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sentenza 13 giugno 1985; Pres. ed est. Tarantola; Soc. Aurelia immobiliare c. Banca popolare di...

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sentenza 13 giugno 1985; Pres. ed est. Tarantola; Soc. Aurelia immobiliare c. Banca popolare di Milano Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2313/2314-2315/2316 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180675 . Accessed: 25/06/2014 05:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.54 on Wed, 25 Jun 2014 05:30:22 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 13 giugno 1985; Pres. ed est. Tarantola; Soc. Aurelia immobiliare c. Banca popolare diMilanoSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2313/2314-2315/2316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180675 .

Accessed: 25/06/2014 05:30

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — (Omissis). Fondato appare invece al

collegio il secondo motivo con cui l'I.n.p.s. contesta l'esistenza del

titolo esecutivo riproponendo l'assunto che le sentenze rese in

materia previdenziale siano provvisoriamente eseguibili solo ove

rechino condanna a prestazioni in favore di un lavoratore.

L'art. 447 stabilisce al 1° comma che le sentenze pronunciate nei giudizi relativi alle controversie di cui all'art. 442 sono

provvisoriamente esecutive, e nel capoverso che si applica il

disposto dell'art. 431 (che regola l'esecutività delle sentenze nelle

controversie di lavoro sancendo la provvisoria esecuzione soltanto

di quelle che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all'art. 409).

Tale formulazione dell'art. 447 ha indotto parte dei suoi esegeti a ritenere che il rinvio all'art. 431 contenuto nel capoverso dell'art. 447 non abbia lo scopo di limitare l'esecuzione provviso ria delle sentenze previdenziali al solo caso in cui pronunciano condanna a favore del lavoratore, come appunto prevede l'art.

431 per le controversie di lavoro, bensì di estendere alle contro

versie previdenziali le altre disposizioni dell'art. 431 ed in parti colare la possibilità di agire in executivis in forza del solo

dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza.

A sostegno di tale assunto si è osservato che se il capoverso dell'art. 447 avesse la funzione di limitare il 1° comma sarebbe

stato sufficiente sancire l'applicabilità dell'art. 431 anche nelle

controversie previdenziali o dire che le sentenze in materia

previdenziale sono provvisoriamente esecutive nei limiti previsti dall'art. 431; si è altresì considerata irrilevante l'obiezione che

sarebbero provvisoriamente esecutive anche le sentenze rese in

cause fra istituti previdenziali e datori di lavoro opponendosi che

non possa menarsi scandalo se anche alla sentenza di condanna

del datore di lavoro verso gli enti previdenziali si riconosce la

provvisoria esecuzione dato che la realizzazione dell'interesse

pubblico alla rapida erogazione delle prestazioni degli enti non

può non essere correlata ad altrettanta funzionalità nell'accerta

mento del rapporto controverso e nella riscossione del contributo.

Il collegio, cui non sfugge la delicatezza della questione sulla

quale mancano precedenti della Suprema corte, ritiene tuttavia

che l'interpretazione letterale dell'art. 447 accolta dal primo

giudice non possa essere condivisa perché capovolgerebbe senza

alcuna apprezzabile ragione il criterio generale dell'art. 282 c.p.c. che sancisce la non eseguibilità provvisoria della sentenza di

primo grado. Non si vede, infatti, per quale ragione di pubblico interesse il datore di lavoro, che di norma non è assistito da

clausola di provvisoria esecuzione delle sentenze pronunciate nelle controversie relative agli ordinari rapporti civili e commer

ciali all'infuori dei casi del 1° comma dell'art. 282, debba invece

fruire di tale beneficio proprio quando ottenga sentenza di

condanna dell'ente previdenziale, il quale, nei rapporti con il

datore di lavoro, rappresenta in senso ampio la generalità dei

lavoratori cui è finalizzata la massa dei contributi oggetto di

controversia fra ente e datore.

L'irrazionalità della deroga al regime generale — a favore di

una categoria che non rappresenta particolari interessi pubblici ed

a danno degli enti previdenziali nel momento in cui tutelano gli interessi dei lavoratori — costituisce la spia della insostenibili

tà dell'interpretazione che consente una cosi vistosa devia

vantaggio del lavoratore quanto nell'ipotesi in cui si controverta del

suo obbligo a restituire una prestazione indebita; e, nell'ipotesi in cui la controversia riguardi ente previdenziale e datore di lavoro tanto a

favore dell'ente (su cui v. Pret. Avellino 23 dicembre 1974, Foro it.,

Rep. 1975, voce cit., n. 288), quanto nell'ipotesi di condanna dell'ente

alla restituzione di conguagli non rimborsati o di contributi versati oltre il dovuto.

Riconosce esplicitamente l'esecuzione provvisoria secondo le norme ordinarie solo alle sentenze di condanna del datore di lavoro sulla base di un'interpretazione del 1° comma dell'art. 447 c.p.c. indipenden temente rispetto al capoverso, G. Pezzano (A. Proto Pisani, C. M.

Barone, Andrioli), Controversie in materia di lavoro, 1974, 502. Cfr.,

inoltre, Fabbrini, Diritto processuale del lavoro, 1975, 235, che sembre

rebbe limitare la provvisoria esecutività della sentenza ex 447 c.p.c. solo a favore del lavoratore. Nel senso che l'art. 447 c.p.c. non si

applica alle controversie concernenti l'obbligo contributivo Perone, Il

nuovo processo del lavoro, 1975, 492. Infine, cfr. Cinelli, Le contro

versie della sicurezza sociale, 1978, 387 ss., secondo cui oggettivamente si andrebbe oltre il riferimento ex art. 431 c.p.c. e, pertanto, la

provvisoria esecuzione va intesa come anticipazione dell'efficacia del

titolo in generale ed opererebbe anche nei confronti delle sentenze

dichiarative; soggettivamente l'art. 447 c.p.c. si estenderebbe alle

controversie tra datore di lavoro ed ente previdenziale. I dubbi sulla

portata applicativa dell'art. 447 c.p.c. sono inoltre sottolineati da

Vocino-Verde, Appunti sul processo del lavoro, 1979, 117.

zione dai principi. A tale riguardo appare particolarmente si

gnificativo che per giustificare l'ammissibilità della provvisoria esecuzione di tutte le sentenze rese nelle cause previdenziali si sia

invocata l'opportunità di dare anche all'ente previdenziale uno

strumento di sollecito recupero dei contributi dovuti dal datore di

lavoro, senza che si sia avvertito come l'interpretazione qui non

condivisa conduca anche alla conseguenza opposta, messa in

risalto nel presente giudizio, di esporre l'ente previdenziale ad

esecuzioni promosse sulla base di sentenza di primo grado

(peraltro riformata in appello). Pertanto l'esecutività provvisoria di tutte le sentenze pronunciate nelle controversie previdenziali costituirebbe una breccia al criterio generale dell'art. 282 del

codice di rito ordinario, non sorretta da adeguata giustificazione.

Viceversa l'interpretazione opposta che lega il 1" al 2° comma

dell'art. 447 nel senso che il capoverso conferisca la provvisoria esecutorietà alle sentenze in materia di previdenza ed assistenza

nella stessa misura e con le stesse modalità con cui l'art. 431 la

riconosce nelle controversie individuali di lavoro, è in armonia

con la ratio dell'art. 431 che ha introdotto un principio di favore

verso il lavoratore, per la sua ben nota posizione di contraente

debole del rapporto di lavoro, assicurandogli la sollecita eseguibi lità della pronuncia di condanna per crediti derivanti da tale

rapporto; analogamente il legislatore ha voluto disporre per la

materia pevidenziale ma l'espressione usata nell'art. 447 non è

stata altrettanto felice (plus dixit quam voluti), anche se l'appa rente ambiguità del richiamo dell'art. 431 può e deve essere

chiarita col criterio sistematico che utilizza i principi desumibili

dall'art. 282 e dall'art. 431 nonché l'insuperabile argomento a

contrario di cui si è sopra parlato.

Conferma dell'interpretazione restrittiva si trae dall'esame dei

lavori preparatori della 1. 11 agosto 1973 n. 533, dai quali risulta

che nella discussione sull'art. 447 si ebbe presente il caso normale

della controversia promossa contro l'ente previdenziale dal lavora

tore, a favore del quale volle esplicitamente sancirsi, per superare resistenze manifestatesi prima in giurisprudenza in base ai noti

limiti del giudice rispetto all'autorità amministrativa (art. 4 e 5 1.

20 marzo 1865 n. 2248, ali. E), la possibilità di attuazione

coattiva, nei confronti degli istituti previdenziali, del diritto

dell'assicurato alle relative prestazioni (relazione Martinazzoli e

Torelli, nella quale si legge anche che « dal combinato disposto dell'art. 447 e dell'art. 442 deve evincersi, senza ombra di dubbio, che l'esecuzione provvisoria riferita al giudizio previdenziale non

è altro che l'istituto oggetto di definizione legislativa dall'art. 431

e rappresenta quindi uno strumento di garanzia dell'immediata

realizzazione del credito, esplicitamente destinato, per volontà

espressa del legislatore, ad operare soltanto a vantaggio del

lavoratore in considerazione della funzione del suo credito e della

valutazione positiva della causa dello stesso fattane nell'ordina mento giuridico »).

Appare perciò arduo sostenere che il legislatore si rappresentas se, nel momento dell'approvazione della ambigua formulazione

dell'art. 447, la possibilità che in sede di applicazione la provvi soria esecuzione delle sentenze sarebbe stata estesa anche ai

giudizi previdenziali aventi ad oggetto, come quello in esame, la mera ripetizione di indebito fra datore di lavoro ed istituto di

previdenza.

Pertanto, in adesione all'interpretazione restrittiva dell'art. 447

che limita la provvisoria esecutorietà delle sentenze previdenziali ai casi in cui rechino condanna a favore del lavoratore per prestazioni a lui dovute, deve negarsi l'esistenza del titolo esecu

tivo posto a base dell'esecuzione promossa dalla società appellata, che va quindi dichiarata illegittima, in riforma della sentenza

impugnata, restando assorbita ogni altra questione dedotta dal

l'I.n.p.s. (Omissis)

TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 13 giugno 1985; Pres. ed

est. Tarantola; Soc. Aurelia immobiliare e. Banca popolare di

Milano.

TRIBUNALE DI MILANO;

Società — Società di capitali — Fusione per incorporazione —

Mancata indicazione di debiti della società incorporata nella

situazione patrimoniale — Irrilevanza (Cod. civ., art. 2504).

In caso di fusione per incorporazione, risponde dei debiti della so

cietà incorporata anche se non menzionati nella situazione pa

Il Foro Italiano — 1986.

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2315 PARTE PRIMA 2516

trimoniale redatta ai fini della fusione la società incorporan te. (1)

(1) A giudizio del Tribunale di Milano alla situazione patrimoniale che ai sensi dell'art. 2502 c.c. deve essere predisposta allorché si intenda sottoporre una società a fusione o incorporazione non può essere riconosciuta l'efficacia di circoscrivere l'ambito dei debiti della società stessa dei quali la società di nuova costituzione o la società incorporante è tenuta a rispondere.

Si esclude, dunque, che il prospetto contabile che illustra la situazione economica delle società di cui è stata deliberata la fusione abbia una funzione analoga a quella propria dei libri contabili

obbligatori nel trasferimento di azienda in base all'art. 2560, 2° comma, c.c.

Nello stesso senso la Cassazione (sent. 8 novembre 1983, n. 6612 e n. 6613, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), nn. 625, 626) ha statuito che in caso di fusione o incorporazione di società si ve rifica un trasferimento di azienda soggetto alla disciplina di cui all'art. 2112, 1° comma, c.c., secondo cui i rapporti di lavoro continuano nei confronti dell'acquirente dell'azienda, ma non a

quella dettata dal 2° comma del medesimo articolo, ai sensi del quale l'acquirente dell'azienda risponde dei debiti attinenti ai rapporti di lavoro soltanto se ne aveva avuto conoscenza o se risultavano dai libri dell'azienda ceduta o dai libretti di lavoro, affermando che anche la responsabilità della società risultante dalla fusione per i debiti di lavoro delle società fuse è regolata esclusivamente dall'art. 2504, 4° comma, c.c.

La giurisprudenza giunge alla conclusione illustrata sulla base della concezione tradizionale ed ormai consolidata secondo cui la fusione e l'incorporazione di società danno luogo ad una successione a titolo universale del tutto analoga alla successione mortis causa, determinan do da un lato l'estinzione delle società assoggettate a fusione o incorporate, e dall'altro la sopravvenienza di un soggetto risultante o

incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti già riguardanti i soggetti fusi o incorporati, e quindi l'unico e diretto obbligato per i debiti dei soggetti definitiva mente estinti: Cass. 8 novembre 1983, n. 6612, id., Rep. 1983, voce So cietà, n. 507; 8 novembre 1983, n. 6613, ibid., n. 508; 17 maggio 1978, n. 2385, id., 1978, I, 1641, con nota di richiami, cui adde Cass. 25 otto bre 1977, n. 4565, id., Rep. 1977, voce cit., n. 412. lln dottrina Ferri, Le

società, Torino, 1985, 936; Santagata, La fusione tra società, Napoli, 1964, 107 e 146 ss.; Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1962, 521 ss.; De Gregorio, Corso di diritto commerciale. Imprenditori. Società, Roma, 1961, 383.

Il principio enunciato in massima costituisce tuttavia un corol lario anche della tesi seguita da quella parte della dottrina che critica e respinge la ricostruzione dell'istituto della fusione tra società accolta dalla giurisprudenza.

Alcuni autori negano, infatti, che la fusione comporti l'estinzione delle società incorporate e/o fuse e la successione a titolo universale della società risultante dalla fusione nei diritti e negli obblighi delle prime. Essa consisterebbe, invece, soltanto in una modifica degli atti costitutivi delle società interessate diretta a determinare l'unificazione e la compenetrazione (e non la soppressione) dei contratti e delle compagini sociali, delle organizzazioni e dei patrimoni delle società fuse, e quindi la prosecuzione (e non la cessazione) delle loro attività. In altri termini si sostiene, sulla base di una sostanziale svalutazione della distinzione tra singoli soci e società quale soggetto a sé stante dotato di una autonoma personalità giuridica e di una enfatizzazione della concezione della società come un contratto, che le società partecipanti alla fusione verrebbero a formare, a seguito della modifica e della reciproca integrazione dei rispettivi contratti sociali, un tutto unico in cui i loro elementi costitutivi personali e patrimoniali si salderebbero. Pertanto i rapporti giuridici facenti capo alle società sottoposte alla fusione non sarebbero oggetto di una successione a favore della società risultante dalla operazione, ma semplicemente verrebbero assunti, senza soluzione di continuità e senza subire vicende

traslative, dal nuovo organismo sociale che comprende ed unifica in sé le società fuse: cfr. Tantini, Trasformazione e fusione delle società, in Trattato di dir. comm. e dir. pubbl. dell'economia diretto da Galgano, Padova, 1985, Vili, 282 ss.; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1984, 574; Galgano, Le società per azioni. Le altre società di capitali. Le cooperative, Bologna, 1978, 73, 74; Ferrara, Gli imprenditori e le società, Milano, 1978, 637; Cottino, Diritto commer ciale, Padova, 1976, I, 839; Simonetto, Della trasformazione e della fusione delle società, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1976, 1976, 208 ss., 230 ss.

In particolare sottolinea l'inapplicabilità della normativa concernente il trasferimento di azienda alle fusioni tra società, Cottino, cit., 840, rilevando la differenza che sussiste tra l'ipotesi in cui una persona fisica o giuridica titolare di un'azienda la vende ad un altro soggetto e

l'ipotesi in cui una società prosegue, essa ed i soci che ne fanno parte, con il suo patrimonio e le sue attrezzature, sia pure in un più ampio contesto economico aziendale, la propria attività. Anche Simonetto, cit., 239, esclude che l'istituto della fusione possa essere accostato alla successione di azienda.

(Omissis). Nel merito l'opposizione non risulta fondata. Il

motivo principale sviluppato dalla società opponente si basa sul

fatto che la garanzia venne concessa alla Banca popolare di

Milano dalla Gabriella s.r.l., successivamente incorporata sulla

base di una situazione patrimoniale dalla quale non risulta

l'esistenza della fideiussione concessa in favore di questa banca,

per i debiti della Gabrin.

Secondo l'attrice quindi la situazione patrimoniale approvata in

sede di delibera di fusione avrebbe la funzione di impegnare

l'incorporante solo nei limiti in essa espressamente evidenziati; tutte le voci di debito eventualmente omesse in questo documento

contabile non dovrebbero gravare sul soggetto che nasce o

sopravvive alla fusione.

L'assunto è palesemente infondato. Anche senza voler appro fondire il discorso sulla natura della fusione e sull'esattezza

dell'affermazione, più volte sostenuta anche da questo collegio, che con la fusione si realizzi un fenomeno di successione a titolo

universale, in virtù del quale tutti i rapporti che facevano capo all'ente estinto si trasmettono in capo a quello che vi è succedu

to, basta qui richiamare l'attenzione sul patto, del resto usuale in

delibere analoghe, contenuto nell'atto di fusione della Gabriella

s.r.l. nella Aurelia immobiliare s.r.l. del 3 dicembre 1982, là dove

si legge che « restano senza eccezione trasferiti alla società

incorporante tutte le passività e cioè tutte le obbligazioni e oneri

di qualunque genere e specie verso chiunque, di qualsiasi natura

e data, della società incorporata ».

I debiti della Gabriella s.r.l. non si estinguono pertanto solo

perché non vengono menzionati nella situazione patrimoniale redatta ai fini della fusione.

La finalità di questa situazione non è quella di cristallizzare le

posizioni passive dell'incorporanda, ma quella da un lato di

fornire ai soci delle società che si apprestano a fondersi i dati

necessari per valutare l'interesse alla fusione e per stabilire il

valore del rapporto di cambio, e dall'altro di consentire ai

creditori di proporre opposizione se la confusione dei patrimoni delle società possa recare pregiudizio alle loro ragioni.

Ma è evidente che, sotto quest'ultimo aspetto, non si può

pretendere che i creditori si accertino che i loro crediti siano

iscritti tra le varie voci delle situazioni patrimoniali della società

debitrice, in quanto questi hanno già un titolo per far valere le

proprie ragioni; l'opposizione trova invero motivazione nel fatto

che il concorso dei creditori dell'altra società potrebbe impedire un loro integrale soddisfacimento.

Nel caso in esame, per concludere, è assurdo pensare che la

Banca popolare di Milano abbia perso il suo credito nei confronti

della Gabriella s.r.l. solo perché non si oppose alla fusione con la

Aurelia immobiliare perché, addirittura, quest'ultima società pote va presentare maggiori garanzie di liquidità e quindi un'opposi zione sarebbe stata carente di interesse. (Omissis)

TRIBUNALE DI VERONA; decreto 11 giugno 1985; Pres.

Livoti, Rei. Platania; Banca popolare di Verona.

TRIBUNALE DI VERONA;

Società — Fusione per incorporazione di società per azioni in

cooperativa — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. civ., art.

2501, 2502, 2503, 2504; r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, disposizioni

per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione

creditizia, art. 48).

L'incorporazione di azienda di credito costituita in forma di

società per azioni in una cooperativa di credito (nella specie banca popolare) può essere legittimamente disposta se risulti il

consenso di tutti i soci della società lucrativa e se tali soggetti

posseggano i requisiti soggettivi di ammissione alla cooperativa (in motivazione si afferma che la trasformazione tra tali società

sarebbe invece inammissibile). (1)

(1) I. - Il Tribunale di Verona, chiamato a pronunciarsi in merito alla incorporazione di una azienda di credito costituita sotto forma di società per azioni in una banca popolare, ha affermato la piena legittimità della incorporazione di una società lucrativa ad opera di una cooperativa nell'ambito del settore bancario qualora l'operazione sia attuata con il consenso unanime di tutti i soci della prima e questi ultimi posseggano i requisiti di ammissione alla cooperativa.

Ad avviso dei giudici la soluzione illustrata trova il suo fondamento nella norma della legge bancaria (art. 48 r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375) che consente alle banche di diritto privato di fondersi ed incorporarsi secondo la disciplina dettata dal codice oivile anche se aventi differenti

Il Foro Italiano — 1986.

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