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sentenza 13 febbraio 2003, n. 49 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 febbraio 2003, n. 7);...

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sentenza 13 febbraio 2003, n. 49 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 febbraio 2003, n. 7); Pres. Chieppa, Est. Onida; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Fiumara) c. Regione Valle d'Aosta (Avv. Romanelli); interv. Consulta regionale femminile delle regioni Valle d'Aosta e Campania (Avv. De Nigris) Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 5 (MAGGIO 2003), pp. 1317/1318-1323/1324 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198556 . Accessed: 28/06/2014 09:55 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.33 on Sat, 28 Jun 2014 09:55:05 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 13 febbraio 2003, n. 49 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 febbraio 2003, n. 7); Pres. Chieppa, Est. Onida; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Fiumara) c. Regione

sentenza 13 febbraio 2003, n. 49 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 19 febbraio 2003, n. 7);Pres. Chieppa, Est. Onida; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Fiumara) c. Regione Valled'Aosta (Avv. Romanelli); interv. Consulta regionale femminile delle regioni Valle d'Aosta eCampania (Avv. De Nigris)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 5 (MAGGIO 2003), pp. 1317/1318-1323/1324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198556 .

Accessed: 28/06/2014 09:55

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

n. 87 del 1953 e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti

alla Corte costituzionale.

Considerato che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 790 c.c., nella parte in cui non prevede la

possibilità per il donante di riservarsi la costituzione a proprio favore di una prestazione non pecuniaria di assistenza morale e

materiale per la soddisfazione di ogni esigenza di vita, a carico

del donatario, tale da non assorbire l'intero valore del bene do

nato, per violazione degli art. 2, 3 e 41 Cost.; che tale questione è stata proposta da un notaio chiamato a

redigere un atto pubblico di donazione, a norma dell'art. 782

c.c.; che il soggetto rimettente svolge numerosi argomenti a favore

della propria legittimazione a sollevare questione incidentale di

legittimità costituzionale, in applicazione degli art. 1 1. cost. 9

febbraio 1948 n. 1 (norme sui giudizi di legittimità costituzio

nale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte costituzionale), e 23 1. 11 marzo 1953 n. 87 (norme sulla costituzione e sul fun

zionamento della Corte costituzionale); che tali argomenti, sviluppati anche alla stregua di afferma

zioni contenute nelle sentenze n. 226 del 1976 e n. 376 del 2001

di questa corte, ad avviso del rimettente mostrerebbero l'assi-,

milabilità a) del notaio rogante al giudice o all'autorità giurisdi zionale, b) del procedimento di formazione dell'atto notarile al

processo e c) della funzione del notaio, in sede di formazione

del rogito, alla funzione giurisdizionale, con ciò dovendosi rite

nere adempiute le condizioni che le due citate disposizioni di

legge costituzionale e di legge ordinaria prevedono ai fini della

valida instaurazione del giudizio incidentale di legittimità co

stituzionale sulle leggi; che, in contrario senso, vale la considerazione che nella fun

zione notarile, come disciplinata dall'art. 1 1. 16 febbraio 1913

n. 89 (ordinamento del notariato e degli archivi notarili), consi

stente essenzialmente nel «ricevere gli atti tra vivi e di ultima

volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti», è assente quella connotazione decisoria che, anche secondo la giurisprudenza di

questa corte (sentenze n. 387 del 1996, id., 1997,1, 7; n. 158 del

1995, id., 1995, I, 2387; n. 492 del 1991, id., 1992, I, 1324; n. 17 del 1980, id., 1980, I, 561; n. 12 del 1971, id., 1971, I, 536; n. 114 del 1970, id., 1970, I, 1541; ordinanza n. 104 del 1998, id., 1998, I, 2321), è condizione necessaria, pur se non suffi

ciente, per riconoscere la natura giurisdizionale della funzione

ed ammettere quindi la proposizione della questione incidentale

di legittimità costituzionale;

che, ai fini della pretesa qualificazione giuridica della funzio

ne notarile come decisoria, non rileva la circostanza che il no

taio abbia da «decidere» se procedere o non procedere al rogito di un atto, a seconda che ciò gli sia consentito ovvero precluso da norme di legge, trattandosi — in tal caso — di una normale

valutazione circa la legittimità della prestazione che gli è richie

sta e non del contenuto della funzione medesima; che l'impossibilità di ricondurre la funzione notarile alla giu

risdizione è di per sé ragione sufficiente di inammissibilità della

questione, ciò che rende superfluo l'esame degli argomenti pro

spettati per sostenerne l'ammissibilità sotto il profilo soggettivo — l'assimilabilità del notaio al giudice

— e oggettivo — l'as

similabilità del «procedimento» che si svolge di fronte al notaio

al giudizio dinanzi ad un'autorità giurisdizionale — secondo le

citate norme di legge costituzionale e ordinaria che regolano l'instaurazione del giudizio incidentale sulla costituzionalità

delle leggi; che le considerazioni del notaio rimettente circa la difficoltà

in cui verserebbe il soggetto privato, interessato ad adire la

Corte costituzionale per sottoporre ad essa il dubbio di costitu

zionalità su norme limitative dell'autonomia negoziale, quando — come nella specie

— sia previsto a pena di nullità che l'atto

sia ricevuto in forma pubblica dal notaio, si risolvono in critiche

di merito alla scelta contenuta nell'art. 1 1. cost. n. 1 del 1948,

che ha escluso l'azione diretta d'incostituzionalità;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifesta

mente inammissibile.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale

dell'art. 790 c.c., sollevata, in riferimento agli art. 2, 3 e 41

Cost., dal notaio di Giulianova, con l'atto indicato in epigrafe.

Il Foro Italiano — 2003.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 13 febbraio 2003, n.

49 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 19 febbraio 2003, n.

7); Pres. Chieppa, Est. Onida; Pres. cons, ministri (Avv. dello

Stato Fiumara) c. Regione Valle d'Aosta (Avv. Romanelli); interv. Consulta regionale femminile delle regioni Valle

d'Aosta e Campania (Avv. De Nigris).

Valle d Aosta — Elezioni regionali — Predisposizione delle

liste elettorali — Obbligo di candidati di entrambi i sessi — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 51; statuto speciale per la Valle d'Aosta, art. 15; 1. reg. Valle

d'Aosta 13 novembre 2002 n. 21, modificazioni alla 1. reg. 12

gennaio 1993 n. 3, norme per l'elezione del consiglio regio nale della Valle d'Aosta, già modificata dalle 1. reg. 11 marzo

1993 n. 13 e 1° settembre 1997 n. 31, e alla 1. reg. 19 agosto 1998 n. 47, salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni lin

guistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del

Lys, art. 2, 7).

E infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.

2, 1° comma, e 7, 1° comma, l. reg. Valle d'Aosta 13 novem

bre 2002 n. 21, nella parte in cui stabiliscono che le liste

elettorali per l'elezione del consiglio regionale devono com

prendere candidati di entrambi i sessi e che, in caso contra

rio, vengano dichiarate non valide da parte dell'ufficio elet

torale regionale, in riferimento agli art. 3,1° comma, e 51, 1°

comma, Cost. ( 1 )

(1) 1. - La legge regionale impugnata appartiene alla categoria delle c.d. leggi statutarie delle regioni speciali, le quali debbono essere ap provate dalla maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati ed hanno come oggetto, tra l'altro, quello di promozione di «condizioni di parità per l'accesso alle consultazioni popolari», «al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza dei sessi».

Con riguardo a tali leggi, la 1. cost. 2/01, che ha modificato gli statuti delle regioni speciali, ha previsto una forma di controllo analoga a

quella stabilita dall'art. 123 Cost, (dopo la revisione costituzionale del

1999) per gli statuti regionali delle regioni ordinarie, secondo cui il go verno può promuovere la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte costituzionale nel termine di trenta giorni dalla sua pubblica zione.

La corte, proprio con riferimento al controllo di cui al nuovo art. 123

Cost., ha di recente precisato che esso ha carattere preventivo, seppur non sospensivo dell'entrata in vigore dello statuto e che il termine di

trenta giorni per promuovere la verifica da parte della corte decorre

dalla pubblicazione notiziale della delibera statutaria e non da quella, successiva alla promulgazione, che è condizione per l'entrata in vigore (v. Corte cost. 3 luglio 2002, n. 306, Foro it., 2003, I, 728, con nota di richiami e osservazioni di Romboli). Nei tre mesi successivi alla stessa

pubblicazione notiziale è possibile richiedere la consultazione del corpo elettorale attraverso il referendum.

Per questo il ricorso del governo aveva infatti ad oggetto la delibera

regionale approvata dal consiglio regionale il 25 luglio 2002, la quale, successivamente alla proposizione del ricorso e trascorsi i tre mesi sen za che alcuno dei soggetti legittimati avesse richiesto il referendum, è stata promulgata e pubblicata come 1. reg. 13 novembre 2002 n. 21.

Il controllo della Corte costituzionale si è così venuto a trasformare

da preventivo in successivo e nella motivazione, come pure nel dispo sitivo, il giudice costituzionale fa riferimento appunto alla 1. reg. Valle

d'Aosta 21/02. Nel merito, il governo faceva riferimento in particolare alla prece

dente pronuncia della Corte costituzionale (sent. 12 settembre 1995, n.

422, id., 1995, 1. 3386, con nota di richiami, commentata da Gianfor

maggio, id., 1996, I. 1961, da De Siervo, Brunelli e Cinanni, in Giur.

costit., 1995, 3255, da Pera, Sotoiu, in Giust. civ., 1995, I, 2583, e da

Bartole, in Regioni, 1996, 306), la quale ha, tra l'altro, dichiarato l'in

costituzionalità dell'art. 4, 2° comma, n. 2, ultimo periodo, d.p.r. 30

marzo 1957 n. 361, come modificato dall'art. 1 1. 4 agosto 1993 n. 277, nella parte in cui prevedeva, per le elezioni della camera dei deputati, che le liste recanti più di un nome fossero formate da candidati e candi

date, in ordine alternato e, con riguardo alle elezioni dei consigli regio nali, dell'art. 1, 6° comma, 1. 23 febbraio 1995 n. 43, nella parte in cui

prevedeva che in ogni lista regionale e provinciale nessuno dei due ses

si potesse essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei can

didati. La Corte costituzionale sottolinea la differenza tra le ipotesi previste

dalle leggi dichiarate incostituzionali nel 1995 e quella adesso sottopo sta al proprio esame, rilevando come le disposizioni contestate non

pongono l'appartenenza all'uno o all'altro sesso come requisito ulterio

re di eleggibilità e nemmeno di candidabilità dei singoli cittadini, con

cernendo l'obbligo solo le liste ed i soggetti che le presentano. Non sa

rebbe pertanto prevista alcuna misura di «disuguaglianza» allo scopo di

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PARTE PRIMA

Diritto. — 1. - Il governo, con ricorso proposto ai sensi del

l'art. 15. 3° comma, dello statuto speciale per la Valle d'Ao

sta/Vallèe d'Aoste, come modificato dall'art. 2 1. cost. n. 2 del

2001, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli art. 2, 2° comma, e 7, 1° comma, 1. reg. Valle d'Aosta recante

«modificazioni alla 1. reg. 12 gennaio 1993 n. 3 (norme per l'e

lezione del consiglio regionale della Valle d'Aosta), già modifi

cata dalle 1. reg. 11 marzo 1993 n. 13 e 1° settembre 1997 n. 31,

favorire individui appartenenti a gruppi svantaggiati o di «compensare» tali svantaggi attraverso vantaggi legislativamente attribuiti. La corte sostiene che le disposizioni esaminate stabiliscono un vincolo non già all'esercizio del voto o all'esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibi li, ma alla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali, precludendo loro solo la possi bilità di presentare liste formate da candidati tutti dello stesso sesso.

La Corte costituzionale pare quindi mostrare la volontà di tenere fermi i principi fissati nella ricordata sent. 422/95 o quantomeno di af fermare che per la soluzione della questione al suo esame non appare necessario procedere ad un mutamento di giurisprudenza.

In ciò la corte sembra però non avvertire adeguatamente che in

quella occasione essa aveva proceduto, in applicazione dell'art. 27 1.

87/53, a dichiarare l'illegittimità costituzionale conseguenziale, tra

l'altro, dell'art. 32, 3° e 4° comma, 1. reg. Valle d'Aosta 9 febbraio 1995 n. 4, il quale prevedeva che «nelle liste dei candidati dei comuni con popolazione sino a quindicimila abitanti devono essere rappresen tati entrambi i sessi. Nelle liste dei candidati alla carica di consigliere comunale dei comuni con popolazione superiore a quindicimila abitanti devono essere rappresentati entrambi i sessi». Una disposizione quindi in tutto e per tutto analoga a quella adesso dichiarata dalla corte come «una legittima espressione sul piano legislativo dell'intento di realizza re la finalità promozionale espressamente sancita dallo statuto speciale in vista dell'obiettivo di equilibrio della rappresentanza».

Conclusioni esattamente opposte riguardo a disposizioni legislative regionali assolutamente analoghe, avrebbero forse meritato una mag giore esplicazione nella motivazione della decisione in epigrafe. 1 rife rimenti all'evoluzione del quadro normativo costituzionale, pure ricor data al punto 4 del «diritto», appaiono infatti, nell'economia della mo

tivazione, più come ulteriore conferma di quanto sostenuto nei prece denti punti che non come motivazione di un mutamento di giurispru denza.

La Corte costituzionale ricorda l'intervenuta modifica, con 1. cost. 2/01. degli statuti regionali speciali e come, per la regione Valle d'Ao sta (al pari che per le altre quattro regioni speciali), all'art. 15, 2°

comma, sia previsto che «al fine di conseguire l'equilibrio della rappre sentanza dei sessi, la medesima legge (legge statutaria) promuove con dizioni di parità per l'accesso alle consultazioni elettorali», nonché il «nuovo» art. 117, 7° comma, secondo cui «le leggi regionali rimuovono

ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di ac cesso tra donne e uomini alle cariche elettive».

A ciò si aggiunga l'approvazione, da parte delle camere in seconda deliberazione, di una modifica all'art. 51 Cost., con l'aggiunta del se

guente periodo: «a tal fine la repubblica promuove con appositi prov vedimenti le pari opportunità tra donne e uomini», la quale entrerà in

vigore, una volta trascorsi i tre mesi dalla sua pubblicazione previsti dall'art. 138 Cost, per la richiesta di referendum popolare.

Per un'ipotesi di presunta violazione del principio delle pari oppor tunità in ordine alla composizione della giunta comunale, v. Cass. 18 dicembre 1997, n. 12828. Foro it.. Rep. 1997, voce Elezioni, n. 143, secondo cui il ricorso con il quale un consigliere comunale non deduca o non denunci che gli assessori nominati versassero in condizioni di in

compatibilità o di ineleggibilità all'incarico, e neppure prospetti una

pretesa diretta e personale ad essere nominata — in quanto donna — al

posto di uno di essi, bensì lamenti che il sindaco, formando la giunta, non abbia nominato neppure un assessore di sesso femminile, ed abbia

perciò violato il principio delle pari opportunità fra uomo e donna, ap partiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto, con esso, il provvedimento sindacale di nomina viene impugnato non in

quanto emesso in carenza di poteri, ma in quanto viziato da un esercizio

illegittimo di quel potere, in quanto realizzato in spregio del criterio le

gale delle pari opportunità. In dottrina, v. Beccalu (a cura di), Donne in quota, Milano, 1999;

Salazar, La «ragionevole irragionevolezza» da ossimoro a endiadi? Un 'importante precisazione della Corte di giustizia sulle azioni positi ve in favore delle donne, in Dir. pubbi comp. ed eur., 2000, 975; Bru

nello Le «quote» riprendono quota?, in Regioni, 2001, 531; Chiara, Le «pari opportunità» elettorali dei sessi nella riforma degli statuti re

gionali speciali, in Giur. costit., 2001, 839; Palici Di Suni, Le ragioni delle donne e le donne nelle regioni, in Chieffi (a cura di), Evoluzione delle autonomie e tutela dei diritti sociali, Padova, 2001, 605; Panizza, Un peculiare vincolo per il legislatore regionale: la piena parità degli

Il Foro Italiano — 2003.

e alla 1. reg. 19 agosto 1998 n. 47 (salvaguardia delle caratteri

stiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni wal

ser della valle del Lys)», approvata dal consiglio regionale a

maggioranza di due terzi dei componenti il 25 luglio 2002, e

pubblicata per notizia nel Bollettino ufficiale della regione del 2

agosto 2002. Successivamente alla proposizione del ricorso la

legge regionale impugnata — una volta decorso il termine per la

richiesta di referendum — è stata promulgata e pubblicata come

1. reg. 13 novembre 2002 n. 21.

Le disposizioni impugnate, rispettivamente, inseriscono l'art.

3 bis e sostituiscono l'art. 9, 1° comma, lett. a), nella 1. reg. 12

gennaio 1993 n. 3 (norme per l'elezione del consiglio regionale della Valle d'Aosta).

Precisamente, il nuovo art. 3 bis della legge sull'elezione del

consiglio, inserito dall'art. 2 della legge impugnata, stabilisce, al 2° comma, che le liste elettorali devono comprendere «candi

dati di entrambi i sessi»; a sua volta il nuovo art. 9, 1° comma, lett. a), della legge elettorale, sostituito dall'art. 7, 1° comma, della legge impugnata, prevede che vengano dichiarate non va

lide dall'ufficio elettorale regionale le liste presentate che non

corrispondano alle condizioni stabilite, fra cui quella «che nelle

stesse siano presenti candidati di entrambi i sessi».

Tali disposizioni sono censurate dal ricorrente per contrasto

con gli art. 3,1° comma, e 51. 1 ° comma, Cost.

Sostiene il governo che le predette disposizioni — l'art. 7 in

quanto espressamente condiziona la validità delle liste alla pre senza di candidati di entrambi i sessi, l'art. 2 in quanto venga

interpretato non come semplice indicazione programmatica, ma

come disposizione vincolante in sede di controllo della validità

delle liste presentate — limitano di fatto il diritto di elettorato

passivo. Richiamandosi alla sentenza di questa corte n. 422 del

1995, Foro it., 1995, I, 3386 (che dichiarò l'illegittimità costi tuzionale di diverse disposizioni di legge prevedenti l'obbligo di

riservare a candidati di ciascuno dei due sessi quote minime di

posti nelle liste per le elezioni delle camere e dei consigli regio nali e comunali), il governo osserva che l'appartenenza all'uno

o all'altro sesso non può mai essere assunta come requisito di

eleggibilità, né quindi come requisito di «candidabilità», poiché

questa sarebbe presupposto della eleggibilità; e che pertanto contrasterebbe con il principio di eguaglianza nell'accesso alle

cariche elettive, sancito dall'art. 3, 1° comma, e dall'art. 51, 1°

comma, Cost., una norma di legge che imponga nella presenta zione delle candidature «qualsiasi forma di quote in ragione del

sesso dei candidati». Ad avviso del ricorrente, anche la semplice

previsione — come contenuta nella legge impugnata

— della

necessaria presenza in ogni lista di candidati dei due sessi non si

differenzierebbe sostanzialmente, da questo punto di vista, dalla

previsione di una «quota» di riserva di candidature all'uno e al

l'altro sesso.

Il ricorrente richiama bensì la norma, contenuta nell'art. 15. 2° comma, secondo periodo, dello statuto della Valle d'Aosta

(come modificato dall'art. 2 1. cost. n. 2 del 2001), secondo cui, «al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza dei ses

si», la legge che stabilisce le modalità di elezione del consiglio regionale «promuove condizioni di parità per l'accesso alle con sultazioni elettorali»: ma ritiene che si tratti di una «enunciazio ne programmatica», onde la norma di legge regionale, secondo cui ogni lista di candidati all'elezione del consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi, po trebbe ritenersi legittima e conforme allo spirito della disposi zione statutaria solo se intesa come «norma meramente propo sitiva, quasi un auspicio»; mentre sarebbe irrimediabilmente il

legittima la norma che condiziona a tale presenza la validità delle liste.

uomini e delle donne anche nell'accesso alle cariche elettive, in G. Volpe (a cura di), Alla ricerca dell'Italia federate, Pisa, 2003, 101.

11. - Seguendo la propria costante giurisprudenza, nel senso dell'e sclusione della possibilità di intervento di «terzi» nei giudizi di legitti mità costituzionale in via principale, la corte ha dichiarato inammissi bile l'intervento nel giudizio costituzionale delle consulte femminili della Campania e della Valle d'Aosta (per tale giurisprudenza, v. Corte cost. 20 dicembre 2002. n. 533, G.U., ìa s.s., 27 dicembre 2002, edizio ne straordinaria; 7 novembre 2001, n. 353, Foro it., 2002, I, 2581. con nota di richiami; in dottrina, E. Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via principale, in Romboli (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1999-2001), Torino, 2002. 137). [R. Romboli]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

2. - Deve essere, anzitutto, dichiarato inammissibile l'inter

vento spiegato in giudizio dalle consulte femminili della Cam

pania e della Valle d'Aosta: nei giudizi di legittimità costituzio

nale promossi in via principale non è prevista la possibilità di

intervento di soggetti diversi dal titolare delle competenze legis lative in contestazione o con queste comunque connesse (cfr. sentenze n. 353 del 2001, id., 2002,1, 2581, e n. 533 del 2002).

3. - La questione è infondata.

3.1. - In primo luogo, deve osservarsi che le disposizioni contestate non pongono l'appartenenza all'uno o all'altro sesso

come requisito ulteriore di eleggibilità, e nemmeno di «candi

dabilità» dei singoli cittadini. L'obbligo imposto dalla legge, e la conseguente sanzione di invalidità, concernono solo le liste e

i soggetti che le presentano. In secondo luogo, la misura prevista dalla legge impugnata

non può qualificarsi come una di quelle «misure legislative, volutamente diseguali», che «possono certamente essere adot

tate per eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica,

o, più in generale, per compensare e rimuovere le disuguaglian ze materiali tra gli individui (quale presupposto del pieno eser

cizio dei diritti fondamentali)», ma che questa corte ha ritenuto

non possano «incidere direttamente sul contenuto stesso di quei medesimi diritti, rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i

cittadini in quanto tali», tra cui, in particolare, il diritto di eletto

rato passivo (sentenza n. 422 del 1995). Non è qui prevista, infatti, alcuna misura di «disuguaglianza»

allo scopo di favorire individui appartenenti a gruppi svantag

giati, o di «compensare» tali svantaggi attraverso vantaggi legis lativamente attribuiti.

Non vi è, insomma, nessuna incidenza diretta sul contenuto

dei diritti fondamentali dei cittadini, dell'uno o dell'altro sesso,

tutti egualmente eleggibili sulla base dei soli ed eguali requisiti

prescritti. Nemmeno potrebbe parlarsi di una incidenza su un ipotetico

diritto di aspiranti candidati ad essere inclusi in lista, posto che

la formazione delle liste rimane interamente rimessa alle libere

scelte dei presentatori e degli stessi candidati in sede di necessa

ria accettazione della candidatura (cfr. sentenza n. 203 del 1975,

id., 1975, I, 2416). Non si realizza, in tale sede, alcun metodo

«concorsuale» in relazione al quale un soggetto non incluso

nelle liste possa vantare una posizione giuridica di priorità in

giustamente sacrificata a favore di un altro soggetto in essa in

cluso.

In altri termini, le disposizioni in esame stabiliscono un vin

colo non già all'esercizio del voto o all'esplicazione dei diritti

dei cittadini eleggibili, ma alla formazione delle libere scelte dei

partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali,

precludendo loro (solo) la possibilità di presentare liste formate

da candidati tutti dello stesso sesso.

Tale vincolo negativo opera soltanto nella fase anteriore alla

vera e propria competizione elettorale, e non incide su di essa.

La scelta degli elettori tra le liste e fra i candidati, e l'elezione

di questi, non sono in alcun modo condizionate dal sesso dei

candidati: tanto meno in quanto, nel caso di specie, l'elettore

può esprimere voti di preferenza, e l'ordine di elezione dei can

didati di una stessa lista è determinato dal numero di voti di pre ferenza da ciascuno ottenuti (cfr. art. 34 e 51 1. reg. n. 3 del

1993). A sua volta, la parità di chances fra le liste e fra i candi

dati della stessa lista non subisce alcuna menomazione.

3.2. - Non può, d'altronde, dirsi che la disciplina così imposta non rispetti la parità dei sessi, cioè introduca differenziazioni in

relazione al sesso dei candidati o degli aspiranti alla candidatu

ra: sia perché la legge fa riferimento indifferentemente a candi

dati «di entrambi i sessi», sia perché da essa non discende alcun

trattamento diverso di un candidato rispetto all'altro in ragione del sesso.

3.3. - Neppure, infine, è intaccato il carattere unitario della

rappresentanza elettiva che si esprime nel consiglio regionale, non costituendosi alcuna relazione giuridicamente rilevante fra

gli elettori, dell'uno e dell'altro sesso e gli eletti dello stesso

sesso.

4. - Il vincolo che la normativa impugnata introduce alla li

bertà dei partiti e dei gruppi che presentano le liste deve essere

valutato oggi anche alla luce di un quadro costituzionale di rife

rimento che si è evoluto rispetto a quello in vigore all'epoca della pronuncia di questa corte invocata dal ricorrente a soste

gno dell'odierna questione di legittimità costituzionale.

Il Foro Italiano — 2003.

La 1. cost. n. 2 del 2001, integrando gli statuti delle regioni ad

autonomia differenziata, ha espressamente attribuito alle leggi elettorali delle regioni il compito di promuovere «condizioni di

parità per l'accesso alle consultazioni elettorali», e ciò proprio «al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza dei ses

si» (art. 15, 2° comma, secondo periodo, statuto Valle d'Aosta; e nello stesso senso, anche testualmente, art. 3, 1° comma, se

condo periodo, statuto speciale per la Sicilia, modificato dal

l'art. 1 1. cost. n. 2 del 2001; art. 15, 2° comma, secondo perio do, statuto speciale per la Sardegna, modificato dall'art. 3 1.

cost. n. 2 del 2001; art. 47, 2° comma, secondo periodo, statuto

speciale per il Trentino-Alto Adige/Sudtirol, modificato dall'art.

4 1. cost. n. 2 del 2001; art. 12, 2° comma, secondo periodo, statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia, modificato dall'art.

5 1. cost. n. 2 del 2001 ). Le nuove disposizioni costituzionali (cui si aggiunge l'analo

ga, anche se non identica, previsione del nuovo art. 117, 7°

comma. Cost., come modificato dalla 1. cost. n. 3 del 2001)

pongono dunque esplicitamente l'obiettivo del riequilibrio e

stabiliscono come doverosa l'azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni, riferendoli specificamente alla le

gislazione elettorale.

Questa corte ha riconosciuto che la finalità di conseguire una

«parità effettiva» (sentenza n. 422 del 1995) fra uomini e donne

anche nell'accesso alla rappresentanza elettiva è positivamente

apprezzabile dal punto di vista costituzionale. Si tratta, invero, di una finalità — che trova larghi riconoscimenti e realizzazioni

in molti ordinamenti democratici, e anche negli indirizzi espres si dagli organi dell'Unione europea

— collegata alla constata

zione, storicamente incontrovertibile, di uno squilibrio di fatto

tuttora esistente nella presenza dei due sessi nelle assemblee

rappresentative, a sfavore delle donne. Squilibrio riconducibile

sia al permanere degli effetti storici del periodo nel quale alle

donne erano negati o limitati i diritti politici, sia al permanere,

tuttora, di ben noti ostacoli di ordine economico, sociale e di co

stume suscettibili di impedirne una effettiva partecipazione al

l'organizzazione politica del paese. Un aspetto, se non decisivo, certo assai influente del fenome

no è costituito dai comportamenti di fatto prevalenti nell'ambito

dei partiti e dei gruppi politici che operano per organizzare la

partecipazione politica dei cittadini, anche e principalmente at

traverso la selezione e l'indicazione dei candidati per le cariche

elettive. Così che, già in passato, la corte ha espresso una valu

tazione positiva di misure — tendenti ad assicurare «l'effettiva

presenza paritaria delle donne (...) nelle cariche rappresentati ve» — «liberamente adottate da partiti politici, associazioni o

gruppi che partecipano alle elezioni, anche con apposite previ sioni dei rispettivi statuti o regolamenti concernenti la presenta zione delle candidature» (sentenza n. 422 del 1995), sul modello

di iniziative diffuse in altri paesi europei. Le disposizioni impugnate dalla legge elettorale della Valle

d'Aosta operano su questo terreno, introducendo un vincolo le

gale rispetto alle scelte di chi forma e presenta le liste. Quello

che, insomma, già si auspicava potesse avvenire attraverso

scelte statutarie o regolamentari dei partiti (i quali però, finora, in genere non hanno mostrato grande propensione a tradurle

spontaneamente in atto con regole di autodisciplina previste ed

effettivamente seguite) è qui perseguito come effetto di un vin

colo di legge. Un vincolo che si giustifica pienamente alla luce

della finalità promozionale oggi espressamente prevista dalla

norma statutaria.

4.1. - Deve peraltro osservarsi che, nella specie, il vincolo

imposto, per la sua portata oggettiva, non appare nemmeno tale

da incidere propriamente, in modo significativo, sulla realizza

zione dell'obiettivo di un riequilibrio nella composizione per sesso della rappresentanza. Infatti esso si esaurisce nell'impedi re che, nel momento in cui si esplicano le libere scelte di cia

scuno dei partiti e dei gruppi in vista della formazione delle li

ste, si attui una discriminazione sfavorevole ad uno dei due ses

si, attraverso la totale esclusione di candidati ad esso apparte nenti. Le «condizioni di parità» fra i sessi, che la norma costitu

zionale richiede di promuovere, sono qui imposte nella misura

minima di una non discriminazione, ai fini della candidatura, a

sfavore dei cittadini di uno dei due sessi.

5. - In definitiva — ribadito che il vincolo resta limitato al

momento della formazione delle liste, e non incide in alcun

modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e

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Page 5: sentenza 13 febbraio 2003, n. 49 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 19 febbraio 2003, n. 7); Pres. Chieppa, Est. Onida; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Fiumara) c. Regione

PARTE PRIMA 1324

sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candi

date nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della

rappresentanza elettiva — la misura disposta può senz'altro ri

tenersi una legittima espressione sul piano legislativo dell'in

tento di realizzare la finalità promozionale espressamente san

cita dallo statuto speciale in vista dell'obiettivo di equilibrio della rappresentanza.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale degli art. 2, 1° comma, e 7, 1° comma, 1. reg. Valle d'Aosta 13 novembre 2002 n. 21, recante: «modificazioni alla 1. reg. 12 gennaio 1993 n. 3 (norme

per l'elezione del consiglio regionale della Valle d'Aosta), già modificata dalle 1. reg. 11 marzo 1993 n. 13 e 1° settembre 1997

n. 31, e alla 1. reg. 19 agosto 1998 n. 47 (salvaguardia delle ca

ratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazio ni walser della valle del Lys)», sollevata, in riferimento agli art.

3, 1° comma, e 51, 1° comma, Cost., dal governo con il ricorso

in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 4 febbraio 2003, n. 29 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 11 febbraio 2003, edizione straordinaria); Pres. Chieppa, Est. Onida; Regione

Sardegna (Avv. Nania) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello

Stato Zotta). Conflitto di attribuzione.

Sardegna — Consiglieri regionali — Ineleggibilità e incom patibilità — Competenza degli organi giurisdizionali dello Stato (Cost., art. 24, 66, 101, 116, 122; statuto speciale per la

Sardegna, art. 17).

Sardegna — Consiglieri regionali — Ineleggibilità e incom patibilità — Conflitto di attribuzione tra enti — Denuncia di «errores in iudicando» da parte di organi giurisdizio nali — Inammissibilità (Cost., art. 134; statuto speciale per la Sardegna, art. 57; 1. 23 aprile 1981 n. 154, norme in materia

di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in mate

ria di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazio

nale, art. 7; 1. reg. Sardegna 6 marzo 1979 n. 7, norme per l'elezione del consiglio regionale, art. 82).

Spetta allo Stato, e per esso ai competenti organi giurisdiziona li, giudicare in sede giurisdizionale sulla sussistenza di cause

sopravvenute di incompatibilità con la carica di membro del

consiglio regionale sardo e sulla conseguente decadenza de!

consigliere. (1) Sono inammissibili, in quanto denunciano semplici errores in

iudicando del giudice e non la lesione di attribuzioni costitu

zionalmente spettanti alla regione, i ricorsi per conflitto di

attribuzione tra enti proposti dalla regione Sardegna nei

confronti delle sentenze di Trib. Cagliari 3 dicembre 2001, n.

2598, e 25 marzo 2002, n. 257, e di App. Cagliari 14 maggio 2002, n. 165. (2)

(1-2) I. - La regione Sardegna ricorreva contro tre decisioni del Tri bunale e della Corte d'appello di Cagliari, in quanto, a suo giudizio, la

competenza a giudicare sulle cause d'incompatibilità dei consiglieri re

gionali spetterebbe esclusivamente al consiglio regionale in sede di convalida degli eletti e in ciò si richiamava esplicitamente a quanto previsto dall'art. 7 I. reg. sarda 7/79, secondo cui «al consiglio regio nale è riservata la convalida dell'elezione dei propri componenti. Esso

pronuncia giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in gene rale, su tutti i reclami». Essa rilevava inoltre come l'art. 66 Cost, dove va ritenersi un principio di natura istituzionale destinato, indipenden temente da apposite codificazioni, ad assistere organi che, come i con

sigli regionali, siano qualificati dalla natura politico rappresentativa e dalla titolarità di funzione legislativa e di indirizzo.

La Corte costituzionale nega la sussistenza di tale competenza esclu siva in capo ai consigli regionali, richiamandosi al diritto di ogni citta dino ad un giudice indipendente ed imparziale (garantito anche dall'art. 6 della convenzione europea per i diritti dell'uomo), tale non potendosi ritenere l'assemblea degli eletti. La corte esclude anche che possa

Il Foro Italiano — 2003.

Diritto. — 1. - I tre ricorsi per conflitto di attribuzioni, pro mossi dalla regione Sardegna in relazione a tre diversi provve dimenti giurisdizionali, resi dal Tribunale di Cagliari e dalla Corte d'appello di Cagliari, prospettano questioni largamente fra loro coincidenti: è opportuno dunque riunire i relativi giudizi

perché siano decisi con unica pronunzia. 2. - I tre provvedimenti giurisdizionali impugnati vertono

estendersi ai consigli regionali quanto previsto per le camere dall'art. 66 Cost., in quanto «la forza derogatoria che a tale norma venga attri buita non potrebbe estendersi al di là della specifica situazione regolata, e non è quindi invocabile per costruire un'anacronistica esenzione dei

consigli regionali dalla giurisdizione». Per quanto concerne l'art. 7 1.

reg. 7/79, la corte rileva come il carattere «definitivo» del giudizio ivi

previsto si riferisce alla fase non giurisdizionale della convalida e della decisione sui ricorsi in materia di cause di ineleggibilità e di incompa tibilità. In senso analogo, v. già Corte cost. 26 marzo 1993, n. 113, Fo ro it., 1993,1, 2437, con nota di richiami.

In considerazione del nostro sistema di controllo di costituzionalità delle leggi, è con qualche difficoltà, in mancanza dì un ricorso diretto davanti alla corte, che le questioni attinenti al procedimento elettorale

giungono all'esame del giudice delle leggi e quando ciò accade, a volte non trovano la necessaria sensibilità: v. Corte cost., ord. 20 novembre 2000, n. 512, id., 2001, I, 3490, con nota di richiami di Romboli e os servazioni di Caporilli, commentata da Chiola, in Giur. costit., 2000, 4035, la quale ha dichiarato manifestamente inammissibile, in quanto il

giudice a quo non indicava la giurisdizione alla quale avrebbe dovuto essere devoluta la cognizione delle controversie e sollecitava una radi cale riforma legislativa che eccede i compiti della corte, la questione di

legittimità costituzionale degli art. 16, 4° comma, e 87 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, nella parte in cui prevedono la competenza della camera dei deputati per tutte le controversie attinenti alle operazioni elettorali, con esclusione della possibilità di azione giudiziaria nei confronti della decisione emessa dall'ufficio centrale nazionale sull'opposizione pro posta contro il provvedimento del ministero dell'interno di ricusazione di un contrassegno elettorale presentato per le elezioni politiche.

Per l'affermazione secondo cui, tranne che per le elezioni della ca mera dei deputati e del senato della repubblica, alle quali si applica l'art. 66 Cost. — che esclude la tutela giurisdizionale delle posizioni sottoposte alle valutazioni delle camere legislative — per tutte le altre

operazioni elettorali, ivi comprese quelle relative all'elezione dei rap presentanti dell'Italia al parlamento europeo, l'ordinamento prevede la

giurisdizione amministrativa, v. Cons. Stato, sez. VI, ord. caut. 19

maggio 2000, n. 2413, Foro it., Rep. 2000, voce Legge, n. 108. Per un'ipotesi di ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per

presunta violazione dell'art. 6 della convenzione, a proposito della le

gislazione elettorale, v. Comm. eur. diritti dell'uomo 19 gennaio 1998, id., 1998, IV, 306, con nota di richiami e osservazioni di Pertici, se condo cui la legittimità di un'elezione riguarda l'esercizio di un diritto

politico e non comporta la definizione di un diritto civile o di un'accusa

penale, ai sensi dell'art. 6 della convenzione, per cui è inammissibile il ricorso dell'elettore a tutela del proprio diritto ad un giudice terzo e

imparziale nella disciplina del reclamo avverso elezioni svolte in modo ritenuto non regolare.

Per l'incostituzionalità dell'utilizzo dei termini «parlamento» e «de

putati» con riguardo al consiglio regionale ed ai consiglieri regionali, v. Corte cost. 3 luglio 2002, n. 306, id., 2003, I, 728, con nota di richiami e osservazioni di Romboli.

II. - Affermazione consolidata nella giurisprudenza della Corte co stituzionale quella secondo cui atti giurisdizionali possono formare og getto di un conflitto tra enti, purché il conflitto medesimo non si risolva in mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione

giurisdizionale: v. Corte cost. 11 febbraio 1999, n. 27, id., 1999, I, 1116, con nota di richiami.

In ordine al conflitto tra Stato e regione avente ad oggetto atti giuris dizionali, v. Corte cost. 20 novembre 2000, n. 511, e 20 luglio 2000, n.

309, id., 2001, I, 17, con nota di richiami di Romboli e osservazioni di L. Azzena.

Sulle particolarità di questo tipo di conflitto, v. Padula, Conflitti tra Stato e regioni e atti giurisdizionali: qualcosa si muove?, in Regioni, 2000, 676; Mangia, L'accesso nei conflitti intersoggettivi, in Anzon, Garetti, Grassi (a cura di), Prospettive di accesso alla giustizia costi tuzionale, Torino, 2000, 295; Romboli, Conflitto tra enti su atto giuri sdizionale: le soluzioni della dottrina al vaglio della Corte costituzio nale nella latitanza del legislatore, in Regioni, 2001, 397; Scaccia, La

rappresentanza processuale del potere giudiziario nel conflitto di attri buzione Stato-regioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 761; Grasso, Il

conflitto di attribuzioni fra le regioni e il potere giudiziario, Milano, 2001; P. Bianchi, Il conflitto di attribuzioni tra Stato e regioni, in Rom boli (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1999-2001), Torino, 2002, 160; Marone, I conflitti di attribuzione tra enti: il contraddittorio, in Pizzorusso-Romboli, Le norme integrative per i giudizi davanti alta Corte costituzionale dopo quasi mezzo secolo di applicazione, Torino, 2002, 159. [R. Romboli]

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