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sentenza 12 marzo 1998, n. 53 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 18 marzo 1998, n. 11); Pres....

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sentenza 12 marzo 1998, n. 53 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 18 marzo 1998, n. 11); Pres. Granata, Est. Ruperto; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Comm. trib. prov. Crotone 29 ottobre 1996, Comm. trib. prov. Caserta 24 gennaio 1997, Comm. trib. prov. Macerata 11 aprile 1997 (G.U., 1 a s.s., nn. 6, 20 e 30 del 1997) Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 2801/2802-2805/2806 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194887 . Accessed: 24/06/2014 21:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.79 on Tue, 24 Jun 2014 21:13:19 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 12 marzo 1998, n. 53 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 18 marzo 1998, n. 11); Pres. Granata, Est. Ruperto; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Comm. trib. prov. Crotone

sentenza 12 marzo 1998, n. 53 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 18 marzo 1998, n. 11);Pres. Granata, Est. Ruperto; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Comm. trib. prov. Crotone 29ottobre 1996, Comm. trib. prov. Caserta 24 gennaio 1997, Comm. trib. prov. Macerata 11aprile 1997 (G.U., 1 a s.s., nn. 6, 20 e 30 del 1997)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 2801/2802-2805/2806Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194887 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 237, nella parte in cui attribuiva al

l'autorità giudiziaria militare la cognizione dei reati previsti ne

gli art. da 157 a 163 c.p. mil. pace, quando commessi dagli iscritti alla leva. La qualità di appartenente alle forze armate

veniva da quella disposizione postulata senza che un legame or

ganico con esse si fosse creato e quindi «senza la dovuta serietà

e attendibilità» del sorgere di un tale status, sicché il limite sog

gettivo posto dalla Costituzione alla giurisdizione militare era

da ritenere oltrepassato (sentenza n. 112 del 1986, Foro it., 1986,

I, 1756). Una ratio decidendi non dissimile sorregge la successi

va sentenza (n. 113 del 1986, ibid., 1489), con la quale questa corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 111. 15

dicembre 1972 n. 772, che assoggettava a tale giurisdizione gli obiettori di coscienza ammessi a prestare il servizio sostitutivo

civile: in quel caso di un legame organico di cittadini obiettori

(non in servizio militare) con le forze armate non si sarebbe

potuto in alcun modo parlare. Lungo la stessa linea, tendente

a circoscrivere l'ambito della giurisdizione militare in tempo di

pace e a ricondurla al carattere di eccezionalità voluto dalla

Costituzione, si colloca la sentenza n. 429 del 1992 (id., 1993,

I, 1774), che ha restituito all'a.g.o. la giurisdizione sui militari

in congedo illimitato per i quali l'eventuale permanere di un

qualche legame con le forze armate non può dar luogo al più

pregnante e più ristretto vincolo di appartenenza necessario ai

fini del loro assoggettamento alla giurisdizione militare.

3. - Nelle fattispecie portate all'esame di questa corte dalle

due ordinanze del Tribunale militare di La Spezia non si verifi

ca alcun ampliamento della giurisdizione dei tribunali militari

oltre il limite tracciato dalla Costituzione, come invece accade

va nei precedenti ora ricordati, né si riscontra alcuna illegittima

disparità di trattamento tra gli arruolati nella marina e gli ar

ruolati nelle altre forze armate.

In particolare, per quanto concerne gli art. 148 e 151 c.p. mil. pace, si tratta di disposizioni di diritto penale militare so

stanziale che nulla stabiliscono in ordine alla giurisdizione, e

la cui applicabilità a tutti i militari in servizio non è revocata

in dubbio dal giudice rimettente.

Per quanto riguarda gli art. 3 e 263 c.p. mil. pace e l'art.

147 d.p.r. n. 237 del 1964, che attribuisce i reati di mancanza

alla chiamata alla cognizione dei tribunali militari, dal loro con

giunto disposto non risulta l'estensione della giurisdizione di que sti in relazione ad uno status di militare non ancora assunto

o a obblighi relativi al servizio militare semplicemente potenzia

li; risulta, invece, una nozione di servizio militare ragionevol mente ristretta, quale quella definita dagli art. 3 e 5 c.p. mil.

pace, come servizio che deve iniziare nel momento stabilito per la presentazione, cui sono tenuti i cittadini già arruolati, ai qua li sia stato notificato il provvedimento di chiamata alle armi, e che sono considerati (art. 5) in servizio di leva anche se per

essi, proprio a causa della «mancanza», un servizio effettivo

non ha ancora avuto inizio.

A più forte ragione l'insieme delle disposizioni denunciate non

viola l'art. 103, 3° comma, Cost., per il fatto che dalla loro

applicazione deriva la giurisdizione dei tribunali militari in rela

zione al reato di diserzione commesso dall'arruolato che, chia

mato alle armi, si sia presentato e successivamente si sia allon

tanato senza fare rientro nel termine stabilito.

4. - Nessun trattamento deteriore creano per i cittadini arruo

lati nei Maricentro le norme censurate. Queste si applicano alla

generalità dei militari quale che sia la forza armata di apparte nenza e senza alcuna distinzione per gli arruolati della leva di

mare. Per essi, il d.p.r. n. 237 del 1964 sulla leva e il recluta

mento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronauti

ca detta, è vero, nella sezione III del capo III, alcune norme

particolari, che però non si discostano, nella sostanza, da quelle

vigenti per le altre forze armate. Parallelamente a quanto avvie

ne nell'esercito, è previsto un esame personale degli iscritti da

parte del consiglio di leva di mare, che si conclude con la deli

berazione di arruolamento nel corpo equipaggi militari maritti

mi (Cemm) degli idonei ed atti per la marina militare ovvero

di arruolamento dei restanti idonei nell'esercito (art. 64, 2° com

ma, lett. d). Alla successiva chiamata e all'avviamento alle armi

provvedono gli uffici di leva delle capitanerie di porto e gli ar

ruolati di leva-mare sono presi in forza, alla data fissata, dai

centri addestramento reclute della marina militare. Per gli ar

ruolati della leva di mare il servizio militare ha pertanto inizio

dal momento previsto per la presentazione in tali centri ed è

Il Foro Italiano — 1999.

da quel momento che essi sono assoggettabili alla giurisdizione

penale militare, operante anche in relazione ai reati previsti da

gli art. 148 e 151 c.p. mil. pace: né più né meno di quanto accade agli arruolati della leva di terra, il cui servizio sotto le

armi ha inizio dal momento previsto per la presentazione al

corpo di destinazione. La circostanza che circolari del ministero

della difesa abbiano dettato alcune regole asseritamente contra

stanti con la disciplina legislativa ed abbiano creato presso i

Maricentro la non prevista figura dell'arruolato in attesa di in

corporamento non ha alcuna incidenza sulla questione di legitti mità costituzionale rientrante nella competenza di questa corte

che non può estendersi ad atti privi del valore di legge. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale

degli art. 3, 1° comma, n. 2, 148, 151 e 263 c.p. mil. pace, nonché dell'art. 147 d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 237 (leva e reclu

tamento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronau

tica), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 103, 3° comma, Cost., dal Tribunale militare di La Spezia con le ordinanze indicate

in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 12 marzo 1998, n. 53

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 18 marzo 1998, n. 11); Pres. Granata, Est. Ruperto; interv. Pres. cons, ministri.

Ord. Comm. trib. prov. Crotone 29 ottobre 1996, Comm.

trib. prov. Caserta 24 gennaio 1997, Comm. trib. prov. Ma

cerata 11 aprile 1997 (G.U., la s.s., nn. 6, 20 e 30 del 1997).

Tributi in genere — Commissioni tributarie — Estinzione del

giudizio — Condanna alle spese — Esclusione — Questioni infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 97; d.leg. 31

dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul processo tributario in

attuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1.

30 dicembre 1991 n. 413, art. 15, 46).

È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.

15, 1° comma, e 46, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n.

546, nella parte in cui non prevedono la possibilità di con

dannare la parte in lite che abbia dato ingiustamente luogo al contenzioso tributario, poi venuto meno per il suo ricono

scimento spontaneo della fondatezza delle ragioni della con

troparte, alla rifusione delle spese processuali, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

46, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, nella parte in cui non prevede la possibilità di condannare la parte in

lite che abbia dato ingiustamente luogo al contenzioso tribu

tario, poi venuto meno per il suo riconoscimento spontaneo della fondatezza delle ragioni della controparte, alla rifusione delle spese processuali, in riferimento agli art. 3, 24 e 97

Cost. (2)

(1-2) I. - La corte respinge i dubbi di costituzionalità sollevati da

Comm. trib. prov. Macerata 11 aprile 1997, Foro it., Rep. 1997, voce

Tributi in genere, n. 1676, e Fisco, 1997, 13130, con nota di Trovato, da Comm. trib. prov. Caserta 14 febbraio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 1677, e da Comm. trib. prov. Crotone 29 ottobre 1996,

ibid., n. 1679, sul rilievo che:

a) per quanto attiene all'art. 3 Cost.,

al) la mancata previsione nel d.leg. 546/92 dell'istituto della c.d. soc

combenza virtuale, a differenza di quanto avviene nel processo civile, non viola il principio d'uguaglianza attesa la spiccata specificità del

processo tributario rispetto a quello civile ed a quello amministrativo;

al) l'obbligatorietà della compensazione delle spese sussiste quale che

sia la parte che abbia dato luogo alla cessazione della materia del con

tendere, sì che non è configurabile un privilegio a favore della sola

parte pubblica; ai) la compensazione delle spese in caso di cessazione della materia

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2803 PARTE PRIMA 2804

Diritto. — 1. - Le Commissioni tributarie rimettenti dubitano

della legittimità costituzionale dell'art. 46, 3° comma, d.leg. 31

dicembre 1992 n. 546, in quanto non prevede la possibilità di

condannare la parte in lite che abbia dato ingiustamente luogo al contenzioso tributario, poi venuto meno per suo riconosci

mento spontaneo della fondatezza delle ragioni della contropar

te, alla rifusione delle spese processuali. In particolare, secondo la Commissione tributaria provinciale

del contendere costituisce il «frutto di un bilanciamento tra le istanze dei singoli e la conservazione delle peculiari caratteristiche di snellezza del processo tributario»;

b) per quanto concerne l'art. 24 Cost., il diritto di difesa in giudizio non implica quello di ripetere le spese processuali anticipate;

c) per quanto riguarda l'art. 97 Cost., la stessa norma attiene esclusi vamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed al loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo senza che sia in vece riferibile a norme che regolano l'esercizio della funzione giurisdi zionale.

Sulla mancata copertura costituzionale del diritto a ripetere le spese processuali, v. Corte cost. 24 novembre 1982, n. 196, id., 1983, I, 535, con nota di A. Proto Pisani, e ord. 22 ottobre 1987, n. 335, id., 1988, I, 2559, con nota di G. Albenzio, che hanno ritenuto legittimo l'art. 39 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 nella parte in cui sanciva l'inapplicabi lità al processo tributario delle disposizioni del giudizio civile riguar danti la ripartizione tra le parti delle spese processuali.

Sull'ambito dell'art. 97 Cost., v. Corte cost. 31 maggio 1996, n. 182, id., 1997, I, 1023, per la quale il principio di buon andamento e d'im

parzialità dell'amministrazione è riferibile agli organi di amministrazio ne della giustizia, ma riguarda esclusivamente le leggi concernenti l'or dinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspet to amministrativo.

In dottrina, critici sulla formulazione dell'art. 46 d.leg. 546/92 sono T. Baglione-S. Menchini-M. Miccinesi, li nuovo processo tributario

Commentario, Milano, 1997, 385; P. Russo, L'estinzione del processo tributario, in II nuovo processo tributario (a cura di M. Miscali), Mila

no, 1996, 189; S. Trovato, Lineamenti del nuovo processo tributario, Padova, 1996, 206; G. Bellagamba, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1993, 160; A. Buscema, La declaratoria della cessazione della materia del contendere tra giudicato sostanziale e principio della soc

combenza, in Fisco, 1997, 6109; U. Perrucci, Le prime impressioni sulla riforma, in Bollettino trib., 1993 , 210; M. Blandini, Il nuovo

processo tributario, Milano, 1996, 89; A. Finocchiaro-M. Finocchia

ro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 648; G. Porcaro, Ritiro del provvedimento impugnato e rifusione delle spe se di lite, in Fisco, 1997, 13249.

II. - Con ord. 6 novembre 1998, n. 368, Le leggi, 1998, IV, 244, e, più di recente, con ord. 18 marzo 1999, n. 77, id., 1999, IV, 83, la Consulta ha respinto le analoghe questioni sollevate da Comm. trib. Modena 19 dicembre 1997, e 9 dicembre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., nn. 1829, 1830, e da Comm. trib. prov. Cosenza 20 giugno 1997, ibid., n. 1831, nonché, rispettivamente, da Comm. trib. prov. Firenze 27 marzo 1998, ibid., n. 1832, ribadendo i ricordati principi e ulteriormente argomentando (v. ord. 77/99) nel senso dell'insussisten za della violazione del principio di uguaglianza — ravvisata nel fatto che l'amministrazione finanziaria che rinuncia alla pretesa tributaria è esonerata dal pagamento delle spese di lite, laddove tale beneficio non è riconosciuto al contribuente che rinuncia al ricorso — in ragione della

«disomogeneità, sia con riguardo ai presupposti sia con riguardo agli effetti processuali e sostanziali, fra la rinuncia al ricorso e la cessazione della materia del contendere».

III. - Da parte della giurisprudenza tributaria sono stati fatti (isolati) tentativi per superare la prescrizione di cui all'art. 46 d.leg. 546/92 e

per condannare l'amministrazione finanziaria, soccombente virtuale, al

pagamento delle spese di lite: in questo senso, v. Comm. trib. prov. Firenze 13 novembre 1996, ibid., n. 1833; Comm. trib. prov. Reggio Emilia 4 febbraio 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1678, e Dir. e

pratica trib., 1998, II, 435, con nota di M. Fossa, Le spese nel nuovo

processo tributario e il principio della «.soccombenza virtuale»; Comm. trib. prov. Lecce 23 maggio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n.

1675, e Corriere trib., 1997, 2741, con nota di Corllanò, e Riv. giur. trib., 1997, 960, con nota di C. Glendi, Condanna alle spese in caso di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, in un caso in cui l'ufficio aveva dato atto dell'erroneità dell'avviso di accertamen to impugnato, ma aveva al contempo provveduto a notificare altro av viso di accertamento a carico della parte ricorrente (circostanza che, per il giudice leccese, impediva di ravvisare una «definizione di penden za tributaria»). Più di recente, v. Comm. trib. prov. Torino 19 marzo 1999, Corriere trib., 1999, 2298 (m), e 14 aprile 1999, ibid., 2299 (m).

IV. - Nella seduta del 10 settembre 1999 il consiglio dei ministri ha

approvato un disegno di legge di modifica del processo tributario, con tenente, tra l'altro, la modifica dell'art. 46 nel senso di prevedere, come

regola generale, la condanna al pagamento delle spese di giudizio anche

nell'ipotesi di estinzione del giudizio.

Il Foro Italiano — 1999.

di Crotone — la quale è la sola a censurare, sulla base di identi

che considerazioni, anche l'art. 15, 1° comma, del citato prov vedimento legislativo —, le denunciate norme si porrebbero in

contrasto con l'art. 3 Cost., stante l'irrazionale posizione di pri

vilegio di cui verrebbe a godere l'amministrazione finanziaria,

posta ingiustamente al riparo dall'onere di sopportare le spese di lite anticipate dalla controparte.

A giudizio delle Commissioni tributarie di Caserta e Macera

ta, invece, alla lesione del principio di uguaglianza — conse

guente alla disparità di trattamento rispetto alla regola generale della «soccombenza virtuale», valevole nel processo civile, ed

all'ingiustificato privilegio concesso all'amministrazione finan

ziaria, irresponsabile per i danni subiti dal contribuente a segui to di un comportamento di essa qualificabile come negligente — si accompagnerebbe la violazione dell'art. 24 Cost., per la

limitazione della tutela giurisdizionale e la menomazione del di

ritto di difesa che ne deriverebbero al contribuente, il quale,

pur avendo ragione, potrebbe essere indotto a non ricorrere con

tro l'amministrazione stessa.

Per la sola Commissione tributaria di Caserta, infine, il cen

surato 3° comma dell'art. 46 violerebbe altresì l'art. 97, 1° com

ma, Cost., legittimando di fatto, anche per il futuro ed a tempo

indeterminato, la violazione dei diritti dei contribuenti da parte dell'amministrazione finanziaria.

2. -1 giudizi, riguardanti questioni sostanzialmente identiche,

possono essere riuniti e congiuntamente decisi.

3. - Le questioni non sono fondate.

3.1.1. - Quanto alla prospettata lesione del principio di ugua

glianza, va anzitutto rilevata l'incomprensibilità della censura

rivolta dalla Commissione tributaria di Crotone all'art. 15, 1°

comma, col quale il legislatore delegato non ha fatto altro che

conformare la disciplina delle spese nel nuovo processo tributa

rio a quella prevista dal codice di procedura civile, in evidente

correlazione con l'obbligatorietà dell'assistenza tecnica della parte

privata nel giudizio (disposta dall'art. 12, con eccezione per le

sole controversie di valore inferiore a cinque milioni di lire). 3.1.2. - Dal paradigma processuale del giudizio civile (al cui

specifico ambito appartiene la costruzione giurisprudenziale della

«soccombenza virtuale») si diparte invece il successivo art. 46, che nel 1° comma ricomprende tra le ipotesi di estinzione del

giudizio la cessazione della materia del contendere, stabilendo

poi nel 3° comma che «le spese del giudizio estinto a norma

del 1° comma restano sempre a carico della parte che le ha

anticipate». Va però notato che il processo tributario, rispetto a quello

civile ed amministrativo, conserva una sua spiccata specificità, correlata sia alla configurazione dell'organo decidente sia al rap

porto sostanziale oggetto del giudizio. Rapporto che attiene alla

fondamentale ed imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l'esercizio delle sue funzioni attraverso l'attività del

l'amministrazione finanziaria, la quale ha il potere-dovere di

provvedere, con atti autoritativi, all'accertamento ed alla pron ta riscossione dei tributi.

Stante la piena autonomia dei sistemi processuali messi a con

fronto, che si presentano in sé compiuti e riguardano liti in

materie non omogenee, la non simmetrica costruzione delle re

lative singole norme non è dunque idonea a produrre il prospet tato vulnus al principio di uguaglianza (v. sentenza n. 79 del

1997, Foro it., 1997, I, 1325). Basti in proposito ricordare il

costante orientamento giurisprudenziale di questa corte, secon do cui un modello processuale non può essere assunto a para metro per un rito diverso.

3.1.3. - D'altronde, l'obbligatorietà della compensazione del le spese è prevista in ogni caso di cessazione della materia del

contendere, venendo sotto questo profilo le parti del processo tributario poste sullo stesso piano. Donde l'assenza dell'asserito

privilegio a favore della pubblica amministrazione. Il legislatore con la denunciata disposizione non ha fatto al

tro che ricondurre ad una regola sistematica (peraltro residuale) quanto in precedenza era stato disposto da provvedimenti nor mativi a contenuto particolare, specie in occasione dei ciclici condoni tributari, costruendo — come la dottrina non ha man cato di rilevare — una categoria astratta di situazioni compor tanti sempre il medesimo effetto, «salvo diverse disposizioni di

legge». Ed appare evidente come tale regola sia frutto di un bilanciamento tra le istanze dei singoli e la conservazione delle

peculiari caratteristiche di snellezza del processo tributario, la

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

cui articolazione assai semplice, funzionale all'esigenza della mas

sima celerità, avrebbe mal tollerato l'indubbia complicazione costituita dall'accertamento di merito necessario onde stabilire

la «soccombenza virtuale», comportante una pronunzia sogget ta ad impugnazione.

Tanto basta per ritenere che il legislatore non abbia nella spe cie superato il limite della razionalità nell'opera di conforma

zione degli istituti processuali che è del tutto affidata alla sua

discrezionalità; e dunque per escludere anche sotto questo pro filo la prospettata violazione dell'art. 3 Cost.

3.2. - Privi di consistenza sono altresì i dubbi sollevati con

riferimento all'art. 24 Cost.

Questa corte — ripetutamente investita dal vaglio di costitu

zionalità dell'art. 39 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, che sanciva

l'inapplicabilità al processo tributario (come allora regolato) delle

disposizioni del giudizio civile riguardanti la ripartizione tra le

parti delle spese processuali — aveva già ritenuto non incostitu

zionale detta norma, osservando che l'istituto della condanna

del soccombente al pagamento delle spese stesse ha sì carattere

generale ma non anche portata assoluta, potendosene profilare la derogabilità, oltre che ad opera del giudice del singolo pro cesso quando ricorrano giusti motivi ai sensi del 2° comma del

l'art. 92 c.p.c., anche per previsione normativa in presenza di

elementi che giustifichino la diversificazione della regola gene rale sancita nel codice di rito civile (v. sentenza n. 196 del 1982,

id., 1983, I, 535, e successive ordinanze n. 41 del 1984, id.,

Rep. 1984, voce Tributi in genere, n. 826; n. 335 del 1987, id.,

1988, I, 2559; n. 244 del 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n.

987; n. 29 del 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1341). In tali occasioni la corte aveva altresì affermato e ribadito

— facendo riferimento alla diversità e maggiore snellezza del

procedimento tributario rispetto a quello civile ordinario — co

me l'effettiva predisposizione delle difese in giudizio prescindes se dalla possibilità di conseguire la (eventuale) ripetizione delle

spese processuali; con ciò escludendo la paventata violazione

dell'art. 24 Cost.

Da codeste conclusioni non v'è ragione di discostarsi, pur in presenza delle innovazioni apportate al sistema processuale del contenzioso tributario dal d.leg. n. 546 del 1992 onde ade

guarlo a quello civile, in attuazione dei principi e criteri conte

nuti nell'art. 30, lett. g), 1. delega 30 dicembre 1991 n. 413.

Ed a fortiori, allora, deve ritenersi che l'obbligo per il giudice di dichiarare compensate le spese processuali non comporta la

lamentata menomazione del diritto di difesa.

Principio insuperabile è esclusivamente quello che la parte vit

toriosa non venga gravata, in tutto o in parte, delle spese di

lite (v. sentenza n. 46 del 1975, id., 1975, I, 509). La compensa zione è, invece, istituto di regola lasciato al potere discrezionale

del giudice, sulla base d'un apprezzamento dell'esistenza di giu sti motivi, la quale, appunto, nella normativa de qua viene so

stanzialmente affermata dal legislatore con la previsione di una

fattispecie legale tipica. 3.3. - Palesemente priva di fondamento, infine, è la prospet

tata violazione dell'art. 97 Cost., poiché tale parametro attiene

esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici

giudiziari nonché al loro funzionamento sotto l'aspetto ammi

nistrativo, e non è invece riferibile a norme, quali quella sotto

posta al presente scrutinio, che regolano l'esercizio della funzio

ne giurisdizionale (v., da ultimo, sentenze n. 182 del 1996, id.,

1997, I, 1023, e n. 225 del 1996, id., 1998, I, 3438). Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: — dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio

nale degli art. 15, 1° comma, e 46, 3° comma, d.leg. 31 dicem

bre 1992 n. 546 (disposizioni sul processo tributario in attuazio

ne della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre

1991 n. 413), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Com

missione tributaria provinciale di Crotone, con l'ordinanza in

dicata in epigrafe; — dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzio

nale dell'art. 46, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546,

sollevate, in riferimento agli art. 3, 1° comma, 24, 1° comma,

e 97, 1° comma, Cost., dalla Commissione tributaria provincia le di Caserta e, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dalla Com

missione tributaria provinciale di Macerata, con le ordinanze

indicate in epigrafe.

Il Foro Italiano — 1999.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 12 marzo 1998, n. 51

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 18 marzo 1998, n. 11); Pres. Granata, Est. Ruperto; Soc. R.C.S. Rizzoli periodici (Avv. Barile) c. Filocamo (Avv. Musco); Stabile (Avv. Gia

cobbe) c. Soc. editrice II Messaggero; interv. Pres. cons, mi

nistri (Avv. dello Stato Caramazza). Ord. App. Roma 18 dicembre 1996 e Trib. Roma 11 novembre 1996 (G.U., la

s.s., nn. 21 e 22 del 1997).

Competenza civile — Procedimenti riguardanti magistrati — Spo stamento della competenza per territorio — Omessa previsio ne — Questioni inammissibili di costituzionalità (Cost., art.

3, 24, 25, 101; cod. proc. civ., art. 18-36; cod. proc. pen., art. 11).

È inammissibile, in quanto la richiesta sentenza additiva com

porta una scelta fra più soluzioni riservata al legislatore, la

questione di legittimità costituzionale degli art. da 18 a 35 c.p.c., nella parte in cui non prevedono uno spostamento della com

petenza per territorio secondo principi predeterminati quali quel li previsti, per il processo penale, dall'art. 11 c.p.p., nel caso

in cui un magistrato sia attore o convenuto in un processo ci

vile o, in subordine, limitatamente al caso in cui il giudizio civile abbia ad oggetto fatti la cui rilevanza penale debba esse

re incidentalmente accertata oppure, in via ulteriormente su

bordinata, nei procedimenti civili per diffamazione a mezzo

stampa in cui sia applicabile la sanzione di cui all'art. 12 I.

sulla stampa, in riferimento agli art. 3, 24 e 101 Cost. (1) È inammissibile, in quanto la richiesta sentenza additiva com

porta una scelta fra più soluzioni riservata al legislatore, la

questione di legittimità costituzionale degli art. da 18 a 36

c.p.c., nella parte in cui non prevedono l'applicabilità del cri

terio di competenza territoriale stabilito dall'art. 11 c.p.p. an

che ai giudizi civili nei quali sìa attore o convenuto un magi strato e che abbiano ad oggetto una domanda di risarcimento

dei danni derivanti da un reato, di cui il magistrato, parte del giudizio civile, si assume essere l'autore ovvero la persona

offesa o il danneggiato, in riferimento agli art. 3, 24, 25, 1° comma, e 101 Cost. (2)

(1-2) La Corte costituzionale rileva l'impraticabilità, di fronte all'esi stenza di una pluralità di possibili soluzioni, di un'estensione pura e

semplice al processo civile della previsione dettata dall'art. 11 c.p.p. per il processo penale, essendo la scelta riservata alla discrezionalità del legislatore.

L'ordinanza di rimessione di App. Roma (con data 28 gennaio 1997) è riportata in Foro it., 1997, I, 1944, con nota di richiami. La stessa

questione è stata sollevata anche da App. Milano, ord. 17 ottobre 1997, id., Rep. 1998, voce Competenza civile, n. 108.

Per l'inapplicabilità della previsione di cui all'art. 11 c.p.p. al proces so civile, v. Trib. Napoli 8 giugno 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 89.

Per l'inammissibilità, per carenza di legittimazione dell'autorità ri

mettente, della questione di costituzionalità dell'art. 26 r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, nella parte in cui, per i giudizi di responsabilità ammini strativa o contabile a carico di magistrati, rinvia alle disposizioni del codice di procedura civile, anziché a quelle del codice di procedura pe nale, che prevede la competenza territoriale di un ufficio giudiziario diverso da quello nel quale i magistrati stessi esercitano, o hanno eserci tato, le proprie funzioni, v. Corte cost. 27 luglio 1995, n. 415, id., 1995, I, 3373, con nota di richiami.

Per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità del l'art. 11 c.p.p., nella parte in cui non prevede la deroga alla competen za territoriale per l'ipotesi in cui assuma la qualità di imputato o di

persona offesa o danneggiata dal reato l'avvocato iscritto all'albo di uno degli ordini del distretto cui appartiene l'ufficio giudiziario compe tente per il giudizio, v. Corte cost., ord. 30 dicembre 1997, n. 462, id., Rep. 1998, voce Competenza penale, n. 36, e Cass. 18 dicembre

1995, Perpiglia, id., Rep. 1996, voce cit., n. 84. Sull'ambito di applicazione dell'art. 11 c.p.p., v. pure Cass. 22 otto

bre 1996, Lucchese, id., 1997, II, 1, con nota di richiami, secondo cui, ai fini dell'operatività della deroga alla competenza territoriale, non è necessario che il magistrato «danneggiato» dal reato si sia anche costi tuito parte civile nel processo penale; Cass. 30 giugno 1997, Bilotta, id., Rep. 1997, voce cit., n. 62, la quale ha escluso che lo stesso possa applicarsi ai vice pretori onorari.

Per l'incostituzionalità dell'art. 11, 3° comma, c.p.p., nella parte in

cui stabiliva che lo spostamento della competenza territoriale non si determinava in caso di reato commesso in udienza, v. Corte cost. 31 ottobre 1991, n. 390, id., 1992, I, 305, con nota di richiami.

Per l'inammissibilità (semplice o manifesta) di questioni di costituzio nalità con le quali, a giudizio della corte, si richiede un intervento addi tivo in materie riservate alla discrezionalità del legislatore, v. Corte cost. 5 marzo 1999, n. 61, id., 1999, I, 1097, con nota di richiami.

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