incarico conferito a Rossi
Emilio di amministratore del condominio convenuto; che il tri
bunale aveva revocato il Rossi dalla detta carica con decreto 5
dicembre 1988 confermato dalla Corte d'appello di Genova con
ordinanza 22 aprile 1989; che il Tribunale di Sanremo, su ricor
so di essa Santoro, con decreto 1° giugno 1989 aveva nominato
amministratore giudiziario Amoretti Mauro affidando a que
di un provvedimento di natura non giurisdizionale, ma amministrativa. Circa la puntualizzazione che la non ricorribilità per cassazione, ex
art. Ill Cost., dei provvedimenti emessi in sede di volontaria giurisdi zione non trova deroga neppure quando si intenda denunciare la irri tualità del procedimento, v., in particolare, Cass. 21 giugno 1999, n.
6241, id., 2000, I, 588, con nota di P. Gallo, e 2 ottobre 1997, n. 9636, id., 1998, I, 3634, con nota di richiami, entrambe in materia societaria
(art. 2409 c.c.). Difformemente, nel caso in cui la corte d'appello abbia
negato l'ammissibilità del reclamo ai sensi degli art. 739 e 742 c.p.c., v. tuttavia, da ultimo, Cass. 15 dicembre 2000. n. 15834, id., Mass., 1467.
Sul principio secondo cui il provvedimento reso dal giudice in sede di volontaria giurisdizione non deve contenere alcuna pronunzia sulle
spese del procedimento, attesa l'inapplicabilità degli art. 91 ss. c.p.c., essendo altrimenti suscettibile di impugnazione — limitatamente a que sta parte — mediante ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., v., con specifico riferimento al procedimento di revoca giudiziale del l'amministratore di condominio, Cass. 27 marzo 1998, n. 3246, id..
Rep. 1998, voce Camera di consiglio, n. 7; nonché, in tema di proce dimento ex art. 2409 c.c., Cass. 2 ottobre 1997, n. 9636, cit.; 16 gennaio 1997, n. 420. id., 1997, I, 423, con nota di richiami; 23 gennaio 1996, n. 498, id., 1996,1, 857; e, da ultimo, 24 novembre 2000, n. 15173, id.. Mass., 1391. In senso difforme, v. peraltro, tra le pronunzie di merito
più recenti in tema di revoca giudiziale dell'amministratore condomi niale, Trib. Parma, decr. 12 marzo 1999, id., Rep. 1999, voce Comu nione e condominio, n. 189 (a cui avviso la natura di volontaria giuris dizione del procedimento non esclude che il giudice possa statuire sulle relative spese, in base al principio della soccombenza), e Trib. Santa Maria Capua Vetere 23 luglio 1997, id., Rep. 1997, voce Spese giudi ziali civili, n. 54 (che tuttavia nella specie ha disatteso la regola del l'art. 91 c.p.c., ritenendo equo compensare le spese).
Sul procedimento di revoca dell'amministratore di condominio ai sensi del 3° comma dell'art. 1129 c.c., v. anche Cass. 23 agosto 1999, n. 8837, id., 2000, I, 1673, con nota redazionale di D. Piombo, che sot tolinea come legittimato a contraddire al ricorso proposto da taluno dei condomini sia, in questo caso, l'amministratore in proprio, e non il condominio.
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