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sentenza 12 marzo 1998, n. 53 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 18 marzo 1998, n. 11);Pres. Granata, Est. Ruperto; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Comm. trib. prov. Crotone 29ottobre 1996, Comm. trib. prov. Caserta 24 gennaio 1997, Comm. trib. prov. Macerata 11aprile 1997 (G.U., 1 a s.s., nn. 6, 20 e 30 del 1997)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 2801/2802-2805/2806Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194887 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 237, nella parte in cui attribuiva al
l'autorità giudiziaria militare la cognizione dei reati previsti ne
gli art. da 157 a 163 c.p. mil. pace, quando commessi dagli iscritti alla leva. La qualità di appartenente alle forze armate
veniva da quella disposizione postulata senza che un legame or
ganico con esse si fosse creato e quindi «senza la dovuta serietà
e attendibilità» del sorgere di un tale status, sicché il limite sog
gettivo posto dalla Costituzione alla giurisdizione militare era
da ritenere oltrepassato (sentenza n. 112 del 1986, Foro it., 1986,
I, 1756). Una ratio decidendi non dissimile sorregge la successi
va sentenza (n. 113 del 1986, ibid., 1489), con la quale questa corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 111. 15
dicembre 1972 n. 772, che assoggettava a tale giurisdizione gli obiettori di coscienza ammessi a prestare il servizio sostitutivo
civile: in quel caso di un legame organico di cittadini obiettori
(non in servizio militare) con le forze armate non si sarebbe
potuto in alcun modo parlare. Lungo la stessa linea, tendente
a circoscrivere l'ambito della giurisdizione militare in tempo di
pace e a ricondurla al carattere di eccezionalità voluto dalla
Costituzione, si colloca la sentenza n. 429 del 1992 (id., 1993,
I, 1774), che ha restituito all'a.g.o. la giurisdizione sui militari
in congedo illimitato per i quali l'eventuale permanere di un
qualche legame con le forze armate non può dar luogo al più
pregnante e più ristretto vincolo di appartenenza necessario ai
fini del loro assoggettamento alla giurisdizione militare.
3. - Nelle fattispecie portate all'esame di questa corte dalle
due ordinanze del Tribunale militare di La Spezia non si verifi
ca alcun ampliamento della giurisdizione dei tribunali militari
oltre il limite tracciato dalla Costituzione, come invece accade
va nei precedenti ora ricordati, né si riscontra alcuna illegittima
disparità di trattamento tra gli arruolati nella marina e gli ar
ruolati nelle altre forze armate.
In particolare, per quanto concerne gli art. 148 e 151 c.p. mil. pace, si tratta di disposizioni di diritto penale militare so
stanziale che nulla stabiliscono in ordine alla giurisdizione, e
la cui applicabilità a tutti i militari in servizio non è revocata
in dubbio dal giudice rimettente.
Per quanto riguarda gli art. 3 e 263 c.p. mil. pace e l'art.
147 d.p.r. n. 237 del 1964, che attribuisce i reati di mancanza
alla chiamata alla cognizione dei tribunali militari, dal loro con
giunto disposto non risulta l'estensione della giurisdizione di que sti in relazione ad uno status di militare non ancora assunto
o a obblighi relativi al servizio militare semplicemente potenzia
li; risulta, invece, una nozione di servizio militare ragionevol mente ristretta, quale quella definita dagli art. 3 e 5 c.p. mil.
pace, come servizio che deve iniziare nel momento stabilito per la presentazione, cui sono tenuti i cittadini già arruolati, ai qua li sia stato notificato il provvedimento di chiamata alle armi, e che sono considerati (art. 5) in servizio di leva anche se per
essi, proprio a causa della «mancanza», un servizio effettivo
non ha ancora avuto inizio.
A più forte ragione l'insieme delle disposizioni denunciate non
viola l'art. 103, 3° comma, Cost., per il fatto che dalla loro
applicazione deriva la giurisdizione dei tribunali militari in rela
zione al reato di diserzione commesso dall'arruolato che, chia
mato alle armi, si sia presentato e successivamente si sia allon
tanato senza fare rientro nel termine stabilito.
4. - Nessun trattamento deteriore creano per i cittadini arruo
lati nei Maricentro le norme censurate. Queste si applicano alla
generalità dei militari quale che sia la forza armata di apparte nenza e senza alcuna distinzione per gli arruolati della leva di
mare. Per essi, il d.p.r. n. 237 del 1964 sulla leva e il recluta
mento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronauti
ca detta, è vero, nella sezione III del capo III, alcune norme
particolari, che però non si discostano, nella sostanza, da quelle
vigenti per le altre forze armate. Parallelamente a quanto avvie
ne nell'esercito, è previsto un esame personale degli iscritti da
parte del consiglio di leva di mare, che si conclude con la deli
berazione di arruolamento nel corpo equipaggi militari maritti
mi (Cemm) degli idonei ed atti per la marina militare ovvero
di arruolamento dei restanti idonei nell'esercito (art. 64, 2° com
ma, lett. d). Alla successiva chiamata e all'avviamento alle armi
provvedono gli uffici di leva delle capitanerie di porto e gli ar
ruolati di leva-mare sono presi in forza, alla data fissata, dai
centri addestramento reclute della marina militare. Per gli ar
ruolati della leva di mare il servizio militare ha pertanto inizio
dal momento previsto per la presentazione in tali centri ed è
Il Foro Italiano — 1999.
da quel momento che essi sono assoggettabili alla giurisdizione
penale militare, operante anche in relazione ai reati previsti da
gli art. 148 e 151 c.p. mil. pace: né più né meno di quanto accade agli arruolati della leva di terra, il cui servizio sotto le
armi ha inizio dal momento previsto per la presentazione al
corpo di destinazione. La circostanza che circolari del ministero
della difesa abbiano dettato alcune regole asseritamente contra
stanti con la disciplina legislativa ed abbiano creato presso i
Maricentro la non prevista figura dell'arruolato in attesa di in
corporamento non ha alcuna incidenza sulla questione di legitti mità costituzionale rientrante nella competenza di questa corte
che non può estendersi ad atti privi del valore di legge. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli art. 3, 1° comma, n. 2, 148, 151 e 263 c.p. mil. pace, nonché dell'art. 147 d.p.r. 14 febbraio 1964 n. 237 (leva e reclu
tamento obbligatorio nell'esercito, nella marina e nell'aeronau
tica), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 103, 3° comma, Cost., dal Tribunale militare di La Spezia con le ordinanze indicate
in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 12 marzo 1998, n. 53
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 18 marzo 1998, n. 11); Pres. Granata, Est. Ruperto; interv. Pres. cons, ministri.
Ord. Comm. trib. prov. Crotone 29 ottobre 1996, Comm.
trib. prov. Caserta 24 gennaio 1997, Comm. trib. prov. Ma
cerata 11 aprile 1997 (G.U., la s.s., nn. 6, 20 e 30 del 1997).
Tributi in genere — Commissioni tributarie — Estinzione del
giudizio — Condanna alle spese — Esclusione — Questioni infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 97; d.leg. 31
dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1.
30 dicembre 1991 n. 413, art. 15, 46).
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
15, 1° comma, e 46, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n.
546, nella parte in cui non prevedono la possibilità di con
dannare la parte in lite che abbia dato ingiustamente luogo al contenzioso tributario, poi venuto meno per il suo ricono
scimento spontaneo della fondatezza delle ragioni della con
troparte, alla rifusione delle spese processuali, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
46, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, nella parte in cui non prevede la possibilità di condannare la parte in
lite che abbia dato ingiustamente luogo al contenzioso tribu
tario, poi venuto meno per il suo riconoscimento spontaneo della fondatezza delle ragioni della controparte, alla rifusione delle spese processuali, in riferimento agli art. 3, 24 e 97
Cost. (2)
(1-2) I. - La corte respinge i dubbi di costituzionalità sollevati da
Comm. trib. prov. Macerata 11 aprile 1997, Foro it., Rep. 1997, voce
Tributi in genere, n. 1676, e Fisco, 1997, 13130, con nota di Trovato, da Comm. trib. prov. Caserta 14 febbraio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 1677, e da Comm. trib. prov. Crotone 29 ottobre 1996,
ibid., n. 1679, sul rilievo che:
a) per quanto attiene all'art. 3 Cost.,
al) la mancata previsione nel d.leg. 546/92 dell'istituto della c.d. soc
combenza virtuale, a differenza di quanto avviene nel processo civile, non viola il principio d'uguaglianza attesa la spiccata specificità del
processo tributario rispetto a quello civile ed a quello amministrativo;
al) l'obbligatorietà della compensazione delle spese sussiste quale che
sia la parte che abbia dato luogo alla cessazione della materia del con
tendere, sì che non è configurabile un privilegio a favore della sola
parte pubblica; ai) la compensazione delle spese in caso di cessazione della materia
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2803 PARTE PRIMA 2804
Diritto. — 1. - Le Commissioni tributarie rimettenti dubitano
della legittimità costituzionale dell'art. 46, 3° comma, d.leg. 31
dicembre 1992 n. 546, in quanto non prevede la possibilità di
condannare la parte in lite che abbia dato ingiustamente luogo al contenzioso tributario, poi venuto meno per suo riconosci
mento spontaneo della fondatezza delle ragioni della contropar
te, alla rifusione delle spese processuali. In particolare, secondo la Commissione tributaria provinciale
del contendere costituisce il «frutto di un bilanciamento tra le istanze dei singoli e la conservazione delle peculiari caratteristiche di snellezza del processo tributario»;
b) per quanto concerne l'art. 24 Cost., il diritto di difesa in giudizio non implica quello di ripetere le spese processuali anticipate;
c) per quanto riguarda l'art. 97 Cost., la stessa norma attiene esclusi vamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed al loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo senza che sia in vece riferibile a norme che regolano l'esercizio della funzione giurisdi zionale.
Sulla mancata copertura costituzionale del diritto a ripetere le spese processuali, v. Corte cost. 24 novembre 1982, n. 196, id., 1983, I, 535, con nota di A. Proto Pisani, e ord. 22 ottobre 1987, n. 335, id., 1988, I, 2559, con nota di G. Albenzio, che hanno ritenuto legittimo l'art. 39 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 nella parte in cui sanciva l'inapplicabi lità al processo tributario delle disposizioni del giudizio civile riguar danti la ripartizione tra le parti delle spese processuali.
Sull'ambito dell'art. 97 Cost., v. Corte cost. 31 maggio 1996, n. 182, id., 1997, I, 1023, per la quale il principio di buon andamento e d'im
parzialità dell'amministrazione è riferibile agli organi di amministrazio ne della giustizia, ma riguarda esclusivamente le leggi concernenti l'or dinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspet to amministrativo.
In dottrina, critici sulla formulazione dell'art. 46 d.leg. 546/92 sono T. Baglione-S. Menchini-M. Miccinesi, li nuovo processo tributario
Commentario, Milano, 1997, 385; P. Russo, L'estinzione del processo tributario, in II nuovo processo tributario (a cura di M. Miscali), Mila
no, 1996, 189; S. Trovato, Lineamenti del nuovo processo tributario, Padova, 1996, 206; G. Bellagamba, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1993, 160; A. Buscema, La declaratoria della cessazione della materia del contendere tra giudicato sostanziale e principio della soc
combenza, in Fisco, 1997, 6109; U. Perrucci, Le prime impressioni sulla riforma, in Bollettino trib., 1993 , 210; M. Blandini, Il nuovo
processo tributario, Milano, 1996, 89; A. Finocchiaro-M. Finocchia
ro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 648; G. Porcaro, Ritiro del provvedimento impugnato e rifusione delle spe se di lite, in Fisco, 1997, 13249.
II. - Con ord. 6 novembre 1998, n. 368, Le leggi, 1998, IV, 244, e, più di recente, con ord. 18 marzo 1999, n. 77, id., 1999, IV, 83, la Consulta ha respinto le analoghe questioni sollevate da Comm. trib. Modena 19 dicembre 1997, e 9 dicembre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., nn. 1829, 1830, e da Comm. trib. prov. Cosenza 20 giugno 1997, ibid., n. 1831, nonché, rispettivamente, da Comm. trib. prov. Firenze 27 marzo 1998, ibid., n. 1832, ribadendo i ricordati principi e ulteriormente argomentando (v. ord. 77/99) nel senso dell'insussisten za della violazione del principio di uguaglianza — ravvisata nel fatto che l'amministrazione finanziaria che rinuncia alla pretesa tributaria è esonerata dal pagamento delle spese di lite, laddove tale beneficio non è riconosciuto al contribuente che rinuncia al ricorso — in ragione della
«disomogeneità, sia con riguardo ai presupposti sia con riguardo agli effetti processuali e sostanziali, fra la rinuncia al ricorso e la cessazione della materia del contendere».
III. - Da parte della giurisprudenza tributaria sono stati fatti (isolati) tentativi per superare la prescrizione di cui all'art. 46 d.leg. 546/92 e
per condannare l'amministrazione finanziaria, soccombente virtuale, al
pagamento delle spese di lite: in questo senso, v. Comm. trib. prov. Firenze 13 novembre 1996, ibid., n. 1833; Comm. trib. prov. Reggio Emilia 4 febbraio 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1678, e Dir. e
pratica trib., 1998, II, 435, con nota di M. Fossa, Le spese nel nuovo
processo tributario e il principio della «.soccombenza virtuale»; Comm. trib. prov. Lecce 23 maggio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n.
1675, e Corriere trib., 1997, 2741, con nota di Corllanò, e Riv. giur. trib., 1997, 960, con nota di C. Glendi, Condanna alle spese in caso di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, in un caso in cui l'ufficio aveva dato atto dell'erroneità dell'avviso di accertamen to impugnato, ma aveva al contempo provveduto a notificare altro av viso di accertamento a carico della parte ricorrente (circostanza che, per il giudice leccese, impediva di ravvisare una «definizione di penden za tributaria»). Più di recente, v. Comm. trib. prov. Torino 19 marzo 1999, Corriere trib., 1999, 2298 (m), e 14 aprile 1999, ibid., 2299 (m).
IV. - Nella seduta del 10 settembre 1999 il consiglio dei ministri ha
approvato un disegno di legge di modifica del processo tributario, con tenente, tra l'altro, la modifica dell'art. 46 nel senso di prevedere, come
regola generale, la condanna al pagamento delle spese di giudizio anche
nell'ipotesi di estinzione del giudizio.
Il Foro Italiano — 1999.
di Crotone — la quale è la sola a censurare, sulla base di identi
che considerazioni, anche l'art. 15, 1° comma, del citato prov vedimento legislativo —, le denunciate norme si porrebbero in
contrasto con l'art. 3 Cost., stante l'irrazionale posizione di pri
vilegio di cui verrebbe a godere l'amministrazione finanziaria,
posta ingiustamente al riparo dall'onere di sopportare le spese di lite anticipate dalla controparte.
A giudizio delle Commissioni tributarie di Caserta e Macera
ta, invece, alla lesione del principio di uguaglianza — conse
guente alla disparità di trattamento rispetto alla regola generale della «soccombenza virtuale», valevole nel processo civile, ed
all'ingiustificato privilegio concesso all'amministrazione finan
ziaria, irresponsabile per i danni subiti dal contribuente a segui to di un comportamento di essa qualificabile come negligente — si accompagnerebbe la violazione dell'art. 24 Cost., per la
limitazione della tutela giurisdizionale e la menomazione del di
ritto di difesa che ne deriverebbero al contribuente, il quale,
pur avendo ragione, potrebbe essere indotto a non ricorrere con
tro l'amministrazione stessa.
Per la sola Commissione tributaria di Caserta, infine, il cen
surato 3° comma dell'art. 46 violerebbe altresì l'art. 97, 1° com
ma, Cost., legittimando di fatto, anche per il futuro ed a tempo
indeterminato, la violazione dei diritti dei contribuenti da parte dell'amministrazione finanziaria.
2. -1 giudizi, riguardanti questioni sostanzialmente identiche,
possono essere riuniti e congiuntamente decisi.
3. - Le questioni non sono fondate.
3.1.1. - Quanto alla prospettata lesione del principio di ugua
glianza, va anzitutto rilevata l'incomprensibilità della censura
rivolta dalla Commissione tributaria di Crotone all'art. 15, 1°
comma, col quale il legislatore delegato non ha fatto altro che
conformare la disciplina delle spese nel nuovo processo tributa
rio a quella prevista dal codice di procedura civile, in evidente
correlazione con l'obbligatorietà dell'assistenza tecnica della parte
privata nel giudizio (disposta dall'art. 12, con eccezione per le
sole controversie di valore inferiore a cinque milioni di lire). 3.1.2. - Dal paradigma processuale del giudizio civile (al cui
specifico ambito appartiene la costruzione giurisprudenziale della
«soccombenza virtuale») si diparte invece il successivo art. 46, che nel 1° comma ricomprende tra le ipotesi di estinzione del
giudizio la cessazione della materia del contendere, stabilendo
poi nel 3° comma che «le spese del giudizio estinto a norma
del 1° comma restano sempre a carico della parte che le ha
anticipate». Va però notato che il processo tributario, rispetto a quello
civile ed amministrativo, conserva una sua spiccata specificità, correlata sia alla configurazione dell'organo decidente sia al rap
porto sostanziale oggetto del giudizio. Rapporto che attiene alla
fondamentale ed imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l'esercizio delle sue funzioni attraverso l'attività del
l'amministrazione finanziaria, la quale ha il potere-dovere di
provvedere, con atti autoritativi, all'accertamento ed alla pron ta riscossione dei tributi.
Stante la piena autonomia dei sistemi processuali messi a con
fronto, che si presentano in sé compiuti e riguardano liti in
materie non omogenee, la non simmetrica costruzione delle re
lative singole norme non è dunque idonea a produrre il prospet tato vulnus al principio di uguaglianza (v. sentenza n. 79 del
1997, Foro it., 1997, I, 1325). Basti in proposito ricordare il
costante orientamento giurisprudenziale di questa corte, secon do cui un modello processuale non può essere assunto a para metro per un rito diverso.
3.1.3. - D'altronde, l'obbligatorietà della compensazione del le spese è prevista in ogni caso di cessazione della materia del
contendere, venendo sotto questo profilo le parti del processo tributario poste sullo stesso piano. Donde l'assenza dell'asserito
privilegio a favore della pubblica amministrazione. Il legislatore con la denunciata disposizione non ha fatto al
tro che ricondurre ad una regola sistematica (peraltro residuale) quanto in precedenza era stato disposto da provvedimenti nor mativi a contenuto particolare, specie in occasione dei ciclici condoni tributari, costruendo — come la dottrina non ha man cato di rilevare — una categoria astratta di situazioni compor tanti sempre il medesimo effetto, «salvo diverse disposizioni di
legge». Ed appare evidente come tale regola sia frutto di un bilanciamento tra le istanze dei singoli e la conservazione delle
peculiari caratteristiche di snellezza del processo tributario, la
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cui articolazione assai semplice, funzionale all'esigenza della mas
sima celerità, avrebbe mal tollerato l'indubbia complicazione costituita dall'accertamento di merito necessario onde stabilire
la «soccombenza virtuale», comportante una pronunzia sogget ta ad impugnazione.
Tanto basta per ritenere che il legislatore non abbia nella spe cie superato il limite della razionalità nell'opera di conforma
zione degli istituti processuali che è del tutto affidata alla sua
discrezionalità; e dunque per escludere anche sotto questo pro filo la prospettata violazione dell'art. 3 Cost.
3.2. - Privi di consistenza sono altresì i dubbi sollevati con
riferimento all'art. 24 Cost.
Questa corte — ripetutamente investita dal vaglio di costitu
zionalità dell'art. 39 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, che sanciva
l'inapplicabilità al processo tributario (come allora regolato) delle
disposizioni del giudizio civile riguardanti la ripartizione tra le
parti delle spese processuali — aveva già ritenuto non incostitu
zionale detta norma, osservando che l'istituto della condanna
del soccombente al pagamento delle spese stesse ha sì carattere
generale ma non anche portata assoluta, potendosene profilare la derogabilità, oltre che ad opera del giudice del singolo pro cesso quando ricorrano giusti motivi ai sensi del 2° comma del
l'art. 92 c.p.c., anche per previsione normativa in presenza di
elementi che giustifichino la diversificazione della regola gene rale sancita nel codice di rito civile (v. sentenza n. 196 del 1982,
id., 1983, I, 535, e successive ordinanze n. 41 del 1984, id.,
Rep. 1984, voce Tributi in genere, n. 826; n. 335 del 1987, id.,
1988, I, 2559; n. 244 del 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n.
987; n. 29 del 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1341). In tali occasioni la corte aveva altresì affermato e ribadito
— facendo riferimento alla diversità e maggiore snellezza del
procedimento tributario rispetto a quello civile ordinario — co
me l'effettiva predisposizione delle difese in giudizio prescindes se dalla possibilità di conseguire la (eventuale) ripetizione delle
spese processuali; con ciò escludendo la paventata violazione
dell'art. 24 Cost.
Da codeste conclusioni non v'è ragione di discostarsi, pur in presenza delle innovazioni apportate al sistema processuale del contenzioso tributario dal d.leg. n. 546 del 1992 onde ade
guarlo a quello civile, in attuazione dei principi e criteri conte
nuti nell'art. 30, lett. g), 1. delega 30 dicembre 1991 n. 413.
Ed a fortiori, allora, deve ritenersi che l'obbligo per il giudice di dichiarare compensate le spese processuali non comporta la
lamentata menomazione del diritto di difesa.
Principio insuperabile è esclusivamente quello che la parte vit
toriosa non venga gravata, in tutto o in parte, delle spese di
lite (v. sentenza n. 46 del 1975, id., 1975, I, 509). La compensa zione è, invece, istituto di regola lasciato al potere discrezionale
del giudice, sulla base d'un apprezzamento dell'esistenza di giu sti motivi, la quale, appunto, nella normativa de qua viene so
stanzialmente affermata dal legislatore con la previsione di una
fattispecie legale tipica. 3.3. - Palesemente priva di fondamento, infine, è la prospet
tata violazione dell'art. 97 Cost., poiché tale parametro attiene
esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici
giudiziari nonché al loro funzionamento sotto l'aspetto ammi
nistrativo, e non è invece riferibile a norme, quali quella sotto
posta al presente scrutinio, che regolano l'esercizio della funzio
ne giurisdizionale (v., da ultimo, sentenze n. 182 del 1996, id.,
1997, I, 1023, e n. 225 del 1996, id., 1998, I, 3438). Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: — dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio
nale degli art. 15, 1° comma, e 46, 3° comma, d.leg. 31 dicem
bre 1992 n. 546 (disposizioni sul processo tributario in attuazio
ne della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre
1991 n. 413), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Com
missione tributaria provinciale di Crotone, con l'ordinanza in
dicata in epigrafe; — dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzio
nale dell'art. 46, 3° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546,
sollevate, in riferimento agli art. 3, 1° comma, 24, 1° comma,
e 97, 1° comma, Cost., dalla Commissione tributaria provincia le di Caserta e, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., dalla Com
missione tributaria provinciale di Macerata, con le ordinanze
indicate in epigrafe.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 12 marzo 1998, n. 51
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 18 marzo 1998, n. 11); Pres. Granata, Est. Ruperto; Soc. R.C.S. Rizzoli periodici (Avv. Barile) c. Filocamo (Avv. Musco); Stabile (Avv. Gia
cobbe) c. Soc. editrice II Messaggero; interv. Pres. cons, mi
nistri (Avv. dello Stato Caramazza). Ord. App. Roma 18 dicembre 1996 e Trib. Roma 11 novembre 1996 (G.U., la
s.s., nn. 21 e 22 del 1997).
Competenza civile — Procedimenti riguardanti magistrati — Spo stamento della competenza per territorio — Omessa previsio ne — Questioni inammissibili di costituzionalità (Cost., art.
3, 24, 25, 101; cod. proc. civ., art. 18-36; cod. proc. pen., art. 11).
È inammissibile, in quanto la richiesta sentenza additiva com
porta una scelta fra più soluzioni riservata al legislatore, la
questione di legittimità costituzionale degli art. da 18 a 35 c.p.c., nella parte in cui non prevedono uno spostamento della com
petenza per territorio secondo principi predeterminati quali quel li previsti, per il processo penale, dall'art. 11 c.p.p., nel caso
in cui un magistrato sia attore o convenuto in un processo ci
vile o, in subordine, limitatamente al caso in cui il giudizio civile abbia ad oggetto fatti la cui rilevanza penale debba esse
re incidentalmente accertata oppure, in via ulteriormente su
bordinata, nei procedimenti civili per diffamazione a mezzo
stampa in cui sia applicabile la sanzione di cui all'art. 12 I.
sulla stampa, in riferimento agli art. 3, 24 e 101 Cost. (1) È inammissibile, in quanto la richiesta sentenza additiva com
porta una scelta fra più soluzioni riservata al legislatore, la
questione di legittimità costituzionale degli art. da 18 a 36
c.p.c., nella parte in cui non prevedono l'applicabilità del cri
terio di competenza territoriale stabilito dall'art. 11 c.p.p. an
che ai giudizi civili nei quali sìa attore o convenuto un magi strato e che abbiano ad oggetto una domanda di risarcimento
dei danni derivanti da un reato, di cui il magistrato, parte del giudizio civile, si assume essere l'autore ovvero la persona
offesa o il danneggiato, in riferimento agli art. 3, 24, 25, 1° comma, e 101 Cost. (2)
(1-2) La Corte costituzionale rileva l'impraticabilità, di fronte all'esi stenza di una pluralità di possibili soluzioni, di un'estensione pura e
semplice al processo civile della previsione dettata dall'art. 11 c.p.p. per il processo penale, essendo la scelta riservata alla discrezionalità del legislatore.
L'ordinanza di rimessione di App. Roma (con data 28 gennaio 1997) è riportata in Foro it., 1997, I, 1944, con nota di richiami. La stessa
questione è stata sollevata anche da App. Milano, ord. 17 ottobre 1997, id., Rep. 1998, voce Competenza civile, n. 108.
Per l'inapplicabilità della previsione di cui all'art. 11 c.p.p. al proces so civile, v. Trib. Napoli 8 giugno 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 89.
Per l'inammissibilità, per carenza di legittimazione dell'autorità ri
mettente, della questione di costituzionalità dell'art. 26 r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, nella parte in cui, per i giudizi di responsabilità ammini strativa o contabile a carico di magistrati, rinvia alle disposizioni del codice di procedura civile, anziché a quelle del codice di procedura pe nale, che prevede la competenza territoriale di un ufficio giudiziario diverso da quello nel quale i magistrati stessi esercitano, o hanno eserci tato, le proprie funzioni, v. Corte cost. 27 luglio 1995, n. 415, id., 1995, I, 3373, con nota di richiami.
Per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità del l'art. 11 c.p.p., nella parte in cui non prevede la deroga alla competen za territoriale per l'ipotesi in cui assuma la qualità di imputato o di
persona offesa o danneggiata dal reato l'avvocato iscritto all'albo di uno degli ordini del distretto cui appartiene l'ufficio giudiziario compe tente per il giudizio, v. Corte cost., ord. 30 dicembre 1997, n. 462, id., Rep. 1998, voce Competenza penale, n. 36, e Cass. 18 dicembre
1995, Perpiglia, id., Rep. 1996, voce cit., n. 84. Sull'ambito di applicazione dell'art. 11 c.p.p., v. pure Cass. 22 otto
bre 1996, Lucchese, id., 1997, II, 1, con nota di richiami, secondo cui, ai fini dell'operatività della deroga alla competenza territoriale, non è necessario che il magistrato «danneggiato» dal reato si sia anche costi tuito parte civile nel processo penale; Cass. 30 giugno 1997, Bilotta, id., Rep. 1997, voce cit., n. 62, la quale ha escluso che lo stesso possa applicarsi ai vice pretori onorari.
Per l'incostituzionalità dell'art. 11, 3° comma, c.p.p., nella parte in
cui stabiliva che lo spostamento della competenza territoriale non si determinava in caso di reato commesso in udienza, v. Corte cost. 31 ottobre 1991, n. 390, id., 1992, I, 305, con nota di richiami.
Per l'inammissibilità (semplice o manifesta) di questioni di costituzio nalità con le quali, a giudizio della corte, si richiede un intervento addi tivo in materie riservate alla discrezionalità del legislatore, v. Corte cost. 5 marzo 1999, n. 61, id., 1999, I, 1097, con nota di richiami.
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